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Problemi dell'Italia post-unitaria, Appunti di Storia

Appunti riguardo le difficoltà che l'Italia dovette affrontare dopo l'Unificazione e descrizione delle riforme proposte dagli esponenti dei primi partiti politici del tempo: Destra e Sinistra Storica.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 31/01/2019

dariaascia
dariaascia 🇮🇹

4.5

(11)

19 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Problemi dell'Italia post-unitaria e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Il regno d’Italia nacque il 17 marzo 1861. I primi anni di vita furono difficili non solo perché l’unità non era ancora compiuta, mancando Roma e Veneto, ma soprattutto perché esistevano fratture secolari che non erano state sanate nel processo di unificazione. Molti protagonisti del Risorgimento avevano l’impressione che, con l’unione del Nord e del Sud dell’Italia, si fossero incontrate due civiltà totalmente diverse. I quindici anni successivi all’unificazione italiana sono dominati dalla cosiddetta “Destra storica”, alla quale spettò il compito di costruire un nuovo Stato. Si chiamò “Destra” in quanto gli uomini politici ad essa appartenenti erano dei moderati, eredi della tradizione di Cavour; “storica” (come fu chiamata più tardi) perché questo schieramento ebbe un ruolo storico nella formazione dello Stato italiano. In realtà, nello schieramento politico dell’epoca, la Destra storica occupava una posizione di centro, in quanto la vera destra era rappresentata dai clericali e dai reazionari nostalgici dei vecchi regimi pre-unitari. La “Sinistra storica” era invece formata da mazziniani e garibaldini. LA PIEMONTESIZZAZIONE DELL’ITALIA Subito dopo essere salita al potere, la Destra Storica attuò una serie di cambiamenti. Questi cambiamenti vennero definiti come processo di piemontesizzazione dell’Italia, perché si trattò semplicemente di estendere le leggi che prima erano valide solo per il regno di Sardegna a tutto il regno Italiano. Il primo problema che la Destra dovette affrontare fu la scelta dell’assetto amministrativo da dare al Paese. Le alternative erano: - un modello di Stato accentrato, sull’esempio della Francia, con la sua forte struttura gerarchica che prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali, attraverso i prefetti nominati dal governo. - Un modello di Stato decentrato, sull’esempio della Gran Bretagna, dove le varie contee godevano di ampie libertà amministrative e giudiziarie. Venne scelto il modello di Stato accentrato: l’Italia venne divisa in province e il governo nominò per ogni provincia un suo rappresentante, il prefetto. Anche i sindaci dei comuni erano nominati dal governo e ad esso rispondevano: i comuni non godevano così di alcuna autonomia. Lo Statuto albertino divenne la Costituzione del Regno d’Italia, così come a tutta Italia vennero estese la legislazione e la moneta piemontese, la lira. Nel 1865 vi fu invece la definitiva approvazione dei codici penale, civile e commerciale. Anche la legge elettorale riprendeva quella Piemontese. La legge elettorale del Regno di Sardegna (estesa poi a tutto il Regno d’Italia), prevedeva che avessero diritto al voto solo i cittadini che avessero i seguenti requisiti: - essere di sesso maschile; - avere compiuto 25 anni di età; - pagare almeno 40 lire di imposte annue (suffragio censitario). I PRIMI, DIFFICILI ANNI POSTUNITARI Ne risultava che gli aventi diritto al voto erano una percentuale assai ridotta della popolazione (il 2% del totale, il 7% della popolazione maschile). LA SITUAZIONE NEL MEZZOGIORNO La caduta del Regno borbonico seguita alla spedizione garibaldina aveva fatto nascere nelle masse meridionali la speranza di un rinnovamento non solo politico, ma anche sociale. Questa speranza andò ben presto delusa: le pesanti tasse e il servizio di leva obbligatorio scatenarono la rivolta, in qualche caso condotta in nome del Papa e dei Borboni. Il nuovo Stato italiano veniva identificato come il “nemico” e contro di esso si formarono bande di briganti che assaltavano le carceri o incendiavano gli archivi comunali per distruggere i registri di leva e quelli fiscali.. Erano considerati nemici anche i ricchi possidenti locali, le cui fattorie venivano saccheggiate. Il brigantaggio fu una vera e propria attività di guerriglia che, nei cinque anni che vanno dal 1860 e il 1865 incendiò diverse zone del Meridione. A costituire le bande di briganti, spesso erano ex soldati del disciolto esercito borbonico, disertori, contadini, ma anche criminali veri e propri. La risposta dei governi della Destra fu essenzialmente di repressione militare: nella guerra contro il brigantaggio, che costò migliaia di morti fra briganti, militari e civili, furono impiegati fino a 120.000 soldati. La generale incomprensione dei problemi del Sud da parte del nuovo Stato italiano favorirono il diffondersi di quei fenomeni, come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, che ancora oggi devastano il nostro paese. Bisogna però dire che il fenomeno del brigantaggio non nacque solo per motivi sociali, ma soprattutto per motivi economici, dovuti alla miseria presente in tutta Italia e in particolare al Sud. LA SITUAZIONE ECONOMICA Il neo-Stato italiano era caratterizzato da una pesante situazione di arretratezza: - la povertà era diffusa, soprattutto nelle campagne, accompagnata da fame, malattie, ignoranza; - la mortalità infantile raggiungeva il 20% - il reddito pro-capite era la metà di quello francese e 2/3 di quello inglese - la rete ferroviaria non superava i 2.000 km a fronte dei 10.000 di quella francese e dei 20.000 di quella inglese . Il deficit statale, anche a causa dei pesantissimi costi delle guerre d’Indipendenza era altissimo (ere ereditato soprattutto dal Regno di Sardegna). Gli uomini della Destra erano convinti della necessità di uno sforzo per raggiungere il pareggio di bilancio, in modo da presentare l’Italia alla comunità internazionale come uno Stato affidabile ed attrarre così capitali stranieri indispensabili per lo sviluppo economico del Paese. La ricerca del pareggio di bilancio venne perseguita soprattutto attraverso lo strumento fiscale. Il peso delle imposte crebbero in pochi anni suscitando malcontento e rivolte. Fu soprattutto l’aumento delle imposte indirette (quelle che gravavano sui consumi di tutti i cittadini) a suscitare questo tipo di reazioni: nel 1868 la tassa sul macinato imposta dal ministro Cambray-Digny (in sostanza un’imposta sul pane, il principale alimento della popolazione) suscitò manifestazioni di piazza che furono represse con l’intervento dell’esercito. I governi della Destra favorirono in tutti i modi il libero scambio: I PRIMI, DIFFICILI ANNI POSTUNITARI ECONOMIA : IL PROTEZIONISMO In campo economico, il più importante provvedimento fu la tariffa protezionisica. Essa riguardò sia il frumento che la maggior parte dei prodotti industriali. Per fronteggiare la crisi agraria provocata in Europa dai grossi quantitativi di cereali arrivati dagli Stati Uniti, il governo aumentò il dazio sul grano. IN questo modo il prezzo del frumento in italia non avrebbe subito diminuzioni, perché l’alto dazio impedì la concorrenza dei cereali stranieri. La tariffa protezionistica avvantaggiò i grandi proprietari terrieri e gli industriali (grazie alla riduzione dei dazi sulle materie prime che dovevano essere importate). Tuttavia danneggiò le aziende che producevano olio, agrumi e vino per l’esportazione, ovvero quelle del Sud. Questo fu causato dalla Francia, che rispose al protezionismo in Italia con l’aumento dei dazi sul vino e sugli agrumi. Si verificò così una guerra commerciale, che sfociò nella creazione di un blocco agrario-industriale. La politica estera: la Triplice Alleanza e le prime avventure coloniali Le sconfitte subite nella III guerra d'indipendenza avevano determinato delusione e insicurezza: delusione perché il Trentino e la Venezia Giulia, considerati territori italiani, rimanevano alla monarchia asburgica; insicurezza perché si evidenziava come la fragile costruzione unitaria potesse venire a trovarsi in pericolo se gettata nelle tempeste europee. Così la politica estera della Destra, dopo essere stata in grado di gestire diplomaticamente la presa di Roma ed essersi liberata dall'invadenza francese, a partire dal 1870 cercò d'inserirsi in modo non chiassoso negli equilibri europei. Il ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta impostò una politica di raccoglimento e di neutralità, che trovava nel liberalismo il suo principio ispiratore: l'Italia non doveva rischiare la propria unità e al contempo si sentiva giuridicamente e moralmente giustificata a prendere parte alle vicende diplomatiche europee; non doveva rimanere invischiata nella stretta delle alleanze, ma al contempo doveva favorire la causa del liberalismo in Europa. Alla lunga questa politica portò all'isolamento. Col passare degli anni, mantenere questo tipo di politica, chiamata delle mani nette, fu sempre più difficile. Tradizionalmente alleata della Francia e ostile all’Austria l’Italia governata dalla Sinistra storica operò una brusca svolta nei rapporti internazionali. La causa fu l’occupazione francese della Tunisia (1881). Da tempo l’Italia guardava con interesse a quel paese, dove risiedeva una folta comunità di connazionali. Il successo francese era stato favorito dall’isolamento internazionale dell’Italia. Per uscire da tale isolamento e per ripicca nei confronti della Francia, l’Italia stipulò nel 1882 un’alleanza con l’Austria e con la Germania (la Triplice Alleanza). Si trattava di un accordo di natura difensiva: Italia, Austria e Germania si impegnavano ad intervenire in aiuto reciproco solo in caso di aggressione da parte di altri paesi. Questa alleanza suscitò un’ondata di proteste nell’opinione pubblica italiana: era chiaro che, stipulando un accordo con l’Austria, l’Italia rinunciava alle “terre irredente” (non liberate dalla dominazione austriaca il Trentino e il Friuli Venezia Giulia). In ogni caso l’alleanza fu vantaggiosa dal punto di vista economico: presero ad affluire capitali tedeschi che permisero di finanziare l’industria italiana e di aprire nuove I PRIMI, DIFFICILI ANNI POSTUNITARI banche. Sempre nel 1882 prese il via l’avventura coloniale italiana: venne occupata una stretta striscia di terra nei pressi della baia di Assab, sul Mar Rosso. Da lì le truppe italiane partirono, nel 1885, alla conquista di Massaua (Eritrea). Ma quando gli italiani cercarono di spingere le loro conquiste verso l’interno del paese, provocarono la reazione dell’imperatore d’Etiopia. Nel gennaio 1887 un reparto di 500 italiani venne massacrato a Dogali da 7.000 etiopi. L’avventura coloniale italiana cominciava con un disastro. I PRIMI, DIFFICILI ANNI POSTUNITARI
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