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Procedura civile appunti 2018/2019 Ronco, Appunti di Diritto Processuale Civile

Appunti integrati in alcune parti con il libro Balena

Tipologia: Appunti

2018/2019
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Scarica Procedura civile appunti 2018/2019 Ronco e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 25/02/2019 prima lezione diritto processuale civile Balena frequentanti Carrata mandrioli non frequentanti Verde non frequentanti Luisio frequentanti La procedura civile al contrario di come abbiamo studiato il primo anno quando avevamo idea di quello che è un furto, una proprietà e cose così il sapere che cosa sia il processo civile è una nozione ancora più ristretta, e al contrario del processo penale che è molto più conosciuto il processo civile è più ignoto. Il processo civile è gestito da avvocati e giudici, e si costruisce su un linguaggio molto tecnico, il diritto civile sostanziale viene gestito, partecipato e usato non solo da avvocati e giudici ma anche da cittadini, imprenditori, geometri, periti il diritto processuale civile è così, normalmente le persone per quanto colte che si devono occupare di processo civile non avendo studiato ne hanno una visione distorta e bizzarra. L’idea della giustizia ovvero di fare in modo che Le cose vadano come devono andare è un’idea molto alta, che spesso viene persa di vista, ma noi dobbiamo tenerlo sempre presente, e la finalità ultima è proprio questa. Ma è anche importante valutare che le cose oggetto della materia siano valide. Il processo civile Per capire quale sia la finalità del processo civile si può partire da uno di quei paradossi che c’è in un ordinamento con norme di diritto sostanziale civile manca un sistema di amministrazione della giustizia. Se tutti rispettassero le norme sostanziali spontaneamente non avremmo bisogno di giudici, perché l’ordinamento avrebbe la coincidenza tra la regola astratta e l’applicazione concreta. Nel caso in cui però ci fosse un momento conflittuale come un cittadino che si aspetta dall’altro un comportamento che l’altro non tiene, come un contratto di compravendita in cui il compratore paga il prezzo ma il venditore non consegna la cosa venduta, allora il compratore esorta il venditore e il venditore può non rispondere o dire delle cose come che il contratto è invalido, o arrivare a dire che non vuole proprio consegnarla. Superata la fase dell’esortazione della consegna che cosa resta de fare al compratore? O rinuncia al suo diritto o usa la forza. Se questa violenza accadesse, le presone creerebbero focolai di violenza per far valere i propri diritti: si fanno ragione con l’uso della Forza. Lo stato teme l’uso della forza, teme questi focolai di violenza, poi se la regia fosse che vince il più forte avremmo un disastro per cui conclusi i contratti di diritto privato, tra i contraenti quello che è più forte tenderebbe a rendersi inadempiente perché tanto può usare la forza. Allora lo stato interviene per organizzare una struttura, una istituzione che prenda il posto di quell’uso della forza che lo stato non può tollerare: in questo momento nasce il processo civile, per mediare tra queste due posizioni, infatti c’è un terzo che è distante dalle parti, che in primo luogo accerta che sia vero che ci debba essere la consegna della cosa. La prima è una funzione di accertamento del diritto e poi una funzione di attuazione del diritto. Una volta compiuto l’accertamento la cosa non finisce lì, perché il momento della forza è l’uso della forza pubblica accentrata nello stato e costringerà la controparte a consegnare la cosa promessa. Un altro modo di vedere la cosa è che attraverso il giudice c’è una sostituzione della forza intellettuale rispetto alla forza fisica: non vince il più forte, ma vince chi meglio persuade il giudice. Nell’immaginario l’avvocato è il campione del processo civile. Ma questo non è del tutto vero, perché l’ordinamento vuole che 1 i cittadini abbiano a disposizione una classe forense in cui un minimo di abilità e bravura ci sia perché altrimenti ci sarebbe una grossa ingiustizia. Il predominio dell’intellettuale sul forzuto, di questo si tratta. Ancora una modalità di soluzione della lite è la figura di un giudice che è molto rapido perché istruisce la causa e quando deve rendere la sentenza si ritira e lancia una moneta: si può ipotizzare una giustizia in cui c’è un soggetto che lancia monete, ma con il grosso inconveniente che il diritto sostanziale non verrebbe più rispettato spontaneamente perché le persone sarebbero propense a fare il proprio comodo sapendo che rischiano il 50%. Il sapere che per decidere ci sarà qualcuno che userà l’intelletto fa si che in via tendenziale i cittadini si adeguino al diritto civile. Queste finalità del processo civile trovano nell’attualità del nostro paese trovano animazione da parte di soggetti di buona volontà ma un processo civile che funziona malissimo: è molto molto lento, la giustizia italiana fa una figura misera perché è la più lente. È la più lenta non solo perché i giudici sono tendenzialmente pochi, ma anche perché la amministrazione della giustizia è male organizzata: le strutture statali che ospitano la giustizia richiederebbero delle norme di organizzazione degli uffici richiederebbero delle riforme, in oltre qui c’è una grande quantità di avvocati, e l’Italia è caratterizzata da una grande litigiosità, che è indotta proprio dalla quantità di avvocati, che fa si che ci sia forte concorrenza, che la fetta di lavoro sia piccola e quindi se l’avvocato non è attento la tentazione di far fare una causa è diffusa. Lo stato deve garantire la giustizia ma avendo poche. Risorse la garantisce con tempi molto lunghi. Il processo civile ha tre gradi (primo grado, appello, cassazione). I tempi ritenuti normali sono 3 anni in primo grado, due in secondo, e 1 e mezzo in cassazione. Il Piemonte è un’isola di eccellenza grazie ad una serie di presidenti molto sensibili a questo tema i processi civili non durano tanto di più di questi tempi, ma ci sono zone in cui il processo può durare 17 anni, e il legislatore può suggerire due strumenti alternativi alla giurisdizione statuale che sono: • Arbitrato • Mediazione L’arbitrato è una giustizia privata: le funzioni di accertamento di chi ha torto o ragione possono. Essere svolte anche da soggetti. Che non sono giudici dello stato. Gli arbitri sono giudici privati, e l’ordinamento pur garantendo il processo statuale cerca con delle agevolazioni di favorire l’arbitrato. Questo strumento evita l’uso della forza e va detto che l’arbitrato per opinione consolidata della Corte costituzionale è un fenomeno esclusivamente volontario: non può. Essere uno strumento. Imposto dalla legge, al massimo può essere esortato: il consenso delle parti deve esserci. L’arbitro svolge un compito identico a quello del giudice, ma non può tenere il controllo del secondo momento, quello successivo all’accertamento, ovvero l’esecuzione: questo resta in mano allo stato a prescindere dalla volontà delle parti. Il processo statuale prevede solo costi dell’avvocato, ma nel l’arbitrato si paga anche l’arbitro. La mediazione dal 2010 a questa parte è protagonista di una rete organizzata dallo stato che dovrebbero favorire la composizione. Del conflitto non attraverso la decisione ma attraverso l’accordo. Il giudice è l’arbitro decidono, il mediatore non ha il potere di decidere ma cerca di mettere d’accordo le parti, ed è una funzione molto diversa, si presta a scetticismo come impostazione, perché nella concretezza è un ideale che non funziona facilmente, perché se il mediatore non riesce a trovare la soluzione che metta d’accordo le parti non può decidere, può solo cercar di tessere rapporti pacifici, di far raggiungere una transazione, dve mettere in contatto i due litiganti per dare min modo che le parti raggiungano un contratto. Normalmente in questo caso si mettono di mezzo gli avvocati delle parti, e se non c’è la fanno loro è difficile che riesca il mediatore. Quando si istituzionalizza la mediazione si prevede che egli non debba essere un avvocato, ma si stabilisce 2 Esiste una ulteriore espressione della giustizia civile che è questa, e partecipa di entrambe le categorie e riguarda le situazioni di pericolo imminente, si può ricorrere a questo processo che è più veloce Lezione numero 2 26.02.19 Primi due volumi (balena, carrata, verde) senza processo del lavoro Nel terzo volume si studiano quelle 10 pagine dedicate al processo sommario di cognizione Il Luiso ha 5 volumi si studiano tutti i primi 2 e del 4 si studia la parte sul processo sommario di cognizione. Azione Art 24 cost: tutti possono agire in giudizio per la tutela dei loro diritti e interessi legittimi (distinzione tra diritto e interesse appartiene al diritto amministrativo, la costituzione però riconosce a tutti di utilizzare la giurisdizione italiana per la tutela dei diritti). L’azione penale invece (che abbiamo affrontato in procedura penale) è esercitata dal PM nell’interesse della collettività e mira alla punizione del colpevole. L’azione penale per quanto possa dare soddisfazione alla vittima del reato non gli porta un’utilità forte ed immediata, la condanna è fatta nell’interesse pubblico alla prevenzione dei reato. L’azione civile è attento alla vittima di un ingiustizia perché il processo civile mira a ricomporre lo strappo che si è avuto nella realtà fenomenico: rimedia al fatto che i cittadini non si sono comportato come avrebbero dovuto e attraverso il processo civili il giudice cerca di ricomporre il tutto, tanto è vero che quando nel processo e Ale la vittima vuole la soddisfazione al proprio interesse innesta l’azione civile attraverso la costituzione della parte civile, cosi che il processo penale mira anche a risarcire la vittima del reato o le consente di avere la restituzione del maltolto. L’azione civile può essere volendo commisurata alle tre tipiche attiverà della giurisdizione civile: azione di coniazione, azione esecutiva (per dare concreta attuazione pignoramento, mandare via inquilini) o azione cautelare per il processo di urgenza. Azione di cognizione Allo stato attuale degli ordinamenti giuridici simili al nostro questa azione è caratterizzata da atipicità: il legislatore non prevede per ogni ipotesi di diritto soggettivo una singola azione, ma prevede una possibilità generica di ricorrere al giudizio, e insieme a questo affianca delle previsioni specifiche, ma anche laddove non c’è un rito espresso c’è comunque azione, l’art 24 cost ha una formulazione così generica che sarebbe offeso se così non fosse. Il legislatore ha indirettamente violato l’art 24 quando ha previsto degli arbitrati obbligatori. L’arbitrato è uno strumento che deve essere usato su base volontaria, se l’arbitrato è imposto dalla legge la Corte costituzionale ha sempre dichiarato illegittima la norma. L’azione ha delle condizioni e degli elementi costitutivi. Le condizioni dell’azione sono essenzialmente 2: l’interesse ad agire e la legittimazione ad agire. Si tratta di elementi che debbono sussistere affinché l’azione ci sia: la mancanza di uno dei due elimina la sussistenza dell’azione. Sono invece elementi costitutivi dell’azione quelle caratteristiche che identificano una determinata azione. Nell’evoluzione dei secoli e degli ordinamenti si sono affiancate due concezioni dell’azione: una astratta che è quella che viene pacificamente praticata oggi in italia e una concezione concreta dell’azione. Secondo la concezione astratta il diritto di azione è sganciato dalla sussistenza del diritto soggettivo azionato: l’azione sussiste anche se il diritto soggettivo di cui si chiede l’adempimento manca. Secondo l’altra si da l’azione quando c’è il diritto soggettivo oggetto dell’azione. Il diritto romano aveva una concezione concreta dell’azione: viaggiava di pari passo con il diritto soggettivo, i diritti soggettivi erano esistenti quando erano tutelabili giurisdizionalmente. La concezione concreta ci dice che se chi agisce in giudizio non ha il diritto soggettivo. Il giudice nello stesso momento in cui accerta che manca il diritto soggettivo accerta anche che manca l’azione. Nella concessione astratta basta per avere azione affermarsi titolari di un determinato diritto soggettivo. Ha azione anche chi non è il titolare del diritto e quindi anche chi attraverso la sua azione andrà in contro ad una sconfitta nel merito. In altre parole, se il processo civile mira ad accertare se esistono diritti soggettivi o uno status ma può utilmente terminare con una pronuncia di rigetto: una pronuncia che riconosce che il diritto soggettivo non c’è. Questa distinzione è importante perché la decisione di merito (ovvero quella che dice che il diritto sussiste o no) è una decisione destinata a passare in giudicato, questa decisone diventa irretrattabile, ma questa irretrattabilità deve andare a vantaggio anche del convenuto: noi diciamo che il processo funziona bene anche se a vincere è il convenuto, se si scopre che la cosa è di proprietà del convenuto va bene, se invece usassimo la concezione concreta non genera accertamento sul diritto sostanziale ma solo sul processo, dice solo ‘tu non hai diritto’, non ‘il diritto ce l’ha lui’. Le sentenze 5 meramente processuali non formano la cosa giudicata, e questo significa che l’azione dichiarata inesistente non genera giudicato e può essere riproposta, non è il caso della pronuncia sul merito. In sintesi: con la concezione astratta l’azione diventa sganciata dal diritto sostanziale e spetta non solo a chi è il titolare del diritto ma spetta solo a chi si afferma titolate del diritto: la decisone è di merito sia che accolga o che respinga. Elementi costituitivi dell’azione Gli elementi indentificativi sono 3, uno dei quali si suddivide in 2 sotto elementi 1. Personae: sarebbe soggetti dell’azione 2. Ragione del chiedere\ causa petendi 3. Oggetto della richiesta\petitum che si suddivide in due sottoclassi 3.a. Petitum mediato 3.b. Petitum immediatum Persone Colui che propone la domanda e colui contro il quale la domanda è proposta: sono attore e convenuto, il processo a due è uno dei poi diffusi, ma nulla impedisce che gli attori o i convenuti siano più di uno (si tratta di processo litisconsortile) non ci sono nella procedura che studiamo processi con una sola parte oltre al giudice, non si può dire che non esistano in assoluti, ma se il processo di cognizione mira ad accertare dei diritti controversi deve esserci per forza quello che afferma di aver subito un torto e chi si afferma che lo abbia inflitto). Quando l’attore o il convenuto agisce in rappresentanza di altri la parte non è il rappresentante ma è il rappresentato, così come nei contratti se Sempronio conclude il contratto rappresentato da Paolo il contratto dispiega i suoi effetti su Sempronio. L’accertamento finale del processo vincola il rappresentato nell’azione. Petitum L’oggetto mediato è la prestazione che l’attore ritiene gli sia dovuta dal convenuto, è quello che si chiama il bene della vita, l’utilità, il comportamento che ha generato lo strappo L’oggetto immediato è il tipo di provvedimento richiesto al giudice e nei processi di cognizione i Tipi di provvedimento sono 3 • Accertamento • Condanna • Sentenza\decisone di carattere costitutivo Causa petendi La causa petendi è rappresentata dagli accadimenti storici in forza dei quali si domanda un determinato provvedimento al giudice: quando il codice parla dell’atto introduttivo del processo, la citazione, l’attore non deve solo raccontare i fatti rilevanti ma anche le ragioni di diritto della sua pretesa, ovvero le norme dalla quale ricava la sua pretesa. Il processo civile è retto dal principio per cui il giudice è signore della norma (iura novità curia) ciò significa che il giudice non è vincolato dalle norme di diritto abbozzate dalle parti, e può ricercare ovunque le norme di diritto. Sui fatti invece (ovvero quello che è accaduto dal punto di vista fenomenico) le parti hanno un monopolio assoluto: il giudice non può utilizzare per la propria decisione se non su fatti che siano stati raccontati dalle parti, è il divieto di scienza privata del giudice, il giudice sa solo i fatti che le parti hanno raccontato. L’inquadramento di diritto deve essere certamente abbozzato. Dal punto di vista dei fatti il legislatore italiano traccia una quadripartizione che si trova all’art2697 che è dedicato all’onere della prova: • Fatti costitutivi • Fatti estintivi • Fatti modificativi • Fatti impeditivi I costitutivi fanno sorgente il diritto, quelli estintivi fanno morite un diritto già sorto, quelli modificativi mutano le caratteristiche del diritto già sorto e i fatti impeditivi impediscono il sorgere di un diritto. Se prendiamo ad esempio il mutuo e se il diritto fatto valere i fatti costituivi saranno che si è concluso un contratto di mutuo, ma non basta perché il mutuo è un contratto reale, in cui le obbligazioni sorgono solo quando è stato fatto un pezzo di esecuzione, e quindi nei fatti si deve anche dire che si è data la somma di 1000, se si desse uno solo di questi due elementi la causa petendi sarebbe limitata. Il fatto estintivo: adempimento dell’obbligazione la estingue, oppure ancora il fatto che il credito del mutuante si sia prescritto. O ancora il fatto modificativo è la cessione del credito, o fatto impeditivi: questo è 6 cronologicamente contemporaneo o antecedente, ad esempio il fatto che una delle parti fosse in stato di incapacità di intendere e di volere, impediscono un valido sorgere del diritto. Autodeterminazione\etero determinazione La dottrina introduce una distinzione usata dalla giurisprudenza: è la distinzione tra azioni autodeterminate e azioni eterodeterminate. Le azioni autodeterminate sono quelle che si identificano attraverso le parti e l’oggetto e rispetto alle quali la causa petendi ha un valore non identificativo ma meramente secondario. Il soggetto e l’oggetto non serve a definire l’azione. Nelle eterodeterminate l’individuazione delle persone e dell’oggetto Nelle azioni autodeterminate l’azione resta la stessa anche se viene cambiata la causa petendi, nelle azioni eterodeterminata il cambiamento della causa petendi comporta il cambiamento dell’azione. Sono azioni autodeterminate quelle con cui si fanno valere quelle che riguardano diritti reali e determinati diritti della personalità o stati soggettivi, sono eterodeterminate quelle azioni che si fondano su diritti di credito. Nelle azioni eterodeterminate l’oggetto può essere modificato mutando la causa petendi, nelle azioni autodeterminate questo non accade perché se io mi affermo titolare del fondo x perché l’ho comprato, e non passiamo a dire che è nostro perché lo abbiamo usucapito: cambiamo la causa petendi ma il nostro diritto rimane sempre il medesimo. Una cosa è mia solo una volta, ma il diritto di credito può essere mio più volte. Nelle azioni autodeterminate cambiare nel corso del processo il fatto costitutivo non significa cambiare azione, nelle azioni eterodeterminate invece sì. Nelle azioni autodeterminate il giudicato chiude il discorso quale che sia il fatto, nelle azioni eterodeterminate il giudicato vale nei limiti della causa petendi che è stata fatta valere. Azioni autodeterminate Azioni eterodeterminate Non sempre l’indicazione dei fatti costitutivi è essenziale per individuare il diritto: per l’identificazione di questo diritto è sufficiente il petitum mediato, non anche i fatti costitutivi Il diritto è eterodeterminato quando per la sua individuazione non si possono prescindere i fatti costitutivi, perché è un diritto che si può ripetere un numero indefinito di volte Diritto di proprietà Altro diritto reale di godimento Diritti assoluti prestazione specifica Diritto di credito Diritto ad una prestazione generica Diritto reale di garanzia Possibili alternative del petitum immediatamente In tutti e 3 i tipi di domanda e in tutti e 3 i tipi di sentenza c’è sempre un accertamento, perché il processo di cognizione mira ad accertare se un diritto o uno status esiste, nelle azioni di condanna e costituisce a questo si aggiunge qualcos’altro. Azioni di condanna In queste l’attore non chiede solo l’accertamento dell’esistenza di un suo diritto ma afferma anche che quel diritto è stato violato e chiede al giudice di ordinare al convenuto di tenere un certo comportamento. Le azioni di condanna preannunciano un passo ulteriore, non sono decisioni che soddisfano l’interesse dell’attore ma nell’accertare il diritto dell’attore aprono le porte all’esecuzione forzata: se il convenuto nonostante la condanna persiste nel tenere il comportamento che il giudice gli ha ordinato di cessare si apre la via al momento dell’esecuzione forzata, come il pignoramento e cosi via. L’azione di condanna prelude l’esecuzione forzata, non è detto che essa si debba fare, non sempre le sentenze di condanna vengono adempiute spontaneamente, e questo fa si che ci sia l’esecuzione forzata. Il processo di cognizione è fatto di parole, l’esecuzione forzata passa dal mondo del linguaggio a quello delle azioni. Se la sentenza di condanna non ha la possibilità dell’esecuzione forzata sarebbe una sconfitta per l’ordinamento. L’azione di condanna oltre a questo ha altri due importanti effetti: 1. È titolo per l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore (ipoteca: diritto reale di garanzia in forza del quale il creditore può espropriare i beni ipotecati a prevalenza degli altri creditori, e l’ipoteca segue il bene nei trasferimenti che questo ha). Quando il creditore è un creditore ricco ottenuta una 7 2. Condanna condizionale: la condanna funzionerà non solo con il decorso del termine ma addirittura al verificarsi di un evento futuro e incerto. La dottrina è tendenzialmente restrittiva nel senso che mette in guardia circa la tentazione di allargare l’uso della condanna condizionale, è una figura residuale. Ad esempio, prendiamo le obbligazioni di regresso (quelle per cui ci sono più soggetti tenuti all’adempimento come le obbligazioni solidali: se il giudice accerta il debito e uno paga il tutto, poi il giudice aggiunge la condanna condizionale di pagare il debito al debitore che ha il diritto di farsi rimborsare la sua quota dagli altri) se si accerta il debito allora il giudice poi mette nella sentenza anche il regresso. 3. Condanna generica: in questa condanna c’è l’accertamento del diritto, poi l’accertamento della violazione del diritto, ma non c’è la quantificazione della prestazione a cui il convenuto viene condannato. È detta generica proprio perché non è concreta. La condanna generica trova spazio soprattutto nelle azioni risarcitorie in cui l’accertamento richiesto al giudice non riguarda solo il dovere di risarcire il danno ma anche sulla determinazione di questo danno. Pensiamo all0azione risarcitoria per responsabilità medica: non si tratta solo di accertare se il medico ha male operato la si deve anche accertare come sia quantificabile il danno provocato al paziente. Pensiamo che la causa raggiunga una certezza sul primo fatto: è chiaro che il medico qualcosa di male hanno fatto, quindi un danno è risarcibile ma si deve ancora determinare. Su questo è possibile ottenere una condanna generica che non determina l’ammontare del risarcimento. La domanda è che cosa se ne fa il danneggiato di una condanna generica: non se ne fa nulla per l’esecuzione forzata, perché non si sa per quanto eseguire. Serve tecnicamente esclusivamente per iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del debitore. Con la condanna generica si ipoteca una parte dei beni del debitore, li si sceglie a discrezione del creditore. Inoltre, la condanna generica può favorire la conciliazione della causa: una volta che l’ospedale si sente dire che ha una colpa si trova più facilmente un accordo sulla somma. La condanna generica si costruisce come una tappa intermedia oggetto di una sentenza non definitiva (chiamiamo definitiva la sentenza che chiude il processo, e non è definitiva la sentenza che rispolvera una parte dei temi coinvolti del processo) la sentenza di condanna generica non è definitiva, sarà pi con la sentenza finale segue quella che definisce il danno. È prevista dall’art 278 e ad essa si può accompagnare una condanna provvisionale: se è già stato accertato con sicurezza che almeno una certa somma è dovuta allora il giudice può pronunciare la sentenza provvisionale. Ovviamente nella parte in cui la sentenza è provvisionale la sentenza è una vera e propria sentenza di condanna. Questi provvedimenti vengono dati con sentenza (è regola generale dell’ordinamento che la sentenzia il contenuto della sentenza non sia rivedibile se non attraverso i mezzi di impugnazione, il giudice che ha pronunciato una sentenza, se se ne pente non può farci nulla, non può tornare sui suoi passi, e quando la provvisionale è resa con sentenza nell’arrivare alla sentenza definitiva il giudice si rende conto che non deve aggiungere nulla o che deve togliere, il giudice pronuncia una sentenza definitiva che non potrà dire che il danno complessivo è inferiore a quanto detto in sentenza provvisionale. Ci sono casi però in cui la provvisionale è data fuori dallo schema dell’art 278 e viene data non con sentenza ma con ordinanza (è diversa dalla sentenza, non è soggetta a mezzi di impugnazione ed è revocabile e modificabile dal giudice che l’ha pronunciata) quando la previsionale è data con ordinanza il problema di rivedere l’importo non si pone: ad esempio: processo del lavoro art 423 secondo comma: se il lavoratore agisce contro il datore per avere determinate somme e nel corso della causa il giudice si rende conto che comunque una somma è dovuta può fare con ordinanza un provvedimento che condanna in via provvisoria le somme. O ancora: danni da circolazione stradale. Obbligo di assicurazione per la responsabilità civile per sinistro stradale, se il danneggiato ha proposto la domanda di risarcimento verso la compagnia assicuratrice, se il danneggiato versa in stato di bisogno e la responsabilità dell’assicuratore è ritenuta probabile il giudice può condannare al pagamento del danno entro un tot del danno totale: è data sempre e comunque con ordinanza. Ciò significa che in questi casi la marcia in dietro il giudice la può fare quando poi pronuncia la sentenza definitiva. La provvisionale è un provvedimento non definitiva che può essere dato con sentenza ex art 278 e in questo caso non potrà mai essere revocato dal giudice che l’ha pronunciata, o può essere pronunciata con ordinanza. 4. Condanna con riserva delle eccezioni. Torniamo a quello che abbiamo detto circa i fatti rilevanti per la decisione del giudice. Le parti hanno i monopoli sui fatti, il giudice si basa su quelli, e questi possono essere divisi in 4 categorie (ex art 2697) per accogliere la domanda è necessario che ci siano tutti i fatti costituivi e nessun fatto modificativo, impeditivo o estintivo. Nella 10 condanna ordinaria il giudice può accogliere la domanda se ha diligentemente accertato che ci sono tutti i fatti costitutivi e non c’è nessuno degli altri fatti. Nella condanna con riserva di eccezioni si favorisce invece la prova scritta (documentale ovvero che risulta da scrittore) rispetto alle prove costituendae (che non preesistono al processo ma si fanno nel processo, come la testimonianza) allora bisogna immaginare che i fatti costitutivi, quello che fondano la causa petendi siano tutti dimostrati attraverso documenti e che in vece le eccezioni siano state avversate dal convenuto richiedano l’uso di una prova costituenda. C’è uno squilibrio tra le parti, perché l’attore ha già dimostrato tutto, e il convenuto no: la condanna con riserva delle eccezioni consente al giudice in modo non definitivo di condannare il convenuto a rendere la prestazione dovuta perché i fatti costitutivi del diritto dell’attore sono dimostrati e accantonare le questioni del convenuto per verificarle dopo. La sentenza di condanna con riserva delle eccezioni da per scontato che le eccezioni possano essere fondate, se non sono fondate quella condanna si consolida, se le eccezioni risultano fondate allora opera una condizione che fa cadere la sentenza di condanna con riserva. Qui non è il giudice che si pente ma è la legge che disciplina la faccenda in questo modo. (Solve et repete: ci sono molti casi in cui l’ordinamento consente al contribuente di pagare e poi di verificare se l’imposta è dovuta o no). La sentenza pronunciata nel processo di cognizione è soggetta ad impugnazione e solo quando certi mezzi di impugnazione non sono più utilizzabili la sentenza passa in giudicato: nessuna sentenza nasce passata in giudicato, nasce soggetta ad impugnazione e poi dopo passa in giudicato. Gli effetti delle sentenze di accertamento, di condanna o costitutive si producono subito o quando la sentenza è giudicata? Gli effetti dell’accertamento e quelli costituivi sono differiti al passaggio in giudicato della sentenza. Gli effetti della condanna (che aprono le porte all’esecuzione forzata) si verificano fin dalla pronuncia della sentenza, addirittura se la sentenza è provvisionale si può usare. Alcuni anni fa la cassazione ha pronunciato una sentenza su questa fattispecie: c’è un’art 2932 del cc che dice che se le parti hanno concluso un preliminare e una di queste non conclude il contratto definitivo si può tenere dal giudice una sentenza che tiene il luogo del contratto definitivo, è una sentenza di carattere costitutivo. Il caso è che ronco è il nostro padrone di casa e noi siamo i conduttori, l’immobile ci piace e lo vogliamo comprare. Ronco promette di venderci e noi promettiamo di comprare in un contratto preliminare, e al termine di questo ronco si pente di questo, e quando dobbiamo andare dal notaio e ronco non ci va e il giudice fa la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo cui abbiamo diritto grazie al preliminare. La cosa va fino in cassazione e per 17 anni noi siamo ancora non proprietari, la sentenza costitutiva produce i suoi effetti solo quando passa in giudicato, e solo con la pronuncia della cassazione avremo una sentenza definitiva. 4.03.19 Procedura civile 4° 24 maggio 13 giugno 4 luglio 18 luglio 19 settembre Gli effetti della sentenza che accoglie la domanda sono differenti a seconda che siano di condanna (efficaci fin dalla loro pronuncia) e quelle di mero accertamento\modifica (efficaci quando si esauriscono i mezzi ordinari di impugnazioni) VARIAZIONI DELLA DOMANDA: CAMBIAMENTO DELLA DOMANDA NEL CORSO DEL PROCESSO Questo può accadere perché l’attore può entro certi limiti cambiare gli elementi su cui aveva fondato la propria azione. Il processo di primo grado è costruito in modo tale da progredire e rendere molto meno possibili cambiamenti forti. Dal punto di divista di questi cambiamenti distinguiamo 3 categorie: • Mutatio libelli (il libellum è l’atto introduttivo) • Modificazione della domanda\emendatio libelli • Precisazione della domanda Se il mutamento è possibile alla prima udienza, la modifica è possibile solo dopo la seconda, la precisazione è possibile fino all’ultima udienza, che è detta udienza di precisazione. 11 Il cambiamento meno forte è quello che è la precisazione. Il codice non da elementi importanti per definire il concetto, e si riconducono a questo 2 fenomeni: 1. Riduzione del quantum richiesto (nel caso di domanda di condanna al pagamento di una somma, e può capitare perché l’autore può vedere che la sua pretesa iniziale non è cosi alta, questo è possibile 2. Riferimento alle azioni per il risarcimento del danno: tra i danni risarcibili ci sono i danni non patrimoniali (non incidono sul patrimonio, ma sulla serenità della persona ad esempio) quando si pretende il risarcimento di questi danni il problema è la loro quantificazione, bisogna tradurli in denaro, è una traduzione opinabile (i tribunali elaborano delle tabelle per cui a seconda della lesione viene stimata una certa quantità di denaro) mutare questo numero, anche in aumento è semplicemente una precisazione della domanda. Esempio ronco pretende un risarcimento di 45 mila euro per danni non patrimoniale, ma poi passa a 60 mila sta precisando, ma se invece aggiungesse che il nostro fato illecito gli ha portato anche un danno alla vista oltre quello alla gamba fa qualcosa di diverso: (la causa petendi è l’insieme dei fatti costitutivi) e questa non sarebbe più una mera precisazione ma potrebbe essere un caso di cambiamento Il confine tra mutamento e modifica della domanda dà luogo ad un cambiare della giurisprudenza molto intenso. Si può capire che fare confini tra le varie categorie è molto difficile, l’unico criterio sensato sarebbe dire che cambia un fatto costitutivo ed è già una domanda nuova, perché se ci affidassimo alla logica ogni cambiamento darebbe luogo ad un oggetto diversi, ma così non è: dobbiamo uscire dai valori meramente formali. La giurisprudenza abbandona criteri formali ma fa riferimento alla regola: quando cambiare un pezzo della domanda significa proporre circostanze nuove (situazioni che mettono in difficoltà il convenuto spiazzandolo rispetto a quanto si era precedentemente difeso) abbiamo un mutamento, ma quando abbiamo aggiustamenti che non cambiano lo stato delle cose e non mettono in crisi il convento abbiamo una modifica. Riferimento alle azioni autodeterminate ed eterodeterminate. Se uno passa dal chiedere 100 per appalto a prezzo per la compravendita il cambiamento è sostanziale, se uno rivendica una cosa e dice che è sua per acquisto o usucapione, è vero che cambio il fattore genetico del mio diritto, ma ferma la cosa e il tipo di diritto la cosa è la stessa, tanto è vero che si ritiene che il mutamento dell’atto costitutivo nelle azione eterodeterminate dia luogo ad una Mutatio, il mutamento dell’atto costitutivo nelle azioni autodeterminate da luogo ad una semplice modificazione della domanda in ambiti PU amici. Caso su cui si sono pronunciate le sezioni unite della cassazione (sentenza n° 22404 del 13\09\18) La fattispecie su cui si pronuncia è una situazione che torna frequentemente: un professionista da un comune e riceve l’incarico di progettare un’opera pubblica, viene fatto il contratto e quando egli chiede il compenso il comune lo nega dicendo che manca una firma che autorizza il compenso del professionista (regola per cui lo stato ed enti pubblici non possono concludere contratti se manca la delibera di spesa dell’ente). Il professionista agisce per avere il pagamento, e il comune dice che non deve nulla perché non era un contratto completo. Il professionista decide di cambiare in parte la domanda, considerando che il progetto era stato fatto e il comune aveva realizzato il progetto, e allora il professionista chiede il pagamento al comune che si era arricchito senza giusta causa (se un soggetto si impoverisce per arricchimento altrui, e non è rimediabile attraverso una diversa azione allora ha una dazione) Petitum mediatamente è uguale Petitum immediatamente: uguale Cambia la causa petendi, e non è più un contratto ma è l’arricchimento senza giusta causa. In 1 grado era stato ammesso il cambiamento, perché è un mutamento di livello intermedio In 2 grado non viene ammesso, perché non è solo un mutamento In cassazione invece gli danno nuovamente ragione perché cambia la causa petendi, ma in fondo il tema del contendere è sempre lo stesso, non racconta delle cose diverse (questo detto in sezioni unite). Solitamente le sezioni singole avevano dato risposte variegate, tal volta considerandola una emendatio e tal volta ancora ritenendola una domanda nuova. Una precisazione necessaria è che Nulla avrebbe impedito che il nostro professionista fosse stato meglio difeso che formulasse già da subito due domande: in via principale quella per la condanna all’adempimento, e in via secondaria la domanda per arricchimento ingiustificato Altri casi: un soggetto agisce in giudizio ritenendo che il contratto sia travestivo della proprietà, e si afferma sulla base di questo proprietario e chiede al giudice di condannare il convenuto di consegnargli la casa. Il convenuto dice che quello è un contratto preliminare e non un contratto di compravendita. Poi l’attore cambia domanda e chiede al giudice di fare la sentenza che porta al trasferimento della proprietà. La cassazione dice che è una mera modifica possibile. 12 convengo tizio dicendo che l’autore dell’illecito è Sempronio, cito tizio per un fatto altrui e non spendo la legittimazione passiva. La norma della legittimazione ad agire è l’art 100 cpc, la è l’art 81 che a negativo ricaviamo la legittimazione passiva. Eccezioni alla legittimazione ad agire, quando qualcuno agisce in nome proprio facendo valere un diritto non proprio siamo dinnanzi a casi di legittimazione straordinaria ad agire, sono i fenomeni di sostituzione processuale (art 81) i casi sono molti: Azione surrogatoria art 2900 cc se il debitore trascura di esercitare i propri diritti e così facendo pregiudica le ragioni del creditore, il creditore può in via surrogatoria esercitare i diritti del suo debitore. Esempio: io vi devo 1000 euro, e io trascuro di esercitare le opportune azioni a tutela delle mie proprietà, e i creditori hanno come garanzia quelle proprietà: i creditori possono esercitare le azioni che io trascuro, è una legittimazione straordinarie perché facciamo valere un diritto che non è nostro. In tutti questi casi si viene a creare un gioco a 3: i legittimati straordinaria e 2 convenuti (chi trascura il diritto e chi tiene il comportamento). Quando parliamo del litis consorzio vediamo il litis consorzio necessario, in cui devono partecipare tutte le parti. Altro esempio: i vi si del matrimonio che generanno la nullità del matrimonio possono anche essere fatti valere da altri soggetti o dal PM (uno dei pochi casi in cui ha azione in sede civile) come matrimonio incestuoso, matrimonio concluso tra soggetti in ci c’è impedimento da delitto, e il PM esercita un legittimazione straordinaria, perché esercita una legittimazione straordinaria. Anche qui il gioco è un gioco a più parti, perché sono convenuti in giudizio entrambi i coniugi. I casi possono moltiplicarsi, ma il discorso sulla legittimazione straordinaria (socialmente inteso) è il discorso che riguarda la tutela degli interessi collettivi, immaginiamo i casi in cui un comportamento di un soggetto (imprenditore ad esempio) riverbera i suoi effetti su un numero indifferenziati di persone, imprenditore che inquina aria, acque, imprenditore che con un prodotto difettoso sul mercato cagiona danni, il problema della tutela degli interessi diffusi è che il singolo danneggiato riceve un pregiudizio non cosi forte da spingerlo ad agire in giudizio, ma se l’azione venisse fatta da tutti quelli che hanno il pregiudizio il gioco economico delle spese potrebbe essere interessante. L’ordinamento in molti casi affida ad organizzazione di tutela una legittimazione straordinaria ad agire: l’associazione agisce contro l’imprenditore facendo valere un diritto rispetto ai singoli, e spende una legittimazione straordinaria. Il codice del consumo consente alle associazioni di consumatori consente ad esse di agire in nome e per conto della categoria quando l’imprenditore usa per i contratti le condizioni vessatorie (che regolano in modo uniforme i rapporti con i suoi consumatori che sono contrarie alle associazioni di consumatori, o anche possono agire quando ‘imprenditore compie atti dannosi, non per il risarcimento del danno, ma per ottenere l’ordine che determinati comportamenti cessino: domanda inibitoria). Sfiora l’argomento la c.d. ‘Class action’ che viene importata dal common law e trasfusa nell’art 140 bis del codice del consumo, l’azione di classe non espone un fenomeno di legittimazione straordinarie: non c’è un associazione che agisce al posto dei singoli per far valere un diritto altrui, ma funziona così: se c’è una cerchia di soggetti che hanno avuto un pregiudizio dal comportamento dell’imprenditore uno prende l’iniziativa ed agisce per se (legittimazione ordinaria) i danni non sono tutti uguali, ma molti pezzi della causa petendi sono comuni, gli altri che vogliono e se lo vogliono intervengono nella sua azione con un atto di adesione, e ogni uno agisce per la sua posizione (legittimazione ordinaria) la sentenza si pronuncia nei confronti dell’attore e di chi ha aderito alla domanda, se nell’azione di classe ha partecipato qualcuno e se la sentenza non tocca ne avvantaggia ne danneggia quelli che non ne sono entrati. Questo sistema all’italiana viene chiamato ‘sistema dell’opt in’ se non entri nell’azione di colasse non di giova e non ti nuoce la sentenza. Il contrario è l’opt out che coinvolge tutti quelli nella stessa situazione, anche chi non partecipa all’azione, chi non vuole essere coinvolto deve esprimerlo. Queste sono le condizioni dell’azione: situazioni che debbono sussistere perché il giudice possa entrare nel merito. Lo stesso effetto di condizionale la possibilità di pronuncia di merito ci sono anche per i presupposti processuali, che determinano la possibilità di pronuncia di merito: • Giurisdizione • Competenza • Legittimazione processuale Legittimazione processuale La condizione dell’azione era la legittimazione ad agire (legitimatio ad causam) questa invece un presupposto del processo, detta legitimatio ad processum. Il discorso è simile al fenomeno tipico del diritto sostanziale che è quello della capacità di agire e capacità giuridica. ▲ Capacità giuridica: possibilità di essere titolari di diritti, tutte le persone viventi hanno la capacità giuridica ▲ Capacità di agire: attraverso l’esercizio della sua volontà spende i propri diritti. Il bimbo di 3 anni non può spendere con la sua volontà questi diritti. 15 La stessa cosa accade nel processo, hanno la capacità di essere parte tutti quelli che hanno la capacità giuridica, persone viventi ed enti dotati di personalità giuridica. Non tutti quelli che possono essere parte hanno la legitimatio ad processum, perché essa è la capacità di esercitare con la propria volontà il diritto di azione e altri diritti che valgono nel processo. È legittimato processualmente chi può esercitare da sé (senza aiuti esterni) l’azione. Si insegna che se agisce in giudizio un morto (il soggetto vivo e vegeto va dall’avvocato ma la causa la inizia tra 20 giorni, nel frattempo la persona muore, e la causa è fatta da un morto) o contro un morto si dice che la sentenza pronunciata con un morto di mezzo è una sentenza inesistente. È una sentenza che non ha bisogno di essere impugnata per farla cadere, ma è così tanto fuori dall’ordine si accerta comunque che non vale nulla. Più frequentemente capita che la sentenza sia viziata per difetto di soggettività nei confronti delle società o delle persone giuridiche, perché magari la società è sciolta, e il problema si pone nello stesso modo. Quelli che non hanno il libero esercizio dei diritti devono essere nel processo rappresentati da altri, emerge una regola che esprime un atteggiamento del legislatore di ‘clemenza’ verso i vizi processuali: l’art 182 dice che quando il giudice rileva il vizio deve invitare la parte a rimediare al vizio della legittimazione processuale. Se la parte sana il vizio la sanatoria ha effetto retroattivo e depura gli atti nel frattempo compiuti. Se invece la parte non sana ecco che il vizio diventa irrimediabile e il processo si deve chiudere con una pronuncia di rito e non di merito. Esempio: il semi maggiorenne anni 16 ma non maggiorenne agisce personalmente in giudizio perché vuole impugnare una deliberazione assembleare della spa (per farlo il termine è di 90 gg) e lui agisce l’80 esimo giorno ma è senza legittimazione, e lo invita a sanare il vizio facendo agire il tutore, se la cosa funziona si ha una sanatoria retroattiva: anche se è stata fatta con il termine scaduto i suoi effetti operano retroattivamente. Se invece l’invito di sanare non viene raccolto il giudice chiude il processo dicendo che ha agito un soggetto non legittimato e non si pronuncia nel merito. La legittimazione processuale non ha nulla a che fare con la capacità tecnica, ha comunque necessità della difesa. Rappresentanza volontaria nel processo La persona può agire ma vuole farsi rappresentare da altri, qualcuno può agire in suo nome e per suo conto nel processo? chi è rappresentante dal punto di vista del diritto civile lo può fare nel processo, solo in questo caso è possibile. È una condizione necessaria della rappresentanza volontaria sostanziale, ma non basta, perché il rappresentante del diritto sostanziale può esercitare la rappresentanza processuale con un incarico espresso una forma scritta. Devono essere presenti entrambi RAPPRESENTANZA PROCESSUALE = RAPP. SOST + INCARICO SCRITTO Si fa a meno dell’incarico scritto nel caso: 1. dell’institore (soggetto che l’imprenditore mette a capo dell’impresa o di una parte di essa) 2. Caso in cui un soggetto non vive in italia ma ha 40 ville in italia e per queste ville abbiamo un procuratore generale 3. Per le azioni urgenti (per i provvedimenti cautelari) il rappresentante sostanziale può agire in giudizio anche se non ha L’Espresso mandato per la rappresentanza processuale. Quindi: è possibile la rappres.volont. Processuale Se c’è rappresentanza sostanziale a cui si aggiunge un mandato scritto ad hoc che non è necessario quando (institore, cautelare, procuratore generale). POSIZIONE DEL CONVENUTO Il convenuto è il soggetto nei confronti del quale l’azione è proposta. Il convenuto può (mentre l’attore è sempre attivo, ovvero è colui che fa tutto, senza attore non ci sarebbe processo) nel processo tenere un atteggiammo attutivo (difendersi) o un atteggiamento di disinteresse. Rispetto all’atteggiamento omissivo di difendersi la posizione del legislatore è differente. Il primo atteggiamento che si ha. Nel processo formulare si chiede per arrivare a giudicio che il convenuto aderisca alla richiesta dell’attore, perché la formula deve essere accettata, e se il convenuto sta silente il giudice non può fare la sentenza, e ci sono dei mezzi per costringere il convenuto a prendere la posizione come la missio in bona. Gli ordinamenti attuali hanno invece un’importante divaricazione: • Matrice napoleonica • Matrice germanica La matrice germanica vede nel disinteresse del convenuto una grande offesa per l’amministrazione della giustizia. Questi ordinamenti sanzionano il disinteresse del convenuto fino ad accogliere la domanda 16 dell’attore solo perché il convenuto non ha partecipato. Il silenzio sarebbe indice del fatto che il convenuto ha torto. Gli ordinamenti napoleonici hanno rispetto per l’atteggiamento del convenuto, perché se non si vuole difendere può farlo, di per sé non nuoce alla sua situazione. C’è un’ipotesi in cui lo stare silenti (contumacia) giova al convenuto rispetto alla difesa attiva. Cosa può fare il convenuto che si vuole difendere? Si articola in una serie di atteggiamenti via via più aggressivi, atteggiamenti sempre più oppositivi rispetto all’attore. 1. Il meno aggressivo: convenuto che riconosce come veri tutti i fatti raccontati dall’attore (racconta i fatti costitutivi che compongono la causa petendi) e pur non contestandoli il convenuto fa nelle sue difese semplicemente una questione di diritto, i fatti sono veri ma le conseguenze dal punto di vista del diritto è sbagliata. 2. Medio aggressivo: il convenuto non solo si muove sull’ambito delle norme di diritto ma contesta anche che in tutto o in parte i fatti raccontati siano veri, porta la sua contestazione non nel mondo del diritto ma anche nello specifico dei fatti. Qui si annida un problema complesso, che è da qualche anno risolto da una norma che sta nell’art 115 cpc il giudice deve porre a fondamento della decisone i fatti che la parte costituita non abbia specificamente contestato: i fatti non specificamente contestati non devono essere provati dall’attore, deve provare solo i fatti controversi che sono stati contestati dalla controparte. Se un fatto non è contestato è pacifico e il giudice deve assumerlo come vero indipendentemente dalle prove. Se la parte è contumace questo meccanismo non funziona, questo è il bizzarro favore per il contumace, perché se i fatti costitutivi che l’attore cita sono 6, se il convenuto è contumace l’attore ha l’onere di provarli tutti e 6, perché il meccanismo dell’art 115 non funziona in questo caso. Se il convenuto per ipotesi contesta solo il fatto 2 4 e 5, sul fatto 1 3 e 6 il giudice non ha bisogno di prova. Contestare specificamente cosa vuole die? Se il convenuto ammette in modo espresso i fatti affermati dall’attore il giudice non ha bisogno di prove, è l’ammissione espressa. Vicino al riconoscimento espresso c’è il riconoscimento implicito, esempio di controbattere una cosa detta dall’attore. Contestazione specifica: x racconta 6 fatti e noi ci difendiamo dicendo che è tutto falso, non è una contestazione specifica, ma generica. Oppure diciamo che il fatt 1 2 3 4 5 6 non è vero, rimane una contestazione generica e non specifica, perché è la traduzione verbale dello stesso concetto. Allora che cosa vuole dire contestare specificamente? Non significa isolare un’affermazione e dire che è falsa, ma bisogna fare qualcosa di più che è la c.d. ‘Contro narrazione’. Non basta dire che non è vero, ma bisogna offrire una narrazione alternativa a quella dell’attore. Dato il contro racconto, l’onere della prova resta all’attore, semplicemente la contro narrazione serve a rendere il racconto dell’attore un fatto controverso e come tali bisognosi di prova. Se fosse stata una contestazione generica ex art 115 non avrebbe bisogno di prove perché il 115 richiede la contestazione specifica. Questo meccanismo velocizza il processo a costo di raggiungere una verità fittizia, perché basta che manchi una contestazione specifica anche per negligenza. Questo ci fa dire che il processo non mira all’accertamento della verità ma mira a sopire le liti, il modo in cui i fatti si ricostruiscono è prettamente del diritto In tanto è pretendibile una contro narrazione in quanto il soggetto è a conoscenza della situazione di fatto rispetto alla quale dovrebbe contestare: quando il convenuto è all’oscuro di qualcosa può contestare senza contro narrazione È sollevato dalla contro narrazione quando il racconto della contro narrazione spingerebbe il soggetto a dire cose private e segretissime Questi sono casi in cui la contestazione generica è sufficiente ad applicare il 115 6.03.19 procedura civile Le possibilità per il convenuto La contestazione per essere efficace deve essere specifica: non basta una negazione ma deve essere u racconto di come sono andati realmente i fatti (contro racconto). I due limiti all’onere di contestazione specifica: • Fatti che il convenuto non può sapere come si siano svolti • Se la contro narrazione espone il contro narrante a rivelare aspetti segreti o riservati della vita • Si ritiene che la regola della Conte stazione non vale quando si fanno valere diritti indisponibili. I diritti indisponibili sono quelli regolati dal legislatore, e non possono essere fissati o vincolati. Il divorzio è disciplinato da regole di ordine pubblico, e la forma più semplice è quella prevista dalla 17 siamo povera fare l’azione risarcitoria non gli conviene, ma il proprietario del veicolo è ricco, e allora l’azione risarcitoria il professore fa l’azione risarcitoria contro di lui. Per decidere se il prof ha o meno il diritto di agire contro il proprietario del veicolo bisogna condurre una causa petendi molto articolata, ha a che fare con il fatto illecito: noi siamo passati con il rosso il professore è caduto e si è rotto la gamba, ma il conducente della macchina che ha investito il professore è una persona diversa dal proprietario della macchina: questo rapporto giuridico è diverso perché attiene al diritto di proprietà, e non riguarda il rapporto giuridico fondato sulla responsabilità per fatto illecito. Allora in questi casi si ritiene che se il professore vince la causa perché il giudice accerta che il convenuto è il proprietario della macchina che ha cagionato il danno al professore sul rapporto di proprietà della macchina (rapporto giuridico diverso, pregiudiziale ma diverso) il giudicato non scende. Allora il professore vince la causa contro il proprietario della macchina, e si fa dare 15.000 €, poi sorge controversia tra me e il proprietario per un’altra ragione, per la compravendita della macchina che lo ha investito. Si fa la compravendita e c’è una lite sulla proprietà della macchina, il giudicato sceso sull’azione risarcitoria non scende ad accertare la proprietà della Maserati: nel secondo giudizio l’accertamento della proprietà si potrà fare liberamente. Si dice che in questi casi l’accertamento sul rapporto pregiudiziale è un’accertamento fatto in via incidentale, è fatto semplicemente per arrivare a decidere sul rapporto principale, senza che sul rapporto pregiudiziale scenda il giudicato (espressione latina: è una cognizione incidente tantum, ovvero solo incidentale) Il giudicato scende non solo sull’oggetto specifico della domanda ma acche su i suoi antecedenti logici perché riguardi lo stesso rapporto giudizio, non scente sulle cose facenti parti di un rapporto giuridico diverso. La cosa giudicata copre il dedotto e deducibile la cosa giudicata impedisce di rimettere in discussione non solo il dedotto ma anche impedisce di smontare il giudicato attraverso cose che sarebbero state deducibili ma che la parte non ha eccepito. Se un determinato fattore non è stato dedotto ma non era nemmeno deducibile allora il giudicato può essere messo in discussione sulla base delle nuove esperienze. Questa teoria dei limiti oggettivi del giudicato è stata messa in crisi da un’escamotage che viene attuato dai giudici ed ha incontrato simpatia. Questo è espresso dicendo che il giudice può scegliere la ragione più liquida (sistema della ragione). La strada dell’attore è molto più difficile, perché per vincere la causa nel merito l’attore deve dimostrare che non ci sono fatti impeditivi ed estintivi, e basta che non sia chiaro un fatto costituitivi e per questo la domanda può essere respinta. La teoria in questione dice che non c’è dubbio che dal punto di vista della logica del diritto sostanziale le cose si pongono in un certo modo (prima quelli costitutivi, poi estintivi e poi modificativi) e una persona che usa la logica prima di dichiarare estinto un diritto per prescrizione deve affermare che un diritto è sorto, e allora un giudice dovrebbe prima accertare che il diritto è sorto e solo dopo dire se questo diritto è estinto. Immaginiamo che la prescrizione è evidente, e che l’accertamento dei fatt costitutivi è evidente e il giudice che si muove secondo logica dovrebbe vedere se il diritto è sorto o no e poi dire che comunque è morto. La ragione più liquida è quella più evidente e fluida e si usa solo questo, che viola il canone della consequenzialità, respinge la domanda sulla base di ciò che è evidente anche se non è ciò che viene per primo nella fattispecie di diritto sostanziale. Si usa il criterio della ragione più liquida solo per respingere le domande, e questo perché non si può immaginare che il giudice accerti il diritto ‘pescando una cosa’ e usarla da sola, perché l’attore per vincere ha bisogno che ci siano tutti i fatti costituivi, nessun fatto impedititvo estintivo o modificativo. Non potrebbe il giudice accogliere la domanda semplicemente accertando che il diritto non è prescritto, non gli basta, deve accertare che il diritto è sorto. Per respingere la domanda gli basta accertare che il diritto è prescritto. Allora quando la quando la domanda è respinta su questo criterio non si può più dire che il giudicato scenda anche sui presupposti logici della pronuncia anche se attinenti al medesimo rapporto giuridico. Se il giudice accoglie la domanda è chiaro che deve aver accertato che il contratto è valido, ma se respinge la domanda sugli antecedenti logici non c’è stato accertamento e non sono stati quindi coperti dal giudicato. Questi due cagnolini sono configgenti, in sintesi quando la domanda è respinta sulla base dell’accoglimento di un eccezione che sta a valle non c’è accertamento sui presupposti non si può dire che il giudicato faccia accertamenti. Esempio: C’è il nostro contratto di somministrazione che dura da 30 anni, perché siamo imprenditori che collaborano, noi vendiamo al prof della merce che non paga tempestivamente, noi facciamo causa al professore, e il prof dice che quel denaro non ci è dovuto perché il credito è prescritto, se il giudice respinge l’eccezione del professore e dice che le somme sono dovute accerta inevitabilmente che il contratto è valido. Ma se il giudice dice che il prezzo di quella merce ormai è prescritto e poi noi facciamo una seconda causa relativa sempre a quel contratto, la validità del contratto resta impregiudicata, è decidibile liberamente dal giudice, anche se teoricamente si potrebbe dire che implicitamente è stato giudicato, non si può più fare quel ragionamento perché il giudice ha scelto un passaggio di scorciatoia. 11.03.19 lezione 7 20 Secondo l’orientamento prevalente il giudicato scende non solo sull’oggetto specifico deciso ma anche si presupposti necessari per decidere purché attengano al medesimo rapporto. Il precipitato di questo orientamento si han una pronuncia 26242 del 2014 della cassazione delle sezioni unite nella quale hanno detto che qualsiasi pronuncia che dice qualcosa sul contratto implicitamente accerta che il contratto è valido. Quando abbiamo detto che le eccezioni di dividono in rilevabili d’ufficio o per eccezione di parte la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio. Una deroga a questo principio è il criterio della ragione più liquida: quando il giudice sceglie la ragione ostativa che gli sembra più semplice. Quando abbiamo un contrasto di giudicati: quando invece il giudice affronta delle questioni che attengono ad un diverso rapporto contrattuale non scende il giudicato ma il giudice lo accerta solo in via incidentale, se abbiamo una sentenza che non tiene conto del precedente giudicato: è invalida ed è soggetta ai mezzi di impugnazione. La seconda sentenza che vaiola il promo giudicato è impugnabile con mezzi di impugnazione ordinaria (con cui si fanno valere vizi palesi) e quando questi esauriscono, la seconda sentenza passa a sua volta in giudicato: è così che origina il contrasto di giudicato. L’ordinamento non dice nulla di questa ipotesi, se prevale il primo o il secondo, ma un orientamento consolidato ritiene che il secondo giudicato prevale sul primo (il parallelismo è quello delle leggi nel tempo). Se l’invalidità non viene fatta valere vince e prevale sulla precedente. Parliamo di contrasto di giudicato con riferimento ai casi in cui la seconda causa, quella che Over è rispettare la prima, ha ad oggetto lo stesso rapporto giuridico (e il giudice si deve astenere) o un rapporto giuridico dipendente 8dove il giudice deve difendere rispettando il primo giudicato). Un fenomeno è il contrasto di giurisprudenza: affermazioni contrastanti non sulla stessa lite o lite tra loro dipendente: si tratta di limiti distinte che però sulle quali il giudice deve applicare una medesima norma, e in questo caso la interpreta in modo difforme. Esempio: se si vende una cosa viziata il compratore per far valere le sue ragioni deve entro 8 gg denunziare il vizio, ci si chiede se essa debba essere verbale o scritta. In azioni simili ma in realtà differenti il giudice è chiamato a rispondere applicando la medesima norma di diritto. In questo caso non c’è il vincolo del giudicato, e nell’ordinamento italiano non c’è nemmeno il vincolo del precedente. Ogni giudice applica la legge secondo la sua coscienza, al contrario dei sistemi di common law. In italia siccome l’art 101 dice che i giudici sono soggetti solo alla legge da qui si ricava che nessun giudice è vincolato (non sulla stessa causa ma sulla stessa questione di diritto) dagli altri giudici. Questo non toglie che l’uniformità della giurisprudenza sia un valore importante, che consente ai cittadini di regolare il loro comportamento prevedendo quello che farebbe il giudice in quel caso. La corte di cassazione ha il compito di curare l’uniformità e la correttezza interpretativa. Se la cass. Afferma per 10 volte una cosa e il giudice di pace ritiene di fare la sentenza sulla stessa materia un'altra cosa, il giudice può validamente ritenere che sua giusto un parere diverso. Che vincolo può avere il giudice ad osservare il parere della cassazione? Non è per ragione di un comando ma per la ragionevolezza del parere della cassazione: non è un vincolo. Inoltre, si può anche pensare che se quella sentenza viene impugnata può arrivare sino alla cassazione, che probabilmente andrà contro la decisione presa. La cassazione stessa ha dei contrasti di giurisprudenza e quando la stessa cassazione si pronuncia in modo contrastante è che attraverso l’intervento delle sezioni unite si risolva la questione. Il contrasto di giurisprudenza investe le norme. Limiti soggettivi del giudicato Ci dice quali sono le parti coinvolte dal giudicato. Se noi partiamo da due norme costituzionali: • Art 24 cost: diritto di difesa • 101 cost: processo nel contraddittorio delle parti E ci aggiungiamo il principio di giustizia: può ricevere una pronuncia se ha partecipato al processo. La sentenza vincolerebbe solo chi ha partecipato alla sentenza e sulla sua pronuncia ha influito. Questo è vero ma l’ordinamento prevede anche l’effetto di giudicato per chi non ha partecipato: 1. 2909: c’è una sorta di endiadi, perché gli aventi causa sono succeduti nella stessa posizione giuridica del dante causa, e in fondo gli eredi sono aventi causa del decuius, il giudicato formatosi nei confronti di x fa stato e vincola anche i suoi eredi. Sono vincolati dal giudicato non solo quelli che subentrano nella posizione dopo la pronuncia ma anche quelli che ereditano in corso di giudizio. L’inizio della causa fotografa una situazione: il giudicato vincola chi inizia la causa e anche chi vi subentra. 2. Fino ad adesso abbiamo descritto l’erede o l’avente causa come colui che subentra nella stessa posizione giuridica del dante causa: esistono dei legami di rapporti giuridici caratterizzati dalla dipendenza in cui l’avente causa non acquista la stessa posizione soggettiva che era propria del Dante causa, ma ne acquista una dipendente dalla prima. Questo è quello che da luogo nel diritto civile del sub-contratto (è un contratto che si fa intanto che esiste il primo), non è un CESSIONE 21 DEL CONTRATTO. È un contratto che si fonda sul contratto a monte. Si ritiene che la cosa giudicata abbia effetto su quei terzi che sono titolari di un sub-rapporto, che dipende da quello su cui è sceso il giudicato. In questo ambito è emblematico l’art 1595 dedicato ai rapporti tra locatore e sub-conduttore: il contratto madre fa cadere i suoi vizi anche sul contratto figlio, e la sentenza pronunciata contro il conduttore ha effetto anche nei confronti del sub-conduttore. Nell’opposizione di terzo vedremo che è vero che anche il sub-lavatore subisce gli effetti della sentenza a meno che non dimostra che quella sentenza è frutto di una collusione di conduttore e locatore ai suoi danni. Coinvolge le parti e quelli che hanno acquistato il diritto dopo il processo e coinvolge chi ha un rapporto dipendente da quello su cui è sceso il giudicato 3. Si ritiene che la cosa giudicata sulle azioni di stato e quelle sullo stato di famiglia operi erga omnes: l’affermazione che due soggetti sono sposati, lo stato di figliazione… vincola qualsiasi consociato anche se non ha partecipato al processo. Questo accertamento non può più essere messo in discussione. Si ritiene che la sentenzia esplichi i suoi effetti anche nei confronti dei creditori delle parti: se io sono creditore e sono l’unico e l’altro ha tanto patrimonio è tutto ok. Ma se i creditori si moltiplicano è chiaro che l’interesse del primo creditore è quello di essere solo uno. Se i creditori aumentano per via di sentenze il primo creditore deve rispettare la sentenza. Abbiamo dei casi in cui il giudicato si estende o non si estende soggettivante a seconda di quello che la sentenza dice: l’estensione dipende dal tenore della sentenza (secondo eventi litis: a seconda dell’esito della lite). L’applicazione più importante si ha nell’art 1306 (obbligazioni solidali): obbligato principale e fideiussore sono obbligati in solido, il creditore può agire contro entrambi o contro uno solo dei due. Il creditore fa causa solo al fideiussore, e se la perdiamo, quindi la sentenza dice che il fideiussore non deve dare nulla, e poi il creditore fa causa al debitore, il debitore si può avvantaggiare della sentenza del fideiussore, a meno che la sentenza non fosse legata a questioni particolari del fideiussore, come ad esempio il fatto che la sentenza si basa sulla nullità della fideiussione. Se invece la pronuncia del giudice è contro il fideiussore questa non si oppone al debitore, perché non ha partecipato al processo. Nell’obbligazione solidale se vince il debitore solidale la vittoria si espande, e non vale il contrario. Processo plurisoggettivo Il processo con più di due parti viene chiamato processo litisconsortile. Il litisconsorzio può essere: • Originario: fin dall’inizio della causa ci sono più di due parti • Successivo: se il processo parte con struttura binomia ed entrano altre parti quando questo è già in corso. Questo è il demone o dell’intervento: ingresso di un terzo in un processo già in corso. L’ingresso può essere: • Volontario: è il terzo che vuole • Coatto: intervento che si suddivide in ■ Intervento su istanza di parte: la parte originaria chiede che intervenga un terzo ■ D’ufficio: è il giudice che lo chiede Litis consorzio originario CHE SI DIVIDE IN: • Necessario • Facoltativo Litis consorzio facoltativo descritto dall’art 103 1 comma: è facoltativo perché l’aver cumulato più soggetti è stata una scelta che l’ordinamento tollera (e favorisce: se le cause hanno elementi comuni trattarle insieme significa risolvere può cose in una sola volta) nella formulazione testuale troviamo che le parti possono agire o essere convenute insieme quando nelle cause c’è convergenza per oggetto (bene della vita, l’oggetto mendicato) e il titolo che è la causa petendi. Questa connessione consente di cumulare in sé le cause. Questa connessione per il titolo o per l’oggetto che fonda il litis consorzio facoltativo è detta connessione propria. Il litisconsorzio si può fondare anche sull’identità delle questioni trattate, che dà luogo alla connessione impropria. Possono agire o essere convenute parti le cui azioni sono distinte se non il fatto di toccare la medesima questione di diritto. Anche queste sono ragioni di economia processuale. Litisconsorzio necessario: art 102. Formalmente quello che dice il codice è che si sono casi in cui la pluralità di parti è voluta dalla legge, e quali casi sono? Quando la sentenza non può che pronunciarsi nei confronti di più part, che è una formula vuota. In alcuni casi è la stessa legge che un determinato soggetto è litis consorte necessario: esempio: 22 y. È notevole che il garante una volta che è chiamato in causa può difendersi non solo sul rapporto di garanzia ma anche sul rapporto principale: immaginiamo il caso dell’assicuratore RCA. Una volta che l’assicuratore è stato chiamato in causa non sino può dire che l’assicurazione era nulla, che non copre i danni (rapporto assicurativo tra Lucio e il danneggiante), ma può passare il confine e difendersi anche sull’altro rapporto, e può dire che non è vero che l’assicurato ha cagionato il danno, e qui si sta discutendo non sul rapporto di garanzia ma sul rapporto principale, infatti se nulla è dovuto dal danneggiante nulla è dovuto dal garante. In questo caso le alternative alla sentenza possono essere più di due: • Respingere la domanda principale e respingere la domanda di garanzia (non avrebbe senso dite che non si deve dare nulla come risarcimento e poi dire che le risarcitorie deve dare qualcosa) • Si condanna il convenuto a pagare e si condanna l’assicuratore a rimborsare al convenuto quando dovesse pagare • La domanda principale viene accolta, il convenuto è condannato ma l’assicuratore viene ‘assolto’. Questo perché il contratto di assicurazione era scaduto, nullo, non copriva quella tipologia di danni. C’è una figura di chiamata in causa che non è proprio riconducibile all’art 106 ma che ha uno sviluppo giurisprudenziale particolare: caso in cui il convenuto sostiene di uno essere il debitore ma che il debitore è un terzo. Si ha nelle azioni da responsabilità aquilana. L’attore dice che è stato Sempronio e Sempronio dice che il danno l’ha cagionato Cairo: la differenza rispetto a prima non c’è una chiamata in garanzia, ma si chiede che la condanna sia pronunciata contro caio. Non c’è nemmeno una comunanza di causa, i rapporti sono disegnati come incompatibili. Questa figura (detta chiamata del vero responsabile\ autore effettivo) la giurisprudenza ritiene che la domanda dell’attore (originariamente posta nei confronti del convenuto che afferma l’altrui responsabilità) si estenda automaticamente al terzo. L’azione è anche caratterizzata dare parti, l’attore agisce contro il convenuto, ma se viene chiamato il terzo come effettivo responsabile, si tiene che l’attore annichilito se non ha detto nulla si ritiene che sia comunque parte, e se è stato il terso l’attore ottiene la condanna del terzo a risarcirli il danno anche se non era nella domanda principale dell’attore. Chiamata per ordine del giudice art 107 noi siamo abituati a pensare che i signori della domanda siano le parti, il giudice non si muove d’ufficio nella giustizia civile, si muove su domanda di parte, ma se l’art 107 prevede che il giudice possa far entrare un terzo nel processo ed estende le domande del processo c’è una deroga al principio della domanda di parte. Questo lo può fare quando il giudice ritiene che la chiamata del terzo sia opportuna, anche qui il rapporto diventa a 3 e l’esempio non è facile, perché è una figura poco vista. L’unico che si può fare è: sappiamo che quando un muore tal volta gli eredi litigano sull’asse ereditario, e a volte accade che tra le cose contese ci sia un sostanzioso conto in banca. Allora il primo erede inizia a scrivere alla banca dicendo che quei soldi sono suoi, 3 gg dopo scrive l’altro erede e dice lo stesso. La banca in questa situazione non paga nessuno perché non quale pagare ad A e poi vedere che il vero creditore è B. A agisce vs la banca, e la banca si difende dicendo che c’è anche la pretesa di B che sta fuori dal processo: il giudice può dire che questa è una lite a 3 e se lasciassimo fuori B può accadere che la sentenza pronunciata non sarà opponibile all’altro erede, e per evitare che ci sia un conflitto tra giudicati, in cui accade che la prima sentenza dica che l’erede sia A e una seconda sentenza che è fatta da B vs banca si dica che l’erede è B. Il giudice può chiamare in causa anche B e allora la sentenza avrà effetto sua nei confronti di A che di B. Bisogna tenere presente che tutte le volte in cui il 3 non interviene. Volontariamente non viene chiamato è sempre estrane o all’efficacia della sentenza, tranne che nel caso dell’intervento adesivo dipendente, perché lui subisce gli effetti riflessi del giudicato (interviene per supportare un a parte perché risentirebbe di uno svantaggio se la parte perdesse) Chiamata per ordine del giudice (107) vs litis consorzio necessario (quando si ricava dal sistema che la sentenza può essere pronunciata se sono presenti tutte le parti che sono coinvolti nel rapporto principale) l’intervento per ordine del giudice è diverso: non è un caso di litisconsorzio necessario, nell’esempio di A e B vs banca le cause possono viaggiare separate salvo il danno del contrasto di giudicato. In entrambi i casi l’ordine del giudice di integrare le parti sono sempre ordini che il giudice da alle parti: non è l’ufficio giudiziario che cita in causa il terzo, è un invito che il giudice fa alle parti per chiamare il terzo.nel caso del litisconsorzio necessario La sanzione se le parti non raccolgono il rimedio del giudice è l’estinzione del processo, nel caso dell’art 107 si ha una sanzione simile se le parti non accettano l’invito del giudice, perché il processo non si estingue immediatamente ma entra in uno stato detto di quiescenza (letargo) che non è la morte dell’estinzione, è uno stato provvisorio che può essere interrotto dalla riassunzione del processo nei 3 mesi successivi: la parte ha lasciato scadere il termine richiesto dal giudice ma ha ancora 3 masi per farlo. L’estromissione della parte dal processo 25 È il contrario dell’intervento. Per avere estromissione dobbiamo immaginare che il processo abbia 3 parti, perché se fossero solo due parti l’estromissione non sarebbe possibile. Le figure di estromissione sono: • Estromissione del garantito • Estromissione dell’obbligato • Estromissione connessa alla successione nel processo. Estromissione garantita Immaginiamo che ci sia stata una chiamata in garanzia, ex art 106. Possiamo immaginare che l’assicuratore benché non sia legato ad un rapporto con noi creditori ma che lo abbia con il debitore, ma può capitare che assuma su di sé la lite: in questo caso il garantito (originario convenuto) può chiedere di essere estromesso, la causa prosegue tra attore e assicuratore. Questo fenomeno si collega ad una norma sostanziale dell’assicuratore che dice che è vero che l’assicurazione non è tenuta verso il terzo, ma se l’assicurato è d’accordo può bypassarlo. Se questo avviene e se tutti sono d’accordo il garantito può essere estromesso. La sentenza pronunciata tra attore e garante esplica i suoi effetti anche nei confronti del garantirti: egli resta soggetto degli effetti della sentenza, tanto è cero che può impugnare la sentenza, caso disciplinato ex art 108 Estromissione obbligato Esempio dell’eredità e deposito bancario: chiamata su ordine del giudice\ litisconsorzio necessario fa diventare il processo a 3, erede A, B e banca: in questo caso la banca non nega di dover pagare a chi si rivela erede, le basta sapere a chi deve pagare, perché le interessa quello. Se le parti sono d’accordo la lite continua tra A e B e l’obbligato viene estromesso. Estromessa la banca, la sentenza che di ce chi è il vero erede ha effetto anche nei confronti della banca e questa benché estromessa potrà impugnare la sentenza (se per esempio la sentenza è sbagliata, come un errore sulla somma depositata). Caso: per alcuni prestiti, di modesto valore e fatto a persone povere, quello che presta chiede come garanzia la cessione del 1\5 dello stipendio se il finanziato è un lavoratore. Le cessioni possono essere plurime, perché ci sono dei limiti civilistiche, e lo stesso soggetto può cedere più volete il 1\5 a finanziarie diverse. Un soggetto è il datore di lavoro di questo lavoratore che aveva fatto più cessioni. Quando il lavoratore cessa il datore deve affrontare il TRF, che è di 16.000 e il datore di lavoro chiede a chi dare questi soldi, e può presentarsi il caso dell’estromissione dell’obbligato. Caso disciplinato ex art 109 Estromissione connessa alla successione del processo ex art 111 comma 3 Quando parlavamo del fatto che non si può iniziare un processo contro un morto, e quando abbiamo detto che la sentenza fa stato tra eredi e aventi causa non solo a processo finito ma anche durate il processo. L’inizio del processo segna l’inizio dell’elemento temporale anche per questa ipotesi. Questa è l’ipotesi in cui a processo già iniziato l’oggetto della lite viene trasferito a titolo particolare: caso in cui iniziata la causa il credito vene ceduto, o la proprietà del bene viene venduta. Ci sono stati ordinamenti che vietavano in corso di processo il trasferimento della res litigiosa, ma ora si può fare. Il problema che si pone l’art 111 è se chi subentra nella proprietà entri nel processo: la risposta dovrebbe essere positiva, il vero legittimato sarebbe l’avente causa. Ma se questa regola la adottassimo rigorosamente andremmo in contro ad una strana evenienza: il convenuto vuole tardare la vittoria eventuale dell’attore, il convenuto temporeggia, e le tecniche dilatorie sono queste. Se dicessimo che ogni volta che cambia la titolarità del rapporto bisogna far subentrare l’avente causa allora il convenuto potrebbe trasferire più volte il bene e far impazzire l’attore che di volta in volta dovrebbe aggiornare la domanda. Il 111 risolve con semplicità il problema, dicendo che il trasferimento del diritto controverso lascia integro il processo tra le parti originarie, che può continuare tra le parti originarie. L’attore agisce contro il convenuto, e in corso del processo l’attore trasferisce il credito continua a stare in causa. L’avente causa se vuole può intervenire, ma non è obbligato, se interviene l’effettivo titolare del diritto l’avente causa può chiedere di essere estromesso. In ogni caso sia che l’avente causa stufa fuori o che entri ed esca il dante causa la sentenza avrà effetto nei confronti di entrambi. Che interesse ha il dante causa a stare nel processo? Il dante causa (parte originaria) perde la legittimazione ordinaria ad agire, non litiga più per un diritto che afferma suo ma che ha trasferito. Quella che all’inizio è una sua legittimazione ordinaria, diventa una legittimazione straordinaria. L’interesse è quello per cui l’interesse del contratto ceduto lite pendente le regole vogliono che io finche il cessionario non entri nel processo garantisca al cessionario di difendere la sua posizione. Se il cessionario entra nel processo abbiamo 2 legittimazioni (una straordinaria del dante causa, e una originaria dell’avente causa) a questo punto se il dante causa vuole va via, ma la sentenza in ogni caso farà stato per entrambi. Questa disciplina va a questo punto coordinata con 2 regole tipiche del diritto sostanziale Regole sulla trascrizione dei pubblici registri immobiliari Regola del possesso vale titolo 1053. 26 Regola 1053 CC: chi acquista in buona fede na cosa mobile e ne consegue il possesso diventa proprietario della cosa mobile anche se chi glie l’ha venduta non era proprietario. Voi mi vate causa perché vi ho portato via la bici, e volLIAMO RIAVERLA. Io a processo iniziato vendo la bici ad un terzo che è in buonafede. Sulla regola si dovrebbe dire che se voi vincente vinciamo anche vs il terzo, ma questa regola prevale sul 111: il terzo usa questa carta del 1053 e vanta la proprietà. La vittoria sull’accertamento e rivendica è una vittoria che non serve a nulla, la bici non la possiamo recuperare, ma possiamo fare una seconda causa in cui visto che la bici è venduta si può chiedere il risarcimento. L’azione non è ricuperatoria ma è risarcitoria per equivalente. Rapporto tra 111 e regole sulla trascrizione nei pubblici registri immobiliari. I beni immobili in itali hanno una tracciabilità attraverso questi registri in cui vengono annotate le vicende traslative degli immobili. Non si trascrivono nei pubblici registri solo gli atti di diritto privato, ma anche le domande giudiziali. Se uno trascrive una domanda giudicare (atto introduttivo della causa) si ha una sorta di effetto prenotativi: perché la sentenza che dovesse dare ragione a chi ha trascritto la domanda dispiegherebbe i suoi effetti fin dal momento in cui la domanda è stata trascritta. Questo significa che nel conflitto tra l’attore che trascrive la domanda e i il terzo che compra prevale anche in deroga al 111 quello che ha trascritto per primo: il 111 data la sua plastica funzionalità ha 2 deroghe, il 1053 e queste regole sulla trascrizione degli immobili. L’art 1458 del cc dice che la ripetizione del contratto per inadempimento o per eccessiva onerosità ha effetti retroattivi tra le parti ma non rispetto ai terzi, salvo gli effetti della trascrizione dell’atto e delle domande. Noi vendiamo al prof un immobile, la vendita viene trascritta. Per il sistema italiano il consenso trasferisce la proprietà indipendentemente da consegna. Il contratto prevede che il prof non paghi dinnanzi al notaio, ma che il pagamento avvenga a 30 gg dall’atto, ma il prof non paga. Noi abbiamo perso la proprietà dell’immobile e non abbiamo soldi. Agiamo in giudizio per la risoluzione del contratto per inadempimento del prof. Chiediamo al giudice una sentenza costituiva che ponga nel nulla la compravendita e ci faccia torciante proprietari della cosa. Iniziata questa causa il prof vende la cosa che è sua ad un terzo, e qui gioca il 111: il trasferimento della res litigiosa si può fare, la sentenza sarà efficace anche verso il terzo, ma su tutto questo gioca il sistema dei pubblici registri: bisogna vedere chi ha trascritto prima la domanda giudiziale o l’acquisto dalla parte del prof. Il processo l’abbiamo iniziato il 13 e il prof ha venduto la casa il 15, se il terzo trascrive l’acquisto il 16 e noi trascriviamo la domanda il 20 prevale il terzo che ha trascritto per primo. Questo perché il terzo trascrive e non vede la nostra domanda: lui si sente tranquillo, invece se si vede la domanda che reclama la cosa il compratore si astiene dall’acquisto, può comprare lo stesso, ma se la sentenza dice che la cosa deve tornare a noi allora il terzo sa che la deve ridare a noi. Se il terzo compra ed è poi soggetto all’efficacia riflessa della sentenza e perde la proprietà se la prenderà con il prof sulla base delle regole della compravendita. (Garanzia per evizione) Questo art 111 è il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, il 110 tratta di un fenomeno diverso che è la successione del processo in cui una delle parti originarie viene meno, si trasferisce l’insieme dei rapporti a quello che sostitutive quello che muore, non è il singolo diritto che si trasferisce ma tutto l’insieme del diritto. Se è vero che non si può fare causa ad un morto, se la morte interviene quando il processo è già iniziato scatta l’istituto dell’interruzione del processo, per poter proseguire con i suoi successori. Art 110 successione nel processo: morte della parte e trasferimento di tutti diritti e obblighi che fanno capo al soggetto. Il 111 è relativo alla successione a titolo particolare. C’è un’ipotesi in cui queste due convergono ed è l’ipotesi della successione testamentaria a titolo particolare che è il legato. Se la parte muore e sulla base del testamento aveva fatto un legato specifico affare un soggetto abbiamo la successione nel processo e anche l’acquisto a titolo particolare. L’erede dovrà prendere il posto del morto, e una volta che il processo sarà tra attore ed erede avremo lo stesso caso dell’art 111, perché l’erede litiga per la posizione del legatario quando interviene il legatario l’erede può essere estromesso. 18.03.19 lezione 9 Il giudice e la giurisdizione In italia la giustizia civile è amministrata da 4 tipi di organi giudiziari 1. Giudice di pace 2. Tribunale 3. Corte d’appello 4. Corte di cassazione A mano a mano che si va in su gli organi si restringono di numero: recenti riforme hanno ridotto ancora il numero degli uffici di giudice di pace e dei tribunali. Ridotti per razionalizzare ed economizzare l’amministrazione della giustizia civile. Si tratta di organi giudiziari, e dobbiamo tenere distinto il magistrato 27 Un esempio nel quale la cc ritiene che il condizionamento fosse contrario alla costituzione è quello del condizionamento pecuniario. Per rivolgersi ai giudici l’attore deve pagare un tributo, che si chiama contributo unificato (arriva a 3\4.000 €). Se si inizia una causa senza che l’attore abbia pagato la causa procede comunque, perché il pagamento della tassa risponde ad un lontano aspetto dall’amministrazione della giustizia: non si può condizionare il. Processo al fatto che la parte abbia pagato la tassa dovuta, il processo può andare avanti. Limiti con la PA e i giudici speciali LE POSIZIONI soggettive del singolo rispetto alla PA possono essere divise in tre: • Diritto soggettivo • Interesse legittimo • Interesse di mero fatto L’ordinamento riconosce un diritto soggettivo quando la pretesa è assoluta, incondizionata e illimitata (diritto di riavere indietro la soma prestata a mutuo) L’interesse legittimo c’è quando l’ordinamento riconosce al cittadino una posizione di vantaggio che implica che gli enti pubblici svolgano una determinata attività: chi è titolare di un notereste legittimo benché miri ad un determinato risultato ha la garanzia che la PA operi correttamente nell’amministrare l’interesse del privato. Parlando dei giudici abbiamo parlato del concorso: la finalità è diventare giudice, ma non ho il diritto soggettivo di diventarlo, perché questo mio interesse è commisurato all’interesse della PA a selezionare i più bravi. La mia pretesa non è fammi diventar giudice, ma che tutte le operazioni di concorso debbano essere svolte secondo correttezza. Se non diventiamo giudici non abbiamo una pretesa violata. C’è una garanzia strumentale L’interesse di mero fatto lo abbiamo quando la finalità del cittadino è al livello del mero desiderio: non è garantita né assolutamente né strumentalmente. Non hanno tutela giurisdizionale, vengono curati dalla PA nella sua discrezionalità e il privato che desidererebbe qualcosa non ha una pretesa, le altre due posizioni sono tendenzialmente così articolate: i diritti soggettivi si fanno valere davanti al giudice, invece gli interessi legittimi sfanno valere dal giudice amministrativo (tar consiglio di stato e cassazione). La distinzione tra questi è una distinzione spesso molto difficile per ragioni di semplicità il legislatore attribuisce intere materie alla giurisdizione per materia, e non si distingue tra interesse legittimo o diritto soggettivo: è la giurisdizione per materie. Se il giudice civile si rende conto che viene fatto valere dinanzi al lui un interesse di metro fatto dinnanzi al quale non c’è giurisdizione perché lo cura la PA deve dichiararsi privo di giurisdizione perché la faccenda appartenne all’amministrazione. Se si rende contro che dinnanzi al lui si fanno valere questioni di interesse legittimo o materie che non gli appartengono deve dichiarare che non ha giurisdizione. In un caso c’è la PA per gli interessi semplici, per gli interessi legittimi allora c’è la giurisdizione amministrativa. Il perché ci siano due livelli di amministrazione è legata alla storia dell’ordinamento italiano. Limite con i giudici stranieri Il terzo confine non si riferisce ai giudici della PA, ma si riferisce al fatto che esistono altri stati e la giurisdizione potrebbe appartenere ad uno stato diverso. Le regole sono contenute non nel cpc ma un una legge speciale che è la 218 del 1995 (legge di diritto internazionale privato processuale) e nell’ambito dell’UE in un regolamento 1215 del 2012. La legge 218 regola i rapporti tra giurisdizione italiane a qualsiasi stato del mondo il regolamento si occupa degli stati europei. Criteri di collegamento esclusivi e concorrenti. Il criterio di collegamento è la norma che dice a quale giurisdizione appartenga una determinata controversia, alla giurisdizione di quale stato spetti una determinata controversia. Se questo criterio è unico allora la giurisdizione è esclusiva: data una controversia Se questi criteri sono plurimi allora abbiamo un fenomeno di giurisdizione concorrente: ci sono più stati i cui giudici hanno il potere di decidere la controversia. Quando è concorrente (ci sono più stati) la scelta è riammessa all’attore quando inizia la causa. Il criterio fondamentale di attribuzione della giurisdizione nei rapporti con altri stati è quello del c.d. ‘Foro del convenuto’: si guarda dove il convenuto risiede o ha domicilio. Si badi che la nazionalità dell’attore o convenuto non ha più nessun rilievo: possono essere convenuti in italia coloro che vuoi che l’attore sia italiano o meno, vuoi che il convenuto sia o no italiano coloro che hanno il domicilio o la residenza in Italia. Si usa adire il giudice del luogo in cui il convenuto è più vicino. A questo criterio principale se ne deve aggiungere un altro per l’ipotesi in cui residenza e domicilio siano sconosciuti: si fa riferimento alla dimora (luogo in cui in un certo momento il soggetto si trova a stare), se anche la dimora è sconosciuta si fa riferimento al luogo di residenza dell’attore: il riferimento all’attore che è colui che scomoda è fatto in 3° battuta rispetto al convenuto che è stato scomodato. 30 Per le cause che hanno da oggetto obbligazione aggiungono altri criteri per: • Per le obbligazioni che sorgono da contratto l’attore può scegliere il luogo deve è sottra l’obbligazione e il luogo dove l’obbligazione deve asserte adempiuta • Per le obbligazioni da fatto illecito opera il luogo dove si è verificato l’evento dannoso. • Per i contratti che il legislatore ritiene caratterizzati dalla debolezza economica di una parte rispetto all’arte (contratti di lavoro subordinato, del consumatore e di assicurazione) c’è un altro criterio esclusivo (che mette da parte tutti gli altri criteri) che è il luogo dove la parte debole ha residenza o domicilio. Alcuni amici hanno un incidente in Francia con un francese che è assicurato da una compagnia francese: la giurisdizione è italiana se le persone fanno causa direttamente all’assicurazione. • Su tutti questi criteri opera trasversalmente il criterio della scelta selle parti. Se le parti esplicitamente scelgono la giurisdizione italiana i giudici italiani possono decidere sulla controversia, anche se la controversia non ha nulla di italiano. Si noti che il contrario: il patto di esclusine della giurisdizione italiana per essere valido deve essere dotato di determinate caratteristiche: forma scritta e non è efficace se non ha ad oggetto diritti indisponibili. Tra i rapporti con giudici italiani e giudici stranieri ci chiediamo se il difetto di giurisdizione che pena che la giurisdizione non gli appartenga sia rilevabile d’ufficio o solo su istanza del convenuto (se il convenuto non protesta il giudice italiano non può ritenersi privo di giurisdizione) non esiste una questione rilevabile solo s’ufficio. Nei rapporti tra giudici italiani e stranieri il giudice può occuparsi anche d’ufficio della giurisdizione in tre casi: • Convenuto contumace • Se esiste una norma che esclude espressamente la giurisdizione italiana (norma di legge. Di regolamento europeo ma anche di trattato internazionale) • Se l’azione spesa in giudizio è un’azione che a ad oggetto diritti reali relativi ad immobili situati all’estero. Se invece il convenuto partecipa attivamente solo il convenuto può contestare il difetto di giurisdizione, ma il convenuto per contestare utilmente il difetto di giurisdizione lo deve fare nel suo primo atto difensivo. Lo stato italiano accetta di decidere controversie anche se non sono collegate alla giurisdizione italiana se c’è accordo tra le parti: siamo noi contro il prof, noi ci difendiamo e non contestiamo nel primo atto difensivo che il giudice italiano è privo di giurisdizione, e facendo così è come se dicessimo che la giurisdizione italiana ci sta bene. Tutto per fatti concludenti. Basta fare la contestazione nel primo atto difensivo, anche se è fatto a metà del processo. Quando nonostante il convenuto si è costituito e non ha detto nulla il giudice si occupa d’ufficio del difetto di giurisdizione? Quando ò’azione attiene ad un diritto reale (non c’è accodo che tenga perché la giurisdizione non è italiana) e quando c’è una legge che esclude la competenza italiane. Per un contratto cuculino fuori dai confini io convengo in giudicio voi che siamo portoghesi e residuiamo in Spagna, ma l’azione non riguarda diritti reali di immobili all’estero e non c’è nessuna legge che lo vieta se noi siamo contumaci il giudice lo può rilevare d’ufficio ma se non ci costituiamo dobbiamo decidere cosa fare e se non diciamo nulla tacitamente accettiamo la giurisdizione italiana 19.03.19 lezione 10 Giurisdizione e competenza Il difetto di giurisdizione rispetto al giudice straniero è rilevabile anche d’ufficio. Lo stesso problema si pone riguardo ai limiti rigirarlo alla PA e riguardo ai giudici speciali (tar, consiglio di stato, Corte dei conti) La norma del codice art 37 dice che il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo: anche in grado d’appello o cassazione anche per la prima volta il giudice può dichiararsi privo di giurisdizione, nel codice del 40 la questione di giurisdizione ha una valenza molto importante tale da consentire il rilievo durante il processo. Rispetto a questa regola da una decina d’anni. La cassazione ha operato una interpretazione restrittiva che è stata criticata ma è tesa a depotenziarle il peso della giurisdizione. In sostanza la cassazione ritene che il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio solo in 1 grado, dopo è rilevabile non più d’ufficio ma solo se l’appellante o il ricorrente per cassazione eccepisce il difetto di giurisdizione. Come ragiona la cassazione: motiva l’orientamento (rappresentanza uno dei casi più eclatanti di lettura se non contralegem ma preterlegem: al di la della legge) se il giudice di primo grado è munito di giurisdizione e la decide nel merito e le parti non impugnano la sentenza facendo valere il difetto di giurisdizione sulla parte di sentenza che ha affermato la giurisdizione che non è stat impugnata si forma 31 una sorte di giudicato: stira il concetto di giudicato perché avevamo detto che la cosa giudicata scende non sulle pronunce processuali come sarebbe questa, ma su quelle di merito. La cassazione ogni tanto chiama questo fenomeno ‘preclusione endoprocessuale’ decisa la questione di giurisdizione in promo grado se le parti non se nel lamentano sulla questione scende una spera di preclusività. Il passo ulteriore è che se il giudice di primo grano non si pronuncia espressamente ma decide la Casula nel merito la decidono nel merito implica l’affermazione della giurisdizione. Può il giudice decidere nel merito se non ha la giurisdizione? No, perché è intrinsecamente contraddittorie. Quando il giudice decide nel merito afferma la sua giurisdizione implicitamente. La questione può essere presa dal giudice dell’appello solo se è fatta valere da una delle parti. Passaggio interiore cass: sentenza molto recente a sezioni unite è ottobre 2016 21260, in cui si chiede: l’attore che perde nel merito perché ha scelto la giurisdizione italiana può appellare la sentenza sostenendo che il giudice italiano a cui si è rivolto è privo di giurisdizione? L’interesse l’attore ce l’ha perché se ottenesse dal giudice d’appello una dichiarazione di difetto di giurisdizione otterrebbe una decisone nel merito annullata, però c’è qualcosa di bizzarro in questo perché sceglie un giudice si vede dar torto e si lamenta con il giudice d’appello che la giurisdizione non c’è c’è un antico canone che è nemo contra fa sub proprio pentire poter: non ci si può pentire di un comportamento da lui stesso sentito, in virtù di questo si stabilisce che l’eccezione di difetto di giurisdizione non la può sollevare l’attore ma solo convenuto. Fino al 2009 cosa accadeva quando il giudice si dichiarava privo di giurisdizione (su tutti e 3 i confini) dichiarava il difetto di giurisdizione e se ci fosse stato un altro giudice in Italia o all’estero idoneo a decidere la controversia avrebbe dovuto essere iniziata una causa nuova dinnanzi all’altro giudice. Il prof tanti anni fa per esaminare questa norma usa una parabola che è: io salgo con l’ascensore fino al 20esimo piano busso in una porta del pianerottolo po’ a sinistre e il giudice dice che è sbagliata, quella giusta è quella di fianco, e fino al 2009 io dovevo scendere e poi risalire e andare alla porta giusta: non c’era comunicazione tra giurisdizioni diverse. Quando ci si rivolge ai giudici amministrativi per ottenere l’annullamento di un atto della PA l’azione ha un termine di decadenza molto breve, 60 GG, immaginiamo un atto che ci nuoce ma io penso di far valere un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, e se fino al 2009 il GHO mi diceva di non essere competente devolvevo andare al TAR, ma ci mettevo molto più di 60 gg, e quando mi sentivo dire il difetto di giurisdizione era troppo tardi perché anche se la giurisdizione è giusta il termine è decorso. Il bravo avvocato quando ne valeva la pena (la posta del contendere era alta) proponeva 32 cause diverse: una al TAR e una al GO. Preceduta di poco da una sentenza della CC e un'altra delle sezioni unite il legislatore cambia la regola. Con l’art 59 della legge 69\2009 dice che quando un giudice italiano si dichiara provo di giurisdizione in favore di un altro giudice italiano non deve limitarsi a negare la propria giurisdizione ma deve indicare il giudice che a suo giudizio è idoneo se nei 3 mesi successivi la parte si rivolge al nuovo giudice indicato nella sentenza che nega la giurisdizione questo non è un nuovo processo ma è la continuazione dello stesso processo che trasla da una giurisdizione all’altra: il processo allora è iniziato non quando si adisce il secondo giudice ma quando si fa la prima domanda. Questo meccanismo che si trova ance nella competenza è detto alla latina translatio iudicii. Si badi bene che questo meccanismo di trans latino non funzione se il giudice italiano è privo di giurisdizione perché ritiene che la posizione soggettiva sia una posizione di interesse di mero fatto: in questo caso non c’è un potere decisorio di una Elio giudice ma il privato è soggetto al potere esecutivo e non si può trasferire perché il potere esecutivo non esercita giurisdizione ma compie atti autoritativi. Questo meccanismo funziona anche nei rapporti tra giudici di stati diversi? All’interno dell’UE si potrebbe dite che funzioni, ma invece no, al momento il trasferimento internazionale non esiste: non è previsto dai regolamenti europei. La translatio vale a tutto campo, anche per i giudici amministrativi e GO e tra giudici amministrativi diversi (da TAR a Corte dei conti). Il giudice davanti al quale il processo è riassunto potrebbe ritenersi a sua volta privo di giurisdizione, e appartenendo al un’altra giurisdizione non è vincolato dalla decisione del primo giudice: il GC dice che la sentenza ce l’ha il tar con sentenza, ma il tar non è vincolato a questa sentenza. Il secondo giudice potrebbe essere libero di negare la sua giurisdizione, sia perché ritiene che il primo giudice abbia sbagliato o che il giudice competente è ancora un altro. Ma se si consentisse al secondo giudice di dichiarare il difetto di giurisdizione ci sarebbe un diniego di giustizia preoccupante: l’attore non ha garanzia di giustizia, come se ne esce? Non si può negare al secondo giudice il potere di dichiararsi provo di giurisdizione, ma non può dichiarare il difetto di giurisdizione ma deve investire della questione la corte di cassazione. Essa è organo di vertice anche rispetto agli altri ordini giurisdizionale. Dal tar si appella al consiglio di stato e poi c’è la cassazione romana, che ha il compito di determinare i rapporti tra le varie giurisdizioni ex art 65 cost. Se il secondo giudice si ritene privo di competenza allora investe della questione la cassazione che darà la parola definitiva. In ogni caso anche dopo la pronuncia della cassazione se le parti riprendono il processo entro 3 mesi dalla pronuncia è sempre lo stesso processo che procede. Questo dialogo tra 2 giudice e cassazione prende il nome di ‘regolamento di giurisdizione d’ufficio’: si dice d’ufficio perché la cassazione è investita 32 5000 euro, da 5000 euro in su è competente il tribunale a meno che avessimo individuato una competenza del giudice di pace per materie indipendentemente dal valore. Inoltre, nelle cause da risarcimento del danno connesso a circolazione stradale il giudice di pace è competente fino a 20000 euro, e se la causa petendi è fondata su queso il limite da 5000 diventa 20000. Questo ‘sfavore del giudice di pace’ è un giudice onorario, non è un giudice professionale assunto tramite concorso Come si determina la competenza? Dalla domanda dell’attore, si guarda a come ha agito l’attore, e se io per un sinistro stradale che m ha graffiato il parafango della moto chiedo 100 mila euro, indipendente dalla fondatezza: siamo fuori dai limiti del giudice di pace e la domanda va posta al tribunale, perché è astrattamente oltre il valore di confine del giudice di pace. Per le obbligazioni che hanno ad oggetto somme di denaro si somma al capitale gli interessi e le spese sostenute fino al momento della domanda. Competenza per valore e materia: Giudice di pace • Cause relative ai beni mobili che hanno un valore inferiore di 5000 euro • Cause di risarcimento per sinistro stradale entro i 20000 euro • Cause relative ad apposizione di termini ed osservanza Tribunale • Cause di valore indeterminabile • Cause in materia di tasse e imposte • Cause concernenti lo stato e la capacità delle persone • Quella di falso ed esecuzione forzata Ipotesi che l’attorie formula nei conforti del contenuto può domante Il valore delle domande si somma ai fini della competenza. L’art 104 del cpc consente che nello stesso processo si formulino dall’attore nei ceroni del convenuto più domande anche tra loro non connesse. Quando abbiamo parlato della riconvenzionale avevamo detto che deve essere legata, ma quando l’iniziativa è dell’attore non devono essere connesse le domande, purché si rispetti la sommatoria. La regola è strana, se noi dobbiamo al prof 4000 euro a mutuo e 3000 come locazione se agisco separatamente faccio due cause da giudice di pace, ma se le faccio insieme devo andare dal tribunale. Questa regola non è molto ragionevole perché dovrebbero mantenere il loro valore le cause. Questo è il caso di cumulo incondizionato di domande: le domande possono essere accolte tutte, indipendentemente le une dalle altre. Abbiamo altre due figure di cumulo condizionato: • Proprio: quello in cui le 2 domande non possono essere accolte entrambe, perché in questo caso vengono poste in alternativa • Improprio: quello in cui le domande sono legate tra loro ma in un modo in cui è possibile accoglierle entrambe Condizionato proprio io sono l’ingegnere che ha fatto un progetto per il comune ma non viene pagato e allora formulo due domande: condanna a pagare il corrispettivo o rifondere l’arricchimento senza causa. Non possono essere accolte entrambe, o l’una o l’altra: accolta la prima, o la seconda o respinte entrambe Condizionato improprio: pronuncia della risoluzione del contratto e condanna a restituire la prestazione già eseguita: la seconda può essere accolta solo se è accolta la prima. Con cumulo condizionato proprio il valore delle due domande non si somma: si prende il valore della domanda più alta: se io chiedo un corrispettivo di 7 e in subordine un arricchimento senza causa di 3 considero quello di 7. Nel secondo caso le due domande vanno sommate. In sostanza quando il cumulo è condizionato le domande si sommano solo se possono essere accolte entrambe altrimenti guardo la domanda più alta 20.03.19 lezione 11 35 Regole per individuare La competenza (ieri abbiamo visto quelle per competenza e per valore, che individuano in verticale l’organo competente) il valore o la materia si determinano sulla base della domanda. A questa regola generale fa eccezione una sola noma contenuta nell’art 14 che fa riferimento alle cause che hanno per oggetto cose mobili diverse dal denaro. Per individuare il valore della cosa (per capire se siamo o meno sotti i 5000) si guarda anche l’atteggiamento del convenuto: se contesta o meno nella sua prima difesa il valore indicato dall’attore. L’attore si rivolge al tribunale per una cosa mobile che vale 7000 euro, e se il convenuto non contesta nella prima udienza viene ritenuto effettivo ai fini della competenza e ai fini della decisione di merito. (Quindi si radica la competenza dinnanzi al tribunale). Se il convenuto nella sua prima difesa contesta il valore il giudice sulla base di quello che risulta dagli atti determina il valore effettivo. Si parla della rivendica di una bici usata non da corsa, l’attore dice che la bici vale 8000 euro e il convenuto contesta che invece al più vale 300: questo fa si che il giudice non possa basarsi solo su cosa dice l’attore. Questa regola non vale per gli immobili o le somme di denaro. Se l’attore agisce per un risarcimento da 20000 euro la circostanza per cui si rileva che il valore sia inferiore non incide sulla competenza verticale. Bene mobile che non è denaro Attore dice che la cosa vale 7000 Convenuto tace Il giudice si basa su cosa dice l’attore e la competenza è del tribunale Bene mobile che non è denaro Attore dice che la cosa vale 7000 Convenuto nel primo atto difensivo dice che vale 300 Il giudice si deve basare su quello che dicono entrambi e la cosa deve essere valutata Bene mobile che è denaro Attore dice che ha diritto al rinascimento di 20000 Ininfluente la posizione del convenuto Il giudice competente è il tribunale, anche se poi il risarcimento risulta inferiore a 5000 Competenza orizzontale: Riguarda la localizzazione territoriale. I criteri di collegamento sono gli stessi che abbiamo visto per la giurisdizione di altri stati: per una sorta di bon ton verso il convento il primo criterio è che la competenza si radica dove ha residenza o domicilio il convenuto. Se non si conosce la residenza o il domicilio ma si conosce la dimora si può fare riferimento alla dimora. Se anche la dimora è sconosciuta si fa riferimento alla residenza dell’attore. Allo stesso modo che per la giurisdizione c’è poi un criterio concorrente: da la facoltà all’attore di sceglie il giudice più comodo è il criterio concorrente delle obbligazioni sorte in un certo luogo o dove essa deve essere adempiuto. Si tenga conto che il luogo di adempimento obbligazione spesso genera una competenza territoriale molto favorevole all’attore. Se prendiamo l’art 1182 che ci dice dove le obbligazioni devono esser adempiute troviamo una regola moto importane: le obbligazioni che hanno ad oggetto somme liquide di denaro si adempiono presso il domicilio del creditore. Egli quindi può scegliere il luogo di adempimento dell’obbligazione che è il suo domicilio essendo il creditore l’attore. Obbligazioni aventi ad oggetto una somma liquida di denaro sono quelle in cui l’ammontare della prestazione è fin dalla nascita dell’obbligazione determinato o determinabile. Noi dobbiamo pagare 100 mila euro per una compravendita: è una somma liquida, e anche l’interesse è liquido perché è determinabile. Se prendiamo le obbligazioni risarcitorie esse non sono liquide, perché quando si verificava il danno l’obbligazione va determinata, e hindi non è immediatamente data. Noi siamo ad asti e il prof è a Torino agisce contro di noi per un risarcimento: il criterio favorevole al prof non gioca perché la somma non è liquida e non si applica l’art 1182, se invece fosse una somma liquida potrebbe scegliere torino. Altrimenti può sceglie il luogo dove l’obbligazione è sorta: SE IL fatto ILLECITO SI VERIFICA A MONZA ALLORA sarà COMPETENTE IL tribunale DI MOZA. Criterio 1 Criterio 2 36 Residenza\domicilio convenuto Luogo in cui sorge l’obbligazione Dimora convenuto Luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta Nel caso di una obbligazione pecuniaria che ha ad oggetto una somma liquida (determinata o determinabile l’adempimento è da effettuarsi presso il domicilio dell’attore) Residenza attore Esiste poi una pluralità di criteri di collegamento speciali: operano per determinate controversie. 1. FORO PER LE CAUSE EREDITARIE le cause ereditarie sono quelle che attengono alla successione di un determinato soggetto. Sono di competenza esclusiva del luogo dove si è aperta la successione, che è il luogo in cui il decuius aveva l’ultimo domicilio. Se il de cuius risiedeva a Milano la competenza è quella e gli atri criteri non valgono, competenza è esclusiva. Se poi la successione si apre all’estero e la giurisdizione è italiana non si può fare riferimento al luogo dell’aperta successione, e allora se la successione si è aperta all’estero si applica il criterio madre: residenza o domicilio del convenuto 2. CAUSE CHE HANNO AD OGGETTO DIRITTI REALI SU IMMOBILI sono di competenza territoriale del luogo dove si trova l’immobile: si pensa che sia necessario fare accertamenti sull’immobile e la competenza deve essere il più vicino possibile 3. ART 30 BIS: CAUSE IN CUI SONO PARTI MAGISTRATI. Non si tratta necessariamente della reso civile dei giudici nell’esercizio delle funzioni, sono cause civili, anche un giudice per i suoi affari può avere una causa. L’art 30 bis vuole garantire la serenità di giudicio ai giudici che dovranno esprimersi su un loro collega: si vuole evitare che la causa finisca ad un giudice che appartiene allo stesso organo applicando i criteri ordinari, il codice non vuole che questo accada. Si pensa che tra colleghi ci possa essere un favoritismo. La causa finisce al tribunale o al giudice di pace del capoluogo di distretto di corte d’appello individuato sulla base dell’art 11 del codice di procedura penale: questo articolo si riferisce ad una tabella territoriale in cui per ogni corte d’appello (1 per regione) la corte d’appello più vicina: è una mappa circolare, se si deve fare la causa a torino si guarda la mappa che rinvia a Genova. Il criterio che informa questa tabella non è proprio quella della vicinanza, perché ci sarebbero delle reciprocità, è una catena che non torna indietro questa. Cause ereditarie Luogo in cui si è aperta la successione che è il luogo dove il de cuius ha avuto l’ultimo domicilio Cause che hanno ad oggetto beni immobili Luogo in cui l’immobile sorge Cause dei giudici Articolo 11 cpp C’è quindi una differenza tra quei fori che sono generali (ovvero criterio di residenza del convenuto) che si applicano sempre, ma poi in presenza di alcune tipologie di causa indicate dal codice è possibile applicare dei criteri speciali Accordi sulla competenza Gli articoli 28 e seguenti consentono accordi sulla competenza territoriale (non quella per valore o materia) le parti prima del processo per iscritto e con accordo che ha ad oggetto affari determinati consentono una deroga alle regole territoriali. È tipico dei contratti di serie avere questa tipologia di deroga, che individua il tribunale più comodo al soggetto che prepara le condizioni generali del contratto. Se c’è il valido accordo di deroga (affari determinati e patto scritto) il tribunale individuato dalle parti si aggiunge come concorrente ed elettivo agli atri criteri: diventa un foro ulteriormente optabile. Se le parti nel fare questo accordo vogliono che il criterio da loro individuato funzioni come criterio esclusivo lo devono dire espressamente, in questo caso il luogo scelto diventa l’unico. Il quadro è Il contratto non Criterio 1 Criterio 2 Non c’è previsione 37 Se riguarda solo la competenza la pronuncia è un’ordinanza, ma se si riferisce ad entrambe la forma della decisione è la sentenza. La motivazione è che l’ordinanza ha una motivazione più succinta è semplice, e allora il legislatore pensa che non ci si debba dilungare troppo e allora si usa l’ordinanza. L’impugnazione di queste decisioni trova un mezzo particolare: regolamento di competenza. Esso è un vero e proprio mezzo di impugnazione, e presuppone una pronuncia sulla competenza della quale una delle due parti si duole. Teniamo conto del fatto che se la decisione ha anche in ‘pezzo di merito’ allora la decisione di merito non ha a che fare sulla competenza e quindi essa è soggetta al mezzo ordinario di impugnazione che in primo grado è l’appello. Si sta parlando di impugnazioni. Il reg. di Compi è caratterizzato per essere deciso dalla cassazione direttamente, e si distingue in: • Necessario • Facoltativo Quando la decisione è solo sulla competenza il regolamento di competenza è necessario: è l’unico mezzo per attaccare questa decisione. In questo caso la forma è l’ordinanza: quando la decisione è resa con ordinanza l’unico modo di impugnazione è rivolgersi alla cassazione con questo strumento, che lavora sugli scritti difensivi delle parti. Se invece la decisione è stata resa con sentenza il discorso si complica: se la parte soccombente (che vuole attaccare la sentenza) vuole attaccare solo sulla parte (il pezzo) che ha pronunciato sulla competenza deve usare il regolamento. Se vuole attaccare la parte che riguarda il merito deve usare il mezzo ordinario di impugnazione. Se vuole attaccare entrambi? Il legislatore dice che per farlo può usare per tutti e due il mezzo ordinario di impugnazione, in primo grado sarebbe l’appello. Il quadro generale è interessante dal punto di vista dell’interesse all’impugnazione (è una scheggia dell’interesse ad agire, e lo è chi spera di ottenere un risultato meglio di prima). Abbiamo un ordinanza che pronuncia sulla sola competenza: l’ordinanza dice ‘sono competente, ma non decido ancora nel merito’ questa ordinanza da chi sarà impugnabile? Non dall’attore che è quello che ha scelto il giudice che si ritiene competente, potrà criticare la decisione il convenuto, che può ottenere il risultato che il processo davanti a quel giudice non può andare avanti per il merito. Qui l’unico ad essere legittimato per il regolamento di competenza è il convento. Viceversa, in caso di incompetenza l’unico legittimato sarebbe l’attore. Nel caso della sentenza che cumula la competenza con la decisione di merito (può essere solo quando c’è la competenza positiva) a questo punto abbiamo 2 alternative: 1. Sono competente e ha ragione l’attore 2. Sono competente e ha ragione il convenuto Per la prima questione l’interessato ad impugnare non è l’attore che ha vinto sulla competenza e nel merito, l’unico interessato è il convenuto, che ha tre chances: A. Attacco solo la competenza -> regolamento B. Attacco solo il merito -> impugnazione ordinaria C. Attacco tutti e 2 i versanti -> impugnazione ordinaria Nel secondo caso: qui chi è interessato ad impugnare? È l’attore che non può attaccare il capo della competenza perché si è detto d’accordo con lui perché ha la competenza, ma può attaccare solo il merito, e allora deve usare l’appello. Ma potremmo chiederci che il convenuto che ha ragione nel merito non può attaccare la competenza, su cui ha avuto toro? No, perché ha avuto la vittoria nel merito che in base ai discorsi sul giudicato da un vantaggio inoppugnabile che non hanno le pronunce processuali, se potesse criticare la competenza si auto lesionerebbe, perché poi se la competenza non c’è cadrebbe la sua vittoria nel merito. Allora si può dire che non possa perché manca l’interesse. Una volta che l’attore ha impugnato (si rivolge al giudice d’appello) in questo momento sorge forse un’interesse del convenuto ad attaccare il capo sulla competenza? SI POTREBBE DIRE NO, perché FINO A CHE LA CORTE D’APPELLO NON SI pronuncia LA COSA NON CABIA. MA SI PUO ANCHE DIRE CHE L’INTERESSE AD ATTACCARE IL CAPO SULLA COMPETENZA PUO DIVENTARE UN INTERESSE CONDIZIONATO: perché il convenuto può rischiare di perdere nel merito in appello, e di fronte a questo rischio gli può convenire far abbattere la competenza sulla questione di primo grado: se ottiene la dichiarazione di incompetenza crolla tutto, perché la vittoria può essere incrinata dall’appello avversario. Questo il legislatore lo consente, perché in questo caso sorge l’interesse. Proposto il regolamento di competenza dal convenuto il giudice d’appello è bloccato fino a che non si pronuncia la cassazione. I termini per il reg.comp. sono 30 gg dalla comunicazione della decisione della competenza, ma se la controparte impugna allora il termine viene prorogato tino a 30 gg dall’altri impugnazione. 40 Si spende il regolamento di competenza quando il convenuto preferisce abbattere la sua vittoria in rito piuttosto che rischiare una sconfitta di merito che deriverebbe dall’appello. Incompetente È un ordinanza e il regolamento di competenze è necessario La legittimazione spetta all’attore Competente ma no pronuncia merito È un ordinanza e il regolamento di competenza è necessario La legittimazione spetta al convenuto Competente + pronuncia merito In favore dell’attore Competenza: reg.comp. Convenuto Merito: impugnazione, convenuto Entrambi: impugnazione, convenuto In favore del convenuto Competenza: l’attore non può, ma potrebbe il convenuto nel caso in cui l’attore impugni nel merito, e allora propone un reg.comp Merito: attore impugnazione ordinaria Entrambi: ? Casi in cui il giudice non deve decidere sulla competenza Non sempre il giudice deve decidere sulla sua competenza: quando la competenza per territorio è derogabile il legislatore costruisce un meccanismo che solleva il giudice dalla necessità di decidere. Se il convenuto contesta la competenza del giudice indicando chi sarebbe competente l’attore può aderire alla indicazione del convenuto, e se lo fa (dice che è vero quello che dice il convenuto) SI VERIFICA UN ACCORDO PROCESSUALE SULLA COMPETENZA, e siccome siamo in un caso di derogabilità è come se le parti avessero pattuito in corso di processo la competenza per territorio. Esattamente come abbiamo visto per la giurisdizione quando si ha una dichiarazione di incompetenza o nel caso visto sopra il giudice chiude la causa davanti a sé e indica il giudice competente dinnanzi al quale le parti in 3 mesi possono riassumere la causa. La translatio iudicii funziona a tutto campo nel settore della competenza. Non pone fine al processo considerato nel suo complesso, perché se la parte riassume il processo nei 3 mesi dinnanzi al giudice competente il processo è lo stesso che continua, gli effetti della domanda restano ancorati al primo atto introduttivo. Iniziò la causa davanti al giudice territorialmente incompetente per un valore di 4999 € e mi rivolgo al giudice di pace, il giudice di pace è territorialmente incompetente, la causa viene riassunta dinnanzi al giudice di pace competente. Nel momento della riassunzione la causa non vale più 4999 € ma vale 5010 euro, è rilevante questo fatto? NO, IL MOMENTO RILEVANTE è IL PRIMO, perché è IL PROCESSO CHE PROSEGUE E L’ATTO RILEVANTE è IL PRIMO. Cosa succede se il secondo giudice si ritiene incompetente? Se il secondo giudice si ritiene incompetente per valore o territorio il suo pensiero non rileva, è agganciato dalla decisione del primo. Il primo si dichiara incompetente per valore e la rimette al secondo giudice lui non ci può fare nulla. Ma se il secondo giudice si ritiene incompetente per materia o territorio inderogabile non può dichiararsi incompetente, ma deve investire la corte di cassazione con il regolamento di competenza d’ufficio. Ripasso sui regolamenti che abbiamo conosciuti: sono tutte meccaniche che portano alla cassazione, ma ne abbiamo una sola che è un mezzo di impugnazione, ed è il regolamento di competenze, quello con cui si attacca la decisione del giudice sulla competenza. Ne abbiamo un altro che è su istanza di parte ma non è un mezzo di impugnazione, ed è il regolamento preventivo di giurisdizione. È la parte che si rivolge alla cassazione e lo fa in via preventiva, ovvero prima che ci sia la decisione del giudice. Ci sono 2 forme di regolamento d’ufficio (non attivato dalle parti e non mezzo impugnazione) che sono simili: il regolamento di giurisdizione d’ufficio, che si ha quando a seguito di translatio il secondo giudice non si ritiene nella giurisdizione e nel ramo della competenza abbiamo il regolamento di competenza d’ufficio, quando il giudice davanti al quale si riassume la causa si ritene incompetente per materia o per territorio, perché se si ritiene incompetente per valore la sua valutazione è irrilevante. Giurisdizione Preventivo Non è un mezzo di impugnazione È azionato dalle parti che si rivolgono direttamente alla cassazione quando non 41 è ancora pronunciata la sentenza D’ufficio Non è un mezzo di impugnazione È azionato dal secondo giudice Competenza Da parte delle parti È un mezzo di impugnazione È azionato dalle parti quando la pronuncia del giudice riguarda la sola competenza D’ufficio Non è un mezzo di impugnazione È azionato dal secondo giudice Quando la pronuncia di competenza è del giudice di pace il regolamento di competenza come mezzo di impugnazione non opera: quando il giudice di pace si dichiara competente, incompetente, competente con la decisione di merito comunque l’unico strumento di attacco è l’appello non il regolamento, ma anche di fronte alle sentenze del giudice di pace opera il regolamento di competenza d’ufficio. Cioè se c’è la translatio iudicii e il secondo giudice è un giudice di pace che si ritene incompetente per materia o per territorio inderogabile può comunque ricorrere al regolamento di competenza. Competenza: regole tecniche Consideriamo delle norme dedicate alla competenza che si riferiscono a cause non isolatamente considerarle ma tra loro cumulate. Accertamento incidentale Art 34 dedicato alle questioni pregiudiziali: quando abbiamo parlato dei limiti del giudicato abbiamo detto che la cosa giudicata si estende non solo alla specifica domanda ma anche a tutti quegli aspetti del medesimo rapporto giuridico nel quale il rapporto si inscrive. Il giudicato non si estende a quelle questioni pregiudiziali che fanno riferimento ad un rapporto giuridico diverso. Questo articolo prende in considerazione il caso in cui sul rapporto pregiudiziale diverso si debba decidere con efficacia piena e non meramente incidentale, e questo avviene in 2 casi: 1. Con espressa domanda di parte che chiede al giudice di decidere il rapporto pregiudiziale 2. Quando la decisone con efficacia di giudicato è imposta dalla legge Sul primo caso: qualsiasi domanda deve essere sorretta dalla legittimazione ad agire: possibile questo solo se la parte che lo chiede ha interesse + legittimazione Molto più incerti sono i casi in cui è la legge ad imporre che ci sia una pronuncia piena. L’unico fenomeno sul quale si concorda che la legge richieda espressamente la pronuncia di efficaci di giudicato è nel caso di matrimonio. Tra le ipotesi di nullità del matrimonio c’è il matrimonio del bigamo, che non può contrarre un secondo matrimonio, il primo matrimonio deve essere sciolto. È possibile che nell’azione di nullità del bigamo il bigamo dica che il matrimonio è il secondo, ma il primo è nullo: se il primo è nullo il secondo non ha impedimento da bigamia. L’art 124 cc dice che se viene opposta la nullità del primo matrimonio tale questione deve essere preventivamente giudicata: non si può decidere solo in via incidentale la validità del primo matrimonio: bisogna vedere quale dei due è il matrimonio valido. Al di la di questo momento di certezza dottrina e giurisprudenza dubitano. Quello su cui la giurisprudenza Ritiene che ci sia necessità di decisione piena è quella di tutte le azioni di stato (quelle sulla filiazione, adozione, matrimonio) si ritiene che si debba accertare il rapporto pregiudiziale. In una causa per alimenti si solleva la questione sulla filiazione secondo i la giurisprudenza bisogno decidere pienamente su questa questione. Se la cognizione pregiudiziale è incidentale non c’è problema di competenza: il giudice della principale è competente incidentalmente sulle pregiudiziali Se la decisione sulla pregiudiziale deve essere piena la decisione ha un nuovo oggetto: allora la competenza si determina dall’insieme delle due domande. Io chiedo ritenendo di essere figlio di Sempronio gli alimenti per un ammontare annuale di 4000 euro: competenza giudice di pace, se dobbiamo accertare con efficacia piena sul rapporto di filiazione, siccome le azioni di stato sono sempre di competenza del tribunale tutto il blocco va a finire al tribunale. Per il risarcimento del danno da circolazione stradale da 15000 euro è competente il giudice di pace, se ci chiediamo se il convenuto è il proprietario della Maserati da 2000000€ RIMANE COMPETENTE IL GIUDICE DI PACE SE LA COSA viene decisa incidentalmente, ma se la domanda fosse piena allora la competenza spetta al tribunale. si applicano le regole della translatio. Presupposti dell’art 34 Se la causa pregiudiziale appartiene alla competenza Se la causa pregiudiziale esorbita dalla competenza 42 indipendentemente dalla verifica della competenza, deve constatare le due cause pendenti rispetto alla medesima azione La regola ex art 273 è che se le due cause pendono dinnanzi al medesimo ufficio giudiziario. La regola è diversa: la seconda e la prima si riuniscono perché l’organo giudiziario è lo stesso Continenza Continenza: è quando una causa contiene in sé l’altra. In una causa chiedo una condanna al capitale e nell’altra chiedo la condanna al capitale + interessi, altrimenti possiamo avere una continenza per il petitum immediato: il provvedimento chiesto al giudice come nel caso di condanna (accertamento + ordine) la giurisprudenza allarga la nozione e ritiene in rapporto di continenza anche le cause fondate sul medesimo rapporto contrattuale e tra loro contrapposte. I 2 insiemi si intersecano. La regola della continenza: il 2 giudice deve dichiararsi incompetente in favore del primo, ma viene in rilievo la competenza: se il 2 giudice è quello competente per valore allora la dichiarazione di incompetenza non riguarda il 2 ma il primo, esempio: mi rivolgo al giudice di pace per condannare voi a pagare 4999 € poi chiedo gli interessi e chiedo al tribunale 4999 + 1000 euro di interessi. Il secondo giudice è quello competente, e in questo caso il tribunale non potrebbe dichiararsi incompetente in favore del giudice di pace. I casi di continenza possono essere due: 1. Uguale soggetto e uguale causa petendi ma il Petitum è differente, e rimane per certi versi come l’unico diritto dedotto in giudizio 2. Altro caso può essere che come nucleo comune ci sia un solo rapporto fondamentale e poi la causa 1 e 2 vadano in due direzioni differenti Connessione Connessione: casi in cui le cause proposte a giudici diversi hanno in comune il petitum o le cause petendi: le ipotesi di connessione sono quelle che abbiamo visto prima (31, 32,34,35,36) in questo caso dobbiamo immaginare che siano connesse ma dinnanzi a giudici diversi. La connessione può essere rilevata solo fino alla prima udienza e comporta che il secondo giudice se la connessione viene eccepita deve rimettere la causa al primo: gioca il criterio della prevenzione. Ma se il 1 è il giudice di pace e il 2 è il tribunale prevale il tribunale comunque. In caso di connessione se vengono in rilievo giudici diversi prevale comunque il tribunale, perché prevale quello più alto; se i giudici sono sempre gli stessi invece prevale il giudice adito per primo. Le cause plurime possono essere proposte nello stesso processo o dall’attore che formula due domande o dal convenuto che formula la riconvenzionale, se sono proposte con la chiamata in garanzia il processo è uno. Se i processi sono plurimi il legislatore tende a favorire la connessione, perché se hanno dei tratti comuni risponde ad esigenze di economia processuale. Quando si tratta di guardare quale causa è entrata per prima si deve guardare o alla notifica o alla citazione. L’incompetenza è rilevabile anche d’ufficio non oltre la prima udienza in primo grado: se si cerca la prima udienza e non è stata rilevata né dalle parti che dal giudice allora bom. L’incompetenza per territori semplice deve essere eccepita dal convenuto nel primo atto difensivo. Il convenuto che in questo caso eccepisce l’incompetenza deve indicare il giudice che ritiene competere, perché se l’attore acconsente a quello che dice il convenuto diventa un accordo endoprocessuale che diviene vincolante. Il giudice deve chiudere il processo e partono i 3 mesi per riassumente la causa dinnanzi al giudice definito competente. Imparzialità del giudice Distinzione tra indipendenza e imparzialità- l’indipendenza riguarda la libertà del giudice rispetto agli altri poteri dello stato giudici solo soggetti alla legge- L’imparzialità ha riferimento alla posizione del giudice inteso come singolo magistrato rispetto alla causa che deve decidere. Gli art 51 e ss. mirano a garantire non solo che il giudice sia davvero in una posizione di imparzialità ma che appaia in una posizione tale. Non è solo sussistenza effettiva ma anche questione di immagine. Il sistema del processo civile prevede che ci siano delle ipotesi tassative non essenziali come interpretazione analogica ad astenersi. Il giudice in questi casi deve ritirarsi, e poi ci sono ipotesi di astensione facoltativa. Nei casi tassativi di astensione se il giudice non si astiene può essere ricusato dalle parti: le parti possono chiedere che il giudice venga rimosso dall’incarico di decidere Nei casi facoltativi le parti non hanno potere- 45 Questo elenco ex art 51 fa riferimento a 3 categorie: • Legame di parentela o coniugio o convivenza o amicizia forte o odio profondo verso le parti o i difensori: sono rapporti personali • Il giudice si è già occupato della controversia in un precedente stato di giudizio o ha inciso sulla lite come avvocato • Rapporti di interesse all’esito del processo: il giudice è in stato di astensione obbligatorio se ha interesse al modo in cui la causa viene decisa, gli arriva un vantaggio indiretto questa regola dell’interesse viene estesa al caso in cui il giudice non ha interesse nella stessa causa ma una causa anche vertente sulla medesima questione di diritto È il caso in cui il giudice decidendo in un certo modo farebbe un precederei La ricusazione ha un singolare paradosso: se viene ricusato un giudice e la ricusazione viene respinta, ovvero che si ritiene che non ci siano le ragioni per la ricusazioni il giudice che è stato ricusato se prima della ricusazione era davvero imparziale dopo che è stato un po’ di risentimento ce l’ha: paradosso perché se dessimo credito a questo sentimento sgradevole che sorge dopo la ricusazione dovremmo dire che basta ricusare anche a vuoto per generare nel ricusato quello stato di inimicizia che prima non c’era e ora si crea, ma allora si potrebbe ricusare chiunque solo per generare quello stato di inimicizia, e se ritentiamo che questo sia irrilevante diamo per scontato che la ricusazione respinta possa generare questa inimicizia. La regola su chi decide sulla ricusazione è un collegio di giudici dello stesso organo giudiziario del giudice ricusato. Nel caso del giudice di pace non decide un collegio di altri giudici di pace decide il presidente del tribunale. Il provvedimento sulla ricusazione non è impugnabile. Non c’è un secondo grado, non c’è un giudizio successivo, il magistrato viene scelto da chi giudica sulla ricusazione e se è respinta tutto torna come prima. Astensione facoltativa. Il giudice può scegliere di astenersi in casi in cui esistono gravi ragioni di inconveniente: è una decisone finale sull’astensione non del giudice in questione ma del capo dell’ufficio dell’organo 26.03.19 lezione 13 Imparzialità del giudice Sulla ricusazione decide un collegio di giudici appartenenti allo stesso organo salvo il giudice di pace che è deciso dal presidente del tribunale. La decisione sulla ricusazione non è impugnabile. Si può impugnare la sentenza di un giudice che si ritiene essere stato parziale facendo valere la situazione che il giudice si trova in una situazione di astensione obbligatoria? La parte soccombente può impugnare la sentenza se ha proposto l’istanza di ricusazione respinta, se la ricusazione non è stata nemmeno proposta la sentenza non può essere attaccata. Quindi è vero che la decisone sulla ricusazione non è impugnabile, ma la sentenza può essere impugnata se la ricusazione è stata respinta facendo valere la parzialità del giudice. Solo un ipotesi in cui indipendentemente Dalla proposizione della ricusazione la sentenza è impugnabile: è il caso in cui il giudice ha interesse alla causa. A proposito del giudice interessato ci agganciamo con l’argomento dell’intervento: l’intervento è quando un soggetto che non è parte può diventarlo se c’è connessione tra la domanda che intende proporre e quella del processo in corso. Il giudice interessato è il giudice che pur non essendo parte si trova in una situazione in cui sarebbe possibile il suo intervento. I termini per proporre la ricusazione sono molto ridotti: • se le parti sono a conoscenza della persona del giudice hanno non oltre 2 giorni dalla prima udienza • se le parti non sono già a conoscenza dell’identità del giudice allora hanno tempo dino a prima dell’inizio della trattazione o della discussione dal rilievo che i termini per la ricusazione del giudice sono così brevi capiamo che l’interesse che la norma sulla imparzialità del giudice tutela è il diritto delle partii a non farsi giudicare da n giudice che potrebbe non essere sereno e soprattutto evitare che il giudice sia costretto a prendere decisioni in posizioni scomode. Questo è l’obbiettivo della norma, e non tanto l’interesse pubblico all’imparzialità. L’art 52 del codice prevede che la proposizione della ricusazione sospenda il processo automaticamente, la giurisprudenza però da un po’ di anni ritiene che la sospensione non sia automatica ma rimessa alla valutazione della probabilità della fondatezza dell’istanza di ricusazione. Le norme che nell’organo individuano il singolo magistrato (norme di assegnazione delle cause nell’ufficio) non sono rilevanti nel processo salvo che attraverso queste norme la causa vada a finire dinnanzi ad un giudice parziale, che impongono le norme sull’astensione e ricusazione Quindi si può aggiungere che: il giudice ha un obbligo di decidere, ed è questo un obbligo che è penalmente assistito, quindi si considera che l’insieme delle regole che sono dettate in materia di astensione e ricusazione 46 costituisca un regime derogatorio a questo obbligo. È per questo che c’è un soggetto terzo che è chiamato a decidere nei casi di astensione facoltativa e ricusazione. Responsabilità civile del magistrato Legge 27\02\18 Nell’impianto del codice del 40 il giudice rispondeva civilmente (risarcimento da parte del giudice che opera male) collegata alle resp. Civile a fattispecie penali: le norme parlavano di dolo, frode, concussione, diniego di giustizia. La responsabilità era confinata in limiti molto ristretti. Nel 1987 ci fu un referendum che face cadere queste norme: la responsabilità sarebbe stata assoggettata a quella dei pubblici dipendenti. L’art 28 cost dice che quando si reca danno a qualcuno nell’esercizio dei pubblici poteri risponde lo stato e ovviamente anche il funzionario. Dopo il referendum il legislatore introduce la legge 17 1988 che regola la resp Civile dei magistrati, e questa viene ritoccata nel 2015. Ora come ora la resp civile magistrati è più ristretta rispetto a quella generale e degli altri esercenti una pubblica funzione. La particolarità che più salta all’occhio è che l’azione risarcitoria del cittadino che si ritene danneggiato da un atto del magistrato non può essere proposta direttamente nei confronti della persona fisica, ma agisce vs lo stato (come ente dal quale il magistrato dipende o esercita le sue funzioni) il magistrato non è mai convenibile direttamente in giudizio, e se vuole al massimo può intervenire, la decisone di partecipare al giudizio è rimessa solo alla volontà del magistrato. Allora ci si chiede se il magistrato rispetto al cuoi operato viene convenuto lo stato si trova in una posizione di ricusabilità rispetto a tutte le cause che in cui siamo imputati? Per quello che sappiamo il giudice che ha interesse nella causa e si trova in sistemazione di ricusabilità dovremmo dire di si. Nonostante questo aggancio la giurisprudenza ha sempre ritenuto che l’essere ritenuti civilmente responsabili non rende il giudice ricusabile e non impone la sua astensione obbligatoria. La ragione principale è che si vuole evitare è che attraverso un’azione risarcitoria infondata la parte ottenga il vantaggio di liberarsi di un giudice sgradito. Una volta che viene proposta l’azione risarcitoria contro lo stato, lo stato ha un obbligo di rivalsa nei confronti del magistrato con un limite che è tutto sommato non eccessivo, il magistrato risponde fino ad un massimo della metà del suo stipendio annuale. Le principali fattispecie di responsabilità civile: 1. Se il giudice ricostruisce il fatto in modo macroscopicamente sbagliato: non basta che il giudice nel valutare le prove abbia fatto una valutazione on gradita alle parti, è necessario che il giudice con negligenza inescusabile abbia dato per esistente un fatto non accaduto o viceversa. ‘Certamente’ significa fatto che le prove assunte rivelano come accaduto 2. Il giudice è signore di interpretare le norme ma non deve andare incontro ad errori grossolani 3. Diniego di giustizia: è il caso del giudice che non provvede, vedremo che il cpc è anche intessuto di una griglia di termini (cadenze temporali che implicano che le cosa debbano essere fatte in un certo momento) mentre i termini posti per l’attività delle parti funzionano in modo pesante (se una parte lascia decorrere il termine decade) i termini posti per l’attività del giudice non hanno sanzioni processuali. Tuttavia, il provvedimento tardivo può esporre il giudice a responsabilità: scaduto il termine la parte che vuole citare il giudice per inerzia deve proporre al giudice un’istanza formale affinché provveda. Il giudice a questo punto deve provvedere nei 30 gg successivi, se poi ancora non provvede allora risponde del suo ritardo, a meno che si proroghi questo termine fino ad un massimo di 6 mesi per ragioni di carattere organizzativo. Se il giudice nonostante l’istanza non provvede nei 30 gg successivi scatta l’omissione di atti d’ufficio (fattispecie penale). Il grosso limite a far valere la resp del giudice è che non si può chiedere il risarcimento se la parte che ha subito danno avrebbe potuto impugnare il provvedimento e non lo ha fatto: l’azione risarcitoria è residuale rispetto all’impugnazione, ovviamente questo argine (prima impugna e poi chiede il risarcimento) non può operare per il diniego di giustizia: finché il giudice non provvede non si può impugnare. Il tribunale competente? Art 30 bis cpc che dice che in tutte le volte in cui è parte un magistrato il processo si sposta alla sede individuata dalla tabella dell’art 11. Questa stessa catena vale per la responsabilità civile del giudice. Se però il comportamento del magistrato concreta una fattispecie penalmente rilevante (tipo corruzione) allora gli argini dell’azione risarcitoria si rompono: se concreta reato: 1. Il magistrato può essere convenuto direttamente in giudizio 2. Il limite risarcitorio non opera più: difronte al reato il patrimonio del magistrato è totalmente esposto Anche i giudici popolari rispondono per errori, ma rispondo in imiti più ristretti: per dolo o per colpa gravissima. 47 ‘risibile’ sconfina nell’offesa. Quando ci sono espressioni offensive la parte che si ritiene lesa può chiedere al giudice di espungere un certo atto dal verbale. Il difensore nel processo civile opera attraverso la ‘procura alle liti’ evoca il concetto di procura che è l’atto con cui un soggetto incarica un altro di rappresentarlo. Quando l’avvocato fa un mero lavoro di assistenza (dà parere, interviene in un occasione particolare) l’incarico viene dato con libertà di forma. Altrimenti procura alle liti che 1. Conferita in forma scritta 2. Autenticazione della firma del cliente: qualcuno deve attestare che la sottoscrizione proviene da un certo soggetto identificato. Il principale autenticatore è il notaio nell’ordinamento italiano. L’avvocato non ha poteri di autenticazione, ma se la procura è costruita non come atto autonomo ma è nell’ambito di un atto processuale allora eccezionalmente l’autenticazione della forma del cliente può essere fatta dallo stesso avvocato. La forma dell’art 83 è che l’avvocato può autenticare la procura apposta in calce o in margine ad un atto processuale. ‘Calce e margine’ riferiscono all’accessorietà di questa procura, si trova nell’atto di citazione e in calce (in fondo) c’è la procura alla lite. In ‘margine’ significa che nei fogli protocollo si scrive sul margine di questo foglio, anche questo è un elemento di accessorietà. Se la procura è sganciata allora ci vuole il notaio. La procura si distingue in: • Speciale • Generale: non ha limiti perché si può conferire per qualsiasi futura ed eventuale controversia. Una banca si fida particolarmente di settimino e allora gli fa un procura generale che gli conferisce il potere di rappresentarlo sempre. Ovviamente la procura data in calce o in margine è speciale, perché accede ad un atto processuale. La procura speciale si presume conferita per un solo grado a meno che le parti non abbiano deciso di farla durare di più. La procura per ricorso in cassazione deve essere necessariamente speciale: deve essere data per uno specifico procedimento in cassazione. La procura generale non può prendere il giudizio di cassazione, questo perché ci vuole un avvocato abilitato alle giurisdizioni superiori, ma anche perché cista la delicatezza di questo giudizio si vuole una dichiarazione mirata effettiva e concreta. L’avvocato può fare tutto quanto è necessario per la miglior difesa del diritto fatto valere in giudizio o la miglior resistenza all’altrui azione. L’avvocato non può compere atti che importano la disposizione del diritto in contesa: non può travalicare la difesa del diritto e comportarsi come titolare, non può conciliare o transigere la lite che importa una rinuncia e dunque una disposizione del diritto. Lo può fare solo se espressamente autorizzato: la clausola scritta nella procura gli conferisce in potere che non può essere negato. In riferimento alle impugnazioni vedremo che una preclusione è l’acquiescenza che è la dichiarazione con cui il perdente dichiara che non vuole impugnare la sentenza, ma l’avvocato può farlo e ha bisogno dell’autorizzazione. Il mandato difensivo è sempre rinunciabile dall’avocato o revocabile dal cliente. Il rapporto tra avvocato e cliente è governato dalla massima fiducia reciproca, e ognuna delle parti può recedere senza bisogno di motivazione, l’unica cosa che le norme dicono che l’avvocato non può rinunciare al mandato con tale imprevedibilità da mettere in difficoltà il cliente. Ovviamente fino a che l’avvocato presta la sua opera ance se revocato o rinuncia deve essere pagato per l’attività svolta: la rinuncia non ha effetto retroattivo. Però rinuncia e revoca sono governati dal principio dell’ultrattività della procure: nei confronti dell’altra parte e del giudice l’avvocato che ha rinunciato o revocato si considera ancora difensore rappresentante della parte fino a che non viene sostituito, questo per evitare che rinuncia o revoca venga fatta per mettere in difficoltà l’altra parte o il giudice. L’avvocato che rinuncia non è più obbligato a presenziare alle udienze, ma fino a che non viene sostituito il giudice può continuare a fare riferimento all’avvocato che ha rinunciato. Quando abbiamo parlato della rappresentanza processuale (incapaci, persone giuridiche) avevamo incontrato una norma di clemenza: se il giudice si rende conto che manca il giusto rappresentante, o l’assistenza di un curatore, il processo no è invalido il giudice che se ne rende conto lo segnala alla parte e se il difetto è sanato la sanatoria ha effetto retroattivo: la stessa cosa vale per l’incarico al difensore. Supponiamo una procura invalida, il giudice se ne avvede e invita la parte a sanare il vizio: se il vizio è sanato il rimedio ha effetto retroattivo. Riprendiamo la distinzione tra processi che iniziano con citazione (prima si notificano e poi si depositano) e quelli che iniziano con ricorso (prima si depositano e poi si notificano). Il momento del deposito che è quello dove avviene il contatto tra attore e giudice, che nei processi per citazione avviene per secondo, perché prima c’è la notifica, e nei recessi per ricorso avviene per primo, è detto ‘costituzione in giudizio’. Nei processi per 50 ricorso la costituzione in giudizio dell’attore c’è re forza, perché il processo non c’è fino a quando l’attore non si è costituito. Nei processi da citazione teoricamente la costituzione dell’attore potrebbe mancare: inizio con la citazione e poi l’attore non deposita la citazione in tribunale. La procura alle liti è necessario che ci sia non al momento dell’inizio del processo, ma al momento della costituzione in giudizio della parte, per cui nei processi da ricorso è necessario che al momento del deposito del ricorso la procura alle liti ci sia. Nei processi da ricorso non è necessario che nei processi da citazione non è necessario che al momento della notifica la procura alle liti ci sia, perché è sufficiente che arrivi prima del secondo momento che è il momento in cui l’attore deposita la citazione in giudizio e si costituisce. Quando questa norma (art 125) è stata coniata l’atto introduttivo tipico ed esclusivo era la citazione e si era voluto in quei tempi in cui la porta non era informatizzata che il soggetto che incarica l’avvocato di redigere l’atto di citazione nel suo interesse ma non ha ancora fatto in tempo and incontrarlo per conferire la procura alle liti, e l’avvocato la scrive ma non ha ancora la procura: è per questo che si fa in modo che basti che la procura arrivi in tempo per il momento in cui l’attore dovrà costituirsi in giudizio. Questo perché ci vuole un po’ di tempo per autenticare la firma della procura. Spese processuali Il processo che coinvolge avvocati, parti e amministrazione della giustizia include: • Imposte • Parcella avvocato. Si tratta di costi verso lo stato (imposte) sono convogliati nel ‘contributo unificato) l’attore quando si costituisce in giudizio deve pagare una somma allo stato: serve come blando corrispettivo per il servizio dello stato. Il corrispettivo è paramenti fatto: • Valore della causa • Grado di impugnazione • Cause esenti: materia di diritto di famiglia non hanno contributo di famiglia • Il soggetto che si avvale del patrocinio dello stato non lo paga Questa imposta non ha un valore esagerato, per quanto grande sia non si superano i 3.500 euro per quanto la causa possa valere in 1° grado. Se si sale di grado solitamente si raddoppia. Molto più cari sono i compensi dell’avvocato. In breve: le tariffe (il quantum) sono state liberalizzate (non ci sono più minimi e massimi imposti da legge, e c’erano perché i minimi erano a tutela della dignità della professione, e i massimi erano a tutela del cliente) per ragioni di liberalizzazione della concorrenza, si sono infranti questi limiti, tutto è affidato al mercato. Se però le parti non pattuiscono nulla esistono dei riferimenti possibili alla tariffa forense elaborata dal ministero della giustizia. È il prezziario dell’avvocato, è costruita sulla base di due coordinate: • Valore della causa • Tipologia di attività svolta (processo ordinario, cautelare ecc ecc) Per esempio, nel processo ordinario la tariffa scandisce 4 fasi: studio, introduzione (atto di citazione o compara di risposta) fase di istruzione, fase di decisione. Ognuna di queste fasi ha un valore che su una serie di elementi possono essere aumentati o ridotti. Anticipazione delle spese Bisogna distinguere tra anticipazione delle spese e carico finale delle spese. Anticipazione delle spese significa che a mano a mano che il processo procede la parte deve anticipare le spese che le fanno carico (contributo unificato parcelle avvocati) ma l’anticipazione delle spese è un carico provvisorio perché altrimenti il soggetto che si è visto dare ragione se dovesse tenere su di sé le spese che ha sostenuto otterrebbe una ragione ridotta. Altrimenti per una causa di 100 e anticipo 23, e il gioco quanto rende? 100-23. E allora siccome c’è un motto che dice che il processo deve dare a chi ha ragione tutto quello che gli spetta, le norme dicono che chi perde deve rimborsare le spese sostenute dall’altra parte. La sentenza di condanna sarà complessiva anche delle spese processuali. Una prima regola dice che non è dovuto rimborso per le spese eccessive o superflue. Tutti hanno diritto a difendersi con un avvocato, ma se il cliente è ansioso e non si fida e vuole avere 2 o 3 avvocati (collegi di difesa) ed è giusto che se vince la causa il soccombente si paga 3 avvocati? No, il soccombente ne paga uno, e nel ripagare si fa riferimento alla tariffa del ministro della giustizia. Se il valore medio della mia difesa è di 18 mila euro, ma io e voi abbiamo pattuito 36 mila, all’avvocato devono arrivare 36, ma il soccombente paga 51 18 all’attore, altrimenti si ribalta su un terzo un patto (quello tra il vincente e il suo avvocato) al quale lui è estraneo. Compensazione delle spese La regola della soccombenza trova una deroga non solo per le spese eccessive superflue, non solo una deroga se il vittorioso si comporta con slealtà, ma soprattutto trova una deroga nel potere del giudice di compensare le spese. Art 92 cpc: la compensazione qui è una non condanna alle spese: la parte che ha anticipato le spese anche se vince il perdente non è condannato a pagare le spese. La disciplina di compensazione ha avuto una disciplina sempre più restrittiva, ed è intervenuta la Corte costituzionale, Nella disciplina originaria la compensazione si faceva quando: 1. Soccombenza reciproca, e come ragione di compensazione delle spese è rimasta fin ora 2. Ogni volta che ricorrono giustificati motivi. Questa clausola è generalissima che lascia ai giudici una discrezionalità immensa. La cassazione in parte affermava che questa non richiedesse motivazione. Per esempio, nelle cause di lavoro in cui il lavoratore che si contrappone al datore di lavoro ha avuto la tradizione che se il lavoratore perde (siccome è la parte più debole) non lo si condanna al rimborso delle spese. Ma il legislatore vuole evitare di continuare così, e anche per limitare l’accesso alla giustizia compie diversi passi: 2.a. Il giudice compensa per giustificati motivi ma deve motivare il giusto motivo che lo induce a compensare 2.b. Necessario che ci siano gravi ed eccezionali ragioni di cui il giudice deve dare conto, la forma è vaga 2.c. Ultimo intervento: nel 2014 modicità dell’art 92 che cambia la seconda possibilità: novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza. Se per la prima volta si porta in giudizio una fattispecie normativa nuova può essere equo che chi inizia la causa e perde perché non è prevedibile la faccenda non sia condannato a pagare le spese. Il corso del mutamento di giurisprudenza riguarda cambiamenti grandi di interpretazione in corso di causa. I lavoratori ad esempio protestano, soprattutto i sindacato (CGL) trovano che una regola così costruita penalizzi eccessivamente il lavoratore, che magari non è ricco e non se se far valere la causa: se ha la minaccia che se perde non inizia più nessuna causa Proprio a torino la questione viene sollevata in una causa di impugnazione del licenziamento (che sono caratterizzate da un’inversione dell’onere della prova, il lavoratore deve solo raccontare che lavorava, è stato licenziato e che è stato licenziato per una certa ragione, e non deve provare che ragione fosse) immaginiamo un licenziamento per soppressione per tipo di lavoro: è il datore di lavoro che deve provarlo, l’onere della prova è suo. Immaginiamo un licenziamento per riduzione del personale, o per soppressione del tipo di lavoro: è il datore di lavoro che deve dimostrare che sussistano tali circostanze. È evidente che in queste cause il lavoratore parte dal buio: se il licenziamento fosse per giustificato motivo soggettivo il lavoratore lo sa, ma se il licenziamento è per un motivo oggettivo attinente alla struttura dell’azienda il lavoratore può non saperne nulla. Allora viene sollevata una doppia questione di illegittimità relativamente all’articolo 92: 1. Per cui si auspica che la CC dica che l’art 92 non può operare nelle cause di lavoro: gli avvocati della GCL vanno dalla consulta invocando quegli articoli della costituzione a difesa del lavoro e vogliono che se in generale il lavoratore perde la causa non può essere condannato a pagare le spese 2. Allargare le maglie del 92 in modo tale che sia possibile la compensazione non solo in caso di novità della questione o di mutamento della giurisprudenza, ma anche se ricorrono altre ipotesi assimilabili La cc si pronuncia il 19 aprile 2018 con la sentenza n 77 e come prevedibile scarte. La prima: non si può dire che sia incostituzionale il condannare al pagamento delle spese il lavoratore che perde il processo, ma accoglie la seconda e dice che il 92 è troppo restrittivo perché ci possono essere altre ipotesi (e quella del processo a quo è valida) in cui il processo va male e vede una parte sconfitta senza colpa e il giudice deve tenere conto di questo per la compensazione delle spese processuali. Per quanto riguarda le cause piccolissime in cui la parte può difendersi da sola ma si avvale di un avvocato e vince non può ottenere dalla controparte come spesa processuale non può avere una somma superiore del valore dato. Fino a 10 anni fa il vittorioso aveva diritto a ottenere un rimborso delle spese, ma certo la cosa mostruosa che un vinca e fosse condannato a pagare le spese al perdente non era prevista per nulla, ma invece da qualche anno le cose vanno diversamente in funzione del favore che il legislatore mostra per la conciliazione della lite, il legislatore all’art 91 ha in mente questo: il prof ci fa causa per 100 e noi diciamo che non gli dobbiamo nulla, e alla prima udienza il giudice ci convoca, e dice che secondo lui una buona soluzione sarebbe pagare 70 al prof (non è una sentenza) noi diciamo ok e lo paghiamo, e il prof magari dice no che vuole 100, e il suo diritto è sacrosanto, ma supponiamo che si facciano le prove e si arrivi a sentenza, e se la sentenza è di + 70 è tutto normale. Ma se la sentenza è < di 70 allora si può dire che se avesse accettato 52 2013 un corte di cassazione doveva partecipare. Indipendentemente da quello che era l’argomento. Mentre dinnanzi ai giudici di merito le procure sono state sempre disinteressate la procura di cassazione ha avuto sempre molto lavoro. Nel 2013 l’intervento non è più obbligatorio ma la procura interviene solo quando ritene che ci sia una questione di pubblico interesse. Quando diciamo che il PM è litisconsorte necessario quello che è importante è che il pM sia avvisato della lite e messa in condizione di partecipare. Quello che importa è che il pM sia convenuto in giudizio, se poi decide di stare silente o decide di costituirsi partecipando all’udienza è una questione diversa, ma poi la scelta di come agire è rimesso a lei solo. Le ipotesi dell’articolo 69 (quelle in cui il PM può essere titolare dell’azione) sono comunque in generale casi in cui il diritto o lo status è sottratto alla disponibilità delle parti, si tratta di questioni a rilevanza pubblicistica. Per quanto riguarda i casi in cui il PM può intervenire nel processo si rifanno ai casi in cui è possibili che le parti (data la rilevanza dei temi in questione) possano difendersi male o colludersi per ricevere un procedimento lato sensu in frode alla legge, quindi ha un certo potere di controllo rispetto all’operato delle pari. I poteri del PM Il potere che è riconosciuto al PM nell’abito del processo civile ha una differente estensione a seconda del fatto che egli sia o meno in una posizione ex art 69 (titolare del potere d’azione) oppure nei casi in cui egli è semplicemente legittimato ad intervenire. Nei casi invece in cui egli può semplicemente intervenire si deve ritenere che i suoi poteri siano molto meno estesi, infatti i suoi poteri potranno limitarsi alla ricerca della verità materiale, e infatti può portare documenti, produrre prove e prendere conclusioni nei soli limiti tracciati dalle domande delle parti. L’atto processuale e i termini Gli atti processuali sono analizzati dagli art 121 in avanti, fino alla fine del primo libro del codice. Il processo è costituito da una pluralità di atti, dall’atto iniziale che è quello in cui su propone la domanda e l’atto finale che è la sentenza. Tra questi due momenti ci sono moltissimi atti che compongono il processo di premio grado, stesso per le impugnazioni. Quando il codice si occupa di forma degli atti processuali si intende non forma come in diritto sostanziale che è scritta\orale\fatti concludenti, ma per il processo civile quando si parla di forma è forma- contenuto: le prescrizioni formali degli atti processuale ci dicono quale contenuto gli atti devono avere. Il principio fondamentale che governa questa disciplina è quello della libertà delle forme: o la legge dice che un contenuto deve avere una certa forma e dove la legge non dice nulla rileva il raggiungimento dello scopo. Lo scopo dell’atto qualifica il suo contenuto. Per quanto attiene la lingua del processo il codice dice che deve essere l’italiano e si può nominare un interprete, ma il problema è quello delle minoranze linguistiche e consentono di usare anche la lingua austriaca tedesca e francese. Fino a qualche anno fa parlando di forma e contenuto si dice va che l’atto deve rispondere all’esigenza e la difformità tra atto voluto e atto concerto era una difformità per carenza di elemento. Il vizio dell’atto era un atto a cui mancava qualcosa, ma con il diffondersi della scrittura informatica e con il diffondersi di un certo malcostume da 15 anni a questa parte cominciano a diffondersi atti mostruosi non per carenza ma per lungaggine, e questo perché l’avvocato ora ha a disposizione molte più informazioni. Si può chiamare difformità tra modello e atto non per carenza ma da sovrabbondanza. È una difformità che nuoce al giudice che è costretto a leggere atti molto lunghi, nuoce alla controparte perché è costretto a leggersele, in ottemperanza ad esempio all’onere di specifica contestazione, e la giurisprudenza comincia a convertirsi a questa visione: perché si contravviene lo scopo dell’atto. Il suo scopo è quello di esporre sinteticamente le ragioni delle parti Il legislatore nel 2013 in una legge dedicata al processo telematico inserisce l’art 16 bis in cui dice che gli atti processuali devono essere caratterizzati da sinteticità e chiarezza. Processo telematico da alcuni anni il processo civile è governato dalla necessitò di depositare gli atti non più materialmente ma telematica mente: inviandolo attraverso canali particolari a tribunali Provvedimenti del giudice: Hanno 3 forme: • Il decreto: è di solito previsto per provvedimenti estremamente semplici che normalmente non presuppongono il contraddittorio delle parti. Il decreto non è preceduto da un dibattito delle parti, è inaudita altera parte • L’ordinanza: La sentenza 55 presuppongono il contraddittorio preventivo, normalmente la senteNza ha una funzione decisoria e l’ordinanza serve a governare come andrà avanti il processo. La sentenza sono è mai revocabile da chi l’ha pronunciata, ma è solo impugnabile al contrario funziona l’ordinanza, che non è impugnabile ma è rivedibile. Se una parte si duole dell’ordinanza può chiedere al giudice che l’ha pronunciata di mutarla. L’art 177 dice che ci sono 3 casi in cui le ordinanze e non sono né revocabili né modificabili: 1. Quando le parti erano d’accordo su questa cosa come la deroga alla competenza territoriale 2. La legge dice espressamente che l’ordinanza non è revocabile e nemmeno modificabile, come quella della ricusazione 3. L’ordinanza per la quale la legge stabilisce un particolare mezzo di impugnazione Per orientare il giudice nel decidere se pronunciarsi con sentenza oppure con ordinanza vengono in rilievo 2 norme: art 187 e art 279, che ci dicono sostanzialmente che quando il giudice si trova difronte ad una questione idonea a definire il giudizio deve usare la sentenza, invece se non sono idonee a definire il giudizio deve usare l’ordinanza. Che cosa è una questione idonea a definire il giudizio? Ogni questione ha almeno 2 soluzioni, una questione idonea è tale se almeno una delle sue soluzioni porta a chiudere ovvero definire il giudizio. La questione invece on è idonea a definire il giudizio se nessuna delle sue soluzioni è idonea a portare a una decisione. Non commettiamo un errore facile da commettere: non è idonea a definire il giudizio la questione che comunque sia decisa definisce il giudizio, perché questa cosa non è vera: è idonea a definire il giudizio la questione che almeno in uno dei suoi versanti può definire il giudizio. Esempi: ▲ L’attore chiede di sentire 4 testimoni: su uno il convenuto protesta, perché è interessato al processo e mentirebbe, il giudice deve occuparsi di questa questione: è idonea a definire il giudizio? No, perché se lo sente non definisce nulla, ma se anche non lo sente non per questo chiude con questo atto. ▲ Si pone la questione di giurisdizione: è una questione idonea a definire il giudizio, perché se i giudici ritengono che la giurisdizione ci sia allora va bene, ma se manca allora su questa affermazione chiudono la causa con una sentenza meramente processuale. ▲ Il giudice cui si propone il ricorso fissa udienza il 13 maggio, ma uno degli avvocati è impedito nel partecipare, e si vuole spostare l’udienza, si chiede al giudice, sia che dica sì o non è una questione che chiude il giudizio ▲ Il convenuto eccepisce la prescrizione estintiva: la domanda proposta dall’attore è infondata perché è decorsa la prescrizione. Questa è una questione idonea a definire il giudizio. In questi casi si capisce quando si deve usare la sentenza. La volontà Gli atti del diritto civile sono governati dal dogma della volontà: la volontà dell’atto è essenziale per il funzionamento dei contrati, tanto è vero che se manca è un vizio. Non è così per il processo civile. Essendo che ha una certezza di affidamento della controparte indagare se l’atto proviene dalla volontà o no è tendenzialmente irrilevante, è rilevante il mero errore ostativo, e ci sono alcuni casi eccezionali in cui la volontà dell’affermazione è rilevante, come la confessione se è stata indotta da errore o estorta con violenza (vizi della volontà) Quando ci chiediamo se un atto processuale è difforme da quanto previsto dalla legge (carenza\sovrabbondanza) andiamo in contro a 3 gradi di rilevanza. • Irregolarità • Nullità dell’atto per difetto di forma o contenuto • Inesistenza dell’atto processuale Irregolarità e inesistenza sono categorie residuali. Il cuore delle norme è quella dedicata alla nullità. Sappiamo che l’atto civilisticamente invalido può essere o nullo o annullabile. Annullabile quando produce i suoi effetti ma può porvi fine la pronuncia di annullamento. La categoria della nullità processuale corrisponde all’annullabilità dal processo civile: l’atto nullo dispiega i suoi effetti fino a che la nullità non viene dichiarata. La categoria dell’inesistenza è omologabile alla nullità del diritto covile. Esso non produce effetti indipendentemente da una dichiarazione del giudice. Lezione 16 Irregolarità Atto irregolare quando si è difforme dal suo modello legale, ma la difformità non ha nessuna implicazione, può avere implicazioni sotto altri profili, ovvero sanzioni disciplinari del giudice che compie atti irregolari 56 Nullità Non impedisce all’atto di produrre effetti dino a che il finale dichiarando la nullità pone l’atto nel nulla. L’art 156 cpc si struttura in 3 commi: 1. La nullità non può essere pronunciata dal giudice se non è espressamente prevista dalla legge: tassatività testuale delle nullità. La norma specifica che regola un atto deve dichiarare se la forma dell’atto è foriera di nullità o meno I seguenti commi costituiscono una deroga al comma 1 2. Deroga parziale al primo comma: anche in mancanza di espressa comminatoria della legge l’atto può essere dichiarato nullo se è inidoneo a raggiungere il suo scopo. Parlando della forma avevamo detto che è costruita per le finalità che l’atto deve raggiungere: se il giudice rileva che la forma non è idonea al raggiungimento dello scopo lo deve dichiarare nulla. Questa valutazione è da compiere ex ante: anteriormente, ovvero senza vedere se lo scopo è raggiunto o no ma si deve vedere astrattamente. Come nel diritto penale i reati di pericolo prescindono dall’accadimento dannoso l’atto ipoteticamente nullo è un atto che si qualifica nullo perché lo si qualifica al momento del suo compimento 3. Valutazione ex post del raggiungimento dello scopo: l’atto è nullo perché la legge ne sancisce la nullità o manca dei requisiti idonei, ma di fatto l’atto ha raggiunto comunque il suo scopo. Esempio: notificazione degli atti. La notificazione è il procedimento attraverso cui il destinatario viene a conoscenza dell’atto. Le notificazioni hanno una serie di ipotesi che riguardano la consegna dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario. Queste regole che dicono che l’ufficiale deve cercare il destinatario presso una serie di luoghi o di persone (prima al domicilio, poi ai familiari.) sono tutte previste a pena di nullità, ovvero: se c’è la moglie in casa non si può fare la notifica al portinaio. Pensiamo all’ufficiale giudiziario che suona al campanello e non trova nessuno: lascia la notifica sullo zerbino, la notifica è nulla, ma può capitare che il destinatario lo trovi comunque, e concretamente può raggiungere il suo scopo, il destinatario così compie l’attività presupposta dall’atto. Questi principi sono riprodotti nella disciplina dell’atto introduttivo del processo. Quando un atto è nullo, la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice o richiede un’eccezione di parte? L’art 157 dice che se la legge non dispone il contrario le nullità sono rilevabili solo su eccezione di parti: la rilevabilità d’ufficio opera solo le la legge lo dice espressamente (è un’eccezione alla regole). L’eccezione di parte deve essere formulata nella prima udienza\difesa successiva al compimento dell’atto nullo. (Immediatezza dell’eccezione) In materia di eccezione di merito del convenuto (fatti estintivi, modificativi, impeti diti) abbiamo detto che all’art 112 questi fatti devono essere rilevati dal giudice d’ufficio: qui vale l’esatto contrario, il rilievo della nullità vale solo su istanza di parte. La nullità non può essere eccepita dal soggetto che ha dato causa alla nullità: l’autore dell’atto nullo non può dolersi della nullità cui ha dato corso. Ricorderemo che il soggetto che ha adito un giudice non può eccepire il difetto di giurisdizione o l’incompetenza. Solito principio dell’interesse ad agire: la nullità può essere fatta valere solo dalla parte che ne ha interesse. Ad esempio, un processo con due convenuti e se una nullità interessa uno solo dei convenuti, la nullità se non è rilevabile d’ufficio può essere fatta valere solo dal convenuto a cui fa riferimento la nullità. Nullità originaria e derivata Originaria: quando interessa l’atto carente dei requisiti voluti dalla legge, è una nullità propria dell’atto. Tutti gli atti che succedono e dipendono da quello nullo sono a loro volta nulli e sono detti affetti da nullità derivata. Sentiti 3 testimoni e nell’escutere i testimone B si compie una nullità, questa nullità riguarda la testimonianza di B e non quella di A e C (nullità originaria) Se una nullità colpisce la citazione essendo l’atto originario è evidente che la nullità dell’atto introduttivo coinvolge la nullità di tutti gli atti processuali successivi (nullità derivata). Una regola dell’art 162 che è l’ultimo del 1 libro del codice dice che quando il giudice dichiara la nullità dell’atto deve disporre per quanto possibile2 la rinnovazione. Fare si che l’atto nullo sia complotto senza incorrere nuovamente nella nullità: principio di tendenziale rinnovabilità dell’atto nullo. Il processo deve 57 2 Si intende che sono esclusi non i casi giuridicamente impossibili, ma materialmente impossibile. Conteggio dei termini: il principio base è che il giorno di partenza nn si conta, ma il giorno finale si dies a quo non computate in termino, dies a quem computantur in termino. Il termine ad esempio è di 7 gg per depositare uno scritto, l’ultimo giorno utile è (se oggi è il 2 e non si conta) il 9. Quando la legge deroga a questo sistema di conto lo fa attraverso la locuzione ‘giorni liberi’: significa che non si conta né il giorno iniziale né quello finale. Se il termine cade di domenica o altro giorno festivo è prorogato al primo giorno feriale successivo. La circostanza che all’interno del termine ci siano dei giorni festivi non sposta la decorrenza del termine. Il 23 dicembre il giudice assegna 7 gg per compiere l’atto, e il fatto che in mezzo ci sia natale e santo Stefano non vuole dire che il termine si sposti. Il sabato: non si sa come governarlo, è un giorno di chiusura per alcuni, altri hanno un presidio, la regola del sabato è una regola con due facce: se un termine scade di sabato è prorogato fino al lunedì successivo. Ma mentre l’atto in un giorno festivo non puo essere compiuto perché non c’è nessuno che lo potrebbe ricevere e si vuole consentire alle persone di stare tranquilli, il sabato se c’è il presidio può essere validamente compiuto. Se un termine scade di dimentica l’atto non può essere compiuto e si va a lunedì. I termini sono ordinari se seguono il decorso naturale del tempo: vanno in avanti. Sono ‘a ritroso’ se si contano in marcia contraria. ‘Atto che va fatto almeno 10 gg prima dell’udienza’. Durante l’estate dal 1 al 31 agosto i termini processuali sono sospesi: questo non per garantire le vacanze ai giudici ma per garantire le vacanze agli avvocati. L’ufficio giudiziario si organizza per essere aperto con i turni, e poi nel processo civile la violazione di un termine da parte del giudice non determina nullità. Ma può essere difficile per l’avvocato avere dei termini ad agosto. Tutti i termini sospesi che decorrono dal 29 luglio si va al 5 settembre. Non sono soggetti a termini quelli urgenti del processo cautelare, e quelli del processo del lavoro. Rimessione in termine. Qualsiasi termine consente di essere posto nel nulla se la parte dimostra di non aver potuto osservare per un fatto ad essa non imputabile. La forza maggiore e il caso fortuito sono cause di esonero da responsabilità già nel processo civile e diventano cause di esonero dall’atto quando non era possibile che la parte provvedesse. I casi sono moltissimi, come il coinvolgimento in un sinistro stradale senza mia colpa, oppure altri casi del genere, come la notte prima dell’ultimo giorno utile lo studio subisce un furto del PC. La giurisprudenza ritiene che la rimessione in termini, ovvero la possibilità di giovarsi della non imputabilità del ritardo, vale anche per i termini che precedono l’inizio del processo. Esistono molti casi in cui certe azioni giudiziali devono essere proposte a pena di decadenza, questi termini non sono termini processuali, non sono all’interno del processo, confinano da un lato con il processo ma in realtà sono ancora di diritto sostanziale, ma si ritiene che siano anche questi soggetti alla rimessione. Immaginiamo una norma processuale che prevede un termine che la giurisprudenza dominante interpreta in un certo modo: di fronte alla parziale ambiguità di un testo normativo la giurisprudenza dice che il termine è 10 gg, e nel caso specifico io compio questo atto il 10, ma in occasione di questo giudizio il giudice cambia interpretazione, e dice che il termine deve essere di 5 giorni (mutamento repentino di giurisprudenza). La mia attività è stata considerata tardiva ed è un caso di rimessione in termini? Si può addurre che ho violato il termine per una causa a me non imputabile ovvero per via di un mutamento della regola? La giurisprudenza ha detto che se il mutamento è davvero repentino il giudice può rimettere in termini la parte: ritenere che l’atto tardivo sia buono in quanto fondato sul precedente orientamento. (Prospecting overrulling). L’orientamento che ammette la remissione in termini per questa ragione dice che se rispetto all’interpretazione era possibile già prima dell’intervento chiarificatore più interpretazioni l’avvocato deve affiancassi alla linea di interpretazione più rassicurante 3.04.19 lezione 17 Processo in primo grado davanti al tribunale Fase introduttiva Atto di citazione e atto difensiva prima udienza e istruzione probatoria. Fase dedicata all’assunzione di prove che non sempre è necessaria, terminata la fase introduttiva c’è l’ultima fase che è detta decisoria Il modello del codice che seguiamo è quello del processo di primo grado davanti al tribunale in composizione collegale anche se prevalgono le controversie del tribunale monocratico e davanti al giudice di pace. 60 La disciplina che il codice detta per il processo monocratico dinnanzi al tribunale è una disciplina che potremmo definire standard, nel senso che è la disciplina base che funge da substrato alle altre discipline speciali, e ad essa si f riferimento in caso di lacune o incompletezze della disciplina speciale. Gli art iniziali del 2 libro del codice sono dedicati all’atto introduttivo che è l’atto di citazione, 163 e 163 bis che descrivono le caratteristiche e l’art 164 che disciplina la nullità dell’atto di citazione che applica i principi visti in tema di nullità. Il legislatore si preoccupa di disciplinare l’invalidità di questo atto perché essendo l’atto introduttivo le eventuali nullità di questo atto si ribaltano a cascata su tutti gli atti del processo L’art 163 individua la forma (la forma equivale a contenuto) dell’atto di citazione. Si distinguono in 2 classi: • Formulazione della domande: classe dell’editio actionis • Instaurazione del rapporto con il convenuto. Elementi della vocatio in ius. Tendenzialmente mentre i primi elementi interessano sia il giudice che il convenuto, quelli del secondo gruppo attengono al diritto di difesa L’atto di citazione è un atto che una volta perfezionato esce dalla sfera dell’attore attraverso la notifica al convenuto. La presa di contatto è prima con il convenuto poi con il giudice. Alla notifica si lega la litispendenza. Principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione: il problema che si era posto (notificazione di posta elettronica che tra la partenza e l’arrivo non ci mette molto tempi) era che se la notificazione è fatta in carta il problema è: le lentezze e disfunzioni organizzative del soggetto che deve consegnare l’atto devono andare a danno dell’attore? Si, la notifica di perfezione quando l’atto arriva al destinatario, ma questo significa caricare sull’attore la disfunzione dell’atto notificato. Allora si dice che quando l’attore ha un termine di decadenza entro cui proporre la domanda conta il momento nel quale ha dato avvio al procedimento di notifica. Per il destinatario conta il momento in cui riceve effettivamente l’atto: ecco perché si chiama scissione di notifica. Il momento iniziale del processo, la litispendenza, ha un’importanza notevole perché c’è tutta una serie di effetti che sono legati all’atto introduttivo. Per gli effetti processuali si rimanda alla pluralità di cause identiche o connesse, ha sempre un valore fondamentale il criterio della prevenzione: vedere che causa è iniziata per prima e per verificare questo si guarda al momento della litispendenza. Ma ci sono anche effetti sostanziali: interruzione della prescrizione, e da qualche anno a questa parte quando un credito matura interessi legali (che da quando l’inflazione è bassa sono irrisioni) questi interessi cambiano qualificazione e diventano interessi commerciali che hanno un tasso di interesse molto più alto. Infine, quando la lite ha per oggetto immobili le cui vicende circolatorie sono tracciate nei registi è possibile trascrivere la domanda solo nel momento in cui la causa è iniziata. Requisiti dell’editio actionis Elementi identificativi della domanda (parti, causa petendi, petitum mediato e immediato) questi elementi vanno indicati nell’atto di citazione, potremmo dire che nell’atto di citazione la causa petendi sta alla motivazione della sentenza, indicando perché io ho ragione auspico che il giudice se ne persuada, e il petitum starebbe invece al dispositivo Elementi della vocatio in ius La struttura del processo con atto di citazione è un’antico retaggio di una visione privatistica del processo, e vuole che l’attore indichi la data della prima udienza, la data viene fissata dall’attore: è come un appuntamento che l’attore fissa al convenuto di trovarsi davanti al giudice. Elemento essenziale della citazione attinente alla chiamata del convenuto è l’indicazione dell’udienza, che non è libera, perché nel 163 bis troviamo un termine dilatorio (che dicono che una certa cosa non su può fare prima di un tot di tempo) e il termine è di 90 gg liberi: la prima udienza non può essere fissata prima di 90 gg di quello in cui sarà notificata la citazione e si fa riferimento al termine soggettivo in cui la notificazione è data al convenuto. Ciò vuole dire che questi 90 gg non si computano né con il giorno iniziale né con il giorno finale se la notifica è fatta fuori dai confini nazionali il termine è di 150 gg. Sono termini molto ampi, quando parleremo del processo sommario i termini a comparite sono molto inferiori. Se teniamo conto che il convenuto per costituirsi in tempo deve farlo prima di 20 gg allora il tempo utile che gli rimane sono 70 gg in cui il convenuto deve trovare l’avvocato, raccogliere prove e documenti necessari e l’avvocato deve scrivere la difesa. I litiganti istituzionali (banche, enti pubblici, inali, imps) non hanno problemi, il cittadino ricevendo l’atto di citazione può essere più o meno spiazzato. Non c’è un termine massimo (perentorio) questo perché il codice ragiona nel senso che se l’attore non ha fretta va bene cosi, ma se il convenuto ha invece fretta può costituendosi (difendendosi) nei 90 gg dalla notifica chiedere al giudice di anticipare l’udienza: abbiamo una possibilità del convenuto di chiedere l’anticipazione. Nelle cause che richiedono ‘pronta spedizione il termine di comparizione è ridotto alla metà: 61 ci si rivolge prima al presidente del tribunale, gli si da una copia della citazione non ancora notificata e gli si Fanno presente le ragioni di urgenza e gli si chiede di restringere il termine e allora si può arrivare a 45 gg. Inoltre, dinnanzi al giudice di pace il termine di comparizione è ridotto della metà, per legge. È anche il giudice di pace può dimezzare il termine di 45 gg, e otteniamo 22 gg e 12 ore, e sono 22 o 23? Non è influente, ma è meglio 23 che 22 per il convenuto. Altro elemento della vocatio in ius è l’invito a comparire all’udienza. In oltre gli si dice che se vuole difendersi tempestivamente deve farlo depositando il duo scritto difensivo almeno 20 gg prima dell’udienza, con il monito che se non lo fa incorre in determinate decadenze, certe difese il convenuto può farle se le fa in una comparsa di risposta tempestivamente depositata, altrimenti si brucia certe chances. A firmare l’atto di citazione quando la parte può stare in giudizio personalmente lo fa la parte, ma quando la parte sta in giudizio necessariamente con il difensore tecnico la firma è dell’avvocato. La procura alle liti non è necessario che ci sia già in questo momento, ma può arrivare anche dopo ovvero quando l’attore si mette in contatto con il giudice. Non significa che l’atto di citazione lo firma la parte, ma semplicemente l’incarico fino a quel momento è stato verbale, la prova dell’incarico scritto può formarsi anche dopo. Quest’ora regola che consente che la procura alle liti arrivi dopo non vale quando la legge deve avere una procura speciale per il singolo processo: come l’incarico per la difesa in cassazione. Altro elemento della vocatio in ius è l’indicazione del tribunale dinnanzi al quale la domanda è proposta: se questa indicazione mancasse il convenuto non saprebbe dinnanzi a quale giudice costituirsi o comparire. tra i requisiti dell’atto di citazione l’art 163 dice anche che l’attore indica le prove di cui vuole avvalersi e i documenti che vuole depositare, prove e documento compongono gli elemento della fase istruttoria. La mancata indicazione delle prove non genera nessun tipo i di nullità, questo perché: 1. Non incide sugli elementi dell’editio actionis 2. Anche se l’attore non ha indicato le prove dell’atto introduttivo questo non impedisce di indicarle successivamente, non decade dalla possibilità di farlo. Vizi della citazione Art 164 cpc l’patteggiammo di fondo del legislatore è quello di ‘clemenza’ se la citazione ha dei vizi delle nullità queste non sono radicalmente sanzionatorie per l’attore, si da una chances all’attore di sanare l’atto (art 162 delle nullità: il giudice fin dove può chiede la ripetizione dell’atto). I vizi si possono sanare per tre ragioni: • Rinnovazione della citazione • Integrazione della citazione • Costituzione del convenuto (è una circostanza per cui il convenuto si difende) A volte la sanatoria è retroattiva (ex tunc) a volte non è retroattiva (ex nunc). Se manca uno dei requisiti della vocatio in ius, in oltre se non è rispettato il termine minimo di 90 gg l’atto di citazione è nullo, e bisogna vedere che cosa fa il convenuto: se si arriva all’udienza e alla prima udienza si constata che il convenuto si è comunque costituito nonostante il vizio la nullità è sanata, perché l’articolo 156 comma 3 dice che se lo scopo è comunque raggiunto dall’atto nullo la nullità non può essere dichiarata: la nullità non pregiudica le sue ragioni. Se si arriva alla prima udienza e il convenuto non si è costituito vuole dire che la nullità non è stata sanata per il raggiungimento dello scopo, e allora il giudice invita l’attore a rinnovare la citazione (sanatoria per rinnovazione) alla prima udienza c’è un colloquio tra giudice e attore e allora il giudice chiede di fare la citazione per la nuova udienza e introdurre il l’elemento che prima mancava. Se l’attore rinnova il vizio si sana e se il convenuto si costituisce il vizio si sana e in entrami i casi la sanatoria è retroattiva, lo dice la norma espressamente. Se l’attore non rinnova (la citazione era nulla, il convenuto non è costituito, il giudice lo invita a rinnovare e non seguire l’attore il consiglio) allora il processo muore con una pronuncia processuale di estinzione del processo (è il meccanismo che avevamo già visto per i processi litisconsortili) l’estinzione è una pronuncia meramente processuale l’azione è riproponibile in un successivo processo, non consuma il diritto all’azione Vizi dell’editio actionis Vizi dell’editio actionis, questi vizi sono vizi che non fanno capire esattamente quale domanda è stata proposta, perché nei vari elementi che compongono l’azione o sono stati omessi o sono incerti. Di fronte ad un vizio dell’editio actionis possiamo immaginare che la costituzione del convenuto sano un vizio? No, perché se non si capisce che cosa vuole l’attore non è la comparsa del convenuto a sanare il vizio e l’unico modo per sanare questo vizio è che sia l’attore ad integrare gli elementi lacunosi. Questa sanatoria può avere 2 modalità a seconda che il convento si sia costituito o no, perché se il convenuto non si è costituito bisogna rinnovare la citazione e notificarla di nuovo il convenuto. Ma se il convenuto si è già costituito si consente 62 1. Organizzativa dell’ufficio: ‘differimento automatico’. I tribunali e i giudici di pace sono organizzati in modo tale che alle prime udienze è dedicato un giorno della settimana, vengono tenute in un giorno tipo della settimana, e se il tribunale è articolato in sezioni ci sono accordi tra il presidente del tribunale e gli avvocati affinché non si rischi che tutte le prime udienze siano lo stesso giorno. Se l’attore indica un giorno in cui il giudice a cui la causa è stata assegnata non tiene le prime udienze, si intende automaticamente differita alla prima udienza utile in cui il giudice celebra le prime udienze, purché successiva. È automatico e non necessita di essere comunicato alle parti. 2. Organizzativa del singolo magistrato: Da una decina d’anni a questa parte si è permesso al singolo magistrato di organizzare da sé la distribuzione delle cause con suo provvedimento discrezionale, e differirà la data della prima udienza fino ad un massimo di 90 gg, non è automatico ma discrezionale, e questo proprio perché non è automatico ma discrezionale, deve essere notificato alle parti. In questo caso si dilatano anche i termini previsti per la costituzione delle parti Riassumendo l’iter è: 1. L’attore deposita l’atto di citazione presso la cancelleria, e in questa sede paga il contributo unificato, presenta un’apposita nota di iscrizione della causa nel ruolo generale che contiene l’indicazione delle parti, la data della notifica della citazione e dell’udienza fissata per la prima notificazione 2. Il cancelliere annota in ordine cronologico ogni causa e la causa assume un numero di ruolo che la contrassegna. Contestualmente a questo il cancelliere forma un fascicolo (secondo le disposizioni dell’art 36 disp.att) che è il fascicolo d’ufficio in cui sono inseriti la nota d’iscrizione a ruolo, una copia dell’atto di citazione e degli altri atti di parte, i verbali di udienza e tutto quello che seguirà 3. Dopo aver formato questo fascicolo il cancelliere lo deve presentare senza indugio al presidente del tribunale in modo tale che egli designi il giudice istruttore 4. Viene iscritta la causa a cura del cancelliere sul ruolo del giudice individuato al quale viene trasmesso il fascicolo. Nullità della citazione per difetto dell’editio actionis: si riprende la distinzione tra azioni autodeterminate e azioni eterodeterminate. Le prime sono tendenzialmente quelle dei diritti reali, in cui la domanda comprende indipendente dal fatto costitutivo, quelle eterodeterminate sono quelle in cui il fatto costituivo è necessario a fondare la pretesa. Se viene omesso nell’atto di citazione la descrizione della causa petendi (del fatto costitutivo) in una azione eterodeterminata questo vizio genera nullità perché non si capisce che diritto è, ma nelle azioni autodeterminate è diverso, non si crea la nullità perché si capisce l’azione che sto esercitando. 08.04.19lezione 18 Costituzione dell’attore, fin dalla notifica dell’atto di citazione attore e convenuto sono parti di un processo di cui l’ufficio giudiziario non sa nulla, ed è solo con la designazione del giudice istruttore e la fissazione della data effettiva della prima udienza, che può non coincidere con quella indicata dall’attore nell’atto di citazione (per uno slittamento automatico o per uno slittamento discrezionale del giudice che per organizzare meglio la propria attività differisce di ma 45 gg l’udienza dell’atto di citazione). L’attività di costituirsi in giudizio implica l’iscrizione a ruolo della causa, iscrizione della causa nel riuso del giudice di pace o tribunale. Il convenuto: L’atto iniziale con cui il convenuto manifesta le sue ragioni è la comparsa di risposta, che può avere un contenuto quanto mai variegato: il convenuto può contrastare in diritto quanto sostenuto dall’attore, contestare in fatto la verità delle circostanze addotte dall’attore (NB il principio di non contraddizione secondo cui si ritengono veri i fatti non contestati) Il convenuto può a sua volta indicare mezzi di prova e può fare 3 attività che solitamente si fanno nella comparsa di risponde, che o si fanno ora o mai più sono precluse. (Si tratta di attività che se non vengono inserite nella comparsa di risposta e che se la parte non si costituisce 20 gg prima della data fissata nell’atto di citazione sono precluse) 1. Formulazione di domande riconvenzionali 2. Eccezioni in senso stretto: non rilevabili d’ufficio dal giudice 3. Istanza di chiamare un terzo in causa. Tra le eccezioni in senso stretto ci sono non solo quello di merito (fatti estintivi…) ma anche eccezioni processuali che abbiamo già incontrato e vanno fatte in questa sede a pena di decadenza, come l’eccezione di incompetenza per territorio semplice (non particolare, ordinaria) e quando vene in rilievo un rapporto tra giudici italiani e giudici esteri. Tutte le altre eccezioni, di merito o processuali sono rilevabili anche d’ufficio dal giudice e non c’è una decadenza. Affinché la decadenza si eviti non è solo necessario che siano contenute nella comparsa di 65 risposta ma essa deve essere depositata tempestivamente ovvero se lo fa almeno 20 gg prima dell’udienza. Si badi che fino alla 1 udienza in cui c’è il colloquio tra giudice e parte il convenuto si può ancora costituire e se si costituisce il gg prima non sarà dichiarato contumace ma se non lo fa 20 gg prima decade da alcune prassi. Può anche non essere interessato alle 3 attività sopraindicate e non si costituisce prima di 20 gg perché non ha interesse in questo. Se il convento manifesta nella comparsa di risposta la volontà di ottenere l’intervento coattivo di un terzo, che non essendo ne attore ne convenuto non ha nessuna notizia del processo pendente, deve essere chiamato in giudizio, non è pensabile che venga lasciata l’udienza già fissata perché se il terzo venisse chiamato per l’udienza già fissata il termine che avrebbe il terzo sarebbe 20 gg minimo, il terzo ha diritto di avere lo stesso termine di 90 gg liberi o 150 gg liberi se la notifica deve avvenire all’estero. Allora quando il convenuto manifesta la volontà di chiamare un terzo il giudice deve differire l’udienza di un numero di gg sufficiente a chiamare il terzo in causa con un vero e proprio atto di citazione che ha la particolarità di non costituire un nuovo processo ma di aderire ad un altro processo. Se di fronte ad un istanza di chiamata in causa di un terzo il giudice è obbligato a differire l’udienza o ha il potere di valutare se la chiamata del terzo è ammissibile o no? Gli atti 267 e269 sembrano costringere al giudice al differimento dell’udienza. Ma la cassazione recentemente con una sentenza, la numero 4309 del 2010, attribuisce al giudice il potere di verificare se la domanda del giudice è ammissibile. Immaginiamo una citazione del convento al terzo che sia nulla: il giudice deve esimersi dal differire il processo perché la chiamata in causa è viziata. Ci si è chiesti più volte (anche qui nel 2018 è intervenuta la casa) se la contestazione da parte del convenuto della titolarità del rapporto giuridico fatto valere dall’attore sia un’eccezione in senso stretto sia una difesa che può essere formulata anche dopo. Ad esempio, il credito rispetto al quale il convenuto è debitore è stato ceduto prima della causa, agisce il cedente che non è più titolare del rapporto di credito, il cedente nonostante la cessione agisce per sé stesso affermando che è ancora suo il diritto, e il debitore eccepisce che il titolare non è lui: questa non è un’eccezione in senso stretto ma è rilevabile anche dal giudice e non deve ritenersi necessaria la menzione nella comparsa di risposta tempestivamente presentata. Come si calcolano questi 20 gg prima dell’udienza? Dall’udienza indicata in citazione o dall’udienza concretamente differita attraverso uno di quei due meccanismo? Si fa rifermento alla data indicata nell’atto di citazione anche quando questa data è differita automaticamente allo scopo di farla coincidere con la prima udienza utile tenuta dal giudice. Se invece l’udienza è differita dal giudice con scopo organizzativo allora si trascina in avanti il termine di 20 gg per la costituzione del convenuti. L’atto di citazione è nullo se non rispetta un termine minimo di comparizione di 90 gg tra notifica a prima udienza, e si deve considerare ai fini dei 90 gg il giorno dell’udienza detto in citazione o il giorno effettivo dell’udienza? Si può eccepire la nullità di un atto di citazione che senza lo slittamento non avrebbe il termine di 90 gg? Teoricamente no, però la cassazione ritiene che al fine del computo dei 90 gg bisogna considerare quella dell’atto di citazione e non quella che risulta poi in caso di differimento. L’attore è obbligato a indicare le prove nell’atto di citazione? No, non è tenuto a pena di decadenza, e lo stesso vale per il convenuto. La comparsa di risposta è un atto che a differenza della citazione si deposita semplicemente in cancelleria: non deve essere notificato all’attore, questo perché si presuppone che l’attore essendosi costituito possa attraverso l’avvocato controllare se il convenuto si è costituito o meno vedendo in cancelleria. Tutte quelle nullità che abbiamo visto a proposito dell’atto di citazione trovano spazio anche per la comparsa di risposta? NO, perché questa non contiene una vocatio in ius, normalmente non contiene nemmeno una formulazione di domande, ma in un solo caso possiamo dire che c’è qualcosa di simile: quando il convenuto formula una domanda riconvenzionale, che potrebbe essere nulla per una cattiva espressione dei suoi elementi come il non indicare la causa petendi in una riconvenzionale eterogenea. Se il giudice alla prima udienza si accorge che la riconvenzionale è nulla e invita il convento a sanare, ed egli compie la sanatoria essa opererà ex nucnc, ma se il convenuto non sana la nullità la riconvenzionale resta nulla e come tale non può essere presa in esame. Se una riconvenzionale è nulla poi può essere formulata autonomamente in una nuova causa. Se i convenuti sono più di uno e un convenuto formula una domanda contro un altro convenuto, cosiddetta domanda trasversale, io convento tizio e Sempronio perché sono il proprietario e il conducente dell’auto che ha provocato il sinistro e sono entrambi obbligati in solido verso il creditore, ma uno ha azione di regresso nei confronti dell’altro. Questa domanda di regresso è una riconvenzionale o una chiamata di terzo? Se è una chiamata di terzo deve scattare quel meccanismo di differimento e notifica al terzo. Secondo la giurisprudenza essendo soggetti entrambi parte questa si formula senza differimento dell’udienza Quando abbiamo parlato delle nullità della citazione abbiamo detto che la nullità rilevabile solo su istanza di parte essa va formulata nella prima difesa utile, che è la comparsa di risposta, allora ci sono nullità che 66 si possono far valere nella comparsa di risposta e sennò si sanano? No, perché se ci troviamo di fronte a nullità nella editio actionis queste nullità sono rilevabili anche d’ufficio, che il convenuto si costituisca o meno non si sanano, perché è interesse del giudice capire quale sia la domanda. Se ci troviamo dinnanzi alla vocatio in ius se il convento non si costituisce non c’è sanatoria ma se il concetto si costituisce le sana: lo spazio logico di un convenuto che si costituisce ed eccepisce la nullità non c’è, con una piccola particolarità: se la nullità è relativa all’avvertimento sulle decadenza o il termine minimo dei 90 gg il convenuto può chiedere al giudice di differirei. 37.00 La costituzione delle parti Art 171: se una delle parti si è costituita nel suo termine l’altra può costituirsi fino alla prima udienza, ma per il convenuto restano comunque ferme le decadenze legate a riconvenzionale chiamata di terzo eccezione in senso stretto. Esempio: l’attore si costituisce nei 10 gg, e nulla di grave accade se il convenuto si costituisce all’udienza, semplicemente decade da quelle 3 cose. Oppure il convenuto si costituisce tempestivamente e ciò vuole dire che il contatto tra la causa e l’ufficio giudiziale non è da parte dell’attore ma del convento. Se il convenuto va oltre i 20 gg decade da quelle cose, ma se l’attore non si costituisce nel suo termine ma fino all’udienza perché il convento si è costituito tempestivamente l’attore che si costituisce tardivamente non decade da nulla perché le domande e le difese e le istanze non le fa costituendosi ma le ha già fatte con la notificazione, non come per il convento. Il codice si occupa del fatto che nessuno si costituisca nel suo termine, questo può accadere anche perché magari dopo la notifica le parti hanno trovato un accordo. Il codice dice che in questo caso il processo può essere riassunto nei 3 mesi successivi (alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto) la mancata costituzione tempestiva di tutte le parti non fa estinguere il processo ma lo mette in quello stato di stallo in cui il processo è fermo ma può essere risvegliato nei 3 mesi successivi, e questo era venuto fuori anche quando abbiamo parlato del litisconsorzio, se anche nei 3 mesi successivi nessuno si costituisce il processo muore. Cosa succede se nessuna delle parti si costituisce? Ma se nessuno si costituisce il tribunale non ha notizia della casa e quindi non c’è un giudice e quella data dedotta nell’atto di citazione non diventa mai effettiva. Quindi non c’è un provvedimento del giudice che fa entrare il processo in uno stato di quiescenza, il processo entra in questo stato automaticamente. Nel caso in cui tutti e 2 si costruiscono tempestivamente il contatto con l’ufficio giudiziario c’è stato, il processo è pendente ma tardivamente iscritto a ruolo. Secondo una linea interpretativa non univoca in questo caso il giudice che c’è all’udienza deve disporre che il processo sia cancellato da ruolo e si apre il termine di 3 mesi entro cui il processo può essere riassunto. Il soggetto che alla prima udienza non si è ancora costituito viene dichiarato contumace. La contumacia è lo stato di chi è già parte ma non si è costituita, nel 99 % dei casi la contumacia è del convento tra che nonostante l’attore si sia costituito non si costituisce entrerò la prima indigena, e anche se si costituisce il giorno i primo dell’azienda no è contumace. Art 290: contumacia dell’attore (è eccezionale) il fenomeno è la notifica dell’atto di citazione dell’attore non si costituisce e il convenuto si, quindi il giudice non ha davanti a sé l’avvocato dell’attore, ma del convenuto. Questo è anomalo e fa scattare la seguente regola. Se alla prima udienza il convenuto costituito chiede che si proceda comunque in giudizio il processo continua nella contumacia dell’attore se invece alla prima udienza il convenuto non chiede espressamente che il processo continui il processo si estingue, altrimenti si può dire che la mancata costituzione dell’attore provoca l’estinzione del processo a meno che il convenuto non chieda il contrario. L’assenza Nel processo civile l’assenza è lo stato di chi essendosi costituito non compare in un’udienza, gli articoli sono il 181 e il 309. Le regole: l’assenza del solo convenuto non ha nessun rilievo. È rilevante l’assenza bilaterale o l’assenza del solo attore. L’assenza bilaterale riguarda qualsiasi udienza l’assenza del solo attore ha una regola che riguarda solo la prima udienza. Se alla 1 udienza non compare l’attore ma solo il convenuto c’è qualcosa di simile alla mancata costituzione dell’attore, e si guarda a che cosa vuole fare il convenuto: chiede che il processo proceda comunque anche con l’attore assente, ma se il convenuto non manifesta interessa ad andare avanti c’è un primo rinvio della causa di cui si fa notizia all’attore. Questo perché può accadere che ci si dimentichi di segnare in agenda un udienza e se l’attore compare in questa udienza tutto continua regolarmente Se all’udienza nessuno dei 2 si presenta la si rinvia una volta, se non c’è nessuno la volta successa allora si estingue il processo. 67 dovevano sanzionare entrambe, quindi non ne sanzionava nessuna- adesso alla prima udienza solo le lo ritiene opportuno può disporre un un’udienza ad hoc per tentare la conciliazione delle liti con le parti. Le conciliazioni giudiziari in questi casi sono rare, ma nei processi del lavoro queste concitazioni sono molto frequenti. I poteri delle parti Quello che le parti hanno l’onere di fare entro la prima udienza. Ci sono 3 attività del solo attore che si precludono alla prima udienza, o si fanno qui o non si possono fare dopo. Queste 3 attività sono l’esatto pendant delle attività che per il convenuto si precludono nella comparsa di risposta che deve depositare tempestivamente (riconvenzionali, eccezioni stricata sensu e chiamare terzi) analogamente l’attore alla prima udienza se vuole proporre domande nuove (ulteriori a quelle dell’atto citazione) se vuole proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio oppure chiamare un terzo in causa ha l’onere di farlo entro questa udienza, ma ciascuna di queste attività può essere compiuta dall’attore se la sua opportunità discende dalle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta. Se il convenuto è contumace nessuna di queste attività l’attorie può fare, sarebbero ingiustificate. Esempio di domanda nuova (è detta riconvenzionale alla riconvenzionale, perché la riconvenzionale del convenuto è fatta all’attore nella comparsa di risposta), il convenuto nel difendersi solleva una domanda contro l’attore e dice che non solo non serve la somma che l’attore chiede nell’atto di citazione ma l’attore mi deve una somma derivante da un altro contratto, e l’attore ritene che quel contratto sulla basse del quale l’attore formula la riconvenzionale sia un contratto viziato nel consenso e chiede al giudice di pronunciare l’annullamento del contrato fatto valere dal convenuto. È una domanda che se non fosse stata sollevata dal convenuto l’attore non avrebbe avuto l’attore ragione di replicare. Esempio di eccezione in senso stretto formulata dall’attore: se il convenuto fa una riconvenzionale (controcredito posto in compensazione) l’attore può dire che questo credito è prescritto: eccezione di prescrizione non rilevabile d’ufficio. N.b.: parlando delle eccezioni (fatti mod, est, imp) abbiamo detto che ce ne sono di 2 3 4 grado: eccezione i che tendono a paralizzare eccezioni altrui: esempio, l’attore fa valere un credito il convenuto nelle comp risp. Eccepisce che questo credito è estinto per prescrizione, e l’attore dice che ha interrotto la prescrizione mandando una lettera, e nel fare questo l’attore contro eccepisce l’eccezione paralizzandone gli effetti. Esempio di chiamata in causa di un terzo. Il convenuto sostiene di non essere l’autore del fatto illecito e indica come autore del fatto illecito un terzo, l’attore può voler chiamare in causa il terzo per indirizzare la sua domanda nei confronti di un terzo. Queste difese che sono possibili solo come replica all’attività altrui possiamo dire che sono espressione del diritto di replica o alla latina sono espressione dello ius contradicendi, il diritto di contraddire. Si giustificano se l’altra parte ha fatto \detto \scritto qualcosa, non si giustificherebbero nel silenzio dell’altra parte. Esempio: quando c’è un contratto di fideiussione il creditore ha due debitori, e il creditore agisce solo nei confronti del debitore che si costituisce difendendosi con degli argomenti che non attengono a nulla con il fideiussore, il creditore può convenire il fideiussore? No, non è una chiamata resa opportuna dalle difese del convenuto. Quando invece le parti attore e convenuto nella trattazione possono fare delle attività che non sono connesse alle difese altrui queste attività sono frutto dello ius penitenti: il diritto di pentirsi, il che vuole dire che ci sono delle cose che le parti possono fare per rettificare quanto avevano scritto nell’atto introduttivo ma possono farlo indipendentemente dalla necessità di replicare alle dichiarazioni altrui. • Si possono immaginare due modelli estremi: • Un processo in cui gli atti introduttivi sono ingessati per tutte le udienze successive • Un processo in cui fino alla sentenza è modificabile gli atti introduttivi Il promo modello non è quello prescelto per il processo ordinario, e il secondo modello era quello usato fino al 1990: visone del processo privatistico, i poteri delle parti erano molto ampi. Questo è un modello però contrario alla ragionevole durata del processo. La linea attuale è quella intermedia: le parti a mano a mano che la trattazione procede possono fare sempre meno è una sorta di trattazione in via di prosciugamento progressivo, certe cose eclatanti come la riconvenzionale la si può fare all’inizio infatti quando il contumace si costituisce tardivamente prende il processo com’è con le preclusioni che si sono formate, tranne che con la rimessione in termini, ma altrimenti le cose sono precluse. Un’altra attività che le patti può fare alla prima udienza (espressioni del diritto di pentimento, di rettifica) sono: 1. Modificare e precisare le domande e le eccezioni già proposte 2. Indicare ulteriori mezzi di prova 3. Produrre nuovi documenti Le prove non si precludono negli atti introduttivi, e nella prima udienza e parti possono integrare le loro prove. 70 Modificare e precisare le domande: era una cosa già citata parlando dell’azione e avevamo detto che i suoi elementi si possono mutare (Mutatio libelli, emendatio libelli, precisazione della domanda) alla prima udienza la Mutatio libelli è fattibile solo dall’attore in risposta alle difese del convenuto= domanda nuova da fare entro la prima udienza, ed esprime il diritto di replica. Invece i 2 gradi minori sono possibili anche indipendentemente dalle difese della controparte. Tutte queste attività quelle tra che l’attore più o fare in replica, o quelle che l’attore può fare come frutto di pentimento, si precludono con la prima udienza, e vanno fatte quindi entro la prima udienza A MENO CHE ANCHE UNA SOLA DELLE PARTI CHIEDA ALLA PRIMA UDIENZA DI POTER FURIRE DI TRE MEMORIE, OSSIA DI 3 ATTI SCRITTI CHE prolungano LA TRATTAZIONE DELLA PRIMA UDIENZA. Detto in altri termini: la trattazione della prima udienza è orale, ma se una sola parte lo chiede questa trattazione si sposta in avanti e si continua attraverso 3 atti scritti che sono queste 3 memorie. Tutto si preclude alla prima udienza salvo la precisazione della domanda che è possibile fino all’ultima udienza, è l’unica attività che può essere trascinata fino alla fine, è un cambiamento molto piccolo (riduzione della pretesa dell’attore o caso in cui l’attore per i danni non patrimoniali aggiunga delle cose). Alla prima udienza l’attore può chiedere di chiamare un terzo in causa, e la chiamata del terzo si attua nello stesso modo che se l’istanza è fatta per il convenuto: il giudice valuta e se ritiene che sia possibile fissa una nuova udienza in modo che l’attore possa citare il terzo con i termini normali di comparsa che sono 90 gg dato che l’attore non è parte Queste preclusioni, le decadenze, le norme che dicono che certe cose si possono fare solo fino ad un certo punto sono rilevabili anche d’ufficio o solo su istanza di parte? Su questa questione si gioca l’alternativa tra processo a disposizione delle parti o processo a disposizione del giudice: prevale la seconda, e deve rilevare la tardività di questa azione. Se la realtà di fatto (la realtà extraprocessuale) cambia nel corso del processo: accadono fatti rilevanti per la decisone della causa si ritiene c’è questi fatti possano essere introdotti nel processo anche al di là delle preclusioni. Le preclusioni che abbiamo visto funzionano se non cambia più nulla, ma se nel diritto sostanziale le cose mutano il processo deve accogliere i mutamenti anche al di là delle preclusioni. Esempio: tizio agisce contro caio, dicendo che a seguito di un incidente stradale gli ha rotto la gamba e chiede un danno, e poi in corso di processo la gamba deve essere amputata: il danno è diverso, non è la quantificazione diversa dello stesso danno, ma è diverso, e anche se siamo all’ultima udienza si può far uscire questa cosa. Le 3 memorie Uno solo chiede e vengono date ad entrambi. Cause in cui un avvocato non chieda di concedere le memorie ce ne sono poche, e la tentazione di dire delle cose in più è una tentazione forte, anche se poi di queste memorie si concludono spesso in ripetizioni di cose già scritte. Queste hanno una cadenza temporale fissa: 30 gg dall’udienza per la prima 30 gg tra la prima e la seconda e 20 gg tra la seconda e la terza. Così si applica lo slittamento per i giorni festivi. La prima memoria È espressione dello ius penitenti: del diritto di cambiare le cose indipendentemente da quello che ha scritto l’altro, qui le parti possono precisare le eccezioni e le domande già presentate, lo potrebbero fare alla prima udienza ma se vengono chiedere le memore questo termine si prolunga alla prima memoria La seconda memoria Ha un doppio volto: sia ius pentimento + ius contradicendo. Con questa le parti possono indicare nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti indipendentemente dalle difese altrui (indipendentemente dalle difese altrui) nella seconda parte le parti possono replicare a quello che la controparte ha scritto nella prima memoria La terza memoria È solo più espressione del diritto di replica particolarissimo: è legato alla prova. Nella terza memoria le parti possono indicare la prova contraria. La prova contraria non è un concetto chiaro, ma si può dire che sia la prova che mira a smentire una prova dedotta dalla controparte, è la prova che si contrappone alla prova dedotta dalla controparte. Qual è l’ultimo momento utile per le parti per indicare mezzi di prova? Dipende: se le memorie non vengono chieste l’ultimo momento è la prima udienza, ma se le memorie vengono concesse è la seconda memoria, o per la terza se vengono date le contro prove. Qual è l’ultimo momento utile per l’attore per formulare domande nuove? La prima udienza, perché la reconventio reconvenzioni si preclude comunque alla prima udienza, tanto è vero che la prima memoria è destinata ad altro. Si comprende che se ci trovassimo in un processo davvero orale e solo orale alla prima udienza dovrebbe andare l’avvocato che conosce l’architettura della difesa per esser pronto a fare alla prima udienza tutto il 71 necessario, ma se l’avvocato sa che si può chiedere le memorie manda alla prima udienza il più inesperto, e poi con calma scrive le memorie. Tutte queste scadenze e preclusioni segnano momenti finali (non oltre i quali certe cose si possono fare) non segnano momenti precisi, e cioè che quello che si preclude nella terza memoria niente impedisce di farlo i già prima nella 1 2 o in un’udienza e così via, quello che è impedito è farlo dopo. Queste attività non vanno compiute come le note che vanno suonate in un certo momento specifico, sono note che possono essere suonate anche prima ma l’importante è non suonarle dopo. La trattazione della causa (quello che le parti hanno fatto con gli atti introduttivi e con la prima udienza) è questo, le carte sono in tavola., conosciamo le questioni, i fatti rilevanti e cosi via. Il giudice deve aprire la fase dell’istruzione probatoria, se tra i fatti raccontati dalle parti ci sono dei fatti controversi rispetto alle quali i contendenti non sono d’accorto bisogna scegliere tra le versioni e la scelta tra le versioni di fatto non può essere fatta se non attraverso le prove, sono elementi che ci aiutano a comprendere che cosa sia successo. Ci sono cause in cui non c’è bisogno di prova, ci sono cause in cui tutti i fatti rilevanti sono dimostrabili attraverso documenti già prodotti. Quando si apre al giudice l’alternativa di aprire la fase decisoria o sperimentare delle prove in questa alterativa si innesta un discorso complicato che trova il suo nucleo essenziale nell’art 187, che è un articolo che riguarda le questioni che il processo genera devono essere risolte con ordinanza o sentenza a seconda del fatto che la questione sia idonea o meno a definire il giudizio il problema che si pone è che se tra queste questioni ce ne sono di inidonee a definire il giudizio il giudice fermo restando che deve decidere con sentenza deve deciderle subito o può accantonarle per decidere alla fine insieme? Le questioni idonee a definire il giudizio vanno isolate e decise a una a una anche preventivamente o possono essere decise tutte insieme alla fine? C’è una complessa azione risarcitoria da fatto illecito: è controverso tra le parti o non solo l’accadimento del fatto ma tutto controverso, e per vedere chi ha detto il vero e chi il fatto ci vorranno moltissime prove. 19.04.19 lezione 20 L’intervento di terzi Modalità e termini dell’intervento volontario del terzo L’INTERVENTO è ammesso finché non vengono precisate le conclusioni, e si realizza attraverso la costituzione in giudizio del terzo che avviene depositando (presso la cancelleria o direttamente alla prima udienza) una comparsa che ha il medesimo contenuto della comparsa di risposta previsto dall’articolo 167, i documenti che intende offrire in comunicazione e la procura del difensore. La regola è che il terzo può volontariamente intervenire nel processo in qualsiasi momento della trattazione, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma gioca il principio di prosciugamento progressivo delle facoltà: più tardi interviene il terzo e meno cose può fare. In particolare, chiediamoci qual Sial l’uomo i momento in cui le parti possono proporre domande: è la prima udienza, e se il terzo interviene alla prima udienza può proporre nuove domande altrimenti no, può portare mezzi di prova, a meno che non abbia superato anche quel termine. Ma può essere rimesso in termini come il contumace che dimostra di non essersi costituito in tempo per causa da lui non imputabile? No, perché il terzo non subisce un pregiudizio, perché può azionare un nuovo processo, e lui quindi non subisce un pregiudizio. Anche quando un terzo è un terso adesivo dipendente, in questo caso qualche chances autonoma comunque ce l’ha perché può attaccare la sentenza che lo pregiudica. Quando il terzo che interviene è un litisconsorte necessario non subisce gli effetti del prosciugamento. Se per errore il giudice non novità le parti a citarlo il terzo può esercitare ex novo tutte le sue facoltà. Modalità e termini dell’intervento su istanza di parte Può accadere che il terzo sia chiamato ad intervenire nel processo per via della richiesta di una delle due parti, e la disciplina in questi due casi differisce: • Il convenuto intende chiamare un terzo: è un caso che è possibile se ricorrono i presupposti dell’articolo 106 (comunanza di cause o chiamata in garanzia). La chiamata del terzo costituisce un diritto per il convenuto, che può provvedervi mediante atto di citazione, ma questo sarà possibile se: • Ne ha fatto tempestiva dichiarazione nella comparsa di risposta costituendosi 20 gg prima della data fissata nell’atto di citazione da parte dell’attore • Chieda al giudice di differire l’udienza in modo tale che al terzo che è stato citato siano conferiti i consueti 90 gg come termine di comparizione 72 d’ammissione. Questa prova di ammissione è un controllo di legittimità. Viene fatto poi un giudicio di rilevanza sulla prova costituenda, che attiene alla circostanza che la prova abbia effettivamente ad oggetto un fatto da utilizzare per la decisione della causa scema Prova atipica e prova illecita Prova atipica Le norme del CC e del cpc elencano in numero chiuso di prove ci si chiede se oltre a queste il giudice possa ricorrere a forti di ricostruzione dei fatti non tipizzati dal legislatore? Ad esempio, la prova testimoniale è disciplinata esclusivamente come prova costituenda, ma se noi abbiamo uno scritto testimoniale che viene fatto prima del processo, queste teoricamente dal punto di vista del codice non sono prove, ma il giudice le può usare anche se il legislatore non le considera, quindi atipiche? Si, sono sempre più tenute in considerazione. Una prova atipica molto usata nei processi che coinvolgono minori è l’accertamento del servizio sociale (articolazioni del comune che hanno tra i tanti compiti quello di esaminare la situazione dei minori in stato di difficoltà) queste relazioni fatte al giudice non dovrebbero valere nulla, perché sono testimonianze stragiudiziali, ma la prassi le usa. Si ritiene che questo tipo di prova sia utilizzabile nel processo considerando che non c’è nessuna norma del codice processuale che imponga la tassatività dei mezzi di prova, e in aggiunta a questo a legittimare la possibilità di utilizzo della prova atipica c’è il principio del libero convincimento del giudice. Qua confermare indirettamente tutto questo c’è l’art 2729 che fa desumere l’atipicità degli indizi usati per risalire da un ratto noto ad un fatto ignoto. Per quello che riguarda la concreta efficacia delle prove atipiche l’opinione più diffusa è che si tratti di un valore essenzialmente indiziario, per il rilievo sopra citato da cui si fa discendere la loro ammissibilità nel processo dall’articolo 2729 Prove illecite Entrano nel processo correttamente, ma hanno alle spalle qualche cosa di illecito. Il caso classico è quello del documento rubato. Io produco un documento e lo deposito correttamente ma l’ho procurato in modo illecito. La cassazione (22677 2017) fa riferimento ad una separazione tra coniugi in cui per addebitare la colpa della separazione uno dei due coniugi aveva sottratto e copiato i messaggi del cellulare dell’altro (corrispondenza coperta da segretezza e sottrarla è un’illecito). Le tesi sono: 1. Il processo deve raggiungere la verità e usa lecitamente anche una prova malamente acquisita, chi ha rubato la corrispondenza andrà in galera ma non c’è motivo di non fargli vincere la causa se i fatti sono questi. È un esempio di ordinamento a settori separati, l’illecito non deve valere in tutti gli ambiti dell’ordinamento 2. L’ordinamento non può chiudere gli occhi o guardare a macchia di leopardo: chi commette un illecito non ha diritto di trarne un vantaggio. La cassazione sceglie la seconda tesi, l’illecito non deve giovare sotto nessun piano, ma una decisione del tribunale di Torino sceglile la tesi diametralmente opposta un una delle ultime sentenza La registrazione occulta è illecita? La regola madre: può precostituirsi la prova chi partecipa alla conversazione, quello stesso soggetto che ha memoria della conversazione può aiutare la sua memoria con uno strumento tecnico, ma se a farlo è un terzo che non è autorizzato a partecipare al nostro colloquio questa è una prova illecitamente costituita. Il giudice non può usare la sua scienza privata, ma in realtà il giudice può comunque usare quel tipo di scienza privata che condivide con la collettività, può fare uso del fatto notorio, il fatto notorio è una cosa che il giudice sa ma non particolarmente: è sapere condiviso con una serie indefinita di persone. Il confine fa scienza particolare e fatto notorio sono labili, e la cassazione più volte si pronuncia su questa demarcazione, perché la differenza è sostanziale perché il fatto notorio può essere posto alla base della decisone senza prova come anche i fatti pacifici, che sono disciplinati all’art 115 entrambi. La ripartizione dell’onere della prova L’art 2697 parla dell’onere della prova: grossomodo questo articolo dice che chi vuole fare valere in giudizio un proporrò diritto deve provare i fatti che ne stanno a fondamento. La quadripartizione dei fatti influisce sull’onere della prova, perché i fatti costituivi li prova l’attore e il convenuto prova gli altri 3. Noi poi dobbiamo tenere conto anche della domanda riconvenzionale, in cui l’onere della prova si inverte, i fatti estintivi modificativi. Impeditivi li prova l’attore, e quelli costituitivi li prova il convenuto. La formulazione del codice condurrebbe a dire che i fatti costituivi li prova chi pone la domanda e chi reste alla domanda prova gli altri. Questa è una cosa sbagliata, qui gioca il principio che è detto ‘acquisizione probatoria’. Questo principio ci dice che una volta che la prova è entrata nel processo è irrilevante l’iniziativa di chi l’ha portata nel processo. Una volta che la prova è entrata è acquisita al processo e giova o 75 nuoce indipendentemente da chi l’abbia dedotta. in altre parole, può capitare che l’attore produca un documento che attesta la modificazione del diritto, e se ragionassimo alla luce di quello che dice il codice allora non dovremmo tenerne conto, ma se invece si applica il giusto principio di acquisizione della prova allora è ininfluente la fonte (attore o convenuto) e la prova vale comunque. (Anche se è un fatto modificativo che è stato presentato dall’attore ne teniamo conto comunque). Quindi in base a questo principio accade che una volta che la prova viene richiesta o comunque viene introdotta nel processo essa esce dalla sfera della disponibilità della parte istante, con 2 conseguenze: A. La parte non può rinunciare alla sua assunzione a meno che non ci sia il consenso della controparte e del giudice B. I risultati della prova possono giovare ad una qualunque delle parti e non solo alla parte che l’ha richiesta. Ma allora questa distribuzione dell’energia della prova non serve? No, serve non nel momento in cui si introduce la prova, ma serve alla fine del processo quando il giudice sulla base delle prove assunte deve rendere la sua decisione, in particolare serve di fronte al vuoto probatorio. Di fronte ad un vuoto probatorio, o di fronte ad un ipotesi in cui ci son 2 versioni contrastanti del fatto e nessuna prova rivela una cosa controverse allora la regola del 2697 dice che questo vuoto probatorio era su un fatto estintivo, costitutivo? Se era su un fatto costituito il vuoto va a danno di chi ha proposto la domanda, e se era su uno degli altri tre va a danno di chi ha resistito alla domanda. In realtà distinguere tra fatti costitutivi e impeditivi è un’operazione ardua perché possono essere contestuali e con un po’ di abilità logica qualsiasi fatto può essere girato nel suo contrario ottenendo il passaggio da classe costituiva a classe impeditiva. Allora operano essenzialmente tre criteri: Criterio lessicale ermeneutico: guarda a come è costruita la norma di diritto sostanziale. Le norme della grazia per il vizi della cosa vendita dicono che il venditore che vende una cosa affetta da vizi risponde a meno che fosse stata pattuita l’esclusione della garanzia. Questo ‘a meno che’ ci fa capire che il fatto costituito è la vendita di cosa viziata, il fatto impeditivo è dimostrate che abbiamo pattuito l’esclusione della garanzia. Normalità dell’accadere: nel dubbio chiamiamo fatti impedirvi quelli che normalmente non accadono, esempio del contratto con ubriaco: nella norma delle cose le persone non concludono i contratti mentre sono ubriache, sono lucide. L’ubriachezza è l’anormalità, è il fatto impeditivo. Vicinanza della prova: il buco probatorio deve andare a danno della parte che avrebbe avuto più facilità di dare la prova. Questo perché è la parte più vicina alla prova, e la si penalizza perché avrebbe avuto facilità di dare la prova e non l’ha data. Le dimensioni dell’impresa dal punti di vista dei lavoratori impiegati assume una rilevanza fondamentale per la tutela contro il licenziamento illegittimo: se l’impresa è piccola (fino a 15 dipendenti) ance di fronte ad un licenziamento cattivo Il lavoratori e può solo chiedere il risarcimento, ma se l’impresa assume dimensioni più grandi il giudice non solo accorda il risarcimento del danno ma accorda il diritto di dare nuovamente il lavoro. La la dimensioni grande dell’impresa è fatto sostitutivo al diritto dell’integrazione o è la piccola dimensione un fatto impeditivo del diritto alla reintegrazione? Se mancasse la prova di questo fatto a chi la si addebita? Le sezioni unite su questo problema si sono occupare 3 volte, e hanno fornito letture diverse: 1. È un fatto impeditivo, tocca al datore di lavoro 2. È un fatto costitutivo lo dice 3. È perché la cassazione carica sul datore di lavoro l’onere della prova? Non sulla normalità dell’accadere, non sul lessico, ma sul criterio della vicinanza della prova: è molto poi facile provare questo fatto per il datore di lavoro, e la prova è a suo carico. La distinzione tra cost e mod ed estintivi si fonda su un criterio cronologico. 15.04.19 lezione 21 Di fronte alla difficoltà di distinguere tra fatto cost e imp la g adotta 3 criteri: • Ermeneutico tratto dalla costruzione della norma • Normalità dell’accadere: non è costitutivo quello che per lo più accade, ma è fatto impedititvo l’evento anormale • Vicinanza della prova. Tutte queste osservazioni sul principio dell’onere della prova si basano su un principio madre, ed è pacifico, ovvero per quanto sia carente la dimostrazione dei fatti rilevanti, il giudice deve comunque risolvere la controversia: la carenza di prova non impedisce di dire chi ha torto e chi ragione. Le regole dell’onere delle prova sono suppletive, che mancando duna prova ci dicono a danno di chi deve andare il vuoto probatorio. Mentre non raccontare i fatti che concretano l’accusa petendi (non specificare perché si chiede) genera una 76 nullità dell’atto introduttivo, la carenza di prova non impedisce al giudice di decidere la controversia, semmai lo costringe a deciderla a danno della parte su cui grava il vuoto probatorio. Una importante sentenza delle sezioni unite 13533 del 2001 ha detto sull’onere della prova che tutte le volte in cui in un contratto viene in rilievo l’adempimento o l’inadempimento (è controverso questo) l’onere della prova è di chi afferma l’adempimento. L’adempimento è sempre a carico di chi lo adduce. Se chiedo la risoluzione del contratto affermando che voi non avete adempiuto: sul convenuto grava l’onere di provare l’adempimento. Quale grado di certezza deve raggiungere il giudice civile per poter dire che un fatto è stato provato? La dimostrazione deve arrivare a convincere in che modo il giudice, il problema non ce lo abbiamo quando abbiamo a che fare con una prova legale. La prova legale chiude le mani al giudice, è il legislatore che dice al giudice come tenere in conto la prova. Ma tutte le volte che la prova è libera, come la testimonianza, quale grado di certezza il giudice deve attingere? Il codice di procedure penale ha una regola sul grado probatorio e dice che le colpevolezza deve essere provata al di la di ogni ragionevole dubbio-. L’incrinarsi della prove va a danno dell’accusa, da un po’ di tempo in qua in assenza di ogni indicazione normativa nel cc e nel cpc g e d ci dicono che il giudice civile deve adottare il criterio del più probabile che non, ovvero che di fronte a 2 versioni di fatto il giudice deve scegliere quella che le prove rivelano più probabile, anche se il grado di sbilanciamento è minimo, e se nessuna delle due è provata allora si applica la regola del vuoto probatorio. Questo criterio del + pro che non viene usato nei casi di responsabilità medica. La resp medica è stata disciplinata dalla legge del 2017 che ha in sostanza detto due cose sull’onere della prova: • Se la persona danneggiata chiede il risarcimento alla struttura ospedaliera in cui è stato curaro che onere della prova ha? Deve provare di essere stato curato lì, provare che ha avuto un danno, provare che il danno è conseguito a causa del comportamento della struttura ospedaliera. Applicazione del criterio nel cc dell’at 1218 in cui il debitore deve dimostrare di aver adempiuto un buona fede • Se il danneggiato si rivolge al singolo medico che lo ha curato nell’ambito di una struttura ospedaliera, deve anche dimostrare il dolo o la colpa del singolo medico: l’elemento psicologico che nel caso di prima grava sulla struttura qui è a carico del danneggiato. Se la resp. Della struttura è contrattuale, allora quella del singolo medico è extracontrattuale ex 2043. Casi. 1. Sentenza molto discussa, sezioni unite 25767 del 2015: cosiddetto risarcimento da nascita indesiderata. Questa fattispecie è molto particolare: nasce un bambino malato o deforme, e si accampa una responsabilità del medico che ha seguito la mamma durante la gravidanza. Il vero problema teorico è che se il nato malato possa pretendere di essere risarcito dal medico dicendo che se il medico avesse detto alla madre che ci sarebbero stati dei problemi, e a quel punto lei poteva non far nascere il bambino. In questo caso è la mamma che agisce nei confronti del medico che se fosse stato attento avrebbe capito la malattia del bambino e le lei fosse stata avvertita di ciò avrebbe interrotto la gravidanza. Ma come si prova che se la madre avesse saputo questo avrebbe interrotto la gravidanza? È un ragionamento contrattuale, si deve immaginare un percorso degli eventi diverso da quello che è stato. La cassazione dice che è possibile chiedere il risarcimento del danno e sulla prova da dare la cassazione dice che ci si può fondare sul criterio del più probabile che non, perché non avremmo mai la certezza che avrebbe interrotto la gravidanza, ma ci sono dei sintomi che fanno presagire che sarebbe potuto succedere, il fatto che facesse molte visite, che avrebbe avuto il tempo di interrompere la gravidanza lecitamente se informata per tempo. 2. 27\03\19 n°8461 la cassazione usa il criterio del più probabile che non approvo sito della morte di un soggetto per tumore e un risarcimento chiesto dai familiari al medico sulla base della diagnosi tempestiva che avrebbe permesso le cure. Anche qui ci vuole un ragionamento contrattuale, bisogna ricostruire un’ipotesi smentita dalla realtà. Quindi bisogna vedere se nel caso si sarebbe potuto immaginare un allontanamento della morte. È allora questo criterio ci fa stabilite il nesso di causalità. Che per la prova si possa fare riferimento alla probabilità o alla statistica si parla proprio del criterio della normalità dell’accadere. Quando si chiede il risarcimento del danno da morte prematura si deve stimare quando sarebbe vissuta la persona se non fosse successo l’incidente 77 che sia bene supplire con l’intervento del giudice. In entrambi i casi le parti hanno comunque Il monopolio sull’allegazione dei fatti rilevanti: sono solo quelli raccontati dalle parti. La prova documentale Definiamo documento qualsiasi cosa che racconti un fatto. La scrittura privata racconta qualcosa, a foto racconta qualcosa3. È tipico del documento la sua idoneità a persistere nel tempo, a fare da ponte tra il momento in cui è stato formato al momento nel quale viene esaminato dal giudice e letto come mezzo di prova. Iniziamo a trattare dei documenti che recano scrittura. La scrittura è un insieme di segni che significano qualcosa. La grande ripartizione nelle scritture fatta dal codice è quella tra atto pubblico e scrittura privata. L’atto pubblico L’art 2699 dice che l’atto pubblico è il documento formato dal notaio o da altro PU autorizzato dalla legge ad attribuirmi pubblica fede. Tra poco vedremo se ci sono altri documento di fede pubblica che si possono ricondurre a questo art. tipicamente è l’atto formato da notaio che ha come funzione principale di consigliare le parti nel fare qualcosa, come consigliare i contraenti su quale contenuto dare al negozio giuridico, ma l’attività che lo rende PU è l’attività certificativa, è il testimone qualificato che riscontra fuori dal processo certe cose e le racconta nell’atto pubblico. L’atto pubblico definito dall’art citato fa prova fino a querela di falso della provenienza dell’atto dal notaio che l’ha redatto, del tempo e del luogo in cui l’atto è formato, inoltre prova le dichiarazione che le parti fanno davanti al notaio: le cose che il notaio sente dire, e delle altre azioni che il notaio riscontra con i propri sensi. Di tutto questo (provenienza, luogo-tempo, parole dette, cose fatte davanti al notaio) l’atto pubblico forma una prova legale: il giudice non ha discrezionalità nel credere o non credere a quello che dice il notaio. È prima del processo quando ancora non si sa se ci sarà un processo, è uno che testimonia per iscritto certe cose. Ma se noi ci chiedessimo se davanti al notaio dichiariamo che il prezzo della cosa è di 100 la piena prova si limita a quello, la prova non si allarga al fatto che 100 sia il prezzo davvero voluto in un contratto simulato, perché se c’è una controdichiarazione di 150 il notaio non lo sa e non ci sarà una prova di questo. Altro caso: se il prezzo della compravendita è pagato dinnanzi al notaio di questo l’atto pubblico fa piena prova, perché il notaio vede il passaggio dell’assegno, ma se una parte dichiara che ha già ricevuto una parte del pagamento, l’atto pubblico prova questa dichiarazione, ma non prova se la dichiarazione è vera o no, perché non è avvenuto il pagamento davanti al notaio. Per avere atto pubblico è necessario quindi avere de tipi di elementi: 1. Elevano oggettivo ovvero il complesso di formalità più o meno solenni richieste per quell’atto dalla legge 2. Elemento soggettivo ovvero la qualifica di notaio o di PU in capo al soggetto che lo redige. Delle volte questo discorso viene definito come estrinseco e intrinseco (quello che il notaio non vede), ma complica le cose. Anche se ogni tanto si chiede al notaio di attestare che le parti che compaiono davanti al lui sono capaci di intendere e volere, ma questa è la sintesi di un giudizio, e il notaio non può dare prova di questi giudizi, perché questo è un apprezzamento di una serie di circostanze: i giudizi espressi dal notaio non farro prova. Ad essere oggetto di prova legale derivante da atto pubblico sono solamente i fatti caduti sotto la diretta percezione e responsabilità del notaio o del PU, sono invece contestabili i contenuti e la volontà delle dichiarazioni delle parti. La querela di falso Smentire la veridicità dell’atto pubblico è possibile ma non con una semplice prova contraria, è necessario un giudizio ad hoc, che è il giudizio di querela di falso che è un procedimento del tribunale in cui è obbligatorio l’intervento del PM perché questo è un falso in atto pubblico che è un reato, e tutte le volte in cui l’intervento del PM è obbligatorio, allora il tribunale deve essere riunito in collegialità. La querela di falso può essere proposta con 2 modalità: 1. In via principale: quando prescinde dalla produzione di un atto pubblico nel processo, ma si apre una questione a sé stato, che si apre quando l’attore pensa che un atto pubblico è falso ed è interessato a farne valere la falsità. 2. In via incidentale: è proposta in via incidentale quando l’atto pubblico è utilizzato come prova in un processo civile e la parte contro cui l’atto pubblico è prodotto (quella pregiudicata dalla prova) ne afferma la falsità. È incidentale perché su muove all’interno di un processo pendete. 80 3 È possibile distinguere il documento estrinseco (ovvero il supporto sul quale si presenta il documento, quindi carta, foto, video, audio ecc ecc) dall’intrinseco (che è il contenuto del documento). L’atto introduttivo della querela di falso ha la caratteristica in più diretto all’atto di citazione ordinario in cui non è necessario indicare i mezzi di prova. In questo caso l’atto di citazione a pena di nullità deve indicare i mezzi di prova, questo a garanzia della ponderatezza di chi propone la querela di falso. Quando la querela è proposta in via incidentale, ovvero all’interno di un processo, prima di dare corso alla querela viene interpellata la parte che ha prodotto il documento, le si chiede se nonostante l’altrui querela di falso intenda comunque avvalersi del documento, perché può accadere che chi ah proposto l’atto pubblico e se lo vede querelato per non correre rischi preferisca fare un passo indietro. È un caso di eccezione al principio di acquisizione. La querela di falso perde la sua ragione d’essere, e l’atto pubblico ritirato non può essere usato come mezzo di prova. L’onere della prova nel giudizio di querela di falso è a carico di quello che afferma la falsità. Potremmo dire che l’atto pubblico si presume vero, se accade il buco probatorio e non si riesce a capire se il falso ci sia o no il buco probatorio va a danno del querelante. In altri termini: formulata la querela di falso non è onere di chi afferma che il documento è vero dimostrare che lo è ma è onere di chi dice che è falso dimostrare che è falso. Esiste un istituto del diritto civile che è la datio in solutum (se le parti si accordano si può rendere come adempimento il trasferimento della proprietà di qualcosa per estinguere un’obbligazione pecuniaria) e compariamo davanti al notaio e dichiariamo la volontà di questo negozio giuridico, e dichiariamo che questo trasferimento è fatto in luogo dell’adempimento di un pregresso debito di 100. Se si volesse sostenere che questo non è mai stato dichiarato (ovvero il trasferimento a scopo solutorio) sarebbe necessaria o no la querela di falso? Si! Ma se volessimo sostenere che il debito di 100 non esisteva serve la querela di falso? No, perché non smettiamo la parla del notaio, ma andiamo a sostenere qualcosa che i sensi del notaio non hanno percepito. Quando la querela di falso è proposta in un processo che pende davanti al tribunale non esiste un problema particolare: perché giudicherà lui la querela di falso. Se invece il processo pendesse davanti al giudice di pace o alla corte d’appello, la regola è che il processo principale si sospende, si giudica da parte del tibiale sula querela di false, e dopo la decisione il processo principale riprende. Qui non vediamo operare la regola madre della connessione per cui se pendono davanti a può giudici la stessa causa Il 2699 è dedicato ai casi in cui il notaio o il PU hanno come funzione tipica di certificare cose che cadono sotto i loro sensi. In questa attività della PA ci sono moltissimi casi in cui il PU o l’IPS attesta la verità di cose non perché il suo compiuto principale è certificare, ma nel volgere un altro compito attesta delle cose. Pensiamo alla polizia urbana che contesta al trasgressore una violazione di una norma del codice della strada. Questa attività attesta e verifica, ma la sua attività essenziale non è la certificazione, ma mette un promo passo verso il procedimento sanzionatorio. Questo tipo di certificazione fa prova fino a querela di falso o fanno una prova di livello inferiore: G- estende anche a questi casi la veridicità fino a querela di falso. D- no, questi sono documenti publici con una presunzione di veridicità ma non assimilabili all’atto pubblico, e per ‘smontarli’ basta qualsiasi prova contraria. Scrittura privata La scrittura privata come la immagina il codice (sempre meno diffusa nella prassi ma non estinta) è caratterizzata da un insieme di parole al termine delle quali c’è una firma. Che è un segno grafico ottenuto dal movimento della mano che tiene in mano uno strumento che lascia un segno. Elemento essenziale della scrittura privata è la sottoscrizione a mano. La sottoscrizione è il suggello che fa assumere la paternità di quello che è stato scritto al sottoscrittore: firmando si fa proprio il contenuto della sottoscrizione. La scrittura privata è ritenuta insicura dal legislatore, perché la firma è una cosa facilmente falsificabile. Affinché la struttura privata assuma un valore di prova alla firma si deve aggiungere qualcosa che dia certezza dell’autenticità della firma. Questo fattore ulteriore è disarticolato in 5 cose differenti: possono accadere 5 cose che valgono a dare certezza dell’autenticità della firma. Secondo il dettato dell’articolo 2702 se alla scrittura provata firmata si aggiungono le seguenti condizioni la prova che fornirà sarà una prova legale, che per essere smentita dovrà seguire la procedura della querela di falso. 1. Autenticazione della firma da parte del notaio o di altro pubblico ufficiale. Quando il notaio forma un atto pubblico è il notaio che parla, ma quando il notaio autentica la firma fa una cosa molto minore: prende una scrittura e la fa firmare davanti a sé e dice che il sottoscrittore è stato identificato. Lo strumento per smontare questa prova è la querela di falso Questo è un fattore di certezza della firma esterno al processo, gli altri 3 (234) sono tutti all’eterno del processo il 5 può stare sì dentro che fuori 2. La scrittura privata è depositata in giudizio come prova e il soggetto al quale la firma è attribuita la riconosce espressamente. È un riconoscimento espresso 81 3. La scrittura privata è ridotta in giudizio e il soggetto al quale la firma è attribuita non la disconosce nella prima difesa utile. Se entro la prima difesa utile la scrittura non è disconosciuta si presume che sia riconosciuta, è un riconoscimento tacito. Il disconoscimento è una dichiarazione formale con la quale si attesta che quella non è la propria sottoscrizione, ma la norma dice anche la propria scrittura: questo è strano perché solitamente il riconoscimento si riferisce alla sola sottoscrizione, perché se la parte riconosce l’autenticità della sottoscrizione anche la scrittura si dovrebbe imputare alla parte che riconosce la sottoscrizione, e se egli volesse negare il contenuto del documento di cui riconosce la sottoscrizione dovrebbe procedere con la querela di falso. La spiegazione a questa stranezza è che il riconoscimento della sola scrittura sia riferibile solo ad alcuni documenti olografi per i quali non è richiesta la sottoscrizione 4. La scrittura privata è prodotta in un giudizio in contumacia di qualcuno, ed è attribuita alla firma del contumace, e si ha automaticamente il riconoscimento, tanto è vero che ricorderemo che quando ne abbiamo parlato abbiamo detto che la Corte costituzionale ha imposto di avvisare il contumace che viene prodotta in giudizio una scrittura privata recante la sua firma: questo perché il contumace costituendosi può disconoscere questa firma. Fino a che è contumace la scrittura si ritene proveniente da lui, ma se questo si costituisce può disconoscere la firma quale che sia il momento in cui si costituisce. Avevamo detto che il contumace può costituirsi in qualsiasi momento, ma se lo fa tardivamente deve prendere il processo nello stato in cui si trova. Se la scrittura privata è prodotta con atto di citazione, e se si costituisce nella settima udienza prende il processo dove si trova e non essendo stato rimesso in termini non potrebbe disconoscerlo, ma è qui che opera l’eccezione. Un corollario è che se la scrittura privata attribuita alla firma non di una delle parti ma di un Dante causa di una delle parti (scrittura che si afferma firmata dal morto prodotta contro gli eredi) gli aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscerla. Sulla firma di un terzo le parti possono dire di non essere in grado di affermare se è autentica o no. La verificazione 5. Immaginiamo che sia prodotta in giudizio una scrittura privata disconosciuta, il soggetto che produce la scrittura privata non può vedere finire così la storia, perché la prova sfumerebbe troppo in fretta. Il soggetto che si è visto disconoscere la firma ha il diritto di chiedere la verificazione di una scrittura privata, è un giudizio che ha come oggetto l’accertamento della verità o falsità della firma. Si tratta di un procedimento che è destinato a concludersi con una sentenza: è una domanda di mero accertamento che non verte sull’esistenza di un diritto o di uno status, ma di un fatto. È un oggetto simile alla querela di falso. Le differenze con la querela di falso sono: 5.a. NON è di competenza sempre del tribunale, ma è di competenza del giudice a quo, non c’è la necessità dell’intervento del PM 5.b. L’onere della prova è esattamente ribaltato e contrario rispetto a quello visto nella querela di falso. Nel giudizio di verificazione privata il vuoto probatorio va a danno di chi sostiene che la firma è vera, ovvero di chi ha promosso questo giudiziario 54 Anche questo giudizio può essere proposto in via principale: la proposizione del giudizio di verificazione in via principale ex art 215 cpc può essere promossa in via principale se la parte vi ha interesse: verrebbe da dire che l’interesse ad agire non ci sia mai, se abbiamo una scrittura che riteniamo firmata dal X prima di farlo giudicare viene da dire produciamola n giudizio e vediamo che dice X perché l’atteggiamento del soggetto cui la firma è attribuita potrebbe farci superare il problema. Quindi l’interesse c’è in un solo caso: ricordiamo che le vicende traslative dell’immobile vanno trascritte nei registri immobiliari, e il conservatore per trascrivere un atto deve avere un atto pubblico o una scrittura autenticata, una scrittura semplice trasferisce la proprietà (che si trasferisce con qualsiasi atto scritto) ma se la scrittura non è fatta per atto pubblico o scrittura privata autenticata non può essere trascritto. Quindi per ottenerle la trascrizione di una scrittura privata non autenticata occorre che questa scrittura sia giudizialmente verificata. Il giudizio di verificazione di scrittura privata è un giudizio in cui il giudice si avvale di un esperto chiamato esperto in grafoanalisti: la grafoanalisti è una disciplina che ha 2 branche: individuare le caratteristiche psichiche dello scrivente e poi individuare il soggetto che ha scritto. Inoltre, nel giudizio di verificazione di scrittura privata il soggetto che ha disconosciuto può essere obbligato a firmare dinnanzi al giudice per ottenere altre scritture di comparazione. Ma se la persona rifiuta di farlo scatta una prova secondo cui il giudice può ritenere autentica la scrittura disconosciuta. Se il soggetto che ha negato la paternità della propria firma rifiuta di farlo si ritiene che abbia malamente disconosciuto la firma e la firma è la sua. Non è una prova legale ma il rifiuto di sottoscrizione permette al giudice di trarne un elemento confermativo. 82 testimoni non possono addurre segreto di ufficio o segreto di stato, ma possono addurre il segreto professionale. L’avvocato o il confessore possono non deporre: questa è una barriera di riservatezza privatistica. Il segreto personale è ultra-tutelato. Ultima ipotesi: articolo 246, sono incapaci di deporre quei soggetti che pur non essendo parti (perché se uno è parte non può essere testimone) sono portatori di un interesse che consentirebbe loro di intervenire in giudizio. Qui basta ricordare le varie specie di intervento e ricavare che tutti coloro che potrebbero intervenire anche se non lo hanno fatto (perché sennò sarebbero parti) non possono deporre. Questa è una limitazione grave: a giudizio del prof è una limitazione poco giustificata, anche perché la prova testimoniale è liberamente valutabile dal giudice, e il giudice valuta nel suo libero convincimento. La questione è andata più volte alla c.cost, che non si è mai sentita di abbattere questo divieto, a volte eccependo che si colpirebbe la discrezionalità del legislatore, e neppure sotto il profilo della disparità di trattamento. Il soggetto danneggiato dal reato se vuole si può costituire parte civile e così facendo innesta nel processo penale una sua pretesa civile: processo che da un risarcimento oltre che una condanna. La parte offesa dal reato può testimoniale nel processo penale, ma può testimoniare anche ai fini dell’azione civile che lui stesso sta formulando? Può testimoniare come parte (perché nell’azione civile è l’attore) e la giurisprudenza dice che lo può fare e può considerare la sua deposizione. Ma allora se qui è possibile perché non è possibile nell’azione civile? È incongruo. La CC arriva a sostenere che non è comparabile processo civile e processo penale, sono cose diverse. La giurisprudenza con un percorso machiavellico dice che l’incapacità a testimoniare del 246 non è rilevabile d’ufficio dal giudice: è rimessa alle parti questa possibilità di rilevare il difetto di capacità. La testimonianza assunta dall’incapace a testimoniare è una testimonianza nulla con nullità non rilevabile d’ufficio, e l’eccezione di nullità va fatta nella prima difesa utile successiva al compimento dell’atto nullo: se nessuno protesta tempestivamente il giudice assume la testimonianza, che era inutilizzabile, e improvvisamente si sana: il giudice non può rilevare d’ufficio e le parti non possono contestare a distanza la nullità. Il giudice assume la testimonianza e nel suo libero convincimento può decidere di fidarsi o meno Limiti oggettivi 2721 e ss. Sono tutti limiti che attengono ai rapporti tra la prova testimoniale e la prova documentale: hanno a che fare con il rapporto tra testimonianza e documento. La ratio è che è preferibile il documento come prova rispetto alla testimonianza. Alcuni di questi limiti fanno riferimento ai rapporti tra testimonianza e un documento che esiste e altri fanno riferimento al rapporto tra testimonianza e un documento che avrebbe potuto formarsi. I due casi che sono art 2722 e 2723 tra testimonianza e documento esistente Abbiamo un contratto scritto e si vuole provare con testimoni che è stato pattuito verbalmente qualcosa di diverso o ulteriore rispetto al contratto. C’è un contratto fatto per iscritto e si vuole dimostrare con la prova testimoniale che le parti hanno pattuito qualche cosa di non scritto: è il tema della simulazione. I due art distinguono a seconda che il patto aggiunto sia posteriore alla formazione del documento e dall’altra parte anteriore o contemporaneo. Nel caso di anteriorità o contemporaneità il legislatore vieta la prova testimoniale perché la ritene poco credibile. Il ragionamento è che se noi oggi facciamo un contratto e nella normalità delle cose che tutto quello che volgiamo pattuire lo trasfondiamo nel contratto: è poco credibile che se volgiamo simulare qualche cosa che non si faccia una scrittura a lato. L’art 2722: i patti aggiunti o contrari fatti prima o contemporaneamente alla scrittura non possono essere provati con testimonianza. Nel caso del 2723 il legislatore ritiene più possibile che le parti modifichino verbalmente un contratto che inizialmente era scritto, è un patto che è più plausibile che sia fatto solo per voce, e sarebbe dimostrabile con testimonianza, anche se la regola iniziale sarebbe no, qui si dice che il giudice che valuta la qualità delle parti, la natura del contratto, e ogni altra circostanza può ammettere la prova. Il primo è un no secco, e il secondo è un no che si può aprire. Queste sono le uniche due regole che riguardano il conflitto tra una scrittura che c’è e una prova testimoniale. Altro caso: se il contratto esige la forma scritta ad substantiam non può essere provato per testimoni, perché se il contratto fosse fatto non nella forma scritta anche a voler provarlo per testimoni non servirebbe a nulla: si proverebbe un patto nullo. L’unico modo è produrre in giudizio il contratto per farlo valere Ci sono poi dei casi in cui il legislatore non dice che il contratto richiede la forma scritta per la validità, ma per la prova (contratto di assicurazione, ci dice l’art 1900 va provato per iscritto, non dice che deve essere compiuto per inscritto a pena di nullità) anche in questo caso la testimonianza non è ammessa. Una postilla inevitabile è che se i contratti con forma scritta ad sustatiam e quelli scritti a probationem dove si differenziano dal punto di vista probatorio? Nei casi in cui la forma scritta è per la validità si provano solo depositando il documento, gli altri non si provano con testimoni ma si possono provare con confessione e giuramento. La disciplina di queste discipline processuali è identica rispetto alla prova testimoniale che non è mai accettata, ma differisce per gli atri mezzi di prova. 85 Regola riferita al rapporto tra testimonianza e scrittura che non c’è, art 2721, che dice che se il contratto che si vorrebbe provare per testimone ha un certo valore la prova per testimoni non è possibile: più l’affare vale più e facile che le parti si affidino ad altri mezzi di prova oltre la testimonianza, ma il limite di valore che spacca le classi sono 2,58 cent: perché sono le 5000 lire del 1940, che ora sono 10’000 euro, a meno che il giudice valutata la natura dell’affare decida di ammettere la prova. Normalmente il giudice ammette la prova testimoniale, a meno che abbia motivo di ritenere assai dubbio che le parti abbiano fatto un patto non scritto di un valore superiore. Abbiamo l’art 2724 che dice che anche quando per le regole spora indicate la testimonianza è vietata se ricorre una delle seguenti circostanze la prova testimoniale è ammessa: eccezioni ai divieti oggettivi di prova testimoniale. 1. Il documento è stato formato, ma è andato perduto incolpevolmente4. Questa circostanza sfonda tutti i limiti: anche se ci trovassimo di fronte all’esigenza di provare una vendita immobiliare importantissima, se si dimostra che il contratto fu fatto e poi per disgrazia viene perso si possono assumere prove testimoniali 2. In questo caso il documento non vien formato anche se avrebbe dovuto, per un impossibilità materiale o morale di formarlo: casistica del l’impossibilità materiale è quasi assente, come contratti conclusi in condizioni estreme, come un contratto concluso in alta montagna, e non possiamo fare riferimento alle persone che non sanno scrivere (che sono poche) perché si possono rivolgere ad un notaio o chi raccoglie per loro le dichiarazione di volontà. Molto più ampio è il caso di impossibilità morale: quando una delle due parti in un rapporto non osa chiederlo alla controparte. Immaginiamo che arriva il professore tutto agitato che ha bisogno di un prestito di 300 euro e gli studenti gli danno 300 euro, e ronco dice di non scrivere nulla. Questo è un caso escluso dall’impossibilità morale, perché qui serve un rapporto ben più sbilanciato, ci vogliono casi in cui pretendere la scrittura significherebbe un’offesa al rapporto generale, ma la giurisprudenza va cauta. 3. Se esiste un principio di prova scritta: è uno scritto proveniente dalla parte contro cui la prova testimoniale dovrebbe essere assunta che faccia apparire probabile il fatto che la prova dovrebbe essere testimoniare. Questo è un argomento di prova che da solo no basta, ma la cui presenza apre la possibilità alla prova testimoniale. Queste sfondano (aprono il varco) rispetto a tutti i limiti che abbiamo visto, ma quando il diverto di prova testimoniale attiene ai contratti per i quei è richiesta la forma scritta ab sustantiam, l’unico varco è la perdita incolpevole del documento. Questo perché quando la legge dice che un contratto deve essere fatto a pena di nullità il contratto non si genera validamente, e sarebbe inutile dire che c’è un impedimento materiale o morale o che ci sia stato un principio di scrittura. Quindi se lo scritto c’è si usa, o c’era ma è stato perso. Non si prova il patto orale ma si prova che le parti hanno fatto davanti al notaio un contratto, infatti per alcuni casi si chiedono dei testimoni, perché il documento può andare perduto. Se le parti lo hanno senza colpa perso Se c’è un principio di prova scritta Contraente nell’impossibilità materiale\morale Contratto richiesto ad probationem o ad sustantiam 2 7 0 5 2 7 4 C 2 7 4 C Contratto con valore superiore a 2.58 €✳◌ 2 7 0 5 2 7 0 5 2 7 0 5 ✳◌ Elementi aggiunti dopo la stipula del contratto\ elementi aggiunti verbalmente prima 2 7 0 5 2 7 0 5 2 7 0 5 ✳◌ è possibile per altro che ci siano delle ulteriori aperture in questo caso: per i contra� che hanno un valore superiore a quello indicato nella norma il giudice può comunque amme�ere la validità di questo limite tenuto conto della situazione generale e lo stesso può fare nel caso che le par� vogliano dare prova orale di una pa�uizione successiva alla s�pula del contra�o 6.05.19 86 4 Il contratto fatto in un unico esemplare, che tiene l’altro contraente, poi il contratto ci serve e chiediamo l’esibizione del contrato, ma rifiuta la controparte, e allora è come se lo avessimo perduto incolpevolmente, ma in il comportamento di chi fa un contratto e non se ne tiene una parte è un comportamento che non consente l’accesso alla prova testimoniale, perché è un comportamento sciocco. Cosa differente è se le parti affidano il contratto ad un terzo contraente di fiducia, qui l’ipotesi è incolpevole Escussione del testimone Come per tutte le prove le parti devono chiedere al giudice di assumere la prova, e l’art 244 dice che devono indicare con precisione la persona o le persone da interrogare e con altrettante precisione devono indicare su quale circostanza l’escussione dovrà vertere. Non si può chiedere al giudice di interrogare su tutti i fatti rilevanti, ma bisogna descrivere il fatto e chiedere che sia ammessa la prova. La prova testimoniale la immaginiamo come attivabile solo su istanza di parte, anche se c’è qualche spazio di inquisitorietá (il giudice d’ufficio la ammette). Viene richiesta entro (se è una querela di falso già nell’atto introduttivo) la prima udienza. se il giudice con provvedimento preso fuori udienza fissa l’udienza per l’escussione del teste, Chi avverte il testimone? A differenza del penale nel civile non si attiva il giudice o la cancelleria, ma è la parte che deve intimare la comparizione del teste. Il testimone ovviamente nulla sa del processo, e qualcuno lo deve informare della deposizione con intimazione che è onere della parte. Se la parte non intima il teste almeno 7 gg prima dell’udienza decade dalla prova. Principio di acquisizione probatoria: una volta che una prova è stata richiesta diventa patrimonio comune, non si può fare una marcia indietro unilaterale (e a proposito di questo c’è l’art 245 che dice che la parte non può rinunciare e astenere un testimone richiesto a meno che non vi consentano le altre parti e il giudice: una volta che chiedo che venga interrogato Sempronio per dire che ci ho ripensato ho bisogno di consenso di controparte e giudice) allora la parte può non intimarlo, la mancata intimazione comporta decadenza e il gioco è fatto. Fino a qualche anno fa era così, anche se quelli sensibili al principio di acquisizione non erano d’accordo: il legislatore recepisce questa cosa e la norma ora dice che se non è intimato allora la decadenza c’è a meno che le altre parti chiedano che il teste venga comunque sentito. Se la controparte dice che ha interesse allora il giudice fissa un’atra udienza e da la possibilità di intimarlo. Se il teste intimato non viene all’udienza: fin dalla prima udienza di mancata comparizione il giudice può comminare una sanzione pecuniaria oppure ordinare l’accompagnamento coattivo del teste, potrebbe anche e al 99%dei casi è così, rinvia l’udienza e chiede di intimarlo di nuovo. Alla seconda mancata comparizione comminare la pena pecuniaria e ordinare l’accompagnamento coattivo è obbligatorio. L’accompagnamento coattivo è possibile: si può prendere il testimone con la forza: è il momento della forza pubblica che va perso il luogo dove è il testimone lo prende e lo accompagna forzatamente in tribunale. Nessuno può costringere il teste a parlare, ma si può fare in modo che sia forzatamente accompagnato. Il teste che arriva in udienza con i PU è in uno stato psicologico particolare. Escussione del testimone: viene fatta dal giudice, e se le parti hanno delle domande da fare devono rivolgersi al giudice che le gira al testimone. Se il testimone o rifiuta di rispondere (reticenza) o si sospetta che metta (falsa testimonianza) che sono reato ex art 372 il giudice ammonisce il testimone sulle conseguenze penali e se il testimone insiste nella sua reticenza quello che il giudice può fare è informare il Pm per far promuovere l’azione penale per falsa testimonianza. Fino a 10 anni fa questi due recati V che avvengono davanti al giudice in udienza consentivano l’arresto in flagranza, ora questo non c’è più e si comunica solo al PM. Il testimone prima di parlare deve giurare, e la formula di giuramento del testimone è stata incisa 2 volte dalla CC, nella versione originaria del codice il giuramento era fatto davanti a Dio, la cc ripiene la formula inadatta rispetto alla laicità dello stato e la modifica dicendo giuri davanti a dio e agli uomini, e la formula poi viene depurata dai riferimenti alla divinità ma si fa riferimento alla verità e alla consapevolezza delle conseguenze penali. Molto importante è la verbalizzazione (scrittura) di quello che il teste dice, è vero che il testimone rende una prova orale, ma inevitabilmente sarà necessario leggere ciò che ha detto, perché a distanza di tempo questa è l’unica Tracia possibile. Il verbale in teoria dovrebbe essere letterale, ma molto spesso è condotto in forma sintetica e non integrale. Nel processo del lavoro è addirittura prevista la possibilità di affiancare al verbale la registrazione o la video registrazione. La testimonianza è una prova liberamente valutabile, e per valutare la sua credibilità è importante vagliare l’atteggiamento che il testimone ha. Ci sono degli studi che elaborano i comportamenti della persona e ricavavano certi suoi status mentali, tutta questa valutazione può finire nel verbale, e infatti una norma dice che nel verbale il giudice può riportate il comportamento della paesana. Quando abbiamo studiato le prove abbiamo detto che il nostro processo civile è governato dal principio di disponibilità della prova, i casi in cui il giudice assume d’ufficio una prova è rara. La testimonianza ha qualche scheggia di officiosità: ci sono delle ipotesi in cui il giudice può assumete una testimonianza d’ufficio: 1. Testimonianza de relato\de audito (testimonianza di riferimento) significa che se il testimone nel raccontare quello che sa dice che quello che racconta lo ha saputo dal racconto di un terzo, il giudice d’ufficio deve disporre l’escussione del testimone primario (che è la fonte immediata di conoscenza). Accanto a questa testimonianza de relato la giurisprudenza inserisce la testimonianza de relato ex parte: si riferisce ai casi in cui il testimone dice che sa delle cose perché le sono state raccontare da 87 La confessione essendo un mezzo di prova deve avere per oggetto fatti\accadimenti, e se non si riferisce a fatti ma a diritti non è più una confessione ma se una delle parti riconosce di dovere la somma non confessa, ma ex art 1988 compie ricognizione di debito, o anche detta promessa di adempimento. Questa ricognizione inverte l’onere della prova. Una volta che la dichiarazione confessoria è resa, è possibile fare marcia indietro solo in due casi: 1. Se la confessione è stata estorta con valenza 2. Frutto di un errore di fatto Evocano 2 dei 3 vizi del consenso in materia contrattuale, e la confessione ha qualche cosa a che fare con il tema del negozio giuridico. Se io ho confessato sapendo benissimo di affermare il falso, senza essere costretto, e non ero in errore, non posso revocare la confessione, la confessione fatta in modo contrario al vero senza violenza o errore non è rimuovibile dalla parte. Esiste l’interrogatorio formale che ha la funzione di provocare la confessione: si spera che la controparte dichiari qualche cosa di sfavorevole a se, si può avvicinare alla richiesta di escutere un testimone, in questo caso si chiede che la controparte dica qualcosa, è un mezzo di prova costituendo, e l’unica particolarità è che se la parte non si presenta a rendere l’interrogatorio formale o rifiuta di rispondere il giudice può trarre da questo silenzio una prova liberamente valutabile, non una prova legale. Qualche cosa di simile lo abbiamo visto nel giudizio di verificazione della sottoscrizione quando la parte rifiuta di firmare davanti al giudice. Per poter confessare bisogna avere la disponibilità del diritto rispetto al quale opera la confessione: la confessione ha un elemento volontaristico, ed è possibile solo con diritti disponibili. Si apre un dubbio per una tesi che dice che nelle controversie aventi per oggetto diritti indisponibili la confessione vale come prova valutabile dal giudice. Il giuramento della parte Il giuramento della parte è a differenza della confessione è una dichiarazione favorevole al parlate. Nel processo civile normalmente quello che dice a suo favore non ha valuta al di fuori di questa ipotesi. Il giuria metro l’italiano deve avere un iniziativa che non è della parte che vuole giurata, ma Dede essere un iniziativa altrui, non è un affidavit, una dichiarazione spontanea, nel nostro diritto l’iniziativa del diritto è o della controparte, e sarà un giuramento decisorio, o iniziativa del giudice: giuramento suppletorio. Questo strumento genera quasi sempre una prova legale, e il suo scopo è raggiungere una certezza piena e vincolate. A differenza degli altri mezzi di prova il giuramento sia decisorio che suppletorio sfugge a quelle preclusioni istruttorie di cui abbiamo parlato nella trattazione della causa. Il giuramento può essere disposto in qualsiasi momento senza limiti di tempo. Il giramento sfonda questi limiti. Il giuramento è una dichiarazione in cui la parte, sotto giuramento, ma con un evoluzione identica alla formula della dichiarazione testimoniale, la parte deve affermare cose a sé favorevole, sapendo che se dichiara il farlo va in contro alla reclusione prevista per la falsa testimonianza, anche se è una parte e non un testimone. Si deve immaginare che si ricorre al giuramento decisorio come un’ultima spiaggia: quando non ci sono altri mezzi di prova. Chi chiede al giudice di far giurare l’altra parte chiede che la controparte affermi un fatto a sé favorevole. A questo punto i se il giuramento ammette il giuramento la parte è in una situazione diversa dalla confessione, perché se si afferma il falso si va in contro alla reclusione fino ai 6 anni, ma è anche vero che se la parte che chiede di far giurare la controparte non ha prove è difficile che si scopra che era falso. Le possibilità sono 4: 90 1. Formo una prova legale a mio favore dicendo il falso 2. Giuro qualcosa che non mi è favorevole e formo una prova legale contro di me 3. Non compaio senza giustificato motivo o presentandomi sto silente: formo una prova legale contro di me (diverso rispetto all’interrogatorio formale, in cui il giudice ricava una prova liberamente VALUtabile) 4. Il giuramento decisorio ha la natura del boomerang, perché come alternativa lo può far rimbalzare ala parte che glie lo ha chiesto. Questo meccanismo del riferimento del giuramento decisorio è una cosa molto interessante, ed è quello che accomuna il giuramento alla sfida dei duellanti: è una giustificazione del suo valore probatorio perché chi propone un giuramento sa che deve essere pronto lui stesso a dover giurare. C’è solo un caso in cui il giuramento non può essere riferito: per poter validamente giurare su qualcosa serve che l’oggetto del giuramento deve essere conosciuto dalla parte. Ci possono essere dei fatti che sono a conoscenza solo della parte a cui viene chiesto di giurare, e questi non possono essere deferiti. Giuramento suppletorio È un mezzo espressione di potere inquisitorio, è un mezzo di prova esperibile dal giudice. Il presupposto su coi si fonda è che su un determinato fatto si sia raggiunta una prova non piena, immaginiamo che sui fatti da accertare ci sia il fatto Z, sono state assunte delle prove, ma non si è raggiunto un grado di convincimento che supera il grado del più probabile che non, e per superare l’ostato di dubbio il giudice può scegliere di far giurare la parte. La parte a cui è deferito il giuramento suppletorio (chiamato così perché si aggiunge ad altri mezzi di prova) ha le seguenti chances 1) 2) uguali al caso di prima 3) Il giuramento suppletorio però non è deferibile, quindi è importante nel momento in cui il giudice sceglie di usare questo strumento individuare la parte a cui deferire il giuramento. Il giudice ha un Ampia discrezionalità nello scegliere secondo la giurisprudenza. A cassazione indica come suggerimento 2 criteri: 1. Dovrebbe preferire la parte che è gravata dall’onere della prova 2. La parte che nel corso del processo gli è sembrata più sincera. 3. La parte che ha contribuito a dare più prova del fatto N.B: se il giudice non dispone il giuramento suppletorio è costretto a ritenere che il fatto non è accaduto, perché rispetto a quel fatto si è raggiunta una prova insufficiente e non lo può ritornerei provato. Giuramento estimatorio È una sottospecie del suppletorio perché è disposto dal giudice e riguarda l’ipotesi in cui è necessario accertare il valore di una cosa e non c’è altro modo per accertarlo. Il giudice invita la parte a giurare sul valore della cosa fissandogli un tetto massimo. 7.05.19 Cos’ come nella. Prova testimoniale ci sono dei limiti oggettivi, anche per il giuramento il CC all’art 2739 individua 4 casi nei quali il giuramento non è utilizzabile. 91 1. Giuramento su diritti indisponibili: stessa regola per la confessione, accenno al fatto che nel processo civile la verità è frutto della volontà delle parti, che possono confessare, contestare o giurare a condizione che il diritto sia disponibile. È vero che nel processo civile la verità concorre con altri valori usando il diritto che si fa valere è disponibile, quando c’è un interesse pubblico la disponibilità non c’è 2. Per smentire un fatto che il PU ha dichiarato con un’efficacia probatoria piena in atto pubblico. (Cfr: atto pubblico e altri atti provenienti da PU fanno prova legale di quanto io PU afferma essere stato detto in sua presenza. Non è possibile il giuramento perché l’unico strumento per abbattere l’atto pubblico è la querela di falso, non si può aggirarla 3. Non si può provare con giuramento la conclusione di un contratto per cui la legge richiede per la validità la forma scritta. Ricorderemo che una regola analoga c’è in tema di prova testimoniale, ma in quel caso c’è un’eccezione: la perdita incolpevole del documento. A proposito del giuramento questa regola non è presente nel codice, ma per analogia si applica anche qui questa eccezione. Bisogna che il giuramento abbia a che fare non con la conclusione in forma orale del contratto, ma deve essere dimostrato che il contratto è stato fatto e attraverso il giuramento si prova la conclusione del contratto. 4. Impossibilità di giurare su fatto illecito: origine della regola molto singolare. Nel primo codice unitario la regola era che non era possibile giurare su un fatto che rappresenti un illecito penale. Perché si voleva evitare il fatto che se il giurante dicesse la verità riconosce di aver commesso un illecito penale, se mente si salva dall’illecito penale ma commette un illecito penale del falso giuramento della parte: in ogni caso il giurante sarebbe uscito in manette. Questa regola nel codice del 40 si è sfilacciata, perché il divieto riguarda il fatto illecito anche civile, per esempio nelle controversie aventi ad oggetto l’illecito aquiliano non si può invitare la parte a giurare. Ricorderemo che per regola generale anche nelle controversie con tribunale collegiale la decisione sulla rilevanza dei mezzi di prova è intanto presa con ordinanza dal giudice istruttore (la trattazione della causa è monocratica, e in prima battuta è lui che decide se ammettere le prove) per il giuramento la regola è diversa: se sorgono contestazioni sulla rilevanza del mezzo di prova non può risolverle il giudice istruttore ma deve rimettere la decisione al collegio, nelle cause di tribunale collegiale. Il giuramento forma sempre una prova legale salvo che in un caso: quello in cui la causa è caratterizzata dal litisconsorzio necessario e uno solo dei litisconsorti giura (cfr. regola confessione, che è mezzo di prova liberamente valutabile). Riguardo la scoperta del falso giuramento: è un’ipotesi poco frequente, supponiamo che la parte giura a suo favore, vince la causa in funzione del giuramento, poi si scopre che ha mentito e viene condannata penalmente per falso giuramento. Dovremmo dire che la sentenza civile che si fonda sul falso giuramento è impugnabile e annullabile in sede di impugnazione, questo è vero perché esiste un mezzo di impugnazione che è la revocazione che ha tra i motivi per essere proposta la scoperta della falsità della prova. Il giuramento ha una regola eccezionale: anche se si scopre che il giuramento fu falso e il falso giurante viene condannato, la sentenza non può essere riformata in sede di impugnazione, l’unico strumento che ha chi ha perso la causa è il risarcimento del danno. In via generale la sentenza che si fonda su una prova falsa è una sentenza che può essere demolita, ma la sentenza che si fonda sul falso giuramento non può essere demolita ma solo fonte di risarcimento del danno. Ispezione giudiziale 92 giurisdizione e accoglie la domanda dell’attore. Ecco perché le parti devono precisare le conclusioni su tutto, perché su tutto il giudice sarà libero di decidere. C’è solo un eccezione a questa regola che è relativa alla querela di falso, che è il procedimento in cui si afferma o si nega che ci sia un falso documentale, e anche questa deve essere decisa con sentenza, ma il giudice può scegliere di decidere sulla sola querela di falso e separandola da tutto il resto: se attiva la decisione solo sulla querela di falso le parti precisano le conclusioni solo su questo aspetto e la sentenza avrà ad oggetto solo questo argomenti. In ogni altro caso la precisazione è sempre su tutto. Una volta che ci sono state presentate le precisazioni delle conclusioni (NB il tribunale anche quando opera collegialmente si fa ancora davanti alla persona del giudice istruttore) parte una serie di attività che prima che essere del giudice sono attività delle parti, e sono attività in cui le parti esprimono per l’ultima volta le loro difese allora qui il modo in cui le parti si difendono per l’ultima volta varia a seconda che ci troviamo dinnanzi al tribunale che opera collegialmente oppure al tribunale monocratico o al giudice di pace, e varia ancora dinnanzi al rito del lavoro. Vediamo le ipotesi del tribunale monocratico (in cui il giudice istruttore è quello che decide da solo la causa) abbiamo 3 modalità possibili: 1. Fase decisoria integralmente scritta 2. Fase decisoria mista 3. Fase decisoria integralmente orale La fase integralmente scritta Entro 60 gg dall’udienza di precisazione le parti possono depositare una comparsa conclusionale, se nell’udienza di precisazione delle conclusioni le parti si limitano a dire cose stringate, qui motivano tutti i loro assunti e difese. La comparsa conclusionale è il luogo in cui l’abilità dell’avvocato si esprime nel modo più compiuto, può fare sfoggio di cultura giuridica. Nei 20 gg successivi al termine di deposito delle conclusionali ciascuna parte può depositare una memoria di replica (altro scritto difensivo in cui rispetto a quanto ha detto nella conclusionale l’avvocato avversario si fanno ulteriori osservazioni) NB: non è obbligatorio depositare le comparse conclusionali o le repliche, sono facoltà difensive date alle parti, e se la parte non le presenta non è determinante La parte che non deposita la comparsa conclusionale può depositare la replica? Il presupposto del potere di replica è aver depositato la propria comparsa e quindi poi aggiungere cose con la replica o il presupposto è che l’altra parte abbia depositato una comparsa conclusionale? La seconda è quella giusta. Il giudice dopo di che fa la sentenza e la redige in forma scritta. In questa prima modalità di decisione della causa davanti al tribunale in funzione monocratica tutto è scritto. Seconda modalità: se nell’udienza di precisazione delle conclusioni almeno una delle parti lo chiede il giudice può disporre la fase decisoria mista. C’è l’UPC, ci sono le conclusionali scritte, non ci sono le repliche e al loro posto c’è un’udienza di discussione e poi la sentenza viene redatta per iscritto. L’unica variatio è che al posto delle repliche c’è un’udienza. L’udienza va chiesta al momento dell’UPC. Terza modalità: qui è il giudice che sceglie la modalità, non serve che ci sia la richiesta della parte, allora non ci sono conclusionali, non ci sono repliche, ma le difese delle parti si fanno tutte in udienza, o nella stessa udienza di precisazione delle conclusioni o in un udienza ad hoc. NB: se il giudice sceglie questa modalità fa parlare gli avvocati ma lui stesso si carica di un’incombente molto particolare: terminata la discussione degli avvocati, nella stessa udienza che può essere anche alle 8 di sera, deve leggere la sentenza nel suo insieme (dispositivo + motivazione). Ecco perché si chiama integralmente orale. La sentenza esce nella stessa giornata d’udienza, poi la sentenza viene depositata in cancelleria. I giudici scelgono questa modalità quando ritengono che la causa sia semplice, e se la motivazione è snella scelgono questo modo. 95 tribunale che opera collegialmente Abbiamo le stesse 3 cadenze, ma mentre la prima e la terza sono identiche, la seconda mista ha una particolarità: l’udienza di discussione non prende il posto delle repliche, ma si aggiunge ad esse. Quando il tribunale è collegiale e si sceglie la mista la cadenza è più articolata, perché dopo le repliche c’è l’udienza di discussione. In questa circostanza la discussione è fatta davanti al collegio, che è già un momento di fase decisoria. Dinnanzi al solo giudice istruttore si fa l’udienza di precisazione delle conclusioni. NB: siccome la forma mista anche qui il giudice la adotta su istanza di parte, l’istanza viene fatta due volte, e dentro il termine delle memorie di replica, questo perché il legislatore ragiona pensando che la parte che ha chiesto l’udienza di precisazione quando ha fatto le conclusionali e ha visto le repliche magari si rende conto che non è necessario aggiungere nulla, l’udienza deve aggiungere delle cose che non si sono potute scrivere. Il caso classico è il caso in materia di marchi, brevetti o concorrenza sleale. Ad esempio, questa sarebbe l’occasione per rendere palese la somiglianza tra prodotti. Davanti al giudice di pace C’è una sola modalità: non ci sono conclusionali e repliche, si parla solo (verbale) ma il giudice di pace non legge la sentenza, la deposita successivamente, l’immediatezza in questo caso manca, e questo perché il giudice di pace è un giudice onorario, non è professionale e il legislatore non ritiene che egli non sia in grado di redigere la sentenza ‘al volo’. Il ruolo del giudice Il tribunale collegiale Finalmente tutto quello che era stato fatto dal giudice istruttore vede l’affiancamento di altri due magistrati. Il collegio deve decidere la causa, e per fare questo deve deliberare sulle singole questioni che pone la causa, e dunque si ritira in camera di consiglio, nella segretezza, in cui partecipano: Il giudice istruttore, il presidente del tribunale, e un terzo giudice che è il giudice a latere. Di tutte queste persone a sapere le cose veramente è il giudice istruttore che ha seguito la trattazione della causa, gli altri due possono leggere i fascicoli. Dopo di che si individuano le questioni e il codice dice che esse sono messe in ordine logico: prima le questioni processuali e poi le questioni di merito (c’è interesse ad agire? C’è competenza? C’è giurisdizione? C’è prescrizione?) ma si tenga presente che a questa regola dell’ordine logico (e non è sempre così facile da ricostruire) gioca il criterio della ragione più liquida. Il criterio della ragione più liquida che cos’è? Per accogliere una domanda devono esserci tutti i fatti costitutivi, e nessun fatto impedititvo estintivo o modificativo. Per respingere una domanda basta che manchi un fatto costitutivo o che ci sia un fatto modificativo, un fatto estintivo o un fatto impeditivo. Se balza all’evidenza che c’è un fatto estintivo è inutile valutare tutto quello che ipoteticamente sta prima, perché anche se per logica ci sono delle questioni precedenti magari costitutive, è molto appetibile bypassare questo passaggio, davanti ad una tale evidenza. Su ciascuna questione si vota, l’astensione non è un opzione. Vota prima il giudice istruttore, poi il giudice a latere e poi il presidente. Si forma una maggioranza inevitabilmente. Dopo che si è fatta la votazione su tutte le questioni si stende un dispositivo di sentenza interno: non ha rilievo per le parti o al di fuori della camera di consiglio. Ora bisogna scrivere la motivazione della sentenza. Il legislatore non prevede che la scrivano tutti e 3, ma la scrive uno solo, e a scegliere chi deve redigere la motivazione è il presidente, la motivazione di solito viene affidata al giudice istruttore, salvo che il presidente ritenta di affidarla ad un altro giudice o a sé stesso, e la ragione principale e è quando il giudice istruttore è messo in minoranza. È inopportuno far scrivere la motivazione ad un soggetto che la pensa diversamente: potrebbe scrivere una motivazione debole perché non è convinto. Il dispositivo firmato è meramente interno perché può accadere che quando il giudice istruttore scrive la motivazione si rende conto che questo avevano discusso ci si era dimenticati di discutere una cosa molto importante, o ancora mentre scrive la motivazione cambia la legge o c’è una sentenza della cc. Allora nulla 96 impedisce che il collegio deliberi nuovamente in modo diverso perché quella originaria non era ancora una cosa definitiva e formale. Era un progetto di decisione. Quando la motivazione è scritta viene portata dal giudice che l’ha redatta dal presidente che firma la sentenza insieme a chi l’ha scritta. Le firme quindi saranno due, e potrebbe averne una sola quando il presidente è chi ha scritto la motivazione. Una volta scritta e firmata viene portata al cancelliere, che a sua volta la firma, e nel momento in cui la sentenza è firmata anche dal cancelliere la sentenza è partorita. Da questo momento (detto di pubblicazione) la sentenza risolve la controversia tra le parti ed è disponibile a qualsiasi cittadino. Molto più semplice è cosa accade se la decisione è monocratica: quando è uno solo il giudice, quello istruttore, non c’è bisogno della riunione in camera di consiglio, il giudice pensa, scrive e firma la sentenza poi la da al cancelliere e con la firma di quest’ultimo la sentenza viene ad esistere. Precisiamo che quando la trattazione è tutta scritta o mista il tempo per pubblicare la sentenza è un tempo di 30 gg (con tribunale monocratico) dall’ultimo momento difensivo, se è collegiale il termine è 60 gg. Quindi c’è un diaframma cronologico per scrivere la sentenza. Diversamente se la modalità è orale allora il diaframma non c’è, va letta con immediatezza, anche quando è collegiale. Non è detto che attivata la fase decisoria venga pronunciata la sentenza, magari o il giudice singolo, o il giudice collegiale, nel momento di deliberare si rendono conto che c’è qualche cosa che impedisce il pronunciare della sentenza. Gli esempi possono essere tanti, tipo: Il giudice istruttore aveva ritenuto che le prove che richiedevano le parti non fossero ammissibili (la causa non aveva ricevuto istruzione). Ma poi gli altri giudici del collegio dissentono della sua opinione, perché ritengono che invece le prove fossero ammissibili. Allora non si fa una sentenza, ma una semplice ordinanza in cui si dice che si ammettono le prove, e questo è possibile perché le ordinanze, e quelle sulle prove sono ordinanza, sono sempre revocabili. Fino a che la causa non è decisa si può tronare sui suoi passi, in caso di ordinanza, e non è possibile quando c’è già stata una sentenza non definitiva. Se c’è sentenza essa può essere definitiva o non definitiva. Gli esempi di sentenze non definitive sono: c’è la giurisdizione e bisogna che il processo prosegua. In questi casi la sentenza si aggancia ad un ordinanza: con la sentenza si decide sulla questione idonea a definire il giudizio, e con l’ordinanza si danno le disposizioni per la prosecuzione del processo. È necessario operare una distinzione tra le sentenze non definitive: • Su domande: attribuiscono ad una parte una utilità concretamente apprezzabile • Su questioni\mere questioni: non TTRIBUISCONO AD UNA PARTE UNA Utilità CONCRETAMENTE APPREZZABILE Il regime delle impugnazioni è una differenza che c’è tra queste due ipotesi nell’ambito delle impugnazioni di sentenze non definitive. Quando nel processo sono cumulate più domande (o perché l’attore ne formula più di una, o c’è una riconvenzionale, o una domanda di un terzo) la regola è che tutte le domande vengono decise insieme, ma se per alcune domande si è in grado di decidere, mentre sulle altre no, il giudice può spezzare la decisione, ovvero decidere quelle mature e continuare l’istruzione per le altre. Ovviamene la sentenza non definitiva sulle domande mature è una sentenza non definitiva su domande perché attribuisce il bene della vita. 8.05.19 Le sentenze non definitive si articolano quindi in due classi, su domande (utilità concreta al vittorioso) e sentenze su questioni (il giudice risolve una questione preliminare di diritto o pregiudiziale di merito) impregiudicato il successivo trattamento di altre questioni. Esisterebbe poi una terza categoria che è quella delle cosiddette ‘parzialmente definitive’. Queste sono su domanda, ma a seguito della decisone della domanda separano il processo che prosegue sule altre domande. Ad esempio, quando si formulano più domande dalla stessa perte contro la stessa perte, ai fini del valore le domande si sommano. Ad esempio: domanda 1 del valore di 500000 euro e do da due da 1000 euro, allora entrambe vanno al tribunale, il giudice decide in quattro matura per la decisione la domanda da 50 mila euro, e per quella da 1000 decide che si stacca la causa e viene rimessa alla 97
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