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Riassunto Pragmatica Cognitiva - Bara, Sintesi del corso di Psicologia della Comunicazione

Riassunto del manuale "Pragmatica Cognitiva" di Bruno G. Bara

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 24/01/2020

LorenzaNasone
LorenzaNasone 🇮🇹

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Scarica Riassunto Pragmatica Cognitiva - Bara e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia della Comunicazione solo su Docsity! Pragmatica cognitiva – Bara Capitolo 1 – Non solo linguaggio: una tassonomia della comunicazione Pragmatica cognitiva  Studio degli stati mentali delle persone impegnate in una attività comunicativa. Da questa prospettiva, parlare di comunicazione significa considerare obiettivi, desideri, intenzioni, motivazioni, emozioni ecc.. individuali. Assunti sulla comunicazione: 1) Devono essere presenti almeno un attore ed un partner  un’attività potenzialmente comunicativa in assenza di partner resta privata. (es. persona che parla allo specchio) 2) Il significato globale dell’interazione viene concordato tra i partecipanti  deve esservi una rappresentazione mentale di ciò che sta accadendo condivisa dai partecipanti, il cosiddetto “gioco comportamentale” che rappresenta il senso che gli agenti stanno attribuendo alla sequenza d’interazione. 3) Gli agenti devono esplicitare la loro intenzione di partecipare all’interazione. La comunicazione come cambiamento dello stato del mondo N. Wiener (1948), inventore della cibernetica, sosteneva che ogni nuova informazione comunicata contrasta l’entropia crescente nel sistema mondo, diminuendo il disordine naturale. Effettivamente noi esseri umani ci accorgiamo che un messaggio ci è stato rivolto perché ha generato dei cambiamento nel mondo e ciò che non genera cambiamento non può diventare un messaggio. 1.1 Interazione sociale Possiamo parlare di interazione sociale facendo riferimento ad un contesto in cui due o più persone si trovano in una situazione di reciproco scambio, tale da permettere che l’una venga influenzata dall’altra. La situazione può essere di comunanza spaziale e temporale (es. conversazione faccia-faccia), solo spaziale (es. lettura di una lettera) o solo temporale (es. una telefonata). 1.1.1 L’estrazione di informazione Si tratta di una modalità d’interazione sociale estremamente antica, che abbiamo in comune con tutti gli esservi viventi. L’etologo Marc Hauser (1996) ha introdotto una distinzione fondamentale:  Indicatore (cue) E’ un attributo sempre attivo che l’individuo esibisce a costo zero e non può essere dismesso (fa parte del fenotipo). Gli altri individui potranno tratte informazioni da esso.  Segno (sign)  E’ un parametro separato dall’organismo stesso: è prodotto dall’individuo ma non ha finalità comunicativa. Nell’uomo il concetto di segno è ambiguo: ognuno di questi segni può essere prodotto con finalità comunicativa, a seconda del contesto.  Segnale (signal) E’ un atto comunicativo che l’individuo rivolge ad altri: può essere attivo o meno, comporta sempre un certo costo. Il processo di comunicazione che si crea attraverso i segnali può essere considerato come la forma più antica di estrazione di informazioni. Un altro caso di estrazione di informazioni è ben spiegato secondo la teoria matematica della comunicazione (Shannon & Weaver, 1949). Questa teoria si concentra principalmente sull’aspetto quantitativo dell’informazione: afferma infatti che un messaggio è tanto più informativo quanto più è inatteso dal ricevente. Il limite principale di questa teoria è che non può essere applicata alla comunicazione umana, in quanto è intrinsecamente qualitativa. Inoltre, come ben spiega lo psicologo sociale Mantovani (1995),questa teoria concepisce la comunicazione come un mero trasporto di messaggi lungo una conduttura, senza tener conto dei continui adattamenti reciproci tra interlocutori. Se non altro, questa teoria ha messo le basi all’antropologo G. Bateson (1972) per la sua teoria della comunicazione: egli sostiene che un buon modello di comunicazione debba applicarsi indistintamente ad ogni forma di interazione, sia tra viventi che non viventi. Per costruire una teoria valida, ha dovuto eliminare la parte specificamente umana della comunicazione: l’intenzione. Egli deforma il concetto di comunicazione ostensiva (ogni significato può essere chiarito con mezzi extralinguistici – esempio della pinza anatomica/chirurgica) rendendolo equivalente al concetto di comunicazione non intenzionale. Nell’ottica di Bateson, dunque, anche oggetti non viventi comunicano qualcosa in maniera non intenzionale, egli attribuisce intenzionalità ai sistemi non viventi. Watzlawick, Beavin, Jackson (1967), sostenitori dell’ipotesi batesoniana, hanno cercato di esprimere la sua idea in 5 assiomi. Nel primo assioma << Non si può non comunicare >> gli autori volevano includere anche il concetto di comunicazione ostensiva, in maniera errata! Solo in determinati contesti relazionali è possibile inferire significati dei comportamenti altrui, nella maggior parte dei casi, i soggetti estraggono delle informazioni errate perché non sono state comunicate direttamente. Una chiara controprova è data dal fatto che togliendo il vincolo di intenzionalità comunicativa, ogni attore sarebbe libero di interpretare come vuole ogni atto dell’altro! Comunicazione  entrambi gli interlocutori possiedono intenzionalità comunicativa Estrazione di informazioni  uno degli interlocutori non ha intenzionalità comunicativa. Siamo di fronte a ciò che Paul Grice (1975) chiama “significato naturale” : l’unica intenzionalità comunicativa è quella posseduta da colui che estrae le informazioni da oggetti che, invece, non vogliono comunicare niente (le nuvole nere indicano pioggia). Nel mondo umano, gli indicatori sfumano fino a diventare veri e propri segnali. In questo caso è opportuno parlare di estrazione/attribuzione di informazioni ma non di significati  per costruire significati bisogna essere in due! 1.1.2 La costruzione comune di significato La comunicazione è un’attività congiunta in cui attore e partner consapevolmente cooperano per costruire insieme il senso della loro interazione. L’efficacia di una interazione si misura su quanto è stato condiviso in più dopo l’interazione rispetto a quanto era condiviso prima dell’interazione. Grice (1989) sostiene che per affermare che A vuole dire qualcosa con un determinato comportamento, A deve avere l’intenzione di avere un determinato effetto in B, un effetto che deve avvenire anche grazia al riconoscimento di B dell’intenzione di A di dirgli qualcosa. Atto comunicativo  qualsiasi atto linguistico o extralinguistico che venga inteso come comunicativo dall’attore e sia riconosciuto come comunicativo dal partner. Gli aspetti linguistici ed extralinguistici si modulano reciprocamente nell’interazione per raggiungere un unico obiettivo. Entrambi sono completati e supportati dagli aspetti paralinguistici. Aspetti paralinguistici Aspetti della comunicazione che ne modificano il significato in maniera emozionale: sono attributi non autonomi ma utili a migliorare l’efficacia comunicativa. La più importante è la prosodia, che si esprime nel linguaggio parlato con intonazione, timbro, altezza e intensità della voce, nel linguaggio scritto con accenti, sottolineature, spaziature del discorso. Permanenza e impermanenza Con permanenza s’intende il fatto che l’atto comunicativo lasci tracce di sé nel mondo, l’impermanenza fa riferimento al fatto che un atto comunicativo si limiti al tempo necessario per l’emissione. Se consideriamo che gli atti comunicativi sono correlati a stati mentali degli attori, allora ogni atto comunicativo sarà permanente se modificherà gli stati mentali dell’interlocutore , oppure anche se uno dei due interlocutori conservi la memoria dell’accaduto. Permanenza e impermanenza stanno su un continuum in cui possiamo trovare diversi gradi di permanenza (da secondi, minuti, ore, giorni fino a secoli). Pertinenza Sperber & Wilson (1986, rivisitazione 1995) con la teoria della pertinenza cercano di unificare la comunicazione con la cognizione. Primo principio o principio cognitivo  le risorse attentive tendono ad essere allocate su stimoli pertinenti in quel momento specifico. (registrazione audio, lettera) o extralinguistica (interazione corporea emotivamente saliente come un abbraccio, un film muto). Tuttavia, le caratteristiche dell’input non determinano rigidamente l’attivazione di una o l’altra via di elaborazione. E’ opportuno considerare i due processi come sistemi funzionalmente isolabili (Shallice, 1988): possono funzionare indipendentemente l’uno dall’altro, però non sono ugualmente efficienti senza il supporto dell’altro sistema. Non è adeguata la definizione di modulo cognitivo (Fodor, 1983), in quanto presuppone che le due funzioni siano autonome ed indipendenti e non si influenzino a vicenda. Le due vie di elaborazione hanno origine filogenetica diversa e sono dissociabili funzionalmente (lesioni neurologiche), dunque godono di autonomia; tuttavia, ad un certo livello si integrano per costruire l’intenzione comunicativa dell’attore. Qualora vi sia discrepanza tra le informazioni proveniente da l’una e l’altra via, allora i processi centrali daranno più credito al sistema più affidabile in quel contesto, o privilegiandone uno in maniera sistematica. 1.5 Atti comunicativi All’origine dell’approccio pragmatico troviamo i maggiori esponenti della filosofia del linguaggio, in particolare Austin e Wittgenstein. Wittgenstein sosteneva che una frase su cui non si potesse stabilire un valore di verità (vero/falso) fosse automaticamente priva di significato da un punto di vista logico-filosofico. Questa posizione risulta eccessivamente rigida, dunque è stato proposto dallo stesso filosofo un approccio meno astratto e oggettivo, più quotidiano, soggettivo, legato a quello che le persone fanno quando parlano, introduce così il concetto di “gioco linguistico”. 1.5.1 Il dire è il fare Il concetto chiave alla base della pragmatica è quello di atto linguistico ( o performativo) : in situazioni ben precise, gli enunciati modificano lo stato del mondo, al pari delle azioni. Dunque, non ha senso analizzare il valore di verità di una frase per attribuirgli senso, ma la sua efficacia. Per avere successo devono essere verificate delle condizioni specifiche (Austin): A1  Deve esistere una procedura convenzionale accettata che abbia un effetto convenzionale, che deve includere l’atto di pronunciare determinate parole da parte di determinate persone in determinate circostanze. A2  La procedura specifica le circostanze e prescrive quale deve essere il comportamento delle persone. B1  La procedura deve essere seguita dai partecipanti sia correttamente che B2  completamente. Γ1  Le persone che partecipano alla procedura devono avere i pensieri ed i sentimenti richiesti e devono avere intenzione di comportarsi come prescritto dalla procedura; inoltre Γ2  devono comportarsi effettivamente in tal modo. Gli atti performativi possono essere “infelici” in due modi: attraverso il fallimento (l’atto non viene eseguito, è azzerato, violazione principi A e B) oppure attraverso l’abuso della procedura (l’atto viene eseguito ma è vuoto, privo di significato, violazione principi Γ). Considerare il linguaggio come un atto linguistico, significa allo stesso tempo attribuirgli tutte le leggi che governano le azioni vere e proprie. Sempre Austin scompone l’atto linguistico in 3 parti: I) Locutorio: corrisponde alla specifica emissione linguistica con uno specifico significato e riferimento; rappresenta quel che si dice. II) Illocutorio: corrisponde alle intenzioni comunicativi che ha il parlante nell’emettere il messaggio; rappresenta quel che si fa nel dire qualcosa. III) Perlocutorio: corrisponde agli effetti che il parlante si propone di raggiungere sulla mente dell’interlocutore; rappresenta quel che si vuole ottenere nel dire qualcosa. Esempio: Locutorio: “se ti muovi, sparo!” Illocutorio: minacciare l’interlocutore Perlocutorio: indurlo a restare immobile Ciascuna parte possiede diverse condizioni di buona riuscita ma il successo di una fase non implica necessariamente il successo delle altre. Inoltre, i primi due atti sono convenzionali, vengono agiti in uno spazio di conoscenza linguistica comune, mentre l’ultimo è privato, pertiene unicamente all’ascoltatore, avviene nella sua mente e il parlante non ha alcun modo diretto di capire se è stato felice o meno. 1.5.2 Tassonomia degli atti illocutori Searle (1979) distingue principalmente tra atti e verbi performativi (al contrario di Austin) e considera le condizioni di buona riuscita di un enunciato:  Assertivi: questi verbi hanno l’obiettivo di esprimere la credenza del parlante in una determinata proposizione; le parole devono adattarsi al mondo, adeguarsi allo stato di cose che intendono descrivere. Esempi: “affermare, giurare, insistere che …”  Direttivi: questi verbi hanno la funzione di costituire un tentativo da parte del parlante di indurre l’ascoltatore a fare qualcosa. Il mondo si deve adeguare a quanto espresso dalle parole. Esempi: “pregare, implorare, invitare, ordinare” ma anche “chiedere, domandare” in quanto sono tentativi di ottenere dall’interlocutore un atto linguistico.  Commissivi: la funzione di questi verbi è quella di impegnare il parlante ad assumere una certa condotta futura. Il mondo deve adattarsi alle parole. Esempi: “impegnarsi a, promettere”, molti verbi utilizzati al tempo futuro come “farò, dirò, scriverò”.  Espressivi: la funzione di questi verbi è di esprimere uno stato psicologico. In questo caso il parlante non cerca di adattare il mondo alle parole, né le parole al mondo; la verità dell’enunciato è spesso data per scontata. Esempi: “congratulazioni!, ringrazio, chiedo scusa, porgo le condoglianze, benvenuto!”.  Dichiarativi: in questa categoria rientrano quelli che Austin chiama atti performativi, la cui enunciazione permette di modificare lo stato delle cose. Esempi: “battezzo questa nave Titanic, la dichiaro dottore in Scienze del Corpo e della Mente, vi dichiaro marito e moglie”. Se la dichiarazione è eseguita adeguatamente, allora le parole e il mondo combaciano. 1.5.3 Massime di cooperazione Grice (1975) definisce le cosiddette implicature: cose che non vengono dette direttamente durante un atto linguistico ma che vengono implicate da ciò che è detto e sono intenzionalmente comunicate dal parlante all’ascoltatore. Principio di cooperazione: “Dai il tuo contributo alla conversazione così come è richiesto al momento opportuno, dagli scopi o dall’orientamento comune del discorso in cui sei impegnato.” Questo principio viene specificato in 4 massime: I) Massima di quantità: a. Dai un contributo informativo quanto è richiesto in relazione agli scopi del discorso. b. Non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto. II) Massima di qualità: cerca di dare un contributo vero. a. Non dire ciò che credi essere falso b. Non dire ciò per cui non hai prove adeguate. III) Massima di relazione: sii pertinente. IV) Massima di modo: sii perspicuo. Questa massima non si riferisce al contenuto di ciò che viene detto ma a come viene detto: a. Evita l’oscurità di espressione b. Evita l’ambiguità c. Sii breve d. Sii ordinato nell’esposizione Lo scopo di queste massima è fornire dei criteri a cui ispirarsi per fare le adeguate implicature. Ovviamente queste massime possono essere violate:  Errore E’ una violazione involontaria di una massima (manca, infatti, l’intenzione a comunicare qualcosa di fuorviante), può essere commessa da un logorroico (violazione massima di quantità), da un superficiale (violazione massima di qualità), da un prolisso (violazione massima di relazione), da un disordinato (violazione massima di modo). Gli errori possono essere colti dall’ascoltatore oppure no.  Inganno E’ una violazione volontaria di una massima ma non comunicativa, attraverso la quale il parlante tenta di ingannare l’ascoltatore per fargli fare inferenze scorrette. Il parlante ha l’intenzione di ingannare e di fare in modo che l’ascoltatore non se ne accorga. Violazioni della massima di qualità sono le menzogne: esistono diverse tipologie di bugie, come tacere una parte significativa della verità, senza mai asserire il falso. Violazioni della massima di relazione sono sviare il discorso senza che l’altro se ne accorga. Violazioni della massima di modo sono l’utilizzare un linguaggio eccessivamente tecnico volontariamente per evitare che l’ascoltatore comprenda. E’ possibile che l’ascoltatore si accorga dell’inganno, a questo punto può reagire in due modi: smascherare l’inganno o effettuare un controinganno.  Sfruttamento E’ una violazione volontaria di una massima comunicativa, in cui il parlante fa in modo che l’ascoltatore faccia una serie di inferenze basate sul fatto che si è accorto che il parlante sta violando delle massime di comunicazione. Nell’inganno (per essere realizzato) la violazione è nascosta, nello sfruttamento è ostentata. Le tautologie sfruttano la massima di quantità. L’ironia e le metafore sfruttano la massima di qualità. La massima di relazione può essere violata nel seguente modo: A: Avete deciso se dare il posto a me o a Ilaria? B: E’ stata una giornata lunga e faticosa. La massima di modo può essere violata nel seguente modo: A: Paolo intende davvero sposarla? B: Questo è quanto le dice. Accanto alle implicature, esiste un altro tipo di inferenza pragmatica, le presupposizioni (Stalnaker, 1973). Le presupposizioni sono inferenze all’indietro, stabiliscono le condizioni logiche che permettono all’enunciato di sussistere, mentre le implicature sono inferenze in avanti. In alternativa alle massime di Grice, Habermas (1976) propone le affermazioni di verità di un enunciato. Proferendo un atto linguistico, il parlante afferma che: I) Sta dicendo il vero (massima di qualità di Grice) II) Da un contributo comprensibile (massima di quantità, relazione e modo). III) Esprime la sua intenzione sinceramente. IV) Il suo enunciato è corretto e appropriato in relazione al contesto normativo. Habermas centra la sua analisi sul concetto di impegno: il parlante si impegna affinché l’ascoltatore si fidi di lui, ed è questo che determina il successo dell’atto illocutorio. 1.6 Principi di comunicazione Principi generali della comunicazione  vincoli cui devono sottostare sia la pragmatica linguistica che quella extralinguistica.  Cooperazione: Gli agenti durante un atto comunicativo cooperano al fine di costruire il significato della loro interazione (gioco comportamentale).  Attenzione comune: Il partner deve comprendere che le azioni eseguite dall’attore hanno l’obiettivo di stabilire un contatto con lui (condizioni di contatto o equivalenti).  Intenzionalità comunicativa: La comunicazione è intenzionale, l’attore desidera non solo che il partner recepisca il contenuto informativo dell’atto comunicativo, ma anche la sua intenzione a comunicare con lui.  Credenza individuale Gli agenti durante l’interazione hanno una certa credenza, oppure credono che l’altro abbia una certa credenza ma in modo del tutto autonomo e scollegato.  Credenza comune (o mutua) Gli agenti hanno una o più credenze in comune: gran parte delle interazioni di fondano su questo principio di base. Clark introduce il concetto di terreno comune (common ground) inteso come una somma di conoscenza, credenze e supposizioni che due persone hanno in comune e permette di identificare delle comunità culturali, ovvero insieme di soggetti che condividono un common ground (es. neurologi, socialisti, egiziani, meccanici ecc).  Credenza condivisa Gli agenti hanno una o più credenze in comune e ne sono entrambi consapevoli. Questo tipo di credenza è perlopiù soggettiva: non è possibile avere la piena certezza che l’interlocutore condivida con noi una certa credenza (potrebbe affermarlo senza condividerla in privato), possiamo solo assumere che sia così. Per avere la conoscenza certa (true knloweldge) (Hintikka) dovrebbe esistere un modo per osservare direttamente gli stati mentali altrui. La credenza condivisa viene sempre usata dal punto di vista di uno degli interlocutori. Al contrario, una credenza mutua è oggettiva: ogni interlocutore è certo della propria credenza. 2.2.3 Coscienza e conoscenza Nell’ambito delle scienze cognitive la consapevolezza di qualcosa si costruisce: il passaggio da inconscio a conscio di qualcosa implica una sua modifica significativa, una re-interpretazione, una trasformazione non si tratta semplicemente del passaggio da uno stato di buio ad uno di luce (Freud). Per affrontare il tema della coscienza è necessario sapere come si costruisce e gestisce la conoscenza umana: in maniera esplicita o tacita, entrambe le modalità possono essere consce o inconsce. Conoscenza esplicita Rappresenta ciò che una persona sa di sapere intorno a qualunque entità del mondo, è esprimibile linguisticamente. E’ trasparente, ovvero può essere attivata anche dalle altre parti del sistema. Se attivata intenzionalmente diventa consapevole. Il concetto di conoscenza dichiarativa è praticamente analogo: rappresenta ciò che è possibile dire intorno all’oggetto o allo stato di cose in questione. Conoscenza tacita Rappresenta la conoscenza posseduta dal sistema che gli permette di interfacciarsi in maniera efficace con il mondo, sono perlopiù insiemi di procedure. Una parte di questa conoscenza è trasparente, ovvero il sistema può accedervi in ogni momento; un’altra parte è opaca, ovvero costituita da procedure che scattano in automatico, senza controllo o attenzione, sono dunque inaccessibili alla coscienza. 2.3 Intenzionalità Il concetto di intenzionalità delle azioni assume due significati fondamentali:  Direzionalità  Quella che Searle chiama “aboutness” , che letteralmente significa “essere a proposito di”. Ogni azione è diretta verso qualcosa: un oggetto, una persona, un evento.  Deliberazione  Un’azione può comprendere un nucleo che è stato voluto, deciso, perseguito. Ogni azione ha conseguenze: alcune sono volute, desiderabili, altre no, ma sono comunque accettate come inevitabilmente legate all’obiettivo prefissato. In questo contesto è possibile distinguere due tipologie di intenzione, in base al momento in cui si attivano: 1) Intenzione stabile (prior intention)  E’ necessariamente deliberata e sottende il disegno dei piani d’azione per raggiungere un certo obiettivo; in questo caso: mangiare uno specifico piatto in un ristorante. 2) Intenzione in azione (intention in action)  E’ spesso automatica e non deliberata. Riguarda il raggiungimento di mete intermedie che porteranno al raggiungimento dell’obiettivo. In questo caso: prenotare un tavolo, vestirsi, uscire di casa, recarsi al ristorante, ordinare quel piatto ecc… Categorie di azioni I) Azione intenzionale direzionata, deliberata e conscia Azione completamente intenzionale: il soggetto vuole raggiungere un determinato obiettivo in maniera consapevole. Ad esempio un soggetto che desidera mangiare quel piatto in quel ristorante. Intenzione stabile Effetti desiderati II) Azione intenzionale direzionata, non deliberata e conscia Intenzione in azione Effetti accettati III) Azione non intenzionale e conscia Comportamenti stereotipati Comportamenti collegati a stati mentali coscienti ma non intenzionali come uno stato d’ansia diffuso o di depressione endogena. I soggetti percepiscono coscientemente il loro stato d’animo ma non riescono a identificare una ragione che possa motivarlo. IV) Azione intenzionale direzionata, deliberata e inconscia Caso impossibile Per definizione, è impossibile che un’intenzione inconscia generi un’azione deliberata. Secondo la tradizione psicoanalitica questo è possibile: l’Es è considerato come una struttura inconscia della psiche indipendente ed in lotta continua con le altre. Nell’ambito delle scienze cognitive non è possibile. V) Azione intenzionale direzionata, non deliberata e inconscia Mete inconsce realizzate in modo parassitico: rispetto alla generazione di un piano d’azione consapevole, interferisce in maniera opportunistica sfruttando le modifiche possibili affinché la meta venga raggiunta senza l’attuazione di un’azione specificamente ad essa dedicata. Se la meta inconscia è congruente con quella conscia allora sarà impossibile coglierla; se la meta inconscia è opposta a quella conscia allora nell’ostacolarla potrebbe facilmente rendersi riconoscibile. Atti mancati e disfunzioni comportamentali: azioni dissonanti rispetto ad un piano deliberato e consapevole motivate da desideri inconsci. L’unico modo di accorgersi di questi desideri è attraverso il comportamento, ovvero attraverso un effetto osservabile. VI) Azione non intenzionale e inconscia Stati neurali: attività di neuroni e sinapsi 2.3.1 Intenzione comunicativa Considerazione specificamente l’ambito dell’intenzionalità comunicativa si considerano non le azioni in generale ma le azioni comunicative: la peculiarità di queste azioni è che sono sempre svolte insieme a qualcuno. Intenzione comunicativa: l’attore vuole comunicare qualcosa al partner dell’interazione e vuole che il partner si accorga della sua intenzionalità comunicativa. Categorie di azioni comunicative I) Azione comunicativa intenzionale direzionata, deliberata e conscia Comunicazione vera e propria: deve possedere sia intenzionalità comunicativa che coscienza. Per avere intenzione comunicativa A deve anche avere intenzione che B riconosca la sua intenzionalità, questo non può accadere se A non è consapevole della propria intenzione, dunque l’intenzionalità comunicativa è necessariamente conscia. II) Azione comunicativa intenzionale direzionata, non deliberata e conscia Sequenza di parole o gesti: normalmente le persone sono consapevoli di quanto vogliono dire, però non della struttura della frase in anticipo, delle parole che userà; la genera al momento in maniera spontanea. Effetti intesi apertamente: Effetti primi e immediati dell’azione comunicativa tra due partner, che entrambi considerano ovvi, evidenti e certi. Effetti intesi non apertamente: Contenuti corrispondenti a stati mentali la cui intenzionalità comunicativa non è deliberata, ma che vengono espressi attraverso atti comunicativi intenzionali, deliberati e consci. Ad esempio A è arrabbiato con B e lo esprime attraverso il tono con cui risponde a B, anche se le parole sono innocue e da sole non lascerebbero intendere a B lo stato d’animo di A. III) Azione comunicativa intenzionale direzionata, deliberata e inconscia Caso impossibile: come detto prima un’azione comunicativa intenzionale è necessariamente conscia. IV) Azione comunicativa intenzionale direzionata, non deliberata e inconscia Lapsus: esistono due tipologie. Il primo tipo di lapsus è provocato da un’interferenza di una parte precedente o seguente del discorso sull’enunciato effettivamente emesso. Il secondo tipo è provocato a pulsioni esterne al discorso. Elementi paralinguistici: più correttamente andrebbero collocati a metà tra conscio e inconscio. La maggior parte del tempo i soggetti non sono consapevoli degli aspetti paralinguistici del proprio eloquio e di quello degli altri, tuttavia possono facilmente prestarci attenzione e divenire consapevoli. Quindi possono divenire deliberati e comunicativi. V) Azione comunicativa non intenzionale e inconscia Estrazione di informazioni: quando non c’è intenzione comunicativa, il soggetto attribuisce alle azioni e parole altrui un significato. E’ un processo perlopiù diagnostico, che può tuttavia portare ad estrarre informazioni errate (esempio del disturbo paranoide di personalità). 2.3.2 Piani d’azione Un piano d’azione è un insieme gerarchico di mete, associate ad azioni, eseguendo le quali le mete verranno raggiunte. Costruire un piano d’azione è spesso faticoso e richiede numerose risorse cognitive, per questo molto spesso i soggetti prediligono piani già pronti: questi piani hanno il vantaggio di essere spesso condivisi socialmente all’interno di una cultura e quindi di consentire subito la loro comprensione da parte di tutti. Bisogna inoltre distinguere tra piani individuali che coinvolgono solamente il pianificatore e piani interpersonali che invece coinvolgono anche uno o più partner. Un’alternativa non legata a schemi fissi e già pronti è quella di piano condiviso: processo collaborativo fra due persone dove ciascun agente crede mutualmente che: I) Farà la sua parte nell’azione congiunta II) Farà la sua parte se e solo se l’altro agente si comporterà allo stesso modo. Capitolo 3 – Giochi comportamentali e conversazionali L’idea che una interazione possa essere vista come una sorte di “gioco” è stata introdotta da L.Wittgenstein con la nozione di “gioco linguistico”. Questa nozione è utile per sottolineare innanzi tutto il fatto che il linguaggio sia un’attività e, inoltre, il fatto che possono essere eseguibili molteplici giochi attraverso il linguaggio. Wittgenstein ha inoltre spostato il focus dello studio del linguaggio dal linguaggio in sé, all’uso del linguaggio. E’ opportuno distinguere tra gioco comportamentale, inteso come regolatore dell’interazione, e gioco conversazionale, inteso come regolatore della struttura del dialogo. Gioco dialogico  attività cooperative di scambio di informazioni. Specificano quando e quali mosse è opportuno eseguire. L’importanza del gioco nella storia dell’uomo Innanzi tutto attraverso il gioco i piccoli di ogni specie (soprattutto i mammiferi sociali) imparano i rudimenti del comportamento adulto in un contesto piacevole e sicuro. Nel frattempo apprendono le regole vigenti nel gruppo, mettono alla prova le abilità per sopravvivere. Inoltre, il gioco non è solo finalizzato all’apprendimento sociale: nei mammiferi superiori è un’attività che si perpetua anche nell’età adulta a scopo ludico. 3.1 Giochi comportamentali Nella conversazione bisogna tenere bene a mente due aspetti:  La competenza comunicativa  caratteristica generale della mente umana  Gli schemi stereotipati di interazione  caratteristica specifica per ogni cultura, talvolta di un piccolo gruppo, addirittura di due sole persone. 3.2.1 Costituzione di un gioco Interazione libera e gioco comportamentale Alcuni giochi vengono trasmessi culturalmente, oppure vengono insegnati esplicitamente. Esistono giochi che vengono inventati direttamente dagli attori che decidono di non affidarsi ad alcun stereotipo pianificando sul momento le azioni da compiere. Qualora queste azioni si mostrino di successo, possono essere ricordate e riproposte, diventando la base per la strutturazione di un gioco comportamentale. La sfumata differenza tra interazione libera e gioco comportamentale definisce perché un gioco sia talvolta così difficile da comprendere per un osservatore esterno: l’obiettivo di ciascuna interazione è quello di ottenere un guadagno personale, il guadagno personale può essere di varia natura ed estremamente lontano da quello di un osservatore esterno. I giochi si formano lentamente e sono pressoché resistenti al cambiamento: è più semplice cambiare gioco piuttosto che modificarlo. In ogni caso, solo gli attori possono intervenire sul gioco, un osservatore rimane per definizione esterno. 3.2.2 L’evoluzione del gioco Come si sviluppa un gioco? Come i bambini apprendono la struttura caratteristica di un gioco? La prima occasione di interazione del bambino è quella con il caregiver (spesso la madre), è infatti nell’interazione madre-figlio che il bambino sviluppa la struttura emotivo-cognitiva che diventerà la modalità standard di interazione affettiva e sociale nella vita adulta. J. Bruner (1988) introduce il concetto di format come struttura stereotipa di comportamento che il bambino interiorizza nell’interazione materna. I format sono:  Idealizzati  le parole del gioco sono potenzialmente puri performativi.  Autosufficienti  non hanno significato funzionale al di fuori del gioco.  Convenzionali e non naturali  composti da elementi inventati, artificiali. I format hanno:  Struttura profonda  struttura fondande del gioco, deve essere immodificata e chiaramente riconosciuta dagli agenti perché ci sia piena partecipazione e divertimento nel gioco. Ad esempio, nel gioco del cucù la struttura profonda è costituita da due momenti topici: la scomparsa e ricomparsa di un oggetto.  Struttura di superficie  costituita da una serie di regole che governano lo svolgersi effettivo del gioco. Permette varianti: ad esempio, nel gioco del cucù è possibile cambiare oggetto, variare il tempo e le azioni di scomparsa/ricomparsa, variare gli enunciati ecc.  Turni definiti  ciascuno deve intervenire al momento giusto, facendo la cosa giusta, rispettando l’intervento dell’altro.  Ruoli intercambiabili  Attenzione condivisa su una sequenza di eventi  fornisce al bambino lo schema base della conversazione. Imparando a padroneggiare il format, il bambino impara gli schemi generali di interazione, sia con adulti che con coetanei. Il bambino può impegnarsi in questo tipo di compito solo in una relazione emotivamente stabile e di fiducia. Il legame affettivo tra bambino e madre è estremamente importante. Aspetti emotivi: gli stili di attaccamento Ainsworth e altri colleghi (1978) hanno strutturato una condizione standardizzata di osservazione empirica delle interazioni tra la figura di attaccamento ed il bambino chiamata strange situation. Nella strange situation il bambino si trova all’interno della stanza con la madre; quindi entra una figura estranea e si osserva come il bambino interagisce con la madre e con l’estranea. Svariate volte la madre esce dalla stanza, per massimo 3 minuti, per poi rientrare: si osserva come il bambino reagisce alla sua assenza e al suo ritorno. Pattern di attaccamento di Bowlby (1988): A) Attaccamento insicuro-evitante  il bambino non protesta al momento della separazione, è tranquillo e distaccato; quando la madre rientra nella stanza prosegue le sue attività, evitandola. La madre si mostra propensa a ignorare o rifiutare le richieste di vicinanza del figlio. Questo bambino tenderà a sviluppare un’organizzazione cognitiva di tipo depressivo. B) Attaccamento sicuro  il bambino protesta vivacemente al momento della separazione, si calma abbracciando la madre al suo rientro. La madre si mostra disponibile alla vicinanza e al conforto. Il bambino tenderà a sviluppare un’organizzazione cognitiva sana, non nevrotica. C) Attaccamento insicuro resistente-ambivalente  il bambino protesta vivacemente al momento della separazione, non si lascia calmare dalla madre quando torna, resistendo al conforto: continua a piangere o a reagire con urla e collera. La madre è imprevedibile: talvolta disponibile al conforto, talvolta no; in alternativa è intrusiva rispetto all’attività esplorativa del bambino, controllandola in maniera ansiosa. Il bambino tenderà a sviluppare un’organizzazione cognitiva di tipo ossessiva, mentre la madre tende verso un’organizzazione psicosomatica. D) Attaccamento disorganizzato-disorientato  Il bambino è incapace di mantenere un atteggiamento coerente nei confronti della madre; ad esempio si avvicina a lei con la testa voltata, mescolando la tendenza all’avvicinamento con quella all’evitamento. La madre si mostra disorganizzata, è soggetta ad alterazioni della coscienza ed immersa in vissuti irrisolti (spesso luttuosi e traumatici). Il bambino tenderà a sviluppare disturbi dissociativi, personalità multiple. I pattern di attaccamento vengono fissati dal bambino, diventando stabili nel tempo qualora il caregiver non modifichi il proprio atteggiamento. Inoltre, il bambino può instaurare uno stile di attaccamento diverso con la madre e con il padre, in questo caso la probabilità di sviluppare una certa organizzazione cognitiva si riduce. Lo stile di attaccamento rappresenta in chiave emotiva quello che il format è per la dimensione cognitiva. Come il format appreso dal bambino influenza il suo modo di interagire con gli altri nella sua vita adulta, lo stile di attaccamento rappresenta il modo in cui l’esperienza successiva verrà interpretata e strutturata. 3.3 Gioco conversazionale Gioco conversazionale: insieme di compiti che ciascun partecipante alla conversazione deve eseguire in una data sequenza. Ogni gioco conversazionale è costituito da fasi specifiche, che a loro volta sono definite da compiti specifici che gli agenti devono eseguire. Il compito associato ad una fase deve essere eseguito seguendo delle regole di base. In generale, il gioco è governato da meta-regole che definiscono quale compito debba essere eseguito in quella fase e qual è il compito successivo da eseguire. Definiscono quali compiti derivare sia in caso venga eseguito un certo compito, sia in caso contrario (Se F1 allora F2). Il gioco conversazionale governa il dialogo: sequenza di atti linguistici. Ogni dialogo comprende:  Struttura globale  determina il flusso della conversazione, organizza il concatenarsi delle fasi del dialogo. Sequenza: blocco di scambi legati da una forte coerenza semantica e pragmatica (Galimberti, 1992).  Struttura locale  determina l’alternanza dei turni, la relazione tra atti linguistici all’interno dello stesso turno. Gestisce la relazione tra turni consecutivi, tra cui spiccano le coppie adiacenti: sequenze stereotipate di interazione tipo saluto/saluto, domanda/risposta ecc… Secondo la pragmatica cognitiva:  Il gioco comportamentale, ovvero la mutua conoscenza di un piano d’azione, determina la struttura globale del dialogo.  Il gioco conversazionale si occupa della struttura locale del dialogo. Anche il gioco conversazionale ha dei precursori infantili: nel format il bambino apprende l’alternanza dei turni, impara a fare la mossa giusta quando è il suo turno ed a rispettare il turno dell’altro. Impara, inoltre, a condividere l’attenzione su una sequenza di eventi. Capitolo 4 – Generazione e comprensione di atti comunicativi Schema generale dell’atto comunicativo tra un attore A ed un partner B: Fase I. Riconoscimento dell’atto espressivo: lo stato mentale di A viene riconosciuto da B a partire dall’atto illocutorio letterale. Fase II. Significato inteso dal parlante: B ricostruisce l’intenzione comunicativa di A. Fase III. Effetto comunicativo: costituito da due processi distinti: a) Attribuzione : B attribuisce ad A stati mentali come credenze e intenzioni. b) Aggiustamento : B modifica il proprio stato mentale privato sulla base dell’enunciato di A. Fase IV. Reazione: B produce le intenzioni che comunicherà nella risposta ad A. Fase V. Risposta: B realizza concretamente le proprie intenzioni. Queste cinque fasi sono regolate e guidate dal gioco conversazionale: ovvero un insieme di meta-regole che stabiliscono quale compito deve portare a termina ciascuna fase per passare alla successiva. Qualora il compito non venisse portato a termine il processo va direttamente alla fase di reazione. Le fasi 1 e 2 sono regolate da un numero limitato di regole specifiche: questo perché implicano processi che devono essere condivisi da entrambi gli interlocutori, per cui A deve essere in grado di prevedere come B ricostruirà il significato del suo enunciato. La fase 3, al contrario, coinvolge un processo di elaborazione privato ed intimo di B, è impossibile individuare un insieme esaustivo di regole. 4.1 Riconoscimento dell’atto espressivo Ciascun enunciato di A può essere usato a fini espressivi o non espressivi: un atto comunicativo che non viene usato a fini espressivi è un atto illocutorio letterale.  Atto illocutorio letterale  si riferisce alle convenzioni semantiche e sintattiche del linguaggio. E’ non comunicativo: non veicola alcuno stato mentale di A. Non è necessariamente linguistico (ad esempio “Fare ciao”).  Atto espressivo  si riferisce alle convenzioni che regolano la forza illocutoria dell’atto (come deve essere inteso l’enunciato, che tipo di atto illocutorio sta compiendo A nel pronunciare l’enunciato). Da esso B può derivare gli stati mentali di A. Meta-regola: il compito di questa fase è quello di riconoscere l’atto espressivo di A, ovvero l’enunciato di gioco. A questo punto B può attivare i processi per comprendere il significato inteso dal parlante. Alla base di questo compito vi è il presupposto che B riconosca che l’atto espressivo riconosciuto è condiviso con A: entrambi gli interlocutori hanno la consapevolezza di aver iniziato una relazione comunicativa. Enunciato di gioco: enunciato la cui illocuzione è definita grazie all’appartenenza ad un gioco comportamentale (ad esempio “Buongiorno, mi spiace, piacere di conoscerla”). L’attore deve prestare attenzione nell’utilizzare enunciati di gioco standardizzati qualora voglia essere preso sul serio (si pensi alla differenza tra il dire “Mi spiace” e “Sono terribilmente dispiaciuto per te”). 4.2 Significato inteso dal parlante Meta-regola: il compito di questa fase è quello di ricostruire il significato inteso dal parlante a partire dal significato letterale ricavato nella fase precedente. Il processo attraverso cui avviene questa fase consiste in quattro passaggi: I. Tutte le inferenze sono effettuate all’interno dello spazio condiviso tra A e B. II. Il punto di partenza è il significato letterale: solitamente un atto espressivo,ad eccezione per gli enunciati di gioco. III. Il risultato è la comprensione del contenuto comunicativo dell’enunciato di A. IV. Per una piena comprensione dell’enunciato di A è necessario identificare il gioco comportamentale cui implicitamente o esplicitamente A si riferisce. In questo contesto si apre un problema cruciale: con un enunciato A potrebbe voler comunicare un numero infinito di cose. Come si delimita l’insieme delle intenzioni comunicative? Esistono due posizioni estreme a riguardo:  Posizione minimale  assume che l’unica intenzione comunicativa sia quella letterale espressa dall’enunciato di A. Questo tipo di posizione non permette di distinguere le inferenze basate su conoscenze private e conoscenze generali condivise dai due interlocutori. (gentilezza, autorità, sfida, ricatto, promessa). Più questo modello è accurato, più l’effetto comunicativo avrà successo. Fasi dell’effetto comunicativo: 1) Processo di attribuzione  Il partner attribuisce all’attore specifici stati mentali sulla base del significato del suoi enunciati. 2) Processo di aggiustamento  In seguito all’attribuzione, anche gli stati mentali del partner si modificano di conseguenza. Meta-regola: il compito di questa fase è quello di stabilire se 1) il partner intende giocare il gioco comportamentale proposto dall’attore 2) il partner intende eseguire le azioni richieste dall’attore e, infine, 3) il partner condivide le credenze proposte dall’attore. 1) Intenzione comunicativa di analizzare un gioco comportamentale Affinché questa regola si applichi, il partner deve possedere le seguenti credenze private: a) Che l’attore intenda veramente giocare il gioco b) Che il gioco sia giocabile c) Che sia l’attore sia il partner possano giocare i rispettivi ruoli nel gioco. Le ultime due condizioni riguardano credenze intorno allo stato del mondo, mentre la prima condizione riguarda uno stato mentale attribuito all’attore. 2) Intenzione comunicativa che il partner esegua un’azione In questo caso il partner non ha né una motivazione personale né un’intenzione derivata da un piano privato di eseguire l’azione: l’unico motivo per cui decide di eseguirla è per partecipare ad un gioco comportamentale con l’attore (di cortesia). 3) Intenzione comunicativa che il partner condivida una credenza Il partner può possedere già questa credenza privatamente per altri motivi, oppure deve decidere se aderirvi o meno sul momento. Il partner può condividere una credenza con l’attore in base a due fattori:  Affidabilità della fonte  a sua volta determinata dalla sincerità dell’attore (il partner deve attribuire all’attore la credenza che l’attore vuole condividere con lui, in poche parole, anche l’attore deve credere a quello che dice per essere sincero) e dall’attendibilità dell’attore.  Evidenze a favore 4.3.1 Concetti di base dell’effetto comunicativo Nel modello di pragmatica cognitiva (Airenti, Bara e Colombetti) sono sei i concetti di base dell’effetto comunicativo:  Quattro sono relativi al processo di attribuzione di uno stato mentale all’attore da parte del partner: o Tre relativi all’attribuzione di un’intenzione  correttezza, motivazione, possesso di un piano. o Uno relativo all’attribuzione di una credenza  sincerità  Due sono relativi al processo di aggiustamento  capacità e attendibilità La capacità, motivazione e possesso di un piano sono caratteristiche che inducono il partner a valutare la proposta di gioco dell’attore ma non sono sufficienti per motivarlo a giocare. Al contrario correttezza, sincerità e attendibilità sono sufficienti. 4.3.2 Giochi e mosse Non esiste un gioco G oggettivo e conosciuto da tutti i partecipanti, ma piuttosto una visione soggettiva che ciascuno ha di G. I casi possibili sono due: a) Il partner riconosce l’azione proposta dall’attore come una mossa astratta di un specifico gioco comportamentale. b) Il partner non riconosce l’azione, si convince che il gioco proposto dall’attore sia un altro. A questo punto gli scenari possibili sono i seguenti: a. Questo fraintendimento può non venire mai alla luce se il gioco proposto dall’attore e quello compreso dal partner sono compatibili a livello comportamentale (condividono determinate mosse). b. Il fraintendimento tenderà ad emergere e causare il fallimento della comunicazione. c. L’ambiguità viene condivisa da entrambi gli interlocutori e ammorbidisce l’interazione. d. Solo uno dei due agenti è consapevole dell’ambiguità: l’agente consapevole può decidere di chiarire le cose oppure no (siamo ai limiti dell’inganno). Anche quando l’apertura del gioco è compresa correttamente, il legame tra mosse e giochi resta complesso: nei casi più semplici il partner accetta il gioco e la mossa o rifiuta entrambi, nei casi più complessi accetta una e rifiuta l’altra. 4.4 Reazione Meta-regola: Il compito di questa fase è quello di effettuare una comunicazione di ritorno all’attore in cui il partner lo informi sulla sua intenzione di aderire o meno a 1) l’apertura comportamentale dell’attore 2) la richiesta dell’attore di eseguire un’azione 3) l’intenzione comunicativa dell’attore di condividere un fatto con il partner. Le intenzioni comunicative prodotte dal partner in questa fase risultano dall’integrazione tra:  Effetto comunicativo: output del processo di aggiustamento  Giochi comportamentali che il partner desidera giocare con il partner Tipologie di intenzioni comunicative espresse dal partner:  Linguistiche  il partner comunica la sua intenzione riguardo alla richiesta dell’attore (positiva/negativa)  Non linguistiche  il partner esegue oppure no le richieste dell’attore (positiva/negativa) Il gioco conversazionale non impone solo l’accettare/rifiutare ciò che è stato proposto dall’attore:  Il partner può avviare un sotto-dialogo di chiarificazione qualora non capisca il gioco comportamentale che l’attore gli sta proponendo.  Il partner può avviare una contrattazione per trasformare l’intenzione dell’attore in qualcosa più vicino ai propri stati mentali.  Caso delle scuse: il partner comunica all’attore che una delle condizioni necessarie per aderire alla sua richiesta non è valida. La scusa deve essere compatibile con le convenzioni sociali ed il gioco comportamentale in atto; inoltre, talvolta, deve essere giustificata. Infine: cosa ci permette di considerare uno scambio di parole come un vero dialogo? L’intenzione comunicativa. Rompere l’intenzionalità comunicativa è l’unico modo per uscire da ogni forma di dialogo. 4.5 Risposta Viene innescata dalle intenzioni comunicative generate nella fase di reazione. E’ costituita da due processi:  Pianificazione dell’espressione degli stati mentali in funzione delle intenzioni comunicative.  Realizzazione dell’espressione degli stati mentali attraverso comportamenti linguistici ed extralinguistici. Esistono risposte più o meno preferenziali: questa accezione fa riferimento al grado in cui una risposta è socialmente accettabile. In generale risposte affermative/di consenso sono preferenziali, mentre risposte negative/di dissenso sono meno preferenziali. Esistono diverse tecniche per introdurre una risposta meno preferenziale ed attutirne l’impatto:  Ritardo  la risposta viene dilatata nel tempo con pause, pre-sequenze introduttive, sequenze alternative…  Indicazione di risposta meno preferenziale  La risposta viene introdotta marcata come meno preferenziale (ad esempio “Speravo di non dovertelo dire, ma…” ).  Atti linguistici indiretti o equivalenti  solitamente la risposta è effettuata con atti linguistici indiretti o comunque ammorbidita.  Giustificazione  la risposta è accompagnata da spiegazioni, motivazioni, scuse. 4.6 Motivazione Possiamo considerare la motivazione come un generatore di intenzioni: è una struttura a soglia, non è necessario che tutte le precondizioni siano presenti, è necessario che quelle presenti abbiano un’intensità tale da raggiungere la soglia di attivazione. La configurazione delle precondizioni presenti e la loro intensità determina l’urgenza dell’intenzione generata. Nell’ambito della comunicazione, la motivazione riguarda l’intenzione di partecipare o meno ad un gioco. Innanzitutto durante un’interazione, ad esempio tra due agenti A e B, almeno uno dei due, ad esempio A, deve avere una motivazione autonoma che generi l’intenzione di iniziare un gioco con l’altro. A questo punto B sarà motivato se il gioco proposto è valido, accettabile nella relazione, è in grado di giocarlo, desidera giocarlo. In questo caso, l’intenzione generata in B è relativa sia al gioco G, sia all’attore A: ci sono casi in cui B è interessato solo al gioco ed è quindi secondaria la partecipazione di quel partner, ci sono casi di giochi che è interessante giocare solo con un determinato partner. Capitolo 5 – Comunicazione non standard Nella comunicazione standard è il gioco conversazionale a regolare l’interazione, operando ad un meta- livello, usando le meta-regole, controlla il susseguirsi delle cinque fasi della comunicazione. Il meta-livello stabilisce l’obiettivo che ogni fase deve raggiungere per poter passare alla successiva. Quando una fase non porta a termine i suoi compiti, il meta-livello blocca le regole per default specifiche di quella fase, attivando un diverso processo inferenziale che non utilizza quelle regole automatiche. Comunicazione non standard: processo comunicativo che ricorre ad inferenze di tipo classico, non potendo applicare le regole per default in quanto inadeguate al contesto. Possiamo distinguere quattro casi di comunicazione non standard:  Interazione non espressiva : uso di un enunciato senza che ci sia l’intenzione di esprimere lo stato mentale associato. Ricade nella prima fase della comunicazione: comprensione dell’atto linguistico.  Sfruttamento: uso particolare di una regola della comunicazione per ottenere un effetto comunicativo diverso da quello normalmente associato a quella regola. Ricade nella seconda fase: comprensione del significato inteso dal parlante.  Fallimento: mancato raggiungimento dell’effetto comunicativo desiderato.  Inganno : tentativo di comunicare uno stato mentale non posseduto. Ricade nella terza fase: effetto comunicativo. Non può ricadere nelle prime fasi di comprensione dato che riguarda la relazione fra quel che l’attore comunica ed i suoi stati mentali privati. Ci sono due ragioni principali per cui avviene il distacco dalla catena inferenziale standard:  Il distacco è effettivamente voluto dall’attore (distacco intenzionale), come nel caso dello sfruttamento o dell’interazione non espressiva.  Il distacco accade nella mente del partner senza che l’attore lo abbia inteso. E’ opportuno generalizzare la distinzione tra atti indiretti semplici e complessi agli atti comunicativi: Atto comunicativo semplice  il passaggio da un enunciato a gioco comportamentale di cui l’enunciato costituisce una mossa è immediato e richiede un unico passaggio. Atto comunicativo complesso  il passaggio da un enunciato a gioco comportamentale di cui l’enunciato costituisce una mossa richiede una catena inferenziale di lunghezza variabile, dunque non è immediato. 5.1 Interazione non espressiva Per verificarsi è necessario che il partner nell’interazione sia convinto di trovarsi in un contesto di comunicazione non standard: ad esempio nel caso in cui l’attore stia leggendo ad alta voce un libro, oppure stia riportando alla lettera le parole di un terzo. Riguardano la trasmissione di un messaggio o l’attribuzione del significato espressivo di un enunciato. a. Incomprensione dell’atto espressivo B non capisce cosa A dica: i. Gioco conversazionale inattivo Mancano le condizioni di contatto e quindi il messaggio trasmesso da A non arriva neppure a B (insuccesso opaco). ii. Gioco conversazionale inattivo B si accorge dell’atto comunicativo di A ma non riesce a capire quale sia il messaggio (insuccesso trasparente). b. Fraintendimento dell’atto espressivo B comprende l’atto linguistico in modo diverso da come lo intendeva A. B non è mai consapevole dell’errore, è sempre convinto di aver perfettamente compreso l’atto espressivo di A (insuccesso opaco). i. Errata applicazione di una regola per default Un enunciato che A intendeva non espressivo viene compreso da B come espressivo. ii. Errato blocco di una regola per default Un enunciato che A intendeva espressivo viene compreso da B come non espressivo. iii. Differente utilizzazione di conoscenza B confonde un enunciato con un altro. II) Fallimenti di significato Errata comprensione delle intenzioni comunicative dell’attore. a. Incomprensione del significato del parlante B comprende la lettera dell’enunciato di A, tuttavia non riesce a comprendere cosa A vuole comunicargli. b. Fraintendimento del significato del parlante B identifica intenzioni comunicative diverse da quelle che A desiderava trasmettergli. i. Errata applicazione di una regola per default B non coglie uno sfruttamento (ad esempio, l’ironia) che A intendeva comunicare: B applica una regola per default che secondo A andava bloccata. ii. Errato blocco di una regola per default B non applica una regola base, in risposta ad A che sta sfruttando una regola base per comunicargli qualcosa. iii. Differente utilizzazione di conoscenza B non applica le conoscenze che A intendeva utilizzasse. III) Fallimenti nell’effetto comunicativo A non riesce a convincere B di qualcosa, oppure a indurlo a eseguire un’azione: un’apertura comportamentale è stata capita, ma non accettata. B è sempre consapevole dell’insuccesso, dato che dipende da una sua decisione (insuccesso trasparente) a. Errata applicazione di una regola per default Discrepanza tra le intenzioni private e le intenzioni comunicative di A: B assume erroneamente che le intenzioni comunicate da A siano da lui possedute, mentre in effetti non lo sono. b. Errato blocco di una regola per default B non accetta di fare la sua parte nel gioco proposto dall’attore, anche se potrebbe benissimo farlo. Il termine “errato” in questo caso è fuorviante perché il blocco della regola non è dovuto a errore: per correttezza andrebbe sostituito con “non desiderato dall’attore”. c. Differente utilizzazione di conoscenza Il partner utilizza conoscenze diverse rispetto a quelle che l’attore intendeva utilizzasse; quindi decide di non impegnarsi nel gioco proposto. i. Gioco non ammesso dalla relazione tra gli attori B considera il gioco proposto da A come non permesso dalla reciproca relazione. ii. Condizioni di validità del gioco non sussistenti B, a differenza di A, non crede che sussistano le condizioni di validità del gioco proposto. iii. Assunto di incapacità del partner a svolgere il proprio ruolo B non crede di essere in grado di eseguire le azioni previste dal gioco. iv. Attribuzione all’attore di incapacità a svolgere il proprio ruolo B non crede che A sia in grado di eseguire le azioni previste dal gioco. v. Attribuzione di non-attendibilità all’attore B crede che A non sia adeguatamente informato sullo stato di cose in discussione. vi. Assunto di scorrettezza dell’attore B crede che A stia cercando di ingannarlo. vii. Assunto di insincerità dell’attore B crede che A gli stia mentendo. 5.3.1 Recupero del fallimento Tutti i tipi di fallimento possono essere scoperti e rimediati durante lo svolgersi dell’interazione: fortunatamente il dialogo ha una struttura tanto elastica da permettere il recupero di ogni insuccesso. Le modalità di recupero nei casi di fallimento letterale e di significato sono due: ripetizione e parafrasi. Con la ripetizione il principale accorgimento è quello di migliorare le modalità di emissione del messaggio. Con la parafrasi è importante riformulare il concetto in maniera più semplice, chiara, in modo che il partner possa facilmente comprenderlo. Sono più interessanti i recuperi dei fallimenti nell’effetto comunicativo, perché si entra nell’area di contrattazione fra gli attori. 5.4 Inganno L’inganno presuppone la capacità di raffigurarsi mentalmente il comportamento di un altro individuo, sulla base di una rappresentazione dei suoi stati mentali. Whiten e Byrne (1988) hanno proposto una tassonomia degli inganni osservati nei primati che vengono definiti come “inganni tattici” : atti del normale repertorio comportamentale di un agente A, utilizzati in modo tale che un individuo B possa facilmente interpretare in modo erroneo il loro significato, a vantaggio di A. I) Nascondere qualcosa; II) Distrarre l’attenzione di B da un luogo a un altro; III) Creare una falsa immagine di A, in modo che B interpreti in modo errato qualcosa di A; IV) A manipola il comportamento di B comportandosi in un certo modo con un terzo individuo C, a proprio vantaggio; V) A re-indirizza il comportamento di B (solitamente aggressivo) verso un altro individuo C, invece che su A. Questi sono comunque inganni entro certi limiti: gli animali non hanno le capacità mentali indispensabili per raffigurarsi le credenze condivise o le intenzioni comunicative, e non sono in grado di realizzare un comportamento comunicativo in senso stretto. Per la pragmatica cognitiva l’inganno è una consapevole violazione di un gioco comportamentale condiviso. A, sapendo che dovrebbe agire in un certo modo per rispettare le mosse del gioco comportamentale con B, effettua un comportamento comunicativo che B considera come mossa del gioco, mentre A sa di star violando il gioco stesso. Schematizzando: A esprime un enunciato p, a cui privatamente non crede, con l’intenzione comunicativa che B lo dia per condiviso tra loro. Se l’inganno avrà successo, B sarà convinto che p e sarà convinto che anche A creda a p; inoltre, A si vincola a comportarsi nell’interazione in modo coerente con tale credenza condivisa. Chiaramente, dal punto di vista delle risorse cognitive è un processo dispendioso: A deve mantenere nell’interazione sia la credenza condivisa che p, sia la credenza priva che non-p. Mentre nei giochi conversazionali la corrispondenza tra stati mentali privati ed espressi è irrilevante, le cose cambiano nei giochi comportamentali, che si possono distinguere in tre categorie:  Giochi regolari  Gli agenti si impegnano reciprocamente alla sincerità e alla correttezza. Sono i giochi più frequenti, dato che sono gli unici a garantire una effettiva cooperazione comportamentale. Qualsiasi atto non sincero e scorretto rompe il gioco e viene considerato un inganno.  Giochi irregolari  Gli agenti non sono impegnati reciprocamente alla sincerità e alla correttezza. Un’azione non sincera o scorretta è ammessa, senza rottura del gioco e senza che sia considerata un inganno. Vi sono però dei limiti: gli agenti devono segnalare quando entrano in un gioco irregolare (dove sospendono la cooperazione) e quando vi rientrano. In generale, la relazione impone che gli agenti siano sinceri e corretti, tranne quando sono entrambi consapevoli che tale assunto è sospeso.  Giochi di facciata  La concordanza tra stati mentali espressi e privati è irrilevante per mutuo consenso: non esiste l’inganno in questo caso, i problemi emergono quando uno dei due interlocutori ritiene regolare un gioco che l’altro ritiene di facciata. Questi casi ricoprono le situazioni come-se, in cui sincerità e correttezza sono irrilevanti. Bara, Bosco e Bucciarelli (1999) fanno notare che non tutti gli inganni sono strutturati allo stesso livello di complessità. Ad esempio, Perner (1991) descrive le bugie primitive: si trovano già intorno al primo anno di età, hanno lo scopo di evitare di situazioni spiacevoli ma non hanno l’intento di manipolare le credenze altrui. Mitchell (1986) sostiene che solo gli atti basati sulla comprensione delle credenze altrui e sul raggiungimento di un fine predeterminato costituiscono un inganno vero e proprio. Dunque, è possibile distinguere tra:  Inganno semplice  Emissione di un enunciato p che risulta in contrapposizione con qualcosa, che permetterebbe al partner di risalire immediatamente al gioco che l’attore desidera nascondergli. In questa categoria rientrano le bugie.  Inganno complesso  Proferire un enunciato p che implica una credenza che guida il partner verso una mossa o un gioco diversi da quelli a cui arriverebbe se avesse accesso alla credenza privata dell’attore. Questi due atti comunicativi non sono concettualmente distinti: si posizionano su un continuum in cui la bugia rappresenta il livello più semplice. Lungo il continuum troviamo gli inganni sempre più complessi, che si configurano in base alla pianificazione richiesta (maggiore è la pianificazione, più complesso è l’inganno). Se l’inganno viene scoperto dal partner, egli può decidere di denunciarlo oppure far finta di non esserne consapevole, pianificando a sua volta un contro-inganno. Capitolo 6 - Competenza comunicativa Due livelli di riflessione: 1) Evoluzione della comunicazione dagli animali all’uomo (6.1) con rispettive evidenze scientifiche (Darwin). 2) Competenza comunicativa: come emerge nel bambino (6.2) e come decade, sia dal punto di vista fisiologico come nel caso dell’invecchiamento, sia dal punto di vista patologico come nei traumi cranici, sia dal punto di vista degenerativo, come nell’Alzheimer (6.3). Chomsky (Scienza cognitiva,1957) distingue tra: Competenza  Insieme di capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come queste capacità sono utilizzate. Prestazione  Capacità effettivamente dimostrate da un sistema, desumibili da un comportamento in una specifica situazione. Il fatto che un soggetto riesce a fare una certa cosa è indicativo che quella capacità rientra nella sua competenza. Un soggetto che non è mai stato osservato a svolgere una certa azione può mettere in dubbio l’osservatore: può essere in grado di farlo ma non essersi mai trovato nella condizione di attivare tale capacità, in questo caso c’è la competenza in mancanza di prestazione. Il discorso si complica introducendo il concetto di maturazione delle competenze. Ci sono competenze che maturano con lo sviluppo, ad esempio, un bambino sano di un anno non è in grado di correre ma certamente possiede la competenza a correre e sarà possibile osservarla dopo qualche mese. La maturazione di una competenza va in parallelo con lo sviluppo di strutture neurali e cognitive specifiche che rendono realizzabile tale competenza. Quindi, è stato fondamentale il passaggio dai logogrammi ai fonogrammi, che avviene sempre in Mesopotamia intorno al 2500 ac. Il meccanismo sfruttato dai fonogrammi è quello dei rebus a trasferimento: per esprimere un concetto, si raffigura un segno che dal punto di vista fonologico ricorda il concetto principale. L’ultimo passaggio è stato l’invenzione dell’alfabeto, operata dai Fenici nel 1700 ac. La possibilità di un sistema simbolico composizionale facilita enormemente la transizione culturale: la cultura comunque va insegnata ed appresa. Infatti, il bambino fino ai 7-8 anni non è capace a sopravvivere autonomamente, è necessario che l’adulto gli insegni e mostra una plasticità neurale che rende più semplice ed efficace questo apprendimento. Questa attitudine nell’adulto ad insegnare e nel bambino ad apprendere non è ugualmente manifestata nei primati. 6.1.2 Il rapporto encefalico micro/macro Facendo un’analisi più superficiale è possibile notare come animali più grandi possiedano un cervello più grande: questo non li rende più intelligenti, semplicemente devono controllare un corpo notoriamente più grande. Il biologo Jerison (1973) propone il quoziente di encefalizzazione (EQ) che si basa sulla relazione tra il cervello ed il corpo, e rappresenta la misura di quanto l’effettiva dimensione cerebrale di una specie supera quella che sarebbe prevedibile per animali di quella taglia. Ad esempio scimmie, delfini e pappagalli hanno cervelli più grossi rispetto a quanto ci si aspetta da animali della loro taglia. Jerison, sostenuto successivamente da Passingham (1982) sostiene che i primati hanno raggiunto una massa cerebrale critica per sostenere le loro capacità cognitive, un ulteriore accrescimento ha portato allo sviluppo del linguaggio. L’antropologo Deacon (1997) ha criticato la visione di Jerison e Passingham sostenendo che le loro misurazioni non rendono giustizia alla differenza tra uomo e scimmie antropomorfe. Per la questione è puramente quantitativa: ciò che conta è la quantità di cervello in più che l’uomo dispone rispetto alle scimmie antropomorfe, secondo Deacon la questione è anche qualitativa: non è solo la quantità di corteccia che distingue l’uomo dalle scimmie, ma anche la qualità delle abilità in più che riesce a sostenere (come il pensiero, il linguaggio). In pratica, ogni volta che il cervello subisce un incremento, le nuove parti non si aggiungono semplicemente al resto, ma lo riorganizzano in modo più funzionale. Quindi l’EQ è stato sostituito dal rapporto encefalico micro/macro che si basa sia sulla microcognizione, ovvero la porzione di corteccia aggiunta, sia sulla macrocognizione, ovvero la porzione di corteccia coinvolta nella gestione dell’architettura cerebrale che, quindi, aumenta la funzionalità cerebrale. Lo sviluppo cerebrale L’aspetto più interessante dello sviluppo cerebrale umano è il rapido picco di neuroni, connessioni, sinapsi e attività metabolica cerebrale entro i 4 anni, seguito da un lento declino (ad eccezione della mielinizzazione). Ad esempio, la densità neuronale della corteccia frontale a 2 anni è oltre il 55% dei livelli dell’adulto e scende al 10% intorno ai 7 anni. Deacon offre una interessante spiegazione per questo fenomeno: inizialmente i neuroni tendono a sovraprodurre assoni e questi si connettono a un gran numero di obiettivi potenziali durante le fasi iniziali della crescita; solo una frazione di queste connessioni viene mantenuta in età adulta, quelle che si sono provate efficaci. (processo di selezione simil-darwiniano) Accanto alla famosa metafora della potatura, è più opportuno parlare di scultura del cervello nel passaggio da bambino ad adulto. 6.2 L’evoluzione del linguaggio 1) Ipotesi della continuità linguistica Questa ipotesi è stata sostenuta primariamente da J.Piaget (1923). Egli sosteneva che il linguaggio derivasse dalla capacità comunicativa extralinguistica: in particolare, il sistema motorio sarebbe il precursore del linguaggio. Chomsky e Fodor hanno criticato questa ipotesi, facendo notare che un bambino tetraplegico riesce comunque ad apprendere la competenza comunicativa, mentre secondo la teoria di Piaget dovrebbe mostrare gravi deficit linguistici. Vari studi antropologici hanno dimostrato che sia possibile insegnare ai primati determinate competenze linguistiche, come quella pragmatica: nel bambino questa competenza viene manifestata in maniera spontanea, dunque è innata. 2) Ipotesi della discontinuità linguistica Il principale sostenitore di questa tesi è stato Chomsky (1988), il quale sosteneva che una mutazione genetica non finalizzata ha dato origine alla capacità linguistica degli esseri umani: il linguaggio, dunque, non si è evoluto, ma è comparso. Secondo Piattelli-Palmarini (1979) una qualche evoluzione deve esserci stata: il linguaggio non si è evoluto a fini comunicativi, anche se poi è stato utilizzato principalmente per quello, ma come strumento di potenziamento del pensiero. Questa ipotesi è stata messa in discussione da Bickerton (1990) il quale sosteneva che l’Homo erectus possedesse un protolinguaggio equivalente a quello utilizzato dai bambini nello stadio delle due parole, o al pidgin – linguaggio elementare privo di ogni rispetto per la grammatica, più associativo e compositivo. Questo protolinguaggio rappresenterebbe l’anello intermedio, negato da Chomsky. 3) Ipotesi della continuità extralinguistica e della discontinuità linguistica Secondo Burling (1993) la comunicazione dei primati possiede una serie di caratteristiche simili alla comunicazione umana non verbale:  Gradualità del segnale : è possibile passare da un sorriso ad una smorfia senza soluzione di continuità.  Scarso bisogno di apprendimento : si impara quando sorridere, ma come sorridere è determinato geneticamente.  Capacità informativa : la comunicazione non verbale è un eccellente strumento di comunicazione di stati emotivi, allo stesso tempo non permette di esprimere emozioni relative al mondo esterno (al contrario del linguaggio).  Controllo volontario incompleto : non è possibile riuscire a sorridere sforzandosi, comunque volontariamente.  Mancanza di produttività : non si possono costruire significati nuovi, mai prodotti prima, al contrario delle parole e frasi.  Impossibilità di dislocazione : non si possono scambiare informazioni su qualcosa lontano nello spazio e nel tempo, caratteristica invece primaria del linguaggio. Burling nella sua ipotesi afferma che gli ominidi possiedono una competenza comunicativa non verbale analoga a quella umana; quel che differenzia l’uomo non è la competenza comunicativa in generale, ma in specifico quella linguistica. Il linguaggio rappresenta un elemento di discontinuità nell’evoluzione della comunicazione. 4) Ipotesi della discontinuità cognitiva Bara sostiene che ciò che differenzia l’uomo dai primati sia la quantità di neocorteccia che può essere sfruttata sia dal punto di vista sia comunicativo che cognitivo globale, permettendo un incremento dell’intelligenza generale. Dunque, la competenza comunicativa umana non è paragonabile a quella dei primati, anche dei più intelligenti come i bonobo. Abbiamo molto in comune con i primati, come la relazione madre-figlio che ci accomuna praticamente a tutti i mammiferi superiori. Secondo l’ipotesi della discontinuità cognitiva proposta da Bara è possibile individuare tre passaggi cruciali che hanno determinato la competenza linguistica propria dell’uomo. Innanzi tutto il primo passaggio riguarda l’incremento cerebrale, che modifica in maniera spettacolare la capacità cognitiva complessiva e quindi anche quella comunicativa. Quindi, l’incremento corticale ha reso possibile lo sviluppo di un modulo cerebrale interamente dedicato al linguaggio. Si può ipotizzare una prima mutazione genetica grazie alla quale un primo ominide ha mostrato una qualche capacità cognitiva: al contrario di Chosmky, Bara sostiene che questa mutazione ha portato allo sviluppo di un protolinguaggio che è stato mantenuto per finalità principalmente comunicative. Il linguaggio può essere utilizzato non solo a scopo comunicativo, ma anche come supporto al pensiero e alla memoria: ogni incremento del primo facilita il secondo e viceversa. Quindi con la comparsa del protolinguaggio è migliorata notevolmente la comunicazione, e di conseguenza il linguaggio stesso. Infine, dall’unione di potenzialità linguistiche e cognitive esterne si sono realizzate strutture linguistiche permanenti, generando la scrittura circa 35 000 anni fa. In sintesi, l’essere umano non è un primate con qualche capacità in più, ma un animale differente. Schema riassuntivo: I) Primo passaggio : Incremento cerebrale che ha migliorato il funzionamento globale cognitivo  comunicazione extralinguistica. II) Secondo passaggio : Protolinguaggio  sviluppo delle competenze comunicative e, di conseguenza, del linguaggio. III) Terzo passaggio : Strutture linguistiche permanenti  scrittura. Il gioco comportamentale nell’evoluzione La struttura portante del gioco comportamentale è basata essenzialmente sugli atti illocutori commissivi : due agenti si impegnano ad effettuare una determinata azione. Affinché un attore possa effettuare un commissivo ed un partner possa validarglielo, è necessario che entrambi abbiano una capacità comunicativa in grado di gestire il tempo: passato, presente e futuro. Inoltre, è necessaria l’esistenza di un patto sociale a cui gli agenti possano far riferimento a garanzia che le promesse vengano rispettate. I patti sociali più antichi fanno riferimento ad esempio alla sessualità, il procacciarsi cibo, la protezione dei piccoli. 6.2 L’emergere della competenza comunicativa Il discorso relativo alla competenza comunicativa, ed in particolare quella linguistica, si complica facendo riferimento ad agenti in sviluppo. Mentre per un adulto è possibile studiare la presenza di una competenza attraverso una semplice sperimentazione sincronica, per un bambino non è facile stabilire la presenza di una competenza, dato che probabilmente è ancora in maturazione. In conclusione, facendo riferimento ai bambini è necessario far rientrare nelle competenze non solo quello che sanno fare oggi, ma anche quello che potranno fare domani. I bambini, già alla nascita, presentano un dispositivo pronto ad attivarsi; questo è uno schema riassuntivo di ciò che ci si aspetta da un bambino dalla nascita per quanto riguarda le competenze comunicative: 1. I neonati possiedono una competenza comunicativa che presenta essenzialmente due possibilità realizzative, con un binario linguistico ed uno extralinguistico. Entrambi i canali comunicativi sfruttano le stesse primitive della comunicazione (come l’intenzione comunicativa) ed alcune risorse cognitive comuni (come la memoria di lavoro), tuttavia, vengono realizzati da strutture cerebrali differenti, che non maturano in contemporanea. 2. La comunicazione extralinguistica è la prima a rendersi disponibile per il neonato, dato che richiede risorse cognitive innate oppure di rapida maturazione. Bisogna distinguere tre componenti principali della competenza extralinguistica: a. Associata alle prime interazioni fra neonato e madre, in comune con i mammiferi. b. Guida le interazioni di attaccamento/accadimento, in comune con i primati. c. Tipicamente umana, ecessita di strutture cerebrali neocorticali a maturazione più lenta, si esprime nei bambini oltre l’anno che hanno già una straordinaria complessità di relazioni cognitive ed emotive con gli altri esseri umani di riferimento. 3. La comunicazione linguistica è la più evoluta e richiede la maturazione di risorse cognitive che cominciano ad essere disponibili solo dopo il primo anno. La competenza linguistica viene padroneggiata intorno al secondo anno. Inoltre, nelle interazioni tra coetanei, i bambini diventano molto più abili di quanto non siano nelle interazioni con i genitori. A 5-6 anni un bambino è capace di aggiustare il discorso in base al ruolo che l’interlocutore svolge nei suoi confronti. 6.2.2 Fasi di sviluppo Un atto comunicativo viene compreso nel momento in cui lo si può considerare come una mossa di un gioco comportamentale. Nello studio sull’emergere della competenza comunicativa, bisogna considerare tre aspetti fondamentali: due relativi alle conoscenze disponibili del bambino, uno relativo al valore di convenzionalità posseduto da una mossa di gioco. I. Conoscenze specifiche Per comprendere un atto comunicativo è necessario possedere certe conoscenze specifiche (sia letterali, sia relative alla conoscenza sul mondo): se un bambino non possiede queste conoscenze può fallire il riconoscimento dell’atto espressivo, e di conseguenza il riconoscimento del significato inteso dall’attore. II. Apprendimento di un gioco comportamentale La comprensione di un atto comunicativo dipende dalla capacità di ricondurlo al gioco comportamentale di cui costituisce una mossa. Se il bambino non conosce il gioco a cui l’atto comunicativo fa riferimento, il suo significato non può essere compreso. III. Valore di convenzionalità di una mossa Alcune mosse vengono utilizzate molto di frequente per far riferimento ad un gioco. Riprendendo la distinzione di Gibbs tra atti indiretti con uso convenzionale e atti indiretti non convenzionali, Bara distingue tra atti comunicativi semplici, che sono immediatamente riferibili ad un gioco, ed atti comunicativi complessi , che necessitano di una catena di inferenze per essere ricondotti al gioco. Inizialmente un bambino non possiede le conoscenze specifiche che servono a riconoscere la parte letterale di un enunciato ed a riconoscere il gioco comportamentale di cui l’atto costituisce una mossa. Con il tempo acquisisce maggiori conoscenze relative al mondo ed al linguaggio e apprende un numero sempre maggiore di giochi comportamentali in modo tale da poter riconoscere più facilmente un atto semplice da un atto complesso. Bara, Bosco e Bucciarelli (1999) hanno avanzato le seguenti ipotesi: 1) Differenti atti linguistici semplici hanno la medesima difficoltà di comprensione 2) Gli atti comunicativi standard (semplici e complessi) sono più facili da comprendere rispetto agli atti comunicativi non standard (inganni e ironia). 3) Esiste un gradiente di difficoltà crescente nella comprensione dei compiti pragmatici, dal più semplice al più complesso: i bambini imparano a riconoscere prima gli atti semplici, poi gli atti complessi, ironia, inganno, pianificazione dell’inganno. 4) Esiste una stretta relazione tra l’abilità a svolgere compiti pragmatici e l’abilità a risolvere compiti di teoria della mente. 6.3 Neuropragmatica La neuropragmatica studia la correlazione tra processi mentali della comunicazione e aree cerebrali di cui quei processi sono funzione. Le nuove tecniche di esplorazione in vivo ci permettono di andare oltre la rigida localizzazione delle funzioni linguistiche nell’area di Broca e Wernicke. Il linguaggio è normalmente situato nell’emisfero contro-laterale alla mano dominante, tuttavia in entrambi gli emisferi sono presenti aree interessate. Parlando nello specifico di pragmatica come capacità di usare il linguaggio in un contesto, è alquanto improbabile che esista un modulo selettivamente coinvolto. A questo proposito A.Kasher (1991) ha proposto la distinzione tra due competenze pragmatiche:  Competenza pragmatica linguistica  tipicamente analitica, rappresenta la conoscenza pragmatica di base, utile a gestire i tipi fondamentali di atti linguistici. L’insieme dei moduli funzionali che la costituiscono è localizzabile nell’emisfero centrale sinistro.  Competenza pragmatica centrale  tipicamente sintetica, costituita da una conoscenza non puramente linguistica, si fonda sulla cognizione in senso lato, si occupa gestire gli atti linguistici non di base, come gli indiretti, metafore e sarcasmo. E’ localizzata nell’emisfero destro. Partendo da questa distinzione, Bara si concentra sulle competenza pragmatica centrale, e distingue in due parti i processi comunicativi:  Centrale  dove si svolgono le inferenze necessarie ad attribuire un atto comunicativo a un gioco, o a generare da un gioco una mossa. La competenza pragmatica è di pertinenza dei processi centrali. Sono diffusi su larga parte della corteccia, dato che vi sono coinvolte una serie di capacità differenti; non è pensabile ipotizzare una lesione selettiva.  Periferica  dove si svolgono i processi di entrata e uscita, mediati dalle vie nervose, percettive afferenti e motorie efferenti. La prestazione pragmatica è di pertinenza dei processi periferici. I processi periferici sono legati al canale percettivo e motorio privilegiato per l’interazione comunicativa (linguistico o extralinguistico). Questi processi potrebbero essere localizzati in aree specifiche, aree verbali o motorie. Potrebbe dunque esistere una lesione selettiva che danneggia la prestazione pragmatica, resterebbe intatta la competenza pragmatica. 6.3.1 Il decadimento della comunicazione Il decadimento può essere fisiologico, come nell’invecchiamento, degenerativo, come nel caso di specifiche patologie (demenze), oppure traumatico, come nel caso delle lesioni cerebrali. I. Decadimento fisiologico Come dimostrano diversi studi, l’età avanzata non incide negativamente sull’abilità comunicativa: soggetti con età compresa tra i 50 e gli 80 anni non mostrano alcun deterioramento di funzioni pragmatiche, ad eccezione dell’ironia. II. Decadimento degenerativo Non si hanno a disposizione molti dati relativi alla competenza pragmatica nei soggetti con malattia neurodegenerativa; qualche dato è disponibile sul morbo di Azlheimer. In questa demenza, si osserva una perdita di prestazione pragmatica che segue il percorso inverso a quello osservato nell’emergere della competenza comunicativa. I pazienti esaminati mostrano prestazione in ambito extralinguistico peggiore rispetto ai controlli, con decadimento crescente per atti complessi, inganni ed ironie. III. Decadimento dovuto a fattori traumatici E’ necessario distinguere tra tipologie di lesione: frontale, parietale dx e sx. Dato che la competenza pragmatica non è localizzabile in un’area specifica ma è diffusa ed integrata in tutta la corteccia, in nessuna di queste lesioni ci si aspetta una perdita funzionale, ci si aspetta specifiche riduzioni di prestazione legate a danni focali. Traumi cranici frontali Nel trauma cranico frontale chiuso, il danno emerge dal brusco movimento della massa encefalica all’interno del cranio che genera il cosiddetto danno assonale diffuso. Il trauma cranico chiuso è generalmente seguito da una perdita di coscienza che dura da pochi secondi fino a molti giorni, a seconda della gravità. Quando il paziente ritorna cosciente solitamente mostra deficit a sottoinsiemi specifici, come attenzione, memoria, pianificazione, giudizio (funzioni associate ai lobi frontali), con disinibizione, diminuita regolazione del comportamento e scarsa capacità di astrazione. Dal punto di vista linguistico, i deficit si riflettono nell’abilità comunicativa con confabulazione, neologismi, uso di stereotipie linguistiche. Hanno prestazioni normali nei test linguistici, senza afasia. Il danno frontale non danneggia i processi specifici del linguaggio, ma l’abilità metalinguistica: il discorso è confuso, poco strutturato o disorganizzato, pieno di referenze contestuali indirette, con tendenza a perdere il focus della conversazione. Nei termini della pragmatica cognitiva, il danno si colloca a livello del gioco conversazionale. I risultati sperimentali hanno dimostrato che: 1) Non c’è differenza significativa di comprensione tra atti comunicativi diretti e indiretti semplici; i pazienti non differiscono dai controlli. 2) C’è differenza significativa di comprensione tra atti comunicativi standard (diretti e indiretti) e non standard (ironia e inganno); in questo caso i pazienti differiscono dai controlli. 3) Le prove extralinguistiche sono più difficili di quelle linguistiche. Togliendo il canale linguistico (conservato), si appesantisce il carico cognitivo e aumentano le difficoltà. Lesioni emisferiche sinistre: afasia L’afasia è un disturbo della comunicazione linguistica che si esprime a livello esecutivo: il paziente sa cosa dire, ma non riesce a produrre enunciati che soddisfano le sue esigenze comunicative. Le conoscenze acquisite sulla pragmatica hanno permesso di ristrutturare l’approccio riabilitativo con focus sullo sviluppo di canali comunicativi alternativi: l’idea è quella di aumentare le competenze residue per sopperire il deficit linguistico. Più recentemente ci si concentra sulla riabilitazione cognitiva, con focus sulle sottocomponenti del linguaggio attraverso, ad esempio, la rieducazione del lessico fonologico o rieducazione dei ruoli tematici. Nell’ottica della pragmatica cognitiva l’afasia si presenta come un deficit specifico del canale linguistico, dunque le competenze pragmatiche non sono toccate. Può essere utile un pieno sviluppo dell’abilità extralinguistica: tuttavia, la comunicazione extralinguistica non è efficace come quella linguistica, però è utile per gestire le interazioni della vita quotidiana e, sicuramente, ha benefici anche sulla riabilitazione linguistica. Lesioni emisferiche destre Non sono disponibili dati relativi a pazienti con lesioni focali dell’emisfero destro. Kasher situa nell’emisfero destro la competenza pragmatica centrale (non linguistica): ci si aspetta pazienti in grado di gestire la sintassi e la semantica, ma non la pragmatica. Anche la modalità extralinguistica è collegata al parietale destro, dunque ci si aspetta pazienti con deficit di comunicazione extralinguistica ma non linguistica. 6.3.2 Neuropragmatica evolutiva Ciò che rende complicato parlare di neuropragmatica nel bambino è l’esistenza di un fenomeno noto come plasticità neuronale: quando non possono essere realizzate strutture cerebrali per una qualunque ragione, il cervello infantile è in grado di sviluppare connessioni alternative che portano a prestazioni grosso modo identiche. Secondo la Bates (1993) la comprensione linguistica nei bambini dipende dall’integrazione tra molte fonti diverse di informazioni: oltre alla sintassi e alla semantica ci sono i gesti, le espressioni facciali, il tono della voce e vari indicatori situazionali. L’acquisizione del linguaggio non sarà disturbata solo da lesioni all’emisfero sinistro, ma anche da lesioni all’emisfero destro. Propone un modello dinamico e quantitativo della relazione tra linguaggio e cervello: molte aree diverse intervengono nell’acquisizione del linguaggio ma il peso di queste aree è differente, alcune sono più importanti di altre e attive sempre, altre solo saltuariamente. Bisogna comunque ricordare che il cervello infantile ha la possibilità di vicariare le regioni colpite, recuperando la capacità comunicativa e la modalità linguistica con una pienezza impensabile nell’adulto. Autismo L’autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo. Kanner identifica come caratteristiche essenziali del disturbo l’isolamento autistico e la ripetitività. Al giorno d’oggi i criteri diagnostici del DSM-V e ICD-10 si riferiscono alla triade di deficit ipotizzata originariamente da Wing e Gould (1979) comprendente danneggiata capacità sociale, limitata abilità d’immaginazione e ritardi o anomalie nella comunicazione linguistica ed extralinguistica. Focalizzandoci sull’aspetto comunicativo, i deficit più frequenti riguardano sia capacità linguistiche che extralinguistiche che ciascun individuo autistico presenta diversamente da un altro. I deficit pragmatici, invece, rappresentano una caratteristica universale nell’autismo. Baron-Cohen (1989) fa notare che i bambini autistici non presentano una gestualità comunicativa (attenzione condivisa), il cui fine è quello di attirare l’attenzione dell’ascoltatore su un terzo punto di interesse. Sempre Baron-Cohen con Leslie e Frith (1985) rintracciano l’origine dei deficit nella mancanza di una teoria della mente. Ozonoff (1994) afferma che per spiegare i diversi problemi dell’autismo è necessario rifarsi al concetto di funzione esecutiva: i bambini autistici si sono dimostrati meno efficienti nei compiti di pianificazione e Il processo di contrattazione avviene all’interno della relazione terapeutica, vale a dire un contesto ben delineato in cui il paziente concede al terapeuta di andare oltre le proprie intenzioni non deliberate, leggendole in trasparenza per ritrovarne le motivazioni effettive.  Contenuto L’interpretazione si può riferire sia al contenuto specifico di quando detto o fatto dal paziente (ambito proposizionale), sia a quanto il paziente ha fatto o detto riguardo la relazione con il terapeuta (ambito relazionale).  Punto di partenza Il processo di interpretazione si applica a comportamenti di cui, per quanto non deliberati, il paziente può essere conscio o meno. Si aprono così due opzioni: - Il paziente è consapevole - Il paziente non è consapevole del comportamento  questo caso è più complicato in quanto le ragioni che impediscono l’accesso alla coscienza sono le stesse che mantengono il sintomo. Il paziente dunque può mostrare una resistenza nel divenirne conscio, anche qualora il terapeuta glielo faccia notare. Ci sono cose che è impossibile portare alla coscienza, se non in un contesto di piena protezione emotiva come il setting terapeutico. E’ importante notare che non tutto ciò che è inconsapevole deve necessariamente essere portato alla coscienza a fini terapeutici.  Punto di arrivo Il sintomo deve rientrare nella sfera intenzionale del paziente e, quindi, della libera scelta.  Modo Il terapeuta fa una lettura del comportamento del paziente come-se fosse intenzionale, restituendogli significati che erano stati persi, data la natura compulsiva del comportamento. Questo permette il passaggio da azione intenzionale non deliberata a pienamente deliberata.  Effetti attesi Quasi tutte le psicoterapie si fondano sul fatto che acquisire una maggiore consapevolezza porti ad una maggiore libertà di scelta. Interpretazione vs estrazione di informazioni  nell’estrazione di informazioni non viene invocato il principio di cooperazione. L’interpretazione dei sogni Bara si discosta dall’opinione classica psicoanalitica, proposta inizialmente da Freud, per la quale l’inconscio comunica al nostro conscio approfittando di uno stato di minor vigilanza; in poche, parole, i sogni non sono espressione diretta del nostro inconscio che “vuole dirci qualcosa”. Secondo Bara, può essere utile in psicoterapia utilizzare i sogni come spunto di riflessione per parlare di qualcosa che è difficile affrontare in piena lucidità. A ciascun sogno si possono dare due significati: I. Uno in relazione alla vita del paziente II. Uno rispetto al rapporto tra paziente e terapeuta. 7.2.2 Indice di condivisione L’indice di condivisione è un utile strumento applicativo che rientra nel filone di lavori conosciuto come analisi della seduta. Autori esponenti di questo filone, come Trognon, Bercelli, Leonardi e Viaro si concentrano su una microanalisi dell’interazione tra terapeuta e paziente, descrivendo i principi generali che regolano la loro interazione verbale, a prescindere dalle intenzioni specifiche degli agenti. Bara e colleghi invece svolgono una macroanalisi dell’interazione tra terapeuta e paziente, andando a definire uno strumento in grado di rilevare quando paziente e terapeuta arrivano alla costruzione di una conoscenza condivisa. La psicoterapia è un processo di costruzione di significati, che andranno a costituire la cosiddetta conoscenza condivisa terapeutica e la comunicazione è il mezzo attraverso cui si realizza questo processo. Elemento indispensabile è l’alleanza terapeutica, che si costruisce a partire da un rapporto di stima, fiducia e simpatia reciproche; la qualità dell’alleanza consente di prevedere lo sviluppo ed il futuro esito della terapia. L’interazione tra terapeuta e paziente può essere analizzata considerando due flussi comunicativi: - Flusso di superficie  rappresenta le informazioni che il paziente mette a disposizione del terapeuta. - Flusso profondo  rappresenta l’insieme delle informazioni a cui il paziente ha fatto esplicitamente o implicitamente riferimento nel flusso di superficie, che il terapeuta considera rilevanti e degne di indagine e quindi restituisce al paziente come temi di discussione. Ci sono dei momenti in cui il paziente condivide esplicitamente con il terapeuta una conoscenza che gli era stata ripresentata nel flusso profondo come significativa: questo momento rappresenta la conoscenza condivisa terapeutica. Non necessariamente il paziente deve esprimere la propria adesione immediatamente: talvolta può esservi una contrattazione sull’attribuzione di significato, finché non si raggiunge un accordo condiviso da entrambi oppure un accordo di non-condivisione. Un alto livello di conoscenza condivisa caratterizza una psicoterapia di successo. 7.3 Comunicazione efficace L’abilità comunicativa è pratica, non teorica, e concreta, non astratta; per definizione non è possibile individuare delle regole fisse per renderla più efficace. Ogni individuo diventando consapevole dei propri limiti e potenzialità, può arrivare esprimere meglio le proprie abilità comunicative. L’efficacia della comunicazione dal punto di vista della pragmatica è la capacità di attivare nell’interlocutore la motivazione a giocare un gioco. E’ interessante ricordare come si sia sviluppata un’importante tradizione di analisi degli strumenti di persuasione, quando l’attore si trova ad interagire in un contesto di uno a molti: la retorica. Lo scopo della retorica classica è quello di modificare gli stati mentali di tre tipi di ascoltatori: giudici, senatori e spettatori. Dunque esistono tre generi retorici: giudiziario, deliberatorio ( o politico) e l’epiditico. Un retore, nella costruzione del discorso deve passare attraverso quattro fasi: a) Inventio: ricerca di argomenti e mezzi di persuasione più efficaci. b) Dispositio: ordinare gli argomenti organizzando il discorso da cui risulterà uno schema. c) Elocutio: redazione del discorso, in cui l’oratore riempie linguisticamente gli argomenti rintracciati nelle fasi precedenti, quindi costruisce il discorso. d) Actio: enunciazione effettiva del discorso con vari effetti vocali, mimici e gestuali. Un ultimo aspetto della comunicazione, che spesso passa inosservato, ma in realtà è di importanza assoluta è il silenzio. Possiamo distinguere innanzi tutto tre tipi di silenzio: - Silenzio non comunicativo : E’ il silenzio di chi non si è accorto di essere entrato in una interazione, quindi non intende comunicare nulla attraverso di esso. - Silenzio non deliberato e consapevole: E’ il silenzio di chi non trova le parole per esprimersi. L’interlocutore può inferire qualcosa da questo silenzio, però non è detto che questo significato sia stato apertamente comunicato. - Silenzio intenzionalmente comunicativo , deliberato e consapevole: E’ il silenzio attraverso il quale l’attore comunica qualcosa al proprio interlocutore in modo aperto e chiaro, dato il background ed il contesto condiviso. Rientrano in questa categoria il silenzio come confessione, oppure il silenzio come rifiuto di rispondere. E’ interessante notare come diverse culture realizzano il silenzio. Nella cultura occidentale è comune evitare di lasciare spazi vuoti nel discorso, tanto da riempirli ossessivamente; in altre culture, ad esempio quella dei Pellerossa, il silenzio è richiesto nelle stesse situazioni sociali.
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