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PRIMA GUERRA MONDIALE E IL COMUNISMO IN UNIONE SOVIETICA, Dispense di Storia

I seguenti appunti trattano dei semplici argomenti di scuola superiore: la Prima Guerra Mondiale (lo scoppio della guerra, l'entrata nella stessa da parte dell'Italia, anni feroci di combattimenti, le caratteristiche della nuova guerra e la conferenza di Parigi) e il comunismo in Unione Sovietica (la Rivoluzione Russa, la guerra civile e la nascita dell'Unione Sovietica e la dittatura Stalinista.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 10/05/2023

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Scarica PRIMA GUERRA MONDIALE E IL COMUNISMO IN UNIONE SOVIETICA e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! La Prima guerra mondiale Le cause della guerra Il 28 giugno 1914, lo studente serbo Gavrilo Princip assassinò l’erede al trono dell’impero austro-ungarico Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie Sofia. L’obiettivo di questo attentato era rivendicare l’annessione della Bosnia alla Serbia, ma portò solamente la tensione ad un punto di non ritorno. La situazione nei Balcani era difatti molto delicata, in quanto tutte le potenze europee erano in forte concorrenza tra di loro per accaparrarsi tutti i territori colonizzabili. Le due potenze principali, rappresentate da Triplice Alleanza e Triplice Intesa, quasi auspicavano il conflitto, causa anche il nazionalismo che regnava in Europa. Il 23 luglio, gli austro-ungarici inviarono alla Serbia un durissimo ultimatum strutturato su quattro punti, dei quali venne rifiutato solamente quello che obbligava la presenza di rappresentati austro-ungarici nel territorio, con lo scopo di rendere la Serbia uno stato fantoccio. Lo scoppio della guerra: gli schieramenti Vienna non ritenne soddisfacente la risposta e, il 28 luglio, dichiara guerra alla Serbia. La Russia e la Francia si schierarono allora a fianco della Serbia, mentre la Germania supportò l’impero austro-ungarico. Il Regno Unito tentò di arginare la crisi per via diplomatica, ma dopo l’invasione del Belgio da parte della Germania il 4 agosto, si trova costretta ad intervenire il 5 agosto a fianco della Triplice Intesa. Si aggiunsero via via sempre più stati, accanto agli Imperi Centrali (Germania e Austro-Ungheria) si schierarono Impero ottomano e Bulgaria, mentre al fianco della Triplice Intesa troveremo Grecia, Giappone, Romania, Stati Uniti e Italia. L’entrata in guerra dell’Italia L’Italia era legata a Germania e Austro-Ungheria da un trattato a carattere puramente difensivo, per cui Salandra (capo del governo), viste le chiare intenzioni belliche dell’austro-ungheria, dichiara il 2 agosto che l’Italia sarebbe rimasta neutrale. La scelta della neutralità era conveniente da diversi punti di vista: l’Italia avrebbe potuto continuare a commerciare senza problemi, non intervenendo si sarebbero potuti ottenere territori da entrambe le alleanze e la maggioranza dell’opinione pubblica era a favore della pace. Col passare dei mesi la scelta neutralista venne messa in dubbio e l’opinione pubblica si divise in neutralisti ed interventisti. I neutralisti comprendevano socialisti, cattolici e liberali, mentre gli interventisti erano nazionalisti, irredentisti, repubblicani, radicali, socialisti riformisti e rivoluzionari di sinistra. Gli interventisti erano in minoranza, ma erano supportati da giornali come il Corriere della Sera e da intellettuali come Gaetano Salvemini e Gabriele D’Annunzio. Erano a favore della guerra anche il re Vittorio Emanuele III, i capi dell'esercito e il presidente del Consiglio Salandra. Salandra si mise in contatto con l’Intesa e, il 26 aprile 1915, firma il patto di Londra. L’accordo segreto prevedeva che l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco della Triplice Intesa entro un mese, in cambio di adeguate concessioni territoriali (Trento, Trieste, l’Istria, l’Alto Adige e la Dalmazia). La camera votò a favore dell’entrata in guerra, così il 24 maggio 1915 Vittorio Emanuele annunciò l’entrata in guerra contro l’austro-ungheria. 1914: dalla guerra di movimento alla guerra di posizione I tedeschi avevano previsto una rapida vittoria sulla Francia a ovest, in modo da evitare una guerra su due fronti con la Russia. La resistenza dei belgi e dei francesi superarono però le aspettative del Kaiser, infatti le truppe furono fermate a Marna, distante circa 40 km da Parigi. Il fronte si stabilizzò lungo una linea di 800 km ad ovest, mentre ad est, nelle due battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri, tra agosto e settembre, i tedeschi fermarono l’avanzata russa. Contemporaneamente Vienna perse la Galizia, attestandosi sulla difensiva, prospettando un conflitto lungo e logorante. 1915-1916: battaglie sanguinose senza risultati decisivi Sul fronte occidentale la guerra di posizione logorava gli uomini sia fisicamente che mentalmente, costretti a vivere in trincee scavate in mezzo al fango. Qui vediamo quelli che sono state le battaglie più sanguinose e violente della prima guerra mondiale: l’attacco tedesco al forte francese a Verdun (febbraio-dicembre 1916) con 800 mila morti e l’assalto inglese sulle Somme (luglio-novembre 1916) con un milione di soldati sacrificati. Ad oriente il fronte era più mobile: la Russia perde nel 1915 Polonia e Lituania, mentre sia Serbia che Romania vengono invase e sconfitte. Francia e Regno Unito fallirono la spedizione navale contro l'impero ottomano, mentre Londra riuscì a difendersi dagli attacchi in mare dei tedeschi (battaglia dello Jutland fine maggio 1916). Efficace fu invece il blocco navale di Regno Unito e Francia nei confronti della Germania, che causò un calo nelle risorse primarie tedesche. Berlino rispose con attacchi indiscriminati alle navi avversarie, causando l’affondamento del transatlantico americano Lusitana, causato dal sommergibile U-20 nel maggio del 1915. Il fronte italiano: dall’Isonzo a Caporetto Anche in Italia la guerra era mutata in conflitto di posizione. Nel 1915 l’esercito guidato da Luigi Cadorna assalta ripetutamente le fortificazioni austriache dei fiumi Isonzo e Carso senza risultati, sottolineando l’inadeguatezza dell’equipaggiamento italiano. Nel maggio del 1916 gli austriaci lanciarono contro l’Italia la Strafexpedition (spedizione punitiva), spedizione che puntava ad attaccare il Trentino per poi penetrare nella pianura veneta. Gli italiani riescono però a respingere l’offensiva ad Asiago, mentre Cadorna La conferenza di Parigi Il bilancio del dopoguerra La Conferenza di pace si aprì a Parigi nel gennaio del 1919, con protagonisti i vincitori: Lloyd George per il Regno Unito, Georges Clemenceau per la Francia, Woodrow Wilson per gli USA e Vittorio Emanuele Orlando per l’Italia. Qui vennero imposte durissime condizioni alle potenze sconfitte, ed in pochi mesi si conclusero diversi trattati. Il Trattato di Versailles (28 giugno 1919) attribuì alla Germania la responsabilità della guerra, per cui subì condizioni durissime: il suo esercito e la sua flotta vennero quasi azzerati, le rive del Reno vennero smilitarizzate e occupate da truppe alleate, l’Alsazia e la Lorena tornarono alla Francia, lo Schleswig andò alla Danimarca e la Posnania e l’Alta Slesia passarono alla Polonia. Le colonie vennero spartite tra i vincitori e Berlino si vide imporre un debito di 132 miliardi di marchi, generando tra i tedeschi un sentimento di rivalsa che porterà Hitler al potere. Il Trattato di Saint-Germain (10 settembre 1919) fece ridurre drasticamente i territori dell’Austria, venendo ridotta a uno stato di piccole dimensioni. Stessa sorte toccò alla Turchia, confinata alla penisola anatolica e penalizzata dal Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, che affidava a Francia e Regno Unito le regioni del Medio oriente, ricche di giacimenti petroliferi. L’Europa post-guerra era dunque molto differente rispetto a quella del 1914: tre grandi Imperi erano crollati portando alla formazione di Polonia, Ungheria,Cecoslovacchia, Iugoslavia, Finlandia, Lettonia, Lituania ed Estonia. Era però molto presente il problema delle minoranze etniche, problema che porterà a nuove tensioni nel cuore dell’Europa. L’Italia e la “vittoria mutilata” L’Italia ottenne Trento, l’Alto Adige, Trieste e L’Istria, ovvero meno di quanto previsto dal patto segreto di Londra del 1915. Quell’accordo riservava anche una parte della Dalmazia e una parte delle colonie tedesche, accordo però non valido stando ai 14 punti di Wilson. Roma chiese inoltre l’annessione di Fiume, città abitata prevalentemente da italiani, e una parte dei domini ottomani, ma venendo rifiutato, Vittorio Emanuele Orlando abbandona temporaneamente la Conferenza. Questa verrà ricordata negli anni a venire come “vittoria mutilata”, termine coniato da Gabriele D’Annunzio. Il comunismo in Unione Sovietica La Rivoluzione del febbraio 1917 Agli inizi del 900’ la Russia viveva ancora una situazione di arretratezza economica e sociale, gli operai lavoravano 12 ore al giorno e percepivano salari minimi, mentre i contadini vivevano in condizioni difficilissime senza diritto allo sciopero. La guerra aggravò le cose, causando oltre 2 milioni di morti in battaglia e una carestia molto pesante, visto che i contadini erano stati mandati al fronte.Il rigido autoritarismo dello zar Nicola II era per questi motivi malvisto dagli operai, che il 27 febbraio 1917 (o 12 marzo) organizzano una rivolta a Pietrogrado. Fu ordinato ai soldati di sparare sulla folla, ma interi battaglioni si ribellarono e si unirono ai rivoltosi, portando all’arresto e alla deposizione dello zar. Il potere verrà preso da Alexandr Kerenskij in un governo provvisorio che si impegnerà con Parigi e Londra nella guerra. La Rivoluzione d’ottobre ed i bolscevichi al potere La Russia precipitò nel caos: le offensive lanciate al fronte fallirono, un numero sempre maggiore di soldati disertava per tornare al proprio villaggio, mentre i contadini rimasti si ribellarono ai proprietari terrieri e gli operai scioperavano. I soviet, consigli di operai, contadini e soldati che contrastavano molto spesso le decisioni del governo, ottenevano sempre più potere. I soviet erano guidati dai socialrivoluzionari, che premevano per una riforma agraria, e i socialdemocratici, divisi in menscevichi (favorevoli alla collaborazione con Kerenskij) e bolscevichi (portavoce della rivoluzione e della dittatura del proletariato). I bolscevichi riuscirono ad assecondare tutte le richieste più diffuse tra il popolo, per cui, secondo il loro capo Vladimir Lenin, i tempi erano maturi per una ribellione armata. Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917 (6-7 novembre) i bolscevichi assaltarono il Palazzo d’Inverno di Pietrogrado, sede del potere, costringendo Kerenskij alla fuga. In poche ore il potere era passato dal governo provvisorio al Consiglio dei commissari del popolo con Lenin alla guida, Lev Trockij agli Esteri e Josef Stalin alle Nazionalità. Lenin aveva già pubblicato quelle che erano note come le 10 tesi di aprile, ma 3 tesi sono le più importanti: pace immediata, riforma agraria (terre al popolo), potere ai soviet. Per quanto riguarda la riforma agraria, Lenin distribuì circa 150 milioni di ettari di terreno ai contadini, mentre il 25 dicembre 1917 firmerà l’armistizio con Germania e Austro-Ungheria e il 3 marzo 1918 il Trattato di pace di Brest-Litovsk, perdendo buona parte dei suoi territori. L’uscita dalla guerra gli permetteva di dedicarsi unicamente alla difficile situazione interna, dove i bolscevichi non erano ancora abbastanza forti da vincere le elezioni per l’Assemblea Costituente del novembre 1917. I bolscevichi decisero dunque di attuare un colpo di stato il 6 gennaio 1918, dove i menscevichi ed i social rivoluzionari vennero dichiarati fuorilegge, fu creata la Ceka (polizia politica) e la stampa libera ridotta al silenzio. Nel marzo del 1918 i bolscevichi assunsero il nome di partito comunista, sconfiggendo tutti gli oppositori politici in pochi mesi. La guerra civile Dopo la pace di Brest-Litovsk la capitale fu trasferita a Mosca, dove Lenin dovette affrontare la minaccia delle armate “bianche” zariste, chiamate così per il loro vestiario. Le armate bianche si scagliarono contro i comunisti, supportate da spedizioni di altri paesi timorosi che il “pericolo rosso” potesse diffondersi in tutta Europa. Nelle campagne scoppiarono rivolte contadine in seguito alla requisizione forzata del grano per il sostentamento dell’esercito, mentre i grandi proprietari terrieri si opposero all’abolizione della proprietà fondiaria. Anche le nazionalità oppresse per secoli dagli zar russi chiedevano una patria indipendente, portando alla nascita di Repubbliche autonome in Ucraina, Bielorussia e nella regione del Caucaso. Si ribellarono infine anche le etnie difficilmente assoggettabili dal potere centrale, come ad esempio i cosacchi. Tra il 1918 e il 1920 si combatté una lunga guerra civile, con oltre 6 milioni di morti, tra le prime vittime ci furono lo stesso zar e la sua famiglia, giustiziati la notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 dai bolscevichi a Ekaterinburg. I comunisti riuscirono infine a trionfare sconfiggendo ogni opposizione, soprattutto grazie alle armate rosse guidate da Lev Trockij. Dal “comunismo di guerra” alla Nep Lenin impose alla russia il “comunismo di guerra”, stabilendo che l'intera economia nazionale passasse sotto il controllo dello Stato. Oltre all'abolizione della proprietà privata, Lenin aggiunse il divieto di commerciare e creare imprese, la nazionalizzazione delle banche e delle grandi fabbriche, la sospensione della circolazione del rublo e il razionamento di molte merci. Lo scopo di questa politica era assicurare il sostentamento delle Armate Rosse, ma con queste novità la già debole economia russa crollò. Si diffuse dunque un forte malcontento contro il bolscevismo, seguito poi da diverse rivolte sedate spesso nel sangue. Venne dunque istituita la Nep, ovvero Nuova politica economica. Tra il 1921 e il 1928 vennero parzialmente riammessi le proprietà private e i metodi dell’economia capitalistica, mentre l’industria pesante e il sistema bancario rimasero sotto stretto controllo dello Stato. Fu consentito avviare piccole imprese e assumere manodopera salariata, per cui la moneta riprese a circolare e i contadini furono autorizzati a vendere il grano. Si formò una
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