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Procedura Civile Balena 1, Dispense di Diritto Processuale Civile

Dispense riassuntive ultima edizione balena

Tipologia: Dispense

2019/2020
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Caricato il 05/04/2020

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mario-schena-1 🇮🇹

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Scarica Procedura Civile Balena 1 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Pagina 1 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 CAPITOLO I - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE E GIURISDIZIONE Diritto processuale = branca del diritto che disciplina l’insieme dei procedimenti attraverso i quali si esercita la giurisdizione, che costituisce una delle funzioni essenziali dello stato, accanto a quella amministrativa e legislativa. Mentre è facile cogliere la differenza tra l’attività giurisdizionale e quella legislativa(che consiste nella posizione di norme generali e astratte) , assai meno semplice è definire il proprium della funzione amministrativa - che costituisce anch’essa attività di applicazione della legge. Lo stesso codice di procedura civile che costituisce la fonte normativa più importante per la materia, riconduce alla giurisdizione due fenomeni decisamente eterogenei: - GIURISDIZIONE CONTENZIONSA - GIURISDIZIONE VOLONTARIA (assai prossima dal punto di vista funzionale - all’attività tipica dello stato- amministrazione) . Se ci si ferma ai profili meramente oggettivi, l’attività giurisdizionale mal si presta ad una ricostruzione unitaria e per altro verso può apparire assai prossima a quella amministrativa. Sembra preferibile pertanto privilegiare l’aspetto soggettivo, rinunciando ad una nozione ontologica della giurisdizione, e considerando tale l’attività che il legislatore ha mostrato di reputare giurisdizionale, ossia l’attività che promana dal GIUDICE ( da intendersi, non già come persona fisica ma come ufficio giudiziario) e che perciò si estrinseca in forme tipiche ed è assistita da determinate garanzie procedimentali. Il criterio soggettivo, che del resto trova un puntuale fondamento positivo nella Costituzione -> art. 102 - secondo cui la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dallo norme sull’ordinamento giudiziario. Ciò esclude che possa reputarsi di per sé giurisdizionale un’attività che romani da un organo non appartenente alla magistratura. Ciò non significa che ogni atto o provvedimento ascrivibile ad un ufficio giudiziario abbia sempre e comunque natura giurisdizionale - al contrario è ben possibile e frequente che alcuni organi cumulino in sé funzioni giurisdizionali e funzioni in tutto e per tutto amministrative -> è il caso del presidente del Tribunale - investito di compiti giurisdizionali, ma che al contempo esercito svariate attività di amministrazione pura, in materia di direzione e organizzazione dell’ufficio.Tali attività si esplicano attraverso provvedimenti riferibili e imputabili allo stato amministrazione (si pensi a quelli concernenti l’assegnazione dei magistrati all’ufficio) e sono soggetti di conseguenza ai rimedi giurisdizionali tipici degli atti amministrativi. Per questo aspetto il criterio soggettivo non può non integrarsi con quello oggettivo. GIURISDIZIONE CONTENZIOSA -> l’obiettivo tipico ed essenziale dell’attività giurisdizionale è quello du assicurare l’attuazione del diritto sostanziale, allorché ciò si renda necessario per il sorgere di un conflitto intersoggettivo. Il diritto sostanziale attribuisce posizioni giuridiche di vantaggio, altrimenti dette situazioni giuridiche attive = diritti, poteri , facoltà) e corrispondenti posizioni di svantaggio ( situazioni giuridiche passive = doveri, obblighi, soggezione, oneri9 in presenza di determinati presupposti di fatto. Nella maggior parte dei casi questa regolamentazione per così dire statica, è sufficiente a governare la realtà giuridica e a risolvere ogni possibile conflitto d’interessi, poiché il titolare del diritto (della diversa situazione giuridica attiva) riesce Pagina 2 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 comunque a realizzare il cornetto vantaggio assicuratogli dal diritto sostanziale grazie al comportamento del soggetto obbligato. In un certo numero di situazioni, questo non avviene, vuoi perché sorge contrasto tra le parti circa l’applicazione ella norma sostanziale, vuoi perché si verifica quella che in dottrina è stata efficacemente definita come una “crisi di cooperazione” da parte del soggetto obbligato, che omette di tenere quel dovuto comportamento positivo o negativo, che sarebbe necessario per realizzare l’interesse del titolare del diritto. Allorchè si verifichi la suddetta “crisi”, il conflitto di interessi diviene concreto ed effettivo, ma ciò non esclude che le parti riescano a comporlo autonomamente, utilizzando strumenti di diritto sostanziale -> in questi casi, si badi, l’ordinamento resta estraneo all’eventuale sorgere del conflitto, come pure al modo in cui le parti ritengano eventualmente di comporlo, soprattuto perché gli interessi coinvolti sono di natura essenzialmente privatistica, sicché sono solo le parti, in via di principio, a poterne invocare la tutela. LA GIURISDIZIONE INTERVIENE INVECE ALLORCHè, ESSENDO INSORTO UN CONFLITTO, IL TITOLARE DEL DIRITO NE LAMENTI LA LESIONE E CHIEDA ALL’ORDINAM ENTO DI ASSICURARGLI LA SODDISFAZIONE DEL PROPRIO INTERESSE, E CIOè IL CONSEGUIMENTO DELLA CONCRETA POSIZIONE DI VANTAGGIO O UTILITà CHE IL DIRITTO SOSTANZIALE GLI RICONOSCE, FACENDO A MENO DELLA COOPERAZIONE DEL SOGGETTO OBBLIGATO.-> In tale situazione si rende necessario il ricorso al processo, nel quale il giudice - ossia un organo pubblico del quale l’ordinamento garantisce una posizione di autonomia, indipendenza e imparzialità - è chiamato in primo luogo ad accettare l’esistenza del diritto di cui viene lamentata la lesione, attraverso: - la verifica dei presupposti ai quali la norma normalmente subordina il sorgere del medesimo - + successivamente assicurare che il diritto stesso, riconosciuto esistente, possa essere attuato CONTRO la volontà del soggetto che l’aveva letto. La giurisdizione fin qui considerata, è detta contenziosa poiché presuppone l’esistenza di un conflitto interrogativo ed ha come obiettivo la RISOLUZIONE E LA COMPOSIZIONE IN VIA AUTORITARIA del conflitto stesso, o della “lite” per adoperare una terminologia che risale a CARNELUTTI. Si può tranquillamente ammettere che il processo, nel quale si esercita l’attività giurisdizionale, serve normalmente a tutelare i diritti sostanziali (così suggerisce l’art. 2097 c.c. -> “Alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria …” ) e ad assicurarne l’attuazione in via sostitutiva. Se prendessimo alla lettera tale definizione ne dovremmo dedurre che, esso non consegue il proprio scopo ogni qual volta il giudice, alla fine accerti l’insistenza del diritto azionato e reputando infondata la pretesa, rigetti la domanda. Esasperando la concezione “pubblicistica” del processo, si confonde lo scopo con il mezzo = il processo non fallisce il proprio obiettivo allorquando si esaurisce senza pervenire ad una decisione, perché ad esempio le parte sino addivenute, strada facendo ad un accordo. Anche in questa frequentissima ipotesi infatti, l’attività giurisdizionale consegue pur sempre il risultato di condurre ad un autoassoluzione del conflitto e pertanto deve Pagina 5 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 ben consapevole della difficoltà di assicurarne la pratica attuazione attraverso il procedimento a cognizione piena, che sortirebbe effetti con troppo ritardo rispetto al verificarsi della violazione del diritto -> qui la scelta di prendere con l’art. 28 dello stesso Statuto, uno speciale ed autonomo procedimento per la repressione della condotta antisidacale o lesiva del diritto di sciopero, caratterizzato da una cognizione tipicamente sommaria e destinato a congressi, almeno nella sua prima fase in tempi brevissimi. In realtà la tutela differenziata non è un invenzione della dottrina o una novità - giacché tutti gli ordinamenti moderni conoscono una pluralità di modelli processuali destinati a favorire l’attuazione di talune specifiche situazioni soggettive. Quello che cambia, con il passare del tempo è la gerarchia di interessi e valori che guidano il legislatore sostanziale e processuale: sicché mentre nel codice trovano particolare attenzione taluni diritti cui era più sensibile lo stato liberale, negli ultimi decenni sono prepotentemente emerse nella legislazione processuale, l’esigenza di tutela del lavoratore dipendente e di altri soggetti considerati più deboli, quali ad esempio il consumatore. TALE DIVERSIFICAZIONE DELGI STRUMENTI PROCESSUALI, DUNQUE è DI PER Sè DEL TUTTO LEGITTIMA - sebbene poi fare i conti con il principio di eguaglianza consacrato all’art.3.2. Cost che impone di valutare la ragionevolezza del trattamento processuale differenziato, e per altri versi con il principio di parità delle armi tra le parti, consacrato oggi nel riformato art. 111 al c.2. GIURISDIZIONE VOLONTARIA -> Alla giurisdizione contenziosa si è soliti contrapporre la g. volontaria, che deve tale appellativo alla circostanza che, in passato essa si esercitava esclusivamente “inter volente” cioè in assenza di un qualsivoglia contrasto tra le parti. In realtà ciò che contraddistingue oggi tale forma di giurisdizione è la sua peculiare funzione: (essa, stando all’opinione prevalente, non mira a risolvere o comunque comporre un conflitto tra diritti) bensì a tutelare gli interessi di determinati soggetti privati siano esse persone fisiche o entità diverse. Il campo della giurisdizione volontaria è dunque assai vasto ed abbraccia settori piuttosto eterogenei, poiché riguarda in definitiva, tutte le ipotesi il cui il processo non ha ad oggetto, un diritto o uno status -> si pensi alla nomina del curatore dello scomparso o ancora agli svariati provvedimenti nell’interesse di minori, interdetti e inabilitati (= risoluzione dei contrasti insorti tra genitori esercenti la potestà, nomina e sostituzione del rappresentante legale). In tutti questi casi il giudice è chiamato a valutare le misure e le soluzioni più idonee a tutelare gli interessi di un soggetto, ed il suo provvedimento può in vario modo condizionare e\o integrare la capacità di quest’ultimo, con immediati riflessi anche nei confronti dei terzi che intreccino con lui rapporti giuridici. Si è dunque in presenza di funzioni giurisdizionali non necessarie, al punto di vista costituzionale, giacché potrebbero essere ben attribuite dalla legge a soggetti privati, oppure ad una pubblica amministrazione. E’ solo per ragioni di opportunità che il legislatore le affida al giudice, prevedendo altresì che vengano svolte secondo forme procedimenti proprie della giurisd. Pagina 6 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Talora le differenze tra g. volontaria e g. contenziosa è particolarmente evidente, giacché il relativo procedimento, non essendo individuabile almeno a priori una parte controinteressata , ha una struttura unilaterale. ES. Si pensi al caso in cui il tutore chieda l’autorizzazione al compimento di un atto di straordinaria amministrazione riguardante il patrimonio del minore. Il più delle volte, peraltro, anche il procedimento di volontaria giurisdizione ha una struttura bilaterale o plurilaterale, che prevede parti almeno potenzialmente contrapposte. E in alcuni di questi casi, allora, la linea di demarcazione è ben più sfumata e incerta, soprattuto quando il provvedimento del giudice potrebbe incidere o comunque riflettersi negativamente su veri e propri diritti soggettivi o status. Si è sostenuto in realtà, che la giurisdizione volontaria, al pari di quella quella contenziosa, avrebbe sempre ad oggetto un diritto sogg. o uno status, ma che lo stesso sarebbe conosciuto dl giudice solo per un “segmento”, ovvero limitatamente ad un potere o una facoltà del suo titolare, il cui esercizio è potenzialmente configgente con interessi pubblici o superindividuali con i quali dev’essere contemperato. Un altro fattore di possibile confusione, deriva dalla circostanza che, sebbene la giurisdizione volontaria sia legata, tradizionalmente ad una forma particolare di procedimento = quello in CAMERA DI CONSIGLIO (art. 737 e ss.) non di rado il legislatore ha prescritto l’adozione totale o parziale, di questo rito, piuttosto semplificato rispetto a quello ordinario, per la trattazione di controversie che apppartengono indiscutibilmente al ettore della giurisdizione contenziosa, avendo direttamente ad oggetto diritti o status. CAPITOLO II - GIURISDIZIONE CONTENZIOSA Nell’ ambito della giurisdizione contenziosa, dal punto di vista funzionale, bisogna distinguere tra 3 diversi tipi di tutela: 1- TUTELA COGNITIVA -> mira fondamentalmente a conseguire certezza in ordine all’esistenza o inesistenza di un diritto o di un’altra situazione giuridica attiva che l’attore vanti nei confronti del convenuto + nonché a determinare, sulla base di tale accertamento, l’obbligo che gravi in capo al convenuto o le modificazioni giuridiche chieste dall’attore e destinate a prodursi anche nella sfera giuridica del convenuto. 2- TUTELA ESECUTIVA -> diretta a conseguire l’attuazione forzata e dunque l’effettiva soddisfazione del diritto ( che è già stato accertato attraverso il preventivo esercizio della tutela cognitiva, o risultante da un titolo esecutivo formatosi al di fuori del processo,) nell’ipotesi in cui manchi la collaborazione del soggetto obbligato 3- TUTELA CAUTELARE -> a) strumentale alle prime due, nel senso che serve ad assicurarne l’utile e proficuo esercizio b) tendenzialmente provvisoria, giacché è destinata a durare per il tempo Pagina 7 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 strettamente necessario a portare a compimento il processo di cognizione ed eventualmente ad avviare il processo esecutivo 1) TUTELA COGNITIVA Come già detto questa ha l’obiettivo minimo ed essenziale quello di fare certezza relativamente all’esistenza e al modo di essere del diritto o comunque del rapporto giuridico controverso. In base all’art. 2909 c.c. : l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato “FA STATO” ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o i loro aventi causa. per sentenza “passata in giudicato”, s’intende quella che ha raggiunto un considerevole grado di stabilità, in quanto non è più soggetta alle impugnazioni “ordinarie”, bensì soltanto a quelle “straordinarie” previste in ipotesi particolari. In vrtù di tale relativa stabilità, il legislatore ricollega alla sentenza passata in giudicato l’attitudine a fare stato relativamente all’esistenza o inesistenza, nonché al modo di essere del rapporto oggetto del giudizio - nel senso che da quel momento in poi è alla sentenza che dovrà aversi riguardo per la concerta regolamentazione del rapporto controverso, e tale regolamentazione non potrà rimettersi in discussione in alcun altro giudizio, se non per fatti successivi alla formazione del giudicato. In proposito si suol dire che: IL GIUDICATO COPRE IL DEDOTTO E IL DEDUCIBILE = esso esclude la possibilità di far valere, in un altro e successivo processo non soltanto le ragioni o contestazioni dedotte nel primo giudizio e disattese dal giudice ma anche quelle che, pur essendo già attuali, non siano state fatte valere in quella sede. La sent. passata in giudicato “fotografa” il rapporto controverso con rifermento ad un determinato momento , ed è proprio da ciò che deriva la certezza che costituisce l’obiettivo essenziale della tutela cognitiva -> la tutela cognitiva è preordinata (normalmente) alla pronuncia di un provvedimento idoneo al giudicato sostanziale, ossia a produrre l’effetto di accertamento di cui discorre l’art. 2909 c.c. La t. cognitiva può esercitarsi in diverse forme e modi: la prima distinzione riguarda l’estensione e la profondità (ossia l’accuratezza) dell’accertamento cui essa conduce. Si parla di : a) cognizione ordinaria -> come sinonimo di cognizione piena ed esauriente, con riferimento a tutti i processi che, caratterizzati da un complesso di garanzie, fanno sì che la decisione sia fornita nel massimo grado di affidabilità e attendibilità; affinché le si possa attribuire l’”autorità” di cosa giudicata ai s. del 2909 c.c.. Tali garanzie attengono all’attività delle parti, rispetto alle quali mirano a garantire la piena realizzazione del principio del contraddittorio, e all’attività del giudice (cui dovrebbero consentire l’approfondita conoscenza di tutti i fatti rilevanti per la decisione) e comprendono un congruo sistema di impugnazioni contro eventuali errori dello stesso giudice. b) cognizione sommaria -> è quella che, rispetto a uno o + dei profili indicati, non Pagina 10 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 la cognizione cautelare, intrinsecamente superficiale, contrapponendola per ciò alla cognizione ordinaria, in quanto piena ed esauriente 2) PERICULUM IN MORA -> essa sta ad indicare che la misura cautelare presuppone una situazione di pericolo per il diritto tutelato. Tale pericolo, che può essere variamente definito e specificato, in relazione ai ai singoli provvedimenti cautelari, può derivare: a) dalla possibilità che nel tempo occorrente per portare a compimento il processo di cognizione e\o di esecuzione, la situazione di fatto venga alterata o modificata in modo irreversibile, sì da pregiudicare la successiva attuazione coattiva del diritto (si pensi all’eventualità che il bene oggetto di rivendica possa andare distrutto) -> a questo tipo di preiculum rispondono le misure cautelari conservative = dirette a cristallizzare la situazione per evitare che la realizzazione del diritto divenga di fatto impossibile b) dalla possibilità che, tenuto conto della natura e della funzione del diritto da tutelare, la sua soddisfazione tardiva risulti inutile o comunque scarsamente utile per il creditore, o comunque arrechi a quest’ultimo un danno non completamente rimediabile ex post (ipotesi : protrarsi dello stato di insoddisfazione del diritto) -> in questo caso si potrà ricorrere ai più incisivi provvedimenti cautelari di tipo anticipatorio = che sono in grado di produrre effetti in tutto o in parte analoghi a quelli che deriverebbero da da una sentenza di accoglimento della domanda , in tal modo anticipando, sempre provvisoriamente, il risultato che il titolare del diritto può sperare di conseguire al termine del futuro processo di cognizione e di esecuzione. NB: la provvisorietà dei provvedimenti cautelari anticipatori è considerevolmente diversa e più tenue rispetto a quella delle misure conservative, poiché essi, analogamente ai provvedimenti anticipatori non cautelari, conservano intatta la propria efficacia , a tempo indeterminato indipendentemente dall’instaurazione o dalla prosecuzione del processo a cognizione piena, e fino al momento in cui eventualmente sopraggiunga una sentenza che accerti l’inesistenza del diritto oggetto della tutela sommaria. Per quanto attiene al convincimento che il giudice deve conseguire , prima di accogliere la domanda cautelare, appare preferibile accogliere l’opinione dottrinale che che afferma che lo stesso non è qualitativamente diverso rispetto a quello che gli sarebbe richiesto nel processo a cognizione piena - specie se la domanda cautelare riguarda un provv. anticipatori, di per sé particolarmente invasivo - sciocche la sommarietà deriva ( non tanto dal fatto che il giudice non sia tenuto ad “accertare” l’esistenza del diritto tutelato, limitandosi ad un giudizio di probabilità, verosimiglianza o addirittura di non manifesta infondatezza della domanda - così come affermato da definizioni tradizionali) piuttosto dalla necessità di provvedere in tempi ASSAI BREVI. E’ IL CASO DI AGGIUNGERE CHE LA SOMMARIETà Può RIGUARDARE ESCLUSIVAMENTE L’ACCERTAMENTO DEI FATTI = giacchè, per quel che concerne la fondatezza della domanda in iure, la posizione del giudice del Pagina 11 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 procedimento cautelare non differisce in alcun modo da quella del giudice del processo a cognizione piena, essendo anch’egli tenuto a risolvere con eguale ponderazione ogni questione giuridica dalla quale dipenda l’esistenza o l’inesistenza del diritto controverso. LE AZIONI DI COGNIZIONE E LE SENTENZE CUI CONDUCONO: (SEZ II CAPITOLO II) La classificazione delle azioni di cognizione si fonda essenzialmente sul tipo di pronuncia che l’attore chiede al giudice. e per questo profilo si distinguono dunque: - azioni di mero accertamento = Mira esclusivamente a fare certezza circa l’esistenza e il modo di essere di un determinato rapporto giuridico (azione di accertamento positivo), oppure circa l’inesistenza di un diritto da altri vantato, che si assume non essere mai sorto oppure essersi comunque distinto (azione di accertamento negativo). Sebbene la tutela cognitiva miri fondamentalmente a conseguire certezza in ordine al diritto controverso, non esiste alcuna disposizione che preveda, in termini generali, la possibilità di proporre un’azione di mero accertamento, e cioè che sia limitata a questo unico obiettivo. Vi sono invece nel codice civile, norme da cui è possibile dedurre la possibilità di proporre un’azione di questo tipo in ipotesi specifiche - concernenti i mero accertamento positivo o negativo, di diritti reali. (Es. Art. 1079 - actio confessoria \ Art. 948 - actio negatoria servitutis \ Art. 2653 c.1. n.1 - che menziona genericamente le domande di accertamento della proprietà ed altri diritti reali di godimento) Ciò spiega come mai in dottrina sia molto dibattuto il problema dei limiti all’azione di accertamento: • non sembrano sorgere particolari dubbi in relazione ai diritti reali ed assoluti in genere -> poiché ad essi corrisponde, dal lato passivo, un generico dovere di astensione dell’intera collettività • ben più controversa è l’ammissibilità del mero accertamento di diritti relativi , aventi cioè ad oggetto una specifica prestazione da parte di un soggetto determinato. Per questi ultimi, pericolosamente discussa è la configurabilità dell’azione di accertamento negativo , tenuto conto che quando l’attore chiede, ad es., di accertare l’inesistenza di un credito vantano dal convenuto nei suo confRonti, non è affatto chiaro quale sia il diritto ch’egli fa valere in giudizio. A questo atteggiamento di cautela della dottrina fa riscontro, invece, una notevole disinvoltura della giurisprudenza, la quale non sembra porsi dubbi circa la generale ammissibilità dell’azione di mero accertamento, positivo negativo che sia, poiché: a. in alcune situazioni l’azione di m.a. è l’unica forma di tutela concretamente praticabile o comunque idonea a rimuovere una situazione di incertezza - concernente l’esistenza o il contenuto del diritto dell’attore, o per converso di un suo obbligo verso un altro soggetto - che sia fonte di danno o nocumento per attore stesso b. ogni sentenza che rigetta la domanda - quale che ne sia l’oggetto, Pagina 12 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 eccezion fatta per l’ipotesi in cui si tratti di una domanda di m.a. negativo - è per l’appunto una sentenza di accertamento negativo del diritto dedotto in giudizio dall’attore, ed il convenuto ha il potere di perseguirla pur quando l’attore abbia rinunciato alla decisione c. sebbene non sia codificato direttamente, (e sia preso in considerazione soltanto per le conseguenze della sua violazione) è difficile negare che sia implicito nell’ordinamento positivo, particolarmente nell’art. 2043, il diritto a non subire un danno ingiusto a causa di un fatto doloso o colposo altrui. E nonostante non sembri corretto ravvisare in tale diritto l’oggetto del processo di mero accertamento (così come sostenuto dalla dottrina) - ciò non esclude che in qualche caso (particolarmente quando si tratti di a di m.a. negativo di diritti relativi) tale diritto possa invece costituire l’oggetto della tutela giurisdizionale, invocata dall’attore, che avrebbe nel caso di specie una funzione preventiva rispetto al danno che all’attore stesso potrebbe derivare dal protrarsi di una situazione di incertezza addebitabile al comportamento del creditore. Alla luce di queste considerazioni, può affermarsi che la soluzione positiva circa l’ammissibilità dell’azione di m.a., anche al di fuori delle fattispecie direttamente contemplate dalla legge, trovi un argomento decisivo nell’art. 24.1. Cost. e nella rilevata atipicità del diritto d’azione. Limitazioni in concreto che incontra l’azione di mero accertamento: 1) Il primo limite attiene all’OGGETTO -> è pacifico che, al pari di qualunque altra azione, salvo ipotesi espressamente previste dalla legge, debba vertere su un diritto o uno status, mai sull’esistenza o sull’interpretazione di norme giuridiche astrattamente considerate, né sui meri fatti, avulsi dal contesto di un determinato rapporto giuridico. Es: Non sarebbe concepire un’azione diretta semplicemente a far accertare che l’attore ha consegnato al convenuto una certa somma di denaro, senza che fosse dedotto in giudizio anche il diritto che da tale fatto trae origine -> es. diritto alla restituzione della somma, maggiorata di interessi, qualora si trattasse di un mutuo. Si ritiene che facciano eccezione a tale principio -> una serie di azioni, espressamente previste dalla legge, che riguardano la verificazione di una scrittura privata, al fine di accertare l’autenticità della relativa sottoscrizione (artt. 216 e ss) e la querela di falso nei confronti di un atto pubblico o di una scrittura privata (221 e ss.) 2) condizione della sussistenza dell’interesse ad agire -> in realtà presupposto necessario di qualunque azione, ma assume un ruolo concreto e determinante proprio in relazione alle azioni di mero accertamento positivo o negativo per le quali può costituire un filtro di considerevole efficacia. FERMI RESTANDO QUESTI LIMITI, NON SEMBRA CHE L’AZIONE IN QUESTIONE POSSA ESSERE SUBORDINATA AD ULTERIORI CONDIZIONI O PRESUPPOSTI. - azioni di condanna = Ipotesi di gran lunga più frequente è che l’attore non si limiti a domandare l’accertamento del diritto dedotto in giudizio (la cui esistenza, potrebbe in molti casi Pagina 15 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 c.1. Ipotesi particolari di condanna: A . La condanna generica = nel pronunciare la condanna, il provvedimento del giudice deve, di regola, determinare compiutamente l’oggetto della prestazione cui il debitore è tenuto, e che in caso di inadempimento potrà conseguirsi mediante l’esecuzione forzata. L’art. 278 c.1 prevede però che allorquando: - sia già accertata la sussistenza di un diritto - ma sia ancora controversa la quantità della prestazione dovuta il giudice, su istanza di parte può pronunciare con sentenza la “condanna generica alla prestazione” disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione. Si suol dire che la sent. di condanna generica si limita ad accertare l’an del diritto alla prestazione (ossia se quest’ultima sia o no dovuta) senza determinare il quantum che sarà oggetto di un’altra sentenza. Una siffatta pronuncia è assai prossima ad una sentenza di m. accertamento e non può avere l’effetto di aprire la strada all’esecuzione forzata; ciò nondimeno può risultare utile all’attore perché, trattandosi di una sentenza, pone un punto fermo e incontrovertibile (salvo che non venga impugnata) circa l’astratta sussistenza del diritto, che in molti casi potrebbe costituire il punto più controverso della causa. La concreta utilità dell’istituto è assicurata dall’art. 2818 c.c. = secondo cui anche la sentenza che porti condanna “al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente è titolo per l’iscrizione dellì’ipoteca giudiziale sui beni del debitore B. La condanna provvisionale = art. 278 c.2. -> il giudice, su istanza di parte, e alle medesime condizioni cui è subordinata la pronuncia della condanna generica, può condannare il debitore al pagamento di una provvisionale - nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova. La sentenza di condanna provvisionale, a differenza di quella generica, è una condanna a tutti gli effetti che per il quantum in essa accertato non potrebbe essere rimessa in discussione ad opera della sent. definitiva del giudizio, e nel contempo costituisce senz’altro titolo per l’esecuzione forzata. Vi sono ipotesi peraltro in cui il legislatore prevede la pronuncia di condanne provvisionali con ordinanza anziché con sentenza: Es. Art 423.2 secondo cui il giudice, nel processo del lavoro, può disporre su istanza del lavoratore, il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accettato e nei limiti della quantità per cui ritiene raggiunta la prova. In questi casi, a differenza dell’ipotesi contemplata dall’art. 278, si tratta con ogni evidenza di provvedimenti sommari, che pertanto, ben possono essere modificati dalla successiva sentenza a cognizione piena. C. La condanna con riserva di eccezioni = In alcune ipotesi, piuttosto rare, il legislatore prevede che, di fronte a determinate “eccezioni” del convenuto che non si prestano ad ua pronta risoluzione, il giudice possa, in un certo senso scindere l’oggetto della sua cognizione e decidere, accogliendo eventualmente la domanda (se fondata per ogni altro profilo) e pronunciando condanna, senza tener conto di tali eccezioni, che verranno Pagina 16 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 esaminate in una fase successiva del giudizio. Si è dunque in presenza di una vera e propria condanna che si basa però su un accertamento per definizione incompleto (giacché non si estende ai fatti oggetto delle eccezioni “riservate”) ed è dunque sommaria; da considerarsi perciò: - provvisoria - caducabile - in relazione all’esito della successiva fase del processo deputata a valutare i fatti allegati dal debitore. Si tratta, come si può agevolmente comprendere di un espediente finalizzato ad agevolare considerevolmente l’attore, che per converso, penalizza considerevolmente il convenuto - sicché è pacifico che l’istituto non possa trovare applicazione al di fuori delle ipotesi tipiche in cui il legislatore l’ha espressamente previsto D. La condanna in futuro = Di regola la sentenza di condanna presuppone una lesione attuale del diritto, e dunque che si sia già verificato l’inadempimento. Vi sono ipotesi però nelle quali l’ordinamento sembra derogare a siffatto principio, ammettendo espressamente azioni svincolate da questo presupposto e dunque miranti ad ottenere una condanna destinata ad operare in futuro, se e quando l’inadempimento dovesse realmente verificarsi. La fattispecie che può nettamente ricondursi al gneiss della condanna in futuro è quella contemplata dall’art. 657 - essa consente al locatore di promuovere l’azione di rilascio, attraverso il provvedimento per convalida di licenza o di sfratto, ancor prima che il contratto di locazione dia scaduto -> evidentemente per procurarsi un provvedimento di condanna (un’ordinanza9 e un titolo esecutivo che potrà utilizzare qualora, allo spirare del termine, il conduttore non rilasci spontaneamente l’immobile. Altre fattispecie analoghe -> quelle tic correnti allorquando è prevista la pronuncia di provvedimenti di condanna all’adempimento di obbligazioni, solitamente alimentari o di mantenimento, aventi un carattere periodico, giacché in tali ipotesi gli effetti della condanna sono per loro natura proiettati nei futuro. Il vantaggio pratico che deriva all’attore dalla condanna in futuro è duplice: 1) l’esistenza di un titolo esecutivo ha un’indubbia efficacia dissuasiva dell’inadempimento del debitore; 2) qualora l’inadempimento si verifichi, il creditore non ha bisogno di altro tempo per poter accedere al processo esecutivo. NB: una siffatta azione può costringere il convenuto a subire un processo anche allorquando egli non ha ancora violato, o neppure contestato il diritto all’attore; com’è dimostrato dagli abusi cui ha dato luogo il procedimento di convalida di sfratto, promosso all’indomani della conclusione di un contratto di locazione, in vista di una scadenza assai lontana. E’ per questo che la condanna in futuro, costituisce uno strumento eccezionale, circoscritto alle ipotesi espressamente previste dalla legge con la conseguenza che, al di fuori di tali casi: un diritto del quale non sia ancora configurabile la violazione, potrà essere oggetto, ricorrendone le condizioni, soltanto di un’azione di mero accertamento. Pagina 17 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Vi è subito da aggiungere che la dottrina è solita ricondurre alla categoria delle condanne in futuro, altre ipotesi, più numerose, in cui la sentenza, pronunciando in relazione ad obblighi aventi carattere periodico o continuativo, accerta un’inadempimento già attuale e oltre a stabilire le misure risarcitorie o ripristinatore dirette a porvi rimedio, detta anche i comportamenti cui il debitore sarà tenuto in futuro, in relazione al medesimo rapporto dedotto in giudizio. Una peculiare ipotesi affine è rappresentata dalla condanna condizionale in cui il comando contenuto nella sentenza è subordinato ad un evento futuro. - azione costitutiva = L’art. 2908 c.c. prevede che il giudice “nei casi previsti dalla legge” possa “costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. In generale quindi l’azione costitutiva è quella che può condurre alla nascita di un diritto o di uno status (az. costitutiva in senso stretto) , oppure alla modificazione o all’estinzione di rapporti giuridici preesistenti. Caratteristica di tale azione è la tipicità -> l’essere cioè consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge - tipicità che viene giustificata con la deroga ch’essa implica rispetto alla natura meramente dichiarativa del provvedimento del giudice, che di solito si limita ad accertare un rapporto giuridico preesistente al processo, senza determinare alcuna sua modifica. Uno degli esempi più noti di az. costitutiva - stando all’opinione tradizionale è offerto dall’ Art. 2932 c.c. . che consente in caso di inadempimento dell’obbligo di concludere un contratto, solitamente assunto in un contratto preliminare, la pronuncia di una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Posto che nel codice del 1865, una siffatta azione non era affatto contemplata, e nelle suddette ipotesi, spettava all’attore “deluso” una mera tutela risarcitoria, la dottrina meno recente era solita ravvisare alla base dell’azione costitutiva un diritto potestativo -> caratterizzato dall’avere ad oggetto il prodursi di un determinato effetto o modificazione nella sfera giuridica di un altro soggetto che si trova in posizione di soggezione rispetto ad esso. Si è giustamente osservato, più recentemente, che l’esercizio di un diritto potestativo produce di per sé l’effetto modificativo-estintivo del rapporto (si pensi al dir. di recedere dal contratto) come conseguenza della mera manifestazione di volontà proveniente dal titolare del diritto - sicché qualora dovesse sorgere una controversia circa i presupposti o le modalità di esercizio del diritto medesimo, al giudice verrebbe chiesto un provvedimento meramente dichiarativo. Rispetto alle azioni costitutive, è preferibile quindi discorrere di un sottostante diritto ad una modificazione giuridica sostanziale - che viene comunque prodotta proprio dal provvedimento del giudice. ◦ azioni costitutive NON NECESSARIE -> ovvero quelle in cui l’effetto costitutivo-modificativo-estintivo perseguito dall’attore potrebbe ottenersi al di fuori del processo, attraverso la collaborazione del debitore. (si pensi alla già menzionata ipotesi prev. dal 2932 c.c.) Pagina 20 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 dell’interesse ad agire assolverebbe ald un ulteriore funzione, implicando un apprezzamento circa la “meritevolezza” della tutela invocata dall’attore - che a sua volta poterebbe costituire un argine rispetto al possibile abuso dell’azione giudiziale. Parte della dottrina però nega l’effettiva ed autonoma importanza di tale requisito, specie in relazione all’azione costitutiva, e a quella di condanna. Perché? - azione costitutiva -> poiché trattandosi di un’azione consentita in ipotesi tipiche, a valutazione circa l’interesse sarebbe stata condotta a monte dal legislatore - azione di condanna -> poiché la sentenza di condanna presuppone, come fatto costitutivo, l’inadempimento e quindi la lesione già attuale del diritto, da cui non può non scaturire l’interesse alla tutela giurisdizionale. Ipotesi peculiari in cui il requisito in esame viene in rilevo pure in relazione a domande costitutive e di condanna -> allorquando l’azione di condanna abbia ad oggetto obblighi infungibili o non suscettibili di esecuzione forzata. Per queste ultime in particolare proprio l’interesse ad agire potrebbe limitare la proponibilità dell’azione . = oggi sembra prevalere l’opinione secondo cui l’int. ad agire svolgerebbe un ruolo autonomamente apprezzabile solo nell’ambito dell’azione di m.accertamento e in quel cautelare - ma la tematica risulta essere piuttosto controversa; tant’è che vi sono ipotesi in cui il legislatore dà luogo ad una sorta i commistione tra legittimazione ed interesse ad agire, poiché si serve di quest’ultimo per attribuire la legittimazione (straordinaria) ad agire, a soggetti diversi da quelli titolari del rapporto controverso. CAPITOLO III : IL PROCESSO CIVILE E LA COSTITUZIONE Garanzie costituzionali del processo: limitandosi alla sola analisi delle garanzie che riguardano la giurisdizione civile, vengono in rilevo gli articoli: • 24, • 25, • 111 Cost. -> il quale è stato oggetto di un’importante riforma costituzionale, la l.cost.2\1999 e, sebbene sia stato riformulato pensando essenzialmente al settore della giustizia penale, enuncia principi di carattere generale, che meriterebbero di trovare una propria attuazione anche nella giurisdizione civile. La precostituzione del giudice per legge: L’art 25.1 Cost prevede che nessuno possa essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Tale principio esige: a) che i criteri atti ad individuare il giudice naturale competente siano prestabiliti per legge b) che, una volta incardinata la causa davanti al giudice così determinato essa non possa essergli sottratta. In concreto si tratta di un principio di rilevo pratico in quanto si ritiene che operi soltanto nei rapporti tra i diversi uffici giudiziari, e non impedisca invece, all’interno dell’ufficio, di attribuire al capo dello stesso (= presidente del tribunale o della corte, Pagina 21 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 o della singola sezione) quei poteri indispensabili in relazione all’organizzazione e alla funzionalità dell’organo giudiziario, che inevitabilmente incidono ( sia nel momento iniziale della designazione, vuoi successivamente laddove se ne renda necessaria la sostituzione) sulla concreta individuazione del magistrato o dei magistrati chiamati ad occuparsi di una determinata controversia. Il diritto d’azione e di difesa ed il principio del contraddittorio: Fra tutte le garanzie concernenti il processo, la prima e forse la più importante è contenuta nell’ Art. 24.1 Cost -> che assiste il diritto d’azione. Al c.2 del suddetto articolo, è tutelato invece il diritto di difesa = “è inviolabile in ogni stato e grado del procediment: ”. Stando all’opinione più diffusa il c.2 dell’art. 24 della Cost. avrebbe consacrato a livello costituzionale, il principio del contraddittorio, che d’altronde aveva già trovato un potenziale riconoscimento nel 101 c.p.c - “Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata o non è comparsa” * - e che è stato ulteriormente ribadito nell’art. 111.2 Cost. In realtà il c.1 dell’art. 101 cpc non va inteso nel senso che la mancata comparizione della parte osti alla decisione sulla domanda, bensì nel senso che la comparizione può sopperire agli eventuali vizi della citazione * La portata degli articoli 24 e 111 Cost è assai ampia, giacché non copre solo il momento iniziale del processo, bensì ogni sua fase, assicurando che ciascuna delle parti abbia la concreta possibilità di replicare sia di fronte ad eventuali allegazioni o richieste dell’avversario, sia di fronte alle stesse iniziative del giudice da cui possa derivarle un qualche pregiudizio. Non a caso la riforma del 2009 ha aggiunto un 2° comma al citato 101 c.p.c. -> prevedendo espressamente che “ Il giudice, ove ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, debba assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione medesima.” La costituzionalizzazione del principio del contraddittorio, particolarmente perentoria nell’art. 111 “ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti” - suscita non lievi dubbi circa la legittimità di non pochi procedimenti speciali nei quali il codice prevede, o consente che il contraddittorio tra le parti s’instauri dopo la pronuncia del provvedimento -> così ad esempio nel caso dei procedimenti per ingiunzione ex art. 633 e ss. e nel procedimento cautelare ex art. 669 - sexies e specie nel caso del procedimento monitorio ex art. 642 ( nell’ambito del quale tale provvedimento, che non è frutto del contraddittorio, è di per sé immediatamente idoneo a dar luogo ad una qualunque forma di esecuzione forzata a danno della parte). E’ per questo che la dottrina maggioritaria ritiene che, sebbene in talune situazioni, anche il principio del contraddittorio possa subire una temporanea compressione in nome di altri valori primari, è pur vero che le ipotesi suddette devono essere ben circoscritte a livello normativo, e dovrebbero operare per il tempo strettamente indispensabile alla successiva instaurazione del contraddittorio. Si ritiene inoltre che l’art. 24.2. Cost sancisca pure il diritto (e non certamente l’obbligo) alla difesa tecnica = ossia ad avvalersi di un intermediario professionalmente qualificato per sostenere le proprie ragioni dinanzi agli organi Pagina 22 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 giudiziari e siffatta interpretazione sembra confermata dalla circostanza che al comma 3 art. 42 si legge: “ sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La parità delle armi: Accanto al principio del contraddittorio, il riformato art. 111.2 Cost. enuncia il principio in base al quale il processo deve svolgersi in condizioni di parità tra le parti. Potrebbe trattarsi tuttavia di una specificazione, tutt’altro che indispensabile, del medesimo principio (di eguaglianza sostanziale) già desumibile, in termini più generali dall’art. 3.2. Cost. Proprio per questo, è opinione diffusa che il principio di parità non escluda la legittimità di un trattamento per taluni profili differenziato tra le parti - alla duplice condizione che: • la discriminazione sia ragionevole -> ossia giustificata da un’oggettiva disparità delle parti medesime (dovuta ad es. all’intrinseca debolezza di una di essa, si pensi alla posizione del lavoratore dipendente.) • e non si traduca comunque in una compressione del diritto d’azione o di difesa - essendo così lesiva dell’art.24 Cost. La ragionevole durata del processo: Sempre nell’art. 111.2 Cost è previsto che la legge “assicura la ragionevole durata del processo” - e di termine ragionevole si discorreva già l’art. 6 della Conv. Europea dei diritti dell’uomo ratificata nel 1995. D’altronde, che il processo debba avere una durata ragionevole, è desumibile dallo stesso art.24 Cost -> una decisione che intervenga troppo tardi rispetto al momento in cui la parte ha adito il giudice, può risultare concretamente inutile o poco utile e rischia di risolversi in un sostanziale diniego di tutela. Ciò nonostante questa rappresenta una disp. di mero indirizzo, priva di ricadute immediate nel processo, tanto più che ogni causa ha tempi fisiologici propri - và detto peraltro che le reiterate riforme in questo senso, non hanno apportato innovazioni di natura strutturale e ordinamentale, e i tempi medi dei nostri giudizi civili sono andati via via crescendo, attestandosi su livelli di gran lunga superiori rispetto a quelli di tutti gli altri paesi europei, determinando così condanne risarcitorie sempre più frequenti inflitte allo Stato italiano da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Il legislatore è stato dunque costretto ad intervenire con una legge ad hoc: “Legge Pinto” l.n°89 del 2001 per disciplinare attraverso una specifica normativa processuale - che attribuisce la competenza in unico grado alla corte d’appello - il diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del “termine ragionevole” previsto dall’art. 6 par. 1 della Convenzione.* * la relativa disc. è stata recentemente modificata ad opera della l.134\2012 - a prescindere comunque da altri criteri l’art. 2, co.2 bis della l.89 -2001 : “il termine ragionevole si considera rispettato se il processo non eccede la durate di 3 anni in 1°grado, di 2 anni in 2° grado e di 1 anno nel giudizio di legittimità. Il principio del giusto processo regolato dalla legge: Il riformato art. 111 Cost, si apre con la solenne affermazione secondo cui: “la Pagina 25 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 sempre risulta limpida e netta, pochi il fatto principale, così come definito dalla norma sostanziale, ha inevitabilmente una prorpria dimensione storica, risultando da un’insieme di circostanze ed elementi concreti in mancanza dei quali il fatto stesso non potrebbe dirsi concretamente individuato. Quel che è certo è che una parte della dottrina attribuisce alla suddetta distinzione un significato considerevolmente diverso da quello ora prospettato, designando i fatti secondari come quelli che: “pur non essendo del tutto estranei alla fattispecie dedotta in giudizio, non concorrono però, per la loro marginalità ad identificare, rispettivamente la domanda o l’eccezione, bensì rappresentano dei meri elementi di contorno.” - il tema rileva in relazione alla disciplina relativa alla modificazione e precisazione delle domande e delle eccezioni - L’introduzione dei fatti nel processo: Per quel concerne l’introduzione dei fatti nel processo, l’interpreto no può contare su alcuna indicazione positiva che spieghi le incertezze palesate dalla dottrina e la problematicità delle diverse soluzioni prospettate. Uno dei pochi punti sui quali c’è concordia riguarda il divieto per il giudice di utilizzare la c.d. “scienza privata” = cioè di far uso dell’eventuale propria e diretta conoscenza dei fatti rilevanti per la causa (principali o secondari che siano) ⁃ sia quando tali fatti siano già stati allegati nel processo e debbono essere oggetto di prova ⁃ sia a maggior ragione, quando non vi sono stati ancora introdotti Per il resto, l’opinione prevalente distingue tra fatti principali e secondari -> ◦ quanto ai fatti secondari = suole riconoscersi al giudice la possibilità di utilizzare senz’altro d’ufficio tutto ciò che sia stato comunque acquisito al processo - tanto tramite allegazione delle parti, quanto mediante dichiarazioni provenenti da terzi (per es. da un testimone) e che risulti dunque, dagli atti della causa. ◦ per quel che concerne invece i fatti principali = il monopoli della loro introduzione nel processo spetta, in linea di principio alle parti le quali vi provvedono rispettivamente: - tramite la domanda - allorché si tratti di fatti costitutivi - tramite le eccezioni - allorché si tratti di fatti impeditivi, modificativi, estintivi. Questo principio subisce un notevole ridimensionamento allorché si tratti di fatti impeditivi, estintitivi o modificativi che siano rilevabili d’ufficio -> per i quali vale, come per i fatti secondari la possibilità per il giudice di tenere conto di tutto ciò che comunque risulti dagli atti della causa. In modo tale si configura una netta contrapposizione tra i fatti costitutivi, la cui allegazione sarebbe riserva all’attore (quale corollario dell’esclusisivo potere di cui è titolare, che è quello di formulare la domanda) e gli altri fatti principali che invece, sarebbero normalmente rilevabili d’ufficio. Nonostante questa contrapposizione sia stata contestata da una parte della dottrina, (che afferma in sostanza che non sia giustificato discriminare i fatti Pagina 26 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 costitituvi e che anch’essi dovrebbero poter essere rilevati ex officio, utilizzando come argomentazione la circostanza che non sempre l’allegazione dei fatti costitutivi concorre all’identificazione della domanda) và detto che essa ha ragion d’essere in quanto: pur non essendo sempre essenziale la specificazione dei fatti sostitutivi per individuare l’oggetto del processo, è pur vero che la variazione degli stessi implica immancabilmente una modificazione o quantomeno una precisazione della domanda, attività questa, che il legislatore sembra aver voluto inderogabilmente riservare alla parte autrice della domanda medesima. La domanda giudiziale, rilevi introduttivi: Dagli artt. 2097 c.c. e 99 c.p.c si evince che la domanda giudiziale è l’atto di parte con cui si fa valere un diritto, ossia si chiede al giudice un provvedimento a tutela di una determinata situazione soggettiva. La prima ed essenziale funzione della domanda è quella di determinare l’oggetto stesso del progetto e conseguentemente in prospettiva, quello del futuro giudicato. Essa infatti in base al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (ex art. 112 c.p.c - espressione a sua volta del principio dispositivo che investe tutto il processo civile) ->individua rigidamente confini della decisori, poiché il giudice è vincolato a pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i confini di essa. Ciò significa che costituirebbe vizio della sentenza: - tanto l’omessa pronuncia (a meno che la decisione non si limiti al mero accertamento e venga ignorata taluna delle domande) - quanto l’ultrapetizione - consistente in un provvedimento che va oltre la domanda (esempio, l’attore chiede una condanna per 1.000 $ e la sentenza gli accorda una somma maggiore, o ad esempio pronuncia condanna quando era stato chiesto il mero accertamento) - e l’extrapetizione che si ha quando il giudice pronunci in assenza della domanda, o comunque su un oggetto diverso da quello della domanda (esempio. l’attore chiede riduzione del prezzo per vizi della cosa venduta, e la sentenza pronuncia la risoluzione del contratto). Il medesimo principio induce a ritenere che, qualora siano state poste una pluralità di domande, la parte possa vincolare il giudice (salvi limitati che potrebbero derivare dall’anteriorità logico- giuridica di talune di esse) a seguire un determinato iter nel loro esame, subordinando la decisione circa una domanda, all’accoglimento o al rigetto di un’altra, proposta dalla medesima parte o da una parte diversa. Per questo l’individuazione della domanda risulta essere di primaria importanza. Gli elementi identificativi della domanda sono essenzialmente 3: 1) soggetti -> per quel che attiene ai soggetti occorre stabilire da chi e nei confronti di chi la domanda è proposta, tenendo presente che a tal fine rileva anche la qualità in cui taluno propone una domanda giudiziale o ne è destinatario. (es. ipotesi in cui venga chiesto il risarcimento del danno tanto nei confronti del minore, che l’ha direttamente provocato, quanto nei contenti dei genitori, chiamati a risponderne ai sensi dell’art. 2048.) 2) petitum -> l’oggetto della domanda coincide: - per un verso. con il provvedimento richiesto al giudice ( o petitum immediato- es. mero accertamento, condanna a fare, condanna a dare ) - per altro verso con il bene giuridico concretamente perseguito dall’attore ( o Pagina 27 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 petitum mediato - es. somma di denaro, determinato bene mobile o immobile) sicché esso deriva dalla combinazione di questi 2 elementi 3) causa petendi -> il titolo della domanda o causa pretendi è quello sicuramente meno agevole da definire e per il quale sussistono i maggiori dubbi. Secondo l’opinione che appare preferibile, esso si identifica con il diritto o status in forza del quale viene rivendicato il bene giuridico indicato nel petitum. Muovendo da tale presupposto la causa pretendi “consiste nell’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda” ai sensi dell’art. 163.3 n°4 e 414, n°4 - ossia di tutti i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, occorrenti per individuarlo in maniera univoca - con la conseguenza che ad ogni variazione di tali fatti dovrebbe corrispondere una domanda diversa* * Di regola invece alla luce del principio “iura novit curia”, l’esposizione degli elementi di diritto ossia delle ragioni giuridiche della domanda, non può influire , di per sé, sull’identificazione della causa, se non quando (come ad es. nel concorso di azioni) risulti concretamente indispensabile per comprendere quale diritto sia stato effettivamente dedotto in giudizio. L’individuazione del diritto dedotto in giudizio: diritti autodeterminata ed eterodeterminati Riprendendo uno spunto che rimase alla dottrina tedesca, la nostra dottrina è solita contrapporre le domande autodeterminate a quelle eterodeterminate. Alla base di questa distinzione vi è il rilevo che la causa petendi serve ad individuare in maniera univoca il diritto azionato, e che però non sempre l’indicazione dei fatti costitutivi risulta essere indispensabile a tal fine. Es. Si consideri il diritto di proprietà -> una volta che l’attore abbia indicato di voler rivendicare la proprietà di un determinato bene, poco importa che egli deduca di averla acquisita per usucapione, accessione o contratto - nella misura in cui il diritto di proprietà, rispetto ad un medesimo bene, non può certo sussistere più volte in capo ad un medesimo soggetto. In questi casi, e in altri analoghi si parla di diritto autodeterminato e correlativamente di domanda autodeterminata, nel senso che per la sua identificazione è sufficiente il petitum mediato mentre pressione dall’indicazione dei fatti costitutivi (causa pretendi) il cui variare, non incide sull’identità di un diritto. Il diritto è invece eterodeterminato allorché la sua individuazione non possa prescindere dai relativi fatti costitutivi, potendo essi “ripetersi” u numero indefinito di volte tra i diversi soggetti. Es. Prendendo in considerazione il pagamento di una somma di denaro, è evidente che l’atto potrebbe pretendere una tale somma - una prima volta a fronte di un dato contratto di mutuo - una seconda volta deducendo un diverso contratto di mutuo - e ancora una terza volta invocandola come corrispettivo di un canone di locazione; in questi casi la modificazione dei fatti costitutivi, implica sempre, in linea di principio, la deduzione in giudizio di un diritto diverso. Secondo questa impostazione sono autodeterminate le domande basate sul diritto di proprietà, o altro diritto reale di godimento, su diritto assoluto in genere, su uno status, su un diritto di credito avente ad oggetto una prestazione specifica (es. l’esecuzione di una determinata opera). Tutte le altre Pagina 30 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.” I termini "precisare" e "modificare", utilizzati dalla norma in relazioni a domande, eccezioni e conclusioni già formulate, si devono considerare entrambi rientranti nel concetto di emendatio libelli, ossia di mera modifica della domanda, e non di mutatio libelli (proposta di una istanza del tutto nuova, preclusa in questa fase del giudizio). - In particolare, la "precisazione" consiste nello sviluppo di un quid già implicito nel contenuto delle precedenti difese, che la parte si limita solo ad esplicare (per esempio, si allega un fatto secondario volto a chiarire le dinamiche di un sinistro stradale già compiutamente descritto nei suoi elementi costitutivi). La "modifica" si ha invece quando essa incida sulla causa petendi, sicché risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo, per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. E' usualmente considerata una mera emendatio l'allegazione di un fatto costitutivo nuovo di diritti autodeterminati, come il diritto di proprietà. La legge 353/1990 aveva previsto la previa autorizzazione del giudice alle parti per poter precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Con successiva legge del 20.12.1995 di conversione del d.l. n. 432/1995 ogni riferimento a tale autorizzazione è stato eliminato. Il giudice, su semplice richiesta di entrambe o di una delle parti, è tenuto a concedere un termine per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande e delle eccezioni già proposte. Le tre memorie, che vanno depositate rispettivamente a distanza di 30, 30 e 20 giorni, presentano i seguenti contenuti: 1) la prima consente di precisare o modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già proposte (ius variandi e poenitendi, esercitabile anche in prima udienza). Sebbene la norma non lo dica esplicitamente, parte della dottrina ritiene che le parti possano proporre domande ed eccezioni nuove; 2) la seconda permette di replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall'altra parte; proporre eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime; indicare mezzi di prova e produrre documenti nuovi o non già proposti negli atti introduttivi; 3) l'ultima memoria va utilizzata per indicare i mezzi di prova contraria. Es. costituiscono mera “precisazione” : - quanto al petitum -> e con riguardo alle azioni aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro: l’indicazione del quantum della domanda (cosa che avviene ad es. nell’ambito delle azioni risarcitorie, in cui l’attore può attendere l’esito della fase istruttoria per quantificare il danno) o la sua variazione - anche in aumento - fermi restando i fatti costitutivi e le causali indicate. - quanto alla causa pretendi -> ogni variazione degli elementi di diritto della domanda (per es. una diversa qualificazione giuridica dei fatti costitutivi o il loro collegamento ad una diversa norma), nonché la specificazione o modificazione di circostanze marginali, che siano tali da far rimanere Pagina 31 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 sostanzialmente immutati i fatti medesimi (si pensi al caso in cui ci si limiti a rettificare circostanze di tempo e luogo in qui ha avuto origine la vicenda obbligatoria dedotta in giudizio) NB: Inoltre, dovrebbe rimanere del tutto estranea alla precisazione della domanda la variazione o l’allegazione di nuovi fatti secondari = ovvero quelli (secondo l’opinione principale) qualitativamente diversi dai fatti principali e operanti sul terreno meramente probatorio. Le eccezioni e le difese del convenuto: Di fronte alla domanda, il convenuto può difendersi in vario modo: - limitandosi a contestare i fatti allegati dall’attore o le argomentazioni giuridiche da lui adotta - oppure allegando a propria volta, dei fatti nuovi - o infine proponendo egli stesso (nuove) domande. Possibili REAZIONI DEL CONVENUTO: A) ECCEZIONI PROCESSUALI = quelle in cui si contesta la possibilità di decidere attualmente il merito della causa - cioè di pronunciare sulla fondatezza o infondatezza della domanda - in conseguenza - del difetto di un presupposto processuale ( giurisdizione, competenza, capacità processuale dell’attore) - di una condizione dell’azione - o dell’invalidità di uno o più atti processuali. L’accoglimento dell’eccezione può condurre, a seconda dei casi, ad una sentenza di rigetti in rito - ossia per ragioni meramente processuali (altrimenti detta absolutio ab instantia) oppure se il vizio è rimediabile (il che costituisce la regola nell’ambito delle nullità dipendenti dai vizi di forma) ad un provvedimento diretto alla regolarizzazione del processo. Per quel che riguarda il regime delle eccezioni processuali non vi sono regole generali ma vi sono indicazioni specifiche riguardo ad es. i termini entro i quali è possibile far valere il vizio processuale o la circostanza che farlo a valere sia legittimata taluna delle parti. B) MERE DIFESE (c.d. eccezioni improprie) = possono consistere in argomentazioni puramente giuridiche dirette a confutare le conclusioni dell’avversario, oppure nella contestazione di fatti costitutivi che quest’ultimo ha allegato a fondamento della domanda: - mediante la negazione diretta di tali fatti - o tramite l’ allegazione di altri fatti (secondari) e rispetto ad essi incompatibili. Esempio di mera difesa: L’attore x afferma di aver venduto e consegnato al convenuto Y una data quantità di merci e di fronte all’inadempimento del convenuto, non avendo ricevuto alcun corrispettivo, formula una domanda di pagamento. Il convenuto potrebbe semplicemente negare di aver mai ricevuto quelle merci o allegare che il luogo in cui esse sono state recapitate gli è del tutto estraneo. C) ECCEZIONI DI MERITO (c.d eccezioni proprie) = consistono nell’allegazione di un fatto impeditivi estintivo o modificativo, esplicitamente o implicitamente diretta a conseguire il rigetto della domanda, di regola attraverso l’accertamento negativo del diritto posto a fondamento di quest’ultima. Si può da questo dedurre, Pagina 32 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 che l’eccezione non estende in nessun caso l’oggetto del processo, tenendo esclusivamente a far accertare l’inesistenza del diritto già dedotto in giudizio. Nell’ambito delle eccezioni proprie devono distinguersi: - le eccezioni in senso stretto -> ovvero quelle che riguardano fatti (imp\est\mod.) che sono riservati alle parti non soltanto per quel che concerne la loro allegazione (cioè l’introduzione nel processo) ma anche quanto alla possibilità per il giudice, di porli a fondamento della decisione. (es.ipotesi di PRESCRIZIONE - il cui rilevo d’ufficio è escluso ai sensi dell’art. 2938 c.c. - il giudice, quand’anche dovesse appurare da allegazione di parte che l’inerzia del titolare del diritto si è protratta oltre il termine di prescrizione, non potrebbe rigettare, per tale motivo la domanda, allorché la parte interessata non avesse mostrato, seppur implicitamente di volersi avvalere dell’effetto estintivo di tale fatto al fine di contrastare l’avversa domanda.) - le eccezioni in senso lato -> che hanno ad oggetto fatti il fui effetto impeditivo- modificativo-estintivo, una volta che essi siano stati allegati o comunque acquisiti al processo, dev’essere senz’altro rilevato dal giudice d’ufficio, al fine di pervenire al rigetto della domanda. La distinzione è divenuta rilevante allorquando al riforma del 90’ e più ancora del 2005 vi ha ricollegato un regime assai diverso quanto ai termini: - le eccezioni in senso stretto sono ammesse nella sola fase iniziale del processo di primo grado ex art. 183 c. 5-6 - & le eccezioni in senso lato sono consentite pure in appello ex art. 345 c.2). Prescindendo da una serie di norme che precisano espressamente il regime di determinate eccezioni, non è pacifico comunque quale sia la regola da utilizzare in assenza di disposizioni ad hoc. La dottrina e la giurisprudenza più recenti accolgono un orientamento secondo il quale sono rilevabili d’ufficio tutti i fatti estintivi- modificativi - impeditivi del diritto azionato, siano essi fatti semplici o fatti diritti, che potrebbero essere oggetto di un autonomo giudizio; conclusione che viene fatta discendere argomentando a contrario dall’articolo 112 secondo cui il giudice: “non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possano essere proposte solo dalle parti” (tesi formulata da Oriani e ormai recepita nella giurisprudenza). Sebbene la lettera dell’art. 112 sia piuttosto ambigua*, [* in quanto subisce deroga in una serie di ipotesi, ad esempio nei casi espressamente previsti dalla legge (vedi il 2938 che disciplina la rilevabilità della prescrizione), o qualora l’effetto impeditivi si ricolleghi all’ esercizio di un diritto potestativo o di un controdiritto che potrebbe essere fatto valere in un’autonoma azione costitutiva (si pensi all’eccezione di annullabilità del contratto o di risoluzione per inadempimento)] - sembra accordarsi con un certo favor rei, evitando che qualora il convenuto sia contumace, il giudice sia costretto ad accogliere la domanda pur quando dagli atti della causa, e magari dagli stessi documenti prodotti dall’attore, risulti un fatto che ne dimostra l’infondatezza. D) ECCEZIONI E DOMANDE RICONVENZIONALI -> non rappresentano una categoria a sé stante nell’ambito dell’eccezioni proprie, ma si contraddistinguono solamente per avere ad oggetto non un fatto semplice, ma un fatto-diritto, ovvero più esattamente, un controdiritto che il destinatario della domanda ben potrebbe far valere in un autonomo giudizio ma che utilizza invece, al sol fine di ottenere il rigetto della domanda medesima. Pagina 35 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 L’ORIENTAMENTO TRADIZIONALE POSTULAVA UNA NECESSARIA PREGIUDIZIALITà DEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO DI ANNULLAMENTO RISPETTO AL GIUDIZIO RISARCITORIO - il quale era sempre riservato al g. ordinario. Le uniche eccezioni riguardavano le ipotesi in cui erano coinvolti diritti sui quali la p.a. non aveva alcun potere di incidere negativamente = - es. diritto alla libertà personale o altri diritti della personalità -> in quanto diritti assolutamente intangibili ad opera di un provvedimento dell’amm. - o diritti nascenti da contratti stipulati dall’amministrazione “iure privatorum” - > laddove, nella stipulazione dei suddetti contratti, l’amministrazione si trovava ad operar in posizione del tutto paritario rispetto al privato, ossia senza essere investita di alcun potere di supremazia. Solo in queste ipotesi, il provvedimento amministrativo pronunciato in carenza di potere, non sarebbe stato idoneo a degradare il diritto soggettivo, né ad escludere il ricorso al giudice ordinario, che avrebbe potuto, nel caso disapplicarlo. Negli ultimi 15 anni sono intervenute molte novità mirate a ridisegnare i confini fra le 2 giurisdizioni: ◦ 1a tappa -> storica sent. 500\1999 con la quale le Sez. Unite della corte di cassazione ammisero la risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi (ancorché meramente pretensivi*) - tale decisione negò anche, nell’ipotesi di un danno provcato da atto amministrativo illegittimo, che l’azione risarcitorie fosse subordinata al preventivo annullamento dell’atto ad opera del giudice amministrativo + riconosce anzi al titolare del diritto leso, la possibilità di optare per la domanda di annullamento (proponibile davanti al g. amministrativo e in tempi assai brevi) e l’azione di risarcimento del danno (esperibile entro gli ordinari tempi di prescrizione, dinanzi al g. ordinario). * [ gli interessi legittimi si suddividono in: - oppositivi = hanno un contenuto essenzialmente negativo in quanto tutelano il titolare da provvedimenti amministrativi che incidano su propri preesistenti diritti soggettivi - es. interesse del proprietario all’annullamento di un decreto di espropriazione del bene per pubblica utilità; - pretensivi = hanno ad oggetto l’emanazione di provvedimento favorevole, da cui potranno nascere diritti o situazioni di vantaggio in capo al titolare - es. si pensi all’interesse del proprietario del suolo, al rilascio del permesso di costruire. ] Siffatto principio, ovvero l’affrancamento dell’azione risarcitorie dall’azione di annullamento, è stato però temperato dal legislatore mediante successivi interventi - onde evitare l’eventualità che questa circostanza si concretizzasse in una moltiplicazione delle azioni di danno nei confronti delle pubbliche amministrazioni, con disastrose conseguenze economiche. Così, nel nuovo codice amministrativo (approvato con l.104\2010) la materia del risarcimento del danno provocato da un’attività amministrativa illegittima è così disciplinata: - le controversie relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e altri diritti patrimoniali consequenziali, sono comunque attribuite, in Pagina 36 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 via esclusiva, al g. amministrativo; - la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dev’essere proposta, a pena di decadenza, entro 12o gg. dal giorno in cui il fatto si è verificato, o dalla conoscenza del provvedimento ,se il danno deriva direttamente da questo ( se però è stata proposta l’azione di annullamento, l’azione risarcitorie può essere proposta entro e non oltre 120 gg. dal passaggio in giudicato della relativa sentenza). Risulta in tal modo confermata la tendenziale autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, ma al contempo questa è sottratta la giudice ordinario e circoscritta entro limiti temporali meno angusti rispetto a quelli cui è soggetta l’impugnazione dell’atto amministrativo. Se invece, il risarcimento del danno si ricolleghi, non ad un’attività della P.A., bensì ad un mero comportamento della stessa che non sia riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo -> in questo caso la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e la domanda è proponibile nell’ordinario termine di prescrizione. ◦ In secondo luogo, è stato semplificato il tradizionale problema del riparto di giurisdizione, ricorrendo a, in alcuni settori particolarmente importanti per la pubblica amministrazione, alla tecnica della giurisdizione esclusiva, che si fonda sulla materia della causa, e prescinde totalmente dalla posizione soggettiva (diritto\ interesse legittimo) prospettata: Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g. amministrativo sono elencate all’art. 133 c.p.a - l’inconveniente principale sta nel fatto che attrivuendo al giudice amministrativo una “fetta” non trascurabile della giurisdizione sui diritti, la sottrae inevitabilmente alla garanzia costituzionale rappresentata dal ricorso per cassazione. Per questo la stessa corte Costituzionale ha escluso che il legislatore ordinario sia libero di creare a propria discrezione nuove ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva, affermando che questa può riguardare (ai s. del 103 Cost.) solo particolari materie in cui la P.A. agisce come soggetto investito di pubblico potere e perciò in posizione di supremazia rispetto al cittadino. (sent. n° 204\ 2004) 2. I RAPPORTI TRA G. ORDINARIO E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE L’ART. 41.2 c.p.c: “La pubblica amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della Corte di cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge alla amministrazione stessa, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.” Stando al dettato della norma, il giudice ordinario difetterebbe di giurisdizione ogni qual volta fosse chiamato ad imporre alla p.a. un provvedimento o un comportamento che invece rientra nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione. Più che di una vera questione di giurisdizione, si tratta di un caso di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (poteri giudiziario ed amministrativo), sorto per l'improponibilità assoluta della domanda, vertente su materie Pagina 37 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 riservate al potere amministrativo, nelle quali il giudice ordinario non può ingerire (ad es. nel caso di richiesta di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi o di interessi semplici o di fatto non tutelabili innanzi al giudice ordinario). Le ragioni dell’opinabile scelta del legislatore vanno però individuate sul piano storico, con riguardo alla genesi del regolamento di giurisdizione, che in origine serviva proprio a consentire alla p.a. di sottrarsi al giudice di merito, spostando la controversia dinanzi ad un altro organo ad essa più “gradito”. 3. LIMITI DELLA GIURISDIZIONE ITALIANA Per sua natura ogni giurisdizione nazionale non può essere illimitata ed incondizionata, estendendosi anche a controversie che magari non presentano alcun motivo di interesse per lo stato. Ciò premesso, la concreta disciplina dei limiti della giurisdizione italiana: • fino al 1995 era inserita nel codice, e più precisamente negli art. 2-4 dai quali traspariva un atteggiamento piuttosto nazionalistico del nostro legislatore che utilizzava come criterio essenziale quello della cittadinanza italiana del convenuto, negando che la giurisdizione italiana - salvo ipotesi residuali - fosse derogabile della parti, e fosse preclusa dalla previa instaurazione della medesima causa, dinanzi a giudice di un altro stato • con il passare degli anni e l’adesione ad un numero cospicuo di convenzioni internazionali, bilaterali e multilaterali , la l. 218\1995 ebbe come obiettivo quello di avvicinare la disciplina comune a quella della convenzione di Bruxelles (1968) operando un esplicito rinvio ricettizio all’art. 3 della stessa ( la tecnica del rinvio ricettario fa sì che esso debba intendersi riferito alla normativa comunitaria che negli anni successivi ha rimpiazzato, con qualche lieve modifica, la ridetta Convenzione ovvero il reg. 44\2001 ed oggi il 1251\2012 applicabile, dal 2015.) Tratti essenziali dell’attuale disciplina comune circa i criteri di collegamento, ovvero gli elementi cui il legislatore fa riferimento per definire i limiti della giurisdizione italiana = - criteri di collegamento generali, validi per ogni controversia, senza alcun riferimento al suo oggetto sono: a) il domicilio o la residenza del convenuto in Italia b) l’esistenza in Italia di un suo rappresentante autorizzato a stare per lui in giudizio a noma del 77 c.p.c c) l’accettazione preventiva o successiva della giurisdizione italiana - criteri di collegamento speciali, ovvero destinati ad operare in relazione a determinate categorie di controversie: l’art. 3.2 del regolamento vigente precisa che qualora si tratti i materie comprese nel campo di applicazione della convenzione, si prescinde dalla circostanza che il convenuto sia domiciliato o no nel territorio di uno stato contraente. In altre parole, allorché la la causa abbia ad oggetto un contratto di assicurazione, materia certamente ricompresi nel reg. 1215\2012 -> potranno utilizzarsi senz’altro i criteri speciali contemplati dagli artt. 9 e ss. del regolamento (per es. quello del luogo dove si è verificato l’evento dannoso) anche se quest’ultimo non risulta applicabile direttamente in quanto il convenuto non è disciplinato nel territorio Pagina 40 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 • La lacuna è stata colmata dall’art. 59 della l. 69\2009 che sancisce espressamente - benché con qualche ambiguità - il principio della possibile continuazione del processo, dopo una sentenza declinatoria della giurisdizione, sempreché la giurisdizione appartenga ad una diversa giurisdizione italiana. Cosa prevede l’art. 59: “ 1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. (obbligo) La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.(nb: il nuovo giudice, a differenza delle part, non è vincolato dall’indicazione dall’indicazione della sentenza del giudice originariamente adito, a meno che tale sentenza non provenga dalle Sez. Unite della corte di cassazione - questo perché quando le sez. Unite risolvono una questione di giurisdizione statuiscono sempre su di essa con effetto vincolante su tutti i giudici chiamati a decidere sulla medesima domanda. Quindi qualora il giudice non condivida quell’indicazione può solo sollevare d’ufficio con ordinanza la questione davanti alle sezioni Unite fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. 2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1 ( = se il suddetto termine perentorio non viene rispettato, il processo si estingue), la domanda è riproposta* al giudice ivi indicato , nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute ( -> enunciato qui il principio di conservazione degli effetti della domanda, il legislatore aggiunge che restano ferme le preclusioni e le decadenze intervenute, il che parrebbe sottintendere anche la conservazione e la salvezza di tutte le attività poste in essere nel processo svoltosi - eventualmente in più gradi - dinanzi al giudice privo della giusdizione. Tuttavia contraddetta dal successivo comma 5). Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile. * notiamo che la formulazione dell’articolo lascia a desiderare in quanto denota una considerevole confusione la circostanza che nel 2° comma e nel 5° si discorra di “riproposizione della domanda” - il che farebbe pensare ad un giudizio instaurato ex novo dinanzi a tale giudice, quando è invece evidente che il legislatore tende ad alludere a alla ripresa del medesimo processo iniziato dinanzi al giudice privo di giurisdizione, tant’è vero che i commi 3° e 4° discorrono più propriamente di “riassunzione” e “prosecuzione del giudizio”. 3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione. Pagina 41 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. 5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.” ( Questa precisazione parrebbe escludere dunque che le prove assunte nel primo processo sopravvivano e siano utilizzabili nella nuova fase del giudizio come se fossero atti istruttori compiuti nel medesimo processo, autorizzando così - in contrasto con il principio enunciato nel 2° comma - la richiesta di ulteriori mezzi di prova, indipendentemente dalle preclusioni intervenute dinanzi al giudice precedentemente adito. -> per risolvere questa antinomia, è necessario forzare in parte la lettera della norma, ritenendo che il riferimento alle preclusioni e decadenze intervenute attenga alle sole decadenze già eventualmente verificatesi prima dell’instaurazione del processo di fronte al giudice privo di giurisdizione, nonché quelle che riguardano la proposizione stessa della domanda.)* *Questa interpretazione restrittiva dell’art. 59 della legge trova un’ diretta conferma nell’art. 11 del nuovo c.p.a. con cui il legislatore del 2010 ha inteso ritoccare la disciplina dell’art. 59 limitatamente ai rapporti tra l g. amministrativo e un altro giudice italiano, ordinario o speciale -> eliminato qualunque riferimento alla prosecuzione del giudizio, l’articolo discorre di “riproposizione” della domanda ex novo entro il t. perentorio di 3 mesi e prevede che il giudice cui la domanda è riproposta “con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute” può concedere la remissione in termini per errore escusabile, ove ne ricorrano i presupposti”. - Il regolamento preventivo di giurisdizione - L’art. 41.1 c.p. c. prevede che: “Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'articolo 37.” Il regolamento preventivo di giurisdizione è quel mezzo processuale che consente a ciascuna delle parti (perfino lo stesso attore, che è quello che adisce il giudice) -> invece di attendere che il giudice si pronunci sulla giurisdizione, e poi eventualmente impugnare la relativa sentenza - di investire della questione direttamente la cassazione. Una serrata indagine dottrinale - conseguita agli abusi cui l’istituto aveva dato luogo nella prassi - ha messo in evidenza come il regolamento, lungi dal recare vantaggi in termini di economia processuale, rappresenti un pericoloso strumento dilatorio nelle mani della parte interessata a guadagnare tempo (dal momento che esso provoca la sospensione del giudizio di merito in corso) e nel contempo, collidesse Pagina 42 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 per molteplici aspetti con i principi della costituzione -> una conseguenza davvero grave si manifesta in relazione alla violazione dell’art. 24 poiché la decisione sulla giurisdizione, che potrebbe (se negativa) porre fine al processo, rischia di essere pronunciata sulla base di una giurisdizione incompleta. Nonostante le censure di legittimità siano state finora disattese, l’istituto è stato oggetto: - dapprima di un intervento legislativo - finalizzato a disincentivarne l’utilizzo con finalità dilatorie - e di un drastico giro di vite sul piano interpretativo, ad opera della giurisprudenza della Corte suprema. 1) Ambito di applicazione dell’art. 41 -> E’ da ritenersi che esso sia circoscritto ai soli processi a cognizione piena, con esclusione invece, dei procedimenti a esecuzione forzata e di quelli a cognizione sommaria o cautelari (i quali non potrebbero tollerare la sospensione cui dà luogo la proposizione del regolamento). 2) Questioni per le quali il regolamento ammesso-> L’art. 41 fa riferimento all’art. 37 e dunque: - ai rapporti fra giudice ordinario e giudici speciali (primo fra tutti, quello amministrativo) - ai rapporti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione* - alle questioni concernenti i limiti alla giurisdizione italiana ( sebbene tali questioni non siano più ricomprese nell’art. 37, ma nella l.218/1995) * quanto a questi la giurisprudenza più recente, muovendo dalla consapevolezza che tali rapporti attengono al merito della causa, ossia alla fondatezza o infondatezza della domanda, è pervenuta ad una sorta di tacita abrogazione dell’art. 41 - escludendo che possa dedursi con il regolamento, la c.d. improponibilità assoluta della domanda - che ricorre allorché venga fatta valere in giudizio, nei confronti di una pubblica amministrazione, una situazione soggettiva non configurabile, neppure in astratto, come diritto soggettivo o come interesse legittimo (bensì qualificabile come interesse semplice). 3) Il regolamento, non essendo un’impugnazione, può essere chiesto da ciascuna delle parti - compresa quella che ha promosso il giudizio e dunque ha adito il giudice. 4) Individuazione del dies ad quem -> Uno dei punti più controversi attiene all’individuazione del dies ad quem, ossia del termine entro il quale può proporsi l’istanza di regolamento (dovendosi a tal fine stabilire quand’è che la causa è decisa nel merito in primo grado). L’opinione più persuasiva era nel senso che, la preclusione potesse derivare indifferentemente: - dalla pronuncia di una sentenza di merito (concernente la fondatezza della domanda) - anche se non definitiva - dalla conclusione del processo di primo grado, derivante dalla pronuncia una sentenza definitiva, anche se meramente processuale. -> il più recente orientamento restrittivo delle Sezioni Unite invece ritiene che la proponibilità del Pagina 45 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 B. La competenza del TRIBUNALE è individuata dall’art. 9 innanzitutto in via negativa, ossia con riferimento a tutte le cause per le quali non sia prevista la competenza di un altro giudice. In positivo la norma prevede poi che il tribunale sia esclusivamente competente: - per tutte le cauda di valore indeterminabile - per tutte le cause in materia di imposte e tasse ( tale competenza è ormai azzerata da quella attribuita alle commissioni tributarie dal dlgs. 546/1992) - per le cause contenenti lo stato e la capacità delle persone (es. separazione coniugi, divorzio, interdizione e inabilitazione) e i diritti onorifici - per la querela di falso - per l’esecuzione forzata. Le regole per determinare il valore della causa - Il principio fondamentale per la determinazione del valore della causa è che deve guardarsi essenzialmente alla domanda - indipendentemente dall’esito cui essa conduce (art. 10). Dallo stesso art. si desume che il valore della causa: - in caso di pluralità di domande proposte nello stesso processo e contro la stessa parte -> è dato dalla somma delle domande medesime (disposizione che si riferisce al solo cumulo oggettivo, ossia all’ipotesi che più domande provengano dalla stessa parte) - comprende accanto al capitale, gli interessi scaduti, le spese e danni maturati anteriormente alla proposizione della domanda. Una serie di regole contenute agli artt. 11 e ss. concorrono poi a determinare il valore di certi tipi di cause: es. art. 14 = ⁃ cause relative a somme di denaro o beni mobili: ⁃ somme di denaro -> il valore si determina molto semplicemente in base alla somma di denaro indicata dall’attore e laddove siffatta indicazione manchi, la causa di presume “di competenza del giudice adito” ⁃ beni mobili -> si fa riferimento al valore dichiarato dall’attore ed è egualmente previsto che, qualora manchi questa dichiarazione, che la causa si presume di competenza del giudice adito. ⁃ IL c. 2 dell’art. 14 consente al convenuto di contestare, non oltre la sua prima difesa, il valore “come indicato o presunto” dall’attore - ma la norma sembra applicabile alla sola ipotesi in cui la causa verta su beni mobili giacché non ha senso che il convenuto contesti la somma di denaro chiesta dall’attore. Ad ogni modo, se il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. Art. 14. (Cause relative a somme di danaro e a beni mobili) Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito. Il convenuto puo' contestare, ma soltanto nella prima difesa, il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione. Pagina 46 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Se il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. Art. 15. (1) (Cause relative a beni immobili) Il valore delle cause relative a beni immobili e' determinato moltiplicando il reddito dominicale del terreno e la rendita catastale del fabbricato alla data della proposizione della domanda: - per duecento per le cause relative alla proprieta'; - per cento per le cause relative all'usufrutto, all'uso, all'abitazione, alla nuda proprieta' e al diritto dell'enfiteuta; - per cinquanta con riferimento al fondo servente per le cause relative alle servitu'. / rendita catastale = coefficiente Il valore delle cause per il regolamento di confini si desume dal valore della parte di proprieta' controversa, se questa e' determinata; altrimenti il giudice lo determina a norma del comma seguente. Se per l'immobile all'atto della proposizione della domanda non risulta il reddito dominicale o la rendita catastale, il giudice determina il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti, se questi non offrono elementi per la stima, ritiene la causa di valore indeterminabile. (1) Articolo cosi' sostituito dalla L. 30 luglio 1984, n. 399. Art. 15-bis. (Esecuzione forzata) (1). Per l'espropriazione forzata di cose mobili è competente il giudice di pace. Per l'espropriazione forzata di cose immobili e di crediti è competente il tribunale. Se cose mobili sono soggette all'espropriazione forzata insieme con l'immobile nel quale si trovano, per l'espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse. Per la consegna e il rilascio di cose nonché per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il tribunale. (1) Articolo inserito dall'art. 27, comma 1, lett. a) numero 2 del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116; le disposizioni di cui all'art. 27 citato entrano in vigore il 31 ottobre 2021. Competenza per territorio - Nell’ambito dei criteri di competenza territoriale risultanti dagli art. 18 e ss. è opportuno distinguere innanzi tutto quelli concernenti i fori generali - applicabili in linea di principio a qualunque causa e individuati in base ad elementi soggettivi. (art. 18 -19) Art. 18. (Foro generale delle persone fisiche) Salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora. Pagina 47 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l'attore. Art. 19. (Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute) Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. E' competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 ss. del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo. Fori speciali -> utilizzabili per le sole cause aventi un determinato oggetto (a) o riguardanti determinati soggetti (b). Art. 20. (Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione) Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio. (= fori facoltativi concorrenti con quello generale da individuare mediante un’indagine sostanziale diretta a stabilire - dove si è concluso il contratto (forum contractus) - dove si è verificato l’illecito da cui discende l’obbligazione extracontrattuale (forum commossi delicti) - o il luogo dove deve avvenire l’adempimento ( forum destinatae soluzionis) Art. 21. (Foro per le cause relative a diritti reali e ad azioni possessorie) Per le cause relative a diritti reali su beni immobili, per le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende, nonché per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi, è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda. Qualora l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato; quando non è sottoposto a tributo, è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile. Per le azioni possessorie e per la denuncia di nuova opera e di danno temuto e' competente il giudice del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato. Art. 25. (Foro della pubblica amministrazione) - l’articolo 25 è chiaramente ispirato ad un trattamento di favore della pubblica amministrazione. Contra in realtà di due disposizioni distinte: 1) Per le cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato è Pagina 50 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 La decisione sulla competenza può essere : • dichiarativa della stessa -> allorché affermi la competenza del giudice adito (e se non decide anche anche il merito della causa, sarà una pronuncia non definitiva del giudizio) • declinatoria -> laddove dichiari l’incompetenza di tale giudice, definendo il processo dinanzi a lui. In entrambi i casi il provvedimento sarà naturalmente impugnabile - anche attraverso le impugnazioni ordinarie qualora abbia deciso nel merito della causa - o solo con un particolare rimedio = REGOLAMENTO DI COMPETENZA. Il codice del 1940 (adottando una soluzione che solo di recente è stata estesa alla declinatoria di giurisdizione) ha tuttavia opportunamente escluso che il giudizio abbia necessariamente fine con la pronuncia d’incompetenza e che l’attore sia dunque costretto, in tale ipotesi, a riproporre ex novo la domanda dinanzi al diverso giudice reputato competente -> il che lp esporrebbe al rischio che la questione relativa alla competenza si trascini all’infinito costringendo l’attore medesimo a migrare da un ufficio giudiziario all’altro. Siffatto inconveniente viene evitato attraverso un duplice accorgimento: a) consentendo la continuazione del processo dinanzi al giudice ad quel, ovvero quello che è stato ritenuto competente dal giudice adito a) impedendo che tale giudice possa a sua volta dichiararsi incompetente e spogliarsi della causa. -> L’art. 50 infatti prevede che: se la causa, dopo la pronuncia di incompetenza - - resa dal giudice di primo grado, - o in sede d’impugnazione dal giudice d’appello - o dalla stessa cassazione, eventualmente in seguito a regolamento di competenza chiesto da una delle parti - viene tempestivamente* riassunta davanti al giudice dichiarato competente [ laddove per tempestivamente s’intende* entro il termine fissato nell’ordinanza dal giudice a quo (cioè quello che si è dichiarato incompetente), e qualora tale termine manchi, entro 3 mesi dalla comunicazione dell’ordinanza di regolamento resa dalla cassazione o dall’ordinanza che abbia dichiarato l’incompetenza ] -> il processo (lo stesso che era stato erroneamente instaurato davanti al giudice incompetente) “continua davanti al nuovo giudice” . Ciò consente: di conservare gli effetti prodotti dalla originaria domanda giudiziale, evitando così che l’attore possa subire pregiudizio, ad es. dalla prescrizione o decadenza maturata nel frattempo, ed inoltre risponde ad esigenze di economia processuale, permettendo (secondo l’opinione prevalente) il recupero e l’utilizzazione di alcune attività (in particolare quelle di istruzione probatoria) già compiute dinanzi al giudice a quo. Tale soluzione è dunque diversa da quella prospettata dall’art. 59 della l.69\2009 in caso di traslatio iudicii conseguente ad una sent. declinatoria di giurisdizione, ma la differenza ben può giustificarsi con la maggiore gravità del difetto di giurisdizione rispetto all’incompetenza. Quanto al secondo punto: v’è da considerare che la pronuncia i incompetenza, qualora non sia impugnata dall’attore tramite regolamento di competenza, rende Pagina 51 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 incontestabile tanto l’incompetenza del giudice dal quale proviene, quanto la competenza del giudice da essa indicato, alla duplice condizione: i. che la causa sia tempestivamente riassunta entro i termini sanciti dall’art. 50 ii. che non si tratti di incompetenza per materia o per territorio inderogabile, nei casi previsti dall’art. 28. In altre parole qui il legislatore ha derogato ad un principio che riservava a ciascun giudice la verifica della propria competenza, ed ha previsto che il secondo giudice sia vincolato all’indicazione resa dal giudice previamente adito, che l’abbia ritenuto competente sulla causa. Il vincolo però non è totale ed assoluto giacché impedisce al giudice ad quel di tornare a valutare solo la propria incompetenza per valore o territorio derogabile. Quando invece egli dovesse ritenere di essere incompetente per materia o per territorio indergoabile, l’art. 45 prevede che egli non possa declinare la competenza spogliandosi del processo, ma possa investire della questione la corte di cassazione, chiedendole d’ufficio il regolamento di competenza. Questo strumento serve ad assicurare che il conflitto di competenza, trovi senz’altro soluzione attraverso l’ordinanza di regolamento della corte, che statuisce definitivamente sulla competenza. PRINCIPIO DELLA PERPETUTATIO IURISDICTIONIS : L’attribuzione della giurisdizione e della competenza dipendono da criteri fissati dal legislatore, i quali a loro volta prendono assai spesso in considerazione elementi del tutto estrinseci alla domanda, suscettibili di mutare nel tempo : es. la residenza o il domicilio del convenuto, che rilevano sia per la competenza (ex art. 18 c.p.c.) sia per la giurisdizione ai s. dell’art. 3 l.218\1995. Si tratta di stabilire pertanto quali conseguenze possa avere sul processo la variazione di tali elementi di fatto, o a monte, la stessa modificazione delle disposizioni di legge regolatrici della giurisdizione e della competenza, allorché il legislatore non abbia provveduto - come spesso accade - a dettare un’opportuna disciplina transitoria. Il problema è risolto dall’art. 5 c.p.c., che oggi, dopo una significativa integrazione ad opera della rif. del 1990 prevede: Art. 5. (Momento determinante della giurisdizione e della competenza) La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo. (principio della perpetuato iurisdictionis) (1) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 26 novembre 1990, n. 353. _______________ Ciò risponde all’esigenza di evitare che la durata del processo si risolva in danno dell’attore che ha ragione, e al principio costituzionale per cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” ex. art. 25.1 Cost. Le sole ipotesi di modificazioni normative cui si ritiene inapplicabile l’art. 5 sono quelle che si traducano nell’immediata soppressione dellufficio giudiziario presso il quale pende la causa, o che derivino dalla dichiarazione di incostituzionalità Pagina 52 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 di una delle norme distributive della giurisdizione o della competenza. Esulano inoltre dall’ambito applicativo dell’art. 5 le variazioni che riguardaino, non elementi estrinseci alla domanda, bensì la domanda stessa. Si ritiene infatti che il mutamento della domanda originaria, al pari della proposizione delle domande nuove in corso di causa, ben possa implicare il sopravvenire del difetto di giurisdizione o dell’incompetenza, spogliando conseguentemente della causa, il giudice adito. CAPITOLO VI - IL P.M A differenza che nel processo penale, in cui il pubblico ministero è protagonista e titolare esclusivo del potere d’azione, i compiti del p.m nel processo civile, sono già de iure piuttosto circoscritti, ed ancor più limitati sono quelli che gli riserva la prassi. Art. 69 - disciplina le ipotesi in cui il p.m esercita l’azione civile: Art. 69. (Azione del pubblico ministero) Il pubblico ministero esercita l'azione civile nei casi stabiliti dalla legge. L’articolo lascia in tal modo intendere che si tratti di fattispecie tipiche e tassative, giacché derogano al principio desumibile dall’art. 81 Tale deduzione trova conferma nell’art. 2097 c.c. ai sensi del quale l’autorità giudiziaria provvede di regola - su istanza di parte, e quando la legge lo dispone - anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio. Es. istanza per la dichiarazione di morte presunta, o per l’interdizione o l’inabilitazione o l’amministrazione di sostegno, istanza per la dichiarazione di fallimento (…) - tutte ipotesi che riguardano diritto o status sottratti alla disponibilità delle parti, la cui tutela risponde evidentemente a interessi di natura pubblicistica. Il legislatore, per contemperare tali interessi con il principio della domanda, estende il novero dei soggetti legittimati ad agire, includendovi per l’appunto il p.m. per il quale l’esercizio dell’azione costituisce non un mero potere, bensì un potere- dovere. I casi di intervento sono invece disciplinati dall’art. 70 e correlati all’esigenza di controllare l’operato delle parti, per evitare che esso sempre in giudizi concernenti digiti indisponibili, possano difenderò male o possano addirittura colludere tra loro per far apparire una situazione diversa da quella reale e ottenere in tal modo un provvedimento in fronde alla legge. L’intervento del p.m ai sensi dell’art. 70 è obbligatorio - cena di nullità rilevabile d’ufficio: (70. 1 - intervento obbligatorio) 1) nelle cause che egli stesso avrebbe potuto proporre 2) nelle cause matrimoniali in genere, comprese quelle di separazione personale dei coniugi 3) nelle cause riguardati stato e capacità delle persone - es. procedimento per querela di falso ex art. 221 In queste ipotesi il giudice è tenuto ad ordinare che gli atti siano comunicati al p.m affinché questi possa esercitare il potere-dovere, tenuto anche conto che il mancato intervento in tali casi, sarebbe motivo di nullità insanabile e rilevabile d’ufficio. ma la giurisprudenza ha opportunamente ridimensionato questa drastica disciplina in Pagina 55 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Diverso, e non troppo chiaro è il regime delle ipotesi in cui due cause pendano contemperamento presso (ancorché assegnate a sanzioni o magistrati differenti dinanzi allo stesso ufficio giudiziario. in tale ipotesi l’art. 273 prevede che la duplicazione dei procedimenti si risolva non già eliminandone uno, bensì attraverso la loro riunione: - che si realizza in modo molte semplice se le cause pendono dinanzi allo stesso magistrato - o altrimenti facendo intervenire il presidente del tribunale che, sentite le parti, provvede con decreto, determinando la sezione o il giudice davanti al quale deve proseguire l’ormai unico procedimento. (e la prassi, anche se la norma non lo impone, tende a realizzare la riunione dinanzi al giudice preventivamente adito.) Va detto però, che questo meccanismo potrebbe essere utilizzato per eludere, attraverso l riproposizione della stessa domanda, le eventuali preclusioni maturate nel primo processo: deve ritenersi pertanto che la riunione non implichi una vera e totale fusione dei procedimenti separatamente avviati + e che il giudice debba trattare soltanto quello anteriormente iniziato **** chiedi al professore p. 163. Continenza di cause: Diversamente dalla litispendenza, la nozione di continenza di cause è solo presupposta ma non definita nel comma 2 dell’art. 39 - sicché non è chiaro a quale situazione il legislatore abbia inteso riferirsi ed in cosa essa differisca tanto dalla litispendenza, quanto dalla connessione contemplata all’art. 40. Quel che è certo è che in questo caso si tratta di cause in qualche misura diverse, ancorché avvinte da nessi particolarmente intensi - quindi obiettivo del legislatore non è quello di eliminarne una di esse, bensì di assicurarne la trattazione congiunta e unitaria (il c.d. simultaneus processor), soprattutto al fine di evitare possibili contrasti di giudicato. Anche in questa ipotesi si applica il criterio della prevenzione = a spogliarsi della causa dev’essere preferibilmente il giudice successivamente adito che deve dichiarare con ordinanza e nel contempo fissare un termine perentorio per la riassunzione ella causa davanti all’altro giudice. NB: se però il giudice adito preventivamente non è competente* anche per la causa promossa davanti al secondo giudice, è lui a dover dichiarare la continenza, spogliandosi conseguentemente ella caso e rimettendola al giudice adito per secondo. Di talchè le sezioni unite con sentenza del 2006, ne hanno dedotto che il secondo giudice, prima di dichiarare la continenza deve verificare la competenza del primo giudice, non soltanto sulla causa proposta successivamente, ma anche su quella preveniente. *nonostante la lettera dell’art. 39.2 - si dve precisare che l’unico ostacolo al simultaneo processus può essere determinato dall’inderogabilità della competenza per materia o per territorio funzionale. E’ chiaro inoltre, che affinché sia integrata la fattispecie della continenza, le cause devono pendere dinanzi ad uffici giudiziari diversi, se così non fosse -> si dovrebbe applicare la disciplina della riunione - in part. della riunione obbligatoria ex art. 273 che verrebbe qui applicato in via analogica. (Anche in questo caso, ma stavolta giustamente, come confermato dalla sentenza della Pagina 56 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 cassazione n. 16446 del 2009 - la giurisprudenza ritiene che le cause debbano trovarsi nel medesimo grado). Resta da definire a quali fattispecie sia applicabile la disc. della continenza di cause. il significato comune del termine farebbe pensare ad una relazione in cui una causa abbia un oggetto più ampio rispetto ad un’altra, che possa considerarsi “contenuta” nella prima. Infatti, l’opinione più diffusa in dottrina ritiene la continenza come una sorta di litispendenza parziale - caratterizzata dalla circostanza che le cause, - identiche per soggetti e causa petendi - differiscono in termini meramente quantitativi rispetto al petitum - rimanendo però sostanzialmente unico il diritto dedotto in giudizio. Es. In un processo viene chiesto il pagamento d una rata, e nell’altro quello dell’intero debito \ o ancora, ipotesi in cui la domanda di condanna riguardo in un rosso solo il capitale, nell’altro anche gli interessi. La giurisprudenza invece utilizza un concetto di continenza assai più esteso: ricomprendendovi anche le ipotesi in cui domande contrapposte delle parti - che hanno un petitum completamente diverso - traggano origine dal medesimo rapporto fondamentale - e siano tra loro incomparabili = es. domanda di adempimento del contratto e domanda di risoluzione o annullamento dello stesso\ o impugnazione licenziamento da un lato, e accertamento sulla sua legittimità dall’altro. Ipotesi in cui il giudicato di accoglimento formatosi in un processo determinerebbe necessariamente il rigetto della domanda proposta nell’altro. Questa interpretazione estensiva, riguardante fattispecie che altrimenti rientrerebbero nella connessione di cause - non sembra però affatto irragionevole in quanto: 1) il legislatore non sembra aver avuto presente una puntuale definizione della cont. 2) l’applicazione del regime della continenza offre maggiori garanzie di realizzazione del simultaneo processus. Bisogna però rilevare che, sebbene l’art. 39 non pone alcuna limitazione di ordine temporale alla dichiarazione di continenza, quest’ultima non avrebbe senso allorché l’altro processo fosse ormai giunto in prossimità della fase decisoria - dal momento che in quel caso la fusione delle cause risulterebbe praticamente inattuabile. Litispendenza internazionale: La situazione contemplata dall’art. 39.1 ossia, la contemporanea presenza di due o più cause identiche, dinanzi ad uffici giudiziari diversi, ben potrebbe coinvolgere - oltre al giudice italiano, giudici di un altro stato. La disc. pertinente si desume in questi casi dall’art. 7 della l. 218\1995 - ai sensi del quale “quando nel corso del giudizio sia eccepita la previa pendenza tra le stese parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo davanti ad un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il procedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, sospende il giudizio”. Fermo restando il criterio della perversione, tenendo presente che la pendenza della casa dinanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello stato in cui il processo si svolge, notiamo considerevoli differenze con il regime previsto per la litispendenza interna = ⁃ innanzitutto, il riferimento ad un’eccezione di litispendenza lascia intendere che solo le parti possono sollevare la questione - ancorché senza limitazioni Pagina 57 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 temporali, e dunque in ogni stato e grado del processo - mentre il giudice non può rilevarla d’ufficio (senso contrario una sentenza del 2013 delle sezioni unte che ritene di poter desumere dalla ratio della norma la rilevabilità d’ufficio n. 21108) ⁃ in secondo luogo, prima di potere dichiarare la litispendenza il giudice deve verificare che suscitano le condizioni richieste (nei limiti in cui ciò è possibile ex ante, prima che il processo pendente all’estero sia giunto al termine) dagli artt. 64 e succ della stessa legge per il riconoscimento del futuro provvedimento straniero. Ciò che il giudice è chiamato ad accertare in questa fase è che: a) il giudice straniero possa conoscere la causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano b) e dunque che suscita in su favore uno dei criteri di collegamento previsti dalla legge italiana. ⁃ infine, la dichiarazione di litispendenza non chiude definitivamente il processo, bensì lo sospende -> evidentemente al fine di evitare che essa possa tradursi in un vero e proprio diego di giustizia nel caso in cui il processo straniero non pervenga ad una decisione di merito, o che questa decisione di merito non sia riconoscibile in Italia. Lo stesso art. 7 stabilisce infatti che il giudizio in Italia può riprendere, tramite la riassunzione ad istanza della parte interessata “se il giudice straniero declina la priora giurisdizione”.* o se “il provvedimento straniero non è riconosciuto nell’ordinamento italiano. *E a questa ipotesi è necessario equiparare ogni altro chi in cui il processo straniero sia definito in mero rito. Sub - b) Nel caso in cui la giurisdizione partenza poi ad uno stato membro dell’unione, l’art. 29 del reg. UE n 1215\2012 stabilisce che: qualora davanti alle autorità g. di stati membri differenti, e tra le medesime parti siano state proposte cause aventi il medesimo titolo e il medesimo oggetto, il giudice successivamente adito deve sospendere il procedimento finché sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale adita in precedenza. Una volta intervenuto questo accertamento, deve dichiarare la propri incompetenza a favore del giudice preventivamente adito. A tal proposito, la giurisprudenza prevalente ritiene che (modificando il proprio orientamento precedente) nel caso di mancata sospensione sia proponibile il regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’articolo 41 - e la medesima soluzione dovrebbe applicarsi in relazione all’art. 7 della legge del 95. Bisogna infine sottolineare che la giurisprudenza della orte europea ha adottato un concetto di litispendenza endocomunitaria molto più ampio di quello recepito nel diritto intenzione (ovvero nell’art. 39.1 reg.) ritenendo che la azione di medesimo oggetto non debba essere limitata all’identità formale delle domande = quindi non solo riferita alle cause esattamente identiche, ma debba abbreviate pure l ipotesi in cui tali domande, proposte dinanzi a giudici di stati diversi, differiscano in realtà per il rispettivo oggetto e siano tra loro contrapposte e incompatibili pur traendo origine dal medesimo rapporto. (stesso discorso fatto prima con fieramente alla continenza di cause - rispetto alla mera connessione) Connessione di cause: Pagina 60 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 * ma la connessione in esame può anche interessare, come spesso accade, domande tra le stesse parti -> ed in tale ipotesi sarebbe assurdo escludere che il simultaneo processor - fermo restando il rispetto dei criteri inderogabili - può instaurasse anche dinanzi al foro speciale previsto per una soltanto delle cause, tenendo conto che il convenuto non subisce alcun tipo di pregiudizio. ** per ciò che concerne l’identità dell’oggetto -> deve aversi riguardo al c.d. petitum mediato, ossia al bene della vita di cui si chiede l’attribuzione. L’identità non va intesa in senso formale ed assoluto - bensì come equivalenza dell’obiettivo le cui diverse domande tendono. Tale equivalenza caratterizza ipotesi - generalmente definite come concorso di azioni - nelle quali più domande, pur basandosi su fatti costitutivi in parte diversi, mirano ad un risultato sostanzialmente coincidente, tant’è che il soddisfacimento del diritto dedotto con l’una estinguerebbe inevitabilmente anche il diritto dedotto con l’altra. Es. Ipotesi di vendita c.d. “a catena” in cui l’acquirente finale che abbia subito un danno a causa di un vizio della cosa, faccia valere nello stesso giulio laresp. contrattuale del sua immediato dante causa e quella extracontrattuale del produttore della cosa, assumendo che si tratti di vizi che la rendevano pericolosa . In tutte queste ipotesi, la proposizione delle stesse domande in unico processo - contro la stessa parte o parti diverse - dà luogo, di regola ad un cumulo alternativo -> caratterizzato dal fatto che sul piano sostanziale, prima ancora che sul piano processuale, l’accoglimento di una domande, è palesemente incompatibile con l’accoglimento dell’altra - proprio in quanto è da ocnsiedersi identico il rispettivo oggetto. All’interno di tale situazione, che appartiene al genus del cumulo condizionale di di domande deve distinguersi in realtà: ▪ il cumulo alternativo vero e proprio -> le domande tra loro incompatibili vendono poste dall’attore sullo stesso piano e sono tutte contemporaneamente sottoposte al giudice il quale ben potrà accogliere indifferentemente l’una o l’altra. ▪ da quello c.d. eventuale e subordinato -> ipotesi in cui l’attore chiede in via immediata l’accoglimento di una sola delle domande, subordinando l’esame dell’altra al rigetto della prima. {Es. domanda principale di condanna ad una prestazione derivante dal contratto e domanda subordinata fondata sull’ingiustificato arricchimento. Al medesimo genus la dottrina riconduce la figura del cumulo condizionale successivo -> che ricorre quando l’esame di una domanda è subordinato non al rigetto, bensì all’accoglimento di un’altra domanda. In tali ipotesi deve trattarsi obv di domande tra loro pienamente compatibile, una delle quali (cioè quella proposta in via condizionata) dipende dalla fondatezza dell’altra, che assume carattere pregiudiziale. *** non è altrettanto chiaro cosa debba intendersi per identità del titolo = spesso si afferma che con questa espressione il legislatore alluderebbe puramente e semplicemente alla causa petendi - cioè all’insieme dei fatti costituivo posti rispettivamente alla base delle diverse domande - che peraltro non potrà essere perfettamente uguale per domande diverse, sicché si aggiungerà che si tratta di una coincidenza soltanto parziale. Ma l’impressione è che il legislatore non abbia inteso Pagina 61 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 riferiti genericamente alle ragioni della domanda (così come invece avviene con l’art. 163 c.3 n. 4) bensì, all’identità del rapporto giuridico sostanziale, rispettivamente dedotto in giudizio - anche quando per taluna delle cause, tale rapporto corrisponda ad una parte soltanto della causa pretendi. Es. il locatore chiede per un verso il pagamento dei canoni arretrati, e per l’altro il risarcimento dei danni derivanti dal deterioramento del bene locato = le domande sono oggettivamente connesse per il titolo in 1uanto fondate entrambe sul medesimo contratto di locazione. Viceversa, allorché la comunanza riguardi invece singoli fatti non riconducibili ad un rapporto sostanziale unico, deve ritenersi che si tratti di connessione impropria (per mera identità di questioni di fatti) prima di ogni riflesso sulla competenza. Ipotesi B) connessione che riguarda sia l’oggetto che il titolo = Ciò si verifica in particolare quando viene dedotto in giudizio un rapporto giuridico che il diritto sostanziale mostra di reputare unitario ancorché sia plurisoggettivo: es. un diritto reale di cui siano titolari più persone\ o un’obbligazione solidale. (Parte della dottrina a proposito delle obb. solidali ritiene di dover distinguere: - obbligazioni solidali c.d. ad interesse comune (regola) nelle quali la fattispecie costitutiva è realmente unica per tutti i condebitori o contenitori - dalle obbligazioni ad interesse unisoggettivo (contratte cioè nell’interesse esclusivo di uno dei debitori) in cui si è invece in presenza di fattispecie in parte diverse (es. posizione del fideiussore, la cui obbligazione dipende dall’esistenza del debito principale, sia dalla garanzia fideiussoria). Es. Viene ricondotta on di rado a questo genus l’ipotesi contemplata dal 2378 c.c. - ossia la proposizione di una pluralità di impugnazioni aventi ad oggetto la medesima liberazione di società per azioni: ma in questo caso identico è l’oggetto, mentre non è detto che sia tale anche il titolo - dal momento che le impugnative potrebbero donarsi su vizi del tutto diversi. 4) Connessione qualificata c.d. pregiudizialità - dipendenza La dottrina è solita ricondurre al concetto di connessione qualificata tutte le ipotesi contemplate dagli artt. dal 31 al 36 cpc (escl. 33) che, se per un verso sono anch’esse ipotesi di connessione oggettiva, sono d’altronde connotate da un particolare rapporto di subordinazione di una causa all’altro, per lo più inquadrabile nello schema della pregiudizialità - dipendenza. (che il legislatore omette di rendere in considerazione direttamente e autonomamente, e che di conseguenza spetta all’interprete ricostruire muovono da queste disposizioni, e dal 295 - come si dirà). Di pregiudizialità si può discorrere in senso lato anche sussiste una certa gerarchia tra più domande, determinata da ragioni meramente processuali, riconducibili alla volontà della parte che le ha proposte. Es. L’attore potrebbe aver formulato più domande in modo alternativo, una principale e l’altra subordinata al macinato accoglimento della prima, sicché è chiaro che il giudice non potrebbe esaminare la seconda senza aver deciso sulla prima. Il fenomeno della pregiudizialità in senso stesso invece, attiene ad una particolare relazione sostanziale tra rapporti giuridici consistente nella circostanza che: l’esistenza o l’inesistenza o l’estinzione di un diritto\status dipende sul piano sostanziale, dall’esistenza o inesistenza tra le stesse parti, o Pagina 62 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 tra diverse parti, di un altro rapporto giuridico -> che appartiene alla fattispecie costitutiva o impedita- modificativa del primo. Es. Vi è pregiudizialità-dipendenza tra la domanda di pagamento di un credito del de cuius (o di adempimento di un contratto da lui stipulato) e la domanda di accertamento della qualità di erede (ovviamente in capo al medesimo soggetto da cui proviene la prima domanda) + o ancora, fra la causa in cui il lavoratore chiede all’ente previdenziale determinate prestazioni e quella in cui si discuta dell’esistenza\a validità del rapporto di lavoro. Infine, la dottrina discorre di pregiudizialità meramente “logica” con riguardo alle ipotesi in cui non vengono propriamente in rilievo rapporti giuridici diversi, bene’ la relazione tra un singolo diritto e il rapporto giuridico complesso da cui esso trae origine. Es: la causa avente ad oggetto l’accertamento dell’esistenza\inesistenza - o validità invalidità del contratto è pregiudiziale rispetto a quella concernente l’adempimento di una prestazione derivante dal contratto stesso (ipotesi che però la giurisprudenza non di rado riconduce alla continenza di cause). In ogni caso, la pregiudizialità - dipendenza dà origine ad una connessione particolarmente intensa, cui corrisponde un rischio piuttosto alto di giudicati contraddittorii, legato all’eventualità che l’esistenza del medesimo rapporto pregiudiziale venga affermata in un processo e negata nell’altro. in considerazione di ciò le disposizioni in esame tendono a favorire il s.p. attraverso deroghe agli ordinari criteri di competenza - deroghe che però sono formulate in modo tutt’altro che limpido e che danno luogo, perciò, a diversi dubbi interpretativi. In linea di principio, prevale tutt’ora l’opinione che: la connessione non possa mai derogare a quei criteri considerati tradizionalmente più forti e cioè alla competenza per materia o per territorio funzionale. oggi tuttavia, dopo l’istituzione del giudice unico in primo grado e la conseguente soppressione delle preture gli ostacoli alla trattazione congiunta, in presenza di una connessione “qualificata” sono divenuti sempre meno frequenti - specie per quel che concerne la competenza “veritcale” tenuto conto della circostanza che a sensi dell’art. 40 c.6: se i criteri ordinari della materia e del valore dovessero attribuire una causa al giudice di pace, e l’altra al tribunale, prevarrebbe senz’altro la competenza del giudice “togato”. E quindi, prescindendo dalle ipotesi in cui è prevista la competenza della corte d’appello in primo e unico grado, l’impedimento alla realizzazione del s.p. potrebbe derivare solamente dalla competenza per territorio inderogabile. Segue: ▪ a) l’accessorietà L’art. 31 stabilisce che la domanda accessoria può cumularsi con quella principale, dinanzi al giudice territorialmente competente per quest’ultima - fermo restando, che se le domande sono proposte contro la medesima parte, il loro valore si somma ai sensi del 10 comma 2. Il legislatore omette di precisare il concetto di accessorietà -> accessoria = la domanda che, dal punto di vista del risultato perseguito dall’attore, ha un rilievo secondario rispetto alla domanda principale ed il cui accoglimento, nel contempo, è subordinato all’accoglimento di quest’ultima, da cui discende in Pagina 65 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 circoscritto alla domanda senza estendersi alle questioni ce pure ne condizionino in concreto la decisione. può però accadere che dinanzi ad una questione pregiudiziale, il giudice adito debba decidere anche su di essa con efficacia di giudicato, vuoi perchè è la legge ad esigerlo, vuoi perchè una delle parti avanzi un’apposita domanda in tal senso (chiedendo quindi che si decida ad ogni effetto e non incidenter tantum). In conseguenza della domanda di accertamento pregiudiziale (o automaticamente allorquando ai la legge as esigere la decisione con efficacia di giudicato) la questione pregiudiziale diventa -> causa pregiudiziale e viene a cumularsi a quella principale originaria - he in realtà dipende, a questo punto, dalla decisione dell’altra. Competenza = ⁃ se la causa pregiudiziale attiene alla competenza per materia o valore di un giudice inferiore -> nulla quaestio ⁃ se esorbita la competenza del giudice adito -> quest’ultimo rimette entrambe le cause al giudice superiore, amiche si realizzi il s.p. dinanzi a lui. (La disciplina fin qui enunciata conferma (a contrario) che la trattazione congiunta di cause connesse per pregiudizialità- dipendenza non può mai trovare ostacolo nella diversa competenza per territorio derogabile prevista per le singole cause.) ▪ d) compensazione Art. 35 -> prende in considerazione il caso in cui sorga una particolare questione pregiudiziale, avente ad oggetto la presenza di un controcredito opposto in compensazione (legale o giudiziale). La compensazione si traduce in fatto estintivo del debito, essa dà luogo ad un eccezione - che il convenuto allega al sol fine di ottenere il rigetto della domanda - non dovrebbe, stando ai principi, di per sé estendere l’ambito oggettivo del giudizio, a meno che essendo sorta questione pregiudiziale sull’esistenza del controcredito, una delle parti non avanzi esplicita domanda di accertamento incidentale, ai sensi dell’art. 34. Ma la disciplina contenuta nell’art. 35 deroga a questi principi e prevede che: se il controcredito è contestato, ed eccede la competenza per valore del giudice adito, è negata senz’altro a quest’ultimo di decidere l’eccezione di compesanzione, sulla quale deve pronunciarsi il giudice superiore. Ratio = la spiegazione più plausibile va rinvenuta nella circostanza che il legislatore ha escluso in questo caso la risoluzione incider tantum della questione, empiendo che sia comunque decisa con efficacia di giudicato -> sicché deve ritenersi che si tratti di un’ipotesi di accertamento incidentale ex lege. Cioè, se è proposta un’eccezione di compensazione, l’eccezione resta tale e non estende l’ambito oggettivo del giudizio solo se il controcredito non è contestato dall’attore -> se invece è contestato, sorge senz’altro una causa pregiudiziale che si cumula a quella originaria e può dunque esorbitare la competenza del giudice adito. Quindi l’infelice formulazione dell’art. 35 (che ricompense solo l’ipotesi in cui sia competente per valore un giudice superiore) viene generalmente insta nel senso che, questa patibolare ipotesi di connessione di cause, al pati di quella ex art. 34, Pagina 66 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 consente di deroga alla sola competenza per territorio derogabile (quindi fatta eccezione per i casi prev. ex art. 28) e a quella per valore di un giudice inferiore - on anche a quella per materia o funzionale. Di talchè: ⁃ se è il giudice originariamente adito (grazie anche alle deroghe) competente per decidere sul controcredito constato -> il s.p. si realizzerà dinanzi a lui ⁃ in caso contrario (soluzione già indicata ex art. 34) il cumulo delle cause sarà rimesso al giudice superiore. Rispetto all’art. 43, qui il giudice ha però un’altra possibilità allorquando la domanda principale sia fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile = egli può decidere su di essa (che non esige una complessa attività istruttoria) e rimettere al giudice superiore suolo la decisione concernente l’esistenza del controcredito, eventualmente subordinando l’esecuzione della propria sentenza di condanna alla prestazione di una cauzione. ▪ e) domanda rincovenzionale Ultima ipotesi di connessione qualificata contemplata all’art. 36: quest’ultimo in realtà non fornisce una definizione della domanda riconvenzionale, ma si limita a disciplinare le domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa in quanto eccezione. Queste domande possono essere cumulate alla principale e decise nello stesso proc. purchè non eccedono la competenza per materia o valore del giudice adito - in caso contrario il giudice può applicare le disposizioni dei due articoli precedenti ( ovvero eventualmente può rimettere al giudice superiore la sola causa riguardante la domanda riconvenzionale quando quella principale sia fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile\ altrimenti gli rimette entrambe le cause). La più classica nozione di rinconvenzionale evoca l’idea della controdomanda che il convenuto formula nei confronti dell’attore - quando non si limita a chiedere il rigetto della domanda da questi proposta - facendo valere un diritto diverso da quello oggetto della domanda principale = si tratterebbe di domande almeno soggettivamente coincidenti, ancorché a pati contrapposte. Ma il concetto di rinconvenzionale abbraccia anche • la domanda che l’attore medesimo proposta successivamente contro il convenuto c.d. reconventio reconventionis - ex art 183.5 • quella che taluno dei convenuti proponga contro un altro dei convenuti • tutte le domande provenienti da chi è parte nel processo nei confronti di altro soggetto che parimenti ha in precedenza acquisito la qualità di parte. Relazione tra domanda principale e riconvenzionale - può essere di diversi tipi = a) incompatibilità = es. l’attore chiede il rilascio di un immobile, asserendo che è detenuto sine titolo, e il convenuto invece chiede l’accertamento dell’avvenuta usucapione b) piena compatibilità = es. il locatore agisce per il rilascio per la fine della locazione, e il convenuto agisce per il risarcimento dei danni d egli cabinati a casa dei vizi dell’immobile c) addirittura, la riconvenzionale potrebbe finanche presupporre Pagina 67 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 l’accoglimento della domanda principale = es. sempre domanda di rilascio per finita locazione, il convenuto conduttore potrebbe chiedere, subordinatamente all’accoglimento di tale domanda, la condanna dell’attore (locatore) al pagamento di un’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile. NB: fermo restando che la deroga alla competenza applicabile soltanto nei casi di vera e propria connessione oggettiva contemplati ex 36, la prevalente giurisprudenza: ritiene che ai soli fini dell’ammissibilità del cumulo (e quindi posto che entrambe le domande appartengano alla competenza del giudice adito) sia sufficiente qualunque collegamento obiettivo tra la domanda principale e quella riconvenzionale (un collegamento che potrebbe intendersi quindi anche solo come connessione impropria per mera comunanza di questioni). MODALITà DI REALIZZAZIONE DEL Simultaneus Processus. - distinte a seconda che: a) le cause sano state separatamente proposte dinanzi ad uffici giudiziari diversi b) cause separatamente propose davanti allo stesso ufficio giudiziario infatti, allorché, grazie alle eventuali deroghe previste ex art. 31-36 sia possibile individuare un unico giudice competente per tutte le cause connesse, il loro cumulo può realizzarsi in momenti e modalità differenti: 1) in primo luogo può attrassi fin dall’inizio per scelta dell’attore - che formuli ad esempio più domande contro lo stesso convenuto (cumulo oggettivo) o contro più convenuti (cumulo soggettivo) 2) oppure nel corso del giudizio - vuoi in conseguenza del sorgere di una nuova causa (es. riconvenzionale) tra le stesse parti \ vuoi per l’allargamento anche soggettivo del giudizio che deriva = - a) dalla chiamata - b) dall’intervento volontario di un terzo protagonista o destinatario della nuova domanda connessa a quella originaria Ma può anche avvenire che le cause separate siano state promosse autonomamente, in separati processi -> in questo caso la disciplina si diversifica a seconda che pendano o meno dinanzi al medesimo ufficio giudiziario: ▪ a) cause connesse instaurate separatamente dinanzi ad uffici giudiziari diversi = l’art. 40 consente a talune condizioni che se si tratta di una delle ipotesi di connessione qualificata ex art. 31-36 -> la loro trattazione congiunta può attuarsi dinanzi ad uno di tali uffici. Il giudice deve dichiarare la connessione con ordinanza, fissando alle parti un termine perentorio per la riassunzione delle causa dinanzi al giudice dell causa principale\quello preventivamente adito. Da ciò si può desumere che a spogliarsi della causa sia il giudice della causa accessoria, nell’ipotesi ex art. 31 - nonché quello successivamente adito in tutti gli altri casi. Davanti a quest’ultimo la connessione può essere eccepita da ciascuna delle parti, o rilevata d’ufficio soltanto entro la prima udienza (il giudice sarà infatti tenuto a rifiutare la richiesta di connessione quando lo stato della causa principale preventivamente proposta non consentirebbe l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse ex art. 40.2) Pagina 70 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 competente per taluna di esse. benchè le disposizioni parrebbero riferissi indiscriminatamente a tutte le ipotesi di cumulo di cause (iniziale, successivo - oggettivo, soggettivo) parte della dottrina ha sottolineato che le esigenze di economia processuale (ratio) che sono alla base del potere del potere di separazione non dovrebbero mai operare in presenza di una connessione particolarmente intensa, qual è quella per pregiudizialità -dipendenza (che caratterizza un po tutte le ipotesi di connessione c.d. qualificata) -> e questo in quanto la esazione potrebbe dar luogo a contrasti di giudicati particolarmente evidenti - sicché non di rado si è sostenuto che in questi casi la separazione non sarebbe ammessa in quanto si tratterebbe di c.d. cumulo inscindibile. La giurisprudenza, dal suo canto, sembra non smettere tale distinzione (eslcuso il caso di listiconsorzio necessario c.d. processuale) ma il problema in ogni caso risulta esse di scarso rilevo data la non impugnabilità del provvedimento di separazione (al pari di quello di riunione). CAPITOLO 9 - IL PROCESSO CON PLURALITà DI PARTI * manca capitolo su parti e difensori pag.191-208 1. Il concetto di litisconsorzio La nozione di litisconsorzio indica la presenza nel processo di una pluralità di parti - alcune delle quali ben possono avere una posizione processuale in tutto o in parte comuni (es. azione confesserai servitutis proposta nei confronti dei più proprietari del fondo servendo). A seconda che la pluralità riguardi chi ha proposto la domanda, i destinatari della stessa o entrambi -> si parla di litisconsorzio attivo, passivo o misto. • Il litisconsorzio inoltre può essere originario -> se si determina fin dal momento in cui s’instaura il processo • o successivo -> qualora si realizzi nel corso del giudizio, in conseguenza dell’intervento di nuove parti - oppure di un fenomeno di successione processuale (quando cioè ad una delle parti succeda una pluralità di soggetti - es. eredi) • Infine parleremo di litio. necessario o facoltativo a seconda che il processo possa o debba instaurarsi tra più parti. a) Litisconsorzio facoltativo (originario): L’art. 103 (già menzionato a prop. della connessione) consente che più parti agiscano o siano convenute nello stesso processo “quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo da cui dipendono” - In questa ipotesi si è soliti discorrere di l.c.n proprio -> in quanto presuppone una connessione oggettiva propria - “oppure quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni” - in quest’ipotesi litisconsorzio improprio, corrispondente ad una connessione impropria. La facoltatività cui fa riferimento la rubrica dell’art. 103 è riferita alla genesi del cumulo soggettivo di cause che è rimessa alla volontà degli attori. b) litisconsorzio necessario: (disc più complessa) Ex art. 102.1 espresso principio per cui: “se la decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti, queste devono agire o essere convenute nello stesso processo” e l’art. aggiunge al comma 2 “qualora ciò non avvenga, cioè se il processo non sia stato instaurato fra tutti i litisconsorti necessari -> il giudice deve Pagina 71 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 ordinare alle parti l’integrazione del contraddittorio, fissando a tal fine un temine perentorio (la cui scadenza conduce all’estinzione del processo). La dottrina, con riferimento all’art. 102 ha parlato di norma in bianco -> in quanto questa omette di precisare quand’è che la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, e dunque in quali ipotesi si configuri il litisconsorzio necessario. Una lacuna grave se si pensa alle conseguenze che può determinare la violazione dell’at. 102, e quindi lo svolgimento del processo inter pauciores - cioè tra alcuni soltanto di quelli che obbligatoriamente avrebbero dovuto parteciparvi. In realtà vi sono ipotesi in cui la necessità è prevista dalla legge: es. art. 784 (che impone di proporre le domande di divisione nei confronti di tutti gli eredi o condomini nonché degli eventuali creditori opponenti) o art. 2900.2 in caso di azione surrogatoria - ma non si dubita però che l’art. 102 trovi applicazione ace in altre fattispecie: 3 gruppi di ipotesi 1. litisconsorzio necessario determinato dalla deduzione di un rapporto plurisoggettivo = o l.c.n. secundum tenore rationis 2. l.c.n connesso ad ipotesi di legittimazione straordinaria 3. l.c.n. determinato da ragioni di mera opportunità 1) L.c.n determinato dalla deduzione di un rapporto (univo) plurisogg. = la necessità del litisconsorzio si ritiene discendere da ragioni sostanziali, ossia la circostanze che il processo ha ad oggetto un rapporto giuridico unico ma plurisoggettivo. A tal proposito va detto che non è sufficiente la mera deduzione in giudizio di un rapporto giuridico unico con pluralità di parti, a rendere necessaria ai sensi del 102, la partecipazione di tutti i contitolari. A conferma di ciò si pone la disciplina in materia di obbligazioni solidali (Art. 1292 ss) - in esse infatti vediamo la possibilità che ciascuno dei condebitori sia chiamato ad adempiere autonomamente per l’intero, o viceversa che ciascuno dei concreditori agisca autonomamente per l’adempimento dell’intera obbligazione; senza che al processo siano chiamati a partecipare risp. gli altri condebitori\concreditori. Dunque, l’ulteriore elemento da cui può derivare la necessita del litisconsorzio va individuato a partire dalla finalità cui risponde la disposizione ex art. 102 nel gruppo di fattispecie in esame -> la dottrina dominate nega che l’art. 102 - in relazione alle ipotesi in cui la causa verte su un rapporto plurisoggettivo - costituisca una mera applicazione dell’art. 101, ossia del principio del contraddittorio, e sia preordinato dunque a tutelare il diritto di difesa dei litisconsorzi necessari. Infatti l’art. 2909 c.c. - che concerne i limiti soffittavi del giudicato, esclude che la sentenza possa fare stato anche nei confronti di soggetti contitolari del rapporto giuridico oggetto della decisione, che non abbiano però acquistato la qualità di parte nel processo => la sentenza a contraddittorio non integro non potrebbe in alcun modo muovere ai litisconsorti c.d. pretermessi. L’opinione più diffusa incede, che pone le sue radici nelle teorie di Chiovenda e ancor più di Redenti ritiene che: la necessità del litisconsorzio può essere imposta in questi casi, a tutela dell’oggettiva utilità della sentenza (in relazione al risultato che l’autore si prefigge). L’art. 102 opererebbe le situazioni in cui gli effetti del provvedimento chiesto al giudice non possono prodursi se non congiuntamente per tutti i titolari del rapporto plurisoggettivo dedotto in Pagina 72 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 giudizio quale causa petendi - pena l’assoluta sua inutilità (una tesi che trova seguito in Costantino, sviluppata nel codice vigente). Si tratta in definitiva di tutte tele ipotesi in cui se la decisione non potesse dispiegare la sua efficacia rispetto a tutti i contitolari del rapporto non sarebbe di alcuna utilità per l’attore, il quale non potrebbe raggiungere il risultato che vuole perseguire: es. sentenza di scioglimento della comunione pronunciata senza la partecipazione di alcuni condomini. (sentenza inutiliter data). Il fatto è che pur condividendo questa impostazione, la concreta individuazione delle ipotesi di l.c.n resta tutt’altro che agevole e sopra, tendendo conto che il parametro su cui si fonda, ossia l’oggettiva utilità della sentenza, non sempre si presta ad essere apprezzato in termini assoluti o comunque a priori. Il che spiega la pluralità di soluzioni adottate dalla giurisprudenza. I punti sui quali si registrano gli indirizzi più univoci riguardano le azioni costitutive e di condanna. ▪ azioni costitutive -> avendo come obiettivo un modificazione giuridica, esigono sempre la partecipazione al processo di tutti i contitolari del rapporto sul quale tale modificazione dovrebbe operare - non essendo concepibile che gli effetti “costitutivi” del provvedimento perseguito dall’attore si producano soltanto per alcuni di essi. Ciò signora che i è l.c.n. necessario ogni qual volta venga proposta una domanda costitutiva relativamente ad un rapporto plurisoggettivo. {es. domanda di divisione tra gli eredi espressamente menzionata ex art. 784 - o tutte le impugnative negoziali (annullamento, rescissione, risoluzione9 che investano contratti stipulati tra più parti. ▪ azioni di condanna -> tenuto conto ella nature normalmente bilaterale degli obblighi dedotti in giudizio, le azioni di condanna, non possono dar luogo di regola ad ipotesi di l.c.n. se non nei casi in cui l’esecuzione del provvedimento richiesto abbia ad oggetto una prestazione indivisibile (es. la condanna riguarda la demolizione di un manufatto oggetto di comunione). ▪ dubbi permangono sulle azioni di mero accertamento -> se muoviamo dal presupposto che tali azioni hanno come unico obiettivo quello di fare certezza circa l’esistenza di un diritto o di uno status dell’attore contestato dal convenuto, oppure circa di un dritto che quest’ultimo abbia ventato nei confronti dell’attore non dovrebbero esserci regioni per escludere la possibilità che la domanda, pur riguardando eventualmente un rapporto plurisoggettivo, si rivolga esclusivamente nei confetti dell’autore dell’indebita contestazione\vanto stragiudiziale. Vi sono tuttavia ipotesi - riguardanti per lo più l’accertamento del diritto di proprietà su immobili - in cui la giurisprudenza approda a conclusioni contrastanti con questo pinricpio, probabilmente in considerazione dell’opportunità che la sentenza di accoglimento della domanda sia poi trascrivibile concretamente in favore\ contro tutti gli interessati. 2) L.c.n connesso ad ipotesi di legittimazione straordinaria Secondo gruppo di fattispecie in cui si è soliti affermare la necessità del litisconsorzio = ipotesi di legittimazione straordinaria ad agire. Il paradigma può essere effetto dall’azione surrogatoria -> l’art. 2900.2 espressamente prevede che il creditore, qualora agisa giudizialmente contro il debitor debitoris deve anche Pagina 75 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 pretermesso ex art. 268, e successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111.3) l’intervento volontario, derivante cioè dall’iniziativa del terzo è disciplinato dall’art. 105 che secondo la dottrina ne contempla 3 forme diverse: a) principale b) adesivo autonomo - anche detto litisconsortile c) adesivo dipendente Nelle prime due fattispecie l’interveniente fa etere nel processo un proprio diritto = propone una domande a seconda dei casi, contro tutte le parti originarie o contro taluna di esse -> sicché l’intervento detemrina sempre un ampliamento anche oggettivo del giudizio. Nell’int. adesivo dipendente invece -> l’oggetto del processo resta immutato in quanto il terzo si limita a sostenere le ragioni di alcuna delle parti. a) intervento principale: E’ detto, non causalmente anche ad opponendum\ad eslcudendum perchè il terzo propone una propria domanda contro tutte le parti originarie, facendo valere un diritto autonomo rispetto a quello già dedotto in giudizio e con esso incompatibile. Autonomo = prescinde sul piano sostanziale dll’esistenza del diritto vantato da ciascuna delle parti \ incompatibile = sempre sul piano sostanziale non può coesistere con esso in quanto riguarda lo “stesso bene della vita”. Si tratterò quindi di ipotesi di connessione per identità dell’oggetto -> che dà luogo a relazioni di incompatibilità o alternatività tra le domande. Esempi più frequentemente addotti: il terzo interviene in un giudizio in cui le parti si contendono la proprietà di un certo bene, esercita a propria volta un’azione di rivendica dello stesso bene sostenendo di avere acquistato la proprietà in base ad titolo autonomo (es. ha usucapito) - sarebbe diverso se l’interveniente sostenesse di averlo acquistato da una delle parti, perchè in quel caso il suo diritto verrebbe dipendere evidentemente dall’esistenza del diritto del suo dante causa. In ipotesi come quella in esempio, il diritto del terzo ben potrebbe essere tutelato in un autonomo processo, senza dover temere alcun pregiudizio giuridico dalla sentenza nel frattempo pronunciata tra le parti = se il terzo decide di intervenire è solo per ragioni di economia processuale oppure, in qualche caso per evitare che la domanda tra le parti possa rendergli di fatto più difficoltosa la successiva realizzazione del proprio diritto. b) Intervento adesivo autonomo E’ così denominato in quanto il terzo anche in un questo caso vanta un diritto che non è subordinato rispetto a quello controverso tra le parti, ma in questo caso propone una domanda solo contro taluna di esse, assumendo una posizione del tutto compatibile con quella delle altre parti. La connessione in tali ipotesi può riguardare a seconda dei casi, solo il titolo, o oppure tutto e oggetto della domanda originaria - mentre non sarebbe sufficiente una connessione “impropria” per mera comunanza di questioni. Connessione per identità del titolo -> es. il terzo subacquirente interviene in un giudizio in cui un creditore ha proposto domanda revocatoria delitto di compravendita - e non si limita sostenere le ragioni del suo dante causa, ma chiede altresì di accertare che l’eventuale accoglimento dell’azione revocatoria non possa pregiudicare il proprio acquisto, per l’anteriorità della trascrizione di quest’ultimo. Connessione per titolo e oggetto -> se è dedotto in giudizio un rapporto Pagina 76 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 plurisoggettivo e interviene un altro contitolare del rapporto medesimo. Es. la domanda originaria, confessori o legatoria servitftis, è stata proposta da uno dei comproprietari del fondo e nel corso del processo interviene un altro comproprietario proponendo a sua volta un’identica domanda \ o si può pensare all’intervento di un concreditore solidale. Si tratta pur sempre di ipotesi nelle quali il terzo avrebbe potuto agire o essere convenuto fin dal primo momento insieme alle parti originarie - di qui la definizione di intervento consortile - senza poter essere comunque pregiudicatole de iure, dalla decisione che dovesse essere pronunciata senza la sua partecipazione al giudizio. c) Intervento adesivo dipendente Terza e più discussa forma di intervento volontario = si ha quando il terzo non fa valere nel processo un proprio diritto, né propone dunque una sua domanda, ma si limita a far valere le ragioni di una delle parti, avendovi un proprio interesse - ai sensi del 105.2 c.p.c Due problemi si pongono in relazione a questo istituto: 1) comprendere quale sia la funzione dell’intervento per poter appurare quale tipo di interesse deve vantare il terzo per poter partecipare al giudizio. 2) ricostruire i poteri processuali spettanti all’interveniente 1) Quanto al primo punto, è opinione diffusa che l’intervento in esame presuppone una relazione lati sensu di pregiudizialità-dipendenza tra diritto dell’interveniente e diritto oggetto del giudizio fra le parti sicché il terzo possa essere interessato all’esito del giudizio -> dal quale potrebbe derivargli indirettamente un vantaggio o un nocumento giuridicamente rilevante - fermo restando però che il diritto del terzo rimane estraneo di per sé al processo e iene allegato dall’interveniente esclusivamente come titolo della sua legittimazione (= per giustificare la sua legittimazione ad intervenire). Non è però pacifico se tale interesse ricorra nei soli casi in cui il terzo, quand’anche non intervenisse, risentirebbe egualmente dell’efficacia rilessa del giudicato \ o se invece ad integrare siffatto requisito sia sufficiente un collegamento assai meno intenso sul piano processuale. E’ pertanto preferibile ritenere che l’interesse prescritto dall’art. 105 sussista per il sol fatto che in ragione del nesso sostanziale esistente tra a)il rapporto giuridico di cui il terzo è titolare e b)r il rapporto giuridico controverso tra le parti, vi sia la mera possibilità che l’interveniente consegua un vantaggio - ancorché eventuale e lavato all’esito della causa. Così ad esempio, nel giudizio tra lavoratore e datore di lavoro, avente ad oggetto l’accertamento del rapporto di lavoro, sarà legittimato l’ente previdenziale - i cui diritti ed obblighi dipendono dall’esistenza di quel rapporto di lavoro - nonostante esso, se rimanesse estraneo al giudizio, non sarebbe vincolato dalla decisione resa inter partes. In questo caso l’intervento dell’ente porta: - per un verso l’intervento del terzo porta ad un estensione del futuro giudicato nei suoi riguardi (anche se sfavorevole) - per altro verso, ed in questo risiede l’interesse dell’interveniente, mira ad assicurare che tale giudicato sul rapporto pregiudiziale sia ad esso favorevole, onde evitare di dover subire successive e separate azioni giudiziarie, o di Pagina 77 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 dover autonomamente provare esistenza del rapporto pregiudiziale (ev. escluso dalla sentenza inter partes) nel successivo giudizio in cui facesse eventualmente valere il proprio diritto a percepire i contributi obbligatori da parte del datore di lavoro. E l’intervento deve ritenersi altresì ammissibile nelle ipotesi in cui la sentenza che venisse reda tra le parti senza la partecipazione del terzo rileverebbe di per sé, non per il suo effetto di accertamento del rapporto, ma come mero fatto. Es. Se il garante prendesse parte alla causa in cui si discute dell’obbligo del garantito, l’eventuale condanna del garantito non farebbe stato nei suoi confronti quanto all’esistnza del dritto del terzo. Ma il garante ha interesse ad intenerire non per impedire che si formi un giudicato sfavorevole a lui direttamente opponibile, bensì per evitare che si realizzi una fattispecie sostanziale, da cui potrebbe trarre origine una successiva azione nei suoi confronti - anche se poi tale intervento sortisce comunque l’effetto di rendere per lui vincolante l’accertamento che verrà compiuto circa il rapporto pregiudiziale. Ulteriore esempio offerto dalla disc. dell’azione risarcitoria contro li stato per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie: Il magistrato cui viene imputato il comportamento\provvedimento produttivo del danno non è vincolato di regola, alla sentenza di condanna pronunciata nei conventi dello stato - salvo che non ritenga egli stesso di intervenire volontariamente nello relativo processo ai sensi del 105.2. Anche in questo caso l’interesse all’intervento è legato all’obiettivo di prevenire la pronuncia di una sentenza che, pur senza fare stato contro il magistrato sul punto della sua responsabilità, rappresenterebbe il presupposto per l’avvio dell’azione di rivalsa dello stato nei suo confronti. 2) I poteri dell’intervenienete adesivo dipendente Il secondo punto riguarda il complesso dei poteri spettanti all’int. con particolare riguardo al diritto di impugnare la sentenza. Tale problema non si pone per l’int. principale e adesivo autonomo - in quanto in questi casi l’int. propone una nuova domande e relativamente ad essa, è parte ad ogni effetto. L’interveniente adesivo dipendente invece, salvo che non sia eccezionalmente investito di legittimazione straordinari ad agire per l’accertamento del rapporto pregiudiziale cui è estraneo (es. art. 1012.2 c.c.), si suol dire che ha una legittimazione mercante secondaria - in quanto può solo partecipare aò giudizio che sia stato instaurato da uno dei titolari del rapporto. (infatti i suoi poteri vengono non di ratio accostati a quelli del pubblico ministero che interviene in una causa in cui privo del potere d’azione - riconosciuti ai sensi del 72.2. e del tutto subordinati a quelli delle parti). Perciò tradizionalmente si esclude che l’int. adesivo dipendente possa autonomamente impugnare la decisione resa sul rapporto pregiudiziale, allorché non l’abbiano fatto le parti titolari del rapporto medesimo. Una valutazione ponderata di questo orientamento pero non può prescindere dall’altrettanto delicato problema dei limiti soggettivi del giudicato -> Il problema però non si presta ad una soluzione unvoca in quanto si deve tener conto per un verso del nesso concretamente esistere tra la decisione resa sul rapporto pregiudiziale e la situazione giuridica dipendente di cui sia titolare Pagina 80 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 previsto senza limitazioni ex 103.2 e 104.2 non è in realtà esecrabile, o non lo sarebbe per ragioni di mera opportunità o di economia processuale). Con specifico riguardo al cumulo soggettivo -> tale soluzione è imposta direttamente dalla legge. Ex art. 2378.5 c.c. - che disciplina in materia di delibere ass. in società di capitali, stabilisce che tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione, anche se separatamente proposte devono essere istruiti congiuntamente e decise con unica sentenza = se più soci hanno impugnato le più cause confluiscono in un unico giudizio che deve avere una trattazione e decisione unitarie. Per descrivere questa situazione la dottrina ha coniato il concetto di litisconsorzio unitario, definito anche litisc. quasi necessario, caratterizzato dall’essere facoltativo dal punto di vista genetico (nel senso che non è necessaria la partecipazione di tutti i soggetti del rapporto plurisoggettivo dedotto in giudizio ai sensi del 102) ma necessario e inscindibile, una volta che avendo agito più contitolari del rapporto, o essendo stati convenuti più soggetti, il cumulo sia stato concretamente realizzato. E parte della dottrina ritiene che la disc. ex 2378, per ciò che concerne l’inscindibilità del cumulo (e non per ciò che attiene all’obbligatoria riunione di tutte le cause separatamente proposte) possa essere estensivamente applicata a tutte le fattispecie in cui al di fuori dei cadi di litisconsorzio necessario, siano proposte in un unico processo - da parti diverse, più domande connesse per identità del titolo e dell’oggetto, in quanto basate su un medesimo rapporto plurisoggettivo (che non tollererebbero un procedimento di separazione pena l’alto rischio di giuri praticamente contrastanti). Focus : giurisprudenza e l.c.n. meramente processuale La giurisprudenza ha invece dal canto suo creato un’altra figura di litisconsorzio definito meramente processuale, in contrapp. a quello per ragioni sostanziali ex art. 102 - che non differisce particolarmente, quanto agli effetti, dal l.c.n. unitario - benchè fondato su presupposti diversi. Le fattispecie cui si suole riferirsi sono 2: a) ipotesi in cui essendo morta un delle parti dopo l’inizio del processo, la casa deve essere proseguita dagli eredi, che sarebbero appunto litisconsorti necessari nel successivo corso del giudizio indipendentemente dal tipo di diritto in esso dedotto (nb: in questo caso pero non è suff. la mera chiamata all’eredità, richiesta almeno accettazione tacita) b) ipotesi di chiamata in causa di un terzo per ordine del giudice, che instaurerebbe sempre e comune una causa, o un cumulo di cause inscindibile. Nel primo caso la soluzione adottata dalla giurisprudenza sembra essere coerente e tesa a tutelare il p. del contraddittorio, infatti ciò che viene in rilevo non è l’art. 102, bensì la circostanza che la sentenza a norma del 2909 è comunque destinata a produrre i suoi effetti nei confronti di tutti i successori universali della parte venuta meno - e quindi sarebbe affetta da nullità se pronunciata senza la partecipazione di taluno di essi. Nel secondo caso invece, l’equiparazione appare azzardata, in quanto sappiamo che presupposto dell’intervento iussu iudicis è la comunica di cosa, che dà luogo ad Pagina 81 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 ipotesi particolaemtnee eterogenee che non posso dar luogo indiscriminatamente ad un cumulo inscindibile. Infine aggiungiamo che in alcuni casi il concetto di l.c.n. processuale viene riferito alle medesime fattispecie per cui la dottrina discute di “l.c.n. unitario” - si può concludere che esso sia utilizzato per escluder la separazione delle cause ogni qualvolta il relativo cumulo sia caratterizzato da una connessione particolarmente intensa (dipendenza reciproca o alternatività). ✓ Le interferenze tra le attività processuali dei singoli litisconsorti Problema: stabilire quale influenza e quali conseguenze può avere l’attività processuale di ciascun litisconsorte rispetto agli altri - infatti è ben possibile che operando attraverso differenti difensori, le rispettive attività processuali non siano tra loro coordinate. Bisogna distinguere innanzi tutto a seconda che si tratti di: • litisconsorzio necessario (o comunque unitario) • o ipotesi di cumulo scindibile a) L.c.n. necessario o “unitario” Trattandosi di una causa sostanzialmente unica o tutt’al più di cause connesse per pregiudizialità dipendenza ed abbinate per legge (nel caso del l.c.n. propter opportunitatem) che dev’essere decisa in modo unitario rispetto a tutte le parti, inevitabile che gli effetti dell’attività consortile si comunichino quantomeno se favorevoli, agli altri. b) ipotesi di cumulo scindibile La pluralità di parti corrisponde anche ad una pluralità di cause, tra loro in vario modo connesse - che nonostante la formale unicità del processo, restano distinte e provviste di una sostanziale autonomia = in linea di principio anche lgi effetti dell’attività del singolo litisconsorte dovrebbero prodursi esclusivamente rispetto alla causa di cui egli è parte. in concreto però le interferenze sono inevitabili, in quanto il cumulo pesuppone pur sempre un’istruttoria unitaria ed un accertamento dei fatti tendenzialmente omogeneo rispetto a tutte le cause. ▪ SUCCESSIONE NEL PROCESSO (MANCA ESTROMISSIONE DI PARTI) Art 110 c.p.c -> ipotesi che la parte venga meno per morte o altra causa* - prevede che in tal caso il processo sia proseguito dal successore universale o nei suoi confronti. Presupposti applicativi della norma: ▪ estinzione della parte avvenuta nel corso del processo (che se invece fosse avvenuta prima avrebbe determinato la nullità del processo, iniziato nei confronti di un soggetto non più esistente - nullità sanabile ex nunc solamente attraverso la spontanea costituzione in giudizio del successore ▪ e il verificarsi di un fenomeno di successione universale (in universum ius) che coinvolge tutti rapporti giuridici sostanziali e processuali (sicché è naturale che il processo continui nei confronti di chi è subentrato alla parte originaria). la prima fattispecie che viene in rilevo è quella della morte della persona fisica (cui si ritiene debba equipararsi la dichiarazione di morte presunta) -> in questo caso il processo viene proseguito da\nei confronti degli eredi - o per meglio Pagina 82 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 dire, dei chiamati all’eredità, tenuto conto che questi potrebbero non aver ancora accettato. * altra causa = con altra causa è pacifico che ci si debba riferire anche alle ipotesi di estinzione degli enti - pur dovendo osservare che molto spesso le modificazioni riguardante un ente sfuggono alla previsione del 110 in quanto si traducono nel trasferimento di alcuni rapporti soltanto, di talchè va escluso il carattere universale della successione, o non implicano l’immediata estinzione dell’ente originariamente parte nel processo - il che spiega perchè spesso tali fenomeno vengano ricondotti alla successione a titolo particolare nel diritto controverso. Ipotesi particolarmente discussa = (dopo la riforma del d. societario del 2003) cancellazione della società commerciale dal registro delle imprese, in conseguenza della sua liquidazione volontaria. Tronando ai profili generali dell’istituto è opportuno sottolineare che il successore universale, proprio in quanto tale, subentra anche nel diritto controverso = nello specifico rapporto giuridico oggetto del processo fra le parti originarie (es. nella proprietà del bene per cui il de cuius aveva esercitato azione di rivendica). L’applicazione del 110 sembra tuttavia prescindere da questi presupposto, sicché vi sono fattispecie in cui la legittimazione del successore universale va riconosciuta anche se egli non abbia acquistato il diritto controverso, cosa che avviene allorquando il processo abbia ad oggetto un rapporto intrasmissibile, in ragione del suo carattere strettamente personale (es. giudizio di separazione personale o divorzio) - o quando il diritto controverso è destinato ad estinguersi in ragione della morte del suo titolare (es. usufrutto). In queste ipotesi (d. intrasmissibile) -> il processo può continuare nei confronti del successore universale, seppure solo al fine di ottenere un sentenza che sua atti dell’impossibilità di decidere nel merito e provveda eventualmente alle sole spese processuali. Quanto alla prosecuzione del giudizio, menzionata nel 110: questa non avviene automaticamente poiché l’estinzione della parte originaria determina di regola l’interruzione del processo - affinché possa ricostruirsi un contraddittorio effettivo nei confronti del successore universale = la ripresa del processo è subordinata a quel nuovo atto d’impulso che è la riassunzione, proveniente dallo stesso successore universale o da una delle parti superstiti. ▪ Successione a titolo particolare nel diritto controverso L’art. 111 disciplina un’ipotesi diversa ma “limitrofa” rispetto al 110 = ipotesi in cui il trasferimento, realizzato nel corso del processo, riguarda “a titolo particolare” (e quindi al di fuori di una succ. universale) soltanto il diritto controverso (cioè quello oggetto della causa): il che può avvenire tanto per atto tra vivi (es vendita, da parte del convenuto del bene per cui l’attore aveva proposto domanda di rivendica) quanto a causa di morte 8e cioè quando il diritto medesimo sia stato oggetto di un legato.) Nell’ipotesi di trasferimento mortis causa, è chiaro che non potrà prescindersi da un mutamento soggettivo della causa (in quanto la parte originaria è venuta a mancare), e la peculiarità è che il processo non continua nei confronti dei legatario (successore nel diritto controverso) bensì, nei confronti del successore Pagina 85 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 consentono. 2. La soggezione del successore a titolo particole agli effetti della sent. è mitigata dalla possibilità di impugnare - attraverso i mezzi ordinari riservati alle parti, anche quando questi non sia intervenuto e pertanto non abbia formalmente assunto la qualità di parte nel giudizio di primo grado. ▪ Ambito di applicazione della disciplina e discussione dottrinale a) Prima tesi = parte della dottrina fa leva sulla formulazione letterale del 111 e ritiene che di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso possa parlarsi solo quando: il diritto trasferito, inter vivos o mortis causa, è proprio lo stesso diritto oggetto del processo (es. quando nel corso del giudizio venga trasferita la proprietà del medesimo bene per cui è stata esercitata azione di rivendica) - non essendo sufficiente la mera identità del petitum mediato, cioè il bene giuridico perseguito dall’attore. b) una seconda tesi invece, cui accede la g.prevalente opta per un’interpretazione estensiva della norma in esame tale da ricomprendervi anche tutte le ipotesi in cui nella pendenza del giudizio sorta una situazione giuridica attiva o passiva che tragga origine e dunque dipenda, sul piano sostanziale, da quella affetto del processo. Questa seconda soluzione sembra preferibile per ragioni sistematiche - in quanto la prima discrimina aprioristicamente la situazione dei terzi aventi causa da una delle pati, cui darebbe pregiudicata la possibilità di impugnare - ma va chiaramente adattata opportunamente per tener conto dei diversi fenomeni in cui è chiamata ad operare. Es. L’estromissione della parte originaria potrò aver luogo solo e soltanto quando la successione abbia determinato l’estinzione tale del diritto o dell’obbligo della parte, e sempre che la stessa parte non sia destinataria di altre domande. Resta infine da considerare il problema dei poteri processuali concretamente spettanti al successore che, per sua iniziativa, o per chiamata di parte assuma la qualità di parte del giudizio\ o impugni eccessivamente la sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa: • Sebbene la sua posizione sia sul piano sostanziale quella di un avente causa, il che suggerirebbe di accostarlo ad un intervento re adesivo dipendente • la circostanza che il 111 gli attribuisca espressamente il potere di impugnare in via autonoma la decisione lascia intendere che i suoi poteri sono piuttosto assimilabili a quelli di un’interventore autonomo • Peraltro. ragioni sistematiche inducono peraltro a ritenere che l’intervento del successore, volontario o coatto non possa comunque implicare una regressione nel processo e che egli debba accettare comunque la causa nello stato in cui si trova, subendo eventualmente anche le preclusioni maturate a carico delle parti originarie. NB mancanti da pag. 248 a 292 - atti\ provvedimenti del giudice\termini e notificazioni riassumi diretta. ✓ INVALIDITà DEGLI ATTI PROCESSUALI Il tema dell’invalidità degli atti processuali utilizza concetti e categorie comuni al diritto sostanziale, con alcune peculiarità che derivano dalla circostanza che gli atti processuali sono privi di una propria autonomia funzionale - in ragione del loro Pagina 86 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 concatenamento quali atti preparatori del provvedimento finale del giudice. Anche rispetto al processo distinguiamo diverse gradazioni dell’invalidità: ⁃ a seconda della gravità del vizio ⁃ e dell’incidenza che il vizio può avere sugli effetti dell’atto. In ordine crescente abbiamo: a) irregolarità -> si riferisce ai vizi sostanzialmente innocui in quanto non influenti sull’efficacia dell’atto. Unica conseguenza (di solito) = obbligo per le parti e per il giudice di provvedere alla regolarizzazione dell’atto medesimo - alle le diverse sanzioni previste dalla legge 8ad es. di ordine pecuniario, quando si tratti di irr. fiscale) b) annullabilità -> ricorre quando, a causa di un determinato vizio, l’atto di per sé efficace, si trovi in una situazione di precarietà - potendo essere eliminato mediante un provvedimento costitutivo del giudice, su iniziativa della parte legittimata (iniziativa che dev’essere esercitata entro un certo termine di prescrizione o decadenza previsto dalla legge - scaduto il quale l’atto super festa fase di “convalescenza e diventa inattaccabile). c) nullità vera e propria -> essa individua la condizione dell’atto affetto da un vizio insanabile che ne preclude ab origine i consueti effetti - di talchè a parte interessata può in ogni momento, senza limiti di tempo, chiedere al giudice che ne dichiari l’inefficacia giuridica (la nullità può essere fatta valere da chiunque, e non è soggetta a limiti temporali). In realtà si avrà modo di constatare come la nullità si atteggi, durante il processo, come mera annullabilità del provvedimento finale - in quanto la possibilità di causare il provvedimento finale (pre ragioni di certezza del diritto) non è, salvo ipotesi eccezionali, illimitata nel tempo. d) inesistenza (giuridica) -> categoria di creazione dottrinale che ricorrerebbe allorché l’atto cose privo di requisiti minimi indispensabili perchè sia riconosciuto come appartenente ad un determinato modello legale. Principi in materia di nullità: ⁃ In primo luogo è opportuno distinguere, per un corretto inq. del tema dell’invalidità processuale tra nullità formali (vizio di forma in senso lato, comprensivo anche di forma-contenuto e presupposti anche temporali richiesti per il suo compimento) e nullità extraformali (che derivano cioè da difetto di legittimazione del soggetto da cui promana l’atta - difetto che potrebbe inerire la capacità della parte, quanto la stessa investitura del giudice = anche il difetto di giurisdizione o competenza possono essere ricondotti al genus dei vizi non formali). ⁃ In secondo luogo, è necessario individuare, per quanto attiene alla nullità le relative fattispecie: le disposizioni concernenti la forma-contenuto degli atti processuali sono numerose e ciascuna di essere esige di solito , per ciascun tipo di atto, una molteplicità di requisiti. Ciò non significa pero che l mancanza di uno qualunque tra questi requisiti sia sempre e comunque motivo di nullità dell’atto. Stando al dettato della fondamentale gola sancita dall’art 156 -> non può essere pronunciata nullità per inosservanza di forma di alcun atto del processo, se questa non è comminata dalla legge = • le fattispecie di nullità sono, quantomeno in linea di principio, tassative Pagina 87 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 e circoscritte alle ipotesi n cui il legislatore ha espressamente previsto che mancanza di un requisito =nullità. • in ogni altro caso invece il vizio sarà sempre motivo di mera irregolarità emendabile attraverso iniziativa delle parti o dello stesso giudice) - sicché in dottrina (SATTA) si è giustamente sottolineato che la disciplina delle nullità concorre ad integrare la disciplina formale specifica degli atti procsessuali chiarendo quali siano gli elemento di volta in volta prescritti dalla legge, realmente essenziali per la produzione degli effetti dell’atto. Ai commi successivi al primo, il p. di tassatività subisce però due rilevanti deroghe di segno opposto tra loro: 1. 156.2 -> consente che la nullità sia pronunciata allorché il vizio, pur non essendo espressamente contemplato dalla legge come motivo di nullità, consista nella mancanza di requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto. in questi casi va stabilito quale sia lo scopo dell’atto, inteso in quanto funzione che esso oggettivamente svolge nel processo - per poi verificare con un giudizio ex ante, se l’elemento che manca sia effettivamente essenziale per il raggiungimento del scopo. 2. il comma 3 del 156 -> opera in senso diametralmente opposto nel senso che esclude che la nullità, pur prevista dalla legge, possa mai essere pronunciata quando l’atto ha comunque raggiunto lo scopo cui era destinato. (es. la nullità di una notificazione non viene pronunciata allorquando il destinatario della stessa ponga in essere un’attività processuale da cui si desume la conoscenza integrale dell’atto irritualiente notificato). 3. L’insieme di tali principi deve ritenersi applicabile alle sole nullità formali, giacché il difetto di legittimazione del scopetto che pone in essere un atto processuale non può non incidere invece in ogni caso sull’efficacia e sulla validità dell’atto - sebbene (cioè anche quando) la legge non abbia espressamente previsto che il vizio non formale sia causa di nullità. Regime di rilevabilità della nullità e art. 157: ▪ l’art. stabilisce che di regola la nullità è relativa = pronunciabile solo su istanza di parte. Legittimata a tale istanza non è qualsiasi parte, ma solo quella nel cui interesse è stabilito in requisito dalla cui mancanza deriva la nullità - essa è l’unica (logicamente) a potersi dolere del vizio, sempre che lo faccia “nella prima istanza\ difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”. In mancanza di tempestiva eccezione -> la nullità rimarrebbe definitivamente sanata (e si parla in questo caso di convalidazione soggettiva -> in quanto derivante dall’inerzia ella parte legittimata al rilievo del vizio. ▪ la nullità non può mai essere fatta valere da chi vi ha dato causa, o da chi abbia rinunciato ad eccepirla ▪ per nullità assoluta s’intende invece quella che può essere pronunciata d’ufficio dal giudice. E dalla letter dell’art. 157 pare ricavarsi che il rilevo d’ufficio è consentito solo quando la legge espressamente lo preveda - ma in realtà deve ammettersi che la rilevabilità d’ufficio discenda dalla natura del vizio. E ciò vale in particolare per le nullità che incidano sulla regolarità del contraddittorio ai sensi del 101 - che impedisce al giudice di decidere quando la parte contro la quale la domanda è stata proposta non sia stata regolarmente citata e non sia comparsa. Pagina 90 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 impugnazione - restando sanata dal passaggio in giudicato. Tale soluzione appare senz’altro condivisibile, in considerazione dell’insurrogabilità della firma quale strumento per accertare la partecipazione del singolo magistrato alla deliberazione della sentenza. Diversamente, il difetto parziale di sottoscrizione appare assimilabile ai vizi di costituzione del giudice - che non sono rilevabili dopo il passaggio in giudicato. Ratio art. 161.2 -> viene solitamente intesa nel senso che la nullità della sentenza non sottoscritta è l’unica che sopravvive al giudicato e può essere fatta valere oltre che mediante le impugnazioni ordinarie, anche attraverso un’autonoma actio nullitatis = cioè un’azione (di accertamento negativo) esercitata in un nuovo processo e mirante a far dichiarare l’assoluta invalidità ed inefficacia della sentenza - senza poter condurre ad una nuova decisone della causa. Inesistenza, nullità assoluta ed inefficacia della sentenza ▪ Categoria dell’inesistenza: non disciplinata dal legislatore, si ritiene che debba circoscriversi alle sole ipotesi in cui manchi un provvedimento idoneo ad inserirsi in un procedimento giurisdizionale e comunque a produrre alcuno degli effetti tipici della sentenza, compreso quello di definire l’eventuale processo in cui s’inserisca (es. Cassazione 30067/2011 vs sentenza della stessa corte, emessa nei confronti delle parti del giudizio ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa riguardante altri soggetti) . Il concetto di inesistenza dovrete riguardare quindi i casi in cui ▪ ci si trovi al cospetto di un atto che pur potendolo divenire, non è ancora una sentenza non essendosi compiuto, con il deposito e la pubblicazione, l’iter a tal fine previsto dalla legge ▪ e le ipotesi della (pseudo)sentenza proveniente da chi non è giudice - da un organo affatto provo di potere giurisdizionale. E’ evidente che questa non è l’ipotesi della sentenza non sottoscritta disc. ex art. 161. Essa perviene da un giudice, è attestata dalla pubblicazione ad opera del cancelliere, e nei suoi confronti è ammessa impugnazione come si evince dall’art. 354.1 (= produce l’effetto processuale di definire il processo davanti al giudice adito) -> si tratterà dunque non di inesistenza, bensì di nullità assoluta, ed anzi probabilmente dell’unica nullità assoluta poiché non santa dal passaggio in giudicato, e rilevabile sine die. ▪ Vi sono situazioni in cui la sentenza, pur essendo idonea a passare formalmente in giudicato non è però in grado di produrre l’effetto proprio della sentenza di merito, o comunque di produrre effetti di altra natura. Si pensi ad esempio alla sentenza priva di dispositivo ( o dal dispositivo impossibile\incomprensibile) - nonché all’ipotesi di sentenza tra a contraddittorio non integro per violazione dell’art. 102 ▪ In tutti questi casi, spesso ricondotti all’ipotesi dell’inesistenza, devono essere invece preferibilmente inquadrati tra le ipotesi di inefficacia della sentenza (tertium genus) = il vizio della decisione implica inevitabilmente la sua nullità (ai sensi dell’156.2) ma la sua rilevabilità resta preclusa dal passaggio in giudicato. Provvedimenti resi in forma erronea (focus sui provvedimenti del giudice) Modelli formali previsti per i provvedimenti del giudice = sentenza, ordinanza, decreto (è la legge stessa a prescrivere quale di tali modelli dev’essere Pagina 91 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 concretamente utilizzato. Nel caso in cui manchi siffatta prescrizione, l’art. 131.2, in ossequio al principio di libertà\strumentalità delle forme enunciato ex art. 12, prevede che: il provvedimento dev’essere dato in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo - dovendosi invece escludere la possibilità di creare altre forme atipiche di provvedimento. ▪ Sentenza: è il tipo di provvedimento (c.d. decisorio) normalmente prescritto dal legislatore ogniqualvolta si debba decidere = ▪ sull’ esistenza\inesistenza del diritto o status dedotto in giudizio ▪ su qualunque altra questione attinente al merito della causa o al processo (es. giurisdizione) dalla quale potrebbe derivare la definizione del processo ▪ esclusa la questione relativa la competenza -> oggi normalmente decisa con ordinanza ex art. 279.1. In relazione all’oggetto si distingue tra sentenze di merito e sent. processuali: ⁃ sentenza di merito = stando all’accezione più rigorosa e restrittiva, è soltanto quella che si pronuncia sulla fondatezza della domanda, accogliendola o gettandola ⁃ sentenza processuale = verte escl. su questioni attinenti al processo (la distinzione tutt’altro che pacifica lascia impregiudicata la classificazione delle sentenze che, pur avendo ad oggetto questioni concernenti la fondatezza della domanda, non si pronunciano su quest’ultima). Altra distinzione di rilevo: sentenze definitive e non: la distinzione si basa sulla circostanza che la sentenza, sia essa di merito o processuale, concluda o no il processo davanti al giudice adito. ⁃ definitiva = sentenza on cui il giudice accoglie o rigetta l’unica domanda oggetto del giudizio 1 declina la giurisdizione \ o comunque afferma di non poter decidere nel merito ⁃ non definitiva = sentenza che accoglie o rigetta soltanto una delle domande cumulate nel processo \ o quella che si limita a risolvere più questioni di merito o processuali, senza però porre fine al giudizio. In ogni caso la peculiarità della sentenza sta nel suo regime di stabilità: una volta pronunciata, essa vincola immediatamente lo stesso giudice da cui promana (che non può ritrattarla) + può essere riformata o annullata soltanto mediante i rimedi espressamente contemplati dalla legge -> impugnazioni. Inoltre, la sentenza di merito, con il passaggio in giudicato, è idonea ad acquistare quella particolare autorità contemplata ex 2909 c.c. - e cioè a fare stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Per questo la sentenza è il tipo di provvedimento più complesso per la forma contenuto. L’art. 132 esige che essa contenga: 1) indicazione del giudice che l’ha pronunciata (ufficio giudiziario da cui promana + magistrato persona fisica che l’ha pronunciata) 2) indicazione parti e risp. difensori 3) conclusioni del p.m e delle parti (che servono a valutare la corrispondenza tra chiesto e pronunciato) 4) concisa esposizione delle motivazioni di fatto e di diritto della decisione = motivazione, così come prescritta ex 111.6 Cost. Consente di ricostruire e sindacare, anche in vista dell’eventuale impugnazione, l’iter logico attraverso il quale il giudice è pervenuto a determinate conclusioni. Disc. specifica ex art. 118 disp. attuative 5) il dispositivo, cioè il decisum vero e proprio = la statuizione concreta Pagina 92 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 che costruisce la perte normativa della sentenza + data della della decisione, coincidente con quella in cui è stata deliberata segreto nella camera di consiglio (almeno nel caso di g. collegiale) + sottoscrizione del giudice. nb: mentre il testo originale del codice richiedeva, per la sentenza resa da un rogano collegiale, la firma di tutti i componenti. La sentenza acquista rilevanza giuridica al termine di un iter - solo dal giurano della sua pubblicazione = che consiste in un’attività combinata del giudice, che ne deposita l’originale n cancelleria e del cancelliere che deve dare atto dell’avvenuto deposito in calce alla sentenza - apponendovi data e firma. Deve poi informare le parti costituite entro 5 giorni, mediante un biglietto di cancelleria contente il testo integrale del provvedimento (ex art. 133 c.3). La pubblicazione è dunque l’elemento formale che consente di ricollegare la decisione al rispettivo ufficio giudiziario e che segna il momento in cui la utenza viene giuridicamente in vita e diventa immodificabile - prima di tale momento invece essa rileva come atto meramente interno, contro cui sarebbe ammissibile qualsivoglia impugnazione. Questa la disciplina ordinaria - ma non mancano disposizioni dirette a semplificare la pronuncia della sentenza e i suoi requisiti formali: - es. art. 281-sexies prevede che il g. monocratico possa - anziché seguire il concetto iter della decisione - pronunciare sentenza già al termine della discussione orale della causa, dando lettura del dispositivo e della motivazioni in udienza. in tal caso la sentenza viene inserita nel verbale dell’udienza, intendendosi pubblicata con la semplice sottoscrizione di tale verbale senza che siano necessari tutti gli altri elementi (indicazioni parti e difensori, esplosione dello svolgimento del processo) normalmente prescritti ex 132. ▪ Ordinanza e decreto - regime formale Se la sentenza è il modello tipico del provvedimento decisorio, le peculiarità di ordinanza e decreto sono più sfumate - potendo essi avere natura ed oggetto assai vari = regime di stabilità non univoco. Per quanto riguarda il contenuto dell’ordinanza ex art. 134 si desume che: ▪ dev’essere succintamente motivata (motivazione più stringata rispetto a quella della sentenza) ▪ se viene pronunciata in udienza è inserita senz’altro nel relativo processo verbale, il che esclude la necessitò di altre indicazioni ▪ se resa invece, al di fuori dell’udienza, entro i 5 giorni successivi, può essere egualmente scritta in calce al verbale dell’udienza oppure su un foglio separato che dovrà allora indicare non solo la data del provvedimento ma (sebbene la norma non lo precisi) anche tutti gli ulteriori elementi indispensabili per l’individuazione della causa. In entrambe le ipotesi il cancelliere ne d cumulazione alle parti, quando non sia richiesta la notificazione del provvedimento nella sua interezza. ▪ dev’essere sottoscritta - allorché provenga da un giudice collegiale - dal solo presidente ▪ quanto al regime infine -> regola = revocabilità e modificabilità ad opera dello stesso giudice che l’ha pronunciata. ▪ Presupposti e requisiti formali del decreto (art. 135) ▪ può essere pronunciato di regola, tanto d’ufficio che su istanza di parte Pagina 95 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 elementi richiesti per il diverso tipo (erroneamente) utilizzato dal giudice c) quale regime di stabilità e quali rimedi debbano trovare applicazione. Quanto ad a) e b) la giurisprudenza prevalente è dell’avviso che: l’impiego di una forma erronea di provvedimento non produce di per sé la nullità del provv. ma la validità di quest’ultimo presuppone la sussistenza dei requisiti di forma- contenuto minimi prescritti per l modello che il giudice avrebbe dovuto adottare = ciò implica che, sarà sempre salvabile la sentenza resa in luogo di decreto o ordinanza - viceversa l’ord. o il decreto pronunciati in luogo della sentenza saranno inevitabilmente ed insanabilmente nulli in quantomeno in relazione al requisito della sottoscrizione in quanto: - per la sentenza -> sono necessarie le firme del presidente del collegio e dell’estensore - per l’ord\decreto -> richiesta solo la firma del presidente. Questa soluzione suscita lacune perplessità soprattuto con riguardo all’iter completamente diverso di formazione della sentenza - tale per cui, la sottoscrizione dell’estensore si giustifica per il fatto che la sentenza-documento viene in vita in un momento diverso e posteriore rispetto a quello della deliberazione, a differenza di ordinanza e decreto per i quali (almeno formalmente) non vi è discrasia temporale e neppure può propriamente discorrersi di estensore dal momento che la motivazione ricade sotto la resp. dell’intero collegio. Quanto alla questione sub c) e cioè quale regime di stabilità \ quali rimedi debbano trovare applicazione -> la questione appare più delicata e complessa. Se consideriamo l’interesse e l’affidamento delle pati, la soluzione più rassicurante e garantistica sarebbe quella di far prevalere l’elemento formale su quello contenutistico - escludendo in particolare che ordinanza o decreto, pronunciati su una questione che avrebbe dovuto risolversi con sentenza, possano mai acquisire la stabilità propria di quest’ultima, dando luogo al fenomeno del giudicato. E in questo senso sembrerebbe deporre l’art. 279.4 “i provvedimenti del collegio che hanno forma di ordinanza, comunque motivati (e quindi anche quando tocchino questioni che attengano al merito della causa) non godono mai pregiudicare la decisione della stessa. Ma d’altro canto anche questa soluzione appare non priva di inconvenienti se la si valuta in relazione ai rimedi esperibili contro il provv. reso in forma erronea in quanto: ⁃ da un lato conduce ad assoggettare alle impugnazioni caratteristiche della sentenza provvedimenti che in ragione dell’oggetto non avrebbero dovuto esserlo ⁃ e dall’altro esclude ogni forma di impugnazione nei confronti di ordinanza o decreto pronunciati in luogo della sentenza, anche quando definitivi. Per questo motivo la g. prevalente preferisce attenersi al p. della prevalenza ella sostanza sulla forma del provvedimento = ritenendo cioè che è l’effettivo contenuto del provvedimento l’elemento determinate per stabilirne tanto il regime di stabilità quanto i rimedi (torna sul problema al paragrafo 159 vol II -> tema = correlazione tra forma del provvedimento e disciplina delle impugnazioni) mancano spese del processo* capitolo finale - rimessione in termini* Pagina 96 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Volume II - salta Intro e I capitolo = IL PROCESSO DI COGNIZIONE DAL 1865 AD OGGI La storia del processo civile italiano comincia con il codice post-unitario, promulgato il 14 giugno del 1865. Si trattò di un testo redatto con una certa fretta giacché quasi tutti gli stati preunitari dopo l restaurazione si erano dotati di un codice di rito per lo più variamente influenzato dal Code Napoleon del 1806, che d’altronde aveva avuto diretta applicazione fino al 1814 in varie parti d’Italia. Il codice del 1865 disciplinava essenzialmente 2 modelli di processo piuttosto diversi: 1) il processo formale - considerato normale -> davanti a tribunali e alle corti d’appello 2) quello sommario - che trovava applicazione dinanzi a conciliatori e ai pretori, nonché, nei soli casi stabiliti dalla legge, “davanti agli altri uffici giudiziari. Rito formale = ▪ Il rito formale aveva la peculiarità di cominciare senza la fissazione nell’atto introduttivo di un’udienza - bensì con l’assegnazione al convenuto di un termine* assai breve per comparire. * termine che in realtà indicava soltanto il momento entro cui i procuratori delle parti dovevano provvedere a costituirsi nella cancelleria depositando i rispettivi mandati. ▪ Dopo tale costituzione, aveva inizio uno scambio di comparse dalla durata potenzialmente illimitata che doveva servire ad approfondire e trattare per iscritto tutte le questioni preliminari, processuali o di merito, prima che la causa fosse porta dinanzi al giudice per esservi discussa oralmente - e ciò al fine di evitare durante la discussione orale ogni possibile sorpresa dovuta a nuove allegazione ▪ nella fase preparatoria invece le parti non incontravano alcuna limitazione nell rispettive attività difensive (possibilità di proporre nuove istanze e o di produrre nuovi documenti) fino a quando una di esse, rinunciando a rispondere, non avesse fatto iscriver la casa sul ruolo di spedizione, ed era solo in questo momento che vinca concretamente investito della controversia il giudice ▪ sul presupposto che dovesse decidere quantomeno su una questione preliminare o sull’intera causa qualora questa fosse in condizione di essere definita. Rito sommario = ▪ il convenuto veniva citato per comparire ad udienza fissa direttamente dinanzi al giudice e la causa veniva iscritta immediatamente a ruolo prima ancora dell’udienza. ▪ nella prassi fu subito preferito questo procedimento a quello formale, sia per la maggiore semplicità sia perchè consentiva un contatto diretto e immediato tra le parti e il giudice. E infatti lo stesso, mediante una generosa applicazione della norma che consentiva al presidente di autorizzare il ricorso al rito formale anche dinanzi ai tribunali e alle corti -> tale rito, da ipotesi eccezionale divenne ben presto di fatto, il vero procedimento ordinario. ▪ Ciò spiega perchè il legislatore nel 1901 (l.107) avvertì l’esigenza di integrarne e riformarne la scarna disciplina. Pagina 97 di 203 Procedura civile riassunti part.1 - Balena 2019 (2) 12/03/20, 20:18 Fatta questa premessa è chiaro che per tratteggiare in estrema sintesi le caratteristiche del codice previgente si deve tener conto del tipo sommario, nella versione risultante dalla menzionata riforma del 1901. Possiamo affermare che si trattava di un codice di stampo prettamente liberale, orientato in senso garantistico e ispirato al principio che l’iniziativa delle parti fosse il motore più affidabile del processo e che il giudice (pur essendo sempre pronto ad intervenire dovesse essere scarsamente coinvolto nella determinazione dei ritmi del giudizio. (Conseguenze: ⁃ ciò consentiva alle parti di differire ripetutamente e illimitatamente l’effettiva discussione della causa (infatti ai sensi dell’art. 6 della effe, era previsto che ciascuna delle parti avesse diritto ad un primo rinvio, e che per i successivi fosse necessario l’accordo delle parti o la ricorrenza di giusti motivi. Dopo il 5 rinvio, se giusti motivi assenti, il presidente poteva ordinare la cancellazione della causa dal ruolo. ⁃ ma in compenso assicurava alla parte che fosse stata realmente interessata ad una una decisione immediata, la possibilità di ottenerla n tempo rapidi, o comunque di arrivare subito dinanzi al collegio* *L’art. 51 infatti attribuiva alle parti il diritto ma non l’obbligo di far discutere la casa già nella prima utenza. allorché questa avesse provveduto al deposito preventivo dei documenti in cancelleria, con almeno 4 gg di anticipo rispetto all’udienza - avvertita l’altra parte. NB: D’altro canto a differenza che nel rito formale la causa arriva all’udienza ad istruttoria ancora aperta. giacché non erano previsti rigidi sbarramenti temporali per le allegazioni delle parti + era possibile che queste deducessero nuove domande\presentassero nuovi documenti direttamente all’udienza -> in quel caso, ove si fosse trattato di elementi che per importanza o per numero richiedevano maturo esame, il presidente rinviava la discussione ad una udienza successiva (…). Stando a quanto emerge dalle statistiche dell’epoca il processo sommario, così come riformato dalla l.1901 e descritto sopra, funzionava in modo più che dignitoso - durata media soltanto di pochi mesi. Tuttavia, negli anni immediatamente successivi al 1901 si diffuse la condizione che fossero opportuni interventi legislativi ulteriori, diretti a migliorarne l’efficienza. In questa fase face la sua apparizione sulla scena processualistica italiana Giuseppe Chiovenda - uno studioso oggi considerato il padre fondatore della moderna scienza processualcivilistica del nostro paese. La novità della sua per consiste nell’aver “importato” in Italia (prima e meglio degli altri) l’impostazione sistematica e dogmatica propria alla scienza giuridica germanica. Sin dal primo decennio del 900 Chiovenda inizio una vera e propria propaganda vs il codice del 65 - a suo dire ispirato a principi ormai superati. I principi sui quali Chiovenda impostò la sua battaglia per una revisione del codice erano 3: 1) fondamentale, vero fulcro del pensiero chiovendiano = oralità -> intesa come netta preferenza per la parola sullo scritto e dunque per la trattazione della causa “a viva voce” all’udienza - piuttosto che attraverso lo scambio di comparse. Gli altri due principi, corollari e al contempo condizioni necessarie per l’attuazione del primo: 2) immediatezza-> consistente nella coincidenza tra il giudice persona fisica (o gruppo di persone) che istruisce la causa ed assume le prove, e quello che
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