Scarica Preparazione per esame Orale e più Prove d'esame in PDF di Storia solo su Docsity! Nel nucleo della storia di Philomena Lee si rivelano dolorose verità che evidenziano la lunga storia di stigmatizzazione e controllo sociale sulle donne, soprattutto in gravidanza al di fuori del matrimonio. La sua esperienza, ambientata nel XX secolo, evoca inquietanti parallelismi con le pratiche delle società, soprattutto dopo la controriforma del 1545, nei confronti delle donne in situazioni analoghe. La narrazione di Philomena Lee rivela una prospettiva storica significativa, inserendosi nel contesto più ampio delle pratiche sociali e religiose del XX secolo. La storia di Philomena, una giovane irlandese incinta al di fuori del matrimonio e relegata in un convento gestito dalle suore, si svolge in un periodo in cui la società e la Chiesa cattolica esercitavano un notevole controllo sulle donne in gravidanza al di fuori delle unioni matrimoniali. Nel corso del XX secolo, le donne incinte al di fuori del matrimonio spesso subivano la stigmatizzazione e la reclusione in istituti religiosi, come nel caso di Philomena. La pratica diffusa era quella di separare le madri dai loro figli, consegnando i neonati in adozione senza il consenso materno. Questo fenomeno rifletteva le norme sociali e religiose del tempo, caratterizzate da un rigoroso controllo sulla sessualità femminile e da una condanna sociale delle gravidanze al di fuori del contesto matrimoniale. Il libro di Martin Sixsmith, "Philomena", offre uno sguardo approfondito su come Philomena, nel corso degli anni, abbia cercato di riunirsi con suo figlio, svelando le sfide affrontate da molte donne in circostanze simili durante quel periodo storico. Questo parallelo con le reclusioni del 1600 rivela che, in quel periodo, le donne in gravidanza al di fuori del matrimonio venivano spesso sottoposte a reclusioni forzate in istituti religiosi o governativi. Esse erano soggette a stigma sociale e costrette a nascondere la gravidanza per evitare il biasimo della società. Molte di loro subivano la separazione dai propri bambini, destinati ad essere dati in adozione o cresciuti in istituti, situazione simile a quella vissuta da Philomena. Nel 1600, le donne erano vittime di rigide norme sociali e religiose che limitavano la loro libertà, relegandole a una sorta di carcere sociale. Il controllo sulla sessualità femminile era esercitato attraverso la vergogna e la reclusione, in un contesto in cui la società imponeva rigidamente i confini del matrimonio. La pratica diffusa dell'abbandono dei neonati emerge in questo contesto storico. Le donne incinte al di fuori del matrimonio, spesso prive di supporto familiare o sociale, erano costrette a consegnare i propri bambini a istituzioni come ospedali, brefotrofi o conventi. Questa separazione traumatica avveniva senza il consenso della madre, che poteva trovarsi in una situazione di vergogna e discriminazione sociale. Per le bambine abbandonate in questi istituti, le condizioni di vita erano spesso terribili. Maggiore era il tempo trascorso in tali istituzioni, maggiore era il rischio di morte. Sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e inadeguatezza dell'alimentazione contribuivano a un ambiente poco salutare per la crescita e lo sviluppo. Questi bambini vivevano in condizioni di vulnerabilità, con assenza di cure adeguate e notevole mancanza di affetto e attenzione individuale.