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Primo e secondo libro del trono di spade, Traduzioni di Letteratura Inglese

Primo e secondo libro del trono di spade

Tipologia: Traduzioni

2018/2019

Caricato il 23/06/2019

SimonaMaff
SimonaMaff 🇮🇹

5

(1)

8 documenti

1 / 784

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Anteprima parziale del testo

Scarica Primo e secondo libro del trono di spade e più Traduzioni in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! GEORGE R.R. MARTIN IL TRONO DI SPADE (A Game Of Thrones, 1996) Questo libro è per Melinda PROLOGO Le tenebre stavano avanzando. oscu- ri. «Meglio rientrare.» Gared osservò i boschi attorno a loro farsi più «I bruti sono morti.» «Da quando hai paura dei morti?» C'era l'accenno di un sorriso sui line- amenti di ser Waymar Royce. be visto. Tutti i detta- gl tato cacciatore. In re i Mallister. La scelta era stata se lui, ta lcune spade, qualche arco. Uno degli uomini aveva un'ascia. Roba pe almente na to a non farmi vedere.» Non riuscì a reprimere un tremito. «Nell'avvi- ci rriero anziano della pattuglia. Alle loro spalle, le foglie nti con quel suo modo di fare a metà strada fra il distratto e l'annoiato. Will era uscito di pattuglia con ser Waymar abbastanza volte da aver capi- to che era meglio non disturbarlo quando faceva così. «E sia, Will» decise il giovane. «Ripetimi quanto hai i senza dimenticare niente.» Prima di entrare nei Guardiani della notte, Will era s altà, bracconiere. Le guardie a cavallo di lord Jason Mallister l'avevano colto nei boschi padronali attorno a Seagard mentre, con le mani insangui- nate, scuoiava un cerbiatto, anche quello d mplice: o indossare gli abiti neri dei Guardiani o ritrovarsi con una mano mozzata. Nessuno era in grado di muoversi in silenzio nei boschi come lento che la confraternita in nero non aveva tardato a scoprire. «Il loro accampamento è due miglia più avanti» disse Will. «Oltre la ci- ma di quella collina, vicino a un torrente. Mi sono avvicinato più che ho potuto. Erano in otto, tra uomini e donne. Niente bambini, o almeno io non ne ho visti. Avevano costruito un rifugio a ridosso delle rocce. La neve l'a- veva ricoperto quasi tutto, ma era ancora distinguibile. Il fuoco non era ac- ceso, i ceppi erano lì pronti, però. Nessun movimento. Sono rimasto a guardare per parecchio. Nessuno può giacere immobile nella neve così a lungo. Nessuno che sia ancora in vita.» «Sangue ne hai visto?» «Ecco... no» ammise Will. «Armi?» «A sante, rozza, di ferro scuro. Era a terra accanto a lui, vicino alla sua ma- no destra.» «Hai preso nota della posizione dei corpi?» Will alzò le spalle. «Una coppia seduta presso una roccia, il resto a terra. Come se fossero morti.» «Oppure addormentati» suggerì Royce. «Morti» insisté Will. «Una delle donne era su un albero, parzi scosta dai rami. Di guardia.» Ebbe un debole sorriso. «Sono stato bene atten narmi, però, ho notato che nemmeno lei si muoveva.» «Hai freddo?» chiese Royce. «Un poco» mormorò Will. «È il vento, mio signore.» Il giovane cavaliere, in sella al destriero nero che si agitava inquieto, si voltò verso il gue irr emandosi l'ampia cappa d' o, quando ero ragazzo, ho visto uomini congelati. E ne ho visti anche l'inverno precedente. Tutti parlano di manti di neve spessi qu , a sognare buon vino caldo speziato e fa na grande pa- ce Waymar. «Mai me la sarei aspetta- ta iù coper- to a. «Vedremo quanto ti coprirai tu, si a senza che si ritrovasse in al- m uello spoc- ch ra la Barriera?» iva dove voleva arrivare ser W igidite dal gelo continuavano a frusciare. Ser Waymar chiese in tono colloquiale, sist ermellino: «Secondo te, Gared, che cosa ha ucciso quegli uomini?». «Sarà stato il freddo.» La voce di Gared non era priva di una sfumatura ironica. «Un invern aranta piedi, del vento glaciale che soffia da nord, ma è il freddo il vero nemico. Ti scivola addosso più subdolo di Will. Cominci a tremare, a bat- tere i denti, a pestare i piedi per terra lò che ardono. E il freddo che brucia. Nulla scotta come il freddo, ma non dura molto. Perché una volta che è dentro di te comincia a riempirti, finché non ti rimane più la forza per combatterlo. Ti siedi, ti addormenti. Molto più facile. Dicono che quando si avvicina la fine, non senti più nien- te, diventi debole, intontito, tutto comincia a svanire. Hai come l'impres- sione di sprofondare in un oceano di latte tiepido, pieno di u .» «Quale eloquenza, Gared» rilevò ser da te.» «Io l'ho avuto dentro di me il freddo, signore.» Gared abbassò lo spesso cappuccio del mantello scoprendo due moncherini deformi al posto delle orecchie. Ser Waymar non distolse lo sguardo. «Due orecchie, tre dita dei piedi, il mignolo della mano sinistra. E a me è andata bene. Mio fratello fi- nì congelato durante il turno di guardia. Stava ancora sorridendo.» Ser Waymar si strinse nelle spalle. «Dovresti andare in giro p .» Gared lo folgorò con lo sguardo. La rabbia trasformò le cicatrici attorno alle sue orecchie, là dove maestro Aemon era stato costretto a tagliare le parti congelate, in rossi sentieri di fiamm gnore, quando verrà l'inverno.» Gared s'incurvò nuovamente sulla sella, cupo e taciturno. «Se Gared dice che il freddo...» cominciò Will. «Hai fatto guardie la settimana passata, Will?» «Sì, mio signore.» Non passava settiman eno una dozzina di maledetti turni. Cos'altro aveva in mente q ioso damerino? «E com'e «Umida.» Will corrugò la fronte. Ora intu aymar. «Quei bruti non potevano congelare. Non se la Barriera era umi- da. Non faceva abbastanza freddo.» tto uomini adulti. Uomini vestiti di cuoio e pelli, i qu e un rifugio ed erano in di supe- rio orpi.» La notte prima era caduta altra neve e sotto l'ingannevole strato bi ile al colore di una vecchia contusione. Da quella tin va rendendo insolente «non voglia essere tu ad aprire la strada.» o ululò. li rivolse un sorriso beffardo. Royce annuì. «Proprio così. Abbiamo avuto alcune lievi gelate la setti- mana scorsa, più qualche spruzzata di neve qua e là. Ma certamente non un freddo tale da uccidere o ali, lasciate che ve lo ricordi, avevano a disposizion grado di accendere fuochi.» Il giovane cavaliere ebbe un sorriso rità. «Guidaci, Will. Voglio vedere io stesso quei c Non c'era altro da fare se non obbedire. L'ordine era stato dato, e il giu- ramento li costringeva all'obbedienza. Will passò in testa, il suo malridotto morello che avanzava cauto nel sot- tobosco. anco c'erano pietre, radici, affossamenti, tutte insidie nascoste per chiun- que non fosse stato sul chi vive. Ser Waymar veniva dietro di lui, le froge del grande destriero nero che si dilatavano con impazienza. Quel cavallo da guerra era inadatto alle esplorazioni nella foresta, ma chi avrebbe osato farglielo notare? Gared restò di retroguardia, mugugnando tra sé. Il crepuscolo si fece più cupo. Il cielo privo di nubi assunse una sfuma- tura viola profondo, sim ta, scivolò nel nero. Le stelle fecero la loro comparsa. Sorse la mezzalu- na. Will fu grato per quelle luci lontane. «Possiamo andare più in fretta di così» disse ser Waymar quando la luna fu alta. «Ne sono certo.» «Non con quel cavallo» ribatté Will. «A meno che, mio signore» la pau- ra lo sta Ser Waymar non si degnò di rispondere. Da qualche parte, nel buio pesto della foresta, un lup Will fece fermare il cavallo vicino a un antico tronco contorto dal tempo e smontò. «Perché ti fermi?» gli chiese ser Waymar. «Meglio proseguire a piedi, mio signore. Il loro campo è appena dietro quella cresta.» Royce si arrestò, pensieroso in volto, lo sguardo che esplorava lontano. Il vento freddo sussurrava tra gli alberi. La sua cappa d'ermellino si gonfiò come un'entità vivente. «Qualcosa non va» disse Gared a voce bassissima. «Davvero?» Il giovane cavaliere g «Non senti?» ribatté Gared. «Ascolta le tenebre.» Will sentiva. Quattro anni nei Guardiani della notte, eppure non aveva l'albero-sentinella e cominciò ad arrampicarsi tra i rami di legno grigiastro. In breve, le sue mani furono viscide di resina. Venne inghiottito dal labi- rin e immobile ad ascoltare, a osservare. fruscio del fogliame, il gor- go no alcun suono. ami dell'albero-sentinella si agitarono nel vento, strisciando gli uni co i doveva averli sentiti, nello stesso modo in cui li aveva se o il tro matu- ra to di snodi contorti, di aghi vegetali. La paura tornò a riempirgli le vi- scere come un pasto pesante da digerire. Sussurrò una preghiera agli dei senza nome dei boschi. Estrasse il coltello dal fodero e serrò la lama tra i denti per avere entrambe le mani libere e continuare la scalata. In qualche modo, il sapore del metallo gelido riuscì a dargli conforto. Sotto di lui, la voce del giovane esclamò: «Chi va là?». Una voce im- provvisamente piena d'incertezza nel dare l'intimazione. Will interruppe la faticosa salita. Rimas Fu la foresta a rispondere a ser Waymar: il gliare dell'acqua gelida del torrente, il richiamo lontano di un gufo. Gli Estranei non emetteva Will percepì un movimento con la coda dell'occhio. Pallide ombre nel bosco. Girò il volto e colse una sagoma bianca nelle tenebre. Svanì in un soffio. I r ntro gli altri come dita scheletriche. Will aprì la bocca per lanciare un avvertimento, ma la voce gli si congelò in gola. Forse si era sbagliato. For- se era stato solamente un uccello notturno, un riflesso sulla neve, uno scherzo del chiaro di luna. In fondo, che cosa esattamente credeva di aver visto? «Will, dove sei?» chiamò ser Waymar rivolto verso l'alto. «Riesci a ve- dere niente?» Royce ruotava lentamente su se stesso, di colpo guardingo, la spada in pugno. Anche lu ntiti Will. Sentire, certo. Ma niente da vedere. «Will! Rispondi! Perché fa così freddo?» Faceva freddo. Un freddo improvviso, innaturale. Tremando, Will si ag- grappò con maggior forza alla biforcazione, la faccia premuta contr nco dell'albero-sentinella, il sentore dolciastro, appiccicoso della resina sulla guancia. Dalle tenebre della foresta emerse un'ombra che andò a fermarsi di fron- te a ser Waymar. Una sagoma alta, scavata, dura come vecchie ossa, la pel- le livida che pareva d'alabastro. Ogni volta che si muoveva, la sua ar sembrava cambiare colore: un momento appariva candida come neve appena caduta, il momento dopo era nera come una caverna. Il tutto anda- va a mescolarsi, a compenetrarsi con lo sfondo grigio-verde degli alberi in un sinistro caleidoscopio che mutava a ogni passo, simile ai raggi della lu- na su acque agitate. Will udì ser Royce esalare un lungo sibilo. «Non avvicinarti oltre» intimò il giovane, la voce incrinata come quella di un ragazzino spaventato. Si gettò dietro le spalle le falde della cappa d'ermellino liberando le braccia e preparandosi al duello, entrambe le mani strette attorno all'impu- gnatura della spada. Il vento aveva cessato di soffiare. L'aria era di ghiac- cio. L'Estraneo continuò ad avanzare senza rumore. Nella destra aveva una spada lunga, diversa da qualsiasi altra Will avesse mai visto. Nessun me- tallo noto all'uomo era stato usato per forgiare quella lama. No, nessun me- tallo, infatti: la lama era di cristallo. Pareva un'entità vivente, talmente sot- tile da svanire quando la si guardava di taglio. Emanava una luminescenza az un uomo, un vero guerriero dei Guardiani della notte. poi quattro... ci il suo dovere, anche a costo della vita. Tr nzio. tissima, si e da or zurra, un alone spettrale che si faceva indistinto ai bordi. E Will sapeva che quei bordi erano più affilati di quelli di qualsiasi rasoio. «Vuoi danzare?» Ser Royce affrontò l'avversario con coraggio. «Allora danza con me.» Sollevò la spada alta sopra la testa, pronto al duello. Le sue mani trema- vano, forse per il peso dell'arma o forse per il freddo. Eppure, in quell'i- stante, Will non ebbe dubbi: ser Royce aveva cessato di essere un ragazzo ed era diventato L'Estraneo si fermò. Will vide i suoi occhi. Erano azzurri, di un azzurro molto più profondo e intenso di qualsiasi occhio umano, un azzurro in gra- do di ustionare come il morso del ghiaccio. Quegli occhi si soffermarono sulla lama della spada levata, sui freddi riflessi che la luce della luna traeva dall'acciaio. Per un breve istante, Will osò dare spazio alla speranza. Nuove ombre emersero dalle ombre. Prima due... poi tre... nque... Ser Waymar doveva aver percepito il freddo che arrivò assieme a esse, ma non le vide, non le udì. Will avrebbe dovuto gridare l'allarme, av- vertire il suo signore. Era quello emò, si afferrò al tronco dell'albero-sentinella. E rimase in sile La pallida spada di cristallo si mosse, fendendo l'aria della notte. Ser Waymar la intercettò con la sua spada d'acciaio. Non ci fu alcun im- patto di metalli quando le lame cozzarono, solo una vibrazione acu mile al lamento d'agonia di chissà quale animale, appena percettibil ecchio umano. Ser Waymar bloccò un secondo fendente, un terzo, poi arretrò di un passo. Un altro vortice di colpi lo costrinse ad arretrare ancora di più. Alla sua destra, alla sua sinistra, dietro di lui, tutt'attorno a lui, le ombre continuavano a osservare. Ombre pazienti e silenziose, senza volto, quasi se te generato dall'urto delle lame: non voleva più sentire, non voleva più udire. iche nuvole biancastre nel chiaro di luna. La sua lama era co- pe ordere la cotta di maglia di ferro sotto il suo braccio. Il giovane ur rico di tutta la sua for- za. La parata dell'Estraneo fu un movimento pigro, quasi annoiato. rgiata volò a disperdersi ch alle mani. Altro sangue gli ruscellava tra le i cristallo fecero a brandelli la maglia di ferro come se fosse stata seta. Di nuovo, Will chiuse gli occhi. Sotto di sé continuò a nza forma definibile nelle loro armature mimetiche, caleidoscopiche contro le più profonde ombre della foresta. Continuarono a osservare. Nes- suna di esse dava il benché minimo cenno di voler interferire. Le spade tornarono a incrociarsi, a cozzare l'una contro l'altra, un fen- dente dopo l'altro, un affondo dopo l'altro, una parata dopo l'altra, fino a quando Will non fu costretto a coprirsi le orecchie. Quel sibilo angoscian Il respiro di ser Waymar si fece pesante per la fatica. Il suo fiato conden- sava in ritm rta di ghiaccio. Quella dell'Estraneo continuava a scintillare di lumine- scenza azzurra. E alla fine ser Waymar fu lento, troppo lento. La pallida lama di cristallo arrivò a m lò di dolore. Sangue gocciolò sugli snodi della maglia metallica, sangue che fumava nell'aria glaciale e sembrò rosso fuoco liquido quando cadde nella neve. Ser Waymar tastò il punto in cui era stato colpito. Quando riti- rò la mano, le dita del suo guanto di camoscio erano fradice. L'Estraneo disse qualcosa in un linguaggio sconosciuto a Will, la voce che pareva lo spezzarsi della crosta di un lago congelato mentre pronun- ciava parole di ignota derisione. Ser Waymar ritrovò il proprio furore. «Per re Robert!» gridò. Andò all'attacco con un urlo rabbioso, la lunga spada incrostata di ghiac- cio impugnata a due mani, un attacco trasversale ca All'impatto, l'acciaio della lama di ser Waymar andò in mille pezzi. Una specie di urlo riverberò per la foresta. La miriade di frammenti me- tallici che erano stati una lama splendidamente fo issà dove, come una manciata di inutili schegge. Royce cadde in ginoc- chio gridando, gli occhi coperti d dita. Le ombre avanzarono tutte assieme, come rispondendo a qualche segna- le, e si chiusero su di lui. In un silenzio da incubo, le loro spade si solleva- rono. Poi calarono e calarono e calarono. Nient'altro che un freddo matta- toio. Le pallide lame d Lord Eddard Stark smontò da cavallo. Theon Greyjoy, il suo protetto, gli porse la spada. La lama era larga quanto la mano di un uomo e perfino più al onale. Poi impugnò Ghiaccio con entrambe le mani. arrisse. Bran rimase a fis o. po, rimbalzò alla base de ta e le diede una spinta, mandandola a rotolare lontano. isto all'opera molte volte la va cessato di soffiare e nel cielo il sole splendeva alto eppu- re freddo pa- re coraggio» commentò Robb. Era un ragazzo ta di Robb. "Ghiaccio" si chiamava quella spada d'acciaio di Valyria, forgiata con gli incantesimi, scura come il fumo. Nulla manteneva il filo come l'acciaio di Valyria. Lord Eddard si sfilò i guanti e li porse a Jory Cassel, il comandante della sua Guardia pers «In nome di Robert della Casa Baratheon» formulò «primo del suo no- me, re degli Andali e dei Rhoyar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e protettore del reame, io, Eddard della Casa Stark, lord di Grande Inverno e protettore del Nord, ti condanno a morte.» Sollevò la spada alta contro il cielo. Jon Snow, fratello bastardo di Bran, gli si accostò. «Tieni le redini ben strette» sussurrò «e non distogliere lo sguardo. Se lo farai, nostro padre lo saprà.» Bran serrò le briglie con forza e non distolse lo sguardo. Suo padre sferrò un unico colpo, preciso, definitivo. Sangue zampillò sulla neve, rosso come il vino dell'estate. Un cavallo arretrò bruscamente e il suo cavaliere tirò il morso per impedire che imbizz sare il sangue come ipnotizzato. Il manto nevoso tutt'attorno al ceppo lo bevve in fretta, diventando sempre più purpure La testa del condannato, staccata di netto dal cor l ceppo e rotolò fino ai piedi di Theon Greyjoy. Theon aveva diciannove anni, era asciutto e scuro di carnagione. Erano ben poche le cose che non trovava divertenti. Scoppiò in una risata, appoggiò un piede contro la testa mozza «Idiota.» Jon aveva parlato a voce abbastanza bassa perché Theon non potesse udirlo. Mise una mano sulla spalla di Bran che sollevò gli occhi verso di lui. «Sei stato bravo» gli disse con solennità. Di anni Jon ne aveva quattordici e aveva già v giustizia del re. Il vento ave , durante la lunga cavalcata per rientrare a Grande Inverno, il va essere aumentato. Bran rimase assieme ai fratelli, molto più avanti del gruppo principale, il piccolo pony che faticava a tenere il passo con i ca- valli più grossi. «Il disertore è morto con grande e grosso e diventava più grande e più grosso ogni giorno che pas- sa Acque, la Casa nobile dalla quale proveniva sua ma- dr w. «Era paura. È di qu on erano di un grigio talmente scuro da apparire neri. Occhi ai qu nciò all'inseguimento. Galoppa- ro zoccoli dei loro cavalli sollevavano fontane di ne ce ch che es quella l'unica situazione in cui si fa strada il corag- gi a le donne e le vendono agli E- st va. Aveva la pelle chiara, i capelli scuri e gli occhi azzurri tipici dei Tully di Delta delle e. «Quello, per lo meno, non gli mancava.» «Non era coraggio» si oppose quietamente Jon Sno ella che è morto. È di quella che era pieno il suo sguardo, Stark.» Gli occhi di J ali non sfuggiva niente. Aveva pressoché la medesima età di Robb, ma le analogie tra loro si fermavano a questo. Jon era tanto snello quanto Robb era muscoloso, scuro di carnagione quanto l'altro era chiaro, elegante e rapido quanto il fratellastro era massiccio e solido. «Sono stati gli Estranei a rubargli lo sguardo» insisté Robb. «È stata una buona morte. Chi arriva al ponte per primo?» «Forza» esclamò Jon spronando subito il cavallo. Robb, colto di sorpresa, imprecò e si la no a briglia sciolta lungo la pista, Robb che rideva e sfidava il fratello, Jon silenzioso e attento; gli ve. Bran non fece neppure il tentativo di seguirli. Il suo pony non ce l'avreb- be mai fatta. Anche lui ricordava lo sguardo del condannato, e in quel momento non riusciva a pensare ad altro. Le risate di Robb svanirono in distanza e i boschi furono nuovamente silenziosi. Era talmente immerso nei propri pensieri che non si rese conto che il re- sto del gruppo l'aveva raggiunto finché suo padre non arrivò a cavalcare accanto a lui. «Tutto bene, Bran?» La sua voce non era priva di gentilezza. «Sì, padre.» Bran alzò lo sguardo. In sella all'imponente destriero da guerra, avvolto in cuoio e pellicce, suo padre incombeva su di lui come un gigante. «Robb dice che quell'uomo è morto con coraggio. Jon invece di e è morto pieno di paura.» «E tu? Che cosa dici?» Bran ci pensò sopra. «È possibile che un uomo che ha paura possa an sere coraggioso?» «Possibile? Bran, è o» gli rispose suo padre. «Tu sai perché l'ho fatto?» «Era un bruto» rispose Bran. «Portano vi ranei.» «La vecchia Nan ti ha di nuovo raccontato le sue storie» sorrise lord Stark. «In realtà, quell'uomo era un disertore: aveva abbandonato i Guar- diani della notte. Nessuno è più pericoloso di un disertore. Nel momento stesso in cui voltano le spalle al loro dovere, questi uomini sono consape- voli che se saranno catturati la loro vita non avrà alcun valore. Per questo no lo stesso modo in cui, prima di ntica. Nelle vene degli Stark scorre il sangue dei Pr spada. L'uomo che toglie la vita a un al i tuo fratello e del tuo re e av dimento, ma al quale non dovrai neppure sottrarti. Un sovrano che si retta a dimenticare che cos'è la morte.» a sommità della co Un momento dopo era svanito. nto candido fino alle ginocchia, il ca citati. uale nascosto dalla neve. Jory Cassel e Theon Gre- yj ragazzi. Greyjoy era nel pieno di un n si tirano indietro di fronte al crimine, neppure al più atroce. Ma tu non mi hai capito, Bran. Non ti ho chiesto perché quell'uomo doveva morire, ma perché dovevo essere io a ucciderlo.» Una domanda per la quale Bran non aveva risposta. «Re Robert ha un boia» disse in tono incerto. «Ce l'ha, è vero» confermò suo padre. «Nel lui, anche i re della Casa Targaryen avevano un boia. La nostra tradizio- ne però è ancora quella a imi Uomini. E noi Stark crediamo ancora che chi pronuncia la sentenza debba essere anche colui che cala la tro uomo ha il dovere di guardarlo negli occhi e di ascoltare le sue ultime parole. Se il giustiziere non riesce ad affrontare questo, allora forse il con- dannato non merita la morte. Un giorno, Bran, tu sarai l'alfiere di Robb. Avrai un tuo castello che comanderai nel nome d rai su di te anche il fardello della giustizia, dal quale non dovrai trarre alcun go nasconde dietro un boia fa in f «Padre! Bran!...» Jon era improvvisamente apparso sull llina di fronte a loro. Agitava un braccio gridando: «Venite! Fate presto! Venite a vedere cos'ha trovato Robb!». Jory Cassel spronò il cavallo, portandosi al fianco di Eddard e di Bran. «Guai, mio signore?» «Senza alcun dubbio» ribatté il lord. «Forza, vediamo in quale altro im- piccio sono andati a cacciarsi i miei figli.» Passò al trotto. Jory, Bran e gli altri lo seguirono. Trovarono Robb sulla riva del fiume a nord del ponte, Jon ancora in sel- la accanto a lui. Le nevi della tarda estate erano cadute abbondanti durante l'ultima luna. Robb affondava nel ma ppuccio abbassato, la luce del sole che si rifletteva sui suoi capelli. Stringeva qualcosa tra le braccia, scambiando con Jon commenti ec I cavalieri avanzarono cauti tra i cumuli bianchi alla ricerca di appoggi solidi sul terreno ineg oy furono i primi a raggiungere i due 'altra delle sue risate ironiche, ma si interruppe con un'imprecazione «Ucciderli è un atto di misericordia» si associò Hullen. Bran guardò verso suo padre alla ricerca di appoggio, ma ciò che ottenne fu una cupa inarcata di sopracciglia. «Hullen dice il vero, figlio. Meglio un a, dura agonia di fame e di freddo.» Robb con ostinazione. «Poca roba. Solo due cuccioli sono so- pr cheranno ai capezzoli.» qu e.» tark mutò, Bran se ne accorse immediatamente. G to, tu lo sette anni, vi le due ragazze e perfino Rickon, il più pi re aveva capito. «E tu, Jon?» disse lentamente. «Tu no ta-lupo corre sul vessillo di Casa Stark» rispose Jon. «Io non sono un con attenzione il figlio. inserirsi nel nuovo silenzio calato tra loro. «Mi occuperò io ù. Voi volete i cuccioli, voi ve ne occuperete. Sono stato ch a morte rapida che una lent «No!» Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Guardò altrove. Non vole- va che suo padre lo vedesse piangere. «La settimana scorsa la lupa rossa di ser Rodrik ha figliato di nuovo» continuò avvissuti. Avrà abbastanza latte anche per questi.» «Li farà a pezzi nel momento in cui le si attac «Lord Stark.» Era Jon Snow, ed era strano sentirlo rivolgersi al padre in modo tanto formale. Bran lo guardò come se fosse la loro ultima speranza. «Ci sono cinque cuccioli. Tre maschi, due femmine.» «E con questo, Jon?» «Tu hai cinque nobili figli» continuò Jon. «Tre maschi, due femmine. Il meta-lupo è il simbolo della Casa Stark. I tuoi figli erano destinati ad avere esti cuccioli, mio signor L'espressione di lord S li altri uomini si scambiarono occhiate significative. In quel momen tto l'amore di Bran si riversò sul fratellastro. Pur avendo so de con chiarezza la logica di Jon: il conto era risultato esatto perché Jon si era tenuto fuori. Aveva incluso ccolo, ma non il bastardo chiamato "Snow". Non se stesso. Perché nel Nord, per decreto reale, Snow era il nome che veniva assegnato a chi non era stato abbastanza fortunato da nascere con un nome che gli appartenes- se. Anche il loro pad n lo vuoi, un cucciolo?» «Il me o Stark, padre.» Lord Stark studiò Robb venne a stesso del mio cucciolo, padre» promise. «Userò un panno imbevuto di latte caldo e lo farò succhiare da quello.» «Anch'io!» fece eco Bran. «Facile a dirsi, molto meno a farsi.» Lo sguardo di Eddard Stark passò da uno all'altro dei suoi figli legittimi. «Non permetterò che sprechiate il tempo della servit iaro?» Bran annuì con forza. Il cucciolo di meta-lupo si agitò nella sua stretta, la calda lingua ruvida che gli leccava la faccia. «E a voi spetterà anche addestrarli» continuò lord Stark. «A voi! Il ma- stro del canile non avrà nulla a che fare con questi mostri, ve lo garantisco. E iscotto e poi allungare un calcio. Un m ello che volete fare?» Sì, padre» disse Bran. «Sì» confermò Robb. I cuccioli potrebbero morire comunque, a dispetto dei vostri sforzi.» emo.» a vi eva la ri» dichiarò. che gli dei vi aiutino se li trascurerete, se li tormenterete, se li maltratte- rete. Non sono cani a cui dare un b eta-lupo può staccare di netto il braccio a un uomo con la stessa facilità con la quale un cane uccide un ratto. Siete certi di qu « « «Non moriranno» affermò Robb. «Non lo permetter «E sia. Teneteli. Jory, Desmond, raccogliete gli altri tre cuccioli. È tem- po di rientrare a Grande Inverno.» Fu solo dopo che furono rimontati in sella ed ebbero ripreso la strada verso il castello che Bran si concesse di gustare il sapore seducente dell ttoria. Tenne il cucciolo al riparo degli indumenti di cuoio, al caldo con- tro il petto, al sicuro per la lunga cavalcata. E cominciò a domandarsi come l'avrebbe chiamato. Inaspettatamente, a metà del ponte, Jon venne a cavalcare alla testa del gruppo. «Che c'è, Jon?» chiese lord Stark. «Non senti?» Bran udiva il vento nella foresta, lo scalpitio degli zoccoli sulle assi del ponte, il lamento affamato del suo cucciolo. Ma Jon udiva qualcos'altro. «Là» disse. Fece girare il cavallo e tornò indietro al galoppo lungo il ponte. I cavalieri lo osservarono mentre si fermava nel punto in cui giac meta-lupa e si inginocchiava nella neve. In breve era di nuovo accanto a loro, sorridente. «Doveva essersi allontanato dagli alt «O forse era stato allontanato» disse lord Stark. Il suo sguardo si soffer- mò sul sesto cucciolo la cui pelliccia, al confronto di quella grigia degli al- tri, era interamente bianca. Un cucciolo i cui occhi erano aperti, vigili, mentre quelli degli altri erano ancora ciechi. Fu questo a colpire Bran. «Un albino.» Theon Greyjoy trovava il tutto assai umoristico. «Questo qui morirà anche prima degli altri.» «Ti sbagli, Greyjoy.» Jon guardò il protetto del padre con uno sguardo impassibile, raggelante. «Questo appartiene a me.» CATELYN no le loro ombre su ruscelli mormoranti, uc artenuti suo padre, suo no o, Ned le era venuto incontro. Le aveva eretto un piccolo altare su ntinuava a scorrere il sangue dei Primi Uomini e i loro dei er ndi alberi, gli stessi della razza sc Catelyn non aveva mai amato quel parco degli dei. Veniva dalla Casa Tully, nel profondo sud di Delta delle Acque, sulla Forca Rossa del Tridente. Là, il parco degli dei era un giardino pieno d'aria e di luce. Rosse sequoie proiettava celli cantavano da nidi invisibili, l'aria era intrisa dei profumi dei fiori. Gli dei di Grande Inverno abitavano un diverso tipo di parco, un luogo primordiale, invaso dall'oscurità. L'atmosfera sapeva di lichene morente, di cose che si decompongono. Tre acri di bosco ancestrale attorno ai quali era sorta la cupa struttura del maniero. Tre acri di alberi che non venivano toc- cati da diecimila anni. Querce e alberi-ferro sembravano più vecchi del tempo stesso, i loro neri tronchi ammucchiati gli uni contro gli altri. Osali e ostinate sentinelle immobili, armate di aghi di un verde dalla sfumatura quasi metallica, le cui ramificazioni più alte andavano a intrecciarsi in una cupola tenebrosa. Il terreno era un altro labirinto, fatto di radici sporgenti, distorte, aggrovigliate come tentacoli sotterranei. Quel parco era un luogo di silenzi profondi, di ombre impenetrabili, abitato da dei senza nome. Ma Catelyn sapeva che avrebbe trovato lì suo marito. Ogni volta che to- glieva la vita a un uomo, lord Eddard Stark veniva a rifugiarsi nella pace del parco degli dei di Grande Inverno. Catelyn era stata segnata con i sette unguenti ed era andata sposa nell'ar- cobaleno di luci che riempivano le radure di Delta delle Acque. Apparte- neva al Credo così come, prima di lei, vi erano app nno e il padre di suo nonno. Gli dei di Catelyn avevano un nome e i loro volti le erano familiari quanto i volti dei suoi genitori. Il loro culto aveva aspetti sfumati: una fiaccola su un sepolcro, l'odore dell'incenso, un ettae- dro di cristallo pulsante di luce, voci che si univano in coro. Anche Casa Tully aveva il proprio parco degli dei, tutte le grandi Case ce l'avevano, ma non era altro che un luogo in cui passeggiare o leggere alla luce del sole. Il Credo rimaneva confinato nei templi. In quest l quale Catelyn poteva pregare i sette volti del suo dio. Ma nelle vene degli Stark co ano quelli antichi e misteriosi dei gra omparsa dei Figli della foresta. Nel centro del parco, un vecchio albero-diga incombeva su un laghetto «Ci sono cose peggiori di Mance Rayder, oltre la Barriera.» Catelyn si vo ssa resina, quel volto che vedeva, udiva, sentiva, quell'entità in gr a ottomila anni. Secondo maestro Luwin non sono nemmeno es li che già hai... Mi dispiace, am amente lui venne colpito. Da ragazzo, Ed he abbandonare coloro che a- ve ivolta. nni prima, il secondo padre di Eddard Stark era diventato pe io, i due erano stati fia voleva crederci. «Ma questa notizia... è ce ltò verso l'albero-diga, verso il volto nel legno pallido, gli occhi pian- genti ro ado di concepire pensieri eterni. «Andiamo, Catelyn.» Il sorriso di Ned era pieno di calore. «Non dirmi che anche tu, come Bran, ti sei messa a dare retta alle storie della vecchia Nan. Gli Estranei sono morti. Finiti quanto sono finiti i Figli della foresta. Sono morti d istiti. Nessuno li ha mai visti.» «Davvero? Fino a questa mattina, nessuno aveva mai visto neppure un meta-lupo» gli ricordò Catelyn. «Lo sapevo.» Il sorriso di Ned non si scompose. «Mai mettersi a discute- re con un Tully.» Fece scivolare Ghiaccio nel fodero. «So che non sei ve- nuta qui per raccontarmi le favole della buonanotte. So quanto poco ti trovi a tuo agio tra questi vecchi alberi. Che cosa ti turba, mia signora?» «C'è una triste notizia.» Catelyn gli prese la mano. «Non volevo darti al- tri pensieri finché non ti fossi liberato di quel ore.» Non c'era alcun modo per rendere il colpo meno duro. Catelyn glielo disse senza giri di parole: «Jon Arryn è morto». I loro sguardi s'incontrarono. Catelyn sapeva quanto duramente lui sa- rebbe stato colpito, e vide quanto dur dard Stark era cresciuto al Nido dell'Aquila, l'altro grande regno del Sud. Lord Arryn, che non aveva figli, era diventato come un secondo pa- dre sia per lui sia per Robert Baratheon. Quando Aerys II Targaryen, il re Folle, aveva voluto le loro teste, piuttosto c va giurato di proteggere, il lord del Nido dell'Aquila aveva scelto di issa- re i vessilli di r Poi, quindici a r lui un nuovo fratello. Il giorno del loro matrimon nco a fianco nel sacrario di Delta delle Acque, per sposare due sorelle, le figlie di lord Hoster Tully. «Jon...» Una parte di Ned non rta?» «C'era il sigillo del re, e la lettera era vergata nella calligrafia di Robert. L'ho conservata perché anche tu possa leggerla. Dice che lord Arryn se n'è andato in fretta. Neppure il gran maestro Pycelle è stato in grado di fare niente. Gli ha dato una tazza di latte di papavero in modo da lenire le sue sofferenze.» «C'è qualche conforto in questo, credo.» I lineamenti di Eddard erano scavati dal dolore, ma il suo primo pensiero fu per Catelyn. «Tua sorella. E il figlio di Jon. Come stanno?» una di qu inata, se non vado errato.» se Catelyn. «Il ch orrei che fosse possibile.» Catelyn scosse il capo. «C'è dell'altro nella le endo a Grande Inverno per vedere te.» ddard Stark comprendesse appieno il senso di to di rostro di unicorno conficcato in go Certamente» approvò Ned. «Benjen vorrà esserci. Dirò a maestro Lu- win di inviare il suo miglior corvo messaggero.» Eddard si alzò, aiutandola ad alzarsi con lui. «Maledizione, quanti anni saranno passati? E questo è tu «Il messaggio dice soltanto che stanno bene e che sono ritornati al Nido dell'Aquila» rispose Catelyn. «Avrei preferito che fossero andati a Delta delle Acque. Il Nido dell'Aquila è remoto e solitario. È sempre stato il po- sto di Jon, mai quello di lei, e il ricordo del marito rimarrà in ciasc elle pietre. So com'è fatta mia sorella, so quanto sia importante per lei il conforto della sua famiglia e dei suoi amici.» «Ma tuo zio non si trova anche lui nella valle di Arryn? Jon l'aveva no- minato cavaliere della Porta insangu «Brynden farà quello che può per lei e per il bambino» dis e significa molto, ma non tutto...» «Va' da lei» la incitò Ned con urgenza. «Porta i nostri figli con te. Fa' che i corridoi di quel castello sulla montagna si riempiano di suoni e di ri- sate. Quel ragazzo ha bisogno di avere intorno altri ragazzi, e Lysa non dovrebbe affrontare questa perdita da sola.» «V ttera, Ned.» «Che altro?» «Il re sta ven Passò del tempo prima che E quelle parole. Nei suoi occhi, l'ombra che li aveva oscurati si fece meno cupa. «Robert sta venendo qui?» Catelyn annuì. Un sorriso riuscì finalmente a illuminare l'espressione di Ned. Lei avrebbe voluto condividere la sua gioia, ma non riusciva a di- menticare quanto aveva udito nel cortile del castello. Una meta-lupa trova- ta morta nella neve, con un frammen la. Sentì la paura aggrovigliarsi dentro di lei come un serpente. Ma pur di fronte a tutto questo, riuscì comunque a sorridere all'uomo che amava, un uomo che rifiutava di credere ai presagi. «Ero sicura che ti avrebbe fat- to piacere» gli disse. «Lo facciamo sapere anche a tuo fratello, sulla Bar- riera?» « tto il preavviso che ci manda? In quanti sono? La lettera lo dice?» «Credo almeno un centinaio di cavalieri, più i loro scudieri, più una cin- qu he i fratelli della regina» aggiunse Catelyn. a lui e ima di allearsi alla causa del re, in modo da essere assoluta- m n noi è un'in- fe rà male vedere i suoi ragazzi. L'ultima volta che l'ho visto, il più pi i dice che, ogni anno che pa da rere tra le su antina di armati. Vengono anche Cersei e i ragazzi.» «Questo costringerà Robert a viaggiare più lentamente. Meglio per noi: avremo più tempo per prepararci.» «Vengono anc L'espressione di Ned si contrasse. L'idea non gli piaceva affatto. Tr la famiglia della regina non correva esattamente buon sangue, e Catelyn lo sapeva. I Lannister di Castel Granito avevano aspettato fino all'ultimo momento pr ente certi sul vincitore. Eddard Stark non li aveva mai perdonati per que- sto. «E va bene» concluse. «Se il pedaggio per avere Robert co stazione di Lannister, lo pagheremo. Sembra che si stia portando dietro mezza corte.» «Dove va il re, va la corte.» «Non sa ccolo stava ancora succhiando latte. Quanti anni avrà adesso, cinque?» «Il principe Tommen ha sette anni» disse Catelyn. «La stessa età di Bran. Ned, ti prego, sta' attento a quello che dirai. Che ci piaccia o no, la signora di Lannister rimane la nostra regina. E s ssa, lo faccia pesare sempre più.» «Daremo una festa.» Ned strinse la mano di lei nella propria. «Certo che remo una festa! Con musica e canzoni. E Robert vorrà andare a caccia. Manderò Jory a sud lungo la strada del Re, per incontrarlo e scortarlo fin qui. Per gli dei, come faremo a sfamare tutta quella gente? E tu mi dici che è già in movimento. Maledizione a lui e alla sua pellaccia di re!» DAENERYS «Questa è bellezza allo stato puro.» Suo fratello sollevò la stoffa in mo- do che lei potesse esaminarla. «Avanti, toccala. Senti com'è stata tessuta.» Dany la toccò. Era talmente liscia da dare l'impressione di scor e dita come acqua. Non le riuscì di ricordare di aver mai indossato qual- cosa di altrettanto delicato. «Ma è mia?» Allontanò la mano, intimorita. «È davvero mia?» «Un dono di magistro Illyrio» le rispose suo fratello con un sorriso. Viserys era un giovane scarno, le mani in costante movimento, lo sguar- do perennemente febbrile negli occhi viola pallido. Quella sera era di otti- mo umore. Dorne che invocava misericordia, l'erede di Rhaegar che le veniva strappa- to dal seno e ucciso davanti ai suoi occhi. Le orbite vuote dei lucidi teschi degli ultimi draghi nella sala del trono, sguardi ciechi che osservavano al- l'opera lo Sterminatore di re, testimoni silenziosi mentre la lama di una sp a stata distrutta ancora alla fonda. Enormi blocchi di pietra erano pi egli ap agna d'uomo, capelli e barba grigi, mezzo cieco, che aveva continuato a e cuoio vecchio, ma non poteva lasciare il letto. Il sentore de ella grande casa dal portale di i fermarsi nello stesso posto pe ada d'oro squarciava la gola del re suo padre. Daenerys era nata alla Roccia del Drago nove lune dopo tutto questo, nel corso di un uragano estivo talmente violento da spaccare quasi l'isola in due. Dicevano che fosse stata una tempesta spaventosa. La flotta Targar- yen er ombati nelle acque ribollenti del mare Stretto. Sua madre era morta nel darla alla luce e per questo suo fratello non l'aveva mai perdonata. Non riusciva a ricordare neppure la Roccia del Drago. Erano fuggiti di nuovo, appena prima che il fratello dell'usurpatore prendesse il mare con la sua nuova flotta. A quel punto, la Roccia del Drago, antica residenza della Casa Targaryen, era tutto quanto rimaneva dei Sette Regni che un tempo a essa erano appartenuti. Nemmeno questo era però destinato a durare. La guarnigione aveva deciso di vendere entrambi i bambini all'usurpatore, ma una notte ser Willem Darry e quattro uomini fidati si erano introdotti n partamenti reali e li avevano portati via assieme alla balia, alzando le ve- le nel cuore della notte e dirigendosi verso la sicurezza della remota costa braavosiana. Ser Willem era il solo di cui Daenerys conservasse un vago ricordo. Una mont gridare ordini perfino dal letto di morte. I suoi servi vivevano nel terrore di lui, ma con Daenerys era sempre stato gentile, addirittura delicato. La chiamava "piccola principessa", qualche volta "mia signora". Le sue mani erano soffici com lla malattia era con lui giorno e notte, un odore pungente, dolciastro, vi- scido. Era il tempo in cui vivevano a Braavos, n pinto di rosso. Dany aveva una stanza tutta sua, con un albero di limoni appena fuori dalla finestra. Quando ser Willem era morto, i servi avevano rubato il poco denaro rimasto ai due ragazzi e li avevano gettati in strada. Dany ricordava di aver pianto quando i battenti del portale rosso si erano chiusi per sempre dietro di loro. Così erano cominciati i loro vagabondaggi. Da Braavos a Myr, da Myr a Tyrosh, a Qohor, a Volantis, a Lys, senza ma r troppo tempo. Suo fratello non lo permetteva. I sicari dell'usurpatore continuavano a incalzarli, diceva, anche se Dany non aveva mai visto nes- suno. All'inizio, magistri, governatori e principi mercanti si erano dichiarati onorati di poter ospitare gli ultimi Targaryen nella loro casa, di averli alla loro tavola. Ma con il passare degli anni, con l'usurpatore che continuava a sedere sul Trono di Spade, le porte si erano via via chiuse e la loro esisten- za adre erano finiti. Il "re Mendicante": così ve Le mani di Vi- se ro lo e- ra ano portato dalle cucine e ne le lavò i piedi continuando a rip si era fatta dura. Molto tempo prima erano stati costretti a vendere i po- chi resti del tesoro del loro regno perduto, e ormai perfino i denari ottenuti dalla corona della regina loro m niva chiamato suo fratello nei vicoli luridi e nelle taverne maleodoranti di Pentos. Daenerys non voleva sapere in quale modo chiamavano lei. «Un giorno sarà di nuovo tutto nostro, dolce sorella.» rys tremavano ogni volta che le faceva quella fatidica promessa. «I gioielli e le sete, la Roccia del Drago e Approdo del Re, il Trono di Spade e i Sette Regni. Tutto quello che ci è stato preso, noi torneremo a posseder- lo.» Viserys non aspettava altro, non vedeva altro, non voleva altro. Tutto quello che Daenerys voleva, invece, era la grande casa dal portale rosso, con l'albero di limoni fuori dalla finestra, e quell'infanzia che non aveva mai conosciuto. Alle sue spalle, ci fu un discreto bussare alla porta. Daenerys arretrò dal- la finestra e si voltò dicendo: «Potete entrare». Le serve di Illyrio entrarono, s'inchinarono e si misero al lavoro. Erano schiave, un regalo di uno dei molti amici dothraki del magistro. Non a- vrebbero dovuto esistere schiavi nella città libera di Pentos, ma lo no comunque. La donna anziana, piccola e grigia come un topolino, non apriva mai bocca; in compenso, la ragazza giovane non smetteva mai di chiacchierare mentre lavorava. Era una puledra di sedici anni, capelli biondi, occhi azzurri: la favorita di Illyrio. Riempirono la vasca con l'acqua calda che avev in essa versarono oli profumati. La ragazza sfilò la tunica di cotone grez- zo dalla testa di Dany e l'aiutò a scivolare nell'abbraccio liquido. L'acqua era quasi bollente, ma Dany non batté ciglio, non emise neppure un lamen- to. Il calore le piaceva, la faceva sentire pulita. Inoltre secondo suo fratello nulla poteva essere troppo caldo per un Targaryen. «La nostra è la Casa del drago» ribadiva Viserys. «C'è il fuoco nel nostro sangue.» Sempre in silenzio, la schiava anziana lavò i lunghi capelli argentei di Daenerys, sciogliendone i nodi. La giova eterle quanto fosse fortunata. «Drogo è talmente ricco che i suoi schiavi indossano collari d'oro. Ci sono centomila cavalieri nel suo khalasar, e il suo palazzo a Vaes Dothrak ha duecento stanze, tutte con porte d'argento massiccio.» E c'era di più, molto di più. Che uomo attraente era il khal, così alto di statura, così fiero nell'aspetto. Che cavaliere ineguagliabile, che guerriero in e, nel momento in cui avesse raggiunto l'età giusta, a- vrebbe sposato Viserys. Per secoli, da quando Aegon il Conquistatore ave- va minata» le aveva ripe- tu l drago. E come i draghi non si accoppia- va i e infine in mezzo alle gambe. e le infilò sandali dorati ai piccoli piedi. La schiava an- zi ste. Ultimo venne il collare, un pesante or- na i di Valyria. indossati dagli sc domabile, che arciere formidabile. Daenerys non diceva nulla. Aveva sempre pensato ch preso in sposa la propria sorella, la Casa Targaryen aveva perpetuato se stessa attraverso l'incesto matrimoniale tra fratello e sorella. «La purezza della discendenza doveva essere mantenuta inconta to Viserys mille e mille volte. Il loro era il sangue dei re, il sangue dorato dell'antica Valyria, il sangue de no con le bestie inferiori, così i Targaryen non si mescolavano con gli uomini inferiori. Però adesso Viserys aveva deciso di vendere la sua unica sorella, la sua unica sposa possibile, a uno straniero, a un barbaro. Una volta che fu pulita, le schiave l'aiutarono a uscire dalla vasca e la asciugarono. La giovane le spazzolò i capelli finché non furono risplenden- ti come argènto liquefatto. La donna anziana la profumò con l'essenza pe- netrante dei fiori delle pianure dei Dothraki sui polsi, dietro le orecchie, sulle punte dei sen La vestirono con l'abito inviato da magistro Illyrio e le calarono sul viso il velo di seta color porpora scuro, celando il viola intenso dei suoi occhi. La schiava giovan ana le sistemò la tiara sui capelli e le fece scivolare attorno ai polsi brac- cialetti d'oro incrostati di ameti mento d'oro massiccio intarsiato con antichi geroglific La schiava giovane, senza fiato, ammirò il lavoro finito. «Adesso sì che hai davvero l'aspetto di una principessa!» Daenerys studiò la propria immagine riflessa nello specchio dalla corni- ce d'argento, ennesimo, sensibile tocco del previdentissimo magistro Il- lyrio. Una principessa, certo. Ma la ragazza che non la smetteva mai di chiacchierare aveva detto anche altre cose: i collari d'oro hiavi di khal Drogo, la sterminata ricchezza di khal Drogo, così stermi- nata da poter comprare qualsiasi cosa. Un gelo improvviso le percorse le membra, increspando la pelle delle sue braccia nude. magistro, annuendo compiaciuto. «Ucciderò l'usurpatore di mia mano!» promise Viserys, che non aveva mai ucciso nessuno. «Nello stesso modo in cui lui ha ucciso mio fratello R per quello che ha os l buio. Dany sapeva che, pe ve torri connesse da alte muraglie di mattoni sulle quali si arrampica- va a nostra città reggessero all'assalto an ta portava la calotta di bronzo munita di rostri degli eu suo fr haegar. E anche Jaime Lannister, lo Sterminatore di re, ato fare a mio padre.» «La più perfetta giustizia, vostra grazia» approvò il magistro. A Daenerys non sfuggì il sorriso infido che increspò le labbra carnose di Illyrio. Viserys neppure se ne accorse; annuì nuovamente, si rilassò contro i cuscini e guardò dalla finestra della cabina, ne r l'ennesima volta, suo fratello stava combattendo la battaglia del Tri- dente. Il palazzo di khal Drogo sorgeva sulla riva della baia. Era un complesso di no no tentacoli di edera pallida. Stando a Illyrio, erano stati i magistri di Pentos a donarlo al khal. Le Città Libere erano sempre molto generose con i cavalieri delle pianure. «Naturalmente non lo facciamo perché temiamo questi barbari» aveva spiegato Illyrio con uno dei suoi sorrisi. «E Signore della Luce farebbe sì che le mura dell che di un milione di Dothraki, così dicono i preti rossi. Al tempo stes- so... Visto che la loro amicizia ha un còsto tanto basso, perché correre ri- schi?» Il palanchino venne fermato al portale d'ingresso. Una delle guardie sco- stò rudemente le tende. Aveva la pelle olivastra e scuri occhi a mandorla, caratteristiche somatiche dei Dothraki, ma non c'era traccia di barba o baffi sulla sua faccia. In tes nuchi. Il suo sguardo freddo esaminò gli occupanti della cabina. Magi- stro Illyrio gli borbottò rabbiosamente qualcosa nell'aspra lingua dothraki, la guardia rispose nello stesso modo, poi fece cenno di passare. La destra di Viserys era rimasta per tutto il tempo serrata attorno all'elsa della spada presa a prestito, notò Dany. Né le sfuggì l'espressione di atello, piena della medesima paura che lei si sentiva dentro. Il palanchino sussultò mentre avanzava verso il palazzo. Viserys si concesse un mugugno: «Insolente eunuco». «Molti uomini influenti saranno presenti alla celebrazione di questa not- te.» Il tono di magistro Illyrio era suadente come il miele. «E questi uomi- ni hanno dei nemici. Il khal deve proteggere i propri ospiti. Voi in primo luogo, vostra grazia. Non può esserci dubbio alcuno che l'usurpatore sa- rebbe generoso con chi gli portasse la tua testa.» «Molto generoso, sì» sottolineò Viserys cupamente. «Ha già tentato di averla, la mia testa, questo posso garantirtelo, Illyrio. Le sue lame merce- narie hanno seguito mia sorella e me dovunque. Io sono l'ultimo dei dra- ghi, e finché rimarrò in vita, l'usurpatore non potrà dormire sonni tranquil- li.» Il palanchino tornò a rallentare, a fermarsi. Le tende vennero di nuovo scostate. Uno schiavo offrì la mano, aiutando Daenerys a scendere. Il suo collare, lei notò, era di comune bronzo. Suo fratello la seguì, la mano sem- pre stretta sull'elsa della spada. Per fare smontare magistro Illyrio di schia- vi ria era pesante all'interno del palazzo, satura di una mescolanza di od co- lo nterne a petrolio di ferro ne degli Andali e dei Rhoynar e dei Pr alla tempesta, principessa della Roccia del Drago. Il loro on gior parte dei presenti erano si- gn cascate di trecce piene di campanelli. Ma tra lo n prete rosso addirittura più grasso di Illyrio. E poi uomini con i ca- pe e là» bisbigliò Illyrio «sono i cavalieri di sangue di Drogo. Vici- no ce ne vollero due, entrambi robusti. L'a ori di spezie, cannella, limone dolce, ginepro. Vennero scortati attraver- so l'ingresso, le cui pareti erano coperte da un grande mosaico di vetro rato che raffigurava il Disastro di Valyria. La ro appese alle pareti diffondevano una luminescenza giallastra. Un eu- nuco, in attesa sotto un'arcata di pietra scolpita a foglie attorcigliate, an- nunciò il loro arrivo. «Sua Altezza Viserys della Casa Targaryen, terzo del suo nome.» Aveva una voce delicata, dai toni acuti. «Re imi Uomini, signore dei Sette Regni e protettore del reame. Sua sorella, Daenerys Nata d orevole ospite Illyrio Mopatis, magistro della città libera di Pentos.» Superarono l'eunuco ed entrarono in un cortile circondato da colonne e avvolto anch'esso dai tentacoli di quell'edera pallida. Si mescolarono con gli altri ospiti, sotto la luce della luna che dipingeva sfumature argentee sulle foglie di pietra dei capitelli. La mag ori dothraki. Uomini grandi e grossi, dalla pelle color rame scuro, con anelli d'ottone attorno ai baffoni spioventi, i capelli neri come l'inchiostro intrisi d'olio e acconciati in ro c'erano anche guerrieri e fabbricanti di spade di Pentos, Myr, Tyrosh. C'era u lli lunghi del porto di Ibben e lord provenienti dalle isole dell'Estate, dal- la pelle nera come ebano. Daenerys li guardava con una mescolanza di me- raviglia e di timore. E all'improvviso ebbe paura: in mezzo a quell'orda ca- leidoscopica, lei era l'unica donna. «Quei tr alla colonna c'è khal Moro, assieme al figlio Rhogoro. L'uomo con la barba verde è il fratello del signore di Tyrosh, e l'uomo dietro di lui è ser Jorah Mormont.» «Mormont?» Fu quell'ultimo nome a scuotere Daenerys. «Un cavalie- re?» «Sicuro.» Un altro sorriso separò la barba dorata di Illyrio. «E con tanto d'investitura dei sette unguenti da parte del sommo septon in persona.» Illyrio. «Un qualche affronto da la notte. Una le porre delle proprie ri- so a un uomo in età, decisamente oltre i quaranta, con un'incipiente cal- vi quando la mano umidiccia di Illyrio si po esse deluso, avrebbe ri- sv con estrema leggerezza, il passo sinuoso come quello della pa nt'anni. La sua pelle ave- va lti baffi erano raccolti da anelli d'oro e di br «Che ci fa qui?» chiese Daenerys in un soffio. «L'usurpatore voleva la sua testa» spiegò poco. Mormont aveva venduto alcuni cacciatori di frodo nella città di Tyrosh come schiavi, invece di consegnarli ai Guardiani del gge assurda. Un uomo dovrebbe essere libero di dis rse come meglio gli aggrada. O no?» «Prima che questa serata si concluda» disse Viserys «parlerò con ser Jo- rah Mormont.» Daenerys non poté evitare di osservare il cavaliere con una certa curiosi- tà. Er zie, ma ancora forte e in ottima forma fisica. Al posto di seta e cotone, vestiva lana e cuoio. Sulla sua tunica verde scuro era ricamata l'immagine di un orso in piedi sulle zampe posteriori. Dany stava ancora osservando quello strano uomo che veniva dalla pa- tria che non aveva mai conosciuto sò sulla sua spalla nuda. «Da questa parte, dolce principessa» le sussurrò il magistro. «Ecco il khal.» Dany provò l'impulso di scappare di corsa a nascondersi. Ma non poté farlo: suo fratello la stava guardando, e se lei l'av egliato il drago. Piena d'ansia, si voltò a osservare l'uomo che Viserys sperava l'avrebbe chiesta in sposa prima che la notte avesse ceduto il passo al giorno. La giovane schiava chiacchierona non si era sbagliata. Khal Drogo supe- rava di tutta la testa il più alto degli uomini in quel cortile. E al tempo stes- so si muoveva ntera di cristallo nella collezione a casa di Illyrio. Era più giovane di quanto Daenerys avesse immaginato, meno di tre il colore del rame lucidato, i fo onzo. «Devo andare a compiere il mio atto di sottomissione» disse Illyrio. «A- spettate qui. Sarò io a condurlo fino a voi.» in te: la su mo che aveva voluto autoproclamarsi re del- le isole di Ferro. Nove anni dalla notte in cui erano rimasti fianco a fianco ne o a Grande Inverno. da o smontando e gli stallieri venivano a occuparsi de famiglia reale - un mastodonte a due pi per baciare l'anello della regina mentre Robert abbracciava Catelyn co gli altri e qu sse. «Voglio presentare i miei rispetti.» rsi di lei. Tra loro non furono necessarie altre pa dossava l'elmo munito di corna di cervo della sua nobile Casa, diventava un vero e proprio gigante. Anche la sua forza era quella di un gigan a arma da combattimento era una monumentale mazza ferrata che Ned riusciva a sollevare a stento. In quei giorni, l'odore del cuoio e del sangue permeava lord Robert Baratheon come un profumo. Adesso, era vero profumo quello che emanava da lui, e il suo ventre sfi- dava la sua statura. Erano passati nove anni dalla rivolta di Balon Greyjoy, quando i vessilli del cervo e del meta-lupo si erano nuovamente uniti per porre fine agli oltraggi dell'uo lla fortezza conquistata di Greyjoy. Era stata quella l'ultima volta che Ned aveva visto il re. Eddard aveva preso Theon, il primogenito del ribel- le, come suo ostaggio e protetto, ed era ritornat Da allora Robert aveva messo su almeno cinquanta chili. Una fisarmoni- ca di menti tutt'altro che regale era nascosta a stento da un'imponente barba nera, dura come metallo, ma nulla avrebbe potuto nascondere il ventre prominente e le scure borse sotto gli occhi. In ogni caso Robert era il suo re, adesso, non più soltanto suo amico. E re Ned l'avrebbe trattato. «Maestà» si limitò a dire «Grande Inverno ti appartiene.» Gli altri cavalieri stavan i loro animali. Cersei Lannister, la regina, moglie di Robert, entrò nel castello a piedi, accompagnata dai figli più piccoli. Fu costretta a farlo per- ché il carro sul quale era arrivata la ani tirato da quaranta cavalli massicci, fatto di quercia rinforzata d'ac- ciaio - era troppo largo per poter passare dal portale. Ned s'inchinò nella neve n il calore che si ha verso una sorella che non si vede da molto tempo. Poi i bambini di entrambe le famiglie vennero presentati gli uni a indi reciprocamente approvati come voleva l'etichetta. Completato il protocollo, Robert non volle perdere altro tempo. «Con- ducimi alla cripta, Eddard» di Ned apprezzò il gesto e si fece portare una lanterna. Dopo tanto tempo, Robert continuava a ricorda role, ma la regina cominciò a protestare. Erano in viaggio dall'alba, era- no stanchi, infreddoliti e affamati, non sarebbe stato male darsi per prima cosa una rinfrescata. I defunti potevano aspettare, per cui... Non disse altro. Robert la folgorò con un'occhiata e il suo fratello gemello Jaime la prese per un braccio e la portò via. Scesero assieme nel sepolcro di Grande Inverno, Eddard e questo re che stentava a riconoscere. I gradini di pietra della scala a spirale erano stretti. Ned andò giù per primo, reggendo la lanterna. «Cominciavo a pensare che non ci saremmo mai arrivati, a Grande In- verno» si lamentò Robert durante la discesa. «Giù nel Sud, a sentire come la gente parla dei miei Sette Regni, uno finisce con il dimenticare che la tua parte è grande quanto le altre sei messe assieme.» «Confido comunque che il viaggio sia stato di tuo gradimento, maestà.» «E come no» sbuffò Robert. «Paludi, foreste e pianure. E che ci fosse una locanda decente a nord dell'Incollatura. Mai vista tanta terra vuota. Ma dov'è la tua gente, Ned?» boccata d'estate prima ch cca sulla pancia. «Per non parlare delle ragazze, Ned!» Ci fu un la «Probabilmente sono troppo timidi per farsi vedere.» Ned continuò a scendere, respirando l'alito gelido che saliva dalle viscere della terra. «I re sono una visione rara qui nel Nord.» «Io dico che si sono nascosti sotto la neve.» Robert si puntellò con una mano contro le pietre della parete curva. «Sotto la neve, Ned! Ti rendi con- to?» «Nevicate di fine estate non sono nulla d'insolito. Spero che non ti ab- biano creato problemi. Dovrebbero essere comunque state lievi.» «Che se le portino gli Estranei alla dannazione, le tue nevicate lievi!» imprecò Robert. «Mi viene freddo solo a pensare che cosa dev'essere que- sto posto durante l'inverno.» «L'inverno è duro» ammise Ned. «Ma gli Stark lo affronteranno. Come io affrontiamo da sempre.» «Ned, devi venire al Sud. Devi goderti un'ultima e se ne vada. Ad Alto Giardino ci sono campi di rose in fiore che si stendono fino all'orizzonte e oltre. La frutta è talmente matura che ti si scioglie in bocca: meloni, pesche, prugne... Non esiste roba più dolce. Sen- tirai, te ne ho portate un po'. Perfino a Capo Tempesta, con quel vento che soffia dalla baia, fa talmente caldo da riuscire a muoversi a stento. E do- vresti vedere le città! Fiori da tutte le parti, mercati stracolmi di cibo, i vini dell'estate così a buon prezzo e così buoni che ti sbronzi solamente a respi- rarli. Tutti quanti sono grassi, ubriachi e ricchi.» Robert rise e si diede una sonora pa mpo negli occhi del re. «Quando fa caldo, le donne perdono tutto il loro pudore, te lo dico io! Si mettono a nuotare nude nel fiume, perfino sotto le mura della Fortezza Rossa. In strada fa troppo caldo per mettersi lana o pellicce, così se ne vanno in giro con certe gonne corte, di seta se hanno soldi, di cotone se non ne hanno. Ma non fa nessuna differenza quando su- dano e la stoffa gli si appiccica alla pelle: è come se addosso non portasse- ro niente.» Robert Baratheon rise di nuovo. Era sempre stato un uomo di colossali appetiti, pronto a immergersi nei piaceri della vita. Una cosa che nessuno avrebbe mai potuto dire di Eddard Stark. Al tempo stesso, per quegli appe- tit à che invadeva il sepolcro. O densarono, luci purpuree scivolarono sulle pi tri di grani- to silenzio, rab- br lti scolpiti nelle pi ni, protendersi ver- so eva signifi- ca rd di Grande Inverno erano stati uomini duri e aspri come la a- no i, per quei piaceri, il re stava pagando un duro prezzo: aveva il fiato grosso quando arrivarono alla base della scala e alla luce della lanterna il suo volto era congestionato. «Maestà» disse Ned rispettosamente. Con un ampio movimento circola- re, proiettò la luce della lanterna nell'oscurit mbre si spostarono e si riad etre del pavimento definendo una lunga, doppia teoria di pilas che veniva progressivamente inghiottita dalle tenebre. I morti erano immobili sui troni di pietra addossati alle pareti fra i pilastri, la schiena ap- poggiata alla tomba che conteneva i loro resti. «Lei è verso il fondo» ripre- se Eddard. «Vicino al lord mio padre e a Brandon.» Avanzò per primo tra i pilastri. Robert lo seguì in ividendo nel gelo del sottosuolo. Il gelo dominava, là sotto. I loro passi risuonavano contro le pietre del pavimento, rimbalzavano sulla volta del sepolcro che ospitava i defunti della Casa Stark. Ai piedi dei signori di Grande Inverno stavano accucciati grossi meta-lupi; i vo etre che sigillavano le tombe li osservarono passare con occhi privi di lu- ce che scrutavano in eterne tenebre. Nell'alone luminoso in movimento, quelle figure di granito parevano agitarsi sui loro scran i vivi. Secondo l'antica tradizione, una spada lunga di ferro era posata di traver- so sulle ginocchia di ognuno di essi, per consentire loro di tenere gli spiriti della vendetta imprigionati nelle cripte. La ruggine aveva divorato la lama più antica, lasciando solamente poche tracce rossastre là dove il metallo era rimasto in appoggio sulla pietra. Ned si chiese se questo pot re che ora gli spettri erano liberi di vagare nel castello, ma non volle cre- derci. I primi lo terra sulla quale avevano dominato. Nei secoli che avevano preceduto l'arrivo dei Signori dei draghi dall'altra parte dell'oceano, quei lord avev respinto qualsiasi alleanza. Erano stati i re del Nord. pe nti. Ma questo al re non lo disse. Esistevano certe antiche ferite che no so suo mari- to to dichiararsi onorata pe e Ned. «Lysa non do i e Catelyn erano molto legate e anche lei po- tre rivi trop- po ister» di fra le tombe. I suoi denti scintillavano in m r sempre. Due settimane dopo era morto. La malattia lo ha come brucia- to dentro.» Si fermò accanto a un pilastro, vicino alla tomba di un altro Stark svanito da molto tempo. «Lo amavo, quel vecchio.» «Tutti e due lo amavamo.» Ned fece una pausa. «Catelyn è preoccupata per sua sorella Lysa. Come sta affrontando il lutto?» «In verità, non bene.» La bocca di Robert si strinse. «Credo che la perdi- ta di Jon l'abbia fatta diventare matta. Ha preso il bambino e l'ha riportato al Nido dell'Aquila, contro la mia volontà. Avevo sperato di darlo in ado- zione a Tywin Lannister a Castel Granito. Jon non aveva né fratelli né altri figli. Cosa ci si aspettava che facessi, che lo lasciassi far crescere dalle donne?» Lord Tywin Lannister. Piuttosto che mettere un bambino, qualsiasi bambino, tra le sue grinfie, Ned Stark l'avrebbe buttato in una fossa piena di serpe n si erano mai completamente rimarginate. Bastava una parola sbagliata per riaprirle e farle sanguinare di nuovo. «Quella donna ha per » disse cautamente. «Forse ora teme di perdere anche il figlio. E il ragaz- zo è molto giovane.» «Sei anni, malaticcio e lord del Nido dell'Aquila... Gli dei ne abbiano pietà» esclamò il re. «Lord Tywin non ha mai avuto un protetto e i Lanni- ster sono una grande, nobile Casa. Lysa avrebbe dovu r una simile prospettiva, invece non ha voluto nemmeno sentirne parlare. Se n'è andata nel mezzo della notte, senza dire una parola a nessuno. Cer- sei era furiosa.» Respirò a fondo. «E come se non bastasse, il bambino por- ta il mio stesso nome. Lo sapevi questo? Robert Arryn. Ho giurato di pro- teggerlo. Ma mi dici come faccio a proteggerlo se sua madre me lo porta via?» «Lo prenderò io come mio protetto, se lo desideri» diss vrebbe avere problemi. Le bbe stare qui, se lo volesse.» «Un'offerta generosa, caro amico» rispose il re. «Peccato che ar tardi. Lord Tywin ha già dato il proprio consenso, e mandare il bambi- no da un'altra parte significherebbe recargli un grave affronto.» «Ho molto più a cuore la sorte di mio nipote dell'orgoglio dei Lann chiarò Ned freddamente. «È perché non dormi con una Lannister.» La risata di re Robert si riper- cosse sul soffitto a volta e risuonò ezzo all'enorme barba nera. «Ah, Ned, sei sempre così serio.» Gli mise sulle spalle un braccio massiccio. «Avevo pensato di lasciar passare qual- che giorno prima di parlarti, ma ora mi rendo conto che non c'è nessun bi- so Ma per il pia- ce ini e parli co i sei anni non è gno di aspettare. Vieni.» Si avviarono di nuovo tra i pilastri, il braccio del re sempre sulle spalle di Eddard. I ciechi occhi di pietra degli Stark sembravano seguirli passo passo. «Non dirmi che non ti sei domandato per quale ragione, dopo tutto que- sto tempo, ho finalmente deciso di venire a Grande Inverno.» Ned aveva fatto delle ipotesi, ma preferì non esprimerle. « re della mia compagnia» disse scherzoso. «Per che altro? E poi c'è la Barriera. È necessario che tu la veda, maestà, che ne visiti i fort n gli uomini che la sorvegliano. I Guardiani della notte sono l'ombra di ciò che erano un tempo. Mio fratello Benjen dice...» «Senza alcun dubbio, sentirò molto presto tutto quello che c'è da sentire sulla Barriera da tuo fratello Benjen» tagliò corto Robert. «La Barriera sta dove sta da... quanto?... ottomila anni? Non credo che andrà da nessuna parte nei prossimi giorni. Ho altre preoccupazioni, ben più pressanti. Que- sti sono tempi difficili e devo avere uomini validi attorno a me. Uomini come Jon Arryn. Era lord del Nido dell'Aquila, protettore dell'Est e Primo Cavaliere del re. Rimpiazzarlo sarà tutt'altro che facile.» «Suo figlio...» iniziò Ned. «Suo figlio gli succederà nel Nido dell'Aquila e in tutti i suoi proventi» lo interruppe bruscamente Robert. «Adesso però basta parlarne.» Ned, colto di sorpresa, si fermò di colpo e si girò fissando il suo re. Parlò senza mezzi termini: «Gli Arryn sono sempre stati protettori dell'Est, Ro- bert. È un titolo che viene assieme al dominio sul Nido dell'Aquila». «Quando sarà in età, può darsi che gli venga restituito. Ho tutto que- st'anno per pensarci, e anche tutto il prossimo. Un bambino d un condottiero di armate, Ned.» «In tempo di pace, quel titolo è una semplice onorificenza. Lascia che il bambino lo conservi. Per suo padre, se non per lui. Quanto meno lo devi a Jon, per i servigi che ti ha reso.» «Quei servigi erano un preciso dovere di Jon nei confronti del suo so- vrano.» Il re cominciava a irritarsi. Il suo braccio si allontanò dalle spalle di Eddard. «Non sono un ingrato, Ned, tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro. Ma il figlio non è il padre e un bambino non può tenere l'Oriente dei Sette Regni.» Il tono di Robert si ammorbidi. «Non voglio di- scutere con te, Ned. Non continuiamo a parlare di questo. C'è dell'altro.» Prese Eddard per un gomito. «È di te che ho bisogno, Ned.» assieme al Nido dell'Aquila...» R furono anni buo- ni oia, fare i co embra se ire di se Certe notti penso che forse sarebbe stato meglio av ed a bassa voce. a lui. L'offerta non lo sorprese. R ponsabilità e un potere va dei poteri che avrebbe mai voluto. altro: avere te che m «Sono ai tuoi comandi, maestà.» Parole che doveva dire e che disse, pur essendo pieno di timori su ciò che stava per arrivare. «Sempre.» «Gli anni che tu e io abbiamo trascorso obert parve averlo udito a stento. «Per gli dei... quelli sì , validi. Ned, ti voglio di nuovo al mio fianco. Ti voglio con me ad Ap- prodo del Re, non quassù, all'ultimo, dannato confine del mondo, dove non sei utile a nessuno.» Scrutò nel buio che li circondava e per un attimo i suoi lineamenti ebbero l'espressione malinconica degli Stark. «Te lo giuro, Ned: se conquistare un trono è duro, è nulla in confronto a quello che ti ar- riva addosso quando ci stai seduto sopra. Le leggi sono una n nti con le casse del regno è addirittura peggio. E poi la gente... S nza fine. Sto seduto su quello stramaledetto sedile di ferro a sentire le lo- ro lamentele fino a quando il cervello mi va in acqua e il culo a fuoco. Non ce n'è uno che non voglia qualcosa: denaro, terre, giustizia. E le menzogne che raccontano... I miei nobili, le mie nobildonne non sono di certo me- glio. Sono circondato da adulatori e da imbecilli. Roba da farti usc nno, Ned. Una metà non ha il coraggio di dirmi la verità, l'altra metà non sa nemmeno dove si trovi. erla perduta, la battaglia del Tridente. Be', non proprio...» «Mi rendo conto» disse N «Lo so.» Robert riportò lo sguardo su di lui. «Penso che tu ti renda con- to. E penso anche che nessun altro si renda conto, mio caro, vecchio ami- co.» Gli sorrise. «Lord Eddard Stark, voglio farti Primo Cavaliere del re.» Ned mise un ginocchio a terra di fronte obert non poteva avere nessun'altra ragione per fare tutta quella strada fi- no a Grande Inverno. Il Primo Cavaliere del re era il secondo uomo più po- tente dei Sette Regni: parlava in luogo del re, guidava gli eserciti del re, redigeva le leggi del re, arrivava addirittura a sedere lui stesso sul Trono di Spade, dispensando la giustizia del re quando questi era assente, ammalato o altrimenti occupato. Ciò che Robert gli stava offrendo erano una res sti quanto il reame stesso. Ma erano anche l'ultima delle responsabilità, l'ultimo «Non sono degno di un simile onore, maestà» rispose. «Ned, se avessi voluto farti un onore, ti avrei permesso di rifiutare» bor- bottò Robert in modo benevolo. «Il mio progetto è ben andi avanti il regno mentre io vado avanti a mangiare, bere, fottere e Per primo era venuto il lord suo padre che scortava la regina. Cersei Lannister era effettivamente la bellezza che tutti gli uomini dicevano che fosse. Una tiara di pietre preziose tratteneva i suoi lunghi capelli biondi, gli smeraldi in perfetto accostamento cromatico con il verde dei suoi occhi. Suo padre le aveva dato il braccio nel salire i pochi gradini della piattafor- ma e l'aveva fatta accomodare, ma la regina non l'aveva neppure degnato di uno sguardo. Jon Snow aveva soltanto quattordici anni, ma era per- fettamente in grado di vedere che cosa traspariva dal sorriso di quella don- na to costretto a dirgli di andare avanti quando si era fer- m rcella, un giunco di ragazzina di nemmeno otto anni, co di Robb e di Jon, m nde Inverno. . Poi era stata la volta del re, con lady Stark al braccio. Per Jon, il re era stato una profonda delusione. Suo padre ne parlava spesso: l'invincibile Robert Baratheon, il demone della battaglia del Tridente, il più letale guer- riero dei Sette Regni, gigante tra i principi. Tutto ciò che Jon vide fu un uomo obeso dalla camminata pencolante, la faccia arrossata, madida di su- dore sotto tutta quella barba. Dopo i genitori erano arrivati i figli. Il piccolo Rickon aveva aperto il gruppo, affrontando la lunga sfilata con tutta la dignità di un bambino di tre anni. Jon era sta ato vicino a lui per sorridergli. Dietro veniva Robb, che indossava una tunica di lana grigia bordata di bianco, i colori degli Stark. Aveva al brac- cio la principessa My n una cascata di riccioli dorati raccolta in una reticella adorna di gioielli. Mentre avanzavano tra i tavoli, a Jon non erano sfuggiti lo sguardo timido che la bambina allungava a Robb e il timido sorriso che gli riservava. Jon aveva deciso che Myrcella era decisamente insipida, probabilmente anche stupida. A giudicare dal suo sorriso da un orecchio all'altro, Robb doveva trovarsi a mille miglia da pensieri simili. Le sue sorellastre scortavano i principi reali. Ad Arya, nove anni, era toccato il grassottello Tommen, i cui capelli biondo cenere erano addirittu- ra più lunghi di quelli di lei. Sansa, due anni più di Arya, era con il princi- pe ereditario, Joffrey Baratheon, dodici anni, più giovane a anche più alto di entrambi, la qual cosa a Jon non era piaciuta affatto. Il principe Joffrey aveva i capelli biondi di sua sorella e gli occhi verdi di sua madre. Una spessa coda di riccioli biondi gli scendeva al disotto della gor- giera d'oro, fino all'alto collo di velluto. Nel camminargli a fianco, Sansa appariva radiosa, ma a Jon non erano piaciute le labbra carnose, per certi versi femminee, del principe. E gli era piaciuta ancora meno l'occhiata di annoiata condiscendenza che aveva lanciato alla sala di Gra Era stato molto più interessato dal gruppo che seguiva: i fratelli della re- gi r, fratello gemello della regi- na togliere lo sguardo da quell'uomo. Un pe o dal fratello, aveva visto l'altro Lannister: Tyrion, il pi lla notte e il giovane Theon Greyjoy, il protetto di suo padre. Nel su eduti, si era passati ai brindisi di rigore, ai reciproci rin a quel pu lcosa si strusciò contro le sue gambe. Jon vide due oc u- gn io, Spettro, il meta-lupo albino, iniziò a divorarlo. Ai suoi fratelli e sorelle non era stato permesso portare i loro lu- na, i Lannister di Castel Granito, il Leone e il Folletto, ed era impossibile non capire chi fosse cosa. Ser Jaime Lanniste Cersei, era alto e dorato, con scintillanti occhi verdi e un sorriso affilato come una lama di Valyria. Indossava seta porpora, alti stivali neri, un'am- pia cappa di satin nero. Il leone della sua nobile Casa, ricamato in oro sul petto del suo farsetto, era raffigurato in un ruggito carico di sfida, di mi- naccia. Il Leone di Lannister, così veniva chiamato ser Jaime nelle sale del regno, ma alle sue spalle si sussurrava un altro appellativo, assai diverso: Sterminatore di re. Eppure Jon non era riuscito a dis nsiero aveva preso forma nella sua mente: "È questo l'aspetto che do- vrebbe avere un re". E poi, seminascost ù giovane della covata di lord Tywin e di gran lunga il più brutto. Tutti i doni estetici che gli dei avevano concesso a Cersei e a Jaime, li avevano negati a Tyrion, il Folletto, un nano alto la metà del fratello, che arrancava per tenere il passo su gambette arcuate, deformi. La sua testa, sproporzio- natamente grossa in confronto al resto del corpo, ospitava una faccia dai lineamenti brutali, rincagnati, quasi tenuta in ombra da un'arcata soprac- cigliare sporgente. Aveva occhi dai colori diversi, uno nero e l'altro verde, le iridi asimmetriche seminascoste da un ciuffo di capelli talmente biondi da apparire bianchi. Jon l'aveva fissato come ipnotizzato. Ultimi dei lord a fare il loro ingresso erano stati Benjen Stark dei Guar- diani de perarlo, Benjen aveva rivolto a Jon un sorriso pieno di calore. Per con- tro, Theon l'aveva smaccatamente ignorato: nulla di nuovo. Una volta che tutti quanti furono s graziamenti, e finalmente il festino aveva avuto inizio. Era stato nto che Jon aveva cominciato a darci dentro con il vino. E non aveva ancora smesso. Sotto il tavolo, qua chi rossi, ardenti. «Ancora fame?» chiese. Al centro del tavolo era rimasto mezzo pollo marinato al miele. Jon al- lungò una mano per strapparne una coscia, poi ci ripensò. Conficcò il p ale nel volatile e lo lasciò cadere a terra tutto intero, tra le proprie gam- be. In un silenzio sinistro, selvagg pi dicendo il fumo. M era abbaiò una sola volta, lanciando la sfida. Era grossa al la mossa giusta: si ritirò con la coda tra le gambe, lanciando un ardò, gli diede un piccolo colpo con il naso alla mano e rip do. Suo zio Benjen Stark gli arruffò i capelli pr 'aneddoto che stava ra n uomo dai lineamenti marcati, asciutto come uno sp ni della notte. Per l'occasione, aveva scelto spesso al banchetto, ma quel lato della sala era zeppo di animali e nessuno si era sognato di dire niente a Jon in merito al suo cucciolo. Un altro aspetto della fortuna di essere un bastardo. Gli occhi gli bruciavano e se li sfregò con forza, male andò giù un'altra sorsata di vino e osservò il meta-lupo che continuava a fare a pezzi il pollo. Parecchi cani incrociavano fra i tavoli, tallonando le serve che trasporta- vano il cibo. Uno di loro, una cagna nera dagli occhi giallastri, percepì l'a- roma del pollo. Si fermò e andò a infilarsi sotto la panca per prenderne un pezzo. Jon osservò il confronto. La cagna emise un basso ringhio e si avvi- cinò a Spettro, che sollevò il muso e la fissò con quei suoi occhi fiammeg- gianti. La cagna n meno il triplo di lui, ma Spettro non si scompose. Si limitò ad aprire le fauci e a scoprire le zanne ricurve. La cagna s'irrigidì, abbaiò una seconda volta, poi fece ultimo ringhio per salvare l'orgoglio. Spettro tornò a dedicarsi alla sua preda. Jon sogghignò, si protese sotto il tavolo e scompigliò la pelliccia bianca. Il meta-lupo lo gu rese a mangiare. «Per cui questo è uno dei meta-lupi dei quali ho sentito parlare.» Jon alzò lo sguardo sorriden essoché nello stesso modo in cui lui aveva arruffato il pelo del cucciolo. «Si chiama Spettro.» Uno degli altri signorotti seduti al tavolo interruppe l ccontando e si spostò per fare posto al fratello del suo lord. Benjen sca- valcò la panca con le lunghe gambe e prese la coppa dalla mano di Jon. «Vino dell'estate» rilevò dopo un sorso. «Niente di più dolce. Quante te ne sei già scolate di queste, Jon?» Jon sorrise senza rispondere. «Proprio come temevo» rise Ben. «Ah, be', in ogni caso credo di essere stato anche più giovane di te la prima volta che mi sono sbronzato.» Da un vassoio accanto a loro prelevò una grossa cipolla arrostita gocciolante sal- sa speziata e l'addentò, facendola scricchiolare tra i denti. Benjen Stark era u erone basaltico, ma c'era sempre un accenno di allegria nei suoi occhi azzurro acciaio. Vestiva interamente di nero, secondo la tradizione della confraternita dei Guardia «Potrebbe importarti, se sapessi cosa significa» ribatté Benjen. «Se re- almente ti rendessi conto di qual è il prezzo di quel giuramento, forse, fi- gliolo, saresti molto meno incline a pagarlo.» Jon sentì la rabbia montargli dentro. «Non sono il tuo figliolo!» «Un peccato.» Benjen Stark gli mise una mano sulla spalla. «Torna da me dopo aver messo al mondo a tua volta un po' di bastardi. Vedremo allo- ra li occhi di tutti si timi frammenti di di nto non si fo cr ui si svincolò dalla presa e corse verso la porta, la vista of- fu lla stava immobile sul camminamento più alto de ella cappa per proteggersi da eppure, da come si sentiva in quel mo- m zza era deserta e tenebrosa. Molto tempo prima, Jon aveva vi fine- st se sarai della stessa idea.» «Io non metterò mai al mondo dei bastardi.» Jon adesso tremava per l'i- ra. «Mai!» L'ultima parola gli venne fuori in un sibilo, come un soffio ve- lenoso. Su quel tavolo pieno di risate e di vino scese il silenzio, g puntarono su di lui. Jon sentì le lacrime aprirsi la strada tra le palpebre. In qualche modo, si alzò in piedi. «Credo sia opportuno che io mi ritiri» disse con gli ul gnità. Girò su se stesso e schizzò via prima che potessero vedere che stava piangendo. Ma il vino gli era andato alla testa molto più di qua sse reso conto. Barcollò per ritrovare l'equilibrio, finendo malamente ad- dosso a una delle serve. La caraffa di vino che la ragazza trasportava le sfuggì di mano, disintegrandosi a terra in una sonora esplosione liquida, al- la quale fece seguito un'ancora più sonora esplosione di risate. Jon sentì la- ime roventi scendergli lungo le guance. Qualcuno cercò di aiutarlo a te- nersi in piedi. L scata, la testa in fiamme. Spettro gli tenne dietro, e uscì assieme a lui nella notte. Tutto era immobile, là fuori. Tutto era vuoto. Un'unica, solitaria sentine lla muraglia interna, una nera figura avvolta n l freddo. Da solo, nel buio e nel gelo, raccolto su se stesso, l'uomo appa- riva intirizzito e annoiato a morte ento, Jon Snow avrebbe preso il suo posto senza pensarci un attimo. Tut- t'attorno la forte sto un castello abbandonato, un luogo desolato, battuto dal vento, la memoria di chi l'aveva abitato perduta nelle pietre inerti. Quella notte, Grande Inverno era sinistramente simile all'antica rovina. La musica e le risate del banchetto continuavano a riversarsi da una ra aperta alle sue spalle. Erano gli ultimi suoni che avrebbe voluto udire. Si asciugò le lacrime con la manica della tunica, inferocito con se stesso per averle versate, quindi si girò per andarsene. doccione, era seduto sul cor- ni un lupo?» mprovviso. «Che ci fai lassù? Perché non sei alla festa?» re una bella vomitata addosso al pr fra le buone maniere. Quel tuo... m bbe un'esitazione. Alla fine annuì cautamente. «Scendi tu o porto un e infine saltare all'indie- tro spolverata. «Si direbbe ch inocchiò. «Spettro: vieni qui, da bra- vo eggiò nuovamente, scoprendo le zanne in un ringhio silenzioso. glielo dirò io. L'ho addestrato in a di Spettro fra le or l nano inclinò la te- st «Ehi, ragazzo.» Jon si voltò verso la sorgente della voce. Tyrion Lannister, folletto trasformatosi in cione al disopra del portale che conduceva nella sala grande. «Quel tuo animale» proseguì il nano con una smorfia «è «Un meta-lupo. Si chiama Spettro.» Jon osservò l'ometto, e tutta la sua rabbia, tutta la sua disperazione svanirono come foschia scacciata da un vento i «Bah. Troppo caldo, troppo frastuono. E troppo vino che di sicuro man- derei giù. Ho imparato da un pezzo che fa oprio fratello non è un gesto annoverato eta-lupo... posso dargli un'occhiata più da vicino?» Jon e a scala io?» «Ah, alla malora la scala.» Il piccolo uomo saltò nel vuoto, let- teralmente. Jon soffocò un'esclamazione all'idea di cosa stava per accade- re. Poi rimase a bocca aperta nell'osservare Tyrion Lannister avvolgersi a palla a mezz'aria, toccar terra su entrambe le mani atterrando sulle gambe. Spettro, improvvisamente guardingo, arretrò. «Le mie scuse.» Il nano rise, dandosi una teatrale e abbia fatto paura al tuo lupo.» «Non gli hai fatto paura.» Jon s'ing ecco, così.» Ai suoi comandi, il cucciolo di lupo tornò ad avanzare, spingendo il mu- so contro il viso di Jon ma continuando a tenere d'occhio Tyrion Lannister. E quando il Folletto allungò cauto una mano per accarezzarlo, Spettro in- dietr «Spettro, seduto» comandò Jon. «Così. Fermo.» Guardò il nano. «Ades- so puoi toccarlo. Non si muoverà finché non questo modo.» «Vedo» commentò Tyrion. Arruffò la pelliccia bianc ecchie e disse: «Simpatico, questo lupo». «Se non ci fossi io, ti aprirebbe la gola» affermò Jon. Non era ancora successo niente di simile, ma avrebbe potuto. «In tal caso, è meglio che non ti allontani troppo.» I a di lato; i suoi occhi asimmetrici studiavano Jon. «Sono Tyrion Lanni- ster.» «Lo so.» Jon si rimise in piedi. Era nettamente più alto del Folletto, il che lo fece sentire stranamente a disagio. «Sei il bastardo di Ned Stark, giusto?» Jon sentì il gelo tornare dentro di lui. Strinse le labbra, rimanendo in si- lenzio. «Ti ho offeso?» chiese Tyrion. «Mi dispiace, ma i nani non sono obbli- gati ad avere tatto. Dopo la pletora d'imbecilli con mantello con la quale sono stato costretto ad avere a che fare, mi sono guadagnato il diritto di vestire in modo schifoso e di di sa fetente mi passi per la te- sta.» Fece una smorfia. «Tu però sei il bastardo.» n'armatura, e non potrà mai essere usata contro di te ra- ga maggior parte di loro lo so re qualsiasi co «Lord Eddard Stark è mio padre» ammise Jon rigidamente. «Si vede.» Tyrion studiò i suoi lineamenti. «In te c'è molto più l'uomo del Nord di quanto non ce ne sia nei tuoi fratelli.» «Fratellastri» corresse Jon. Le parole del Folletto gli avevano fatto pia- cere, ma cercò di non darlo a vedere. «Allora lascia che ti dia qualche consiglio, bastardo» riprese Tyrion Lannister. «Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne u .» Jon Snow non era in vena di stare a sentire consigli, da nessuno. «Tu che ne sai di cosa significa essere un bastardo?» «Agli occhi dei loro padri, tutti i nani sono bastardi.» «Ma tu rimani un Lannister, sangue del loro sangue.» «Davvero?» Il Folletto ebbe un'espressione sardonica. «Non esitare, zzo: va' pure a dirlo al lord mio padre. Mia madre morì nel darmi alla luce, per cui lui non ha mai potuto esserne del tutto certo.» «Io non so nemmeno chi sia, mia madre» disse Jon. «Una donna d'eccezione, senza alcun dubbio. La no.» Tyrion gli elargì un sorriso di solidarietà. «Ricorda una sola cosa, ragazzo: tutti i nani potranno anche essere dei bastardi, ma non è affatto necessario che tutti i bastardi debbano essere dei nani.» Detto questo, il Folletto girò sui tacchi e fischiettando arrancò verso il portale per tornare alla festa. Quando aprì la porta, la luce proveniente da dentro proiettò la sua ombra sull'intera lunghezza del cortile del castello. Per un momento, Tyrion Lannister fu più torreggiante del re del Sette Re- gni. B er alzarsi e andargli vicino quando qualcuno bussò alla po i. Chiede ur taglia pesante. Catelyn si re ne chiudere le finestre» suggerì. iva nulla. Indossava una veste lu terne altrettanto am- pi orta si fosse chiusa alle sue sp pariva irritato. «Da chi? È venuto qualcuno a osservatorio mentre sonnec- ch biamo altri visitatori ve randon, esattamente come voleva la tradizione, ma quel fantasma non aveva mai cessato d'incombere su di loro. Assieme all'altro fantasma, quel- lo della donna il cui nome si era sempre rifiutato di rivelare: la donna che gli aveva dato Jon, il figlio bastardo. Catelyn stava p rta in modo perentorio, inaspettato. Ned si girò, la fronte aggrottata: «Che c'è?». «Mio signore» era la voce di Desmond. «Maestro Luwin è qu gente udienza.» «Gli hai detto che ho dato ordine di non essere disturbato?» «Sì, mio signore. E maestro insiste.» «E va bene. Fallo entrare.» Ned raggiunse il guardaroba e indossò una ves se improvvisamente conto di quanto freddo fosse entrato nella stanza. Rimase a sedere sul letto, ma tornò a tirarsi le pellicce fino al mento. «For- se sarebbe be Ned annuì con aria assente. Maestro Luwin era un ometto grigio, molto avanti negli anni, dagli occhi mobilissimi, attenti, vigili, ai quali non sfugg nga e ampia di lana grigia bordata di pelliccia bianca, i colori degli Stark. Era un indumento dalle maniche ampie, con tasche in e. Da quelle maniche, da quelle tasche, Luwin faceva entrare e uscire senza sosta libri, messaggi, strani manufatti, giocattoli per i bambini. Con tutta la roba che teneva nascosta là dentro, Catelyn continuava a chiedersi come riuscisse a muovere le braccia. «Mio signore.» Il maestro attese che la p alle prima di proseguire. «Perdonami se disturbo il tuo riposo. Mi è stato lasciato un messaggio.» «Ti è stato lasciato?» Ned ap cavallo? Non sono stato avvertito.» «Nessuno a cavallo, mio signore. Si tratta di una scatola di legno lavora- to che è stata depositata sul tavolo del mio iavo. I miei servitori non hanno visto nessuno, ma ritengo sia stata porta- ta da qualcuno presente al banchetto del re. Non ab nuti dal Sud.» «Una scatola di legno?» chiese Catelyn. «Cosa conteneva?» «Un'ottima lente nuova per il mio osservatorio. Dal tipo di lavorazione, direi che è stata fatta a Myr. Gli ottici di Myr non hanno eguali.» «Certo che no, maestro Luwin» sbuffò Ned. «E quest'ottima lente di Myr cos'avrebbe a che fare con me?» Lord Stark non aveva molta tolleran- za bene. ima domanda» rispose Luwin. «Chiaramente, di maggior ch a alcun dubbio.» Maestro Luwin passò un dito sul simbolo del suo or esante catena che portava al collo sotto la tonaca, cia- sc qualcuno vo ttamente arrotolata. «C'era questo mes- sa iofondo della scatola di legno che conteneva la le o, allora.» e non siano neppure i tuoi gl rire bocca. Il maestro collocò il do- cu ostò su Catelyn. «M a mano e afferrò la lettera con dita tre- m posta la sua nudità. Nella ce e Casa Arryn, il falcone co nno buone notizie. C'è dolore in questo messaggio, Ned, m ulle parole che, a tutta prima, parvero non avere al per questo genere di cose, Catelyn lo sapeva fin troppo «Mi sono posto la medes etro l'oggetto in sé, doveva esserci ben di più.» Sotto la coltre di calde, pesanti pellicce, Catelyn ebbe un brivido im- provviso. «Una lente è uno strumento che serve a vedere con iarezza.» «Senz dine culturale, la p una maglia forgiata in un metallo diverso. E di nuovo, Catelyn percepì quel brivido glaciale. «Che cosa rrebbe che noi vedessimo con maggior chiarezza?» «Un'altra domanda che anch'io mi sono posto.» Da una manica, maestro Luwin fece apparire una carta stre ggio nascosto in un dopp nte. Ma non è destinato ai miei occhi.» Ned protese la mano. «Dammel «Temo, mio signore» Luwin non si mosse «ch i occhi ai quali è destinato. È per quelli di lady Catelyn, e per i suoi so- lamente. Posso avvicinarmi?» Catelyn annuì, non fidandosi ad ap mento sul tavolo accanto al letto. Il sigillo era un piccolo grumo di cera- lacca blu. Luwin s'inchinò e fece per ritirarsi. «Rimani.» La voce di Ned era tesa, il suo sguardo si sp ia signora... Tu stai rabbrividendo. Che cosa c'è?» «Ho paura...» Catelyn allungò un anti. Le pellicce scivolarono giù, lasciando es ralacca blu era impresso il simbolo della nobil ntro la luna piena. «È di mia sorella Lysa.» Catelyn guardò il marito. «E so che non sara olto dolore. Posso percepirlo...» L'espressione di lui si fece ancora più cupa. «Aprilo.» Catelyn spezzò il sigillo. I suoi occhi volarono s cun senso. Poi ricordò. «Lysa non ha voluto correre rischi. Quando era- vamo bambine, avevamo un nostro linguaggio privato, lei e io.» «Sei ancora in grado di capirlo?» «Sì.» «Che cosa dice?» «Forse è opportuno che io mi ritiri» suggerì di nuovo maestro Luwin. «No» lo fermò Catelyn. «Avremo bisogno del tuo consiglio.» Si liberò delle pellicce e si alzò. L'aria era gelida contro la sua pelle nuda m filò una camicia da notte e s'inginocchiò su a, la raggiunse, l'afferrò per un braccio e la fece al chie per udirlo.» ia che se fosse caduto nelle mani sbagliate avrebbe significato m essere stati ben più ch devi diventare Primo C e sole verità ch entre attraversava la stanza. Maestro Luwin distolse lo sguardo. Ned stentava a credere ai propri occhi. «Ma che fai, Catelyn?» «Accendo il fuoco.» Catelyn s'in lle pietre gelide del caminetto. «Maestro Luwin» cominciò Ned «potresti...» «Maestro Luwin ha portato alla luce tutti i miei figli» lo interruppe Ca- telyn. «I falsi pudori sono del tutto fuori luogo.» Infilò il messaggio tra gli alari e lo coprì con i ceppi più grossi. Ned attraversò la stanz zare in piedi. «Mia signora, parlami!» Il suo volto era a brevissima di- stanza da quello di lei. «Che cosa c'è in quel messaggio?» Catelyn s'irrigidì nella sua stretta. «Un avvertimento» disse in un soffio. «Se abbiamo orec Lo sguardo di Ned frugò il suo. «Va' avanti.» «Lysa dice che lord Arryn è stato assassinato.» «Assassinato...» La stretta di Eddard Stark aumentò ancora di più. «Da chi... Da chi?» «Dai Lannister» rispose Catelyn. «Dalla regina.» «Ah, dei onnipotenti!» Ned la lasciò andare; c'erano segni rosso scuro sulla pelle di lei. «Tua sorella è accecata dal dolore per la perdita di Jon. Non sa quello che dice.» «Lo sa perfettamente, invece. Lysa è un'impulsiva, è vero, ma questo messaggio è pianificato troppo attentamente, celato troppo abilmente. Lei era consc orte certa. Per correre un simile rischio, i suoi devono e semplici sospetti.» Catelyn guardò dritto negli occhi suo marito. «A questo punto, veramente non abbiamo più scelta. Tu avaliere del re, Ned. Tu devi andare con Robert al Sud e scoprire la veri- tà.» «La verità, dici?» Eddard Stark era giunto a una conclusione radicalmen- te diversa. A Catelyn bastò un attimo per rendersene conto. «L e conosco si trovano qui. Il Sud è un covo di serpenti dal quale ho tutte Molti uomini avevano figli bastardi, una consapevolezza che aveva ac- compagnato Catelyn fin dalla più tenera età. Così non era stata una sorpre- sa per lei, proprio nel primo anno del suo matrimonio, scoprire che Ned er ed era un uomo nel pieno delle fo a quel marito che cono- sc ra suo dovere as quali riporta- va ai mariti tornati dalla guerra. Bi- sb lba, il più le- ta loro giovane lord, Eddard Stark, l'aveva decapitato in duel- lo l Tramonto, sulle rive del mare dell'Estate: lady Ashara Dayne, alta, be arito la veva avuto paura di Ned. a padre di un bastardo avuto da chissà quale giovane donna incontrata in una delle sue molte campagne militari. N rze e, dopotutto, avevano trascorso un intero anno lontani l'uno dall'altra: lui a combattere nel Sud, lei al sicuro tra le mura del castello di suo padre a Delta delle Acque. A quel tempo, i suoi pensieri appartenevano molto di più a Robb, il piccolo attaccato al suo seno, che eva a malapena. All'epoca aveva pensato che, se aveva tanto bisogno di sollazzarsi tra una battaglia e un assedio, facesse pure. Ebbene, Eddard Stark l'aveva fatto. E visto che il suo seme aveva attecchito, e sumersi la responsabilità della nuova vita che aveva generato. Catelyn aveva messo nel conto anche questo. Ma Eddard Stark aveva fatto ben di più: gli Stark non erano come tutti gli altri uomini. Ned aveva portato il bastardo a casa con sé, l'aveva chia- mato "figlio", non ne aveva fatto segreto in nessuna landa del Nord. E quando finalmente le guerre ebbero fine e Catelyn tornò a Grande Inverno, Jon Snow e la sua balia erano là ad aspettarla da un pezzo. Quella ferita non si era mai rimarginata. Ned aveva rifiutato di rivelare chi fosse la madre, nemmeno un accenno. Ma non esistono segreti in un castello, e Catelyn ricordava le chiacchiere delle servette, le no altre chiacchiere, raccontate loro d igli, sussurri. Parlavano di ser Arthur Dayne, la Spada dell'a le dei sette cavalieri della Guardia di Aerys Targaryen, il re Folle. Parla- vano di come il , e soprattutto di quanto era accaduto dopo. Eddard Stark che riporta la spada di ser Arthur alla sua giovane sorella, che aspettava nel castello delle Stelle a llissima, pelle d'alabastro, magnetici occhi viola. C'era voluto molto tempo prima che Catelyn trovasse il coraggio di chiedere, ma alla fine l'a- veva trovato. Una notte, nel loro talamo, aveva voluto sapere da suo m verità. E in tutti i loro anni come marito e moglie, quella rimaneva la sola volta in cui Catelyn a «Mai, mai chiedermi di Jon.» La sua voce era stata fredda come il ghiac- cio, affilata come il vento che soffiava da oltre la Barriera. «Jon è sangue del mio sangue. Questa è la sola cosa che ti sarà dato conoscere. E adesso mi dirai dove hai udito quel nome, mia signora.» o quella no - da ai stato sufficiente a convincerlo ad allontanare il ragazzo. Ed er può stare qui» lo interruppe Catelyn. «È figlio tuo, non mio. Non lo rdi... questo diranno di lui. Sarà bollato per sempre.» na.» o la do o di crudeltà? Jon è solamente un ra l nero.» ed non riusciva a crederci. «Jon ha chiesto di entrare nei Guardiani del- la notte?» atelyn non disse nulla. Lasciò che Ned facesse da solo i conti con il Catelyn aveva giurato di obbedire, poi gliel'aveva detto. Dop tte, i sussurri del castello cessarono. Nella fortezza di Grande Inverno, il nome di lady Ashara Dayne non venne mai più pronunciato. Chiunque fosse stata la madre di Jon, Ned doveva averla amata profon mente. Nulla di quanto Catelyn aveva detto, pregato, implorato, minac- ciato era m a l'unica cosa che non gli aveva mai perdonato. Aveva imparato ad ama- re il marito con tutta l'anima, ma non era mai stata in grado di trovare la forza di amare anche Jon. Sarebbe arrivata a tollerare l'esistenza di cento bastardi, purché fossero lontani dai suoi occhi. Jon Snow, invece, ce l'ave- va sempre davanti. Non solo: più cresceva, più assomigliava a Ned, al di là e oltre qualsiasi altro figlio legittimo che lei gli aveva dato. E ciò aveva te- nuto la ferita non solo aperta, ma perennemente sanguinante. Catelyn disse: «Jon deve andarsene». «Lui e Robb si vogliono bene» ribatté Ned. «Io pensavo...» «Non voglio qui.» Una verità cruda, lei lo sapeva molto bene, ma pur sempre la verità. Ned non avrebbe favorito il ragazzo in nessun modo lasciandolo a Grande In- verno. «Tu sai che non posso portarlo al Sud con me.» Lo sguardo di Ned era pieno d'angoscia. «Non ci sarà alcun posto per lui a corte. Un ragazzo con il nome dei basta Il cuore di Catelyn rimase impenetrabile al muto appello negli occhi del marito. «Dicono che il tuo caro amico Robert di bastardi ne ha fatti almeno una dozzi «Ma nessuno di loro si è mai visto a corte!» tuonò Ned. «Ha pensat nna Lannister a evitare che questo accadesse. Stai mettendoti al suo stesso livello, Catelyn? Stesso esercizi gazzo!...» In lui il furore stava montando. Stava per dire di più, di peggio. «Potrebbe esistere una soluzione, mio signore.» Fu maestro Luwin a in- tervenire quietamente. «Qualche giorno fa, tuo fratello Benjen è venuto da me per parlarmi di Jon. Sembra che il ragazzo aspiri a indossare i N C pr bbe stata sb trascorra questi pochi gi è prossima alla fine, così co- m ARYA rti. I punti del suo ricamo erano un disastro, di nuovo. dre. «Sansa ha mani così pr dane potesse oblema. In quel momento, qualsiasi cosa lei avesse detto sare agliata, ma, se avesse potuto, avrebbe baciato il buon maestro lì, sui due piedi. Era la soluzione perfetta. Benjen Stark era un confratello dell'ordine in nero e avrebbe trattato Jon come un figlio, il figlio che non aveva mai avuto né mai avrebbe potuto avere. Col tempo, anche Jon avrebbe prestato giuramento, e non sarebbero mai esistiti figli suoi che un giorno avrebbero potuto reclamare diritti su Grande Inverno contro i nipoti di Catelyn. «Servire sulla Barriera, mio signore» disse maestro Luwin «è un grande onore.» «E nei Guardiani della notte, perfino un bastardo può raggiungere i più alti ranghi» rifletté Ned, ma la sua voce rimaneva piena di dubbio. «Però Jon è ancora talmente giovane. Chiedere di compiere una scelta simile a un uomo adulto è un conto, ma a un ragazzo di quattordici anni...» «Un duro sacrificio» concordò maestro Luwin. «Ma questi sono tempi duri, mio signore. E la sua strada non sarà meno cruda della tua o di quella della tua lady.» Questo spinse Catelyn a pensare nuovamente ai tre figli che stava per perdere, la spinse a compiere uno sforzo ancora più grande per rimanere in silenzio. Ned si voltò nuovamente verso la finestra, il viso greve, pensieroso. «E sia» concluse alla fine con un sospiro, girandosi. «Immagino sia la soluzione migliore. Parlerò a Ben.» «E quando a Jon?» chiese maestro Luwin. «Quando verrà il momento. Ci sono molti preparativi da fare prima che tutto sia pronto per la partenza. Desidero che Jon orni che rimangono in modo lieto. L'estate e l'infanzia. Quando il tempo verrà, sarò io stesso a dirglielo.» Tutti sto Arya li osservò con occhio critico, corrugando la fronte. Lanciò un'oc- chiata a Sansa, circondata dalle altre ragazze. Il ricamo di sua sorella era splendido, lo dicevano tutti. «I suoi ricami sono deliziosi quanto lei» aveva detto una volta septa Mordane alla lady loro ma ecise, delicate.» Lady Catelyn aveva chiesto anche di Arya, al che la sep- ta aveva fatto una smorfia: «Arya? La delicatezza di un fabbro ferraio». Arya girò lo sguardo sulla stanza, timorosa che septa Mor cava aiuto dalle altre ragazze. «Dimmi, Arya» intervenne septa Mordane, tutt'altro che incerta «dov'è che penseresti di andare?» Arya le elargì uno sguardo di fuoco. «A ferrare un cavallo» rispose con voce delicata, come si addice a una vera signorina di rango, e assaporò una piccola vendetta nel vedere lo stupore invadere la faccia della septa. Poi roteò su se stessa e si precipitò giù per la scala di pietra, veloce come il vento. Non era giusto, ecco. A Sansa era stato dato tutto. Arya era arrivata due an o dal lord suo padre. I suoi ca- pe tempo la chiamava Arya Faccia di cavallo, e nitriva og sorella: andare a cavallo. Quello, più l'amministrazione de Sua madre gl ricamo. E poi si sarebbe visto con chi septa M ano come monete d'oro ogni volta che intercettavano i ra il nome della regina guerriera della R ni dopo e forse, a quel punto, non era rimasto niente da dare a nessun al- tro. Spesso era così che lei percepiva le cose tra loro. Sansa sapeva ricama- re, danzare e cantare, sapeva scrivere poesie e vestirsi, sapeva suonare l'ar- pa e perfino le campane tubolari. Sansa era bella, e quello era davvero il peggio. Aveva ereditato i raffinati zigomi alti di sua madre e i folti capelli corvini dei Tully. Arya, invece, aveva pres lli erano di un castano privo di splendore, il suo volto era allungato e au- stero. Jeyne Poole un ni volta che la vedeva arrivare. La ragione? Era invidiosa del fatto che esistesse almeno una cosa che Arya sapeva fare meglio di sua lla casa. Con i numeri, Sansa proprio non andava d'accordo. Se effetti- vamente avesse sposato il principe Joffrey, Arya poteva solo augurarsi che l'erede dei Baratheon disponesse di un bravo attendente. Nymeria la stava aspettando alla base della torre, nella garitta, e saltò in piedi nell'attimo stesso in cui la vide apparire. Lei sorrise. Il cucciolo di meta-lupo le voleva bene, contro tutti e contro tutto. Erano inseparabili. Nymeria dormiva con lei, accovacciata ai piedi del suo letto. iel'aveva tassativamente proibito, ma Arya sarebbe stata ben contenta di portare la meta-lupa anche al ordane si sarebbe lamentata. Slegò il guinzaglio, mentre Nymeria le leccava la mano. Aveva occhi gialli che scintillav ggi del sole. Arya aveva voluto darle hoyne che aveva guidato il proprio popolo attraverso il mare Stretto. Era stato uno scandalo storico: nessuna donna dei Sette Regni aveva mai viola- to il mondo delle imprese maschili. Sansa, come si addice a una vera, futu- ra principessa, aveva chiamato la propria meta-lupa Lady. Arya fece una smorfia, abbracciando la sua lupacchiotta. Nymeria le leccò l'orecchio e lei rise. Septa Mordane doveva aver già messo la lady sua madre sull'avviso. Se fosse tornata in camera sua, l'avrebbero trovata subito. Ad Arya non pote- va importare di meno che la trovassero oppure no. Aveva un'idea. I ragazzi stavano facendo allenamento alla spada nel cortile del castello e lei non vedeva l'ora di godersi suo fratello Robb che mandava il galante principe Joffrey a sedere sulle proprie reali natiche. «Dai» sussurrò a Nymeria. Poi si raddrizzò e partì di corsa con la meta- lu l loro arrivo solo quando Spettro si alzò per an n più cautela. Sp ardo perplesso. «Non dovresti es- se rle, "loro" fecero salire una cacofonia di ton- fi etto di una palla. Sotto lo sguardo attento di ser Rodrik C na di spettatori, tra uomini e ragazzi, vociavano incorag- gi tutti. Accanto a lui, Arya ri- co pa che la tallonava. C'era una finestra nel ponte coperto che collegava la Prima Fortezza con l'armeria. Da là si dominava tutto il cortile, ed era là che Arya e Nymeria stavano andando. Ci arrivarono sudate e senza fiato, trovando già qualcuno comodamente seduto sul davanzale, una gamba ripiegata fino a sostenere il mento con il ginocchio. Jon Snow era completamente assorbito dall'azione che aveva luogo più sotto e si accorse de dare a incontrarle. Nymeria continuò ad avanzare, ma co ettro, già nettamente più grosso degli altri cuccioli, l'annusò, le diede un piccolo colpo all'orecchio con il muso e tornò ad accovacciarsi. «Be', sorellina?» Jon le lanciò uno sgu re alla pratica di ricamo?» Arya gli mostrò la lingua. «Sono loro che voglio vedere far pratica.» Dal cortile, quasi a risponde e imprecazioni. Lui le sorrise. «Allora accomodati.» Arya si issò sul davanzale, sistemandosi accanto a lui, ma fu delusa: era il turno dei bambini. Bran sembrava un materasso ambulante tanto era co- perto d'imbottiture. Quanto al principe Tommen, già bassotto e grassottello di suo, aveva l'asp assel, il maestro d'armi, corporatura formidabile e baffoni bianchi altret- tanto formidabili, i due bambini mulinavano spade di legno anch'esse im- bottite. Una dozzi amenti. Robb era quello che sbraitava più di nobbe Theon Greyjoy, sul volto la sua solita espressione di sprezzante ironia, la piovra dorata simbolo della sua nobile Casa sulla spessa tunica nera. Al centro dell'improvvisata arena, i contendenti avevano il fiato gros- so. Chiaramente, se le stavano dando da parecchio. «Un minimo più faticoso del ricanto» rilevò Jon. elli neri fiammeggianti dei Tu ese Arya. a de ngiusta della vita: era la seconda volta che ci pe nni e io nove.» i capelli, poi tutti e due tornarono a seguire la tenzone tra B notò ve he lei non riconobbe, giovani signori con le livree dei La za, nessun dubbio in merito. Sullo scudo erano acco- st orgogliosa, i Lannister» rilevò Jon. «Si potrebbe pensare che lo st «Un minimo più divertente del ricamo» replicò Arya. Lui sogghignò, allungò una mano e le arruffò i capelli. Arya arrossì. Si erano sempre voluti bene, Jon e lei. Anche lui aveva i lineamenti duri del lord loro padre, e tra i figli Stark erano i soli. Robb, Sansa, Bran, perfino il piccolo Rickon avevano i volti sorridenti e i cap lly di Delta delle Acque. Da piccola, Arya aveva avuto il timore di esse- re a sua volta bastarda. Così era andata a confidare a Jon le sue paure, ma era stato Jon stesso a fugarle. «Perché non sei anche tu giù nel cortile?» gli chi «Perché ai bastardi non è permesso danneggiare i giovani principi.» Jon ebbe un mezzo sorriso. «Dietro ogni livido di un addestramento alla spad v'esserci una mano di sangue nobile.» «Ah.» Ad Arya questo non piacque affatto, anche se avrebbe dovuto sa- perlo. Ecco un'altra cosa i nsava nella stessa giornata. «Io me la caverei bene quanto Bran» disse osservando il fratellino anda- re all'attacco di Tommen. «Lui ha sette a «Sei troppo magra.» Jon la studiò con la saggezza di chi di anni ne ha quattordici. «Dubito molto che riusciresti anche solamente a sollevarla, una spada.» Le tastò i muscoli del braccio. «E quanto a maneggiarla, sorel- lina, scordatelo.» Arya ritirò il braccio di scatto e lo folgorò con un'occhiataccia. Jon le ar- ruffò di nuovo ran e Tommen. «Lo vedi il principe Joffrey?» le chiese Jon. Arya non l'aveva visto subito. Guardando con più attenzione, lo rso il fondo del cortile, all'ombra del grande muro di pietra. Era circon- dato da uomini c nnister e dei Baratheon, estranei, tutti quanti. Tra loro c'erano uomini più in età, cavalieri quasi certamente. «Guarda gli stemmi sulla sua casacca da addestramento» accennò Jon. Uno scudo elaborato ornava la tunica imbottita del principe, un ricamo di eccezionale bellez ati due stemmi divisi a metà in verticale: da un lato il cervo incoronato della Casa reale, dall'altro il leone di Lannister. «Gente emma della corona basti, invece no. Il principe sta rendendo alla casata l'ira. Theon Greyjoy continuò a tenere Robb in una presa d'acciaio fino a quando i principi e il loro manipolo non furono a distanza di sicurezza. l'inverno. E al disge- lo aveva prospettato. Non c'era solamente septa Mordane ad a- sp o m Jon li osservò andarsene e Arya osservò Jon. Il suo volto era immobile, cristallizzato come la superficie della pozza d'acqua oscura nel cuore del parco degli dei. Alla fine saltò giù dal davanzale della finestra. «Lo spetta- colo è finito» disse. Si chinò a grattare Spettro dietro le orecchie, e il meta- lupo si alzò per strofinarsi contro di lui. «E adesso, sorellina» disse ad Arya «sarà meglio che tu corra nella tua stanza. Septa Mordane starà di sicuro in agguato. Più a lungo ti nascondi, più duro sarà il castigo. Ti faranno ricamare per tutto di primavera, potremmo trovarti ridotta a un ghiacciolo, con l'ago anco- ra stretto tra le dita dure come roccia.» «Io lo odio, il ricamo!» Arya non era affatto divertita. «Non è giusto!» «Niente è giusto, Arya.» Jon le scompigliò un'ultima volta i capelli e si avviò tra le zone d'ombra del ponte coperto, Spettro che scivolava silenzio- so alle sue spalle. Nymeria cominciò a seguirli, poi, vedendo che Arya non si era mossa, si fermò e tornò indietro con riluttanza. Arya andò nella direzione opposta. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare perché da quella parte l'aspettava qualcosa di peggio, molto peggio di quanto Jon ettarla nella sua stanza. C'erano septa Mordane e sua madre. BRAN I cacciatori partirono al sorgere del sole. Per il banchetto di quella sera, il re voleva cinghiale. Il principe Joffrey cavalcava a fianco del padre, pertanto venne deciso che anche Robb a- vrebbe partecipato alla caccia. Zio Benjen, Jory Cassel, Theon Greyjoy, ser Rodrik e perfino il fratello della regina, quello strano omino chiamato "il Folletto", erano andati a loro volta. In fondo, quella sarebbe stata l'ulti- ma caccia nel Nord. Al mattino del giorno dopo, tutti quanti si sarebber essi in viaggio per il Sud. Bran era rimasto al castello assieme a Jon, alle ragazze e a Rickon. Ma Rickon era un bambino piccolo, le ragazze erano ragazze e Jon e il suo lu- po bianco non si trovavano da nessuna parte. Non che Bran l'avesse poi cercato con tanto impegno. Pensava che fosse arrabbiato con lui, anzi, in quei giorni Jon sembrava arrabbiato con tutti e Bran non sapeva il perché. Jon sarebbe andato alla Barriera con lo zio Ben per diventare Guardiano della notte, il che era quasi lo stesso che andare a Sud assieme al re. A ri- manere a casa sarebbe stato soltanto Robb, non Jon. Erano giorni che Bran non stava nella pelle in attesa della partenza. A- vrebbe percorso la strada del Re a cavallo: non un pony, ma un vero caval- lo. Suo padre sarebbe diventato Primo Cavaliere e tutti loro sarebbero vis- suti nel rosso castello ad Approdo del Re che era stato costruito dai Signori dei draghi. La vecchia Nan diceva che quel posto era abitato da fantasmi, ch che li riguardavano. I loro nomi erano mu- si però diceva ch nte. e cose spaventose erano avvenute nelle sue segrete e che le sue pareti e- rano adonrnate con teste di drago. Solamente a pensarci, Bran sentiva un brivido lungo la schiena, eppure non aveva paura. Come avrebbe potuto? Ci sarebbe stato suo padre con lui, e poi il re, con tutti i suoi cavalieri e spadaccini. Un giorno anche Bran sarebbe stato cavaliere, membro della Guardia re- ale. Secondo la vecchia Nan, erano le spade più formidabili del regno. Set- te, erano soltanto in sette, portavano armature bianche, non avevano mo- glie né figli e vivevano per un unico scopo: vegliare sul re. Bran conosceva tutte le storie, tutte le leggende ca per le sue orecchie: Serwyn dallo Scudo a specchio, ser Ryam Re- dwyne, il principe Aemon, Cavaliere del drago, i gemelli ser Erryk e ser Arryk, morti uno sulla lama dell'altra centinaia di anni prima, quando il fratello aveva combattuto contro la sorella in una guerra che i trovatori chiamavano La danza dei draghi. E poi Gerold Hightower, il Toro bianco, e ser Arthur Dayne, la Spada dell'alba, e infine ser Barristan il Valoroso. Due di loro erano venuti al Nord assieme a re Robert e Bran li aveva os- servati pieno di stupefatta ammirazione, senza osare rivolgere loro la paro- la. Ser Boros Blount era calvo e aveva la faccia spigolosa, ser Meryn Trant aveva occhi infossati e una barba del colore della ruggine. Ser Jaime Lan- nister, invece, aveva davvero l'aspetto di uno dei cavalieri di cui parlavano le leggende, e anche lui faceva parte della Guardia reale. Robb e ser Jaime aveva assassinato il re precedente, il vecchio re Folle, diso- norando così l'armatura bianca. Il più grande cavaliere ancora vivente re- stava ser Barristan Selmy, Barristan il Valoroso, comandante della Guar- dia. Suo padre gli aveva promesso che, una volta raggiunta Approdo del Re, avrebbero incontrato ser Barristan in persona. Bran aveva contato i giorni facendo delle tacche nel suo muro speciale del castello, impaziente di partire per vedere quel mondo che fino ad allora aveva solo sognato e cominciare una vita che riusciva a immaginare solo remotame Ma adesso che il suo ultimo giorno a Grande Inverno era arrivato, si sen- tiva come sperduto. Grande Inverno era l'unica casa che avesse mai cono- sciuto. Suo padre gli aveva detto di fare oggi i suoi addii e Bran ci aveva provato. Dopo che i cacciatori si erano allontanati, si era aggirato per la Pr on era più il suo pony perché stava per ricevere un vero cavallo. Di co gli il bastone, ma ne diceva. Non aveva però il be pa di Sansa era Lady. Arya aveva scelto il nome di una qualche strega guerriera delle leggende. Il e Bran riteneva che fo re nemmeno foglie che sembrano mani coperte di sangue. Il suo ima Fortezza assieme al suo meta-lupo, deciso a salutare coloro che si sarebbe lasciato alle spalle. La vecchia Nan, Gage il cuoco, Mikken nella sua fucina di fabbro, Hodor il ragazzo delle stalle. Hodor che sorrideva sempre, si prendeva cura del suo pony, non diceva mai niente a eccezione della parola "Hodor". E anche l'uomo della serra, che gli dava dei mirtilli quando andava a fargli visita... Dire addio a tutti loro, certo. Ma non aveva funzionato come previsto. Bran aveva cominciato con l'andare alle stalle, a vedere il suo pony. Solo che n lpo, Bran avrebbe voluto mettersi in un angolo a piangere. Era scappato via prima che Hodor e gli altri stallieri vedessero i suoi occhi pieni di la- crime. Quello era stato il principio e anche la fine dei suoi addii. Aveva passato il resto della mattinata tra gli enormi alberi secolari del parco degli dei, cercando d'insegnare al suo meta-lupo a riportar mmeno quello aveva funzionato. Il cucciolo era molto più intelligente di qualsiasi altro mastino del canile di suo padre, e Bran era pronto a giurare che era in grado di capire qualsiasi cosa lui gli nché minimo interesse a correre dietro a un pezzo di legno. Non gli aveva ancora dato un nome. Robb aveva chiamato il suo Vento grigio, in quanto correva come il vento. La meta-lu piccolo Rickon aveva chiamato il suo Cagnaccio sse un nome parecchio stupido da dare a un meta-lupo. Quello di Jon, l'albino sempre silenzioso, era Spettro. Bran avrebbe voluto trovarlo prima lui quel nome, anche se il suo meta-lupo non era bianco. Negli ultimi tem- pi aveva tentato centinaia di nomi, ma nessuno andava bene. Alla fine, stanco dell'inutile giochetto del lancio del bastone, decise di andare a scalare. Con tutto quello che era successo, erano settimane che non saliva sulla torre spezzata, e quella sarebbe stata quasi certamente la sua ultima possibilità. Corse attraverso la verde, profonda penombra del parco degli dei. Prese la strada più lunga, per non passare vicino allo stagno nel centro ed evitare così l'albero del cuore. Aveva sempre avuto paura di quell'albero. Gli albe- ri non dovrebbero avere occhi, di questo Bran era convinto, e non dovreb- bero ave corvi erano scesi a beccargli gli occhi. Ma a Bran quella storiella non ave- va di voler beccare i suoi oc ccia all'uomo, con le guardie della Pr delle guardie er ere, vedere la grigia immensità della Prima Fortezza come nessun altro poteva vederla, o poteva averla mai vista. Questo tra- sf o ormai lo eva colpito la cima, incendian- fatto grande effetto. La cima della torre spezzata, dove lui era il solo in grado di arrivare, era piena di nidi di corvi e a volte si riempiva le tasche di chicchi di grano e i corvi venivano a mangiargli in mano. Nessuno di loro aveva mai manifestato la benché minima intenzione chi. Fallita la dialettica, si era passati alle vie di fatto. Per mostrargli che cosa gli sarebbe successo se fosse caduto, maestro Luwin aveva costruito un bambino di creta, gli aveva messo addosso i vestiti del Bran vero e aveva lanciato il pupazzo nel cortile dalla cima del muro nord. Era stato diverten- te vederlo andare in frantumi, ma anche quel tentativo aveva fatto fiasco. «Uhm, io però non sono fatto di creta» aveva dichiarato Bran guardando maestro Luwin. «E poi, io non cado.» A quel punto era cominciata la ca ima Fortezza che gli correvano dietro ogniqualvolta lo vedevano sui tetti e cercavano di farlo scendere. Quello era stato lo spasso migliore di tutti: era come giocare a rimpiattino con i suoi fratelli, con la differenza che qui era Bran a vincere sempre. Quanto a scalare muri, nessuna a brava nemmeno la metà di Bran, neanche Jory Cassel, e in ogni caso la maggior parte delle volte nemmeno lo vedevano, perché la gente non guarda mai in alto. Questa era un'altra delle cose che gli piacevano delle sue scalate: essere pressoché invisibile. Ma anche le sensazioni gli piacevano. Issarsi pietra dopo pietra, le dita delle mani e dei piedi che cercano, frugano, trovano gli anfratti più nasco- sti, più reconditi. Saliva sempre a piedi nudi: era come avere quattro mani invece di due. Tornato a terra, assaporava l'indolenzimento acuto dei mu- scoli tesi fino allo spasimo. Amava il sapore dell'aria lassù, dolce e fredda come le pesche d'inverno. Gli piacevano gli uccelli, i corvi della torre spezzata, i piccoli usignoli che facevano il nido nelle crepe dei muri, il vecchio gufo che sonnecchiava nella soffitta polverosa al disopra dell'anti- ca armeria. Bran li conosceva tutti. Ma più di ogni altra cosa, a Bran piaceva raggiungere luoghi che nessun altro poteva raggiung ormava l'intero castello nel suo giardino segreto. Il suo posto preferito rimaneva però la torre spezzata. In un temp ntanissimo, era stata una torre di guardia, la più alta di Grande Inverno. Poi, molti secoli addietro, una folgore ne av do cciatori di ratti alla base del rudere, per eliminare le tane ch la sommità. e a Bran non piaceva ca l parco degli dei e si raggiun- ge ire dai soldati. A quel punto, si arrivava al lato cieco della Prima Fo poteva comodamente salire fino a dove i doccio- ni spezzata. L'ultimo tra ui, nulla avrebbe dovuto avere segreti, per lui. di lui. «Dovresti essere tu Primo Cava- lie re e di colpo, per la prima volta, ebbe pa la, e tutto il terzo superiore della struttura era collassato su se stesso, crollando verso l'interno. La torre non era più stata ricostruita. Suo padre a volte mandava i ca e si moltiplicavano tra i mucchi di pietre cadute dall'alto e le cataste di travi distrutte. A eccezione di Bran e dei corvi, però, nessuno osava neppu- re tentare di raggiungere Bran conosceva due strade per arrivarci. Si poteva scalare direttamente la parete esterna, ma le pietre erano instabili, la calce che le aveva tenute assieme ridotta in polvere da chissà quanto tempo, ricare tutto il proprio peso su quei vecchi sassi pericolanti. Con l'altra strada, la migliore, si partiva da va la sommità dell'albero-sentinella. Di là bisognava attraversare l'arme- ria e il corpo di guardia, saltando di tetto in tetto a piedi nudi, evitando di farsi sent rtezza, la parte più antica del castello, un tozzo maniero cilindrico che appariva più alto di quanto non fosse in realtà. Ormai lo abitavano solo to- pi e ragni, ma le sue vecchie pietre erano ottimi punti d'appoggio per con- tinuare la scalata. Di là si si affacciavano sul vuoto, quindi, una presa dopo l'altra, un doccione dopo l'altro, si conquistava il fronte nord della fortezza. Era il punto in cui le due strutture quasi si toccavano. Ad allungarsi, ma ad allungarsi vera- mente, non era difficile passare sulla parete della torre tto era un'ascesa in verticale sulle pietre annerite dal tempo. Su e su e su fino alla vetta, dove i corvi sarebbero venuti a vedere se c'e- ra grano da beccare. Bran volteggiò sui doccioni. Orecchie, zanne, ciechi occhi di pietra non avevano segreti per l Eccetto le voci. Ne fu così sorpreso che per poco non perse la presa. La Prima Fortezza era deserta, sempre deserta. «Non mi piace» diceva una donna, e le sue parole provenivano dall'ulti- ma finestra di una fila appena sotto re, non Stark.» «Per gli dei: no» replicò un uomo con tono pigro, annoiato. «È un onore del quale faccio volentieri a meno. Fin troppo lavoro va di pari passo con quel cosiddetto onore.» Bran rimase aggrappato ad ascolta ura di andare avanti: loro avrebbero potuto vedere i suoi piedi se avesse proseguito volteggiando verso il doccione seguente. «Ma non ti rendi conto di quale pericolo corriamo?» riprese la donna. «Robert ama quell'uomo come un fratello.» «I suoi fratelli, quelli veri, Robert li digerisce a stento. Non che io lo bi osa, Eddard St nasse te, ma ero certa che St che un so olto attentamente.» a niente che accada a il suo nome sc re vuole stare lontano dalla m sa Arryn. C'è quasi da meravigliarsi che Lysa no o- asimi per questo: Stannis farebbe venire un'occlusione intestinale a un morto.» «Evitami le battute di spirito. Stannis e Renly sono una c ark è tutto un altro discorso. A Stark Robert darà ascolto, che siano dan- nati tutti e due. Avrei dovuto insistere che nomi ark avrebbe rifiutato.» «Possiamo ancora considerarci fortunati» disse l'uomo. «La scelta del re avrebbe potuto ricadere su uno dei suoi fratelli, o addirittura su Ditocorto... Che gli dei ci assistano. Datemi mille nemici onorevoli piuttosto lo nemico ambizioso, e dormirò sonni più tranquilli.» Suo padre. Era di lui che quelle persone stavano parlando. Bran voleva udire di più. Avvicinarsi, di poco, di pochissimo... Ma se avesse volteggia- to davanti alla finestra fino al doccione, l'avrebbero di certo visto. «Dobbiamo tenerlo d'occhio» disse la donna. «E m «Preferisco tenere d'occhio te.» L'uomo pareva ancora più annoiato, a- desso. «Torna qui.» «Lord Eddard non è mai stato realmente interessato sud dell'Incollatura» insisté la donna. «Mai... fino a ora. Vuole mettersi contro di noi, starine certo. Per quale altra ragione avrebbe deciso di la- sciare il suo trono qui nel Nord?» «Per cento e una ragioni. A partire da quelle buffonate altisonanti chia- mate dovere, onore e via blaterando. Forse Eddard Stark vuole olpito in grande nel libro della storia. Oppu oglie, o forse vuole entrambe le cose. O magari, chissà, per una volta in vita sua vuole stare un po' al caldo.» «Sua moglie è sorella di Ly n sia qui a darci il benvenuto con le sue accuse.» Bran abbassò lo sguardo. C'era uno stretto cornicione, largo appena qualche centimetro, subito sotto la finestra. Si abbassò, protendendosi ver- so di esso. Era troppo lontano. Non ci sarebbe mai arrivato. «Ti stai scaldando troppo» disse l'uomo. «Lysa non è che una pecora spaventata.» «Quella pecora spaventata divideva il letto con Jon Arryn.» «Se avesse saputo qualcosa, puoi stare certa che sarebbe andata da R Dalla finestra sopra di lui si affacciarono dei volti. La regina. E ora Bran riconobbe anche l'uomo che era con lei: pareva l'immagine di lei riflessa in uno specchio. «Ci ha visti» disse la regina spaventata. «Così pare» confermò l'uomo. Le dita di Bran cominciarono a perdere la presa. Afferrò il cornicione con l'altra mano, le unghie conficcate nella roccia impenetrabile. «Prendi la mia mano» disse l'uomo allungandosi verso di lui. «Prima che tu cada.» Bran gli afferrò il braccio. Strinse con tutte le sue forze. L'uomo lo sol- levò fino al cornicione. «Ma che cosa fai?» sibilò la regina. sa repulsione. «Quali atti si compiono in tuo nome...» E spinse B elo sopra la to yrion Lannister sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo. La bi- bl to vecchio di un secolo, scritto da L'uomo la ignorò. Era incredibilmente forte. Sistemò Bran in piedi sul davanzale della finestra. «Quanti anni hai, ragazzino?» «Sette.» Bran tremava di sollievo. Si rese conto che le sue dita affonda- vano ancora nel braccio dell'uomo e lentamente lasciò la presa. «Amore, amore...» L'uomo spostò lo sguardo sulla regina, la voce carica d'improvvi ran nel vuoto. Bran precipitò urlando nell'aria gelida. Non c'era più nulla a cui aggrap- parsi. Il cortile salì verso di lui a velocità accecante. Lontano, in qualche punto remoto, un lupo ululava. Nel ci rre spezzata, i corvi volavano in cerchio, aspettando chicchi di grano. TYRION Da qualche parte nel labirinto di pietra della Prima Fortezza, un lupo u- lulò. Il lugubre verso rimase sospeso sopra il castello come un nero vessil- lo di morte. T ioteca di Grande Inverno era calda e accogliente, ma non riuscì comun- que a reprimere un brivido. Qualcosa, nell'ululato dei lupi, trascinava un uomo lontano dalla propria dimensione per proiettarlo nelle foreste tene- brose della mente, a correre nudo alla testa del branco. Il meta-lupo ululò di nuovo. Tyrion richiuse di schianto il pesante volu- me rilegato in cuoio. Era un ponderoso tratta un dotto maestro in merito al mutamento nel ciclo delle stagioni. La fiamma nella lanterna da lettura tremolava, l'olio ormai finito, mentre il chiarore dell'alba cominciava a filtrare dalle alte finestre. Il Folletto coprì un uoni ra Se ussultò, ammiccando più volte. Nel movimento improvviso, il ese Tyrion. «Occupati tu di rimettere a po- st bia mai visto.» ripeté le istruzioni, gli diede un paio di colpetti sulla spalla e lo la erna della torre della biblioteca. Impresa né facile né rapida: qu tavano già lavorando sodo. ttorno a loro. otte scorsa non mi è riuscito di chiudere occhio.» in capo l'elmo nero. «Se lo desideri, principe» dis- se o sbadiglio con il dorso della mano. Era rimasto a leggere tutta la notte. Nulla di nuovo: Tyrion Lannister e il sonno non erano mai stati in b pporti. Nello scivolare giù dallo sgabello sentì le gambe irrigidite, indolenzite. le massaggiò cercando di riattivare la circolazione. Zoppicando visto- samente, si avviò verso il tavolo dove il septon bibliotecario dormiva alla grande, la guancia abbandonata sulle pagine del libro rimasto aperto di fronte a lui: una biografia del gran maestro Aethelmure, il migliore dei sonniferi. «Chayle» disse Tyrion in un soffio. Il giovane s cristallo del suo ordine culturale che portava appeso alla grossa catena d'argento dondolò bruscamente da una parte all'altra del collo. «Vado a fare colazione» ripr o i volumi. Sii cauto con i rotoli valyriani, la pergamena è molto secca. Macchine di guerra di Ayrmidon è rarissimo. La vostra è l'unica copia completa che io ab Chayle, ancora intontito dal sonno, lo guardò stralunato. Pazientemente, Tyrion gli sciò al suo lavoro. Fuori l'aria del mattino era fredda. Tyrion ne inspirò una lunga boccata e iniziò la difficile discesa lungo la ripida scala di pietra che si avvitava lun- go la parete est anto i gradini erano ripidi e stretti, tanto le sue gambe erano corte e con- torte. Il sole non illuminava ancora le mura di Grande Inverno, ma nel cor- tile gli uomini s «Ce ne mette a morire, il ragazzino.» La voce roca di Sandor Clegane, il Mastino, parve rimbalzare contro la torre. «Sarebbe meglio che andasse più in fretta.» Tyrion gettò un'occhiata verso il basso. Il Mastino era di fronte al giova- ne Joffrey, signorotti del clan Lannister si accalcavano a «Quanto meno muore in silenzio» ribatté il principe. «È quel suo lupo a fare tutto il chiasso. La n L'ombra di Clegane si allungò sulla terra compatta del cortile mentre uno scudiero gli poneva attraverso la celata aperta «posso far tacere io la creatura.» Lo scudiero collocò la spada lunga da combattimento nella mano guantata di metallo. C gio ne eggiava del clangore di lame co un lupo!» L'idea divertì il principe. «Grande In- ve ssire, incassando la st iriti dell'aria!» ard e al- la esserlo. «Cosa se ne farebbero?» petta che tu ti comporti in tal senso. La tua as di Joffrey s'infiammò. Di' un'altra parola, una sola» esclamò Tyrion «e ti servo il doppio.» rai in ginocchio davanti a loro. Gli dirai qu legane la impugnò, bilanciandola, e assestò un paio di fendenti d'assag ll'aria gelida. Dietro di lui, il cortile riech ntro lame. «Un mastino che uccide rno è talmente infestato da lupi che gli Stark nemmeno s'accorgerebbero che ne manca uno.» «Dissento, nipotino caro.» Tyrion saltò gli ultimi gradini e arrivò nel cortile. «Gli Stark sanno contare fino a sei, a differenza di certi principi di mia conoscenza.» Joffrey ebbe quanto meno la buona grazia di arro occata. «Una voce dal nulla.» Clegane sbirciò dal proprio elmo, guardando in tutte le direzioni. «Sp Il principe rise. Rideva sempre quando la sua guardia del corpo si esibi- va in quella farsa, alla quale Tyrion aveva fatto l'abitudine. «Quaggiù» dis- se infatti. Il Mastino abbassò lo sguardo, fingendo di vedere il Folletto solo in quel momento. «Oh, il piccolo lord Tyrion. Le mie scuse. E io che nemmeno ti avevo visto...» «Oggi, Clegane, non sono in vena di insolenze.» Poi Tyrion si rivolse al nipote: «Joffrey, hai aspettato anche troppo a fare visita a lord Edd sua lady per presentare loro la tua solidarietà». «La mia solidarietà?» Joffrey apparve petulante come solamente un principe ereditario sa «Niente di niente, ma ci si as senza è stata notata.» «Il ragazzino Stark non è nulla per me e io non ho la minima intenzione di fare la donnicciola.» Tyrion Lannister lo raggiunse e lo schiaffeggiò in piena faccia, duramen- te. La guancia « «Lo dirò alla mamma!» si infuriò Joffrey. Tyrion lo schiaffeggiò di nuovo. Adesso il principe ereditario ne aveva due, di guance in fiamme. «Ecco, bravo, tu dillo alla mamma» riprese Tyrion. «Prima, però, ti pre- senterai a lord e lady Stark e cad anto sei dispiaciuto, che le tue preghiere sono con loro e con il piccolo «Che cos'ha detto con precisione maestro Luwin?» domandò Jaime. uwin pensa che se il bambino doveva morire» disse alla fine «s a, ch «Anche le e, altri- m ipeté Cersei. «È davvero probabile?» erlo in vita. Sta sotto la sua finestra, giorno e rre il ru orte.» oi.» a dire vo con sé il fig ltimo confine del mondo.» Non permetto che i bambini siano esposti a un simile linguaggio da fo- gna!» Cersei si alzò di scatto. «Tommen, Myrcella: andiamo via.» Tyrion sgranocchiò un pezzo di pancetta affumicata con aria pensosa. «Maestro L arebbe già morto. Sono passati oltre quattro giorni dalla caduta, senza che si sia verificato alcun cambiamento.» «Ma Bran potrebbe tornare a stare bene, zio?» Era la piccola Myrcell e aveva ereditato la bellezza della madre ma non il suo carattere. «La sua schiena è spezzata, piccola mia.» Tyrion scosse il capo. sue gambe sono spezzate. Lo tengono in vita con acqua e miel enti morirebbe di fame. Se si sveglierà, sarà forse in grado di ricomincia- re a mangiare cibo vero. Ma quanto a camminare... mai più.» «Se si sveglierà» r «Solo gli dei lo sanno.» Tyrion masticò un boccone di pane. «E il mae- stro può solo sperare.» Passò a un'altra fetta di pancetta. «Giurerei che è quel suo lupo senza nome a ten notte, a ululare. Ogni volta che lo scacciano, ritorna. Il maestro mi ha detto che a un certo punto, quando avevano chiuso la finestra per ridu more, il bambino stava diventando sempre più debole. Nel momento in cui l'hanno riaperta, il suo cuore ha ripreso a battere più f «C'è qualcosa di inquietante in quegli animali.» La regina rabbrividì. «Sono contro natura. Non permetterò che neppure uno di loro venga al Sud con n «Sarà duro impedirlo, sorella» obiettò Jaime. «Seguono le due ragazzine Stark dappertutto.» Tyrion attaccò il pesce. «Voi partirete presto, quindi.» «Mai abbastanza.» La fronte di Cersei si aggrottò. «Come sarebbe i? E tu? Per gli dei, non dirmi che rimani in questo posto?» «Benjen Stark sta per tornare ai Guardiani della notte, portando lio bastardo di suo fratello.» Tyrion si strinse nelle spalle. «Pensavo di andare con loro a vedere questa Barriera della quale abbiamo sentito parla- re così tanto.» «Che succede, fratellino?» sorrise Jaime. «Vuoi metterti anche tu quei vestiti neri?» «Io fare voto di castità?» Tyrion rise. «Le puttane sarebbero in lutto da Dorne a Castel Granito. No, voglio solo mettermi in piedi in cima alla Bar- riera e farmi una bella pisciata dall'u « La regina se ne andò indignata, strascico e cuccioli al rimorchio. Eddard po atto di misericordia.» Ti suggerisco di tenere per te il tuo concetto di misericordia, fratello ca- ro rrise Jaime. yrion. «Io spero invece che il bambino viva. Sa na nota tenebrosa nella sua voce «a volte mi do isci.» Il sogghigno che riservò a Jaime La pietra, cercando di non pensare che poteva essere l'ultima volta. Spettro lo seguiva, silenzioso come sempre. Fuori, re- fo a dentro le spesse mura di pietra tutto era im Jaime Lannister studiò il fratello con quei suoi freddi occhi verdi. «Stark non acconsentirà mai a lasciare Grande Inverno con il figlio in bilico tra la vita e la morte.» «Se Robert gli comanderà di farlo, Stark lo farà» ribatté Tyrion. «E Ro- bert gli comanderà di farlo. In ogni caso, non c'è nulla che lord ssa fare per il suo piccolo.» «Potrebbe porre fine ai suoi tormenti» dichiarò Jaime. «Se al suo posto ci fosse il mio, di figlio, io lo farei. Sarebbe un « » ribatté Tyrion. «Lord Stark non l'apprezzerebbe.» «Anche se il bambino dovesse sopravvivere, sarebbe uno storpio. Peg- gio: un essere grottesco. Una morte rapida e pulita è la soluzione miglio- re.» Tyrion alzò le spalle accentuando la loro deformità. «Restando in tema di esseri grotteschi» disse «mi permetto di non essere d'accordo. La morte è spaventosamente definitiva, mentre la vita... quante strade inesplorate.» «Eccolo di nuovo, il piccolo, perverso folletto» gli so «Come sempre» ammise T rebbe molto interessante scoprire se ha qualche cosa da dire.» Il sorriso di suo fratello s'incurvò in una smorfia acida. «Tyrion, mio dolce fratello» e adesso c'era u mando da che parte stai.» Tyrion aveva la bocca piena di pane nero e pesce. Mandò giù il tutto con una sorsata di birra scura. «Jaime, diletto fratellino, tu mi fer nnister parve lo snudarsi delle zanne di un meta-lupo. «Dovresti sapere quanto io amo la nostra famiglia.» JON Salì lentamente i gradini di li di neve vorticavano sui portali del castello e il grande cortile era un ri- bollire di rumori e di caos, m mobile, tiepido, silente. Fin troppo immobile e silente, per Jon. Raggiunse il pianerottolo più in alto e si fermò per un lungo momento. Aveva paura. Sentì il muso di Spettro spingere contro la sua mano e il con- tatto gli diede coraggio. Si raddrizzò ed entrò. Un'ombra era seduta accanto al letto. Era là da molto tempo, giorno e no a i s a pi liati. Nell'arco di una sola no to Bran. Fe o detto di andare via.» Qualcosa di raggelante si mosse negli occhi di resto sarebbe diventato un confratello dei G disse. m'impedi- ra conosceva. La carne sem- tte. Lady Stark non si era mai allontanata dal capezzale di Bran, nem- meno per un istante. Si era fatta portare il cibo, pitali per espletare le pro- prie funzioni corporali, un piccolo, duro pagliericcio sul quale dormire. M ussurri del castello dicevano che non aveva dormito molto, su quel pa- gliericcio. Aveva nutrito lei stessa il bambino con la mistura di erbe, miele e acqua che teneva accesa la flebile fiamma della sua vita. Non aveva mai lasciato la stanza. Per questo Jon si era tenuto lontano. Ma ora il tempo era finito. Rimase immobile sulla soglia, timoroso di parlare, ancora più timoroso di andare avanti. La finestra era aperta. Fuori, un lupo senza nome ululò. Spettro lo udì e alzò il muso. Lady Stark si girò verso di lui e per alcuni attimi parve non riconoscerlo. Alla fine, strinse le palpebre. «Cosa sei venuto a fare qui?» La sua voce er atta, priva di qualsiasi emozione. «A vedere Bran. A dirgli addio.» «Gliel'hai detto.» Non ci fu nessun cambiamento nella voce di Catelyn. I suoi lunghi capelli neri erano opachi, aggrovig tte, pareva invecchiata di vent'anni. «Adesso vattene.» Una parte di Jon voleva farlo, voleva scappare a gambe levate, ma l'altra parte sapeva che se l'avesse fatto, forse non avrebbe mai più rivis ce un cauto passo in avanti. «Ti prego...» mormorò. «Ti h lei. «Non ti vogliamo qui.» In un'altra circostanza, quelle parole gli avrebbero messo le ali ai piedi portando lacrime ai suoi occhi. In questa circostanza, l'unico risultato che ottennero fu di farlo infuriare. P uardiani della notte e avrebbe affrontato pericoli ben più letali di Catelyn Tully Stark. «Bran è mio fratello» «Preferisci che ti faccia buttare fuori dalle guardie?» «Chiamale pure, le tue guardie.» Jon accettò la sfida. «Non nno di vedere mio fratello. Nemmeno tu me lo impedirai.» Attraversò la stanza lasciando il letto come una muraglia tra loro. Guardò suo fratello. Catelyn teneva tra le sue una mano di Bran. Pareva un artiglio. L'essere che giaceva in quel letto non era il Bran che Jon «A ose al suo abbraccio. «Prenditi cura di B uni- cò el caso ti avessi visto.» spose Jon. continuò lungo il ponte coperto che portava alla Prima Fortezza. iutava. Tutto quello che Arya doveva fare er tra le za ò a gettargli le braccia magroli- ne m to?» Jon era divertito. ose non erano piegate come si deve, mi dice. Una vera signora del Sud non scaraventa dentro il baule i su stropicciato comunque» protestò Arya. «Che diffe- re iegata la roba?» apprezzi» disse Jon «è l'aiu- to ia impacchettato con molta attenzione.» ddio, Snow.» «Addio a te, Stark.» Jon risp ran.» «Lo farò.» Si sciolsero dall'abbraccio e si scambiarono un'occhiata imbarazzata. «Zio Benjen mi ha detto di dirti di andare subito alle stalle» gli com Robb alla fine, rompendo il silenzio. «N «Mi manca ancora un saluto» ri «Allora non ti ho visto» replicò Robb. Jon lo lasciò in piedi nella neve, circondato da carri, cavalli, lupi. Non gli ci volle molto per arrivare all'armeria. Prelevò ciò per cui era venuto e Arya era nella sua stanza e riempiva un lucido baule di legno-ferro ben più grosso di lei. Nymeria la a a indicare. La meta-lupa trotterellava attraverso la stanza, afferrava nne un mucchietto di seta e glielo portava. Ma nell'attimo in cui captò l'odore di Spettro, sedette sulle zampe posteriori ed emise un guaito. Nel vedere Jon, Arya saltò in piedi e vol attorno al collo. «Temevo che te ne fossi andato.» Il respiro le si spezzò in gola. «E non i lasciano andar fuori per gli addii.» «Che altro hai combina «Niente, ti assicuro.» Arya si staccò da lui e fece una smorfia. «Era tutto pronto e impacchettato.» Accennò al colossale baule, pieno solamente per un terzo, e ai vestiti sparsi dappertutto nella stanza. «Ma septa Mordane mi dice che devo ricominciare daccapo. Le mie c oi abiti come se fossero stracci vecchi, mi dice.» «Ed è davvero questo che avevi fatto, sorellina?» «Tanto finirà tutto nza fa com'è p «Un'altra cosa che non credo septa Mordane di Nymeria.» La meta-lupa lo osservò in silenzio con gli occhi d'oro scuro. «Meglio così» riprese Jon «perché ho qui qualcos'altro che devi por- tarti dietro. Ed è meglio che s Il viso di Arya s'illuminò. «Un regalo?» «Una specie. Chiudi la porta.» Sul chi vive e tutta eccitata al tempo stesso, Arya si protese a dare un'oc- chiata nel corridoio. «Nymeria, qui.» Fece uscire la meta-lupa dalla stanza. «Di guardia» le ordinò, chiudendo la porta. Jon tolse dall'involto di stoffa l'oggetto che aveva portato e lo tese a sua sorella. Gli occhi di Arya si spalancarono, occhi scuri come i suoi. La voce di lei era un sussurro: «Una spada». Il fodero era di soffice cuoio grigio, liscio e ricco come il peccato. zzurra del puro acciaio. «Sta' attenta a mai dalla sp po Li ai far pratica tutti i giorni.» Jon le mise l'elsa in mano, le mo- st lezione: infilzarli sempre di punta.» dubbi. «Septa M he ce l'hai.» Ma Jon, con chi potrò fare pratica?» «Troverai qualcuno» l'assicu do del Re è una vera città, mille volte più vasta di Grande Inverno. Fino al momento in cui non trove- ra a quel gioco privato tra loro due. Lei e Jon continuarono in «Arya, questo non è un giocattolo...» Lentamente, Jon estrasse la lama, in modo che lei vedesse la sfumatura a non tagliarti. È affilata come un rasoio.» «Alle ragazze non servono rasoi» scherzò lei. «Ad alcune sì» sorrise Jon. «Le gambe della septa le hai mai guardate?» Arya ridacchiò alla battuta, ma il suo sguardo non si staccò ada. «È così sottile...» «Proprio come te» confermò Jon. «L'ho fatta fare da mastro Mikken ap- sta. I braavos usano spade come questa a Pentos, Myr e nelle altre Città bere. Un uomo non lo decapita, ma a usarla nel modo giusto, con la ra- pidità giusta, lo può riempire di brutti buchi.» «Io ce l'ho la rapidità!» «Ma dovr rò come impugnarla e fece un passo indietro. «Come la senti? Ti piace il suo bilanciamento?» «Direi di sì.» «Prima Arya gli diede un colpo con il piatto della lama. «Lo so con quale parte colpirli!» dichiarò, ma immediatamente dopo fu piena di ordane me la porterà via.» «Per portartela via, dovrà sapere c « rò lui. «Appro i un compagno di lama, osserva gli addestramenti nel cortile della For- tezza Rossa. E poi corri, va' a cavallo, diventa forte. Ma qualsiasi cosa tu faccia...» Arya conoscev coro: «Non-dirlo-a-Sansa!». Jon le scompigliò i capelli. «Mi mancherai, sorellina.» Improvvisamente, l'irriducibile Arya parve sul punto di mettersi a pian- gere. «Vorrei che tu venissi con noi.» «Strade diverse a volte conducono allo stesso castello. Chi può sapere?» Ora Jon si sentiva meglio, non avrebbe permesso alla tristezza di aggredir- lo di nuovo. «Devo andare, adesso. Se faccio aspettare zio Benjen un altro po', passerò il mio primo anno sulla Barriera a svuotare pitali.» tempestò di piccoli baci. e disse. «Tutte le grandi spade hanno un , molto rapida. Dissero in coro anche questo: «Ago!». mo doveva accadere al co- sp palazzi di giunchi, man- gi Arya corse da lui per l'ultimo abbraccio. «Calma, sorellina!» l'avvertì con una risata. «Prima metti giù la spada.» Lei la mise da parte quasi con vergogna, poi lo Quando fu giunto sulla porta, si voltò verso di lei per l'ultima volta e la vide con la spada in pugno, che se la bilanciava nella mano. «Oh, a momenti dimenticavo...» l nome.» «Come Ghiaccio» convenne Arya studiando la sua lama. «E questa? Ce l'ha, un nome? Dimmelo, Jon!» «Non indovini?» fece lui con un sorriso ironico. «Qual è la tua cosa pre- ferita?» Arya apparve perplessa, ma non durò che un batter d'occhi perché era rapida Il ricordo della loro ultima risata insieme riscaldò Jon Snow per tutta la lunga cavalcata verso settentrione. DAENERYS Daenerys Targaryen andò sposa a khal Drogo nella pianura all'esterno delle mura della città libera di Pentos. Così voleva l'antico credo dei Do- thraki: ogni evento rilevante della vita di un uo etto del cielo. Andò sposa piena di terrore, circondata di splendore barbarico. Drogo aveva chiamato a raccolta il suo intero khalasar e loro erano apparsi: qua- rantamila guerrieri dothraki con i loro quarantamila cavalli, più un numero incalcolabile di donne, bambini e schiavi. Avevano allestito un immane campo appena fuori le mura della città, erigendo ando tutto il mangiabile e facendo correre brividi gelidi lungo la schiena dei bravi cittadini di Pentos, la cui paura era andata crescendo di giorno in giorno. «I miei colleghi magistri e io abbiamo fatto raddoppiare la Guardia cit- tadina» li informò magistro Illyrio, ingozzandosi di anatra al miele e di pe-
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