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Pratiche educative per l'inclusione sociale, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto del testo per l'esame di pedagogia del lavoro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 09/02/2023

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Scarica Pratiche educative per l'inclusione sociale e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Pratiche educative per l’inclusione sociale. Maura Striano CAPITOLO 1 – L’inclusione come progetto di sviluppo sociale nello scenario europeo. Oggi l’inclusione sociale rappresenta contemporaneamente un problema pedagogico e un’emergenza educativa.  PROBLEMA PEDAGOGICO per promuovere una società inclusiva bisogna agire innalzando i livelli di apprendimento promuovendo e sviluppando il lifelong learning ( acquisizione di saperi e strumenti funzionali ad una partecipazione attiva)  EMERGENZA SOCIALEl’inclusione si realizza anche intervenendo sulle condizioni di contesto per incidere sulle culture e sui comportamenti sociali, e questo richiede la messa in campo di azioni educative individuali e collettive. L’inclusione oggi è un’emergenza sociale primaria, fortemente avvertita in ambito internazionale e soprattutto europeo (infatti il 2010 è stato indicato come l’Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale):  incoraggiare azioni concrete per eliminare la povertà e l’esclusione e assicurare  eliminare luoghi comuni e stereotipi sulla povertà;  sostenere la solidarietà tra generazioni. L’inclusione sociale va di pari passo con la lotta alle discriminazioni e la valorizzazione della diversità: sforzo dell’UE nel mettere a punto una strategia per la disabilità, con l’obiettivo di rimuovere tutte le barriere e consentire ai disabili di partecipare alla società. Promuovere inclusione sociale significa promuovere la cittadinanza attiva, cioè la partecipazione responsabile alla società civile, alla vita politica e di comunità di tutti gli individui. Come si promuove la cittadinanza attiva? Attraverso le strategie dell’istruzione e della formazione permanente. Inclusione sociale significa poi investire sull’istruzione e la formazione: è importante per le società aiutare innanzitutto le persone a riconoscere i propri bisogni formativi, poi diversificare e moltiplicare l’offerta formativa presente sul territorio, e infine costruire raccordi tra il circuito della formazione e quello della occupazione, alimentando percorsi di apprendistato, stage, tirocini. Per fare questo è necessario servirsi delle nuove tecnologie, e quindi superare il digital divide che è oggi ancora molto forte nell’UE. Si pone quindi un problema di accessibilità. La formazione è un importante dispositivo di sviluppo sociale, perché solo attraverso l’apprendere diviene possibile acquisire gli strumenti per adattarsi alle rapide trasformazioni economiche e sociali. Quindi le strategie dell’inclusione devono mirare, oltre che a garantire l’acquisizione di un posto di lavoro per le fasce più a rischio, anche a garantire a tutti la possibilità di dedicare tempo e risorse alla formazione lungo tutto l’arco della vita. È anche importante riconoscere uguale valore a tutte le forme di lifelong learning (formali, non formali e informali) e determinante è la riduzione del learning divide (l’esclusione dai processi di formazione continua) e del digital divide. CAPITOLO 2 – Integrazione e inclusione sociale: modelli a confronto. Il problema dell’inclusione delle persone disabili è strettamente connesso alla questione della terminologia che lo accompagna. La parola handicap indica lo svantaggio da cui è affetta la persona, ma le persone disabili non sono esse stesse portatrici di svantaggi, semmai gli svantaggi li trovano nell’ambiente. Appare più opportuno utilizzare il termine “disabilità” piuttosto che handicap. Disabilità vuol dire riduzione della capacità di svolgere le attività. Se noi consideriamo il soggetto nella reciprocità della sua relazione col contesto in cui vive, la disabilità non ci apparirà più come qualcosa di unicamente insediato nel sogggetto. La disabilità non è quindi uno stato della persona, ma un problema complesso e multifattoriale. Quali sono state le tappe più importanti del processo d’integrazione dei disabili nelle scuole italiane? La tappa decisiva è stata la legge 517\1977, che ha decretato l’ingresso degli alunni disabili nelle scuole comuni, con l’abolizione delle classi differenziali e l’introduzione della figura dell’insegnante specializzato per le attività di sostegno. C’è un capovolgimento di prospettiva rispetto al passato: non è più il soggetto disabile a doversi adattare al contesto, ma è il contesto scolastico ora a doversi aprire alle esigenze del singolo e a doversi adattare. Che differenza c’è tra integrazione e inclusione sociale?  Integrazione è una risposta alla specificità dei bisogni attraverso interventi e risorse specializzate.  Inclusione azione allargata di interventi, mira ad accrescere la capacità del contesto di promuovere il livello generale di partecipazione sociale. L’inclusione sociale comporta il superamento delle categorie dei bisogni speciali con l’introduzione del concetto di barriere alla partecipazione e all’apprendimento per tutti. E’ un’azione sistemica che interessa tutti i settori della società. Realizzare misure inclusive significa dare impulso alla cittadinanza attiva e sostenere le persone con disabilità nel loro diritto a vivere in modo indipendente. In quest’ottica è fondamentale l’offerta di servizi sociali di sostegno, di cui il disabile deve imparare a servirsi in maniera consapevole per costruire dei progetti emancipativi. Attenzione: le misure di supporto devono essere emancipative, e non ridursi a un mero assistenzialismo. Il sostegno dev’essere un’impalcatura di supporto e non deve ridurre il disabile a una situazione di dipendenza da chi lo aiuta. Bisogna precisare che nell’integrazione il sostegno è la risposta alla specificità di un problema collegato a una disabilità, mentre nell’inclusione il focus d’intervento si sposta dalla persona al contesto e alla capacità di quest’ultimo di rispondere alle differenze. Come ha rilevato l’economista Amartya Sen, la disabilità non va definita isolatamente, ma va definita partendo dalle reali opportunità di cui le persone dispongono per CAPITOLO 4 – Cittadinanza di genere: le donne tra esclusione e partecipazione. La disuguaglianza di genere ha origini antiche: già le culture primitive distinguevano uomini e donne sulla base del loro ruolo socio-economico (produttori gli uomini, consumatrici le donne). Il panorama della cultura femminista presenta 3 prospettive teoriche: 1) il femminismo dell’uguaglianza la donna è un soggetto neutro, e dovrebbe avere gli stessi diritti dell’uomo (ma questa concezione non elimina la subordinazione e l’oppressione delle donne, semplicemente la cela); 2) il femminismo della differenza la donna è un soggetto sessualmente differenziato, investito dalla sessualità nella sua strutturazione profonda; 3) il femminismo postmoderno la differenza sessuale è costituita socialmente con lo scopo di sottomettere e dominare le donne. La conquista della parità non si può avere se non si agisce sui meccanismi di rappresentazione e di identificazione delle donne. Infatti negli ultimi trent’anni è andato formandosi un movimento che ha analizzato i rapporti tra soggetto sociale e soggetto psichico, e che in pedagogia ha promosso pratiche volte al cambiamento sociale che vanno sotto il nome di “pedagogia della differenza”. l’oppressione della donna non è solo legata a fattori socio-economici, riguarda la strutturazione stessa del soggetto donna, il suo inconscio, l’immaginario, le identificazioni simboliche, il linguaggio. Qual è allora il compito che si chiede alla formazione e alla scuola per combattere le disuguaglianze di genere oggi? La scuola deve impegnarsi a formare nuove soggettività capaci di elaborare strategie e prassi di esistenza. Non deve omologare e conformare ragazzi e ragazze, deve ripensare la formazione della soggettività femminile nel segno della sua radicale alterità. L’educazione deve dare valore alle differenze, in un’ottica di opportunità equivalenti per tutti. Ovviamente c’è ancora molta strada da fare: ancora oggi in Italia per esempio le donne si fermano ai livelli più bassi della scala occupazionale (segregazione verticale) oppure si concentrano solo in alcune discipline o settori (segregazione orizzontale). La discriminazione femminile non si è compiuta solo nell’ambito della sfera pubblica (società, cultura, politica), ma anche negli ambiti del privato (in particolare per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro e la distribuzione del reddito all’interno del nucleo familiare). Spesso si è rivelata proprio la famiglia il luogo dell’ingiustizia, il luogo che rinforza la disuguaglianza e limita le possibilità della donna, accollandole tutte le faccende domestiche e la cura dei figli, e assegnandole un lavoro di scarso prestigio. È quindi dalla famiglia che bisogna partire per modificare gli assetti gerarchici e autoritari tradizionali, e in questo senso la crisi dell’istituzione familiare che stiamo vivendo oggi potrebbe aiutare a decostruire le dinamiche dei rapporti di dominio e di subordinazione, definendo nuovi obiettivi: in primis, il compito dei genitori di istruire i figli a riconoscere le grande differenze della vita, cioè quella generazionale e quella di genere tra maschio e femmina. Su cosa bisogna puntare quindi per assicurare l’inclusione sociale delle donne e migliorare la loro condizione esistenziale e lavorativa? Le linee guida sono: la formazione e la diffusione di saperi, la possibilità di accesso a forme di potere, l’accesso al mercato del lavoro, il miglioramento delle strutture sociali di sostegno al lavoro delle donne e rifelssione sui condizionamenti culturali sul corpo. CAPITOLO 5 – Carcere e inclusione sociale. “Agenda di Lisbona”è un programma politico per l'inclusione sociale basato su tre tipi di attività:  garantire a tutti l'accesso alle risorse di base, servizi sociali;  combattere le forme estreme di esclusione;  realizzazione di tutti i livelli di governo degli attori rilevanti. La metafora delle vite di scarto di Bauman ben rappresenta il modello di marginalità e di esclusione sociale nella contemporaneità: le scarpe sono considerate tutte quelle situazioni di esubero e di inutilità. Partendo da questa efficace metafora, possiamo notare quanto la modernità abbia agevolato tale passaggio attraverso un atteggiamento di continuo miglioramento di prodotti, di prestazioni e di soddisfazione dei bisogni a scapito dei modelli precedenti non più rispondenti alle nuove necessità di sviluppo. In sostanza, ciò che non è più utile e produttivo alla società dei consumi, viene escluso ed eliminato. Tra i soggetti che possiamo includere nella suddetta categoria di persone inutili troviamo alcune tipologie marginali che cambiano a seconda dei tempi storici e dei contesti sociali. EsBasti pensare al ruolo della vecchiaia che ha visto un cambiamento di ruolo e di funzione sociale passando da un compito di portatrice di saperi e di appoggio alla comunità ad un ruolo di sovraccarico e di impedimento per la famiglia stessa e per le istituzioni locali. Accanto alla vecchiaia troviamo alcune categorie marginali come i detenuti; il carcere rappresenta il luogo dei dannati della terra ed è considerato un luogo ai margini della città e della società. Il carcere come emergenza educativa. L’Istituto Penitenziario è un luogo di marginalità che deve essere esaminato con una nuova attenzione non solo da chi si occupa di strategie di comunicazione o di politica, ma anche da chi ha la responsabilità di processi formativi per consentire di rispondere ai bisogni dei soggetti reclusi. Il dispositivo autobiografico come strumento formativo e di inclusione sociale. L'autobiografia si pone come un'esperienza chiave del formarsi, dell'auto orientarsi, specialmente nei momenti di passaggio nella propria vicenda esistenziale. L’approccio autobiografico permette di scoprire sè stessi e crescere, e diventa un momento di alta motivazione. I perchè della scrittura in carcere. Victor Hugo nel suo monologo interiore rivela la condizione del carcerato; le sue scritture divennero poi utilizzate come riflessione importante per la denuncia contro la pena di morte. Questa scrittura rileva il carattere salvifico dello scrivere, un'attività praticata dal detenuto per lasciare traccia di sé, per esprimersi attraverso riflessioni sulla carta, semi sui muri e talvolta sulla pelle. La scrittura autobiografica si fa veicolo dunque per la scoperta di nuove forme del pensiero e nuove capacità di espressione di sé. Il detenuto può riscoprire il senso della propria realtà solo partendo da sé stesso, e attraversando i ricordi e facendo a fiorire parti di sé che necessitano di essere recuperate per riappropriarsi di quei frammenti di vita andati perduti. Un altro aspetto fondamentale è il processo di coscientizzazione e pratica della libertà: attraverso la consapevolezza di se i soggetti riescono ad uscire da una condizione di marginalità per sentirsi nuovamente persone. Le proposte autobiografiche in carcere rispondono al bisogno di creare spazi oltre le sbarre, spazi in cui i soggetti reclusi riescono a stabilire un collegamento tra il passato e il futuro. Questi spazi dovrebbero essere gestiti da esperti in metodologie autobiografiche come un formatore auto-biografico; questa è una figura che facilita il percorso narrativo e autobiografico e far fluire la narrazione di sé, attraverso la tecnica della sconto attivo, della partecipazione, favorendo la costruzione di un clima relazionale adeguato e non facile da realizzare in un luogo come il carcere. È così che il detenuto, ristabilendo un contatto con la propria interiorità, alla possibilità di dare senso all'esperienza vissuta. Assieme alla rivisitazione del passato e la riflessione sul presente, l'aspetto progettuale risulta essere una parte fondamentale è necessaria alla realizzazione di un percorso autobiografico. Tra le principali motivazioni nello scrivere in carcere vi è sicuramente il ricordare:  i ricordi sono beni preziosi che tengono custoditi nella loro mente e nel loro cuore,  il percorso del ricordare permette di uscire dalla routine carceraria e di aprire le finestre di abitazioni dentro le quali persone si rifugiano per paura di soffrire  la scrittura rappresenta una possibilità per sopravvivere in un luogo disumano, per rimanere collegati alla realtà e a quel mondo reale  la scrittura può sconfiggere i limiti e le chiusure che il carcere impone permettendo all'individuo di ripensare la sua identità senza cristallizzarsi nel suo ruolo di delinquente. Autobiografia e scuola penitenziaria. La scuola in carcere è il luogo della promozione umana ed è qui che si avvia per l'individuo un percorso di valorizzazione di sé a partire dalla scoperta delle proprie conoscenze. L’esperienza scolastica è un'occasione per favorire l'educazione alle regole e alla capacità di raggiungere mini obiettivi che si rispettino determinate norme e procedura. La scuola oggi nelle carceri è ritenuta purtroppo ancora privilegio di pochi e percorso necessario per tutti, viene frequentata dai detenuti per acculturarsi, per imparare l'italiano o per recuperare quel poco appreso ormai molti anni fa. La scuola in carcere assume il compito di preparare gli studenti al reinserimento futuro nella società. L’utilizzo del dispositivo narrativo e auto – biografico al Polo Universitario penitenziario. L'università in carcere è un’interessante opportunità formativa presente in alcuni istituti penitenziari italiani che offre al detenuto la possibilità di intraprendere studi universitari in carcere. Interessante è il ruolo del tutor universitario che accompagna la formazione disciplinare degli studenti reclusi, importante risulta:  collaborare con le varie figure professionali  instaurare una relazione educativa con lo studente
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