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Primitivismo, Alessandro Del Puppo, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Libro richiesto dal corso di ARTISTI E CULTURA VISIVA NELL'ETà CONTEMPORANEA a ROMA TRE

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 18/04/2023

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simona-rosiello 🇮🇹

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Scarica Primitivismo, Alessandro Del Puppo e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! TRA ANTROPOLOGIA E STORIA DELL’ARTE Nel 1890 Paul Gauguin annunciò l’intenzione di voler vivere a Tahiti “come un uomo he si ritira dal mondo cosiddetto civile per non frequentare che i cosiddetti selvaggi”. In questo viaggio si identifica l’avvio di quel rinnovamento di gusto e di linguaggi che prese il nome di primitivismo. S’intende per primitivismo quel fenomeno che ha contraddistinto alcune culture visive del moderno Occidente, orientate a stabilire un insieme di relazioni con i prodotti culturali dei popoli dell’Africa, dell’Oceania e dei nativi americani. Tuttavia, il primitivismo non si esaurisce solo nell’influenza di carattere stilistico e iconografico sulla pittura di cubisti ed espressionisti, ma si estende a partire dagli anni Venti verso una più ampia ricognizione su possibili modi di osservare l’arte e pensare la creazione artistica. A inizio Novecento si tendeva a riunire sotto un’unica e indifferenziata etichetta di “primitive” tutte le arti che fuoriuscivano dalla tradizione di verosimiglianza dell’Europa occidentale: dall’arte egiziana, bizantina e orientale fino al tardoantico e al Medioevo europeo (compresi Giotto, Masaccio e Paolo Uccello). Da non sottovalutare è il pensiero del Romanticismo sviluppatosi nella prima metà dell’Ottocento. In un passo del 1486, Charles Baudelaire aveva sostenuto che l’arte, per muovere verso la perfezione, doveva tornare alla propria infanzia. La pittura era un’evocazione magica che doveva consultare l’animo dei fanciulli, la scultura invece era considerata negativamente per la sua maggiore approssimazione alla realtà brutale. È proprio questo carattere ideale che vide artisti, scrittori e poeti proiettare dallo scorcio dell’Ottocento in poi la rappresentazione delle culture primitive sui modi spontanei e sorgivi dei fanciulli. La presunzione di ridurre l’uomo primitivo al mito del “buon selvaggio” e l’identificazione dell’infanzia dell’uomo con quella delle civiltà dichiara uno sfondo di matrice eurocentrica ed evoluzionistica. In quanto specifico fenomeno, il primitivismo è caratterizzato da unidirezionalità (l’arte primitiva è proiettata sulla nostra arte e non il contrario) e non-reciprocità (noi presumiamo di assimilare e comprendere le arti primitive, mentre nessuno ritiene utile chiedere a un polinesiano il suo punto di vista su Picasso). Il fenomeno del primitivismo nacque come prima e diretta conseguenza dello sviluppo coloniale tra il 1815 e il 1915, da ciò ne conseguì la diffusione di oggetti etnografici: dapprima come curiosità esotiche da offrire al pubblico delle grandi esposizioni universali (es. i villaggi indigeni allestiti a Parigi nel 1889) e poi diffuse in maniera capillare alimentando collezioni private e musei. A quest’offerta si aggiungeva la disponibilità di immagini riprodotte, che misero a disposizione, attraverso la fotografia, le cartoline e i giornali illustrati, un vasto patrimonio iconografico. Tuttavia quando l’opera primitiva entrava nello spazio storico dell’Occidente moderno, vedeva dissolvere la propria storia particolare nell’atemporalità. Negli ultimi anni dell’Ottocento l’incremento di studi e collezioni d’antropologia ed etnografia offrì uno strumento decisivo per fuoriuscire dalle crisi del naturalismo. L’associazione della libera espressività con l’idea di autenticità condusse a una sostanziale rivalutazione delle immagini antinaturalistiche prodotte dalle culture tribali. Così la nozione stessa d’arte primitiva e di primitivismo fece ingresso nella cultura figurativa del Novecento rovesciando la sua tradizionale valutazione negativa. Da termine dispregiativo, legato alla presunta rozzezza dei manufatti e all’inabilità degli artefici, l’arte tribale divenne misura di autenticità, vitalità e originalità. Questa fede nell’arte primitiva di basava naturalmente su un’interpretazione astratta e idealizzante, assai lontana dalla comprensione delle reali condizioni di produzione. Le rappresentazioni occidentali dei fenomeni culturali indigeni non costituivano delle descrizioni naturalistiche, ma erano il prodotto di un’egemonia culturale con pretese di obiettività. L’interpretazione formalistica dell’estetica europea impedì di cogliere l’esistenza di dati su cui era possibile costruire una lettura comparata delle arti. Come ha posto in evidenza l’antropologo Geertz “il mezzo artistico e il sentimento della vita che lo anima sono inseparabili”. La rappresentazione del mondo primitivo tendeva al recupero utopistico di un Eden perduto, a baluardo della corruzione della società moderna. In tutti i casi, il decorso storico del primitivismo all’interno della storia dell’arte del Novecento passa attraverso pochi eventi ben precisi: il viaggio di Gauguin a Tahiti, la conoscenza delle maschere africane a Parigi intorno al 1906, l’incontro dei surrealisti con gli antropologi degli anni venti, e infine il recupero di questa esperienza da parte della New York school negli anni Quaranta. ESOTISMO E PRIMITIVISMO A Tahiti Gauguin visse dal 1891 al 1903, anno della sua morte, con un solo rientro a Parigi. Si dedicò intensamente alla scultura all’intaglio, realizzando pregevoli statue modellate sulle locali raffigurazioni di idoli Tiki i rilievi decorativi che installò nelle sue abitazioni. Le sculture polinesiane raffigurate nei dipinti agiscono più come simboli di primordiali concezioni religiose che non come strumenti di rielaborazione stilistica. Gauguin teneva infatti viva l’attitudine a citare i manufatti e scultorei per conferire un valore sacrale alla figura dipinta, come già svolto nella trasfigurazione ideale della Belle Angèle, grazie all’accostamento del ritratto in mandorla una terracotta precolombiana. Con il suo lavoro Gauguin intendeva reagire all’irreversibile delle gradazione indotta dalla colonizzazione francese dell’isola polinesiana rimanendo fedele a un’immagine paradisiaca. Nonostante i propositi allontanarsi dalla civiltà, Gauguin a Tahiti rimase sorpreso dalla presenza della luce elettrica e del fonografo, segni di una chiassosa modernizzazione. D'altra parte l'immagine delle donne indigene era filtrata da motivi culturali difficili da eludere: la eleganti acconciature le pieghe degli abiti venivano paragonate alle figure della classicità Greca. Molti suoi dipinti richiamano esplicitamente l’iconografia di Eva, della Vergine o della natività. Gli scorci prospettici, la collocazione delle figure nello spazio, il rapporto tra primi piani e sfondo e gli accordi cromatici parlano infatti di un pittore disposto ad accordare i motivi etnici locali con la grande pittura dell’800 francese, mai a respingerla. Al Salon d’Automne del 1906 si tenne una retrospettiva di Paul Gauguin. L’arte oceanica osservata e dipinta nei suoi ultimi anni di vita ambiva a restituire l’immagine di una natura pura incontaminata, che prendeva volentieri le forme dell’idillio amoroso, ambientato in una atemporale età dell’oro. Su questa linea sembrava voler proseguire la pittura di Matisse, quando nel 1906 lavorava a La gioia di vivere. Nel giro di pochi mesi la circolazione delle Arti tribali e gli sviluppi dell'avanguardia parigina sembrano subire una comune accelerazione. In autunno Matisse compì il primo viaggio in Algeria, qui venne a conoscenza delle ceramiche e dei tessuti orientali confrontandosi anche con la plastica tribale. Nudo blu: Ricordo di Biskra: venne esposto nella primavera del 1907 insieme a Bagnanti di Derain. Questi dipinti erano contraddistinti da un'iconografia classica, che stravolgeva l'importante tema del nudo francese attraverso le deformazioni anatomiche, incongruità dei punti di vista, la modellazione geometrica delle forme. In altre opere di Matisse sono presenti Chiari riferimenti alla semplificazione formale delle maschere tribali, benché lo stile sia meno aggressivo rispetto all’operare picassiano. In una nota dedicata alla genesi del cubismo, Apollinaire si soffermò su questa fase offrendo una giustificazione alla vasta risonanza dell’“art nègre”. le maschere africane manifestavano analogie con la pittura, le stampe e le sculture di Gauguin. Attraverso il loro impiego si era giunti a riprodurre la figura umana senza utilizzare alcun elemento ricavato dalla visione diretta. Questo risultato aveva segnato la nascita del cubismo, arte di dipingere degli insiemi pittorici improntati alla realtà della concezione piuttosto che alla realtà della visione. Picasso stava lavorando al dipinto “Les demoiselles d’Avignon” quando nel 1907 visitò a Parigi il museo etnografico. Qui rimase fortemente colpito dalla deformazione dei volti e dalla concezione intuitiva dei manufatti africani e mise mano alle due figure a destra del quadro. La rielaborazione di queste due figure consentì al pittore di risolvere l’assillante problema di come passare da un dipinto narrativo, che nella sua prima versione prevedeva un marinaio-cliente nel bordello e uno studente che recava il teschio come "memento mori”, a un registro iconico. Le maschere africane erano in grado, con la solo forza della loro presenza mostruosa, di
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