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La Prima Guerra Mondiale: Capitolo 4, Appunti di Storia

Il quarto capitolo della prima guerra mondiale, concentrandosi sugli eventi che portarono all'ingresso dell'italia in guerra e alle conseguenze che ne derivarono in termini di alleanze, battaglie e politiche interne. Vengono inoltre trattati gli effetti della guerra sulla popolazione civile e le condizioni di pace imposte alla germania.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 25/01/2024

gaia-mancuso-1
gaia-mancuso-1 🇮🇹

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Scarica La Prima Guerra Mondiale: Capitolo 4 e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! LA PRIMA GUERRA MONDIALE cap 4 Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono austriaco, fu ucciso a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, una provincia dell’impero asburgico abitata per metà dai serbi. L’attentatore era lo studente di 19 anni serbo Gravilo Princip. Il governo di Vienna attribuì l’attentato alla società segreta “Mano nera” che agiva dalla Serbia rivendicando l’indipendenza dei popoli slavi sottoposti al dominio imperiale. Francesco Ferdinando infatti promuoveva una politica che contrastava l’espansione dei nazionalisti serbi. Alla serbia fu inoltrato un ultimatum con il quale Vienna esigeva una dichiarazione di condanna per l’accaduto, insieme a numerose altre condizioni che rendevano le richieste austriache inaccettabili. L’Ultimatum fu quindi respinto e l’impero austro-ungarico il 28 luglio 1914 dichiarò guerra alla Serbia. L’episodio che scatenò la guerra accadde quindi nei Balcani, dove c’era da tempo una competizione fra Austria e Russia. A seguito della dichiarazione di guerra i trattati stipulati negli anni precedenti scattarono subito, e presto la maggior parte dei paesi europei entrò in guerra. Per prima si mosse la Russia, che ergendosi a protettore dei popoli slavi, mobilitò le truppe a sostegno della Serbia. Di conseguenza la Germania, alleata dell’Austria-ungheria, dichiarò guerra alla Russia e successivamente alla Francia. Il giorno seguente le truppe tedesche invasero il Belgio, anche se neutrale, per procedere direttamente verso Parigi. Questa aggressione spinse l’Inghilterra a schierarsi a fianco degli alleati francesi, dichiarando guerra alla Germania. L’esercito inglese comprendeva truppe provenienti da tutte le colonie inglesi (australia, india, nuova zelanda, sudafrica, canada…). Successivamente l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Russia, mentre il Giappone si unì all’alleanza antigermanica. L’idea di un conflitto armato venne subito accettata, producendo un’ondata di frenesia ed esultanza che spinse migliaia di persone a riconoscersi in un sentimento patriottico. In Germania, il parlamento tedesco approvò all’unanimità i crediti di guerra, con il voto favorevole anche dei socialdemocratici e così avvenne anche negli altri stati europei, decretando la crisi della Seconda Internazionale (proletari di nazioni diverse non si uniscono ma si combattono e poi teoricamente si doveva essere pacifisti). In molti paesi nacquero governi di “unione nazionale”, nei quali forze politiche prima antagoniste decisero di affrontare insieme la guerra. Il leader socialista Jaurès, uno dei capi più autorevoli della Seconda Internazionale, venne ucciso il 31 luglio 1914. Molti civili si presentarono così come volontari per partire immediatamente verso il fronte. La partecipazione alla guerra appariva come un dovere patriottico oltre che come un’occasione per liberarsi della vecchia routine quotidiana, per costruire una nuova società. Importante fu anche il valore simbolico della guerra come rito di passaggio all’età adulta, verso una virilità fatta di abnegazione, coraggio e eroismo. Diverso fu invece l’atteggiamento di operai e contadini che vedevano la partecipazione alla guerra come l’ennesima imposizione da dover subire. Era opinione comune che la guerra sarebbe durata solo qualche settimana, ma presto ci si rese conto che non sarebbe stato così. L’avanzata della Germania attraverso il Belgio fu ostacolata dalla resistenza delle truppe di Alberto I e dai numerosi sabotaggi. Alla fine, di fronte alla potenza dell’esercito francese, i tedeschi furono costretti ad arretrare. Le forze anglo-francesi, ricevuto l’ordine di resistere ad oltranza, riuscirono a bloccare l’offensiva nella battaglia della Marna, respingendo il nemico. Il fronte occidentale si stabilizzò così dal Mare del Nord fino ai confini della svizzera. Il blocco delle manovre offensive portò alla costruzione di trincee scavate nel terreno, dove i soldati si proteggevano dal fuoco nemico in attesa di nuove battaglie. La guerra di movimento si era quindi trasformata in una guerra di posizione. Le trincee finirono per diventare sede permanente dei reparti di prima linea e il simbolo della guerra. In questi fossati i soldati erano esposti al tiro di cecchini e alle prese con intemperie, malnutrizione e scarse condizioni igieniche. Nel frattempo l’avanzata dell’esercito russo nella Prussia orientale aveva costretto la Germania a togliere uomini dal fronte occidentale. Nelle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri i tedeschi vinsero contro i russi che tuttavia sconfissero l’armata austro-ungarica a Leopoli. L’italia dalla neutralità alla guerra Appellandosi al carattere difensivo della Triplice alleanza (le potenze intervengono solo se una viene attaccata), il governo italiano aveva scelto in un primo momento la neutralità, inoltre, la questione delle terre irridenti alimentava la pubblica avversione nei confronti dell’Austria, che da parte sua non aveva nemmeno avvertito l’italia della sua decisione di dichiarare guerra alla Serbia. Per circa dieci mesi ci fu quindi un’accesa polemica fra “interventisti” e “neutralisti”. Tra i sostenitori della neutralità c’era il Partito Socialista di Filippo Turati, che dava voce a operai e contadini meno sensibili al patriottismo. All’interno del PSI Benito Mussolini, fra i massimi dirigenti socialisti e direttore del quotidiano del partito l’Avanti!, dopo essersi dichiarato neutrale, si schierò a favore della guerra come “levatrice” di una nuova configurazione politica e sociale in Italia. Espulso quindi dal PSI, egli continuò a battersi con gli interventisti dal giornale da lui fondato “il popolo d’Italia”. Insieme ai socialisti, lo schieramento cattolico era neutrale, come anche la maggioranza del Parlamento. A favore dell’entrata in guerra si schieravano invece i nazionalisti, che volevano recuperare le terre irredenti, i partiti della sinistra democratica e i fuoriusciti dall’impero austro-ungarico, con a capo Cesare Battisti. In nome di una guerra antitedesca furono interventisti anche molti intellettuali come Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile, Luigi Einaudi… Interventisti erano anche i liberali di destra, con a capo Salandra e Sonnino (ministro degli esteri). Appoggiati dal Corriere della Sera di Luigi Albertini, essi ritenevano che l’entrata in guerra potesse ricreare nel paese le condizioni per una svolta conservatrice. Inoltre il re Vittorio Emanuele III sperava in un successo militare contro l’Austria, al fine di rinsaldare le fondamenta della monarchia. Infine erano interventisti anche i rappresentanti dell’industria pesante, attratti dai guadagni che avrebbero ottenuto in caso di guerra. Il 26 aprile 1915 il governo italiano stipulò il patto di Londra con le potenze dell’Intesa, tramite il quale l’Italia si impegnava a entrare in guerra al loro fianco entro un mese. In caso di vittoria l’Italia avrebbe acquisito il Trentino Aldo Adige, Trieste, Gorizia, l’Istria, la Dalmazia, le isole del Dodecaneso, il protettorato sull’Albania, alcune colonie tedesche e il bacino carbonifero in Asia Minore. Firmato in segreto il patto di Londra, divenne essenziale ottenere l’appoggio del parlamento. In questa situazione Salandra diede le dimissioni. Il re offrì quindi l’incarico a Giolitti. D’Annunzio con un’iperbolica risonante oratoria, aizzò contro Giolitti e i neutralisti l’opinione pubblica, invocando la guerra come antidoto alla mediocrità dell’Italietta liberale. Giolitti rifiutò l’incarico, e Salandra venne riconfermato dal re. La Camera divette così votare il conferimento di poteri straordinari per l’entrata in Guerra al governo, e i socialisti si tirarono da parte. Intanto l’esercito italiano aveva condotto con successo due offensive sull’altopiano di Asiago e sul Carso, tuttavia il fronte dell’alto Isonzo venne sottoposto ad un pesante attacco che provocò lo sfaldamento di interi reggimenti. Il risultato della disfatta di Caporetto fu che il Friuli e metà del Veneto caddero in mano all’esercito austriaco. Cadorna accusò i soldati di essersi arresi e addossò ai socialisti la responsabilità morale del tradimento. Venne così sostituito dal comandante Armando Diaz che con una disciplina della persuasione considerò maggiormente i bisogni dei soldati concedendogli turni di riposo e razioni alimentari più adeguate. Diaz abbandonò poi la tattica offensiva risparmiando ai soldati l’incubo di continui assalti alle trincee nemiche. L’epilogo del conflitto fra marzo e luglio del 1918 la Germania sferrò cinque grandi offensive arrivando a minacciare di nuovo Parigi. Riunite così le forze, i francesi riuscirono a difendersi dagli attacchi tedeschi, passando al contrattacco con l’appoggio di 300 carri armati, i tedeschi dovettero quindi ritirarsi. L’Intesa passò allora all’offensiva, battendo i tedeschi nella battaglia di Amiens. In Italia, intanto, Boselli fu sostituito da Vittorio Emanuele Orlando, a capo di una maggioranza alla Camera ribattezzata “Fascio parlamentare di difesa nazionale”. AI fronte l’esercito italiano oppose un’efficace resistenza a una nuova offensiva, cosìche l’esercito austriaco dovette ritirarsi. Infine il 24 ottobre 1918 gli italiani vincono la battaglia di Vittorio Veneto sconfiggendo definitivamente gli austriaci. Nei giorni seguenti furono anche conquistate Trento e Trieste. Il 3 novembre i rappresentanti austriaci firmarono a Villa Giusti un armistizio con l’Italia, 4 novembre Diaz firma il proclama della vittoria. Quando gli italiani lanciarono la loro ultima offensiva, l’impero asburgico stava ormai sfandoandosi sotto la pressione dei movimenti indipendentisti. Il 16 nov 1918 l’imperatore Carlo I fu costretto ad abbandonare il paese. Il 31 ott 1918 era crollato anche l’impero ottomano. Il crollo dei due imperi accellerò la crisi tedesca. Un’insurrezione della flotta tedesca a Kiel divenne un’insurrezione rivoluzionaria: Guglielmo II fuggì e venne nominato capo del governo provvisorio Ebert, un esponente del Partito socialdemocratico. Due giorni dopo la Germania firma la resa ponendo fine al conflitto. Alla fine della guerra si verificò una catastrofica epidemia di spagnola che provocò ancora più morti. Il virus comparve e scomparve per cause ignote. I trattati di pace Nel gennaio 1918 Wilson aveva illustrato al Congresso un programma articolato in 14 punti che enunciava i principi attorno ai quali costruire una pace giusta e duratura. I 14 punti erano basati sulla cooperazione, in uno scenario che avrebbe previsto l'emancipazione delle nazionalità oppresse e il riconoscimento dei “diritti inviolabili dei popoli e dell’umanità”. Inoltre egli auspicava ad una “diplomazia aperta” in modo che gli accordi fra governi non sarebbero più stati nascosti, ma sottoposti al controllo dell’opinione pubblica. Wilson prevedeva anche la rimozione delle barriere doganali, la libertà di navigazione su tutti i mari e la riduzione degli armamenti avrebbero dovuto contibuire a rendere il mondo un luogo sicuro per la democrazia. A tutela del futuro assetto mondiale, Wilson aveva proposto l’istituzione di una Società delle Nazioni, con il compito di risolvere pacificamente le controversie internazionali. L'affermazione di questi principi nasceva dalla condizione del presidente americano della necessità di interessarsi alle sorti dell'Europa. A differenza di Lenin che vedeva possibile l’abolizione delle frontiere nazionali solo con il superamento del capitalismo, Wilson non lo metteva in discussione e mirava a salvaguardare il principio di nazionalità. L’idea di rafforzare il nesso fra nazionalità e democrazia incontrò larghi consensi fra gli intellettuali liberal-democratici e socialisti riformisti, che vi vedevano un antidoto all’internazionalismo socialista di Lenin. La conferenza di pace di Parigi si aprì il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles con la partecipazione di 32 nazioni, esclusi i paesi vinti e la Russia bolscevica. Wilson, il primo ministro francese Clemenceau e il premier britannico George assunsero un ruolo preminente. L’Italia, pur essendo uno dei paesi vincitori, venne messa in secondo piano. L’aspirazione di Wilson si scontrò subito con i disegni egemonici di Francia e Inghilterra, che si rifiutarono di applicare il principio di autodeterminazione dei popoli nelle colonie. Durante la discussione del trattato di pace con la Germania, i rappresentanti francesi manifestarono una risoluta volontà punitiva verso la Germania dovuta alla questione dell’Alsazia e della Lorena sommata al fatto che la Francia era stata invasa di nuovo dalla Germania, la Francia avrebbe quindi voluto riaquisire l’Alsazia e la Lorena, e i territori sulla riva sinistra del Reno. L’Inghilterra finì con l’appoggiare la Francia sperando di ottenere in cambio dei vantaggi nella trattativa con la Francia per la spartizione del Medio Oriente. La pace punitiva e le condizioni imposte alla Germania (il Diktat) furono legittimate in termini giuridici nell’articolo 231 del trattato di Versailles, che attribuiva alla Germania la “colpa” dello scoppio del conflitto. Le colonie tedesche vennero spartite fra Parigi e Londra, l’Alsazia e la Lorena furono restituite e per 15 anni il governo francese avrebbe potuto sfruttare le risorse carbonifere della Saar. Inoltre alla Polonia andarono alcune regioni orientali tedesche e di conseguenza 2 milioni di tedeschi si ritrovarono espulsi dai confini nazionali. Le clausole militari del trattato imposero alla Germania l’azzeramento della flotta militare, l’abolizione della leva militare obbligatoria, un’importante riduzione dell’esercito, la scomparsa dell’aeronautica, la smilitarizzazione di una fascia di 50 km sulla riva del Reno e l’occupazione per 15 anni della riva sinistra da parte delle truppe francesi, belghe e inglesi. Il principio della “colpa” tedesca portò al dover pagare 132 miliardi di marchi-oro in trent’anni. Con la fine della prima guerra mondiale avevano cessato di esistere l’impero russo, ottomano e austro- ungarico. Vennero così creati vari stati indipendenti, alcuni privi di un’egemoneità etnica-culturale. I nuovi confini vennero definiti in 4 trattati: il trattato di Saint-Germain con l’Austria, di Neuilly con la Bulgaria, del Trianon con l’Ungheria e di Sèvres con la Turchia. Questi stati vennero penalizzati molto. L’Austria venne sottoposta al controllo del Consiglio della Società delle Nazioni. Il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria vennero annesse all’italia, il resto dell’impero divenne Bulgaria e Ungheria. L’Ungheria subì pesanti riparazioni di guerra insieme a perdite territoriali. La Boemia e la Slovacchia si unirono nello stato della Cecoslovacchia. La Transilvania e una parte del Banato furono annesse alla Romania. Le popolazioni slave del sud diedero luogo al Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni. Il trattato di Sèvres sancì la conclusione del lungo processo di disgregazione dell’impero ottomano, che venne ridimensionato nella Turchia, il resto dei territori venne diviso fra Francia e Inghilterra. L’impero zarista perse la Polonia, la Finlandia e le province baltiche che divennero repubbliche indipendenti. Con il trattato di Versailles inoltre entrò in vigore il patto costitutivo della Società delle Nazioni, firmato il 28 aprile 1919. La Società delle Nazioni era composta da un’Assemblea alla quale partecipavano su un piano di parità tutti i paesi aderenti, e un Consiglio di nove membri, 5 permanenti e 4 eletti dall’Assemblea. Attraverso i “mandati” Francia e Inghilterra diedero sfogo alle loro ambizioni egemoniche in Medio Oriente. La Francia impose il suo ruolo di potenza mandatoria su Siria e Libano, l’Inghilterra su Palestina, Trans-Giordania e Iraq. La Società delle Nazioni si trovò tuttavia indebolita dalla mancata adesione degli USA, che con la vittoria dei repubblicani era tornata ad avere un indirizzo politico isolazionista.
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