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Procedura Civile Balena 3, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Procedura Civile Balena 3, Processi speciali e l'esecuzione forzata, anno 2019/20

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 06/06/2020

david-torrieri
david-torrieri 🇮🇹

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Scarica Procedura Civile Balena 3 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! LIBRO III: I PROCESSI SPECIALI E L’ESECUZIONE FORZATA IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE Profili generali Una delle innovazioni più significative della riforma del 2009 è l'introduzione del procedimento sommario di cognizione, all'art. 702-bis ss. L'ambito di applicazione di questo rito non è delimitato in ragione di una specifica materia, essendo liberamente utilizzabile dall'attore, salvo successivo controllo del giudice, per qualunque tipo di domanda, purché si tratti di cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica escludendo quindi le cause regolate all'art. 50-bis e quelle attribuite alla competenza del giudice di pace. Nel 2017 il legislatore ne ha reso obbligatorio l’esperimento anche nelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria. La fase introduttiva La domanda si propone con ricorso, sottoscritto ex art. 125 (da difensore munito di mandato o parte abilitata a stare in giudizio personalmente), e contenente tutti gli elementi all'art. 163 co 3, compreso l'avvertimento di cui al n. 7. A seguito del deposito del ricorso, che determina la litispendenza e segna il momento della costituzione dell'attore; il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Il magistrato incaricato fissa con decreto l'udienza di comparizione ed assegna il termine per la costituzione del convenuto, indicato dall'art. 702-bis in non oltre 10 giorni prima dell'udienza. La notificazione del ricorso e del decreto sono a cura dell'attore il quale non è sottoposto a particolari limiti temporali, purché rispetti il termine dilatorio di almeno 30 giorni prima della data fissata per la costituzione del convenuto (cioè 40 giorni prima della data dell'udienza di comparizione), affinché il convenuto possa approntare tempestivamente le proprie difese. La disciplina della costituzione del convenuto è analoga a quella del processo ordinario. Il convenuto nella comparsa di risposta deve:  proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicando anche i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione e formulando le sue conclusioni;  a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio;  a pena di decadenza, dichiarare se intende eventualmente chiamare un terzo in garanzia, chiedendo nel contempo al giudice designato lo spostamento dell'udienza. Se il convenuto ha dichiarato di voler chiamare in causa un terzo, il giudice, con decreto da comunicarsi alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza nonché il termine perentorio entro cui il convenuto deve provvedere alla citazione del terzo. Il terzo deve costituirsi con le stesse modalità prescritte per la costituzione del convenuto: il terzo è tenuto a costituirsi almeno 10 giorni prima della nuova udienza, il termine assegnato al convenuto per la notificazione della citazione del terzo deve scadere almeno 40 giorni prima di tale udienza. Il convenuto è tenuto a depositare la citazione notificata entro i dieci giorni successivi. I possibili esiti dell’udienza di prima comparizione Art. 702-ter: all'udienza di comparizione il giudice deve preliminarmente accertare che sussistano i presupposti specifici a cui è subordinata l'utilizzazione del procedimento sommario di cognizione, quindi se ritiene che la domanda principale o quella riconvenzionale non rientri tra quelle indicate ex art. 702-bis (trattandosi di una causa attribuita alla decisione del tribunale in composizione collegiale oppure assoggettata ad un diverso rito speciale), la dichiara inammissibile con ordinanza non impugnabile. Il giudice deve verificare, con un giudizio prognostico ed approssimativo, se le difese svolte dalle parti non richiedano eventualmente un'istruzione non sommaria, cioè se la causa si presti o no ad essere convenientemente trattata ed istruita col rito semplificato in esame. Qualora tale valutazione sia negativa, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dispone che il processo prosegua col rito ordinario, a norma dell'art. 163 ss., fissando l'udienza di trattazione dell'art. 183. Se invece il giudice ritiene che la causa si presti ad un'istruzione sommaria, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande. Occorre tener presente che il giudice, quando opti per il passaggio dal rito ordinario a quello sommario, debba invitare le parti ad indicare nella stessa udienza di trattazione, a pena di decadenza, i mezzi di prova e i documenti di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Ciò ci induce a ritenere che nel rito sommario la richiesta di nuovi mezzi di prova e la produzione di nuovi documenti restino precluse al termine della prima udienza. La natura e le peculiarità del rito sommario Il giudice, fatto salvo l'imprescindibile principio del contraddittorio, ha la possibilità di definire la causa in qualunque momento. Questo procedimento deve considerarsi ad ogni effetto un processo a cognizione piena, equivalente a quello disciplinato all'art. 163 ss. Nessun ampliamento è previsto relativamente ai mezzi di prova concretamente utilizzabili, né relativamente ai poteri istruttori officiosi del giudice. La sommarietà del rito deve essere riferita non alla qualità della cognizione, ma alla semplificazione del procedimento. La decisione L'ordinanza che definisce il procedimento è equiparata ad una sentenza poiché:  provvede in ogni caso sulle spese del procedimento;  è provvisoriamente esecutiva, se di condanna;  costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione nei registri immobiliari;  è idonea a produrre gli effetti di cui all'art. 2909 c.c., cioè ad acquisire, qualora non sia tempestivamente impugnata, la stessa stabilità ed autorità di una sentenza passata in giudicato. L’impugnazione L'art. 702-quater prevede che l'ordinanza che definisce il procedimento possa impugnarsi con l'appello, in linea di principio quindi si applicherà la disciplina ordinaria, di cui all'art. 341 ss., in particolare la disposizione per cui l'appello si propone con citazione. Vi sono alcune differenze:  la decorrenza del termine breve per l'impugnazione, di 30 giorni, è ricollegata, alternativamente alla notificazione o alla comunicazione del provvedimento, a seconda di quella che interviene prima. Rimane ferma l'applicabilità del termine lungo semestrale, nell'eventualità che siano omesse sia la comunicazione che la notificazione;  relativamente alle nuove prove e ai nuovi documenti, l'art. 702-quater menziona distintamente i nuovi mezzi di prova o documenti che il collegio ritenga ricorso e del decreto (normalmente 30 giorni, 40 se la notifica avviene all’estero). Tale termine se violato può determinare la nullità della fase introduttiva, gli altri termini sono ordinatori. I vizi del ricorso e della fase introduttiva Manca una disposizione ad hoc nel caso si verifichino vizi nella fase introduttiva del giudizio del lavoro. Con la riforma del 1990 che ha diviso la disciplina della nullità della editio actionis da quella della vocatio in ius, non si può più escludere che l'art. 164 possa applicarsi anche ai vizi riguardanti la formulazione della domanda in senso stretto, attinenti all'individuazione delle parti, del petitum e della causa petendi, all'esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda. Invece per quel che riguarda i vizi della vocatio in ius, l'art. 164 rileva solo indirettamente. La violazione del termine minimo indicato dall'art. 415 (30 gg), essendo affine alla violazione del termine minimo a comparire dell'art. 163-bis, rende l'atto inidoneo al raggiungimento dello scopo e quindi nullo; è affetta da nullità anche la pronuncia di un decreto privo della data dell'udienza; si tratta di vizi sanabili con efficacia retroattiva, poiché non toccano il ricorso introduttivo del processo, di per sé regolare, né gli effetti sostanziali e processuali della domanda che ha già prodotto. Il giudice dovrà ordinare la rinnovazione dell'atto invalido. La costituzione del convenuto La costituzione dell'attore coincide col momento del deposito del ricorso; il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza tramite il deposito in cancelleria di una memoria difensiva. In particolare l'art. 416 prevede che il convenuto debba, a pena di decadenza:  formulare le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio;  proporre eventuali domande riconvenzionali: a garanzia dell'attore è previsto che il convenuto, nella memoria difensiva e sempre a pena di decadenza, deve chiedere al giudice lo spostamento della data dell'udienza di discussione, attraverso un nuovo decreto che deve essere pronunciato entro 5 giorni e notificato all'attore unitamente alla memoria difensiva, entro i successivi 10 giorni, a cura dello stesso ufficio.  indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti, che devono essere depositati insieme alla stessa memoria difensiva;  dichiarare l'eventuale volontà di chiamare in causa un terzo, ai sensi dell'art. 106: l'esistenza di tale preclusione sembra potersi desumere dalla circostanza che tale chiamata implica normalmente una nuova domanda di accertamento nei confronti del terzo. L'art. 416 prevede che il convenuto debba, nella memoria difensiva, prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, e proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto. Costituzione e difesa personale delle parti Di regola vige l'obbligo di rappresentanza tecnica, l'art. 417 consente alla parte di stare in giudizio personalmente allorché la causa non ecceda euro 129,11, accontentandosi in tal caso di una elezione di domicilio nell'ambito del territorio della Repubblica. L'art. 417-bis prevede per le cause relative a rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni una disciplina particolare: limitatamente al giudizio di primo grado, sono abilitate a stare in giudizio avvalendosi direttamente dei propri dipendenti o, nel caso di enti locali, conferendo apposito mandato alle strutture dell'amministrazioni civile del Ministero dell'interno. Quando si tratti di amministrazioni statali che godono istituzionalmente della rappresentanza e difesa in giudizio da parte dell'avvocatura dello Stato, questa deve trasmettere immediatamente ai competenti uffici dell'amministrazione interessata, comunque entro 7 giorni, gli atti introduttivi che le vengono notificati; a meno che, venendo in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, decida di assumere essa stessa, direttamente, la trattazione della causa. L’udienza di discussione: rilievi introduttivi La prima udienza, che corrisponde a quella fissata dal giudice col decreto dell'art. 415, è virtualmente l'unica della causa, giacché potrebbe concludersi con la discussione orale e l'immediata pronuncia della sentenza definitiva, tanto più che sono espressamente vietate le udienze di mero rinvio. Il legislatore prevede, nell'ambito della stessa udienza di discussione, una prima fase di trattazione della causa che si conclude con i provvedimenti relativi all'ammissione dei mezzi di prova; una seconda fase, eventuale, deputata all’assunzione delle prove ammesse; ed una terza ed ultima fase, propriamente decisoria, che conduce, alla deliberazione della sentenza, di cui viene immediatamente letto in udienza il dispositivo. L’attività di trattazione della causa  Le prime incombenze attribuite al giudice nell'ambito della trattazione della causa, sono l'interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione, sempre obbligatori: le parti sono in ogni caso tenute a comparire personalmente, salva la possibilità di farsi rappresentare da un procuratore, generale o speciale, che però sia a conoscenza dei fatti della causa e sia stato investito del potere di conciliare o transigere la controversia. In caso di inadempimento il giudice può trarne argomenti di prova  È esclusa, in linea di principio, la proposizione di domande nuove ed anche della mutatio libelli, ossia la trasformazione radicale della domanda in taluno dei suoi elementi identificativi. È sempre possibile, in presenza di gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, la sola modificazione delle domande e delle conclusioni originariamente formulate (emendatio libelli). La stessa disciplina i applica alle nuove eccezioni (in senso stretto). Deve comunque consentirsi all'attore, anche in mancanza di una disposizione ad hoc, di proporre, almeno nella prima udienza di discussione, ogni domanda riconvenzionale che trovi la propria ragione d'essere nelle domande, eccezioni o difese formulate dal convenuto nella memoria difensiva.  Quando, essendo fallito il tentativo di conciliazione, la causa risulti già matura per la decisione nel merito, oppure siano sorte questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice dovrebbe dare immediato ingresso alla fase decisoria, invitando le parti alla discussione e pronunciando sentenza, eventualmente anche non definitiva.  Nella prima udienza, salvo che la causa non sia già matura per la decisione senza necessità di istruttoria, il giudice dovrebbe decidere sull'ammissione dei mezzi di prova chiesti dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, disponendo, se possibile, per la loro immediata assunzione. Non sono consentite di regola nuove richieste istruttorie, a meno che non si tratti di prove che le parti non abbiano potuto proporre prima, nel qual caso il provvedimento di ammissione delle nuove prove deve assegnare all'altra parte un termine perentorio di 5 giorni per dedurre, a sua volta, gli ulteriori mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi. L’intervento, volontario o coatto, di terzi L'intervento di terzi presenta delle peculiarità: l'intervento volontario è ammesso solo entro il termine di costituzione del convenuto, cioè fino a 10 giorni prima dell'udienza di discussione (art. 419), a meno che non riguardi un litisconsorte necessario pretermesso, nei cui confronti sarebbe comunque indispensabile integrare il contraddittorio. L'intervento si realizza con il deposito in cancelleria di una memoria contenente gli elementi prescritti dagli art. 414 e 416: le domande che il terzo eventualmente propone nei confronti delle parti originarie, con le relative richieste istruttorie e l'indicazione dei documenti prodotti. L'intervento coatto su ordine del giudice può disporsi invece in qualunque momento del giudizio di primo grado. La chiamata del terzo su istanza di parte si ritiene possa essere richiesta dal convenuto nella sola memoria difensiva di costituzione, e dall'attore entro la prima udienza di discussione, a patto che l'esigenza dell'intervento possa ricondursi alle domande o alle difese del convenuto. La chiamata del terzo deve essere sempre autorizzata dal giudice, previa verifica della sussistenza dei presupposti indicati nell’art 106. L’assunzione dei mezzi di prova ed i poteri istruttorii del giudice La fase istruttoria deve esaurirsi in un'unica udienza o al più, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi (art. 420). Il giudice è dotato di poteri autonomi, tra i quali può indicare alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti (art. 421). Altri poteri di iniziativa istruttoria attribuiti al giudice sono:  il giudice può disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, con la sola eccezione del giuramento decisorio, il cui deferimento è riservato alle parti, e dell'accesso al luogo del lavoro, che costituisce una forma specifica di ispezione e può essere disposto solamente su istanza di parte a condizione che sia necessario al fine dell'accertamento dei fatti.  Quando lo ritenga necessario, il giudice può disporre la comparizione personale anche di quelle persone che, ai sensi degli artt. 246 e 247 non potrebbero essere assunte quali testimoni, per interrogarle liberamente sui fatti di causa. Il divieto a testimoniare è ora dichiarato incostituzionale, quindi il coniuge e gli altri soggetti indicati possono essere ora sentiti come veri e propri testimoni. Il problema dei limiti dei poteri officiosi L'esercizio dei poteri istruttorii del giudice non incontra particolari limitazioni temporali, essendo ammesso anche in appello e anche quando la richiesta di nuove prove sarebbe già preclusa alle parti. Vale anche nel rito del lavoro il divieto al giudice di utilizzare la propria scienza privata e il principio per cui l'allegazione dei fatti principali è riservata di regola alle parti, il che esclude che i poteri istruttorii del giudice possano essere esercitati con finalità inquisitorie, per andare alla ricerca di fatti diversi da quelli effettivamente allegati dalle parti e tra loro controversi. Il giudice non può mai spingersi fino al punto di sostituirsi integralmente all'iniziativa probatoria di una parte, quando questa sia stata totalmente carente. I poteri istruttorii hanno un ruolo meramente integrativo rispetto ai mezzi di prova esperiti su istanza delle parti, presupponendo una situazione di incertezza del giudice nella valutazione dei fatti; il giudice deve quindi farvi ricorso dopo aver esaurito le prove richieste dalle parti. La disciplina dei nova In base all'art. 437 vige il divieto di nuove domande in appello e l'esclusione di nuove eccezioni, senza distinguo tra quelle processuali e quelle di merito, né tra quelle in senso stretto e quelle in senso lato. Sono preclusi anche i nuovi mezzi di prova (incluse le prove precluse in primo grado), fanno eccezione solamente il giuramento decisorio ed estimatorio, nonché le nuove prove che il collegio, anche d'ufficio, ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. Devono ritenersi proponibili i nuovi mezzi istruttorii e i nuovi documenti che la parte, per causa ad essa non imputabile, non aveva potuto chiedere o produrre nel giudizio di primo grado. La trattazione della causa e la fase decisoria Il processo d'appello dovrebbe concludersi già alla prima udienza, con la relazione orale al collegio del giudice designato, la discussione da parte dei difensori e l'immediata pronuncia della sentenza, seguita dalla lettura del dispositivo in udienza. Qualora sia stato proposto appello con riserva dei motivi, ex art. 433 co 2, è inevitabile che per la discussione e la decisione sull'istanza di inibitoria della sentenza di primo grado venga fissata un'udienza ad hoc, per una data anteriore a quella dell'udienza di discussione. Trovano infine piena applicazione le disposizioni dettate per il procedimento in primo grado, in particolare gli art. 426 e 427 che disciplinano le conseguenze dell'eventuale errore sul rito della causa. PAG 55-59 da valutare Cenni sulla disciplina specifica delle cause in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie Le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, ex art. 442, sono quelle derivanti dall'applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari, nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie, oppure quelle relative all'inosservanza di obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi. L'eventuale opposizione del contribuente, proponibile entro 40 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, va proposta nei confronti dell'ente impositore, è attribuita alla competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro e, quando l'opposizione è proposta per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva, è disciplinata dagli artt. 442 ss.  L'art. 443 prevede, quale condizione di procedibilità della domanda, il previo esaurimento dei procedimenti amministrativi eventualmente prescritti dalle leggi speciali per la composizione della controversia in sede amministrativa, oppure il decorso dei termini fissati per la conclusione dei procedimenti stessi, o, in mancanza di termini, il decorso di 180 giorni dalla presentazione del ricorso amministrativo.  L'art. 444 prevede che la competenza spetti solitamente al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione l'attore aveva l'ultima residenza, prima di trasferirsi all'estero.  Se la domanda riguarda prestazioni previdenziali o assistenziali che richiedono accertamenti tecnici, il giudice nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in appositi albi. Il ricorso alla consulenza tecnica è obbligatorio tutte le volte in cui si rendano necessari determinati accertamenti di natura tecnica.  Gli istituiti di patronato e di assistenza sociale legalmente riconosciuti hanno la possibilità, su istanza della parte assistita e in ogni grado di giudizio, di rendere informazioni ed osservazioni, orali o scritte.  La sentenza è comunque esecutiva per legge, l'art. 447 consente al solo lavoratore di iniziare l'esecuzione forzata sulla base del solo dispositivo.  L'art. 152 disp. att. esclude, nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, e fuori dalle ipotesi di responsabilità aggravata per lite temeraria, la condanna alle spese della parte soccombente il cui reddito imponibile IRPEF sia inferiore ad un determinato importo, e, con una limitazione di dubbia costituzionalità, prevede che le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possano superare il valore della prestazione dedotta in giudizi. LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LOCAZIONE O COMODATO DI IMMOBILI E DI AFFITTO DI AZIENDE Le modeste differenze rispetto al rito del lavoro Con la riforma del 1990 le cause di locazione di immobili urbani sono state attribuite alla competenza per materia del giudice togato ed assoggettate ad un rito che ricalca il modello delle controversie individuali di lavoro. Il legislatore ha assimilato alle cause di locazione quelle in materia di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende. Tali controversie sono disciplinate attraverso un esplicito rinvio alla maggior parte delle disposizioni dagli art. 414 a 441, in quanto applicabili (art. 447-bis), con alcune modeste differenze:  la competenza per territorio spetta in ogni caso al giudice del luogo in cui è situato l'immobile o l'azienda, è nulla ogni diversa pattuizione tra le parti;  il giudice può disporre d'ufficio, in ogni momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, scritte o orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti; ma senza poter superare i limiti di ammissibilità previsti dal codice civile;  è possibile la pronuncia dell'ordinanza di pagamento delle somme non contestate ma non quella sul pagamento di una somma a titolo provvisorio nel caso in cui il giudice ritenga il diritto accertato e nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova;  all'esecuzione della sentenza può sempre procedersi con la sola copia del dispositivo in pendenza del termini per il deposito della sentenza, e l'inibitoria può essere disposta dal giudice ad quem senza limitazioni quantitative ed ancor prima che l'esecuzione sia iniziata, quando da questa possa derivare alla parte soccombente un gravissimo danno;  è esclusa la rivalutazione automatica dei crediti di lavoro. I PROCESSI DI SEPARAZIONE PERSONALE E DI DIVORZIO IL PROCESSO DI SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI: La competenza e la fase introduttiva Le peculiarità del giudizio di separazione riguardano essenzialmente la fase introduttiva, caratterizzata dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale per l'esperimento di un tentativo di conciliazione, ed il raccordo con la fase successiva di trattazione ed istruzione della causa, retta dalla disciplina ordinaria del processo di cognizione davanti al tribunale in composizione collegiale. A norma dell'art. 706, è competente per territorio il tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi. Il giudizio si instaura con il deposito di un ricorso che contenga l'esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda e deve indicare l'esistenza di figli di entrambi i coniugi. Nei 5 giorni successivi al deposito, il presidente del tribunale fissa con decreto:  la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, da tenersi non oltre 90 giorni dal deposito del ricorso,  il termine entro cui il ricorrente deve far notificare il ricorso ed il decreto,  il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare una memoria difensiva ed eventuali documenti. L’udienza presidenziale ed i conseguenti provvedimenti “temporanei ed urgenti” L’Art. 707 stabilisce che all'udienza davanti al presidente i coniugi debbano comparire personalmente con l'assistenza del difensore. Se il coniuge ricorrente omette di presentarsi o rinuncia al ricorso, la domanda di separazione resta priva di effetti. Se invece è il coniuge convenuto a non presentarsi, il presidente, può discrezionalmente fissare una nuova data per l'udienza di comparizione, ordinando che sia reiterata la notificazione del ricorso e del nuovo decreto al convenuto stesso. La comparizione personale delle parti è strumentale all'esperimento del tentativo di conciliazione; il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente. Se il tentativo riesce il presidente fa redigere processo verbale dell'avvenuta conciliazione; altrimenti pronuncia, anche d'ufficio, con ordinanza, i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, designando il giudice istruttore e fissando l'udienza di comparizione e trattazione davanti a lui. L’ordinanza riguarda i rapporti patrimoniali tra i coniugi (es assegno di mantenimento e attribuzione della casa familiare) quanto l’affidamento dei figli. L'art. 708 prevede che tale ordinanza (che costituisce titolo esecutivo, può essere revocata o modificate nel proseguo del giudizio ed inoltre conserva la propria efficacia anche in caso di estinzione del processo) possa essere impugnata, entro 10 giorni dalla notificazione, con reclamo alla corte d'appello, che si pronuncia in camera di consiglio. IL PROCESSO DI DIVORZIO: La competenza e la fase introduttiva Anche nel processo di divorzio il tribunale giudica in composizione collegiale con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero. La competenza territoriale si regola con i criteri identici a quelli previsti all'art. 706, ma è intervenuta la Corte costituzionale che ha ritenuto irragionevole il criterio prioritario rappresentato dall'ultima residenza comune ai coniugi, che potrebbe costringere il ricorrente ad adire il tribunale di un luogo che non ha più effettivo collegamento con le parti. Il criterio principale è quindi divenuto quella della residenza o del domicilio attuali del coniuge convenuto, salva l'applicazione dei criteri sussidiari allorché il convenuto risieda all'estero o sia irreperibile. Per il ricorso è sufficiente la sola esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda, accompagnata dall'indicazione dell'eventuale esistenza di figli di entrambi i coniugi. L’udienza presidenziale, i provvedimenti “temporanei ed urgenti” ed il prosieguo del giudizio All'udienza presidenziale i coniugi sono obbligati a comparire personalmente, salvo sussistano gravi e comprovati motivi, affinché il presidente possa espletare il tentativo di conciliazione, sentendoli prima separatamente e poi congiuntamente, sempre con l'assistenza del difensore. Quando la conciliazione non riesca o il convenuto non sia comparso, il presidente, sentiti i coniugi presenti e i rispettivi difensori, nonché i figli minori ultradodicenni, dà con ordinanza, anche d'ufficio, i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nominando un giudice istruttore e fissando la prima udienza di comparizione e trattazione davanti a lui. Il giudizio di divorzio, dopo l'esaurimento della prima fase speciale davanti al presidente, è destinato ad essere assoggettato alle regole del processo ordinario di cognizione, quindi ad entrambe le parti è rispettivamente consentito, entro i termini assegnati dal presidente, depositare una memoria integrativa dell'atto introduttivo o costituirsi in giudizio. L'ordinanza del presidente (per i provvedimenti temporanei e urgenti) è revocabile e modificabile nel prosieguo del giudizio da parte del giudice istruttore e sopravvive all'eventuale estinzione del processo, deve anche ritenersi reclamabile alla corte d'appello entro 10 giorni dalla notificazione. L'appello è deciso in camera di consiglio, soggetto al rito camerale e proposto con ricorso. Il pubblico ministero può impugnare la sentenza di divorzio solo limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica. In presenza di giustificati motivi sopravvenuti le parti possono chiedere con procedimento in camera di consiglio la revisione dei provvedimenti concernenti l'affidamento dei figli o la misura e le modalità di corresponsione degli assegni di mantenimento dell'altro coniuge o dei figli. Il ricorso su domanda congiunta Anche il divorzio può essere chiesto dai coniugi congiuntamente, con ricorso sottoscritto da entrambi. Tale circostanza incide solo sull'iter processuale, che risulta semplificato saltando la fase davanti al presidente ed adendo direttamente il tribunale in camera di consiglio. La domanda congiunta di divorzio può essere indifferentemente proposta al tribunale del luogo di residenza o domicilio di uno o l'altro coniuge, le condizioni concernenti la prole ed i rapporti economici tra i coniugi. Il tribunale, sentiti i coniugi, decide con sentenza, valutando che sussista una delle fattispecie di divorzio previste dalla legge, e che le condizioni indicate dalle parti rispondano all'interesse dei figli. In difetto di quest’ultimo presupposto il tribunale non rigetta la domanda ma pronuncia con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole e rimette le parti davanti al giudice istruttore, affinché il giudizio prosegua secondo le regole ordinarie. L’ESECUZIONE FORZATA I PRESUPPOSTI DELL’ESECUZIONE FORZATA Il titolo esecutivo Perché possa darsi inizio all'esecuzione forzata è necessario che sussista un titolo esecutivo. Il legislatore attribuisce tale qualità ad atti molto eterogenei, l'unico criterio utilizzabile resta quello formale, per cui sono titoli esecutivi esclusivamente i documenti che la legge definisce tali. L'art. 474 prende in considerazione tre diverse categorie di titoli esecutivi:  le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; sono detti titoli giudiziali. Tra gli “altri atti” si include ad es il verbale di conciliazione; il ruolo d'imposta;  le scritture private autenticate, limitatamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali e gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia; sono titoli stragiudiziali, idonei a fondare esclusivamente l'esecuzione per espropriazione forzata;  gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. Il diritto risultante dal titolo esecutivo, a norma dell'art. 474, deve essere certo, liquido ed esigibile. La liquidità si riferisce ai soli diritti aventi ad oggetto la dazione di denaro o di cose fungibili, che devono essere quantificati in una determinata somma o quantità risultante dallo stesso titolo esecutivo. L'esigibilità significa che il diritto non deve essere soggetto a termine (non ancora scaduto) o a condizione sospensiva (non ancora avveratasi). La certezza si riferisce all'esistenza del diritto incorporato dal titolo esecutivo, allude all'esigenza che il diritto sia compiutamente determinabile, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, in base al titolo esecutivo. Va tenuto presente che l’esistenza di un titolo esecutivo è necessaria non soltanto per iniziare l’esecuzione forzata, ma anche per portarla a compimento: il che significa che l’eventuale venir meno del titolo nel corso del processo esecutivo ne impedirebbe la prosecuzione. La spedizione del titolo in forma esecutiva e la sua notificazione Per le sentenze e per gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria, per gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, l'idoneità a valere come titolo esecutivo è subordinata all'intestazione “Repubblica italiana – In nome della legge” e all'apposizione sul titolo stesso della formula esecutiva “Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di farvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, qualora ne siano legalmente richiesti” (art. 475). La spedizione in forma esecutiva è consentita, di regola, per una volta soltanto a favore di una determinata parte, sotto comminatoria di una pesante sanzione pecuniaria a carico del cancelliere o del pubblico ufficiale che contravvenga al divieto (art. 476). Per le scritture private autenticate e per i titoli di credito, l'apposizione della formula esecutiva non è prevista. La legittimazione, attiva e passiva, all’azione esecutiva. La successione nel processo esecutivo In base all'art. 475 co 2 la spedizione in forma esecutiva può farsi solamente alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori, indicando in calce alla copia la persona alla quale essa è rilasciata. Secondo l'art. 477 co 1, il titolo esecutivo contro il defunto è efficace contro gli eredi. L'opinione dominante interpreta estensivamente l'art. 477, ammettendo che il titolo esecutivo è utilizzabile, a fortiori, pure contro il successore il cui acquisto sia posteriore alla formazione del titolo nei confronti del suo dante causa. La legittimazione del successore a titolo particolare concorre, in linea di principio, con quella della parte originaria. Nel caso in cui il mutamento della titolarità del diritto o dell'obbligo risultanti dal titolo si realizzi nel corso del processo esecutivo,  per quel che concerne la successione universale, il contraddittorio deve proseguire indisturbato, pur quando si tratti di successione mortis causa, non trovando applicazione l'istituto dell'interruzione, ferma restando la possibilità che il successore eserciti nel procedimento i poteri processuali che sarebbero spettati al suo dante causa;  quanto alla successione a titolo particolare, si è soliti ammettere che, se il trasferimento del diritto recato dal titolo avviene a processo esecutivo già iniziato, la legittimazione attiva e passiva delle parti originarie, di regola, non ne risenta. Gli atti preliminari all’inizio dell’esecuzione: notificazione del titolo esecutivo e del precetto Salvo la legge disponga altrimenti, l'inizio dell'esecuzione forzata deve essere preceduto dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e dalla notificazione del precetto (art. 479), che costituisce una sorta di ultimatum del creditore al debitore affinché adempia l’obbligo risultante dal titolo. La notificazione del titolo esecutivo ed il precetto non appartengono ancora all'esecuzione forzata, ma rappresentano atti ad essa preliminari. L'esecuzione deve essere iniziata entro 90 giorni dalla notifica del precetto (termine che resta automaticamente sospeso qualora sia proposta opposizione all’esecuzione), altrimenti diventerebbe inefficace e dovrebbe essere reiterato (art. 481). Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo e può essere notificato, di regola, unitamente ad esso, per entrambi la notificazione deve essere indirizzata alla parte personalmente, ex art. 137. Il precetto consiste, a norma dell'art. 480, nella formale intimazione di adempiere all'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro il termine, non minore di 10 giorni, indicato dal creditore, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Il presidente del tribunale competente per l’esecuzione può dispensare dall'osservanza di tale termine dilatorio ed autorizzare l'esecuzione immediata, eventualmente subordinandola alla prestazione di cauzione, con decreto scritto in calce all'originale del precetto e trascritto nella copia da notificare, qualora ricorra pericolo nel ritardo. A pena di nullità è richiesto che il precetto contenga l'indicazione delle parti e della data di notificazione del titolo esecutivo, qualora essa sia avvenuto separatamente. L'art. 480 richiede anche la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione a norma dell'art. 26. Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'art. 125, dalla parte personalmente oppure dal difensore munito di procura. La notificazione del precetto determina l'interruzione della prescrizione del diritto risultante dal titolo. La conversione e la riduzione del pignoramento Se il pignoramento è già avvenuto, l'art. 495 consente al debitore esecutato di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro corrispondente al totale dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, maggiorata dai relativi interessi e spese nonché delle spese dell'esecuzione. La relativa richiesta può essere avanzata prima che sia disposta la vendita ed una sola volta; deve essere accompagnata a pena di inammissibilità dal deposito in cancelleria di una somma pari ad ameno un sesto del totale di tali crediti, dedotti gli eventuali versamenti già effettuati, di cui deve essere fornita prova documentale; e diviene improcedibile dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione dei beni pignorati (art. 187-bis disp. att.). L'importo globale della somma occorrente per la conversione è determinato con ordinanza dal giudice dell'esecuzione, previa audizione delle parti in udienza entro 30 giorni dal deposito dell'istanza; e con essa, se il pignoramento riguarda beni immobili e sussistono giustificati motivi, può essere concessa una rateizzazione mensile del pagamento entro un termine massimo di 48 mesi, con applicazione dei relativi interessi scalari. Se l’istanza di conversione è accolta, il provvedimento dispone che i beni siano liberati dal pignoramento e la somma sia ad essi sostituita; se invece il debitore non adempie al versamento, il giudice su richiesta del creditore procedente o di altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, dispone la vendita delle cose pignorate. È possibile anche la riduzione del pignoramento, che il giudice può disporre anche d'ufficio, sentiti il creditore procedente e i creditori eventualmente intervenuti, quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo totale dei crediti da soddisfare e delle spese (art. 496). Il giudice valuta discrezionalmente. L'art. 483, pur consentendo al creditore di servirsi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge, prevede che il giudice dell'esecuzione, su opposizione del debitore e con ordinanza non impugnabile, possa limitare l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o che lo stesso giudice determina. L’intervento dei creditori: i presupposti Il creditore pignorante non gode di alcuna preferenza rispetto agli altri creditori, i quali possono assoggettare lo stesso bene ad ulteriori successivi pignoramenti (art. 493) oppure possono intervenire nel processo esecutivo già iniziato da altri: in entrambi i casi, se il pignoramento successivo o l'intervento si realizzano entro un determinato momento, tutti i creditori acquistano il diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata su basi paritarie, tenuto conto esclusivamente delle cause di prelazione che eventualmente assistono i rispettivi crediti sul piano sostanziale. La riforma del 2005 ha circoscritto la possibilità d'intervento ad alcune categorie di creditori (art. 499 co 1):  ai creditori muniti di titolo esecutivo oppure titolari di un diritto di pegno o di un diritto di prelazione risultante da pubblici registri;  ai creditori che, anteriormente al pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati (l'art. 158 disp. att. prevede che il creditore sequestrante debba essere avvertito del procedimento);  ai creditori titolari di un credito risultante dalle scritture contabili obbligatorie previste dall'art. 2214 c.c. Se l'intervento si fonda su un titolo esecutivo, il credito si considera già certo, e il creditore, che avrebbe ben potuto iniziare autonomamente l'espropriazione, ha poteri d'impulso del procedimento (art. 526 e 564). Se il creditore è sprovvisto di titolo esecutivo invece gli è preclusa la possibilità di compiere gli atti d'impulso del procedimento e si rende necessario una sorte di interpello del debitore, diretto a provocare il riconoscimento del credito stesso, seppure ai soli effetti dell'esecuzione: se il debitore riconosce il credito, l'interveniente è ammesso a partecipare alla distribuzione del ricavato per il corrispondente importo; altrimenti ha solo diritto ad un accantonamento temporaneo delle somme che gli spetterebbero in sede di riparto, a condizione che ne faccia istanza e dimostri di aver dato inizio, entro i 30 giorni successivi, all'azione occorrente per munirsi del titolo esecutivo. Una ulteriore distinzione è legata al tempo dell'intervento, almeno per i creditori chirografari: fermo restando che vi è un termine ultimo per l'intervento di qualunque creditore, la disciplina delle singole forme di espropriazione prevede che si consideri tardivo l'intervento avvenuto dopo una certa fase del procedimento. Il creditore chirografario intervenuto tardivamente viene posposto, nella distribuzione del ricavato, non solo ai creditori muniti di prelazione, ma pure al creditore procedente e a tutti gli altri creditori intervenuti tempestivamente, sicché può soddisfarsi solamente sull'eventuale residuo. Il creditore munito di un diritto di prelazione non subisce invece alcun pregiudizio dalla tardività dell'intervento e conserva integro tale diritto in sede di distribuzione del ricavato. Secondo la giurisprudenza, anche i creditori intervenuti tardivamente, se muniti di titolo esecutivo, possono dare impulso all'espropriazione provocandone i singoli atti. L'art. 511 prevede che ogni creditore di un creditore avente diritto alla distribuzione può chiedere di essere a lui sostituito nella distribuzione stessa, proponendo domanda nelle stesse forme stabilite per l'intervento ex art. 499 co 2 (par successivo). Si tratta di un intervento sui generis, che mira alla sostituzione esecutiva e può avvenire in qualunque momento, finché il creditore sostituendo non abbia materialmente ricevuto la propria quota in sede di distribuzione del ricavato. La disciplina processuale dell’intervento Il ricorso del creditore interveniente deve essere depositato in cancelleria prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 (art. 499), e deve contenere l'indicazione del credito e del relativo titolo, nonché la domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione e la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. Qualora l'intervento riguardi un credito non assistito da titolo esecutivo, ma risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c., il creditore deve allegare al ricorso, a pena di inammissibilità, un estratto autentico notarile delle scritture stesse. Il creditore privo di titolo esecutivo deve notificare al debitore, nei 10 giorni successivi al deposito, copia del ricorso, eventualmente accompagnata dall'estratto autentico notarile delle scritture contabili se l'intervento si fonda su di esso. Il giudice, con la stessa ordinanza con cui dispone la vendita o l'assegnazione dei beni pignorati, deve fissare un'apposita udienza di comparizione del debitore e dei creditori privi di titolo esecutivo, da tenersi non oltre 60 giorni dalla data del provvedimento, disponendo la notifica di quest'ultimo a cura di una delle parti. All'udienza il debitore deve dichiarare quali di tali crediti intende riconoscere, anche solo parzialmente; se non compare, tutti i crediti si intendono riconosciuti, seppure ai soli effetti dell'esecuzione. I creditori i cui crediti siano stati riconosciuti partecipano alla distribuzione del ricavo dell’espropriazione; quelli i cui crediti siano stati disconosciuti hanno invece soltanto il diritto ad un accantonamento temporaneo delle somme loro potenzialmente spettanti, a condizione che ne facciano apposita istanza e dimostrino di aver proposto l’azione di cognizione volta a conseguire il titolo esecutivo. Art. 499 co 4: in caso di intervento tempestivo di creditori chirografari, muniti o meno di titolo esecutivo, il creditore pignorante ha la facoltà di indicare loro, con la notifica di un atto ad hoc o direttamente all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere su di essi il pignoramento, qualora si tratti di creditori muniti di titolo esecutivo, o altrimenti ad anticipare le spese occorrenti per l'estensione del pignoramento. La vendita forzata o l’assegnazione dei beni pignorati Perché l'espropriazione forzata possa concretamente soddisfare i creditori ammessi al concorso, è necessario procedere alla vendita forzata oppure, quando ne sussistano le condizioni, all'assegnazione dei beni o dei crediti pignorati. Occorre a tal fine un'apposita istanza, del creditore procedente o di un altro munito di titolo esecutivo, da proporsi non prima di 10 giorni dal pignoramento (salvo si tratti di cose deteriorabili) e non oltre il termine di 45 giorni, che farebbe venir meno l'efficacia del pignoramento stesso. Le modalità della vendita forzata sono autonomamente disciplinate nell'ambito di ciascun tipo di espropriazione, ma il codice prevede che possa avvenire con incanto o senza incanto. Nel primo caso (con incanto) le operazioni di vendita si svolgono ed esauriscono in un unico contesto, nel luogo e nel giorno fissati nel provvedimento di vendita, attraverso offerte successive al rialzo ed aggiudicazione al miglior offerente. Nel secondo caso (senza incanto) le offerte di acquisto, sempre nel rispetto del prezzo minimo, possono liberamente intervenire nell'arco di tempo determinato dal provvedimento di autorizzazione alla vendita, e può essere prevista, in caso di pluralità di offerte, una gara partendo dall'offerta più alta. La preferenza del legislatore è per la vendita senza incanto, l’incanto infatti può disporsi solamente quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità possa fruttare un prezzo superiore della metà rispetto al valore della stima La dottrina distingue due tipi di assegnazione: una prima assegnazione satisfattiva, consistente in una datio in solutum, per cui il creditore accetta, in luogo della somma di denaro cui avrebbe diritto, che gli venga trasferita la proprietà di taluno dei beni pignorati, eventualmente pagando un conguaglio in denaro quando l'importo del suo credito sia inferiore al valore del bene. Una seconda assegnazione è l'assegnazione-vendita, che prevede il pagamento del valore del bene da parte del creditore assegnatario e si risolve in una aggiudicazione per un prezzo predeterminato. Il processo di espropriazione potrebbe chiudersi anticipatamente, prima della vendita o dell’assegnazione, ogniqualvolta risulti che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Gli effetti e la stabilità della vendita e dell’assegnazione Sia la vendita forzata sia l'assegnazione realizzano un trasferimento coattivo della proprietà del bene assoggettato all'espropriazione. La natura coattiva della vendita non esclude che si tratti di un trasferimento a titolo derivativo. L'art.2919 c.c. stabilisce che la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso in buona fede: quindi il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell'acquirente presuppone sempre, di regola, che tale diritto sussistesse in capo al debitore esecutato, a meno che, trattandosi di beni mobili acquistati in buona fede, non risulti applicabile l'art. 1153 c.c., che configura un acquisto a titolo originario. L'art. 2919 c.c. prevede che non sono opponibili all'acquirente i diritti acquisiti da terzi sulla cosa, se tali diritti non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione. L'art. 2929 c.c. dispone che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori (diversi dal procedente) non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto abbiano ricevuto in sede di espropriazione. Eventuali vizi formali si possono far valere con l'opposizione agli atti esecutivi. Nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per vizi della cosa. L’assegnazione o la vendita dei beni e la distribuzione del ricavato Su ricorso del creditore pignorante o di un altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, proponibile dopo che sia decorso il termine dilatorio dell'art. 501 (10 gg), il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza per l'audizione delle parti, per decidere circa l'assegnazione, quando ne sussistano i presupposti, o la vendita dei beni pignorati. Per quel che concerne le modalità della vendita la regola è rappresentata dalla vendita senza incanto o tramite commissionario; in tal caso il giudice, col provvedimento autorizzativo della vendita fissa il prezzo minimo della vendita stessa e l'importo globale al cui raggiungimento la vendita deve arrestarsi; le cose pignorate sono affidate all'istituto vendite giudiziarie o, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario (art. 532). Se però la vendita non avviene entro il termine fissato nel provvedimento, il soggetto incaricato è tenuto a restituire gli atti in cancelleria e il giudice, salvo che vi siano istanze di integrazione del pignoramento dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo. Nel caso invece, di vendita all'incanto (consentita solamente quando appare probabile che tale modalità frutti un prezzo superiore di almeno la metà rispetto al valore di stima del bene), il giudice deve fissare, sentito uno stimatore, il prezzo di apertura dell'incanto e stabilire giorno ed ora in cui la vendita deve avvenire, affidandone l'esecuzione al cancelliere o all'ufficiale giudiziario o ad un istituto all'uopo autorizzato. Se la cosa resta invenduta, il soggetto incaricato della vendita fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto rispetto a quello precedente (art. 538). Se nel corso delle operazioni di vendita sorgono difficoltà, sia il commissario che il professionista delegato possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione che provvede con decreto. Le parti e gli altri interessati possono invece proporre reclamo allo stesso giudice contro tale decreto nonché avverso gli atti del professionista o del commissionario, e in tal caso il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza reclamabile al collegio ai sensi dell’art 669 ter. La vendita deve essere resa pubblica nelle forme prescritte dall’art 490: cioè mediante un avviso inserito sul portale delle vendite pubbliche del Ministero della giustizia almeno 10 gg prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte oppure dalla data dell’incanto. I creditori possono concordare un piano di riparto per la distribuzione del ricavato che il giudice, dopo aver sentito il debitore, può recepire in un proprio provvedimento. Quando non avvenga o il giudice non approvi il piano, ciascun creditore, anche privo di titolo esecutivo, può chiedere che sia il giudice stesso a provvedere alla distribuzione, tenendo conto delle rispettive cause di prelazione. Se le cose pignorate risultano invendute dopo il secondo o successivo incanto, oppure quando l somma assegnata non sia sufficiente a soddisfare le ragioni di tutti i creditori, che il giudice, ad istanza di uno dei creditori stessi ordini l’integrazione del pignoramento ex art 518 ultimo comma, attraverso la ricerca di ulteriori beni da parte dell’ufficiale giudiziario. Se tale ricerca è positivo il giudice dispone la vendita delle nuove cose pignorate, senza che occorra una nuova istanza, altrimenti dichiara d’ufficio l’estinzione del procedimento. L’ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI: L’oggetto dell’espropriazione presso terzi ed i limiti alla pignorabilità dei crediti L'espropriazione presso terzi può avere ad oggetto sia dei beni mobili di proprietà del debitore, che si trovino nella disponibilità di un terzo, sia dei crediti che il debitore vanti nei confronti di un terzo. Si ritiene che siano espropriabili non solo i crediti non ancora esigibili, poiché sottoposti a termine o condizione, ed i crediti illiquidi, ma anche quelli futuri ed eventuali, quando derivino da un rapporto giuridico già esistente. Alcuni crediti sono assolutamente impignorabili, l'art. 545 co 2° menziona i crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Vi sono poi limitazioni di carattere relativo, ossia casi in cui il credito è pignorabile soltanto per una parte e/o per il soddisfacimento di determinati altri crediti. L'art. 545 co 1° comprende:  i crediti alimentari, pignorabili esclusivamente a tutela di altri crediti alimentari, su autorizzazione del presidente del tribunale e nella misura da lui stabilita con decreto;  i crediti relativi a stipendi, salari o altre indennità derivanti da rapporto di lavoro privato, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, che possono pignorarsi per crediti alimentari, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, oppure nei limiti di un quinto per crediti di natura tributaria dello Stato, delle province o dei comuni ed in egual misura per ogni altro credito; con l'ulteriore limite massimo della metà credito, quando concorrano simultaneamente più crediti di diversa natura;  le somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza. Tali somme sono impignorabili per un importo pari a una volta e mezza la misura massima mensile dell’assegno sociale, mentre al di là di questo importo sono pignorabili nella misura di un quinto. La violazione dei divieti e dei limiti previsti nell’art 545 oppure da altre disposizioni speciali di legge, è causa di parziale inefficacia del pignoramento, rilevabile dal giudice anche d’ufficio. Il pignoramento In questo caso (espropriazione presso terzi) il pignoramento si attua per iscritto, e produce effetti anche nei confronti del terzo, per evitare che riconsegni la cosa mobile o la paghi (estinguendo il proprio debito) nelle mani dell'esecutato, e presuppone che, in caso di contestazione, possa pervenirsi ad un accertamento circa l'effettiva esistenza del bene o del credito pignorato. Sul terzo graverà infatti l’obbligo di consegnare il bene mobile di proprietà del debitore oppure di pagare le somme di cui è a sua volta debitore nei confronti dell’esecutato. Il pignoramento si esegue mediante la notifica, al debitore ed al terzo, di un atto che, oltre agli elementi prescritti in generale all'art. 492 (ingiunzione, invito alla dichiarazione di residenza o all'elezione di domicilio, avvertimento circa la possibilità di conversione del pignoramento se beni mobili), deve contenere, ex art. 543:  l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e della data di notificazione del precetto;  l'indicazione generica delle cose o delle somme dovute dal terzo al debitore esecutato;  l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice: al terzo non è inibito disporre delle cose o dei crediti pignorati, ma è inibito riconsegnare la cosa o adempiere il proprio debito nelle mani del debitore esecutato.  la citazione del debitore e del terzo a comparire davanti al tribunale competente con l'indicazione della relativa udienza, nel rispetto del termine dilatorio di 10 giorni ex art. 501;  il terzo inoltre, entro il termine di dieci giorni detto prima, deve trasmettere al creditore procedente una dichiarazione scritta nella quale è tenuto a specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.  la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente. Si ritiene poi che l'atto di pignoramento debba essere sottoscritto dal creditore procedente. Infine l’ufficiale giudiziario deve consegnare l’originale dell’atto al creditore il quale, a pena di inefficacia del pignoramento è tenuto a depositare nella cancelleria del tribunale competente la nota di iscrizione a ruolo. L’eventuale accertamento del diritto del debitore nei confronti del terzo In questa forma di espropriazione, l'esistenza stessa del bene o del credito oggetto del pignoramento, così come la sua appartenenza al debitore, si fonda esclusivamente sull'affermazione del creditore istante: quindi prima di poter procedere alla vendita o all'assegnazione deve verificarsi se il terzo è realmente in possesso di una determinata cosa mobile di proprietà del debitore oppure è a sua volta debitore del debitore. Gli effetti del pignoramento restano subordinati al successivo accertamento del diritto del debitore verso il terzo. A tale accertamento si può pervenire in tre modi:  Anzitutto attraverso una dichiarazione esplicita del terzo, che si riconosce detentore della cosa mobile oggetto del pignoramento oppure obbligato a pagare una determinata somma di denaro al debitore esecutato. L'art. 547 prevede che la dichiarazione possa provenire personalmente dal terzo o da un suo procuratore speciale, e deve specificare di quali cose o somme il terzo è debitore o si trovi in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna, nonchè gli eventuali sequestri o pignoramenti anteriormente eseguiti presso di lui e le cessioni a lui notificate o da lui accettate. Se il terzo rende una dichiarazione positiva e questa non viene contestata può darsi corso alla fase satisfattiva (cioè assegnazione o vendita delle cose mobili o dei crediti del debitore esecutato); se invece la dichiarazione è oggetto di contestazioni, l’espropriazione potrà proseguire in quanto sia stata preventivamente accertata l’esistenza del bene o del credito pignorato.  Se il terzo omette di comparire all'udienza o di rendere tale dichiarazione: “Quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, a condizione che l’allegazione del creditore consenta l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.  in seguito a una decisione che verifichi, a conclusione di una parentesi di cognizione, l’esistenza e l’entità del credito del debitore esecutato nei confronti del terzo, oppure il possesso da parte di quest’ultimo, di un bene appartenente al debitore. Tale decisione si rende necessaria quando la dichiarazione del terzo sia stata oggetto di contestazioni, nonché quando, avendo il terzo omesso di rendere la dichiarazione e di comparire all’udienza, non risulti possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo. In entrambi i casi lo stesso giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, compie i necessari accertamenti nel contradditorio tra le parti e con il terzo, provvedendo con ordinanza che produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, tale ordinanza può essere impugnata mediante opposizione agli atti esecutivi, instaurando così un giudizio a cognizione pena con sentenza. Le modalità della vendita senza incanto Chiunque, tranne il debitore, è ammesso ad avanzare, personalmente o tramite avvocato munito di procura speciale, un'offerta di acquisto dell'immobile pignorato; e gli avvocati possono anche fare offerte per persone da nominare (art. 571 e 579). L'offerta consiste solitamente in una dichiarazione, da presentare in busta chiusa in cancelleria, contenente l'indicazione del prezzo, del tempo e del modo di pagamento e di ogni elemento utile per la sua valutazione; pena l'inefficacia, deve pervenire entro il termine fissato nel provvedimento autorizzativo della vendita, rispettando le modalità stabilite per la prestazione della cauzione. L'eventuale mancanza di offerte tempestive ed efficaci impone di dar corso all'incanto; si distingue se le offerte valide siano una soltanto o più (art. 572): se l'offerta è una ed è almeno pari al prezzo base dell'immobile così come determinato nel provvedimento di autorizzazione della vendita, deve essere accolta; se invece l'offerta non raggiunge tale importo, ma comunque non è inferiore al 75% del prezzo base, potrà essere accolta solamente a condizione che nessuno dei creditori abbia presentato istanza di assegnazione ai sensi dell’art 588 e che il giudice stesso non ritenga sussistere una seria possibilità che una nuova vendita frutti un prezzo superiore. Quando le offerte siano più di una, il giudice invita gli offerenti, nella stessa udienza, ad una gara prendendo come base l'offerta più alta: se non vi sono istanze di assegnazione, l’immobile è aggiudicato al miglior offerente; se invece ci sono istanze di assegnazione, l’aggiudicazione avviene in favore del miglior offerente solamente a condizione che il prezzo offerto sia almeno pari al prezzo base dell’immobile determinato nell’ordinanza di vendita, dovendosi altrimenti procedere all’assegnazione. Quando un’offerta viene accollata, il giudice dispone con decreto il termine e le modalità per il versamento del prezzo e successivamente, una volta che il pagamento sia avvenuto, pronuncia un ulteriore decreto di trasferimento dell’immobile. Se l’aggiudicatario si rende inadempiente, il giudice dichiara la sua decadenza e dispone che si proceda alla vendita all’incanto. Le modalità della vendita all’incanto Il provvedimento con cui il giudice dispone la vendita all’incanto deve indicare: l'ammontare della cauzione necessaria per partecipare all'incanto ed il termine per la sua prestazione, la misura minima dell'aumento da apportare alle offerte nel corso dell'asta, il termine (non superiore a 60 giorni) e le modalità per il deposito del prezzo da parte dell'aggiudicatario. La cauzione di regola viene immediatamente ed integralmente restituita dopo la chiusura dell'incanto, quando l'offerente non si sia reso aggiudicatario. L'art. 580 tuttavia prevede che ne venga trattenuto un decimo, come somma rinveniente a tutti gli effetti dall'esecuzione, quando l'offerente abbia omesso di partecipare all'incanto, eventualmente a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo. L'aggiudicazione avviene a favore di chi ha fatto l'ultima offerta, allorché entro 3 minuti non ne sopraggiunga una più elevata. Tale aggiudicazione è però provvisoria: l'art. 584, per assicurare la massima fruttuosità della vendita forzata, prevede che dopo la positiva conclusione dell'incanto siano ancora ammesse, entro il termine perentorio di 10 giorni, ulteriori offerte di acquisto da parte di chiunque, purché il prezzo offerto superi di almeno un quinto quello raggiunto nell'incanto e per il quale si era avuta l'aggiudicazione. Quando entro tale termine sia intervenuta almeno una offerta valida ed efficace, il giudice deve indire una gara, fissando il termine perentorio entro cui potranno essere formulate, con le stesse modalità, ulteriori offerte. A tale gara, cui dovrà darsi nuova ed autonoma pubblicità, potranno partecipare sia gli offerenti iniziali e l'aggiudicatario, ma anche tutti coloro che, avendo preso parte al precedente incanto, abbiano integrato l'originaria cauzione entro il termine fissato dal giudice. Se però alla gara non partecipa alcuno degli offerenti in aumento, l'aggiudicazione diviene definitiva e l'importo della cauzione che avevano prestato resta definitivamente incamerato, come somma ricavata dall'esecuzione, a meno che non ricorra un documentato e giustificato motivo. L'aggiudicatario è tenuto, a pena di decadenza dall'aggiudicazione e di perdita della cauzione, a versare il prezzo nel termine e nel modo stabiliti nel provvedimento autorizzativo della vendita, documentando al cancelliere tale adempimento (art. 585). Una volta che il pagamento sia avvenuto, al giudice non resta che pronunciare il decreto con cui trasferisce all’aggiudicatario il bene espropriato. Tale decreto contiene anche l’ingiunzione, rivolta al debitore o al custode, a rilasciare l’immobile all’acquirente e costituisce titolo esecutivo per il rilascio nei confronti di chiunque detenga il bene. L'art. 586 attribuisce al giudice il potere discrezionale di sospendere la vendita, rifiutando il decreto di trasferimento e disponendo un nuovo incanto, quando ritenga che il prezzo per cui è avvenuta l'aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello giusto. L’assegnazione e le ulteriori possibilità in caso di incanto negativo Fino a 10 giorni prima della data dell'incanto ciascuno dei creditori, pignorante o intervenuto, può presentare istanza di assegnazione dell'immobile pignorato, per l'eventualità che la vendita non abbia luogo. In mancanza di istanze di assegnazione o quando il giudice ritenga di non accoglierne nessuna, il giudice ha tre possibilità:  ricorrere all'amministrazione giudiziaria dell'immobile, per un periodo non superiore a 3 anni;  disporre la vendita all’incanto per il prezzo base anteriormente stabilito, qualora ritenga che tale modalità di vendita possa aver luogo ad un prezzo superiore di almeno il 50% rispetto al prezzo base;  disporre un nuovo tentativo di vendita senza incanto, stabilendo nuove forme di pubblicità e/ nuove condizioni di vendita, nonché un prezzo base inferiore fino ad ¼ rispetto a quelle precedente. Se neppure il secondo tentativo di vendita ha successo per mancanza di offerte, ma vi sono domande di assegnazione, il giudice assegna il bene al creditore o ai creditori richiedenti, fissando il termine per il versamento dell’eventuale conguaglio da parte dell’assegnatario. In assenza di domande di assegnazione, si ripropongono al giudice le stesse opzioni prima indicate (3). La possibile delega delle operazioni di vendita Ex Art. 591-bis è possibile delegare ad un notaio, avvocato o commercialista, iscritti in appositi elenchi, l'intero complesso delle operazioni di vendita viste, riservando al giudice esclusivamente la pronuncia del decreto di trasferimento e dei provvedimenti accessori in esso contenuti. Ex Art. 591-ter il professionista delegato agisce con autonomia, ferma restando la possibilità che si rivolga al giudice dell'esecuzione per avere chiarimenti e direttive quando sorgano difficoltà. Le parti possono proporre reclamo sia contro il decreto reso dal giudice su sollecitazione del professionista sia direttamente contro gli atti di questo. Su tale reclamo, inidoneo a sospendere le operazioni di vendita, decide lo stesso giudice dell'esecuzione con ordinanza, contro la quale è esperibile l'opposizione agli atti esecutivi. La distribuzione del ricavato Quando il ricavato della vendita debba essere ripartito tra più creditori, il giudice dell'esecuzione, o il professionista delegato provvede, entro 30 giorni dal versamento del prezzo, a redigere un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori concorrenti e a depositarlo in cancelleria, affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l'udienza per l'audizione degli interessati, cui il provvedimento deve essere comunicato almeno 10 giorni prima dell'udienza stessa (art. 596). Se in tale sede il progetto viene approvato o si raggiunge accordo, si dà atto nel verbale dell'udienza e il giudice dell'esecuzione o il professionista possono dar corso alla distribuzione, ordinando il pagamento delle singole quote. Se invece ci sono contestazioni ed il progetto non viene approvato, la relativa controversia deve essere decisa ex art. 512. L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO Vi sono casi in cui l'espropriazione può colpire legittimamente i beni appartenenti ad un soggetto diverso dal debitore esecutato, che subisce l'azione esecutiva pur senza essere titolare passivo dell'obbligazione risultante dal titolo. L'art. 602 distingue due situazioni, a seconda che l'espropriazione riguardi  un bene la cui alienazione è stata revocata perché compiuta in frode dei creditori (art. 2901 c.c.) oppure  un bene gravato da pegno o ipoteca per debito altrui. Il primo caso si realizza in conseguenza del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria da parte dei creditori dell'alienante, i quali ottengono così che il trasferimento sia dichiarato inefficace nei loro confronti e possono assoggettare il bene ad espropriazione come se appartenesse ancora al loro debitore, pur dovendo dirigere l'azione esecutiva contro il terzo acquirente. Il secondo caso presuppone che il terzo abbia acquistato il bene già gravato dal diritto reale di garanzia oppure che abbia egli stesso concesso pegno o ipoteca a garanzia di un debito altrui. Occorre tener presente che il presupposto per l’applicazione degli artt 602 ss è che l’acquisto del terzo sia anteriore al pignoramento, nel caso si tratti di un bene immobile, che la relativa trascrizione sia anteriore alla trascrizione del pignoramento. Il terzo, responsabile per un debito altrui, ha diritto di partecipare al processo esecutivo con poteri analoghi a quelli del debitore, ma non si applica a lui l'art. 579 che preclude al debitore la possibilità di fare offerte di acquisto dei beni pignorati. Il titolo esecutivo e il precetto devono essere notificati anche a lui (terzo) e nel precetto deve essere espressamente menzionato il bene del terzo che si intende assoggettare al pignoramento. Tutti gli atti dell'espropriazione si compiono nei confronti del terzo che ha diritto di essere sentito negli stessi casi in cui deve essere sentito il debitore, nonché di prendere parte, come litisconsorte necessario, all'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi. L’ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI Ex art. 599, il creditore ha diritto di espropriare anche i beni appartenenti pro indiviso, oltre che al debitore, a soggetti che non siano direttamente obbligati. In questo caso nel corso dell'espropriazione bisogna procedere alla separazione della quota spettante al debitore, che potrebbe rendere necessario un vero e proprio giudizio incidentale di divisione, destinato a concludersi con sentenza, e bisogna coinvolgere nel processo esecutivo tutti i comproprietari del bene indiviso. L'esecuzione forzata si dirige esclusivamente contro il debitore, il titolo esecutivo e il precetto quindi si notificheranno solo a lui e lo stesso pignoramento si eseguirà esclusivamente nei suoi confronti, limitatamente alla quota di pertinenza del debitore, altrimenti i comproprietari non obbligati sarebbero legittimati a proporre opposizione ex art. 619. Il pignoramento si attua nelle stesse forme ordinariamente prescritte in relazione alla natura del bene espropriato, unica peculiarità è che il suo compimento deve essere notificato ai comproprietari (non debitori) da parte del creditore procedente, con un avviso, dal quale dipende il divieto, per gli altri comproprietari di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice. I comproprietari, al pari di tutti gli altri interessati, devono essere invitati a comparire davanti al giudice dell'esecuzione, il quale, dopo averli sentiti, provvede alla separazione in natura della quota spettante al debitore, purché tale separazione gli sia richiesta e sia materialmente possibile. In caso contrario si renderà necessario procedere alla divisione secondo le norme del codice civile. Una volta avvenuta la divisone, la vendita o l’assegnazione dei beni che ne risultano attribuiti al debitore potrà compiersi secondo la disciplina ordinaria.  Il ricorso all'esecuzione indiretta, cioè alle misure coercitive, ha senso in quanto l'interesse del titolare del diritto leso non possa trovare piena ed integrale realizzazione o soddisfazione in altro modo. Secondo l'art. 2058 la reintegrazione in forma specifica può essere accordata al danneggiato, in luogo del risarcimento per equivalente, soltanto a condizione che non risulti eccessivamente onerosa per il debitore. Si può quindi pensare che l'imposizione di una misura coercitiva debba essere negata quando: 1. l'adempimento dell'obbligo implicherebbe una penalizzazione eccessiva per il debitore, magari sacrificando anche un suo interesse non patrimoniale; 2. Quando il facere infungibile si concreti in una prestazione dal carattere strettamente personale cui si contrappone, dal lato del creditore, un interesse di natura meramente patrimoniale, che può trovare piena soddisfazione nel risarcimento per equivalente.  Il provvedimento che impone la misura coercitiva ha efficacia di titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza successiva, è una sorta di condanna in futuro dall'oggetto indeterminato, che l'attore vittorioso può porre in esecuzione in ogni momento adducendo semplicemente l'intervenuta violazione dell'obbligo assistito dalla misura coercitiva.  L'istanza diretta all'applicazione dell'art. 614-bis costituisce una vera e propria domanda accessoria, che concorre a determinare il valore della causa, vincola il giudice quanto al limite massimo della relativa condanna, e deve tener conto delle ordinarie preclusioni riguardanti la proposizione delle nuove domande. La statuizione che impone la misura coercitiva costituisce un capo di sentenza autonomo, ancorché accessorio rispetto a quello concernente la condanna all'adempimento dell'obbligo di fare o di non fare, suscettibile di inibitoria in sede di impugnazione. LE OPPOSIZIONI DEL DEBITORE E DEI TERZI Il sistema dei rimedi nei confronti dell’esecuzione forzata ingiusta od illegittima L ‘esecuzione può essere ingiusta, poiché il diritto risultante dal titolo si è già estinto o non è mai esistito, oppure debba considerarsi illegittima, perché non sarebbe dovuta iniziare o perché viziata in qualche atto. In questi casi il debitore o gli altri soggetti coinvolti nel processo esecutivo devono avere a disposizione rimedi atti a bloccare il corso dell'esecuzione o far si che si svolga in modo conforme a diritto. In questi casi è esperibile l'opposizione che introduce un vero e proprio giudizio di cognizione, destinato a concludersi con sentenza, collegato al processo esecutivo, dal quale trae origine, ma eventualmente provvisto di una propria autonomia. L'opposizione tende solitamente ad ottenere, come provvedimento anticipatorio ed immediato, la sospensione del processo esecutivo, per evitare che il compimento dell'esecuzione forzata dia luogo a situazioni giuridicamente o materialmente irreversibili. Le opposizioni previste dal codice sono tre:  l'opposizione all'esecuzione (ex art. 615), proponibile senza specifiche limitazioni temporali, sia nei confronti del precetto, quindi prima dell'inizio dell'esecuzione, sia nel corso della stessa, serve a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione;  l'opposizione agli atti esecutivi (ex art. 617), esperibile anche prima dell'inizio dell'esecuzione o a processo esecutivo già iniziato, ma sempre entro un termine perentorio piuttosto breve, serve a contestare la non regolarità del titolo esecutivo, del precetto o di atti del procedimento esecutivo;  l'opposizione del terzo all'esecuzione (ex art. 619), nel solo caso dell'espropriazione e presuppone che il pignoramento sia già stato eseguito; serve a far valere errori o vizi del procedimento esecutivo che pregiudichino il diritto di un terzo estraneo all'esecuzione. Secondo l'art. 615 l'opposizione all'esecuzione serve essenzialmente a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata oppure, nel solo caso in cui si tratti di espropriazione forzata e sia già intervenuto il pignoramento, a far valere l'impignorabilità dei beni colpiti. Dall'art. 617 si deduce invece che l'opposizione agli atti esecutivi può riguardare l'irregolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, oppure la legittimità di singoli atti di esecuzione. Tali singoli atti possono essere anche provvedimenti del giudice dell'esecuzione, che l'opposizione consente di censurare per qualunque aspetto, incluse le valutazioni meramente discrezionali. Mentre l'opposizione all'esecuzione investe l'an (il se) dell'esecuzione, mirando ad ottenere una pronuncia in cui si dia atto che la specifica azione esecutiva di cui si parla non può o non poteva essere promossa o comunque non può essere proseguita, l'opposizione agli atti esecutivi attiene solo al modo in cui l’esecuzione è stata intrapresa o si sta svolgendo e riguarda specifici atti o provvedimenti del processo esecutivo. L’opposizione all’esecuzione: i motivi e la legittimazione L ‘opposizione all'esecuzione può fondarsi sulla mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni e dei presupposti specifici dell'azione esecutiva, oppure sulla inesistenza (originaria o sopravvenuta) del diritto risultante dal titolo(opposizione di merito), nel primo gruppo di ipotesi abbiamo:  assoluto difetto di un titolo esecutivo; titolo che deve sussistere non solo al momento iniziale dell'esecuzione ma pure per tutto il suo corso;  inidoneità del titolo esecutivo a sorreggere un determinato tipo di esecuzione, ad es. un'esecuzione di consegna o rilascio avviata sulla base di una scrittura privata;  il difetto di legittimazione attiva o passiva all'azione esecutiva;  la violazione di divieti, magari temporanei, al promovimento dell'azione esecutiva; In questi casi si tratti di vizi che potrebbero emergere dallo stesso titolo esecutivo, essi sono rilevabili d’ufficio dal giudice dell’esecuzione o dall’ufficiale giudiziario cui viene chiesto di dar luogo all’esecuzione forzata. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, cioè quando l’opposizione all’esecuzione tende a dimostrare che il diritto risultante dal titolo non è mai esistito o si è estinto, è necessario distinguere a seconda che il titolo esecutivo sia giudiziale o stragiudiziale: se è giudiziale i motivi deducibili con l'opposizione sono limitati, dovendosi tener conto, a seconda dei casi, sia della preclusione derivante dal giudicato che dell'ostacolo rappresentato dalla litispendenza, che impone di far valere nel giudizio di cognizione tutte le ragioni che potrebbero condurre ad una riforma del provvedimento posto a base dell'esecuzione forzata; in questi casi l'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione resta circoscritta ai soli fatti estintivi, impeditivi o modificativi intervenuti successivamente alla formazione del giudicato o dopo l'ultimo momento utile per la loro allegazione nel processo di cognizione. Quando l'opposizione è rivolta contro un titolo stragiudiziale, non incontra particolari limitazioni, potrebbe fondarsi sia su fatti estintivi, impeditivi o modificativi ma anche sul difetto di fatti costitutivi del diritto sottostante. Altro motivo di opposizione riguarda l'impignorabilità dei beni o dei crediti, e presuppone un pignoramento già avvenuto. In questo caso la legittimazione ad avvalersi dell'opposizione all'esecuzione spetta al debitore, o a colui nei cui confronti l'esecuzione è diretta. Il procedimento Per il procedimento bisogna distinguere due ipotesi: Se l'esecuzione non è ancora iniziata, l'opposizione si dirige contro il precetto e va proposta con atto di citazione davanti al giudice individuato con gli ordinari criteri di competenza per materia e valore (avuto riguardo al diritto risultante dal titolo esecutivo). Si applica la disciplina del processo di cognizione. Il giudice dell'opposizione può disporre, su istanza di parte ed in presenza di gravi motivi, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, impedendo di utilizzarlo per avviare l'esecuzione. Ad esecuzione già iniziata invece, l'opposizione si propone con ricorso allo stesso giudice dell'esecuzione, che fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio entro cui l'opponente deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto. Dopo tale fase introduttiva, che dovrebbe ridursi in un'unica udienza, si passa al giudizio di cognizione vero e proprio, applicando i criteri ordinari di competenza e lo specifico rito pertinente alla materia della causa. L'art. 616 prevede due ipotesi: se i criteri ordinari portano ad affermare la competenza dello stesso ufficio giudiziario (tribunale) cui appartiene il giudice dell'esecuzione, questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire dell'art. 163- bis, ridotti alla metà; se invece risulta competente un diverso ufficio giudiziario, il giudice dell'esecuzione deve rimettere ad esso la causa, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa stessa. Il procedimento si chiude con sentenza che è soggetta a tutte le impugnazioni proprie della sentenza di primo grado. L’opposizione agli atti esecutivi L ‘opposizione agli atti esecutivi riguarda il modo in cui si svolge l'esecuzione, e può servire a contestare la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, come pure la legittimità di ogni altro singolo atto del processo esecutivo o provvedimento del giudice dell'esecuzione. L'opposizione agli atti esecutivi è assoggettata ad un termine di decadenza di 20 giorni, che decorrono:  dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto, quando riguardi vizi propri di tali atti;  dal primo atto di esecuzione, se attiene alla stessa notificazione del titolo esecutivo o del precetto oppure nei casi in cui, pur investendo direttamente il titolo esecutivo o il precetto, sia stato impossibile proporre l'opposizione prima dell'inizio dell'esecuzione;  dal giorno del compimento dell'atto, quando il vizio riguardi un diverso atto o provvedimento: si ritiene che il dies a quo si identifichi col momento in cui l'interessato prende conoscenza legale dell'atto o del provvedimento, oppure di un diverso e successivo atto che necessariamente lo presuppone. Anche al processo esecutivo si applica la disciplina dell’art 157.2 comma, secondo cui le nullità sono dichiarabili su eccezione della parte interessata, il rilievo di ufficio di un vizio formale da parte del giudice dell’esecuzione, può ammettersi solo quando, in ragione della natura del vizio stesso, la nullità debba ritenersi prevista a tutela del corretto esercizio della funzione giurisdizionale. Per quanto attiene al modo di instaurazione del giudizio. Se l’esecuzione non è ancora iniziata l’opposizione deve essere proposta con un atto di citazione davanti al giudice; altrimenti si fa con ricorso davanti allo stesso giudice. In questa seconda ipotesi la disciplina è la stessa di quella dell’opposizione all’esecuzione (già iniziata): il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio entro cui tale decreto deve essere notificato, insieme al ricorso, alle altre parti, e poi, all'udienza (con rito camerale) si limita a pronunciare con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili, oppure a sospendere la procedura, assegnando un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito. La disciplina comune alle ipotesi di sospensione Quando l'istanza di sospensione non sia già contenuta nel ricorso con cui si propone opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, può essere avanzata con un ricorso autonomo o anche oralmente all'udienza (art. 486). Sull'istanza di sospensione il giudice provvede con ordinanza, sentite le parti. Nei casi urgenti può disporre la sospensione con lo stesso decreto con cui fissa l'udienza di comparizione delle parti, nella quale udienza dovrà decidere con ordinanza, confermando o revocando il provvedimento preso inaudita altera parte (art. 625). L’ordinanza di sospensione è reclamabile ex art 624 ed è revocabile e modificabile dal giudice ai sensi dell’art 487. Gli effetti della sospensione del processo esecutivo si risolvono nel divieto di porre in essere alcun atto esecutivo, salva la possibilità di una diversa disposizione del giudice dell'esecuzione che potrebbe autorizzare il compimento di atti urgenti o indifferibili. La ripresa del processo esecutivo deve effettuarsi con ricorso, da proporsi entro il termine perentorio eventualmente fissato dal giudice dell'esecuzione, e in ogni caso, entro 6 mesi dal passato in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza d'appello che rigetta l'opposizione. L’estinzione del processo esecutivo L'estinzione può derivare sia dalla rinuncia agli atti, da parte dei creditori, sia dall'inattività delle parti. L'art. 629 distingue (per la prima ipotesi), con riferimento all'espropriazione forzata, a seconda del momento in cui avviene la rinuncia: prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, l'estinzione presuppone che la rinuncia provenga da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo e soltanto da essi; dopo la vendita occorre la rinuncia di tutti i creditori concorrenti, anche se sprovvisti di titolo esecutivo (la rinuncia non deve essere accettata). L'estinzione per inattività si verifica invece:  quando le parti omettono di proseguire o riassumere il processo esecutivo entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice (art. 630). L'estinzione opera di diritto, è dichiarabile dal giudice dell'esecuzione anche d'ufficio ma non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa;  quando le parti, durante il processo, omettono di comparire a due udienze consecutive (art. 631): il giudice dell'esecuzione fissa una nuova udienza di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti, e l'estinzione viene dichiarata se neanche a tale udienza alcuna delle parti compare.  in altre ipotesi previste dalla legge; es. art. 567 cioè mancata la produzione della documentazione prescritta per l'istanza di vendita immobiliare, art. 619 cioè il raggiungimento dell'accordo tra le parti e il terzo opponente, tale da precludere la prosecuzione dell'espropriazione, nelle quali l'estinzione deve intendersi dichiarabile d'ufficio. Sull'estinzione il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, soggetta a reclamo al collegio, entro 20 giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione. Il conseguente procedimento è definito in ogni caso in camera di consiglio con sentenza. Gli effetti dell'estinzione del processo esecutivo, ex art. 632, sono diversi a seconda del momento in cui si verifica: se interviene prima dell'aggiudicazione, anche provvisoria, o dell'assegnazione, l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti già compiuti; in caso contrario l'aggiudicazione o l'assegnazione non ne vengono travolte e l'estinzione implica solo il diritto del debitore alla consegna della somma che ne è stata ricavata. Con l'ordinanza di estinzione il giudice dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento e provvede alla liquidazione del compenso spettante al soggetto cui erano state eventualmente delegate le operazioni di vendita, sia, se richiesto, alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti. I PRINCIPALI PROCEDIMENTI SOMMARI IL PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE Caratteristiche generali Ciò che contraddistingue in particolare il procedimento per ingiunzione o monitorio è l'assoluto difetto del contraddittorio nella sua prima fase: quando il giudice reputi fondata la domanda del creditore, tale fase si conclude con la pronuncia di un decreto, in cui viene ingiunto al debitore di pagare una certa somma di denaro (o di adempiere) entro il termine indicato nello stesso provvedimento (normalmente 40 giorni), con l'avvertimento che nello stesso termine gli è consentito proporre opposizione. Se il debitore, a cui deve essere notificato il decreto, non reagisce proponendo tempestiva opposizione, il provvedimento acquista stabilità analoga a quella di una sentenza passata in giudicato e diventa titolo esecutivo. Se invece l'opposizione viene proposta, si aprirà una nuova fase processuale che avrà natura di giudizio a cognizione piena governato dalle regole ordinarie e destinato a concludersi con sentenza che sostituirà il provvedimento sommario. L’oggetto della ingiunzione ed i relativi presupposti, con particolare riguardo alla prova scritta del diritto L'art. 633 prevede che il procedimento d'ingiunzione è utilizzabile per le domande di condanna aventi ad oggetto  il pagamento di una somma di denaro liquida, cioè determinata o determinabile nel suo ammontare ed esigibile;  la consegna di una determinata quantità di cose fungibili;  la consegna di una cosa mobile determinata. Presupposto essenziale è che del diritto fatto valere si dia prova scritta, cioè che i fatti costitutivi del diritto risultino da una prova documentale. L'unica attenuazione a tale principio è nel caso in cui il diritto posto a base della domanda d'ingiunzione dipenda da una controprestazione o da una condizione: in questi casi è sufficiente che il ricorrente fornisca una prova indiretta, offrendo elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione. Il concetto di prova scritta è però ampio: ai soli fini della pronuncia del decreto ingiuntivo possono utilizzarsi anche dei documenti che non varrebbero come prova secondo le regole ordinarie. In particolare, la prova scritta può esser data ad es:  dalle polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e dai telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile;  Per i crediti relativi a somministrazione di merci e di denaro o a prestazioni di servizi effettuate da imprenditori esercenti un'attività commerciale, dagli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dal codice civile o dalle leggi tributarie, purché bollate o vidimate e tenute secondo le norme stabilite.  per i crediti di una banca, dall'estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, che deve dichiarare che il credito è vero e liquido;  per i crediti dello Stato, o di enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato, dai libri o registri della pubblica amministrazione, a condizione che un funzionario autorizzato o un notaio ne attesti la regolare tenuta a norma delle leggi e dei regolamenti (art. 635 co 1°);  per i crediti derivanti da omesso versamento di contributi previdenziali o assistenziali obbligatori inerenti ai rapporti di lavoro, dagli accertamenti eseguiti dall'ispettorato del lavoro o dai funzionari degli enti creditori (art. 635 co 2°). Il regime di favore previsto per alcuni crediti L'art. 633 esenta dal presupposto della prova scritta i crediti riguardanti onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo, nonché quelli circa onorari o altri emolumenti spettanti ai notai a norma della loro legge professionale oppure ad altri esercenti una libera arte o professione, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. Per tali crediti la domanda d'ingiunzione deve essere corredata della parcella delle spese e prestazione, sottoscritta dal ricorrente, e dal parere del competente consiglio dell'ordine professionale di appartenenza. Il parere non è necessario quando tali importi siano determinati in base a tariffe obbligatorie, stabilite in misura fissa. Il giudice competente e la domanda di ingiunzione La competenza per la pronuncia del decreto ingiuntivo spetta, a seconda dei casi, al giudice di pace o al tribunale in composizione monocratica che avrebbe dovuto conoscere della domanda proposta in via ordinaria (art. 637). Il ricorrente, quando si tratti di un credito relativo a prestazioni fornite in occasione di un processo, può adire anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la causa cui il credito si riferisce. La domanda di ingiunzione va proposta con ricorso, contenente i requisiti ex art 125, e l'indicazione delle prove a supporto dell'istanza. Il ricorso deve essere depositato in cancelleria unitamente ai documenti allegati, che non potranno essere ritirati prima della scadenza del termine accordato al debitore per l'opposizione. Il possibile rigetto della domanda. Il contenuto del decreto ingiuntivo e la sua notificazione al debitore L'unica attività che compete al giudice, una volta che il cancelliere gli abbia sottoposto il ricorso con la documentazione allegata, è provvedere, accogliendo o rigettando la domanda. Il rigetto può aversi per qualunque ragione, processuale o di merito, es. mancanza di un presupposto processuale come giurisdizione o competenza, difetto di liquidità o esigibilità del credito vantato dal ricorrente, nullità del contratto. Se però il giudice ritiene di non poter accogliere la domanda perché insufficientemente giustificata, cioè perché reputa non adeguata la prova fornita dal ricorrente, deve darne notizia al ricorrente tramite il cancelliere, invitandolo ad integrare la prova. Se invece sussistono le condizioni per l'accoglimento, anche parziale, il giudice, entro 30 giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all'altra parte, con decreto motivato, di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose dovute nel termine di 40 giorni dalla notifica, con l'espresso avvertimento che in questo termine potrà proporre opposizione e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata in suo danno (art. 641). Accolta la domanda, il ricorso e il decreto devono essere portati a conoscenza del debitore con notificazione in copia autentica, cui il ricorrente è tenuto a provvedere entro 60 giorni dalla pronuncia (90 se all'estero) (art. 644). Tale notificazione determina la pendenza della lite. Qualora la notifica non sia effettuata nel termine, il decreto ingiuntivo diventa inefficace e l'intimato ha a disposizione un procedimento semplificato per ottenere che il giudice dichiari, con ordinanza non impugnabile, tale sopravvenuta inefficacia (art. 188 disp. att.). L’efficacia del decreto ingiuntivo divenuto relativamente immutabile e le impugnazioni straordinarie L'art. 647 prevede che, quando l'opposizione non è proposta nel termine o l'intimato, dopo averla tempestivamente proposta, non si costituisce, il giudice, su istanza del creditore ricorrente, dichiara esecutivo il decreto, a meno che non risulti o appaia probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del provvedimento e che quindi debba disporsi la rinnovazione della sua notificazione. L'opinione prevalente ritiene che in questi casi, come pure nel caso in cui il giudizio di opposizione si estingua, il decreto ingiuntivo acquisti un'efficacia analoga a quella della sentenza passata in giudicato. Il decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo ex art. 647, può impugnarsi esclusivamente per revocazione nei casi 1, 2, 5, 6 dell'art. 395, nonché con opposizione di terzo revocatoria ex art. 404 co 2° (art. 656). Pag 253-256 da valutare IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO Caratteristiche generali Il procedimento per convalida di licenza o sfratto, agli artt. 657 ss., offre al locatore, che intenda agire per conseguire il rilascio dell'immobile locato, una scorciatoia rispetto al processo ordinario (rito delle locazioni). Inizia con atto di citazione, assicurando un pieno contraddittorio tra le parti. La sua specialità consiste nel fatto che:  se il convenuto omette di comparire alla prima udienza o non si oppone, il procedimento viene definito con una ordinanza non impugnabile, equivalente ad una sentenza di condanna esecutiva;  se invece il conduttore compare e si oppone, il giudizio deve necessariamente proseguire nelle forme e con le garanzie del processo a cognizione piena, definito con sentenza impugnabile secondo le regole ordinarie, ma intanto il giudice può pronunciare, in presenza di certe condizioni, un'ordinanza non impugnabile di condanna al rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto. Le ipotesi nelle quali è esperibile Si possono esperire due azioni in tale procedimento:  art. 657 rilascio per finita locazione;  art. 658 sfratto per morosità, che implica una domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento nel pagamento del relativo canone. Nel rilascio per finita locazione il locatore può agire sia per intimare al conduttore lo sfratto, quando il contratto sia già scaduto, sia in via preventiva, prima ancora della scadenza del contratto, chiedendo un provvedimento di condanna in futuro. Quando sia invece intimato lo sfratto per morosità, il locatore può chiedere, nello stesso atto, che il giudice pronunci una separata ingiunzione per il pagamento dei canoni scaduti. La fase introduttiva e la costituzione delle parti La competenza spetta inderogabilmente al tribunale del luogo dove è ubicato l'immobile locato (art. 661). L'atto introduttivo riveste la forma della citazione, con alcune peculiarità (art. 660):  non sono richiesti tutti gli elementi dell'art. 163, ma quelli più generici all'art. 125, integrati dall'avviso a comparire nell'udienza indicata e dall'avvertimento che, in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto ex art. 663;  il termine minimo di comparizione è di 20 giorni e, su istanza dell'intimante, può essere abbreviato fino alla metà dal presidente del tribunale, quando si tratti di una causa che richieda pronta spedizione;  è esclusa la possibilità che l'intimazione sia notificata presso il domicilio eletto, e se l'atto non viene consegnato nelle mani proprie dell'interessato, è prescritto che l'ufficiale giudiziario lo avverta dell'avvenuta notifica tramite lettera raccomandata, la cui ricevuta deve essere allegata all'originale dell'atto. La costituzione delle parti può avvenire sia in cancelleria sia direttamente all'udienza. Il conduttore convenuto non ha neanche bisogno di una formale costituzione perché qualora voglia opporsi alla convalida e negare la propria morosità, contestando l'ammontare dei canoni richiesti dall'attore, potrà farlo comparendo personalmente all'udienza. Non trovano quindi applicazione le preclusioni dell'art. 167. I possibili esiti: a) La mancata comparizione del locatore-Se il locatore ometta di comparire all'udienza fissata nell'atto di citazione, l'art. 662 prevede che gli effetti dell'intimazione cessano, quindi il procedimento viene definito in rito, indipendentemente dal fatto che il conduttore sia comparso o meno. b) La mancata comparizione o non opposizione del conduttore-Se il conduttore non si presenta all'udienza o vi compare e non si oppone all'intimazione, il giudice, ex art. 663, convalida la licenza o lo sfratto con ordinanza scritta in calce alla citazione, disponendo che venga apposta su di essa la formula esecutiva; a meno che, non essendo l'intimato comparso, risulti o appaia probabile, indipendentemente da vizi della citazione o della notificazione, che non abbia avuto conoscenza della citazione o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. Quando si tratti di sfratto per morosità, l'ordinanza di convalida è subordinata alla circostanza che il locatore, anche tramite difensore, attesti espressamente in giudizio che la morosità persiste; in questo caso il giudice può anche imporgli la prestazione di una cauzione. In mancanza di tale attestazione, quando il locatore dia atto che i canoni sono stati nel frattempo pagati, lo sfratto non può essere convalidato e il procedimento potrebbe solo proseguire nelle forme ordinarie, qualora l'attore insistesse nel chiedere la risoluzione per inadempimento. Sempre in relazione allo sfratto per morosità, occorre tener presente che se l’attore l’aveva richiesto nell’atto introduttivo, il giudice pronuncia un decreto di ingiunzione che costituisce titolo esecutivo per l’ammontare dei canoni già scaduti e di quelli a scadere fino all’esecuzione dello sfratto. Tale provvedimento è impugnabile con le medesime modalità previste per l’opposizione a decreto ingiuntivo. c) L’opposizione del conduttore-Se l'intimato compare all'udienza e si oppone alla convalida, questa resta esclusa e il processo deve proseguire secondo le regole proprie del giudizio ordinario a cognizione piena, affinché la domanda del locatore sia decisa con sentenza. È però prevista la possibile pronuncia di due distinti provvedimenti anticipatorii, idonei ad attribuire immediatamente al locatore un titolo esecutivo, in un caso per il pagamento dei canoni e nell'altro per il rilascio dell'immobile.  L'art. 666 disciplina il solo sfratto per morosità, che ricorre quando l'intimato neghi la propria morosità contestando soltanto l'ammontare della somma pretesa dal locatore, e quindi implicitamente ammettendo di essere in parte inadempiente. Ricorrendo una parziale non contestazione, resta esclusa la convalida di sfratto e il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa, concedendo al conduttore un termine non superiore a 20 giorni perché vi provveda e fissando una nuova udienza successiva alla scadenza di tale termine. A tale udienza, se l'ordine è rimasto inadempiuto, convaliderà l'intimazione di sfratto, pronunciando l'ulteriore provvedimento d'ingiunzione relativo al pagamento dei canoni.  In caso di provvedimento anticipatorio per il rilascio dell'immobile, l'opposizione dell'intimato si concreta nella proposizione di eccezioni non fondate su prova scritta. In questo caso il giudice, su istanza del locatore e purché non sussistano gravi motivi in contrario, può pronunciare ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva di eccezioni del convenuto, che è immediatamente esecutiva, non risente dell'eventuale successiva estinzione del giudizio e può essere eventualmente subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese (art. 665). L’opposizione tardiva e gli altri rimedi nei confronti della ordinanza di convalida L ‘ordinanza di convalida di licenza o sfratto ha piena attitudine al giudicato, sostanzialmente equiparabile ad una sentenza costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento e/o di condanna al rilascio. Secondo l'art. 668 l'unico rimedio idoneo a caducare l'ordinanza di convalida è l'opposizione tardiva, ammessa solamente quando l'intimato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell'intimazione per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, oppure di non essere potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore. Tale opposizione, esperibile non oltre 10 giorni dall'inizio dell'esecuzione forzata per rilascio, instaura un giudizio a cognizione piena ed esauriente e si propone con le stesse forme prescritte per l'opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili. La proposizione dell'opposizione non fa venir meno l'esecutività dell'ordinanza di convalida, ma consente al giudice, in presenza di gravi motivi, di disporre, con ordinanza non impugnabile, la sospensione del processo esecutivo, eventualmente subordinata, quando lo ritenga opportuno, alla prestazione di una cauzione da parte dell'opponente. La non impugnabilità del provvedimento di convalida è stata in parte ridimensionata sia sul piano interpretativo che in conseguenza di alcuni interventi della Corte costituzionale. Si è ricorso al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, cioè quando l'ordinanza sia resa fuori degli specifici presupposti di legge debba considerarsi sentenza di primo grado e dunque appellabile. Inoltre la Corte cost ha assoggettato l’ordinanza di convalida all’opposizione di terzo ex art 404 e alla revocazione ordinaria per errore di fatto; e alla revocazione straordinaria per dolo di una parte in danno dell’altra. contendenti offra maggiori garanzie e dia cauzione, che potrebbe coincidere anche con la parte che aveva richiesto la misura cautelare. Il sequestro giudiziario di cose con funzione probatoria Il sequestro giudiziario può riguardare, ex art. 670, qualunque cosa da cui si pretende desumere elementi di prova. È strumentale al diritto di prova e mira a prevenire ogni possibile alterazione materiale o dispersione giuridica degli oggetti sequestrati. La tesi più persuasiva ne limita l'esperibilità alle sole ipotesi in cui sia configurabile, sul piano sostanziale, un vero e proprio diritto all'esibizione del documento o della cosa da cui si vorrebbero desumere elementi di prova, o un diritto reale o personale su di essi, es il diritto del correntista di ricevere dalla banca copia della documentazione relativa a singole operazioni L’esecuzione e gli effetti del sequestro giudiziario Per l'esecuzione del sequestro giudiziario, l'art. 677 rinvia agli art. 605 ss. in quanto applicabili, e quindi, a seconda della natura del bene, alle forme dell'esecuzione per consegna o rilascio, escludendo in ogni caso la necessità della previa notificazione dell'atto di precetto. Il sequestro giudiziario si attua con l'immissione del custode nel possesso dei beni sequestrati. Se si tratta di beni mobili si intende la loro materiale apprensione; nel caso di beni immobili la trasmissione del possesso al custode non esclude che la mera detenzione del bene venga lasciata alla parte destinataria del provvedimento di sequestro o al terzo che la esercitava anteriormente. LE DENUNCE DI NUOVA OPERA E DI DANNO TEMUTO: I presupposti sostanziali delle c.d. azioni di nunciazione Gli artt. 1171 e 1172 c.c. prevedono le denunzie di nuova opera e di danno temuto, azioni (di nunciazione) concesse a difesa della proprietà e dei diritti reali di godimento e del possesso, ad esclusione invece dei diritti di natura personale. La denunzia di nuova opera è proponibile contro chiunque abbia intrapreso, sul proprio o altrui fondo, una nuova opera dalla quale possa in futuro derivare, in base ad una valutazione di ragionevole probabilità, danno alla cosa oggetto del diritto reale del denunziante o da lui posseduta, a condizione che l'opera non sia iniziata da oltre un anno e non sia ancora stata ultimata. L'azione mira ad un provvedimento di natura conservativa, che inibisca la continuazione dell'opera. Secondo l'art. 1171 c.c. il giudice però può autorizzare la prosecuzione dell'opera disponendo le opportune cautele, ossia imponendo all'autore una cauzione destinata ad assicurare, nel caso in cui la domanda di merito del denunziante risulti fondata, la demolizione o riduzione del manufatto ed il risarcimento danni. Analoghe cautele sono previste a carico dell’istante, qualora la continuazione dell’opera venga vietata, nel qual caso la cauzione garantisce il risarcimento dei danni provocati dalla sospensione che dovesse risultare ingiustificata. L’Art. 1172 c.c. prevede invece la denunzia di danno temuto: qui il periculum attiene al danno grave e prossimo che potrebbe derivare alla cosa del denunziante da qualsiasi edificio, albero o altra cosa altrui, quindi presuppone un comportamento omissivo da parte di chi, proprietario o titolare di un diverso diritto reale sulla cosa, era giuridicamente obbligato a compiere quanto necessario per evitare la situazione di pericolo. Il provvedimento del giudice in questo caso potrà contenere l’imposizione di una idonea garanzia per i danni eventuali, e anche l’adozione da parte del resistente, di tutte le misure positive volte ad ovviare il pericolo. L'art. 691 prevede che il giudice, in caso di inosservanza del divieto di compiere l'atto dannoso o di mutare lo stato di fatto, può disporre con ordinanza, su ricorso della parte interessata, la riduzione in pristino a spese del contravventore. La riforma del 2005 colloca entrambe tra le misure cautelari anticipatorie, la cui efficacia è svincolata dalla necessaria instaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena. Le azioni in esame sono assoggettate al rito cautelare uniforme. L’ISTRUZIONE PREVENTIVA: Rilievi introduttivi L'istruzione preventiva consente l'assunzione anticipata di determinati mezzi di prova in situazioni nelle quali, se dovesse attendersi l'apertura della fase istruttoria del processo di cognizione piena, essa potrebbe risultare di fatto preclusa o non più utile. Gli artt. 692 ss. prevedono tale possibilità solo in relazione alla prova testimoniale, all'accertamento tecnico e all'ispezione giudiziale. È esclusa per tutte le altre prove costituende. Il provvedimento di istruzione preventiva tutela solo indirettamente il diritto controverso, mentre ha come oggetto immediato il diritto alla prova. Anche se questo provvedimento non ha un contenuto propriamente anticipatorio, la parte che l'ottiene ante causam non ha alcun onere di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio per evitare che divenga inefficace. In sede di istruzione preventiva non deve valutarsi, il fumus del diritto alla cui prova il mezzo cautelare è preordinato. Il legislatore ne consente la pronuncia anche al giudice di pace a cui sono invece preclusi gli atri provvedimenti cautelari I mezzi di prova assumibili in via preventiva Gli artt 692 e 696 prevedono la possibilità di assumere in via preventiva, prima dell’inizio del giudizio di merito oppure nel corso dello stesso, la prova testimoniale, l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale. Per quanto riguarda la prova testimoniale consente l'audizione di testi a futura memoria quando le loro deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre e vi sia fondato motivo di temere che essi stiano per mancare. L'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale preventivi possono disporsi anche sulla persona dell'istante e, quando questa vi acconsenta, anche sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta. L'art. 696 co 2° consente espressamente che l'accertamento tecnico comprenda valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica; lasciando intendere che al consulente tecnico possa chiedersi anche una concreta stima dell'entità dei danni lamentati dalle parti. In ogni caso il ricorso all'accertamento tecnico e all'ispezione giudiziale preventivi resta subordinato al presupposto dell'urgenza, che coincide con il periculum in mora e va identificato con l'eventualità che, nel periodo occorrente per l'assunzione della prova in via ordinaria, venga meno o risulti alterato l'oggetto della prova stessa. Il procedimento L'istanza si propone con ricorso, contenente l'indicazione dei motivi dell'urgenza e dei fatti sui quali verte la prova, nonché l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata (art. 693). La competenza è attribuita allo stesso giudice che sarebbe competente per il merito in base ai criteri ordinari, sia esso il tribunale o il giudice di pace, con la particolarità che, nel caso del tribunale, la decisione spetta al presidente. A tale competenza si affianca, in casi di eccezionale urgenza, quella del tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta. Quando il ricorso sia proposto ante causam, il giudice è di regola tenuto, prima di provvedere sull'istanza, a disporre con decreto la comparizione delle parti, fissando anche la relativa udienza e il termine perentorio per la notificazione del provvedimento. Dopo aver sentito le parti ed acquisito sommarie informazioni, il giudice decide con ordinanza non impugnabile, la quale, se ammette la prova, contiene la designazione del giudice che deve materialmente assumere la testimonianza oppure, quando si tratti di accertamento tecnico o ispezione, indica la data d'inizio delle operazioni e, a seconda dei casi, la nomina del consulente tecnico (art. 694 e 695). In caso di eccezionale urgenza il giudice può anche accogliere l'istanza con decreto, inaudita altera parte, dispensando il ricorrente dalla notificazione alle altre parti e nominando un procuratore, che intervenga per le parti non presenti all'assunzione della prova (art. 697). L'art. 669-septies prevede che l'ordinanza di incompetenza o rigetto della domanda cautelare non preclude la riproposizione della domanda, a condizione che, trattandosi di rigetto per questioni di merito, siano dedotti mutamenti delle circostanze oppure nuove ragioni di fatto o diritto. La consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa Una vera e propria consulenza tecnica preventiva può essere richiesta ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito (art. 696-bis). Questo istituto prescinde dalla sussistenza del periculum in mora (urgenza del mezzo istruttorio) e da una finalità cautelare, è invece preordinato a favorire una composizione preventiva della lite, quando appare sperabile che l'intervento del consulente tecnico giovi al raggiungimento di un accordo tra i contendenti. A tale consulenza tecnica preventiva può farsi ricorso, ante causam, in presenza di qualunque controversia riguardante il pagamento di somme di denaro, a titolo di risarcimento o restituzione, che comunque scaturisca da un illecito, contrattuale o extracontrattuale; le indagini del consulente tecnico possono vertere non solo sul quantum ma anche sull'an del diritto. Riguardo all'attività del consulente, vengono richiamati gli artt. 191-197 in quanto compatibili, unica particolarità rilevante è l'obbligo del consulente di dar corso, ove possibile, prima di provvedere al deposito della relazione, ad un tentativo di conciliazione. Se tale tentativo riesce, lo stesso consulente forma il relativo processo verbale di conciliazione, facendolo sottoscrivere alle parti e depositandolo in cancelleria, affinché il giudice gli attribuisca l'efficacia di titolo esecutivo, utilizzabile per ogni tipo di esecuzione forzata e per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. Se il tentativo al contrario fallisce, ciascuna delle parti può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo eventuale giudizio di merito; tale acquisizione è subordinata ad un preliminare giudizio di ammissione da parte del giudice investito della causa, il quale potrebbe sempre optare per la rinnovazione della consulenza (art. 698). (tale istituto, per la sua funzione, è estraneo alla tutela cautelare) I PROVVEDIMENTI D’URGENZA: L’atipicità e la sussidiarietà dei provvedimenti d’urgenza I provvedimenti d’urgenza sono misure cautelari a regime speciale o c.d. atipiche. L'art 700 prevede che, fuori dei casi di sequestri, denunce di nuova opera o danno temuto, procedimenti di istruzione preventiva, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. La situazione giuridica tutelata potrebbe essere qualunque diritto; il periculum prevenibile è la minaccia di un pregiudizio imminente ed irreparabile del diritto stesso. Per quel che riguarda i provvedimenti più idonei, si intende che avranno, di regola, un contenuto anticipatorio, potranno produrre, anche se provvisoriamente, effetti analoghi a quelli che deriverebbero da una sentenza di accoglimento della domanda. Sono tuttavia ammissibili provvedimenti d'urgenza dal contenuto meramente conservativo, miranti a cristallizzare a situazione di fatto e di diritto o a dettare una regolamentazione provvisoria del rapporto. Questa disposizione può essere invocata solamente quando, per la difesa di un determinato diritto da un certo periculum, non sia utilizzabile un provvedimento cautelare tipico ed è in ciò che consiste la c.d. atipicità e sussidiarietà dei provvedimenti d’urgenza. All'udienza decide con ordinanza, confermando, modificando o revocando i provvedimenti dati col decreto. Gli effetti della ordinanza di rigetto L'art. 669-septies co 1° stabilisce che l'ordinanza di rigetto, sia questo determinato da ragioni processuali o di merito, non impedisce la riproposizione della domanda cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Il rigetto ha quindi efficacia preclusiva modesta, copre solo il dedotto e non anche il deducibile, lasciando aperta la strada all’allegazione di nuovi fatti ad esso preesistenti, e può essere rimesso in discussione anche in base a nuove argomentazioni meramente giuridiche. Il regime di “stabilità” della ordinanza di accoglimento: la disciplina tradizionale Tradizionalmente, per le misure cautelari dal contenuto meramente conservativo, il giudice che conceda la misura cautelare prima dell'inizio della causa di merito è tenuto, con lo stesso provvedimento di accoglimento, a fissare un termine perentorio non superiore a 60 giorni, decorrente dalla pronuncia dell'ordinanza, se avvenuta in udienza, o dalla sua comunicazione, per l'inizio del giudizio a cognizione piena (art. 669-octies). Tale giudizio potrebbe essere promosso da una qualunque delle parti, ma in concreto quella più direttamente interessata è la parte che ha ottenuto il provvedimento cautelare, giacché la scadenza di tale termine provocherebbe la caducazione del provvedimento (art. 669-novies). Tale disciplina si applica alle misure cautelari dal contenuto meramente conservativo (non ai provvedimenti cautelari dal contenuto anticipatorio). Il nuovo regime dei provvedimenti a contenuto anticipatorio L'art. 669-octies, co 6° e 8° ha introdotto un regime di stabilità differenziato in relazione ai provvedimenti d'urgenza emessi ex art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ex art. 688, prevedendo che per essi non valga né l'obbligo di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio, né il principio per cui l'efficacia della misura cautelare resta travolta dall'eventuale estinzione del processo a cognizione piena. L'art. 669-octies prevede che il giudice, quando conceda un provvedimento anticipatorio prima dell'inizio della causa di merito, debba pronunciare anche sulle spese del relativo procedimento. Il concetto di anticipatorietà dovrebbe essere dedotto da un raffronto tra il contenuto della misura cautelare richiesta e quello della futura ed eventuale sentenza di merito, così come postulata dalla parte istante: quindi si è davanti ad un provvedimento anticipatorio solo quando il contenuto della misura cautelare corrisponde, almeno parzialmente, al contenuto della sentenza di accoglimento della domanda di merito sottesa a quella cautelare. La inefficacia del provvedimento cautelare Nelle fattispecie in cui l'inefficacia deriva dall'omessa o tardiva instaurazione del giudizio di merito o dall'estinzione del giudizio stesso, sebbene l'inefficacia operi sicuramente ipso iure, è possibile che la parte che ha subito il provvedimento abbia interesse a farla dichiarare, anche al fine di ottenere a sua volta una pronuncia idonea ad eliminare gli effetti pregiudizievoli già prodotti dal provvedimento cautelare. L'art. 669-novies co 2° prevede che tale parte possa presentare ricorso allo stesso giudice che aveva emesso il provvedimento, il quale, fissato con decreto la comparizione delle parti, provvede, se tutte le parti concordano sulla sopravvenuta inefficacia, con una ordinanza, avente efficacia esecutiva e contenete anche le disposizioni occorrenti per ripristinare la situazione anteriore, ammesso che la rimessione in pristino sia materialmente e giuridicamente possibile. In caso di contestazioni invece la questione deve essere risolta con sentenza, provvisoriamente esecutiva ex lege, affinché le parti possano usufruire delle relative impugnazioni. La decisione interverrà a conclusione di un ordinario processo di cognizione, per il quale è competente l'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che aveva pronunciato il provvedimento cautelare; sebbene sia prevista la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti ex art. 669-decies, cioè revocare o modificare il provvedimento cautelare della cui inefficacia si controverte. Secondo l'art. 669-novies, il provvedimento cautelare resta caducato:  quando, essendo stata imposta all'istante una cauzione per l'eventuale risarcimento danni, egli abbia omesso di provvedere alla sua prestazione;  quando il giudizio di merito conduca ad una sentenza, anche se non passata in giudicato, che dichiari l'inesistenza del diritto posto a base della domanda cautelare;  quando, spettando la giurisdizione per il merito ad un giudice straniero o ad arbitri, la parte interessata non presenta domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro i termini previsti per la decadenza dalla legge o dalle convenzioni internazionali. La revoca e la modifica del provvedimento cautelare Tutti i provvedimenti cautelari, indipendentemente da quando sono pronunciati, sono di regola modificabili o revocabili, su istanza di parte, per mutamenti nelle circostanze, cioè in base a fatti sopravvenuti che incidano sui presupposti della misura cautelare, ossia sul fumus boni iuris o sul periculum in mora. Revoca e modifica possono chiedersi anche in base a fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento, a condizione che l'istante fornisca la prova del momento in cui è venuto a conoscenza di tali fatti (art. 669-decies). Per quanto concerne la competenza poi, occorre distinguere:  se il giudizio di merito è stato iniziato e pende ancora, il potere di revoca o modifica spetta in ogni caso al giudice istruttore che ne è investito, salvo che sia stato promosso reclamo ex art. 669-terdecies, in questo caso infatti i nuovi fatti sopravvenuti dovrebbero essere dedotti nel procedimento di reclamo, sicché la possibilità di porli a base di una successiva istanza di revoca o modifica presuppone che siano intervenuti dopo la conclusione di tale procedimento o che la parte interessata provi di averne avuto conoscenza dopo tale momento;  se il giudizio di merito non è ancora iniziato o si è già estinto, la revoca e la modifica possono chiedersi allo stesso giudice che ha provveduto sull'istanza cautelare, purché sia esaurita l'eventuale fase del reclamo ex art. 669-terdecies.  se la causa di merito appartiene alla giurisdizione di un giudice straniero o è devoluto ad arbitri, o se il provvedimento da revocare o modificare è strumentale ad un'azione civile esercitata o trasferita nel processo penale, la competenza per la revoca e la modifica è attribuita allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento. L’attuazione del provvedimento cautelare L'art. 669-duodecies disciplina la fase di attuazione del provvedimento cautelare, con una distinzione preliminare fondata sul contenuto dell'obbligo imposto al destinatario del provvedimento: quando si tratti di misure cautelari aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'espropriazione forzata ordinaria ex art. 491 ss; se invece il provvedimento riguarda obblighi di consegna o rilascio, fare o non fare, la relativa esecuzione avviene sotto il controllo del giudice che lo ha emanato, il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Per quanto riguarda il tema dei rimedi utilizzabili dalle parti e dai terzi per far valere eventuali vizi di questa fase di attuazione del provvedimento cautelare si deve distinguere a seconda che il provvedimento imponga il pagamento di una somma di denaro o l'adempimento di un obbligo di diversa natura. Nel primo caso si ammette che trovino applicazione, anche le disposizioni concernenti le opposizioni agli atti esecutivi o all'esecuzione, compresa l'opposizione proponibile dal terzo ex art. 619. Nel secondo caso si esclude l'ammissibilità di tali opposizioni, dando adito a dubbi di illegittimità costituzionale, soprattutto relativamente alla tutela dei terzi che verrebbero illegittimamente coinvolti dall'esecuzione della misura cautelare. La impugnazione del provvedimento cautelare L'art. 669-terdecies ammette il reclamo nei confronti di qualunque ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare, entro il termine perentorio di 15 giorni decorrente dalla data del provvedimento, se reso in udienza, o dalla relativa comunicazione o notificazione. Il reclamo, quando ha ad oggetto un provvedimento reso dal tribunale in composizione monocratica, si propone allo stesso tribunale in composizione collegiale, del quale non potrà far parte il magistrato che ha reso il provvedimento. Se invece riguarda un provvedimento pronunciato dalla corte d'appello, la competenza è attribuita ad altra sezione della stessa corte, e, quando si tratti di un ufficio giudiziario composto da un'unica sezione, alla corte d'appello più vicina. L'art. 669-terdecies rinvia per il procedimento alle disposizioni degli art. 737 e 738, relative ai procedimenti in camera di consiglio, aggiungendo che il collegio, convocate le parti decida non oltre 20 giorni dal deposito del ricorso, con ordinanza non impugnabile, con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Il reclamo è un'impugnazione sostitutiva, esige che il giudice ad quem, dopo aver posto rimedio agli eventuali errori o vizi del provvedimento impugnato, pronunci a sua volta sulla fondatezza della domanda cautelare, concedendo o negando il provvedimento richiesto, indipendentemente dal modo in cui si era concluso il primo procedimento. Non è consentita la rimessione al primo giudice. Il reclamo ha effetto devolutivo, sottopone al giudice ad quem la stessa domanda cautelare oggetto del provvedimento impugnato; l'art. 669-terdecies prevede infatti che le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo devono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento: quindi ciascuna delle parti ha il diritto e l'onere di far valere nuovi fatti o motivi in qualunque momento del procedimento di impugnazione, non potendo altrimenti dedurli, successivamente, a fondamento di un'istanza di revoca o modifica del provvedimento. Secondo l'interpretazione più ragionevole, tale soluzione deve valere per le nuove circostanze di fatto o di diritto anteriori alla proposizione del reclamo o addirittura preesistenti alla pronuncia del provvedimento impugnato; con la differenza che per esse non vi è motivo di consentirne indiscriminatamente la deduzione nel corso del procedimento di reclamo, oltre i rispettivi atti introduttivi delle parti. Le deviazioni dal modello-base nei procedimenti camerali aventi ad oggetto diritti o status Nelle ipotesi in cui il procedimento in camera di consiglio ha direttamente ad oggetto diritti o status, il legislatore detta una normativa più articolata. La giurisprudenza estende al rito camerale alcuni principi caratteristici dei processi contenziosi, tra cui la garanzia del contraddittorio, il diritto di avvalersi della difesa tecnica e il diritto alla prova (che implica la possibilità di utilizzare tutte le prove che sarebbero ammesse in un processo a cognizione piena). Quando l'oggetto sono diritti o status, la giurisprudenza dominante attribuisce natura decisoria al provvedimento camerale, e quindi, quando non sia previsto un diverso rimedio impugnatorio, ne ammette la ricorribilità in cassazione, negando tuttavia che il provvedimento resti revocabile e modificabile ex art. 742. I provvedimenti camerali di giurisdizione volontaria che incidono indirettamente su diritti o status Nell'ipotesi in cui il provvedimento reso in camera di consiglio, pur costituendo mera gestione di interessi e quindi rimanendo nell'ambito della giurisdizione volontaria, sia suscettibile di incidere negativamente, anche se in via indiretta, su diritti soggettivi o status, la disciplina del procedimento in camera di consiglio offre una tutela insoddisfacente. Opinione diffusa ritiene che sia possibile dedurre i vizi del provvedimento di volontaria giurisdizione in un ordinario processo a cognizione piena, avente ad oggetto il diritto illegittimamente leso dal provvedimento stesso, ma si tratta di un rimedio prevalentemente teorico, che al massimo potrebbe fornire una tutela risarcitoria. L’ARBITRATO I PRESUPPOSTI DEL GIUDIZIO ARBITRALE: L’arbitrato e le figure ad esso affini Secondo l'art. 806 le parti, a meno che non ci sia un espresso divieto di legge, possono sempre stabilire che le controversie tra loro insorte, aventi ad oggetto diritti disponibili, siano sottratte alla giurisdizione dello Stato e rimesse alla decisione di arbitri. Derogano a tale principio le controversie di lavoro ed altre ad esse assimilate, considerate meritevoli di particolare protezione (esse possono essere risolte con arbitrato solo nei casi previsti dalla legge o da contratti o accordi collettivi di lavoro). L'arbitrato direttamente disciplinato dal codice si definisce rituale e dà luogo ad un giudizio qualitativamente equivalente a quello davanti al giudice dello Stato; al lodo, ossia alla decisione resa dagli arbitri, competono, in teoria, gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria. Nel nostro ordinamento esiste anche un arbitrato irrituale o libero, sempre finalizzato a definire una controversia ma con cui si chiede agli arbitri una manifestazione di volontà negoziale, che le parti stesse si impegnano preventivamente ad accettare. Vengono poi in rilievo altre figure affini all’arbitrato, tra cui, in particolare, l’arbitraggio e la perizia contrattuale. L'arbitraggio è diverso dall'arbitrato: mentre questo presuppone un rapporto sostanziale controverso ma già perfetto, l'arbitraggio serve ad integrare un elemento del contratto che le parti non avevano determinato. La perizia contrattuale, recepita nella prassi, presuppone invece una controversia in atto, e la sua particolarità è d'essere risolubile attraverso una valutazione tecnica, rimessa alla determinazione di un terzo che le parti si impegnano ad accettare come diretta espressione della propria volontà negoziale. La controversa natura dell’arbitrato rituale Il codice del 1940 prevedeva che il lodo non possedesse alcuna rilevanza autonoma, dovendo essere depositato in cancelleria entro un brevissimo termine perentorio dalla sua pronuncia, per poter esser dichiarato esecutivo ed acquisire efficacia di sentenza; senza tale exequatur la decisione rimaneva priva di effetti. La riforma del 1983 rese il deposito del lodo facoltativo, stabilendo che potesse aver luogo entro un anno dalla pronuncia e precisando che il lodo stesso, indipendentemente dall'omologazione, acquistava efficacia vincolante fra le parti già dal momento della sua ultima sottoscrizione. La l. 25/1994 svincola il deposito del lodo dal termine di decadenza annuale ed ammette espressamente l'impugnazione del lodo non depositato. La riforma del 2006 prevede espressamente che il lodo rituale, a prescindere dagli effetti esecutivi che può acquisire col deposito e l'omologazione, ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria (art. 824-bis). Cenni sull’arbitrato irrituale o libero Con il d.lgs. 40/2006 il legislatore ha consacrato l'autonomia dell'arbitrato irrituale, prevedendo che le parti, con disposizione espressa per iscritto, possono stabilire che la controversia, in deroga a quanto disposto dall'art. 824-bis (che attribuisce al lodo gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria) sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale (art. 808-ter), il che rende inapplicabile la disciplina relativa al deposito del lodo ex art 825. Si avrà quindi arbitrato irrituale quando le parti abbiano esplicitamente riservato al futuro lodo un efficacia meramente negoziale o abbiano comunque esplicitamente escluso che esso possa acquisire gli effetti di sentenza ex art 824 bis. L'art. 808-ter delinea l'arbitrato irrituale come un vero e proprio procedimento, dettando anche alcune garanzie minime la cui violazione può costituire motivo d'impugnazione del lodo contrattuale. Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente nei seguenti casi:  la convenzione d'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti, e la relativa eccezione è stata sollevata dal procedimento arbitrale;  gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;  il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro ex art. 812;  gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;  se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. L'azione di annullamento si propone con ordinario giudizio di cognizione, davanti al giudice individuato secondo i criteri della materia, valore e territorio, e deve intendersi soggetta al termine quinquennale di prescrizione ex art. 1442 c.c. La convenzione di arbitrato Il patto con cui le parti si accordano per sottrarre una o più controversie alla giurisdizione dello Stato ed attribuirle ad arbitri si definisce “convenzione di arbitrato”. Tale convenzione può assumere la veste del compromesso, cioè di un contratto autonomo, quando si riferisce specificamente ad una o più controversie determinate già sorte, oppure può risultare da una clausola compromissoria, inserita in un contratto o in un atto separato, con cui le parti deferiscono preventivamente alla giurisdizione arbitrale le future controversie che dovessero nascere dal contratto stesso. La convenzione d'arbitrato può anche avere ad oggetto delle controversie future relative a determinati rapporti non contrattuali (rapporti di vicinato). La convenzione d'arbitrato esige la forma scritta ad substantiam a pena di nullità. Essa, inoltre, si intende riferita, nel dubbio, a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce (art. 808-quater). GLI ARBITRI: La nomina degli arbitri Qualunque persona fisica può assumere la veste dell'arbitro, salvo che sia in tutto o in parte priva di capacità legale di agire (art. 812). Sono le stesse parti, con la convenzione di arbitrato o con accordo separato e ad essa posteriore, a designare direttamente gli arbitri e a stabilire il loro numero e il modo di nominarli. L'unica limitazione posta dall'art. 809 è che gli arbitri siano in numero dispari. Quando la designazione è rimessa direttamente alle parti si ritiene indispensabile, quale condizione di validità del compromesso o della clausola compromissoria che la nomina sia riferibile alla volontà di tutte le parti. L'art. 809 detta alcune regole destinate ad integrare eventuali lacune della convenzione arbitrale: se la convenzione ha omesso d'indicare il numero di arbitri e le parti non raggiungono un accordo a proposito, il numero resta fissato a 3; se invece essa prevede un numero di arbitri pari sarà il presidente del tribunale a nominare un altro arbitro. La convenzione d'arbitrato potrebbe attribuire la funzione di arbitro anche ad un organismo precostituito, discorrendosi in tale ipotesi di arbitrato amministrato. Il procedimento per la nomina e la sostituzione degli arbitri Quando siano le parti a dover nominare gli arbitri, ciascuna di esse può avviare il procedimento attraverso la notifica di un atto (domanda di accesso agli arbitri) con cui nomina l'arbitro o gli arbitri propri ed invita l'altra parte a designare i suoi (art. 810). La parte cui è rivolto l'invito deve provvedere entro i 20 giorni successivi, notificando a sua volta all'avversario le generalità dell'arbitro/i nominati. In mancanza, la parte che aveva formulato l'invito può chiederne la nomina con ricorso al presidente del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell'arbitrato, oppure, se la sede ancora non sia stata determinata, al presidente del tribunale nel cui luogo era stata stipulata la convenzione di arbitrato, o, se questo luogo è all'estero, al presidente del tribunale di Roma. Il presidente provvede alla nomina senza esser tenuto a sentire le parti, a meno che la convenzione d'arbitrato non sia manifestamente inesistente o preveda manifestamente un arbitrato estero (art. 810 co 3°). Tale provvedimento è sottratto a qualunque impugnazione. Tale procedimento è utilizzabile anche nel caso di arbitrato irrituale, e anche quando la nomina di uno o più arbitri sia rimessa (dalla convenzione d’arbitrato) all’autorità giudiziaria o ad un terzo che non vi ha provveduto Obblighi, responsabilità e diritti degli arbitri Quanto anzitutto agli obblighi, con l'accettazione della nomina, che deve essere messa per iscritto e può anche risultare dalla sottoscrizione del compromesso o dal verbale della prima riunione, gli arbitri assumono, verso le parti, il dovere di condurre diligentemente a termine l'incarico ricevuto e di decidere la controversia loro sottoposta. Dall'inosservanza di tale dovere può derivare una responsabilità risarcitoria nei confronti delle parti stesse ed eventualmente la decadenza dall'incarico. L’arbitro che omette o ritarda di compiere un atto relativo alle proprie funzioni può essere sostituito dalle parti, se queste trovano un accordo in tal senso, oppure dal terzo che sia a ciò incaricato dalla convenzione d’arbitrato. Quanto invece alla responsabilità, l'arbitro è tenuto al risarcimento del dei danni nei confronti delle parti quando:  con dolo o colpa grave, ha omesso o ritardato il compimento di atti dovuti ed è stato quindi dichiarato decaduto;  ha rinunciato all'incarico senza giustificato motivo;  con dolo o colpa grave, ha omesso o impedito la tempestiva pronuncia del lodo, nel rispetto del termine fissatogli;  nelle stesse fattispecie in cui sarebbe esperibile l'azione risarcitoria per danni causati da magistrati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie per dolo o colpa grave. controcredito per la parte in cui questo non debba considerarsi estinto in seguito all'accoglimento dell'eccezione di compensazione. Le questioni relative alla competenza degli arbitri L'art. 817 prevede che ogni contestazione relativa alla validità, al contenuto o all'ampiezza della convenzione d'arbitrato è decisa dagli stessi arbitri, al pari di quelle riguardanti la regolare costituzione degli arbitri. Tale regola trova applicazione ogni volta che i poteri degli arbitri siano contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. È invece escluso che le parti possano tenere in serbo le possibili contestazioni in vista di una successiva impugnazione del lodo: l'art. 817 prevede che l'incompetenza degli arbitri, derivante da inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato deve essere eccepita nella prima difesa successiva all'accettazione degli arbitri, non potendo altrimenti esser fatta valere come motivo d'impugnazione del lodo, a meno che non si tratti di controversia che, ex art. 806, non poteva esser attribuita ad arbitri. I rapporti tra gli arbitri e l’autorità giudiziaria L'art. 819-ter esclude che la pendenza della stessa causa davanti all'autorità giudiziaria (anche se anteriore) o la connessione rispetto ad una causa pendente davanti al giudice possano di per sé incidere sulla competenza degli arbitri. L'articolo prevede che l'eccezione di incompetenza del giudice, derivante dall'esistenza di una convenzione d'arbitrato, debba essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, e assoggetta la conseguente decisione al regolamento di competenza degli art. 42 e 43. Se invece l'eccezione d'incompetenza non viene tempestivamente proposta, la competenza degli arbitri ne resta esclusa, ma solo rispetto alla specifica controversia decisa in quel giudizio. La Corte cost muovendo dalla premessa che l’arbitrato abbia una funzione analoga a quella della giustizia pubblica, ha ritenuto che la pronuncia declinatoria (sulla competenza) del giudice on favore dell’arbitro o viceversa non impedisce la prosecuzione del processo (translatio iudicii) dinanzi all’organo di cui si affermata la competenza, al fine di far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta. Durante la pendenza del procedimento arbitrale non possono proporsi domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o l'inefficacia della convenzione d'arbitrato; tali domande sono proponibili prima dell'inizio del procedimento arbitrale. La sospensione del processo arbitrale L'art. 819-bis disciplina la sospensione del procedimento arbitrale, prevedendo che sia disposta, con ordinanza motivata, quando:  avendo il giudizio arbitrale ad oggetto le restituzioni o il risarcimento dei danni derivanti da reato, è contemporaneamente pendente il processo penale e ricorre una delle ipotesi all'art. 75 co 3° c.p.p., che prevede la sospensione obbligatoria per il giudice civile; e quindi quando il procedimento davanti agli arbitri è iniziato, nei confronti dell'imputato, dopo che l'azione era già stata proposta in sede penale attraverso la costituzione di parte civile o dopo che nel processo penale era già intervenuta sentenza di primo grado;  sorga davanti agli arbitri una questione pregiudiziale che non può essere oggetto di convenzione d'arbitrato e che deve essere per legge decisa con efficacia di cosa giudicata;  gli arbitri rimettono alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale; gli arbitri sono obbligati, quando sorga tale questione, non manifestamente infondata e rilevante per la decisione, ad adire la Consulta. Oltre a queste fattispecie di sospensione obbligatoria, che sono tassative, e all'ipotesi di sospensione facoltativa a causa della morte o perdita di capacità di una delle parti, l'art. 819-bis richiama l'art. 337 per il caso in cui nel procedimento arbitrale sia invocata l'autorità di una sentenza e questa sia impugnata, lasciando intendere che il giudizio arbitrale può allora sospendersi in attesa della definizione del giudizio d'impugnazione. Una volta disposta la sospensione il procedimento arbitrale deve essere riattivato (mediante istanza di prosecuzione del giudizio proveniente dalla parte interessata d depositare presso gli arbitri) a pena di estinzione, entro il termine fissato dagli arbitri oppure in mancanza entro un anno dal venir meno della causa di sospensione. La fase introduttiva e la trattazione della causa In teoria, nulla impedisca che l'oggetto del giudizio arbitrale venga a precisarsi e magari si ampli in corso di causa, attraverso l'introduzione di domande nuove o la modificazione di quelle anteriormente proposte. L'art. 669-octies co 5°, relativo all'ipotesi in cui, dopo la pronuncia di un provvedimento cautelare ante causam, il giudizio di merito debba instaurarsi davanti agli arbitri, e gli art. 2652, 2653, 2690, 2691 e 2943 c.c. (concernenti la trascrizione di domande giudiziali e l'interruzione della prescrizione), prevedono che alla domanda giudiziale sia equiparata la notificazione dell'atto con cui una delle parti, in presenza di un compromesso o di una clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri. Non significa che la mancata specificazione del petitum o della causa petendi renda di per sé invalido l'atto introduttivo o precluda un successivo ampliamento dell'oggetto del giudizio: è possibile che il thema decidendum sia individuato in un momento successivo. Di regola, tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento sono risolte con ordinanza revocabile non soggetta a deposito, a meno che gli arbitri non ritengano di provvedere con un lodo non definitivo. Le ordinanze concernenti il mero svolgimento del procedimento possono essere deliberate, su autorizzazione delle parti o degli altri arbitri, dal solo presidente del collegio arbitrale. La istruzione probatoria In teoria si ammette l'applicabilità dei principi comuni in materia di prova. Per quel che riguarda, poi, il catalogo delle prove utilizzabili, l'art. 816-ter detta una disciplina specifica della prova testimoniale (infatti gli arbitri non hanno poteri coercitivi e non possono neppure conceder provvedimenti cautelari per tale motivo). Gli arbitri, al posto di assumere la deposizione presso di sé, possono assumerla anche presso l'abitazione o l'ufficio del testimone, con il suo consenso, e possono anche deliberare di chiedere al teste, in luogo della deposizione orale, di fornire loro risposte scritte a specifici quesiti nel termine che stabiliscono. Se il testimone rifiuta di comparire, gli arbitri, quando lo ritengono opportuno secondo le circostanze, possono rivolgersi al presidente del tribunale della sede dell'arbitrato, chiedendo che ordini al teste la comparizione davanti a loro; in questo caso la mancata comparizione è sanzionabile dallo stesso presidente ex art. 225. Nel procedimento arbitrale sono esperibili, in teoria, gli stessi mezzi di prova solitamente utilizzabili nel processo davanti al giudice, con maggiore libertà nel ricorso alle prove atipiche. Si ritiene però che siano esclusi il giuramento, decisorio o suppletorio, a cui competerebbe efficacia di prova legale ed incontrovertibile, poiché manca un adeguato bilanciamento come il delitto di spergiuro. Il termine per la pronunzia del lodo Il potere degli arbitri di decidere la causa è circoscritto nel tempo e il superamento di tale termine può incidere sulla validità del lodo. La misura del termine può essere fissata dalle parti nella convenzione d'arbitrato o in un separato accordo che sia anteriore all'accettazione degli arbitri. In mancanza gli arbitri sono tenuti a pronunciare il lodo entro 240 giorni dall'ultima accettazione della nomina. Tale termine può essere prorogato. Il decorso del termine resta sospeso  in tutte le ipotesi di sospensione del giudizio arbitrale; in tal caso il termine torna a decorrere dopo la ripresa del procedimento e, quando il periodo residuo sia inferiore, viene esteso a 90 giorni;  quando sia stata ordinata dal presidente del tribunale la comparizione di un testimone, ex art. 816-ter co 3°, la sospensione opera dalla data del provvedimento fino al giorno dell'udienza fissata per l'assunzione della testimonianza. La scadenza del termine, originario o prorogato, implica la decadenza degli arbitri dall'incarico, ma non opera ipso iure. L'art. 821 prevede che la parte che intenda farla valere è tenuta a notificare tale volontà alle altre parti e agli arbitri prima della deliberazione del lodo risultante dal dispositivo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri. Se invece la parte fa valere tempestivamente la decadenza, gli arbitri, verificato il superamento del termine, devono dichiarare l'estinzione del procedimento. La deliberazione ed il lodo (definitivo, non definitivo, parziale) Nessuna disposizione di legge regola, relativamente al procedimento arbitrale, la chiusura dell'eventuale fase probatoria ed il passaggio alla fase decisoria; è comunque necessario il rispetto del contradditorio, inoltre può essere pronunciato un lodo non definitivo. L'art. 823 stabilisce che il lodo è deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri e quindi redatto per iscritto. È previsto che ogni arbitro possa chiedere che il lodo, o una parte di esso, sia deliberato dagli arbitri riuniti in conferenza personale: se ne deduce che, in mancanza di tale richiesta, la delibera potrebbe avvenire a distanza, senza una materiale riunione del collegio arbitrale, sfruttando i moderni sistemi di comunicazione. Gli arbitri decidono secondo norme di diritto salvo che le parti non abbiano disposto che questi debbano decidere secondo equità. Gli elementi prescritti per il lodo sono:  il nome degli arbitri;  l'indicazione della sede dell'arbitrato;  l'indicazione delle parti;  l'indicazione della convenzione d'arbitrato e delle conclusioni delle parti;  l'esposizione sommaria dei motivi;  il dispositivo;  le sottoscrizioni degli arbitri e la relativa data. Deve esserne data comunicazione alle parti.
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