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La Semiotica del Testo: Sigili di Comunicazione e Forma Narrativa, Sintesi del corso di Semiotica

Teoria della letteraturaFilosofia della comunicazionelinguisticaAntropologia

La teoria semiotica di Peirce, Husserl e autori come Saussure, Hjelmslev e Jakobson, che hanno contribuito all'edificazione della semiotica come studio dei sistemi di segni presenti nelle diverse società e culture. come i testi funzionano come configurazioni espressive che veicolano un universo esauriente di senso, attraverso esempi di narrazione e analisi critica della cultura mediatica. Il testo si colloca a un livello metalinguistico o metasemiotico, studiando il linguaggio e i sistemi di segni che 'parlano' di se stessi.

Cosa imparerai

  • Come funzionano i testi come configurazioni espressive?
  • Come il linguaggio e i sistemi di segni 'parlano' di se stessi?
  • Che ruoli svolgono Peirce, Husserl e autori come Saussure, Hjelmslev e Jakobson nella semiotica?
  • Come la semiotica ha influenzato l'analisi critica della cultura mediatica?
  • Che significa la semiotica e come si occupa dello studio dei segni?

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 23/01/2022

federica-galati-3
federica-galati-3 🇮🇹

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Scarica La Semiotica del Testo: Sigili di Comunicazione e Forma Narrativa e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! PRIMA LEZIONE DI SEMIOTICA: -Segni, codici e valori (1) 1.ESPRESSIONE E CONTENUTO: Il Dottor Marrone introduce alla semiotica attraverso un racconto: un gruppo di ragazzi in vacanza su un’isola mediterranea, partono alla ricerca di una spiaggia intima per trascorrere qualche ora in relax. Qualche insegna qua e là sta ad indicare bar e b&b, ma della spiaggia nessuna traccia, fin quando il gruppo non si accorge di qualche macchina abbandonata in modo improvvisato sul ciglio della strada. Tramite un’occhiata più attenta i ragazzi intravedono un viottolo che conduce che conduce ad una spiaggia isolata. Il mucchio di auto gliel’ha segnalato. Tramite questo racconto notiamo come una serie di tracce e insegne, indici e simboli, abbiano messo in moto un meccanismo di azione-reazione fatto di percezioni, tensioni, intuizioni e considerazioni. La visione delle automobili costituisce ciò che viene definita espressione significante (di natura empirica, sensoriale), ovvero, ciò mediante cui abbiamo capito (mezzo). La presenza della spiaggia, invece, rappresenta ciò che viene definito contenuto significato (di natura interpretativa, cognitiva), ciò che abbiamo inteso, dunque, grazie alla vista delle auto (contenuto, sostanza). L’unione tra essi dà vita a ciò che viene definito segno. L’avere, infine, trovato effettivamente il sentiero costituisce ciò che definiamo effetto pragmatico del segno (risultato), effetto, in questo caso, positivo, in quanto abbiamo trovato ciò che ci aspettavamo. 2. EMITTENTE E DESTINATARIO: Un segno, dunque è tale, se mette in relazione qualcosa di percettivo e cognitivo. A dispetto di una tradizione filosofica che ha teso a separare sensi e intelletto, i segni non fanno altro che metterli in relazione. L’addensarsi delle nuvole (emittente/significante), farà pensare all’arrivo della pioggia (significato/destinatario). Non sono i fenomeni in sé (le nuvole) ad essere significanti, ma la loro percezione da parte di qualcuno che, entrando empiricamente in contatto con essi, li associa a dei precisi significati. Il segno dunque non è una cosa che sta al posto di un’altra, ma la relazione che un qualche soggetto istaura tra due elementi, di cui spesso uno ha dimensione sensoriale e l’altro intellegibile. Relazione che si instaura a posteriori, grazie a chi è lì a percepire e pensare e non a chi ha prodotto quei fenomeni: un animale che lascia un’impronta non voleva certo farlo di proposito, e soprattutto, non voleva che la sua impronta fosse vista dal cacciatore che lo insegue. 3.COMUNICAZIONE E SIGNIFICAZIONE: Tornando all’esempio dell’isola, coloro che hanno parcheggiato l’auto sul ciglio della strada, non lo hanno fatto con l’intenzione di segnalare una spiaggia, magari avrebbero preferito non segnalarla e passare una giornata senza folla attorno. Il segno, dunque, non viene prodotto da chi ne rende possibile la costituzione del significante, ma da chi lo vede e interpreta. Ci sono anche alcuni segni emessi intenzionalmente per comunicare qualcosa, come quando indichiamo un oggetto a qualcuno. Ce ne sono altri, però, che vengono emessi inconsapevolmente, senza aver sentore che si tratti di segni, e che solo il destinatario potrà concepire come tali, se ne avrà i mezzi e le capacità. Ciascuno di noi è portatore involontario di segni (dal modo di parlare, camminare, vestire ecc..) che vanno a costituire l’immagine che gli altri hanno di noi e viceversa. Diversamente da ciò che si pensa, il primo motore del linguaggio, o per meglio dire, della significazione, non è l’emittente ma il destinatario: solo partendo da questo può essere generato un contenuto significato a partire da un’espressione significante. La comunicazione tradizionale ha luogo quando si attiva volontariamente la trasmissione di un messaggio (parte da me per arrivare a te)|a priori|. La significazione, invece, è un fenomeno più generale, dove il senso si coglie, per così dire, dalla fine, ossia da chi riesce a interpretare un significato percependo un significante (parte da te, ma, ha origine inconsciamente da me) |a posteriori|. La significazione è quel fenomeno che mette in relazione fenomeni sensoriali e atti cognitivi. 4. INFERENZA E CULTURA: Sulla base di cosa il destinatario mette in relazione significanti e significati? Non vi è nulla di universale in quanto tutto dipende dai meccanismi mentali attivati dall’interprete, che hanno valore differente a seconda dei casi. Se prendiamo in considerazione un’incidente stradale riconosciuto a partire dal traffico, non ci troviamo davanti ad una deduzione (a priori) perché non va dall’universale al particolare. Non c’è nessuna legge universale che stabilisce che ogni volta che ci troviamo davanti al del traffico sia presente un incidente. Si tratta dunque di un’associazione induttiva (a posteriori). Tornando all’apologo vacanziero, in quel caso non si è trattato né di deduzione, né di induzione. Non vi era né una legge universale da applicare, né un’esperienza pregressa che istituiva la regola. Abbiamo un po’ tirato ad indovinare; la nostra inferenza, il modo, cioè di riflettere che abbiamo usato per collegare significato e significante, era un’abduzione: un ragionamento grazie al quale siamo passati direttamente da un caso particolare (guarda quante auto), saltando le procedure di generalizzazione, alla legge complessiva. E lo abbiamo fatto anche grazie alla nostra “cultura” di riferimento: quell’insieme di saperi, abitudini e valori entro i quali siamo soliti dimorare e che ci hanno condotto a tirare ad indovinare. In Svezia, un evento del genere non si sarebbe mai verificato, in un’isola del mediterraneo si. E se degli svedesi si fossero trovati nella nostra medesima situazione, non avrebbero saltati alle nostre stesse conclusioni. Le nostre inferenze (modi di riflettere) dunque, non hanno nulla di personale, ma si basano su dei codici, ovvero stabilizzazioni più o meno durature di modi collettivi di pensare, agire e preferire dettati, mantenuti e modificati dalla pressione sociale. Essi sono consuetudini sociali e culturali che assumono l’aspetto di una legge senza esserlo effettivamente. 5. DIFFERENZA E VALORE: I codici sono dunque convenzioni antropologiche. Significa che le forme di associazione tra significanti e significati che essi rendono possibili o dichiarano impossibili, il più delle volte non sono legati a ragioni stingenti, ma valori: ordini di preferenze, di gusti e disgusti. La nozione di valore è composita e multiforme: in positivo ci serve per mostrare come i codici sociali siano legati al modo in cui l’individuo li assume, mediando tra valori collettivi e individuali. In altri termini diremmo che in segno nasce per differenza, quando si percepisce, cioè una discontinuità visiva, acustica, olfattiva ecc.. Un paesaggio normale non attira l’attenzione di nessuno, un paesaggio che non è come dovrebbe essere, invece sì (auto parcheggiate in malo modo). 6. RELAZIONI E NARRAZIONI: Il segno è la punta di un’iceberg semiotico: ciò che appare immediatamente e in tutta evidenza, ma che si articola di moltissimi meccanismi costruttivi, pressoché nascosti e fondamentali. I segni funzionano perché si intrecciano in testi ( come le parole, che sono pezzi di lingua e si realizzano solo se adoperate entro frasi e discorsi). I testi sono una qualsiasi porzione di mondo che si fa portatrice di una qualche configurazione si senso. Tornando al nostro esempio, a degli svedesi non sarebbero mancate solo le regole del codice che combinano il significante “auto” con il significato “sentiero”, ma sarebbe mancato l’intero testo dinamico, la rete complessiva di relazioni entro cui quel segno si costruisce. La semiotica dunque non si occupa di segni, ma di significazione, la quale, per essere prodotta, recepita e trasformata, deve fare riferimento a testi, unità di senso che le varie società impiegano per far transitare i propri valori di fondo. 7. FORME E SOSTANZE: I testi di cui si occupa la semiotica sono quelli che incontriamo nella nostra quotidianità. La quotidianità è piena di significazione. La significazione è il liquido amniotico entro cui l’essere umano vive. Il vissuto quotidiano si fonda su strutture profonde e inconsapevoli che sono di tipo semiotico: il compito della semiotica è quello di ricostruirle e chiarirne i meccanismi. Quando svolgiamo una qualunque attività non facciamo altro che emettere e recepire testi, con significati diversi, ma, molto probabilmente, con i medesimi meccanismi di funzionamento, le medesime forme dell’espressione e forme del contenuto. conosce il significato del termine “pipa”, tenterò di spiegarglielo attraverso altre parole (è l’arnese che si usa per fumare ecc..). Non c’è altro modo di dire un significante che quello di ridirlo in altre parole, di parafrasarlo. Il significato di un segno sta dunque negli altri significanti. Il senso sta nella continua trasformazione dei segni da uno all’altro, nella loro continua traduzione: esso non sta in un segno in dettaglio ma nel continuo passaggio fra segni e testi. Contrariamente a ciò che si sostiene i codici, le strutture, le forme del senso non hanno nulla di statico, sono istituzioni in movimento. Per esempio per un significante linguistico il dizionario offrirà una serie di definizioni elencate in un certo ordine, in base alla maggiore ricorrenza dei significati con cui lo si utilizza magari. Emerge così un codice culturale che fa si che a determinati significanti corrispondano per lo più determinati significati. Ma questa stabilizzazione è temporanea: la lingua evolve , i sistemi di segni si trasformano e tendono a far slittare la regola di codice che stabilisce le associazioni fra significanti e significati, producendone di nuove. -Visioni strutturaliste (3) -Storie (4) 1.FIABE, METAFORE, VERITÀ: La fiaba è il regno della fantasia, si tratta di storie semplici per gente semplice, soprattutto per bambini. Le metafore, allo stesso tempo sono artefici retorici per dire le cose in un altro modo, magari più bello e divertente. Sorge spontanea la domanda se tra fiabe, metafore e verità ci siano relazioni e quali queste siano. La cultura occidentale ha sempre tenuto queste rigidamente separate, fino ad arrivare ai nostri giorni dove da una parte ci sono le fake news e la cosiddetta post-verità e dall’altro lato lo storytelling. Da una parte l’esigenza di esattezza e realismo, dall’altra il continuo ricorso alle narrazioni. 2.L’AVVENTURA DELLA FIABA: Per molto tempo la fiaba non è stata oggetto di attenzione degli studiosi, era semplicemente un racconto ricco di morale e pedagogico. Le fiabe, essendo tramandate oralmente, sono soggette a continui cambiamenti, anche a seconda dell’ambiente storico-culturale in cui vengono raccontate. Con l’avvento del romanticismo inizia a svilupparsi un certo interesse verso il folklore: l’idea dei romantici era che il fondamento della cultura e identità di una nazione sia rappresentato dalle narrazioni popolari leggendarie, mitologiche, e soprattutto dalle fiabe. Ogni popolo si differenza così come dalla lingua, anche dalle sue storie fantastiche. Iniziò dunque un gran lavoro di trascrizione e raccolta di tutte queste storie, che ebbe un esito opposto rispetto a quella che era l’idea dei romantici: fiabe di paesi diversi apparirono incredibilmente simili, e così i loro protagonisti, finali e situazioni. Queste fiabe dunque sembrano far parte di una specie di riserva culturale, se non universale, potremmo dire transnazionale: come se gli uomini da secoli si siano raccontati sempre le stesse storie. Si iniziò a percepire, quindi, per il folklore narrativo un sentimento di somiglianza e differenza (ciò che stava accadendo anche per lo studio delle lingue). La percezione, insomma, di una grande varietà, a partire da qualcosa di comune. Poiché appunto non conosciamo il racconto originario, studiamo ciò che abbiamo a disposizione: le fiabe dei vari paesi, comparandole tra di loro. Il problema da teorico diventa metodologico: cosa e come bisogna paragonare? Qualunque classificazione finisce per essere insoddisfacente, come anche quella data da Aarne e ampliata da Thompson, i quali raggrupparono varie unità fiabesche partendo da quattro classi, creando questo schema: 1.Fiabe di animali: selvatici, selvatici e domestici, domestici, uccelli, pesci e così via; 2.Fiabe ordinarie: fiabe di magia, religiose, romantiche e dell’orco stupido; 3.Scherzi e aneddoti: storie stupide, di coppie sposate, di ragazze, di ragazzi ecc..; 4.Fiabe formulari: cumulative, ritornelli e altre formule. Lo sforzo è stato notevole, ma i risultati non dei migliori: se in una storia troviamo magia e animali, per esempio, dove la collochiamo? Inoltre i criteri utilizzati nei vari gruppi non sono gli stessi: i primi due usano un parametro legato ai contenuti, il terzo si basa sugli esiti nella narrazione dell’ascoltatore e il quarto un principio stilistico. D’altronde, man mano che aumenta il materiale raccolto, ci si rende conto che le fiabe si scompongono in parti che possono vivere di vita propria o essere elementi di storie più ampie, cambiando totalmente il senso dell’insieme o di un singolo personaggio. Prendiamo come esempio Giufà, personaggio del folklore siciliano: per indicarne la stupidità si prende in esempio la volta in cui per cuocere un pezzo di carne collocò in una parte della città il carbone acceso e dall’altra la carne, rendendone impossibile la cottura. Personaggio palesemente stupido. Ora raccontiamo la versione più lunga di questa storia: un uomo ricco scommette con un povero, l’uomo povero deve stare tutta la notte nudo in spiaggia senza scaldarsi, ricevendo in cambio un’ingente somma di denaro, se non ci fosse riuscito, avrebbe dovuto essere l’uomo povero a pagare. Durante la notte, ad un certo punto, nel mare, l’uomo povero vede una nave all’orizzonte e si avvicina per osservarla meglio, tuttavia il ricco obietta che avrebbe voluto scaldarsi con i fuochi della nave. L’uomo povero perde così la scommessa e racconta l’accaduto a Giufà. Giufà prende un pezzo di carne, lo piazza da un lato della città e posa il carbone acceso dall’altra parte della città. Tutti ridono di lui, finché non passa l’uomo ricco che, come tutti, lo irride. Giufà gli fa notare che la stessa cosa era successa all’uomo povero, come faceva a scaldarsi con qualcosa di così lontano? L’uomo povero vince la scommessa. Ecco, lo stesso racconto, con un contesto narrativo diverso, cambia il senso di un personaggio da stupido a saggio. 3.STRANIAMENTO E FORMALISMO: Vladimir Propp, folclorista russo, troverà una sintesi dei suoi studi (teoria lettearia, filmologia, comunicazioni di massa ecc..) in una disciplina detta narratologia, alla costruzione della quale la semiotica contribuirà da protagonista. Costui incrocia le sue ricerche con quelle dei formalisti russi, gruppo di linguisti che rinnova le metodologie di analisi delle opere poetiche e letterarie. I formalisti decisero di studiare l’esperienza concreta dei testi: oggetto degli studi letterari non è la letteratura (termine troppo vago) ma la letterarietà, ciò che fa di un qualsiasi messaggio, orale o scritto, un’opera letteraria. I critici letterari, sostengono i formalisti, si comportano come i poliziotti durante le perquisizioni: non sapendo esattamente come comportarsi, cercano indizi ovunque senza criteri specifici. Così i critici scavano nella biografia dell’autore, nelle sue idee politiche, condizioni sociali ecc.. senza porsi il problema preliminare di quale sia il reale oggetto specifico della loro analisi. Se tale oggetto può esistere, va riconosciuto nel linguaggio usato dall’artista e compreso dai suoi lettori. Secondo i formalisti esiste un linguaggio poetico, lei cui leggi possono essere riconosciute a partire da un raffronto con il linguaggio comune. Propongono di soffermarci sull’effetto di straniamento che l’opera produce nel lettore. Generalmente percepiamo il mondo in modo abitudinario, al punto che la maggior parte dei suoi elementi o eventi ci appare normale. L’arte, invece, permette di cogliere elementi nascosti legati all’esperienza: di fronte alla trasgressione dei codici stilistici consueti, l’interprete si trova spaesato. Secondo i formalisti russi la parola poetica non si preoccupa di rinviare ad un mondo esterno, ma essa manifesta se stessa, rivelandosi come segno atipico (non classificabile). La letteratura mette a nudo il proprio linguaggio moltiplicandone i significati, la letteratura, allude ad un “altro mondo” rispetto a quello cui rinvia la lingua comune; un mondo più ricco e meno evidente, più preciso e più vario. I formalisti spiegano il racconto letterario come la messa in intreccio di una fabula. All’interno di un romanzo, gli avvenimenti raccontati non si susseguono nell’ordine temporale e causale in cui sono o possono essere accaduti (fabula), ma sono disposti secondo un ordine fatto di anticipazioni, pause, sovrapposizioni ecc.. (intreccio): più l’intreccio è complesso più ci si distacca dal quotidiano. Per esempio, tra le varie forme narrative, l’uso del tempo ha leggi proprie che poco o nulla hanno a che vedere con le leggi temporali della percezione quotidiana e della conoscenza scientifica, a partire dalle quali è possibile cogliere il grado di letterarietà di un testo. 4.LA MORFOLOGIA DI PROPP: Analizzando diverso materiale, Propp si rende conto che al di là di personaggi e situazioni, la serie delle funzioni narrative resta costante. Così come in botanica si usa distinguere le piante in base alle loro caratteristiche morfologiche, allo stesso modo bisogna procedere per la fiaba: per dar luogo ad un’analisi rigorosa del folklore narrativo, bisogna cercare ciò che tiene insieme le singole parti, non di una singola storia ma di un intero genere. Come nella lingua distinguiamo fra variabili (sostanza) e invarianti (forma), allo stesso modo, secondo Propp, ogni fiaba ha la sua particolarità, ma tutte si fondano sulla medesima struttura, ossia sulla medesima successione di trentuno funzioni narrative. Gli elementi variabili sono i personaggi e i loro attributi psico-fisici e quelli invarianti sono le loro azioni, o meglio, la funzione che quelle azioni svolgono rispetto all’insieme della storia, come direbbe Saussure, il loro valore. Che l’eroe sia un contadino o un nobile, poco importa, lo schema sarà comunque ricorrente. Non significa che gli elementi variabili siano di secondaria importanza, da un punto di vista artistico sono fondamentali, ma non da un punto di vista morfologico. Una funzione narrativa è l’operato di un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda. Il termine significato ha un valore matematico qui: il ruolo di un elemento e le sue variazioni in funzione del ruolo e variazioni degli altri elementi. Un matrimonio, ad esempio, all’inizio di un racconto potrebbe indicare una situazione di mancanza (rapimento della sposa), nel mezzo del racconto, potrebbe indicare una prova o, se collocato alla fine, un premio: una medesima azione con un significato differente a seconda del posto che occupa. Per ricostruire tale insieme bisogna considerare non le azioni in sé ma le loro funzioni, le quali sono numericamente limitate e si susseguono nel medesimo ordine. La situazione iniziale, solitamente positiva ed equilibrata, spezzata da un divieto e la sua infrazione. La prima mossa significativa parte dall’antagonista che procura un danneggiamento, rompendo appunto l’armonia iniziale. Così la notizia della mancanza procurata dal danneggiamento si sparge e ha luogo la mediazione, la ricerca, cioè di chi dovrà riparare tale mancanza, assumendo il ruolo di eroe. L’eroe (che talvolta coincide con la vittima) non è tale dall’inizio ma lo diventa in seguito al superamento di alcune prove, date da chi ha subito il danneggiamento. La storia segue con la partenza dell’eroe alla ricerca dell’antagonista, che trova in uno spazio-temporale chiamato l’altro regno. Trovare questo luogo comporta un viaggio lungo il quale l’eroe trova degli aiutanti che gli fanno dono del mezzo magico, necessario al momento della lotta, oppure trova degli oppositori a cui lo sottrae. L’acquisizione della fornitura costituisce la parte centrale della fiaba e comporta la trasformazione da persona ad eroe. Giunti nell’altro regno, si svolge la lotta durante la quale avviene la marchiatura (un segno impresso nel corpo dell’eroe dall’antagonista) che si conclude con una vittoria e dunque rimozione della mancanza. Qui si chiude la parte della storia che riguarda la vittima, poiché l’eroe dovrà superare ulteriori difficoltà. Tornato a casa, infatti, incontrerà i falsi eroi che hanno cercato di prendere il suo posto. La fase dello smascheramento del falso eroe ha un che di teatrale, davanti ad un pubblico, composto anche da chi aveva mandato l’eroe nell’altro regno, e che adesso trovano l’eroe molto cambiato, quindi devono operare il riconoscimento e garantire la sua trasfigurazione. La favola si chiude con le nozze, ossia con il premio attribuito all’eroe. Vediamo dunque che ogni fiaba racconta due storie: una circolare e una lineare. Da una parte il racconto collettivo e sociale, dall’altra quello individuale dove ciascun eroe supera la propria prova. Nel primo caso c’è una conservazione, nel secondo una trasformazione, che è proprio l’anima di ogni fiaba. In sintesi, ogni fiaba è strutturata secondo tre grandi prove: prova qualificante (fornitura), prova decisiva (lotta) e prova glorificante (smascheramento e trasfigurazione). 5.LIVELLI DI PROFONDITÀ: Appare chiaro che il metodo scientifico impiegato da Propp nella sua analisi sia analogo a quello della linguistica strutturale: nella fiaba non importa l’aspetto esteriore accessibile a tutti, ma quel che sta dietro la narrazione, che ne rende possibile il racconto stesso, cioè la sua ossatura. È ancora una volta la differenza formulata dai linguisti fra sostanza e forma, singolo atto linguistico concreto e regole che lo rendono intellegibile, parola parlata (parole) e struttura della lingua (langue). Occorre dunque distinguere l’azione narrativa effettiva (storytelling), che è variabile, e la struttura narrativa, che rende possibile la narrazione. Da un lato la superficie, che appare direttamente e dall’altra la profondità, che si nasconde, sfuggendo ai più. La fiaba è composta da diversi strati/livelli di profondità. Propp fa altri due passi per spiegare la struttura della fiaba, la riduzione da sostanza a forma: 1° distinguere i personaggi veri e propri dai loro ruoli narrativi. Ogni personaggio occupa alcune sfere d’azione , queste sfere sono sette e riguardano: l’antagonista, l’eroe, il donatore, l’aiutante, il personaggio cercato, il mandante ed il falso eroe. Può comunque accadere che a una sfera corrisponda un personaggio, ma anche che ne corrisponda più di uno, o che un personaggio risieda in più sfere (l’eroe sono tre fratelli/il protagonista è sia eroe che mandante). 2°relativo ai movimenti narrativi: morfologicamente una favola può dirsi compiuta quando si passa da un danneggiamento alle nozze. Non significa che il racconto fiabesco consti di un solo movimento, magari, all’interno di una fiaba, giunti alle nozze, appaia un nuovo danneggiamento facendo cominciare un secondo movimento. È, invece, la struttura logica elementare della fiaba, definita appunto movimento, ad essere unico e uguale per tutte le fiabe. I diversi livelli di profondità, dunque sono i seguenti: -100 fiabe di magia, -31 funzioni- 7 essere un umano, grande sognatore e così via. Quindi vediamo come in questi fumetti sia presente un ‘topos’. Lucy, innamorata (e non corrisposta) da sempre di Schroder, quando lo vede con Frieda, resta distrutta e non sa cosa fare. Ecco due rotture rispetto al contesto e personaggio standard: Frieda al “posto” di Lucy, e Lucy che non reagisce. Il danneggiamento, dunque non ha luogo rispetto alla situazione di armonia iniziale, come avviene nelle fiabe di Propp, ma rispetto al topos narrativo pregresso. La mancanza sta nell’aver perduto non Schroder, ma la possibilità stessa di provarci. Allora qui interviene Snoopy (aiutante), il quale, inizialmente condivide la disperazioni di Lucy provando com-passione, successivamente, le spiega come reagire fornendole, piuttosto che il mezzo magico, i valori a partire dai quali comportarsi. Lucy “aggredisce” dunque l’antagonista; segue la lotta (non fisica) e la vittoria esplicitata dal riconoscimento dell’eroe nell’ultima vignetta. Lucy, durante il corso della vicenda, si è a suo modo trasformata, adesso è più battagliera di prima. Vediamo dunque una storia che è perfettamente leggibile attraverso gli strumenti della narratologia post-proppiana, tenendo, però, conto, non solo delle azioni, ma anche e soprattutto dei processi relativi alle passioni. Della regina travestita da musicante sapevamo ben poco, nel caso di Lucy, conoscevamo già i suoi tratti psicologici. -Testualità, società, cultura (5) 1.VITA SOCIALE: “Una scienza che studi la vita dei segni nel quadro della vita sociale” disse Saussure per individuare quella che viene definita semiologia o scienza dei segni. La nascente cultura di massa ha reso indispensabile una prospettiva teorica capace di allestire un metodo d’analisi formale della società. La semiotica risponde proprio a questo e nasce come disciplina specifica. Occuparsi di televisione, giornalismo o moda esigeva la costruzione progressiva di uno sguardo che coniugasse competenze linguistiche e curiosità sociologica. Così da una parte ci si è concentrati sulla fondazione di una semiotica come indagine sulla cultura umana, mirando alla costruzione di modelli per lo studio dei meccanismi antropologici. Dall’altra ci si è concentrati sullo studio dei linguaggi non verbali (immagini, gestualità ecc..), affinchè tale studio proponesse metodi di analisi per ogni possibile opera di espressione e comunicazione. Alcuni autori, come Greimas, hanno saputo incrociare i due studi creando dei modelli di riferimento. Progressivamente, la scienza della significazione, ha allargato la nozione di testo, utilizzandola per studiare unita semiotiche che fanno uso di sostanze espressive non verbali (fotografie o dipinti ad esempio), e anche manifestazioni culturali molto diverse fra loro che possono avere le stesse proprietà fondamentali di un libro di testo (chiusura, biplanarità, tenuta ecc..) senza averne l’evidenza. Edifici, campagne pubblicitarie o conversazioni orali , seppur non essendo testi da un punto di vista empirico, vengono esaminati come tali da un punto di vista metodologico, poiché in essi si possono riscontrare le stesse proprietà dei testi propriamente detti. Il testo semioticamente inteso, non è una cosa, un oggetto empirico, ma un modello teorico usato come strumento di descrizione. La nozione di testualità è stata edificata a partire dai testi propriamente detti (romanzi, poesie, quadri) per ricostruire l’articolazione significativa di manifestazioni semiotiche apparentemente non testuali (esperimenti scientifici, ipermercati, preparazione di un piatto). Il testo diventa modello formale per la spiegazione di tutti i fenomeni umani e sociali. Da qui la sociosemiotica. Autori come Floch hanno esplorato la possibilità di uno studio formale e semiotico di fatti sociali come la comunicazione pubblicitaria, giornalistica, la moda, il design ecc.. badando ai loro supporti testuali, alle ampie valenze sociali e culturali. Analizzando dunque situazioni quotidiane, esperienze o usanze, con la sociosemiotica viene a cadere la dicotomia fra ciò che è l’ordine del testo e ciò che lo circonda in quanto contesto, poiché anche quest’ultimo può avere una sua consistenza semiotica. Per la sociosemiotica qualsiasi cosa può essere al tempo stesso significativa e sociale. Dal punto di vista sociosemiotico, il contesto è ciò che non è pertinente per la significazione sociale. E il testo è il dispositivo formale mediante cui il senso di manifesta e circola nella società e cultura. Il testo, per forza di cose, è negoziato entro le dinamiche culturali che, ponendolo in essere, esistono e sussistono , in un continuo intreccio con altri testi. Dunque il testo è sempre pronto a riconvertirsi in altre configurazioni testuali, altri linguaggi, in una catena intertestuale, interdiscorsiva e intermediatica senza fine che è la semiosfera. 2.ECO E L’INTERPRETAZIONE: La questione della testualità, per Eco, si intreccia alla riflessione sul segno ripensata sui principi della filosofia pragmatica di Pierce. Per Eco, la primarietà del piano semantico (relativo al significato) su quello espressivo, trova conferma nel concetto di interpretazione. Interpretazione considerata come attività non esterna ma inerente sia al segno che al testo. Per Eco, l’assunzione della nozione di testo entro la ricerca semiotica, non comporta una rinuncia all’analisi semantica dei singoli termini. Una parola, frase, testo ecc.. grazie alle proprie strutture interne sollecitano un costitutivo lavoro pragmatico del destinatario, che viene portato ad attivare porzioni della propria ‘enciclopedia’, in modo da completare il senso che il testo lascia come in sospeso. Il testo, emerge, come una specie di configurazione culturale dinamica, una sorta di dialettica continua fra detto e non detto, fra ciò che esso esplicitamente proferisce e ciò che invece si limita a presupporre. Il testo è una macchia pigra, piena di spazi vuoti, lasciti tali in modo che il lettore li riempia di significato. Il lettore, definito ‘lettore modello’ provvedere a colmare tali vuoti attraverso un’attività cognitiva. Non tutti i testi possiedono le stesse macchie e quindi non tutti i lettori sono sollecitati allo stesso modo: una telenovela racconta la propria trama più di quanto non lo faccia un racconto letterario. È anche vero che la telenovela, ricchissima di trama, è poverissima dal punto di vista narrativo. Non bisogna quindi confondere il grado di esplicitazione del senso di un testo con la sua taglia espressiva e di conseguenza con la quantità di informazioni in esso contenuta. Il testo di cui discute Eco, quindi è di natura inferenziale, cognitiva. Il lettore è inscritto nel testo e la sua attività è prevista dal testo, e l’enciclopedia grazie a cui il lettore modello azzarda le proprie ipotesi interpretative, è la competenza che il testo richiede al proprio lettore per essere capito. La cultura è un insieme di testi senza alcuna gerarchia prestabilita che decida scale assolute di valori logici o metafisici. Da ciò ricaviamo quello che Eco definisce pansemiotismo: l’intera vita quotidiana, cioè, appare come un reticolo testuale in cui motivi e azioni diventano elementi di un tessuto semiotico in cui qualsiasi cosa interpreta qualsiasi altra. La semiotica di orientamento interpretativo pensa quindi il testo come spazio dinamico in cui si innesta una sorta di dialettica fra regole precostituite ed enciclopedia culturale. 3.GREIMAS E LA DESCRIZIONE: Greimas sostiene che il testo, di qualunque specie e dimensione, costituisce l’oggetto della conoscenza semiotica. I testi sono filtri formali mediante cui gli uomini accedono ad un senso che, per definizione, li precede, che cercano di cogliere per dare un qualche significato alla propria esistenza fisica e culturale. Compito della semiotica è di ricostruire la griglia testuale portandola alla luce, esplicitandola. Il testo si configura come la punta di un iceberg del cosiddetto percorso generativo del senso, il luogo dove tale percorso si manifesta e si rende conoscibile. Ogni significazione umana e sociale può essere descritta dal semiologo a diversi livelli di pertinenza ad esempio della narratività o a livello di strutture molto elementari. Il testo dunque è l’esito della testualizzazione, che consiste nel bloccare il percorso generativo mostrando il livello in cui ci si trova. L’oggetto che la semiotica pone al suo livello empirico, non ha nulla di banalmente empirico, non è un dato come tale, ma viene costruito culturalmente come se fosse un dato naturale (ovvio, abitudinario). Alla base della prospettiva semiotica c’è una doppia operazione costitutiva, secondo la quale l’oggetto di conoscenza è qualcosa al contempo dato (punto di partenza delle descrizioni immanenti) e costruito (la costruzione deve essere giustificata, motivata a livello del metodo. Greimas afferma che qualunque semiotica-oggetto, ossia qualunque grandezza manifesta che ci si propone di conoscere esiste soltanto nel quadro di un processo di descrizione. L’empiria della semiosi non ha nulla di dato, di naturale, se non nel senso di ciò a cui siamo abituati. Alla voce ‘testo’ si riprende la questione, precisando che le semiotiche-oggetto da analizzare, sono sempre e comunque testi, che si edificano a partire dai vari livelli di pertinenza che si decide di prendere in considerazione al loro interno. Per il semiologo il testo deve essere sollecitazione per un approfondimento dei propri modelli di analisi. Il testo non è mai da prendere come elemento puro ma come ipotesi di descrizione della significazione. Così l’epistemologia semiotica è radicalmente costruttivista.
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