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Crisi economica e sociale in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale: l'ascesa degli USA, Appunti di Storia

Come la fine della prima guerra mondiale causò una epidemia di influenza, la crisi economica e la disoccupazione in Europa. La crisi portò all'indebitamento verso gli Stati Uniti e alla dipendenza dalle importazioni extraeuropee, determinando il crollo della centralità europea nel mondo e l'ascesa degli Stati Uniti a potenza mondiale. anche l'intervento dello Stato nella gestione economica, l'aumento della disoccupazione e il malessere sociale, e la risposta americana con il piano Dawes.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 13/01/2022

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Scarica Crisi economica e sociale in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale: l'ascesa degli USA e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! CAPITOLO 5 DOPO LA GUERRA: SVILUPPO E CRISI 6.1 La fine della prima guerra mondiale causò circa 17 milioni di caduti e dispersi, tra militari e civili, mentre più di 20 milioni furono i feriti gravi e i mutilati. Tra il 1914 e il 1918, dei 65 milioni di uomini che parteciparono alla guerra, solo un terzo tornò alla propria abitazione illeso fisicamente, anche se riportò profondi segni psicologici. L'Italia perse 650.000 soldati. Inoltre, ad aggravare il già pesante bilancio si propagò in Europa un'epidemia influenzale che tra il gennaio 1918 e il dicembre 1920 infettò più di mezzo miliardo di persone nel mondo, con tassi di mortalità fino al 70%. Tale epidemia fu chiamata “la spagnola” poiché per primi ne parlarono i giornali spagnoli che non erano soggetti alla censura di guerra mentre negli altri paesi europei il propagarsi dell'influenza fu taciuto e i giornali ne parlarono come una semplice epidemia che riguardava la sola penisola iberica, anche se in realtà era partita dagli Stati Uniti. Infine il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei profughi e delle minoranze etniche. Inoltre l'Europa si trovò all'indomani del conflitto povera anche di risorse economiche: durante lo sforzo bellico erano state spese somme gigantesche. Il problema più stringente era quello della riconversione industriale. Con la fine del conflitto la spesa pubblica era crollata e le industrie erano state costrette a provvedere in tempi brevi a una riconversione produttiva, cioè a passare da un'economia di guerra a un'economia di pace. Ma quest'operazione fu rallentata dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla caduta generale del tenore di vita, infatti le popolazioni erano troppo povere per alimentare un mercato interno di beni di consumo. Di fronte all'impossibilità di riconvertire gli apparati produttivi e al crollo della produzione agricola, a causa dell'abbandono delle campagne, i paesi europei dovettero continuare a importare grandi quantità di beni dai paesi extraeuropei, senza peraltro aver modo di pagarli né con le riserve né con le esportazioni. Questa situazione determinò un generale rialzo dei prezzi e una rapida inflazione. Tutti i paesi europei, vinti e vincitori, seppur con intensità diversa, furono dunque investiti nel dopoguerra da una forte crisi economica e finanziaria. Francia e Italia erano schiacciate dal forte indebitamento, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna riuscì a controllare meglio la situazione ma perse gran parte del tradizionale ruolo di leader economico e finanziario internazionale. In particolare, in Italia i problemi del dopoguerra assunsero caratteri particolarmente critici perché andavano a innestarsi sugli squilibri già presenti nel tessuto economico e sociale. La situazione era gravata anche dalle difficoltà finanziarie che affliggevano le banche italiane, le quali durante il conflitto avevano effettuato consistenti prestiti a lungo termine ai colossi dell'industria e ora facevano fatica a recuperarli. La crisi ebbe il suo culmine nel 1921 quando vi fu il fallimento di alcuni grandi trust, l'accorpamento di grandi imprese dello stesso indirizzo produttivo in un complesso economico unitario, che provocarono il crollo di importanti istituti bancari. In Germania la disastrosa situazione economica postbellica era aggravata dalle esorbitanti richieste di risarcimenti di guerra avanzate dei paesi vincitori, ma la Germania non era in grado di tener fede ai pagamenti anche perché le difficoltà della ricostruzione erano accentuate dalla chiusura dei suoi mercati tradizionali, dalla perdita delle colonie e della privazione di risorse fondamentali, come il bacino minerario della Saar, ovvero una delle regioni tedesche più ricche. La richiesta della Germania era quella di dilazionare (ritardare) i pagamenti, ma tale richiesta fu rifiutata dalle potenze alleate che miravano a metterla in ginocchio definitivamente. Questa crisi economica e finanziaria post bellica ebbe alcune importanti conseguenze: « Per primo l'indebitamento verso gli Stati Uniti e la dipendenza dalle importazioni extraeuropee determinarono il crollo della centralità dell'Europa nel mondo e l'ascesa degli Stati Uniti a potenza mondiale; * Altra conseguenza fu che l'intervento dello Stato nella gestione delle dinamiche economiche si fece ancora più ampio; * Altra conseguenza ancora fu l'aumento del tasso di disoccupazione, che unitosi all'aumento del costo della vita andarono a determinare un profondo malessere sociale che sfociò in una serie di forti tensioni sociali. La disoccupazione, infatti, aumentò vertiginosamente in tutti i paesi che erano stati coinvolti nella guerra. Mentre in Germania e in Inghilterra dilagava sollecitando l'intervento protettivo dello Stato, in Italia riprese il fenomeno dell'emigrazione, questa volta le mete preferite furono paesi come per esempio la Francia. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, erano usciti dalla prima guerra mondiale in una posizione dominante e la loro industria e la loro finanza si erano affermate come le prime al mondo, infatti anche grazie ai prestiti concessi ai paesi europei per sostenere lo sforzo bellico il Nordamerica era divenuto il principale esportatore di prodotti e beni. Alla conclusione del conflitto, con la proposta è riassunta nei famosi “Quattordici punti”, il presidente democratico Wilson cercò di creare le condizioni per cui gli Usa potessero esercitare un'egemonia anche politica in ambito internazionale, ma il cosiddetto “Wilsonismo” non risultò vincente, poiché fu accolto con estrema diffidenza dall'opinione pubblica americana, che lo considerava troppo pericolosa in quanto comportava una piena adesione alla Società delle Nazioni. Si crearono così le premesse per un rovesciamento dell'indirizzo di governo, infatti le elezioni presidenziali del 1920 premiarono il candidato repubblicano Warren Harding. In politica estera il nuovo presidente si rifiutò di prendere parte ai lavori della Società delle Nazioni e di ratificare i trattati di Parigi, mentre in politica interna adottò misure protezionistiche, imponendo la rigorosa applicazione di altre tariffe doganali a difesa del prodotto nazionale, favorendo in questo modo le grandi imprese e le grandi concentrazioni industriali e finanziarie. La scelta dell'isolazionismo fu appoggiata da gran parte degli americani convinti che sarebbe stato agevole per gli Stati Uniti sviluppare ulteriormente le proprie capacità economiche. Questa politica isolazionista e protezionista dovette presto a fare i conti con la necessità del paese di garantirsi aperture sui mercati internazionali. | rischi infatti dall'interruzione degli scambi con l'Europa si erano già manifestate tra il 1920 al 1921, quando l'economia americana conobbe una crisi di sovrapproduzione, in seguito alla diminuzione delle esportazioni di guerra. Negli anni successivi, la situazione era migliorata, ma il mercato interno degli degli Usa si confermava insufficiente ad assorbire la massa di merci prodotte, perciò il ceto capitalistico statunitense, il quale era divenuto il più avanzato del mondo, cercò di dare risposta all'esigenza di ampliare il mercato. Di conseguenza gli Stati Uniti ripresero l'esportazione dei loro prodotti in direzione del vecchio continente, senza escludere i paesi dell'Europa centrale, i quali erano rimasti privi dei mezzi finanziari necessari per una rapida ricostruzione della loro economia. La ricostruzione economica era proprio il presupposto indispensabile affinché quei paesi potessero procedere al pagamento delle imposte a favore delle potenze vincitrici, allora volta alle prese con il problema dei debiti di guerra contratti con gli Stati Uniti. Si diffuse quindi la convinzione che un consistente aiuto finanziario fornito ai paesi vinti, in primo luogo la Germania, avrebbe innescato benefiche conseguenze. A partire dal 1924 divenne esecutivo il cosiddetto “piano Dawes”, ideato dal banchiere politico americano Charles Dawes. Il piano si basava sull'idea di far affluire capitali statunitensi verso la Germania al fine di permettere la ripresa dell'economia tedesca e quindi indirettamente anche di quella degli altri paesi vinti. Tale piano aveva anche l'obiettivo politico, poiché attraverso gli aiuti sarebbe stato più facile allontanare il pericolo di una rivoluzione di stampo bolscevico. Il piano Dawes ebbe successo, infatti il denaro americano rivitalizzò l'economia europea e permise ai paesi vinti di ripagare i paesi vincitori, i quali poterono finalmente estinguere i debiti contratti con gli Stati Uniti. L’intensificarsi degli scambi internazionali determinò un enorme giro di affari che in breve tempo contribuì a un notevole sviluppo economico, destinato a sfociare, tra il 1925 1926, in un vero e proprio boom, i cui maggiori vantaggi furono goduti proprio dagli Stati Uniti. 5.8 La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l’elevato costo della vita colpirono principalmente i ceti popolari. Il malessere sociale causò infatti forti tensioni con i fritti. Nelle fabbriche crebbero gli scontri tra operai e datori di lavoro, a partire dal 1919 gli scioperi subirono una forte impennata prima in Germania e Regno Unito e poi anche in Italia e Francia. Anche nelle campagne la situazione divenne sempre più esplosiva e ben presto le proteste dei cittadini presero forma di astensione dal lavoro e occupazione delle terre padronali. La crisi non risparmiò neppure i ceti medi. Il quattro sociale generale era aggravato dalla questione dei reduci, ovvero coloro che furono chiamati alle armi dall'inizio del conflitto e i quali dopo la guerra si ritrovarono a occupare ruoli inferiori a quelli ricoperti durante il conflitto o addirittura senza un’ occupazione. | sacrifici affrontati spingeva la maggior parte di loro a rivendicazioni economiche e sociali, spinti anche dall’amarezza di non aver visto realizzate quelle riforme che gli erano state promesse nel corso della guerra. Infatti molti soldati avevano combattuto con la speranza di ottenere come La crisi dei economica, divenne subito sociale. In pochi anni negli Stati Uniti circa il 22% della popolazione perse il lavoro. A soffrire della crisi, oltre al settore industriale, fu anche quello agricolo, numerosi contadini decisero di abbandonare le proprie terre, pagando di Stato in Stato alla ricerca di una qualsiasi occupazione. Inoltre il crollo delle azioni e il fallimento a catena di migliaia di banche distrussero i risparmi di quella che sembrava una forte classe media. Hai ruggenti anni Venti seguì un decennio di segno posto, gli anni Trenta che sarebbero stati ricordati come quelli della “grande depressione”. La catastrofe economica degli Stati Uniti si propagò in tutto il mondo, dando inizio a una crisi mondiale di estrema gravità. In Europa, infatti, il ritiro dei capitali statunitensi e l'arrivo sui mercati di prodotti avente ormai prezzi bassissimi provocarono la brusca frenata della produzione e il conseguente aumento della disoccupazione. Il crollo di Wall Street ebbe conseguenze anche in Germania, la cui economia era strettamente dipendente da quella statunitense. Anche la Gran Bretagna conobbe il meno di due anni una flessione della produzione del 30%. La crisi si fece sentire anche in Italia, dove sconvolse ogni settore dell'economia danneggiando particolarmente gli agricoltori. L'intera vita economica fini così per subire una forte contrazione produttiva, mentre il progressivo aumento della disoccupazione aggravò la già difficile condizione degli agricoltori. Ma alcuni industriali ebbero modo di sfuggire alle conseguenze della crisi e, favoriti anche dalla politica protezionistica del governo fascista, riuscirono a monopolizzare alcuni settori produttivi. A risollevare gli Stati Uniti dalla crisi contribuì il nuovo presidente democratico Franklin Delano Roosevelt, egli elaborò un piano chiamato “New Deal” (nuovo corso). Il nuovo presidente pur sostenendo la bontà del sistema capitalistico, era convinto dell'assoluta urgenza di porre precisi limiti alla crescita senza controlli e all'eccessiva libertà. In tal senso il "New Deal” ebbe una portata rivoluzionaria nella storia americana, in quanto rappresentò una decisa tendenza ad allontanarsi da un’"economia libera” per adottare un’"economia guidata”, basata su un energico intervento dello Stato. Il nuovo presidente partì dal principio che un’inflazione controllata avrebbe garantito più risultati di una politica deflattiva, ovvero una maggiore quantità di moneta in circolazione avrebbe finito per favorire l'incremento degli investimenti, mentre una difesa troppo rigida del valore della moneta avrebbe diminuito la disponibilità di contante e generato quindi effetti negativi sulle imprese. Basandosi su tali presupposti, il nuovo presidente americano operò innanzitutto a livello di politica monetaria, svalutando il dollaro, rialzando i prezzi, introducendo il controllo dello Stato sul sistema bancario. Ma operò anche a livello di politica sociale creando strumenti di tutela dei salari minori e dei contratti di lavoro e imponendo la presenza dei sindacati nelle aziende. Nello stesso tempo realizzò una vasta serie di grandi lavori pubblici e risollevò aziende in crisi con capitali statali riuscendo anche a combattere la disoccupazione. Inoltre nel 1933 varò un piano di aiuti all'agricoltura. Il tutto attraverso una rigida politica fiscale, particolarmente pesante nei riguardi dei ceti più abbienti. In questo modo il presidente riuscì a condurre con risultati positivi la propria battaglia in favore di un diretto intervento del potere pubblico negli affari privati, con la prospettiva di un capitalismo più democratico, riformatore e meno individualista. La “grande depressione” poteva considerarsi in buona parte superata, quando nel 1936 Roosevelt venne eletto per la seconda volta, sostenuto dall'economista inglese Keynes poter procedere al consolidamento della propria azione di governo. Alla fine degli anni Trenta però gli Stati Uniti non erano comunque ancora tornati a livelli precedenti il crollo di Wall Street. L'impulso decisivo e definitivo per la ripresa sarebbe giunto solo dalle commesse militari, allo scoppio della seconda guerra mondiale. INFLAZIONE L'inflazione è l'aumento continuo dei prezzi delle merci e dei servizi. Il fenomeno può essere determinato da tre cause principali: 1. I prezzi aumentano a causa dell'incremento dei costi di produzione. Ciò si verifica generalmente in seguito all'aumento del salario dei lavoratori oppure del costo delle materie prime utilizzate nella produzione che costringe le imprese ad alzare i prezzi per mantenere lo stesso livello di guadagno; 2. Può essere causata da un amento della domanda di beni da parte dei consumatori che risulta superiore all'effettiva capacità del sistema di produrli. In questo caso l'impresa approfitta dell'abbondanza di domanda per aumentare i prezzi; 3. Può derivare da un'eccessiva quantità di moneta messa in circolazione. ISOLAZIONISMO In generale il termine indica un orientamento di politica estera in base al quale un paese sceglie di non stipulare alleanze internazionali per evitare di essere coinvolto in conflitti scatenati da altri. Nello specifico, con isolazionismo si intende l'atteggiamento assunto dei governi americani nei confronti delle questioni europee. Le origini vengono fatte risalire al discorso d’addio che Giorgie Washington rivolse alla nazione, allo scadere del suo secondo mandato presidenziale, nel quale esortò gli americani ad approfittare della posizione di isolamento geografico per tenersi lontano da alleanze con Stati stranieri. In seguito anche la “Dottrina Monroe” enunciata nel 1823 ribadì che l'isolazionismo era rivolto agli affari europei. La linea dell'isolazionismo fu abbandonata per la prima volta nel 1917 e poi nel 1941.
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