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Procedura civile I, appunti - Prof. Ronco, anno 2018/2019, Appunti di Diritto Processuale Civile

Appunti delle lezioni di procedura civile con Ronco, per la preparazione dell'esame da frequentanti.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 20/01/2020

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Scarica Procedura civile I, appunti - Prof. Ronco, anno 2018/2019 e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Anno accademico 2018-2019 Procedura civile I Prof. A. Ronco Procedura civile I Prof. Ronco Il diritto civile sostanziale è usato e gestito non solo da avvocati e giudici ma dai cittadini in genere (geometri, periti ecc.), del processo civile non c’è invece questa conoscenza diffusa, molto spesso se ne ha una visione ampiamente distorta. Idea della giustizia: fare in modo che le cose vadano come avrebbero dovuto andare —> obbiettivo, finalità ultima. Finalità del processo civile. Per capire la finalità di un processo civile si può partire da un paradosso tipico: un ordinamento in cui ci siano norme di diritto sostanziale senza un sistema di amministrazione della giustizia —> se tutti i cittadini rispettassero spontaneamente e regolarmente le norme di diritto sostanziale ci sarebbe un ordinamento “felice", che avrebbe la coincidenza tra regola astratta e applicazione concreta tramite il comportamento collettivo dei consociati. Si immagini in questo contesto un comportamento conflittuale, definendo tale il comportamento di un cittadino verso un altro, o meglio la pretesa, da parte del primo, di un comportamento che il secondo non tiene. Opzioni: - esortazione di uno da parte dell’altro a tenere il determinato comportamento; - superata questa fase, a parte rinunciare al diritto stesso, resterebbe solamente l’uso della forza. 
 
 Se questo accadesse si avrebbe un “focolaio di violenza”: per raggiungere i diritti garantiti dal diritto sostanziale o si rinuncia o si attua la propria ragione con l’uso della forza. Tuttavia tali “focolai di violenza” sono temuti dallo Stato, fra l’altro se la regola fosse la vittoria del più forte, in ambito contrattuale quello più forte tenderebbe a rendersi inadempiente con la possibilità dell’uso della forza. Allora lo Stato interviene per realizzare un’istituzione, un meccanismo, che prenda il posto di quell’uso della forza che lo stesso non può tollerare —> amministrazione della giustizia civile. Amministrazione della giustizia civile —> un terzo (giudice), imparziale e distante dalle parti: • in primo luogo —> funzione di accertamento del diritto: accertamento della pretesa sul diritto sostanziale; • in secondo luogo —> funzione di esecuzione del diritto: momento in cui lo Stato mette a disposizione la forza pubblica costringendo, nei modi previsti, la parte all’adempimento della pretesa dell’altra parte. Si può anche dire che nel momento del passaggio dalla legge del più forte al giudizio da parte di un’amministrazione della giustizia civile si assiste ad una sostituzione tra forza fisica a forza intellettuale: ha preponderanza chi ha un’influenza dominante sul giudice (avvocato) —> in parte vero, in parte no: l’ordinamento vuole che i cittadini abbiano a disposizione una classe forense in cui un minimo di sapere e abilità ci sia (per evitare una difesa del cittadino più in difficoltà indecorosa). Predominio dell’intellettuale sul forzuto. 1 Anno accademico 2018-2019 Un’altra possibile modalità di soluzione della lite, potrebbe essere quella delineata in un primo momento dal filosofo francese Rabelais, fine ‘500, nelle sue opere “Gargantua e Pantagruel” —> figura di un giudice molto rapido e apprezzato perché al momento di rendere la sentenza si ritira e basa la decisione sul lancio di una moneta. Si potrebbe anche ipotizzare una giustizia in cui per vedere chi ha torto e chi ragione si potrebbe attribuire la decisione ad un soggetto abile a lanciar monete (giustizia molto rapida) —> inconveniente: rischio che il diritto sostanziale non venga più rispettato spontaneamente, le persone sarebbero propense a fare i propri comodi sapendo di rischiare al massimo il 50%. Essere invece consapevoli di qualcuno che userà il diritto e l’intelletto per applicare la norma nel modo in cui le parti avrebbero dovuto fare spontaneamente fa si che, almeno tendenzialmente, i cittadini rispettino il diritto sostanziale senza bisogno di ricorrere ai tribunali. Processo civile oggi in Italia —> malfunzionamento dato da una lentezza estrema, non solo perché i giudici sono tendenzialmente pochi ma anche perché l’amministrazione della giustizia civile è mal organizzata, le strutture che compongono le Corti richiederebbero delle norme non tanto di procedura ma di organizzazione degli uffici che non ci si sente di fare, anche per i costi delle stesse. A ciò si aggiunge e si contrappone una sovrabbondanza di avvocati, che porta ad una forte concorrenza tra gli stessi e una frammentazione del lavoro di questi ultimi, tentandoli così a costituire cause forse anche più per il loro tornaconto rispetto all’interesse reale dei propri assistiti (per diventare avvocati non c’è un numero chiuso). È bene dire ancora che lo Stato deve garantire la giustizia ma ha poche risorse per farlo, così i tempi diventano straordinariamente lunghi —> processo civile: articolazione in 3°gradi, non necessari: 1°grado, Appello, Cassazione. I tempi che la Corte Europea ritiene accettabili: 3 anni —> 1°grado; 2 anni —> 2°grado; 1/1,5 anni —> 3°grado (se si percorrono tutti e 3 significa 7/7,5 anni in tutto —> Torino è considerata un’eccellenza da questo punto di vista). Come può intervenire il legislatore per alleggerire la giustizia statuale? 2 strumenti alternativi. 1. Arbitrato —> giustizia privata: le funzioni di accertamento di chi abbia torto o ragione possono essere svolte anche da soggetti che non sono giudici dello Stato —> arbitri: giudici privati. Allora l’ordinamento garantisce il processo statuale ma cerca in tanti modi di favorire l’arbitrato perché in questo modo è chiaro che venga raggiunta la finalità di evitare l’uso della forza ma allo stesso tempo lo Stato evita di occuparsene attraverso i suoi giudici. Opinione della C. Cost.: arbitrato = strumento esclusivamente volontario, può essere favorito ma ci dev’essere necessariamente il consenso. L’arbitro comunque svolge un compito fortemente simile o identico a quello del giudice nell’affermare chi abbia torto o ragione, ma non invece per quel che riguarda il momento di attuazione coattiva che resta nell’esclusiva dello Stato. 2. Mediazione —> dal 2010 in particolare lo Stato ha organizzato una rete di strutture di mediazione che dovrebbe favorire la composizione del conflitto non attraverso l’affermazione di chi ha torto o no, ma attraverso l’accordo tra le parti. Mentre il giudice e l’arbitro decidono il mediatore/ conciliatore non ha il potere di decidere bensì la funzione di mettere d’accordo le parti: funzione totalmente diversa. Parere personale di Ronco: profondo scetticismo —> nella concretezza sembra più un’utopia o un ideale che non si realizza, uno dei motivi più semplici a sostegno di questa tesi è il fatto che qualora non si trovi l’accordo tramite il mediatore, la mediazione stessa 2 Anno accademico 2018-2019 bontà della decisione (senza il rispetto delle regole processuali non è possibile garantire le regole sostanziali). Ipotesi di scuola, residuale: ipotesi nella quale si potrebbe dire che quello che l’attore ha fatto non sia un processo —> attore, pur con un avvocato, si presenta dal giudice pregandolo di occuparsi della situazione —> si potrebbe dire in questo caso che questo sarebbe un processo inesistente, che non genera nessun obbligo nel giudice (≠ processo viziato). Esecuzione forzata. Momento processuale che parte da un accertamento del diritto, dalla presa d’atto dell’esistenza del diritto, e termina con la realizzazione coattiva dello stesso. Non tutti i diritti però possono essere realizzati forzatamente, indipendentemente dalla volontà dell’obbligato —> esempi: - es.: obbligazione pecuniaria —> realizzazione: pignoramento e vendita dei beni del debitore, soddisfacimento del creditore con il ricavato —> non è possibile se nel patrimonio del debitore non ci sono i beni necessari e pignorabili per realizzare tale pretesa, casi di debitori insolventi (non archiviazione definitiva della pratica, possibilità di riesumazione); - es.: obbligazione = consegna di una cosa mobile —> nel caso in cui oggetto dell’obbligazione sia una cosa, se la stessa non si trova, il momento attuativo non riesce, salvo il risarcimento del danno; - es.: obbligazione = consegna di un immobile —> nell’ipotesi in cui oggetto dell’obbligazione sia un immobile, l’esecuzione forzata riesce sempre: se l’inquilino non riconsegna immobile, tramite la forza pubblica viene estromesso dall’immobile e questo viene consegnato; - es.: obbligazione di fare di carattere fungibile —> caso in cui l’oggetto sia un’obbligazione di fare di carattere fungibile in cui il fare può essere realizzato non solo dal debitore ma anche da altri: se il debitore si rifiuta viene sostituito a sue spese; - es.: obbligazioni di fare a carattere infungibile —> la persona del debitore è assolutamente rilevante, se egli si rifiuta di compiere la prestazione non può esserci un meccanismo sostitutivo: in questi casi l’unico modo che ha il legislatore per garantire l’adempimento è l’attivazione di meccanismi di coazione indiretta —> minaccia al debitore del pagamento di una somma di denaro per ogni ritardo o inadempimento ad una sua obbligazione (forma di risarcimento forfettizzato e anticipato del danno). Tutela cautelare. Esiste una terza espressione della giustizia civile —> tutela cautelare: intervento dello Stato sia con accertamento sia con esecuzione per le situazioni di urgenza, quando il diritto è minacciato da un pregiudizio imminente al quale non si può rimediare se non subito (procedimenti cautelari caratterizzati da una specialissima sommarrietà per velocità). 5 Anno accademico 2018-2019 Concetto di azione. Articolo 24 Costituzione. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr. art. 113]. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. 1° comma art. 24 Cost.: tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi —> tutela garantita a tutti (cittadini e no). Azione civile vs. Azione penale: • azione penale: esercitata dl PM nell’interesse della collettività, mira alla punizione del colpevole —> non porta alla vittima del reato un’utilità forte e immediata (condanna —> interesse pubblico alla prevenzione dei reati, alla rieducazione del reo ecc.); • azione civile: il processo civile è attento alla vittima di un’ingiustizia perché mira a ricomporre e ricucire il torto che si è avuto nella realtà fenomenica. 
 
 Quando, infatti, la vittima nel processo penale vuole avere una soddisfazione del proprio interesse si innesta in sede penale quella che si chiama azione civile attraverso la costituzione di parte civile attraverso la quale si fa si che il processo penale non miri soltanto alla condanna del colpevole ma miri anche risarcire la vittima del reato o a consentirle di ottenere le cose che gli siano state sottratte. L’azione civile può essere commisurata alla 3 tipiche attività della giurisdizione civile: - azione di cognizione; - azione esecutiva; - azione cautelare (processo d’urgenza). Azione (processo) di cognizione. Azione: atipicità —> il legislatore prevede in generale la possibilità di agire in giudizio qualsiasi sia il diritto che si vuole far valere, anche se è lo stesso legislatore che potrebbe prevedere una previsione o un rito espresso per una certa situazione (previsione di riti speciali, ad hoc), ciò non vuol dire però che laddove non ci sia una specifica previsione o rito non ci sia azione —> 1° comma art. 24 Cost. C’è stata una violazione indiretta del legislatore dell’art. 24 Cost. quando lo stesso ha previsto gli arbitrati obbligatori —> oggi: NO arbitrato imposto dalla legge (C. Cost.: illegittimità), arbitrato solo su base volontaria. L’azione ha delle condizioni e degli elementi costitutivi. Le condizioni —> essenzialmente 2: 1. interesse ad agire; 2. legittimazione ad agire. La mancanza di una delle due condizioni elimina la sussistenza dell’azione. 6 Anno accademico 2018-2019 Elementi costitutivi —> caratteristiche che identificano e qualificano una determinata azione. Nell’evoluzione dei secoli e degli ordinamenti si sono affiancate 2 concezioni di azione: 1. concezione astratta dell’azione (pacificamente praticata oggi in Italia) —> concezione secondo la quale il diritto di azione è sganciato dalla sussistenza del diritto soggettivo azionato: è sufficiente per avere azione affermarsi titolari di un determinato diritto soggettivo —> esercita validamente l’azione anche chi non è titolare del diritto, quindi anche chi attraverso l’azione andrà incontro ad una sconfitta nel merito; 2. concezione concreta dell’azione —> concezione secondo la quale intanto si dà azione in quanto ci sia il diritto soggettivo oggetto dell’azione stessa (concezione del diritto romano): quando chi agisce in giudizio non ha il diritto soggettivo, ovvero agisce infondatamente, nel momento in cui il giudice accerta che lo stesso non ha il diritto soggettivo accerta, nello stesso istante, che non c’è azione (le due cose vanno di pari passo). Il processo civile mira ad accertare se esistano diritti soggettivi e status ma può utilmente e fisiologicamente terminare con una pronuncia di rigetto che riconosca che il diritto soggettivo non ci sia. È importante la distinzione perché la decisione di merito è una decisione che prima o poi è destinata a passare in giudicato, che diventa cioè tendenzialmente irretrattabile —> irretrattabilità che è a vantaggio di tutte e due le parti: con la concezione astratta si può dire che il processo sia fisiologicamente orientato anche se la sentenza fosse a favore del convenuto; con la concezione concreta si dovrebbe dichiarare l’attore non solo soccombente ma privo di azione —> si genera non solo un accertamento sul diritto soggettivo ma anche un accertamento sul processo. Ma, mentre il giudicato cade sulle decisioni di merito, le sentenze meramente processuali non formano la cosa giudicata, ciò significa che l’azione sperimentata ma dichiarata inesistente potrebbe essere riproposta (il convenuto vittorioso è esposto ad una nuova domanda dell’attore, proposta con la speranza di avere ragione). Con la concezione astratta l’azione è sganciata dal diritto soggettivo sostanziale e spetta non solo al titolare del diritto ma a chiunque si affermi tale. Quando l’azione è ben esercitata l’azione del giudice è una decisione nel merito, sulla controversia, che accolga la domanda o che la respinga, perché anche il rigetto della domanda del merito è un vantaggio per il convenuto che ha resistito e si vede riconosciuto appunto il vantaggio stesso che se non impugnato diventa definitivo. 7 Anno accademico 2018-2019 Esempio (2) —> azione per la richiesta di una servitù di passaggio: • soggetti —> attore (rappresentato da un tutore perché infermo di mente); convenuto. • causa petendi —> necessità di poter raggiungere la via pubblica —> servito di passaggio. • oggetto della richiesta —> petitum mediato: possibilità di attraversare il terreno altrui per poter raggiungere la via pubblica; petitum immediato: costituzione ex imperio della servitù di passaggio che convenzionalmente è mancata (sentenza costitutiva: sentenza che fa sorgere il diritto di servitù a cui le parti attraverso il contratto non avevano dato vita). Esempio (3) —> azione di rivendica della proprietà: • soggetti —> attore (colui che chiede la rivendica della proprietà); convenuto. • causa petendi —> è necessario raccontare perché l’attore si ritiene proprietario (non basta ritenersi proprietario: bisogna dimostrare un fatto costitutivo della proprietà che sia identificabile e tale da essere opponibile ai terzi). • oggetto della richiesta —> petitum mediato: avere la disponibilità del fondo; petitum immediato: accertamento della proprietà e condanna del convenuto a rilasciare il fondo. Distinzione di azioni (dalla giurisprudenza). Azioni auto-determinate vs. Azioni etero-determinate: - azioni auto-determinate: azioni che si identificano attraverso le parti e l’oggetto, rispetto alle quali la causa petendi ha un valore non identificativo ma meramente secondario; - azioni etero-determinate: l’identificazione passa necessariamente per l’individuazione anche della causa petendi fatta valere attraverso l’azione stessa. Nelle prime l’azione resta la stessa anche se viene cambiata in tutto o in parte la causa petendi, nelle altre il cambiamento della causa petendi provoca il mutamento dell’azione. Sono azioni auto-determinate quelle con cui si fanno valere diritti reali e alcuni determinati diritti della personalità o status soggettivi. Sono etero-determinate invece le azioni che si fondano essenzialmente su diritti di credito. Esempi: - azione per la restituzione di una somma data a mutuo —> diritto di credito: se, fermi restando i soggetti, la somma e la richiesta di condanna (petitum immediato), si afferma che la somma sia dovuta a titolo di compravendita l’azione è diversa rispetto a quella che sarebbe se la somma fosse dovuta a titolo di mutuo (azione etero-determinata); - rivendica —> anche se si manifesta cambiamento della causa petendi, il diritto non cambia: se si afferma la proprietà del fondo attraverso la compravendita o l’usocapione, o l’eredità si cambia certo la causa petendi ma il diritto rimane il medesimo (diritto di proprietà) —> i fatti costitutivi possono concorrere ma la concorrenza o l’alternatività degli stessi non moltiplicano il diritto. 10 Anno accademico 2018-2019 Nelle azioni etero-determinate l’azione può essere moltiplicata all’infinito mutando la causa petendi, nelle altre non accade perché i fatti possono concorrere ma la concorrenza degli stessi non muta il diritto. Nelle azioni auto-determinate mutare in corso di processo il fatto costitutivo non modifica l’azione, al contrario nelle azioni etero-determinate mutare nel corso del procedimento il fatto costitutivo significa cambiare l’azione. Esempi: - azione per la restituzione di una somma data a mutuo: il convenuto si difende sostenendo che il credito sia prescritto, il giudice accerta che il credito sia prescritto e respinge la domanda dell’attore, la sentenza passa in giudicato —> dopo aver perso la causa per la restituzione della somma a titolo di mutuo, l’attore potrebbe esperire un’altra causa verso lo stesso convenuto a titolo di compravendita, ovvero cambiando la causa petendi (l’attore non potrebbe sostenere di essersi sbagliato nella causa precedente - ormai decisa da sentenza passata in giudicato - ma potrebbe esperire un’altra azione per la stessa somma se alla base ci sono fatti diversi); - azione di rivendica —> l’attore formula azione di rivendica e il convenuto sostiene di aver acquistato il fondo in eredità, se il convenuto perde la causa per non aver dimostrato di essere proprietari e la sentenza passa in giudicato, se il convenuto esperisse un’altra azione affermando di essere proprietario di quel medesimo terreno non per eredità ma per compravendita dovrebbe essere evidente che l’azione formulata è sempre la stessa (è cambiato uno dei fatti costitutivi ma la pretesa è sempre la stessa). Nelle azioni auto-determinate il giudicato impedisce una seconda causa quale che sia il fatto costitutivo fatto valere, perché la proprietà e gli altri diritti reali restano sempre gli stessi. Nelle azioni etero-determinate l’inattaccabilità della decisione vale nei limiti della causa petendi che è stata fatta valere. 11 Anno accademico 2018-2019 Petitum immediato. Tripartizione: 1. accertamento; 2. di condanna; 3. costitutive. In tutti i tipi di domanda e di sentenza c’è sempre un accertamento ma nelle azioni di mero accertamento ci si ferma lì, nelle altre (di condanna e costitutive) si aggiunge un qualcos’altro. Azioni di condanna. L’attore non chiede soltanto che si accerti l’esistenza di un suo diritto, afferma anche che quel diritto è stato violato e chiede al giudice di ordinare al convenuto di tenere un certo comportamento. Si tratta di azioni che preannunciano un passo ulteriore, non sono decisioni che soddisfano di per sé la pretesa dell’attore ma nell’arretrare il diritto dello stesso e nel condannare il convenuto ad un certo comportamento aprono le porte all’esecuzione forzata perché se il convenuto condannato persiste a non tenere il comportamento ordinato dal giudice si apre la fase del procedimento, ovvero del secondo momento, dell’esecuzione forzata. L’azione di condanna prelude all’esecuzione forzata, anche se non è detto che si debba provvedere alla stessa: il convenuto può adempiere spontaneamente alla sentenza del giudice (poca probabilità). Nel 75% dei casi si attua l’esecuzione forzata, il condannato adempie al più all’inizio di questa fase, nel momento in cui interviene l’autorità pubblica. Se la sentenza di condanna non avesse la possibilità di esecuzione forzata sarebbe una evidente sconfitta per l’ordinamento, che riconoscerebbe i diritti rimettendosi alla mera volontà dell’obbligato per circa l’adempimento. L’azione di condanna —> effetti: 1. sentenza di condanna —> prelude all’esecuzione forzata; 2. sentenza di condanna —> ipoteca: la sentenza di condanna è titolo per l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore (diritto reale di garanzia in forza del quale il creditore può espropriare e far vendere i beni del debitore in preferenza agli altri creditori, tale ipoteca segue il bene nei trasferimenti che questo abbia) —> specialmente quando il creditore è un creditore forte (banca), la banca non aggredisce subito il patrimonio del debitore con l’esecuzione forzata ma si limita a iscrivere un’ipoteca sul bene del debitore, cercando poi forte di questa di trovare un accordo con il debitore senza essere pregiudicata da possibili atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore stesso (ipoteca: volontaria; legale; giudiziale —> art. 2818 c.c., ipoteca giudiziale); 3. sentenza di condanna—> prescrizione: una volta che la sentenza di condanna sia passata in giudicato, il passaggio in giudicato della stessa trasforma in decennale qualsiasi prescrizione breve (estinzione del diritto per inerzia del titolare: normalmente in 10 anni, in alcuni casi i termini sono più brevi) —> N.B. a trasformare la prescrizione non è la mera pronuncia della sentenza di condanna ma il passaggio in giudicato della stessa. 12 Anno accademico 2018-2019 Si tratta di un diritto potestativo ad esercizio unilaterale: basta la volontà di chi di dichiara di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa e il contratto cade. Anche in questo caso non c’è bisogno dell’intervento del giudice. A differenza del termine essenziale però la caduta del contratto avviene attraverso una dichiarazione e non automaticamente. Se però nulla di ciò accade, la parte adempiente, se vuole far cadere il contratto può domandare al giudice - in alternativa alla richiesta di adempimento - di risolvere il contratto —> pronuncia costitutiva. Azioni di condanna. Tipi di condanne speciali. Condanna ordinaria: presuppone l’affermazione di un diritto, l’affermazione della sua violazione, e la richiesta al giudice di accertare che il diritto ci sia e che sia stato violato e di condannare l’altra parte ad un comportamento —> condanne speciali: alterazione del meccanismo ordinario. Condanna in futuro (1). Tipo di condanna possibile nei soli casi previsti dalla legge —> giurisprudenza: ampliamento. Si afferma il diritto, si afferma una sua possibile violazione non ancora realizzata e si chiede al giudice di accertare il diritto e di condannare la parte a fare qualcosa qualora la violazione del diritto si dovesse realizzare (in futuro: non ha l’attualità di una violazione, inadempimento) Principale ipotesi —> art. 657 c.p.c. Art. 657 c.p.c. intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione. Dispositivo dell'art. 657 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO QUARTO - Dei procedimenti speciali → Titolo I - Dei procedimenti sommari → Capo II - Del procedimento per convalida di sfratto Il locatore o il concedente può intimare al conduttore [c.c. 1571], all'affittuario coltivatore diretto [c.c. 1647], al mezzadro [c.c. 2141] o al colono [c.c. 2164] licenza per finita locazione (1), prima della scadenza del contratto, con la contestuale (2) citazione (3) per la convalida (4), rispettando i termini (5) prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali. Può altresì intimare lo sfratto (6), con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione (7). Locazione: contratto di durata dal quale si può recedere —> es.: locazione ad uso abitativo con durata 4+4, passati 7 anni e 3 mesi e per la scadenza che si avvicina non si intende rinnovare la locazione. Per evitare la rinnovazione tacita della locazione si può esercitare il recesso. Il rischio in cui incorre il locatore è che il locatario non riconsegni l’immobile, lo stesso tuttavia può rivolgersi al giudice chiedendo allo stesso di condannare il locatario a lasciare l’immobile. Il codice consente in questa ipotesi al proprietario terriero (locatore) di chiedere al giudice la condanna in futuro del convenuto, ovvero di non aspettare che lo stesso riconsegni l’immobile ma di agire fin d’ora per ottenere dal giudice la condanna del convenuto ad andarsene in futuro, ovvero a liberare l’immobile. Utilità: si consente un forte risparmio sui tempi —> si può attivare direttamente l’esecuzione forzata qualora si verifichi la violazione. Si portano all’indietro i tempi della cognizione, ovvero prima dell’inadempimento, consentendo cs’ al proprietario un risparmio sui tempi stessi. Estensione della giurisprudenza. Obbligazioni di durata —> obbligazioni periodiche: diventano esigibili man mano che scade ogni singola rata. La giurisprudenza ammette che la condanna in questi casi sia necessariamente attuale e ordinaria per le rate già scadute ma possa estendersi in futuro per le rate a scadere. 15 Anno accademico 2018-2019 Differenza: - locazione —> l’inadempimento è solo futuro; - obbligazioni periodiche —> da un inadempimento attuale si permette la condanna in futuro, che non sarebbe permessa se non ci fosse l’inadempimento attuale. Condanna condizionale (2). Condanna subordinata non solo al decorso del tempo ma addirittura al verificarsi di un evento futuro e incerto. La dottrina è tendenzialmente restrittiva, mette cioè in guardia circa la tentazione di allargare l’uso di questo tipo di condanna (figura tendenzialmente residua). Esempio: obbligazioni di regresso —> obbligazioni per le quali ci sono più soggetti tenuti all’adempimento, per le quali se uno paga ha diritto dagli altri a farsi rimborsare la quota (obb. solidali): Tizio e Caio sono debitori di Sempronio in via solidale, Sempronio chiede a Caio tutto il pagamento che paga con il diritto di averne in regresso per la sua quota da Tizio. Sempronio fa causa a Caio che chiama in causa Tizio, se il giudice condannerà Caio al pagamento della somma a Sempronio, il giudice condannerà Tizio a rimborsare a Caio la quota. In questo caso se il giudice accoglie la domanda di Sempronio e anche la domanda di Caio, sulla seconda fa una condanna condizionale: Caio è tenuto a pagare Sempronio incondizionatamente e subito, Tizio paga la sua quota a Caio non incondizionatamente e subito ma solo conseguentemente al fatto che Caio abbia pagato Sempronio (evento futuro e incerto). Condanna generica (3). Nella condanna generica c’è l’accertamento del diritto, c’è l’accertamento della violazione, c’è la condanna, ma non c’è la quantificazione della prestazione a cui il convenuto viene condannati ad adempiere (generica: non specifica, non completa). Questo tipo di condanna trova spazio soprattutto nelle azioni risarcitorie, in cui l’accertamento richiesto al giudice non è solo sul dovere del convenuto di risarcire il danno ma anche sulla quantificazione e determinazione del danno stesso —> es.: azione risarcitoria per responsabilità medica: se la struttura ospedaliera contesta si tratterà non solo di accertare se l’ospedale o il medico hanno mal operato, ma anche di accertare quale sia e come sia quantificabile il danno provocato al paziente —> il giudice potrebbe accertare l’esistenza di un danno risarcibile ma potrebbe esserci la necessità di ulteriori indagini per la quantificazione dello stesso. In questi casi c’è una tappa intermedia in cui è possibile ottenere una condanna generica —> si ottiene una sentenza di condanna a risarcire un danno ma non si stabilisce ancora cosa o quanto. Non è una condanna utile per l’attore —> non può essere utile per l’esecuzione forzata, perché non si può sapere per quanto eseguire. Serve esclusivamente e tipicamente per inscrivere l’ipoteca giudiziale sui beni del debitore (ipoteca a descrizione del creditore —> salvo una sua responsabilità se si determina che la quantificazione sia nettamente inferiore ai beni ipotecati). Dalla prassi si ricava che la condanna generica possa servire per favorire la conciliazione della causa —> es.: può trovarsi un accordo tra le parti sulla quantificazione della somma dovuta. La condanna generica quindi è costruita la legislatore come una tappa intermedia oggetto di una sentenza non definitiva. 16 Anno accademico 2018-2019 N.B.: è denominata definitiva la sentenza che chiude il processo, non definitiva la sentenza che risolve una parte dei temi coinvolti dal processo lasciandone aperti degli altri. La condanna generica è prevista dall’art. 278 c.p.c. Art. 278 c.p.c. Condanna genera. Provvisionale. Dispositivo dell'art. 278 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale → Capo III - Della decisione della causa Quando è già accertata la sussistenza di un diritto (1), ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte (2), può (3) limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione (4). In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova (5). Alla condanna generica si può accompagnare una provvisionale —> se è stato anche accertato con sicurezza che almeno una certa somma è dovuta allora il giudice può pronunciare la così detta sentenza provvisionale. Nella parte in cui la sentenza è provvisionale è una vera e propria sentenza di condanna (per quella parte sarà possibile non solo l’ipoteca ma anche l’esecuzione forzata). Nella parte dell’art. 278 c.p.c. che regola sia la condanna generica sia la provvisionale, tali provvedimenti vengono dati con sentenza. N.B.: è regola generale che la sentenza, il suo contenuto, non sia rivedibile se non attraverso i mezzi d’impugnazione. Il giudice che ha pronunciato una sentenza non può tornare sui propri passi. Quando la provvisionale è resa con sentenza non si può tornare indietro. Se il giudice nell’arrivare alla sentenza definitiva si rende conto che non c’è ulteriore danno ma addirittura che nella provvisionale sia stato liquidato troppo, se la stessa è stata fatta con sentenza non si può tornare indietro. Ci sono però casi in cui la provvisionale è data fuori dallo schema generale dell’art. 278 c.p.c., non con sentenza ma con ordinanza (ordinanza = contrario della sentenza: non soggetta a mezzi di impugnazione salvo casi eccezionali, revocabile e modificabile). Quando la provvisionale è data con ordinanza il fenomeno di intangibilità non si verifica perché la stessa è revocabile e modificabile. Esempi: - processo del lavoro: art. 423 comma 2 c.p.c. —> se il lavoratore ha agito entro il datore di lavoro per ottenere determinate somme e nel corso della causa il giudice si rende conto che comunque una somma è dovuta può fare con ordinanza un provvedimento che condanna in via provvisoria il datore di lavoro a pagare al lavoratore le somme intanto accertate; - circolazione stradale (danni da circolazione stradale): obbligo di assicurazione per responsabilità civile per sinistro stradale —> assicurazione direttamente tenuta verso il danneggiato: il Testo unico sulle assicurazione private prevede che se il danneggiato ha proposto una causa per il risarcimento del danno verso la compagnia assicuratrice, se il danneggiato versa in stato di bisogno e la responsabilità dell’assicuratore è tenuta probabile, il giudice con ordinanza può condannare la compagnia assicuratrice fino ai 5/6 dell’entità presumibile del danno —> pununcia provvisoria che non chiude il processo data con ordinanza.
 
 I questi casi in sede di sentenza definitiva se il giudice intende fare marcia indietro lo può fare perché i provvedimenti sono stati dati con ordinanza. 17 Anno accademico 2018-2019 Variazioni della domanda. Cambiamento nel corso del processo di uno o più elementi della domanda inizialmente formulata. Il sistema italiano consente all’attore entro certi limiti, in corso del processo, di cambiare in parte gli elementi su cui aveva fondato la propria azione, senza inchiodarlo alla domanda inizialmente formulata. Dal punto di vista di questi cambiamenti si distinguono 3 categorie: 1. mutamento della domanda o mutatio libelli; 2. modificazione della domanda o emendatio libelli; 3. precisazione della domanda. Se il mutamento della domanda è ancora possibile alla prima udienza, se la modifica è ancora possibile subito dopo la prima udienza, la precisazione della domanda è tendenzialmente possibile fino alla fine del processo, ovvero fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. Precisazione della domanda. Benché il c.p.c. non dia degli elementi importanti per definire il concetto, la giurisprudenza e la dottrina riconducono alla precisazione della domanda essenzialmente 2 fenomeni: 1. riduzione del quantum richiesto: si immagini una domanda di condanna al pagamento di una somma —> se l’attore ritiene di contrarre la propria pretesa questo viene ritenuto possibile come mera precisazione della domanda; 2. mutamento del quantum in riferimento alle azioni risarcitorie: fra i danni risarcibili vi sono quelli non patrimoniali (esistenziali o morali) —> quando si pretende il risarcimento c’è il problema della quantificazione di questo tipo di danni, i Tribunali tradizionalmente elaborano delle tabelle per cui stimano a seconda del tipo di danno la quantità che corrisponderà alla somma dovuta per il risarcimento —> si ritiene che il mutare la quantità di denaro richiesta per il risarcimento dei danni non patrimoniali, anche in aumento, non determini altro se non una mera precisazione della domanda (il mutamento deve riguardare la causa petendi inizialmente fatta valere —> il fatto costitutivo dev’essere lo stesso, altrimenti sarebbe un cambiamento più forte che potrebbe dar luogo a mutamento o modifica della domanda). Quantificare diversamente il danno non patrimoniale o comunque ridurre il quantum richiesto danno origine a fenomeni consentiti fino alla fine del processo come mera precisazione della domanda. Gli altri confini e in particolare il confine tra mutamento e mera modifica della domanda danno luogo ad un fiorire di giurisprudenza e ad un cambiare della stessa molto intenso e interessante. Mutamento della domanda vs. Modificazione della domanda. È comprensibile il fatto che tracciare confini tra le varie categorie sia estremamente difficile, perché se ci si affidasse alla logica data l’identità di un oggetto e di una domanda composta da parti, causa petendi, petitum mediato e petitum immediato, ogni cambiamento per quanto piccolo darebbe luogo ad n oggetto diverso. Così non è perché uscendo dai canoni della logica formale è necessario entrare nell’ambito del probabile e del possibile, ovvero di valori diversi da quelli meramente formali. 20 Anno accademico 2018-2019 La giurisprudenza ha abbandonato ormai i criteri esclusivamente formali ma fa riferimento ad una regola: - quando cambiare un pezzo della domanda significa prospettare dei fatti o delle situazione decisamente nuove rispetto a quelle prospettate all’inizio allora si ha un mutamento della domanda (grado più forte di cambiamento); - quando si tratta di aggiustamenti che non cambiano la sostanza delle cose si ha una più semplice modifica della domanda. È necessario il riferimento alla distinzione tra azioni auto-determinate e azioni etero-determinate: • azioni etero-determinate: azioni nelle quali mutando il fatto costitutivo cambia decisamente il diritto fatto valere —> il mutamento del fatto costitutivo dà luogo ad una mutatio della domanda; • azioni auto-determinate: al mutare del fatto costitutivo, il diritto fatto valere rimane sostanzialmente lo stesso —> il mutamento del fatto costitutivo dà luogo ad una semplice emendatio della domanda, possibile in ambiti più ampi fino ad un certo punto di avanzamento del processo. Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 22404/2018. La fattispecie su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite è una fattispecie frequente —> caso: un professionista riceve dal Comune l’incarico per elaborare un progetto per un opera pubblica, si stipula il contratto ma quando l’ingegnere chiede il compenso al Comune lo stesso nega il compenso affermando che sia mancata un’opportuna delibera interna della giunta comunale o del sindaco che autorizzasse il contratto stesso con il professionista. L’ingegnere agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo, il Comune sostiene di nulla dovergli appunto per non aver mai deliberato sulla conclusione del contratto. Il professionista decide non alla prima udienza di cambiare in parte la domanda: nonostante il contratto potrebbe essere nullo o inefficace, il progetto è stato fatto e addirittura il Comune ha realizzato l’opera così come da progetto, allora il professionista decide di chiedere il pagamento dell’opera non a corrispettivo ma a titolo di arricchimento senza causa (actio de in rei verso, attualmente ex artt. 2041, 2042 c.c.: se un soggetto si impoverisce con arricchimento altrui e questo reciproco impoverirsi e arricchirsi è ingiusto e non rimediabile attraverso una diversa azione, l’impoverito ha diritto di avere la minor quantità fra il proprio impoverimento e l’arricchimento altrui). Il professionista quindi passa da un azione di adempimento ad un’azione di arricchimento della causa: le parti sono le stesse, il petitum immediato resta lo stesso, il petitum mediato resta lo stesso al massimo si riduce, cambia sensibilmente la causa petendi (non è più il contratto, ma diventa la realizzazione di un progetto poi utilizzato dal Comune per realizzare l’opera pubblica). Il Tribunale di Torino aveva ammesso il cambiamento ritenendo che non si trattasse di un mutamento della domanda ma un mero cambiamento. La Corte d’Appello, a favore del Comune, ha invece affermato che si trattasse di un mutamento della domanda non più operabile dal professionista a quel punto dell’avanzamento del processo. Il professionista porta la questione all’attenzione delle Sezioni Unite della Cassazione che gli danno ragione, affermando che lo stesso professionista avendo iniziato con l’azione di adempimento contrattuale ben potesse emendarla in azione di arricchimento senza causa, poiché è vero che cambia la causa petendi ma in fondo il tema del contendere rimane pressoché lo stesso (non si sorprende con una richiesta completamente diversa). N.B.: nulla avrebbe impedito di formulare sin dall’inizio due domande, in via principale secondo un’azione di adempimento la richiesta al giudice di condannare il Comune a pagare il corrispettivo, in via subordinata la richiesta - se si fosse ritenuto nullo o inefficace il contratto per assenza di delibera - della condanna al Comune per arricchimento senza causa. 21 Anno accademico 2018-2019 Altri casi. Cassazione, sent. n. 659/2017. Il soggetto che conclude un preliminare di compravendita e non si vede concluso il contratto basato sul preliminare stesso, può ricorrere al giudice ai sensi dell’art. 2932 c.c. richiedendogli una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso. Caso: un soggetto agisce in giudizio ritenendo che il contratto sulla base di quale agisce sia già un contratto definitivo, traslativo di proprietà, chiedendo quindi al giudice di riconoscere la sua proprietà condannando il convenuto a trasferirgliela. Il convenuto si difende contestando che il contratto non sia definitivo ma un mero preliminare del contratto, ritenendo che la domanda dell’attore sia da respingere essendo nella mera fase preliminare. L’attore modifica la domanda richiedendo in corso d’opera una risoluzione della controversia ex art. 2932 c.c.: se il contratto fosse non definitivo ma un mero preliminare allora sulla base dell’art. 2932 c.c. si richiede al giudice una sentenza che tenga luogo del trasferimento della proprietà sulla base del preliminare di compravendita. Vi sono orientamenti discordanti della Cassazione, ma recentemente con la sentenza del 2017 di cui si parla, la stessa Cassazione ha ritenuto che si trattasse di una emendatio, ovvero una mera modifica possibile anche ad un certo punto di avanzamento del processo (parere di Ronco: sarebbe più un cambiamento sostanziale da qualificarsi come mutamento della domanda). Caso: un soggetto afferma di aver amministrato un condominio e non pagato agisce sulla base delle norme del c.c. che riconoscono all’amministratore del condominio un compenso. Dato che viene fuori, in corso di causa, che il soggetto proprio un vero amministratore di condominio non era, lo stesso modifica la domanda e invoca la gestione d’affari altrui (figura per la quale se un soggetto nell’impossibilità del dominus di occuparsene si ingerisce nell’attività altrui deve quantomeno portala a termine avendo il diritto di essere equamente compensato). In questo caso la Cassazione ha tenuto che si trattasse di una domanda nuova che non poteva essere corretta in corso d’opera. Caso: in una causa di divorzio, l’avvocato della parte inizialmente aveva richiesto lo scioglimento del matrimonio, dando per presupposto che fosse un matrimonio civile. La controparte del ricorrente aveva manifestato però il fatto che si trattasse di un matrimonio concordatario, allora l’avvocato del ricorrente cambia la domanda, passando da una richiesta di scioglimento del matrimonio civile ad una richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio (se si tratta di matrimonio concordatario, l’unico modo per sciogliere il matrimonio è adire ai Tribunali ecclesiastici per l’annullamento dello stesso). In questo caso la Cassazione ha ritenuto possibile il passaggio affermando che si trattasse di una mera modificazione della domanda. Caso: sentenza del 2012. Il paziente agisce contro la struttura ospedaliera affermando di aver subito un intervento chirurgico non riuscito e affermando che l’elemento colposo che ha determinato il difetto caratterizzante la non riuscita dell’intervento si dovrebbe identificare nell’operato del chirurgo, che avrebbe adottato una scelta comportamentale tale da cagionargli il danno. 22 Anno accademico 2018-2019 Secondo la Cassazione si tratta di quattro azioni distinte (Cassazione, 2003), perché si ritine che gli elementi del contratto, tanti quanti sono, fondino tante azioni corrispondenti, con la conseguenza che possano essere spesi più volte. 25 Anno accademico 2018-2019 Condizioni dell’azione. Le condizioni dell’azione sono fattispecie che debbano sussistere affinché il giudice possa pronunciare nel merito. L’azione, oggi in Italia, viene vista secondo la configurazione astratta, cioè non mira ad ottenere un provvedimento favorevole all’attore, bensì una mira ad ottenere un provvedimento sul merito della controversia. L’azione non c’è e il giudice non può pronunciarsi sul merito quando mancano le condizioni dell’azione stessa. Le condizioni stesse quindi condizionano il potere del giudice di affermare chi ha torto o chi ha ragione. È sicuro che le condizioni dell’azione siano 2: - legittimazione ad agire; - interesse ad agire. Talvolta se ne evoca una terza, utilizzata dalla giurisprudenza. Questa 3^ condizione viene chiamata più correntemente come possibilità giuridica. Possibilità giuridica. Partendo dalla concezione per la quale il giudice è il signore del diritto, mentre le parti hanno il monopolio per quanto riguarda i fatti relativi alla controversia, emerge un antico modo di vedere la giurisdizione: il processo di cognizione non tende a dire come si siano svolti i fatti o come va interpretata una norma, tende a dire e deve necessariamente dire se un diritto soggettivo o uno status esista o meno. È necessario quindi combinare norma e fatto, richiedendo al giudice, svolti determinati fatti fatti, attraverso l’applicazione di determinate norme, un certo diritto o un certo status. Esiste un’antica figura di argomentare, il sillogismo, che Aristotele per primo ha esaminato in varie figure, la prima e più semplice delle figure del sillogismo è una figura che ha una premessa generale, una premessa particolare e una conclusione. Allora si suol dire che il giudice faccia una sorta di sillogismo: - premessa generale —> legge; - premessa particolare —> fatti della controversia; - conclusione —> sentenza. Ecco che allora non si può agire in giudizio richiedendo al giudice di esaminare solo una delle premesse, allora la condizione dell’azione possibilità giuridica risponde al fatto che si chieda al giudice una pronuncia che stia nell’accertamento di un diritto o di una situazione soggettiva che può essere di mero accertamento, può cumularsi con una pronuncia di condanna o con una pronuncia sostitutiva. Caso (Cassazione, 2012): un lavoratore, dopo la cessazione del rapporto agisce in giudizio, semplicemente per far accertare che il datore di lavoro mentre il rapporto di lavoro era in corso lo aveva trasferito da un luogo all’altro di lavoro. Il lavoratore quindi, stranamente, chiedeva di accertare semplicemente l’avvenuto trasferimento (fatto) e da questo fatto non faceva però derivare nessuna domanda. 26 Anno accademico 2018-2019 La Cassazione ha affermato che una domanda di questo genere è improponibile perché la giurisdizione civile si può invocare per accertare una situazione giuridica soggettiva (diritto o status), non per dire come funziona la norma o come siano andati i fatti. Allora quando manca la possibilità giuridica così come quando mancano le condizioni dell’azione il giudice non entra nel merito della controversia perché la domanda può dirsi proposta in modo soltanto parziale, non allineato con quella che è la funzione della giurisdizione. Interesse ad agire. Art. 100 c.p.c. Interesse ad agire. Dispositivo dell'art. 100 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (1)(2)(3). Intanto il giudice può pronunciarsi nel merito in quanto chi formula la domanda, e chi resiste alla stessa, abbia interesse a proporre la domanda, o a resistervi. Il processo civile è retto dall’interesse delle parti —> condizione che mira ad evitare processi inutile. L’ordinamento mette a disposizione delle parti il processo civile ma non vuol dire che la funzione giurisdizionale debba girare a vuoto. L’interesse ad agire si declina correttamente se articolato in 2 sotto-classi: 1. interesse al mezzo: per avere interesse ad agire dal punto di vista del mezzo è necessario che il risultato che si vuol raggiungere attraverso il processo non sia raggiungibile dall’attore con mezzi alternativi al processo stesso di cui l’attore possa autonomamente disporre —> l’interesse al mezzo intanto sussiste in quanto il processo rappresenti l’unica modalità per raggiungere un certo risultato che l’attore non potrebbe autonomamente raggiungere al di fuori del processo; 2. interesse al risultato: è necessario che attraverso l’azione, dall’accoglimento della domanda derivi all’attore una qualche utilità oggettivamente apprezzabile, cioè che il fine a cui l’attore mira sia un fine accertabile in termini di utilità. N.B. Ci sono casi, azioni costitutive non necessarie (azioni in cui si chiede al giudice di modificare, estinguere o costituire un rapporto giuridico che sarebbe possibile modificare, estinguere o costituire anche fuori dal processo ma è necessario il consenso dell’altra parte), in cui l’interesse ad agire è quello di affermare che è vero che ci sia un diritto per il quale si potrebbe raggiungere un risultato anche fuori dal processo ma la parte che potrebbe dare il risultato nega la possibilità di raggiungere il risultato stesso. Quando però l’azione è costitutiva necessaria, ad esempio l’azione di interdizione, non c’è neanche bisogno di interrogarsi se il processo sia l’ultima spiaggia perché in questo tipo di azioni il processo è l’unica possibilità per raggiungere il risultato. Se manca l’interesse ad agire il giudice non procede ad una sentenza sul merito, perché l’azione manca in quanto manchi una condizione dell’azione quale l’interesse ad agire, così il processo si chiude con una sentenza meramente processuale. 27 Anno accademico 2018-2019 Il discorso sulla legittimazione straordinaria è il discorso che riguarda in qualche modo la tutela degli interessi diffusi o degli interessi collettivi. Si immagini il caso di un comportamento di un soggetto riverbera i suoi effetti su un numero indifferenziato di persone (soggetto imprenditore, anche se non è detto). Il problema della tutela degli interessi diffusi o collettivi è che molto spesso il singolo danneggiato riceve un pregiudizio non così accentuato da spingerlo ad agire in giudizio. Ma se l’azione venisse fatta collettivamente da tutti i soggetti che hanno ricevuto il pregiudizio che con una sola causa convenissero in giudizio l’imprenditore, il gioco economico delle spese potrebbe diventare interessante. Allora l’ordinamento in molti casi affida ad Associazioni (di tutela dei consumatori, di tutela ambientale ecc.) una legittimazione straordinaria ad agire. L’Associazione quindi può agire in giudizio contro l’imprenditore facendo valere non un suo diritto ma il diritto dei singoli rispetto ai quali la stessa si riconosce. Il Codice del consumo in particolare consente alle Associazioni di consumatori di agire esse in nome e per conto degli appartenenti alla categoria quando l’imprenditore usa per i suoi contratti delle condizioni vessatorie o abusive. Così pure le Associazioni dei consumatori possono agire quando l’imprenditore pone in essere comportamenti dannosi, non per chiedere il risarcimento del danno ma per ottenere l’ordine che determinati comportamenti cessino (domanda inibitoria). Azione di classe (class-action) —> art. 140-bis codice del consumo. Art. 140-bis codice del consumo. Azione di classe. Dispositivo dell'art. 140 bis Codice del consumo Fonti → Codice del consumo → PARTE V - Associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia → Titolo II - Accesso alla giustizia 1. I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui da' mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. 2. L'azione di classe ha per oggetto l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. L'azione tutela: 1. a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; 2. b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; 3. c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. 3. I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all'azione di classe, senza ministero di difensore anche tramite posta elettronica certificata e fax. L'adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, salvo quanto previsto dal comma 15. L'atto di adesione, contenente, oltre all'elezione di domicilio, l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa documentazione probatoria, e' depositato in cancelleria, anche tramite l'attore, nel termine di cui al comma 9, lettera b). Gli effetti sulla prescrizione ai sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente, dal deposito dell'atto di adesione. Azione malamente importata dagli ordinamenti di common-law è un’azione che non espone un fenomeno di legittimazione straordinaria, non c’è un’Associazione che agisce al posto dei singoli, ma se c’è una cerchia di soggetti che hanno avuto un pregiudizio da un comportamento di un imprenditore, uno di questi prende l’iniziativa come attore nella class-action che agisce per sé esercitando una legittimazione ordinaria, gli altri soggetti se vogliono intervengono nell’azione di classe di questo con un atto di adesione. 30 Anno accademico 2018-2019 In questo modo ciascuno agisce nell’azione di classe per sua adesione ancora in ambito della legittimazione ordinaria, la sentenza pronuncerà nei confronti dell’attore e di tutti coloro che hanno aderito alla domanda dello stesso. Per chi non è entrato nell’azione di classe quindi non ha aderito alla domanda, non ci sono effetti conseguenti alla sentenza dell’azione di classe stessa che infatti non avvantaggia ne danneggia coloro che non vi hanno aderito (massima tutela dell’autonomia individuale). Per chi è rimasto fuori quindi c’è la possibilità di fare una causa propria rimettendo in discussione ciò che è stato affermato nell’ambito dell’azione di classe. Tale sistema, all’italiana, viene chiamato sistema dell’opt-in: “scegli di entrare”, se non si entra nell’azione di classe né giova né nuoce il provvedimento adottato dal giudice. Invece nel sistema americano da cui è stata importata la class-action, funziona al contrario il meccanismo dell’opt-out: promossa l’azione di classe essa coinvolge direttamente tutti coloro che si trovano in una situazione simile, salvo che costoro con una dichiarazione espressa non intendano chiamarsene fuori. In Italia il singolo, secondo l’art. 140-bis codice del consumo, può decidere di farsi rappresentare in giudizio dall’Associazione, per cui quest’ultima non ha di per sé legittimazione ad agire ma può rappresentare in giudizio il singolo. Si tratta di Associazioni iscritte ad un particolare Registro della PA —> requisiti: - capacità finanziaria di un certo livello; - non deve trattarsi di un’associazione di comodo —> devono essere associazioni autentiche. 31 Anno accademico 2018-2019 Presupposti processuali. Legittimazione processuale. Quelle di cui si è parlato sono le condizioni dell’azione, situazioni che debbono sussistere affinché il giudice possa definire la controversia nel merito. Lo stesso effetto di implicare la possibilità di decisioni di merito anche per un’altra categoria di situazioni: presupposti processuali —> determinano la possibilità di una pronuncia di merito e sono essenzialmente 3: 1. giurisdizione; 2. competenza 3. legittimazione processuale. Legittimazione processuale. Legittimazione processuale o “legitimatio ad processum”. Il discorso sulla legittimazione processuale è lo specchio del diritto processuale del fenomeno del diritto sostanziale relativo alla capacità giuridica e alla capacità d’agire: • capacità giuridica: possibilità di essere titolari di diritti; • capacità d’agire: possibilità di esercitare con la propria volontà i diritti di cui si è titolari. Hanno la capacità di essere parte nel processo tutti coloro che hanno la capacità giuridica: persone viventi e quelle collettività organizzate che hanno capacità giuridica. Non tutti quelli che possono essere parte hanno però la legittimazione processuale, quindi la capacità di esercitare con la propria volontà il diritto di azione e gli altri diritti che si possono far valere nel processo. Esempio: i minori, così come non hanno la possibilità di esercitare i diritti di cui sono titolari se non attraverso il genitore o il tutore, non possono agire in giudizio se non rappresentati dal genitore o dal tutore. Si dice allora che è legittimato processualmente il soggetto che può esercitare da sé l’azione e gli altri diritti che si fanno valere nel processo. Ipotesi particolare: se agisce in giudizio un morto o se si agisce in giudizio contro un morto si dice che la sentenza pronunciata con un morto coinvolto nel processo è una sentenza inesistente. Si tratta cioè di una sentenza che non ha bisogno di essere impugnata per far si che cada perché così gravemente viziata che se anche non soggetta a mezzi di impugnazione si può accertare comunque che non valga niente. Esempio: Tizio erede di due persone, pensa che la famiglia fosse proprietaria di un immobile, ma c’è una sentenza di un tribunale riguardo ad un’azione di Caio nei confronti dei nonni di Tizio rimasti contumaci, che hanno perso la causa. Si era in questo caso ampiamente fuori dai termini per appellare la sentenza, quindi formalmente si trattava di una sentenza passata in giudicato. Emerge il fatto che i nonni di Tizio tuttavia nel momento in cui la causa era iniziata fossero già deceduti: caso di sentenza inesistente perché pronunciata nei confronti di soggetti che al momento dell’inizio della causa erano già deceduti. Più frequentemente capita che la sentenza possa essere viziata per difetto di soggettività delle parti nei confronti delle società o delle persone giuridiche. 32 Anno accademico 2018-2019 Il convenuto. Soggetto nei confronti del quale l’azione è proposta. Mentre l’attore è sempre attivo, il convenuto, che assume tale qualità per il solo fatto che è proposto contro di lui un processo, può nel processo tenere un atteggiamento attivo e difendersi o può tenere un atteggiamento omissivo-passivo. Rispetto all’atteggiamento omissivo-passivo la storia e la comparazione espongono diversi atteggiamenti del legislatore: - processo formulare (diritto romano): si richiede che il convenuto accetti la formula dell’attore, se così non accade perché il convenuto sta silente non accettando di difendersi addirittura il giudice non può arrivare alla sentenza (salvo i mezzi per costringere il convenuto ad accettare la formula) —> la mancata adesione del convenuto secondo questo modello impedisce la pronuncia di merito; - ordinamenti attuali —> importante divaricazione tra quelli di matrice napoleonica e quelli di matrice germanica: 1. gli ordinamenti di matrice germanica vedono nel disinteresse del convenuto una grande offesa per l’amministrazione della giustizia, tali ordinamenti quindi sanzionano il disinteresse del convenuto arrivando in certi casi a consentire che la domanda dell’attore venga accolta per il solo fatto che il convento non abbia partecipato attivamente (come se il mancato intervento del convenuto fosse indice del fatto che lo stesso abbia torto); 2. gli ordinamenti di matrice napoleonica a differenza hanno un grand rispetto anche per l’atteggiamento passivo-omissivo del convenuto: se il convenuto non vuole difendersi non vuol dire che abbia torto, ma si tratta di un precipitato dell’autonomia individuale —> così come un soggetto è libero di tenere certi atteggiamenti al di fuori del processo, così il fatto di essere stato invocato in giudizio non nuoce di per sé alla sua situazione (es.: ipotesi eclatante nella quale il non difendersi potrebbe giovare al convenuto più di una difesa attiva). Posizione attiva del convenuto. Ciò che può fare il convenuto che intende difendersi attivamente si suol articolare in una serie di atteggiamenti via via più aggressivi ovvero più oppositivi nei confronti della posizione dell’attore. Difesa in diritto (1). Convenuto che riconosce come veri tutti i fatti raccontati dall’attore, ma fa nelle sue difese una questione di diritto (è tutto vero, ma le conseguenze dal punto di vista delle norme giuridiche sono sbagliate): difesa in diritto che non contesta la ricostruzione dei fatti offerta dall’attore. Contestazione dei fatti (2). Il convenuto non solo si muove nell’ambito delle norme di diritto ma contesta anche che in tutto o in parte il racconto dell’attore sia vero —> problema, che da qualche anno si tenta di risolvere da una regola contenuta dall’art. 115 c.p.c. 35 Anno accademico 2018-2019 Art. 115 c.p.c. Disponibilità delle prove. Dispositivo dell'art. 115 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo V - Dei poteri del giudice Salvi i casi previsti dalla legge (1), il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita (2). Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (3). Rispetto ai fatti che non vengono specificamente contestati l’attore non ha bisogno di prova, è necessario dimostrare quei fatti controversi in quanto specificamente contestati dalla controparte. Se un fatto non è contestato è pacifico e il giudice deve assumerlo come vero e il giudice deve assumerlo come vero indipendentemente dalle prove, solo se un fatto è contestato diventa controverso e per verificare che il fatto controverso si sia o meno realizzato è necessario ricorre a prove. Se la parte è contumace il meccanismo non funziona: se i fatti costitutivi che l’attore pone a fondamento della sua domanda sono più di uno l’attore, se il convenuto è contumace, ha l’onere di provarli tutti quanti perché il meccanismo della non contestazione non funziona quando una delle parti è contumace. Se invece il convenuto si difende attivamente l’attore può giovarsi del meccanismo della non contestazione perché se per ipotesi il convenuto contesta solo alcuni dei fatti enunciati dall’attore, sui fatti non contestati il giudice non ha bisogno di prova. Contestazione specifica: è evidente che se il convenuto addirittura ammette uno dei fatti esposti dall’attore, non lo contesta —> ammissione espressa. La giurisprudenza avvicina al riconoscimento espresso il riconoscimento implicito. Secondo il c.p.c. i fatti per essere controversi, quindi fatti rispetto ai quali sono necessarie delle prove, devono essere specificamente contestati. È necessario verificare cosa significhi contestazione specifica dei fatti: contestare specificatamente infatti non significa semplicemente isolare un’affermazione e ritenerla falsa ma è necessario fare qualcosa di più, ovvero è necessaria una contro-narrazione —> bisogna offrire un racconto e un’esposizione dei fatti alternativa a quella dell’attore rispetto al fatto che si vuole contestare. Dato il contro-racconto l’onere della prova resta dell’attore, la contro-narrazione serve a rendere il racconto dell’attore un racconto controverso, quindi i fatti raccontati dallo stesso non pacifici, quindi bisognosi di prove. Questo meccanismo velocizza il processo per in molti casi si rendono superflue le prove, ma il processo si velocizza a costo di raggiungere una verità fittizia perché basta che un fatto non sia specificamente contestato (magari la mancata contestazione specifica è dovuta dall’incuria o dall’inabilità dell’avvocato) e il fatto viene fissato dal processo in modo diverso da come fissato nella realtà. Tale orientamento interpretativo arriva ad affermare che il processo non mira tanto al riconoscimento della verità, ma mira alla risoluzione delle liti. 
 
 36 Anno accademico 2018-2019 Intanto è prevedibile una contro-narrazione in quanto il soggetto sia a conoscenza della situazione di fatto rispetto alla quale dovrebbe raccontare il contrario, ma ci sono fatti costitutivi rispetto ai quali il convenuto nulla sa, rispetto a questi non è pretendibile che lo stesso per contestarli debba offrire la contro-narrazione.
 
 A volte si ritiene che sia sia sollevato dalla contro-narrazione anche quando raccontare l’alternativa esporrebbe il soggetto al racconto di vicende privatissime (concezione dubbia). Eccezioni di merito (3). Il convenuto poi potrebbe raccontare dei fatti ulteriori rispetto a quelli raccontati dall’attore. Se l’attore racconta dei fatti costitutivi allora il convenuto tipicamente potrebbe raccontare fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto contestato —> eccezioni di merito: tecnicamente sono il racconto di fatti ulteriori rispetto a quelli raccontati dall’attore che avrebbero l’effetto di estinguere, modificare o impedire la posizione soggettiva vantata dall’attore stesso. Lo stesso onere di contestazione che ha il convenuto rispetto ai fatti costitutivi raccontati dall’attore a specchio si ribalta: se il convenuto racconta un fatto modificativo, impedito o estintivo, sorge l’onere per l’attore della contestazione specifica. Se una determinata eccezione non è specificamente contestata si ritiene, se si è nell’ambito di diritti disponibili, vera indipendentemente della prova, quindi senza necessità della prova stessa. Le eccezioni di merito si distinguono in 2 classi: I. eccezioni in senso lato o rilevabili anche d’ufficio dal giudice; II. eccezioni in senso stretto o rilevabili soltanto su istanza di parte. Art. 112 c.p.c. Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Dispositivo dell'art. 112 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo V - Dei poteri del giudice Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda (1)e non oltre i limiti (2) di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti (3). Dall’art. 112 c.p.c. si ricava la regola per la quale l’eccezione è tendenzialmente rilevabile d’ufficio, per aversi un’eccezione su istanza di parte è necessario che sia previsto dalla legge espressamente o che si possa ricavare univocamente dal sistema che l’eccezione non può che essere portata dal convenuto. È vero che il giudice non può conoscere che fatti raccontati dalle parti, ma di questi fatti l’effetto giuridico, non il fatto nella sua materialità ma le conseguenze giuridiche, talora il giudice le può ricavare d’ufficio (regola generale), talora le può trarre perché indicate soltanto dalla parte (eccezione in senso stretto). Esempio: tipica eccezione in senso stretto, rilevabile su istanza di parte —> prescrizione estintiva: il mancato esercizio di un diritto per un certo tempo determina l’estinzione del diritto —> secondo il c.c. non è rilevabile d’ufficio dal giudice, può essere soltanto eccepita dalla parte. Esempio: altro caso in cui viene detto espressamente dal legislatore che l’eccezione di merito dev’essere rilevata su istanza di parte —> compensazione: modo di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento per cui se il debitore di una somma è anche creditore del suo creditore per 37 Anno accademico 2018-2019 Il giudicato. Nessuna sentenza di 1°grado, pronunciata dal giudice che risolve la controversia, è immediatamente irrevocabile. Il sistema costruisce una pluralità di mezzi di impugnazione, che si articolano in una grande distinzione: - mezzi di impugnazione ordinari: mezzi di impugnazione con i quali si fanno valere vizi palesi della sentenza —> sono vizi palesi i vizi che emergono dalla lettura della sentenza stessa, si chiamano vizi occulti quelli che possono emergere a distanza di tempo e quindi che non vengono fuori dalla mera lettura della sentenza (es. revocazione: dolo del giudice —> il giudice ha dato ragione ad una parte e torto all’altra perché influenzato da fattori diversi, tipicamente il giudice corrotto —> il dolo del giudice è un vizio occulto); - mezzi di impugnazione straordinari: mezzi di impugnazione che non hanno un termine. Si dice che la sentenza passa in giudicato quando non sono più spendibili mezzi di impugnazione ordinari contro la stessa, quindi mezzi di impugnazione con i quali si fanno valere vizi palesi. Non si può dire che ci sia un momento in cui la sentenza non sarà più attaccata perché le impugnazioni straordinarie non hanno un termine legato alla pronuncia della stessa, anzi potrebbero essere spese a distanza di moltissimo tempo, ma si pò dire che ci sia un momento in cui la sentenza passa in giudica (momento in cui, impregiudicate le impugnazioni straordinarie, quelle ordinarie fondibili su vizi palesi sono consumate). Giudicato in senso formale: qualsiasi sentenza del giudice quale che ne sia il contenuto passa in giudicato formale quando siano esperiti i mezzi di impugnazione ordinari. Giudicato i senso sostanziale: al giudicato formale può accompagnarsi il giudicato sostanziale —> la cosa giudicata in senso sostanziale è quella che assiste le sentenze passate in giudicato che entrano nel merito della controversia e dichiarano se il diritto fatto valere dall’attore esiste o meno. Quando la sentenza è meramente processuale non forma la cosa giudicata sostanziale. La cosa giudicata sostanziale, che assiste soltanto le sentenze di merito è riportata di cui all’art. 2909 c.c. Art. 2909 c.c. Cosa giudicata. Dispositivo dell'art. 2909 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO SESTO - Della tutela dei diritti → Titolo IV - Della tutela giurisdizionale dei diritti → Capo I - Disposizioni generali L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.] fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa [1306] (1). Accertamento: sul diritto sostanziale fatto valere o sullo status fatto valere. Se la sentenza è meramente processuale l’art. 2909 c.c. non viene in rilievo. Il giudicato formale è indicato all’art. 324 c.p.c. Art. 324 c.p.c. Cosa giudicata formale. Dispositivo dell'art. 324 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo III - Delle impugnazioni → Capo I - Delle impugnazioni in generale Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 [124 disp. att.] (1). 40 Anno accademico 2018-2019 Quando si ha un giudicato sostanziale, il giudicato opera una doppia efficacia: - efficacia impeditiva: implica che se viene proposta la stessa azione sulla quale è sceso il giudicato sostanziale il giudice a cui è proposta la stessa domanda deve rifiutarsi di decidere perché la decisione è già stata resa con sentenza passata in giudicato; - efficacia conformativa: il giudicato sceso sul rapporto principale conforma al giudicato le azioni dipendenti —> quando l’azione è dipendente dall’azione rispetto alla quale si è avuto il giudicato, il secondo giudice può decidere sulla causa ma deve conformarsi rispetto a ciò che è stato deciso con la sentenza rispetto alla quale è sceso il giudicato. Rispetto alla cosa giudicata meramente formale, le sentenze a contenuto esclusivamente processuali anche quando passano in giudicato formale non vincolano mai il secondo giudice. Il vincolo impeditivo o conformativo riguarda solo le sentenze di merito, ovvero le sentenze sulle quali scende il giudicato sostanziale. Limiti della cosa giudicata (giudicato sostanziale). Limiti oggettivi: limiti che affermano rispetto a quali temi si forma il vincolo impeditivo o il vincolo confermativo. Limiti soggettivi: limiti riferiti a quali parti il giudicato opera il suo vincolo. Il principale limite oggettivo è così configurabile: il giudicato si forma non soltanto sul singolo diritto fatto valere ma anche sugli aspetti del medesimo rapporto giuridico che sono essenziali per pronunciare su quel singolo aspetto azionato, fatto valere in giudizio. Il giudicato scende in profondità su ogni profilo del rapporto giuridico che sia essenziale per pronunciare sul singolo diritto fatto valere. Esempio: tra Tizio e Caio c’è un rapporto contrattuale caratterizzato da obbligazioni continuative o periodiche. Tizio è proprietario di un appartamento dato in locazione a Caio che non paga tre mensilità di canone, Tizio quindi fa causa a Caio per ottenere la condanna e vince, la sentenza passa in giudicato. Un anno dopo Caio è di nuovo moroso, un’altra volta Tizio gli fa causa, ma in questa seconda causa Caio afferma di non dover nulla a Tizio perché il contratto di locazione è nullo, questione che nella prima causa non è venuta fuori. Ci si è chiesti se sposa nella seconda causa spendere una questione sulla validità del contratto o se questa sia stata spesa nella prima causa affermando che le tre mensilità fossero dovute. Una visione restrittiva nei limiti del giudicato afferma che si tratta di due episodi diversi. Una visione estesa che la giurisprudenza tende a seguire sempre di più afferma che il giudicato scende in profondità anche su tutti gli elementi del medesimo contratto (rapporto) che sono momenti imprescindibili per pronunciarsi sull’accertamento del diritto. Allora nella seconda causa non si potrà discutere sulla validità del contratto, perché coperta dal primo giudicato. La giurisprudenza però fondandosi sull’art. … confina il ragionamento a quei presupposti che riguardano il medesimo rapporto contrattuale. Quando invece la pronuncia fa anche riferimento ad un diverso rapporto contrattuale, su questo secondo rapporto contrattuale di per sé il giudicato non scende. Esempio: art. 2054 c.c. —> chi conduce un veicolo che viaggia fuori dalle rotaie se cagiona con la sua condotta di guida danni ad altri è tenuto a risarcire i danni stessi e risponde solidalmente il proprietario del veicolo. 41 Anno accademico 2018-2019 Caio guidando un automobile pagina un danno a Tizio che ha nella disponibilità un’azione risarcitoria ma sapendo che Caio non è benestante esperisce detta azione contro il proprietario del veicolo, benestante. Per decidere se Caio può o no agire per il risarcimento contro il proprietario del veicolo è necessario accertare la causa petendi, molto articolata, perché entra in gioco la proprietà del veicolo, rapporto giuridico diverso dal rapporto giuridico fondato sulla responsabilità da fatto illecito. Allora in questi casi si ritiene che se Caio vince la causa, sulla proprietà della macchina il giudicato non scende. Allora se Caio vince la causa di risarcimento contro Tizio, riscuotendo 15.000 e poi sorge controversia diversa tra Caio e lo stesso proprietario, per la compravendita dell’automobile, il giudicato dell’azione risarcitoria non scende ad accertare la proprietà dell’automobile di cui si potrà discutere liberamente. In questi casi si dice che l’accertamento sul rapporto pregiudiziale su cui non scende l giudicato è un accertamento fatto in via meramente incidentale ossia semplicemente per arrivare a decidere sul rapporto principale senza che sul rapporto pregiudiziale scenda la cosa giudicata (cognizione incidenter tantum). Il giudicato scende non solo sull’oggetto specifico della domanda ma anche su tutti i suoi antecedenti logici purché riguardino lo stesso rapporto giuridico. Non scende su quegli antecedenti logici che attengono ad un rapporto giuridico diverso. La distinzione che attiene al fatto che il rapporto giuridico sia lo stesso o diverso in molti casi è estremamente dubbia. Il giudicato è come una fotografia del diritto che riproduce lo stesso in quel momento, ciò che succede in seguito non è coperto da giudicato —> regola per cui la cosa giudicata copre il dedotto ed il deducibile. La cosa giudicata impedisce di rimettere in discussione non solo quello di cui si è parlato espressamente nel processo che ha portato alla sentenza ma impedisce anche di mettere in crisi il giudicato attraverso cos che sarebbero state deducibili e la parte non si è avveduta di eccepire (caso dell’eccezione di prescrizione). Ma se un determinato fattore non è stato dedotto e non era nemmeno deducibile, allora il giudicato può essere messo in discussione sulla base delle stesse sopravvenienze. Tale teoria dei limiti oggettivi del giudicato è stata messa in crisi recentemente da un escamotage interessante, attuato dalla giurisprudenza: il giudice può, nel pronunciare la sentenza scegliere la ragione più liquida. La strada dell’attore è più difficile di quella del convenuto perché per vincere la causa nel merito deve dimostrare tutti i fatti costitutivi del suo diritto c nello stesso tempo che non vi siano fatti impeditivi, estintitivi e modificativi dello stesso, basta che vi sia una carenza nella dimostrazione stessa e per questo la domanda andrà respinta. Secondo l’escamotage della ragione più liquida non c’è dubbio che dal punto di vista della logica del diritto sostanziale le questioni si pongano in un ordine necessario - prima i fatti costitutivi, poi gli eventuali fatti impeditivi, modificativi ed estintivi - ma si supponga che un’eccezione sia palese ed evidente e si supponga che l’accertamento dei fati costitutivi sia assai complesso: pur di fronte alla possibilità di concludere la causa tempestivamente, con l’accoglimento dell’eccezione, il giudice che si muove secondo logica dovrebbe però prima effettuare complesse indagini per accertare che il diritto sia sorto e solo dopo dichiarare l’intervento e palese eccezione. 42 Anno accademico 2018-2019 Limiti soggettivi del giudicato. I limiti soggettivi rendono palesi le parti vincolate, coinvolte, dal giudicato su una certa situazione. Art. 24 comma 2 Cost. —> il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del giudizio. Art. 101 comma 2 Cost. —> qualsiasi processo si svolge nel contraddittorio delle parti. Se a questi principi costituzionali si aggiunge un principio di giustizia per cui un soggetto intanto può subire un danno o un pregiudizio da una sentenza in quanto abbia potuti influire sulla pronuncia della sentenza, è necessario affermare che il giudicato tendenzialmente vincola le parti che hanno partecipato al processo in seguito del quale si è pronunciata la sentenza, che hanno potuto esercitare il proprio diritto di difesa e influire sulla sentenza stessa. Ciò è vero ma l’ordinamento prevede alcune estensioni soggettive, ovvero prevede che il giudicato abbia vincolo anche per soggetti che non hanno partecipato al processo. Estensioni soggettive: 1. Art. 2909 c.c. —> la sentenza ha effetti fra le parti, i loro eredi e aventi causa: endiadi —> gli aventi causa sono coloro che succedono nella stessa posizione giuridica del dante causa, gli eredi sono degli aventi causa del de cuius: sono vincolati dal giudicato non soltanto coloro che danno causa, ovvero che subentrano nella posizione giudica dopo la pronuncia della sentenza, ma anche coloro che ereditano o diventano titolari della posizione in corso di giudizio (l’inizio della causa fotografa una certa situazione per la quale il giudicato vincolerà le parti del giudizio e coloro che, dal momento dell’inizio del giudizio in poi, subentreranno nella stessa posizione soggettiva); 2. Esistono dei legami di rapporti giuridici caratterizzati, dal punto di vista soggettivo dalla pregiudizialità-dipendenza, in cui il terzo avente causa non acquista la stessa posizione soggettiva del dante causa ma ne acquista una dipendente dalla prima (sub-contratto: secondo contratto che intanto si fa in quanto c’è il primo) —> si ritiene che la cosa giudicata abbia effetto su quei terzi titolari di un sub-rapporto, ovvero da un rapporto che deriva, dipende dal quello su cui è sceso il giudicato.
 
 A questo proposito è emblematica una norma del c.c. di cui all’art. 1595 c.c., dedicata ai rapporti tra locatore e sub-conduttore —> terzo comma, art. 1595 c.c.: la nullità o la risoluzione del contratto ha effetto anche nei confronti del sub-conduttore e la sentenza pronunciata fra locatore e conduttore ha effetto anche contro il sub-conduttore. È vero che il sub-conduttore, anche se non chiamato in causa, subisce gli effetti della sentenza a meno che dimostri che quella sentenza è il frutto del dolo o della collusione contro di lui degli altri soggetti coinvolti (la sentenza può essere riformulata attraverso l’opposizione di terzo). Si ritiene che la cosa giudicata sulle azioni di status e in particolare sulle azioni circa le azione sullo stato di famiglia operi erga omnes, ovvero che vincoli qualsiasi consociato anche se non abbia partecipato al processo. Ciò perché l’ordinamento non potrebbe tollerare che a taluno sia attribuito lo status coniugi o lo status filiationis, a certi altri fini non gli sia più attribuito (accertato una volta lo status, questo accertamento verso chiunque non può essere più messo in discussione). Si ripropone periodicamente un fenomeno verso il quale la giurisprudenza utilizza questo criterio rigidamente. 45 Anno accademico 2018-2019 Caso: matrimonio, tradimento della moglie, nascita di un figlio del quale il vero padre è l’amante della moglie. Se la moglie dichiara il figlio come figlio nato dal matrimonio scatta la presunzione di paternità del marito, che è possibile scalzare attraverso l’azione di disconoscimento della paternità. La giurisprudenza più volte si è interrogata se il padre naturale possa intervenire al giudizio di disconoscimento della paternità. La stessa giurisprudenza benché abbia avvertito la gravità della questione ha ritenuto che il padre naturale non possa partecipare al giudizio di disconoscimento della paternità che resta un giudizio chiusi ai membri della famiglia - quali il figlio, il marito e la moglie - ritenendo che l’azione sul disconoscimento della paternità si a lui opponibile quale sentenza sullo status filiationis nonostante egli non solo non abbia partecipato ma non poteva proprio partecipare al giudizio. Si ritiene che la sentenza passata in giudicato esplichi soggettivamente i sui effetti anche nei confronti dei creditori delle parti. Art. 2740 c.c.: ciascuno risponde delle proprie obbligazioni con il suo patrimonio presente e futuro —> garanzia patrimoniale generica. Se il creditore è uno solo e il patrimonio del debitore è consistente, lo stesso creditore può stare tranquillo, ma se i creditori si moltiplicano, ogni volta che viene pronunciata una sentenza di condanna che passa in giudicato c’è un altro creditore che si aggregherà allora è chiaro che l’interesse del primo creditore sarebbe quello che non ci siano altri creditori, però si ritiene che se un altro creditore vince una causa contro lo stesso debitore, questo sia pregiudizievole per il primo creditore in quanto anche l’altro creditore potrà far valere la sua vittoria sul patrimonio del debitore come garanzia generica, rispettando la sentenza. Cassazione, sent. n. 5411/2019 ha applicato il principio in relazione a questa fattispecie. Caso: Tizio è debitore di Caio, indigente, ma con uno zio benestante e privo di figli, per cui Tizio pensa di poter ottenere l’adempimento nel momento in cui Caio erediterà. Tizio è quindi interessato al fatto che Caio possa ereditare dallo zio per far entrare nel proprio patrimonio una garanzia sufficiente a soddisfare il suo diritto. Purtroppo interviene una sentenza per la quale Caio viene dichiarato indegno a succedere. Tizio quindi è tristemente sorpreso dalla sentenza di indegnità, ma secondo la Cassazione riguardo a questo Tizio nulla può fare, perché la sentenza di indegnità riverbera i suoi effetti anche sui creditori senza che sia necessario che abbiano partecipato in giudizio. Ma così come i titolari di un sub-contratto possono far valere la sentenza-truffa dimostrando che la sentenza è stata fatta per frodare le loro ragioni, anche i creditori hanno lo stesso strumento. Se da un altrui sentenza un creditore riceve danno deve inevitabilmente subirlo a meno che dimostri che la sentenza è il frutto di un accordo collusivo fatto apposta per pregiudicare le ragioni di questo. Si hanno dei casi in cui il giudicato si estende o meno soggettivamente a seconda di quello che la sentenza ha affermato, in cui cioè l’estensione soggettiva o meno dipende dal tenore della sentenza: estensione soggettiva secundum eventum litis. L’applicazione più importante di questo principio si ha in uno degli articoli del c.c. dedicato alle obbligazioni solidale, precisamente di cui all’art. 1306 c.c. 46 Anno accademico 2018-2019 Art. 1306 c.c. Sentenza. Dispositivo dell'art. 1306 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO QUARTO - Delle obbligazioni → Titolo I - Delle obbligazioni in generale → Capo VII - Di alcune specie di obbligazioni → Sezione III - Delle obbligazioni in solido La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori [2909] (1). Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi (2). Le obbligazioni solidali sono quelle obbligazioni plurisoggettive in cui o dal lato passivo (solidarietà passiva) ci sono più debitori per la stessa prestazione o dal lato attivo (solidarietà attiva) ci sono più creditori della stessa prestazione. Esempio: Tizio è creditore di Caio, Sempronio fideiussore dello stesso. Tizio fa causa solo a Sempronio e il giudice con sentenza ritiene che nulla è dovuto. A questo punto Tizio fa causa a Caio che in giudizio potrà opporre a Tizio la sentenza precedente nei confronti del fideiussore per la quale è affermato che nulla è dovuto, a meno che la vittoria del fideiussore fosse legata a ragioni particolari della fideiussione. Se il fideiussore ha vinto la causa perché il giudice ha accertato che il debito non era sorto o prescritto allora il debitore può approfittare del giudicato perché lo avvantaggia, se invece il fideiussore fosse soccombente la vittoria del debitore non può essere opposta al fideiussore, nel senso che questo può liberamente difendersi non essendo vincolato ad un giudicato a lui sfavorevole, legato ad un giudizio a cui non ha partecipato. Secundum eventum litis —> nelle obbligazioni solidali se vince il debitore solidale la vittoria può essere presa come vantaggio anche dagli altri, se il debitore solidale perde la sconfitta non deve andare a svantaggio degli altri che possono liberamente difendersi. 47 Anno accademico 2018-2019 La pronuncia resa senza la presenza in giudizio di tutti i litisconsorti necessari quindi è una pronuncia viziata, non solo perché apparentemente coinvolge un terzo che non è stato chiamato in giudizio, ma anche perché sarebbe invalida e improduttiva di effetti per le stesse parti che hanno svolto il ruolo di attore e convenuto nel processo. Cassazione, Sez. Unite, sent. n. 9685/2013. Caso: Tizio ha il fondo intercluso da altri, ovvero si ritrova pluri-circoncluso da più soggetti per cui per poter accedere alla via pubblica non solo ha bisogno di una servitù di passaggio nei confronti di Caio ma anche nei confronti di Sempronio. Tizio fa causa solo a Caio perché con Sempronio ha una specie di tacito accordo per cui se ottenesse la servitù coattiva verso Caio a quel punto gliela concederebbe anche Sempronio stesso. Il giudizio si svolge quindi verso Caio senza coinvolgere Sempronio. Viene pronunciata sentenza sia in 1° sia in 2°, poi viene impugnata in Cassazione da Caio soccombente che sostiene che nel processo sarebbe dovuto essere coinvolto anche Sempronio come litisconsorte necessario. Secondo le Sezioni Unite Sempronio avrebbe dovuto partecipare effettivamente in giudizio che litisconsorte necessario perché secondo la Cassazione la sentenza ottenuta dal circoncluso solo verso uno dei soggetti coinvolti sarebbe una sentenza inutile perché non consentirebbe comunque l’accesso alla via pubblica. Si tratta quindi di un’applicazione della figura litisconsorzio necessario per cui in mancanza del coinvolgimento di tutti la pronuncia non garantirebbe l’utilità auspicata dall’attore. Se il giudice si rende conto che non stanno partecipando tutti i soggetti che sarebbero litisconsorti necessari, si ha in questo caso un atteggiamento clemente del legislatore italiano. La soluzione più drastica sarebbe una pronuncia di mero rito con la quale il giudice dichiara di non poter decidere nel merito perché non sono presenti tutte le parti necessarie in giudizio. Secondo un atteggiamento appunto clemente del legislatore italiano se il giudice si accorge che manca una parte necessaria invita le altre parti ad integrare il contraddittorio, quindi a convenire in giudizio anche quel soggetto che non era stato originariamente convenuto. Se le parti raccolgono l’invito del giudice il difetto si sana e si sana retroattivamente, come se il processo fosse fin dall’inizio partito in modo valido. Se però nonostante l’invito del giudice le parti non integrano il contraddittorio si ha una sanzione pesante, ovvero il processo si estingue (estinzione del processo —> fine anomala del processo per cui lo stesso termina senza una decisione di merito). Se il giudice non si rende conto della situazione di litisconsorzio necessario e non sono presenti tutti i soggetti che dovrebbero necessariamente partecipare al processo, secondo la giurisprudenza la sentenza resa a contraddittorio non integro e non sanato (senza invito a sanare) è una sentenza invalida anche per le parti che hanno partecipato al processo. Si tratta quindi di una sentenza priva di effetti. Esistono delle forme di litisconsorzio necessario per volontà del legislatore, in cui la stessa volontà del legislatore non è determinata da una necessità ma da ragioni di opportunità. Fenomeni principali. Dal 1969 è obbligatoria l’assicurazione per la circolazione di veicoli: il danneggiato ha azione diretta, ovvero può pretendere il risarcimento del danno direttamente dall’assicuratore (art. 2054 c.c.). in caso di danno quindi sono tre i soggetti a rispondere: conducente, proprietario del veicolo e assicuratore. Si tratta di tre soggetti legati dal vincolo di solidarietà (obbligazione solidalmente passiva). 50 Anno accademico 2018-2019 Secondo l’art. 144 cod. ass., però, se il danneggiato si rivolge in giudizio all’assicuratore deve necessariamente coinvolgere, come litisconsorte necessario, il proprietario del veicolo (ragione di opportunità: l’assicuratore nulla sa dell’incidente, ha bisogno di qualcuno che lo affianchi in giudizio che gli fornisca i dati, che non può che essere l’assicurato ovvero il proprietario del veicolo). Nel 2017 è stata riformata la responsabilità medica. Se il medico opera all’interno di una struttura, risponde il medico che mal esercita la sua attività, risponde solidalmente la struttura e solidalmente l’assicuratore della struttura ospedaliera. Se il soggetto danneggiato agisce contro l’assicuratore è necessario convenire in giudizio anche la struttura ospedaliera. Si potrebbe parlare di litisconsorzio necessario unilaterale: se si conviene in giudizio il proprietario del veicolo, nel primo caso, o la struttura ospedaliera, nel secondo caso, non è necessario integrare ulteriormente il contraddittorio, se però si conviene l’assicuratore allora necessariamente si deve convenire in giudizio anche il proprietario del veicolo, nel primo caso, o la struttura ospedaliera, nel secondo caso. Se la violazione del litisconsorzio necessario nei casi forti, di necessità, dà luogo ad una sentenza inutile (priva di effetti), di fronte ai casi di litisconsorzio per ragioni di opportunità la violazione della regola non determina l’inefficacia della sentenza ma solamente la nullità della stessa. Si tratta quindi una sentenza impugnabile ma una volta passata in giudicato, se non impugnata, spiegherà normalmente i suoi effetti. Intervento.
 
 Il litisconsorzio non si realizza ab originem ma a processo iniziato: ingresso di altri soggetti a causa già iniziata. Istituto dell’intervento: - volontario; - coattivo: • su istanza di parte; • su ordine del giudice. Intervento volontario. Art. 105 c.p.c. Intervento volontario. Dispositivo dell'art. 105 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti (1) o di alcune di esse (2), un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo (3). Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse (4). Intervento volontario ex art. 105 c.c.—> 3 tipologie: 1. intervento principale: il terzo fa valere un proprio diritto che è incompatibile con quelli fatti valere dalle parti originarie —> il terzo si pone in opposizione ad entrambi i litiganti originari e il processo diventa una lite a tre, ciascuno contro gli altri due; 51 Anno accademico 2018-2019 2. intervento litisconsortile autonomo - adesivo autonomo: il terzo fa valere un proprio diritto, contro uno dei litiganti, ma si affianca nella sua posizione all’altro litigante —> non più una lite che vede tutti contro tutti, ma uno contro gli altri due; 3. intervento adesivo dipendente: il terzo si limita, in quanto ne ha interesse, a sostenere le ragioni di una delle parti. Nelle prime due figure il terzo chiede quantomeno l’accertamento di un proprio diritto, ovvero fa valere lo stesso in giudizio, nella terza figura il terzo sostiene le ragioni di una delle parti (in quanto ne ha interesse). Nelle prime due figure di intervento il processo diventa cumulativo, perché le azioni sono quella iniziale più quella del terzo. Nella terza figura il processo non diventa cumulativo, perché l’oggetto resta sempre lo stesso, il terzo infatti non fa valere un proprio diritto ma si affianca alla posizione di una delle parti, sostiene la posizione della parte la cui vittoria gli conviene. Esempio: il giudicato estende i suoi effetti anche ai terzi che hanno un rapporto che dipende da quello fatto valere tra le parti —> caso della locazione e sub-locazione: se c’è una controversia tra locatore e conduttore circa la durata del contratto è chiaro che il sub-conduttore ha interesse a che vinca il conduttore, il sub-conduttore allora può intervenire in giudizio in modo adesivo-dipendente per sostenere le ragioni del conduttore (altrimenti il sub-conduttore non avrebbe la legittimazione ad agire). Intervento coattivo. Intervento su istanza di parte. L’iniziativa dell’intervento è rimessa ad una delle parti —> art. 106 c.p.c. Art. 106 c.p.c. Intervento su istanza di parte. Dispositivo dell'art. 106 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione Ciascuna parte può chiamare (1) nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa (2) o dal quale pretende essere garantita (3). Intervento su istanza di parte —> 2 tipologie: I. comunanza di causa: la parte può chiamare ad intervenire nel processo un terzo a cui ritiene comune la causa —> la causa può essere comune se tra la posizione originaria e la posizione fatta valere contro il terzo c’è connessione per l’oggetto o per la causa petendi; II. chiamata in garanzia: la parte può chiamare un terzo in causa dal quale pretende di essere garantito —> il garante è ogni soggetto dal quale una delle parti pretende di essere sollevata rispetto al peso economico della sua soccombenza: è garante ogni soggetto che si trova nella posizione per la quale una delle parte intende scaricare sullo stesso l’onere economico nell’ipotesi che sia soccombente (classica figura di chiamata in garanzia: assicuratore —> nella fattispecie classica di assicurazione, il danneggiato fa causa al danneggiante, anche se questo è assicurato per i danni che può procurare da una certa attività il danneggiato può fare causa soltanto al danneggiante non direttamente all’assicurazione —> il danneggiato fa causa al danneggiante, il danneggiante chiama in causa l’assicurazione) —> il garante, una volta chiamato in causa, può spendere le sue ragioni non solo sul rapporto di garanzia ma anche sul rapporto principale;
 52 Anno accademico 2018-2019 Estromissione —> 3 figure: 1. estromissione del garantito; 2. estromissione dell'obbligato; 3. estromissione connessa alla successione nel processo. Estromissione del garantito. Bisogna immaginare che ci sia stata una chiamata in garanzia. Esempio: Tizio fa causa a Caio per risarcimento danni e Tizio, ex art. 106 c.p.c., chiama in causa l’assicuratore. Tizio chiede la condanna di Caio, Caio chiede la condanna dell’assicuratore per l’ipotesi in cui fosse condannato al risarcimento del danno. Si può immaginare (benché l’assicuratore non sia legato da un rapporto con Tizio) che l’assicuratore entrato in causa difendendosi assuma come suol dirsi su di sé la lite, affermando di essere pronto a pagare nel caso in cui venga accertato il danno. Allora in questo caso il garantito, Caio, può chiedere di essere estromesso, può chiedere cioè che la causa proceda fra attore che ha domandato il risarcimento e assicuratore. Nel caso di chiamata in garanzia quindi nel caso in cui il garante assume su di sé la lite, il garantito può chiedere di essere estromesso dal processo, così che la lite proceda tra attore e garante. Il fenomeno si riallaccia ad una norma di diritto sostanziale fra quelle dedicate all’assicurazione che afferma che è vero che l’assicuratore non è tenuto verso il terzo ma se desidera di pagare il terzo, e l’assicurato non ha nulla in contrario, può l’assicuratore pagare direttamente il terzo. Se quindi ciò avviene, con il necessario consenso di tutte le parti, il garantito può essere estromesso. La sentenza pronunciata tra attore e garante esplica comunque i suoi effetti anche nei confronti del garantito. Il garantito esce dal processo con l’estromissione ma resta soggetto agli effetti della sentenza, tanto è vero che l’impugnazione della sentenza, se sfavorevole, può essere fatta anche dal garantito estromesso. Estromissione dell’obbligato. Se in una controversia a più parti, l’obbligato dichiara l’esistenza del credito e dichiara di essere pronto a pagare anche senza sapere a quale creditore favorire il pagamento, con il consenso necessario di tutte le parti, l’obbligato può essere estromesso dalla causa. La sentenza avrà comunque effetti sull’obbligato, il quale potrebbe impugnare la sentenza sentenza stessa. Esempio: controversia su eredità - deposito bancario —> ad un certo punto del processo ci sono parti, 1° erede, 2° erede, banca: la banca potrebbe dichiarare che - senza negare il deposito del de cuius e l’eventuale dovere di pagare - pagherà una volta chiarito chi tra i due apparenti eredi risulti il creditore. Allora se tutte le parti sono d’accordo l’obbligato (la banca) può essere estromesso e la causa continua fra i due pretendenti (1° e 2° erede). La sentenza che dichiarerà quale tra i due è l’erede avrà effetti anche nei conforti della banca, la quale per altro benché estromessa potrà impugnare la sentenza. Esempio: caso di prestito con garanzia di cessione del 1/5 dello stipendio. Le cessioni possono essere plurime, ovvero lo stesso soggetto può cedere più volte parti della propria retribuzione a soggetti diversi. 55 Anno accademico 2018-2019 Quando il rapporto di lavoro cessa, il datore di lavoro deve pagare il trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro comunica ai cessionari del 1/5 che il lavoratore ha cessato e la quantità della somma relativa al trattamento di fine rapporto chiedendo a questi a chi debba pagare: tutti i cessionari rispondono che il pagamento vada rispettivamente in proprio favore. Si tratta quindi sempre di una lite in cui per il dato di lavoro sarebbe indifferente versare il 1/5 TFR all’uno piuttosto che all’altra dei cessionari, basta che paghi correttamente. Anche in questo caso il datore di lavoro potrebbe prendere l’iniziativa della causa (causa di accertamento —> liquidazione controversa dal punto di vista soggettivo) e una volta convenuti in giudizio i cessionari potrebbe chiedere l’estromissione dichiarando di essere disposto a pagare una volta chiarito a chi è dovuta la somma. Estromissione connessa alla successione nel processo. La successione nel diritto controverso è un istituto complesso. Si è già detto che non è possibile iniziare un processo contro persona defunta o da parte di un defunto perché la sentenza sarebbe addirittura inesistente. Si è detto anche che sono soggetti al giudicato le parti, i loro eredi e gli aventi causa: non solo gli aventi causa dopo la pronuncia della sentenza ma anche gli aventi causa a processo iniziato. L’inizio del processo segna il discrimini temporale anche per l’istituto dell’estromissione connessa alla successione nel diritto controverso. Si chiama successione nel diritto controverso l’ipotesi in cui a processo già iniziato il diritto azionato , ovvero il diritto oggetto di processo, viene trasferito a titolo particolare (es.: caso in cui iniziata la causa, il credito viene ceduto, la proprietà del bene in discussione viene venduta). Alcuni ordinamenti vietavano, in corso di processo, il trasferimento della res litigiosa, come se il processo bloccasse la situazione di fatto. Il nostro processo però secondo i codici già unitari, su impronta dei codici napoleonici, nutre un grande affetto per il commercio e la circolazione dei diritti per cui il nostro ordinamento non vieta affatto che, pendente il processo, la cosa venga trasferita. Il problema che si pone ex art. 111 c.p.c., è chiedersi se trasferita la cosa l’acquirente ovvero l’avente causa debba o meno entrare nel processo. Art. 111 c.p.c. Successione a titolo particolare nel diritto controverso. Dispositivo dell'art. 111 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie (1)(2). Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto (3). In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso (4). La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione (5). La risposta dovrebbe essere positiva, in quanto se ormai la cosa si è trasferita il vero legittimato dovrebbe essere il successore, l’acquirente, colui che si è visto cedere il credito, poiché il dante causa non è più il titolare. 56 Anno accademico 2018-2019 Ma se questa regola di ragione si adottasse rigorosamente si andrebbe incontro ad una strana conseguenza, ovvero si andrebbe incontro al fatto che se ogni volta che cambia la titolarità del rapporto si facesse entrare nel processo il nuovo avente causa allora il convenuto (colui che ha tutto l’interesse tardare la vittoria eventuale dell’attore) avrebbe la possibilità di trasferire continuativamente la titolarità del diritto a danni dell’attore (tecnica dilatoria). L’art. 111 c.p.c. risolve drasticamente e semplicemente il problema, affermando che il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso lascia perfettamente valido il processo tra le pari originarie, che può continuare nonostante il trasferimento stesso. L’attore agisce contro il convenuto, se in corso di causa trasferisce il suo diritto può continuare a stare in giudizio se pur per un diritto che ha trasferito. L’avente causa, se vuole può intervenire, ma non è obbligatorio che intervenga. Se interviene, il dante causa, parte originaria, può chiedere di essere estromesso. In ogni caso la sentenza ha comunque effetto nei confronti sia del dante causa, sia dell’avente causa. Nel momento in cui la successione viene rivelata, il dante causa (parte originaria) perde la legittimazione ordinaria ad agire, poiché non litiga più per un diritto che afferma suo, ma per un diritto che afferma aver trasferito. Dal punto di vista del diritto sostanziale nel momento in cui un soggetto cede il suo credito verso un altro soggetto lite pendente, le regole sulla cessione del credito vogliono che il cedente, fintanto che il cessionario non entri nel processo, garantisca al cessionario di difendere la sua posizione indirettamente. Se il cessionario entra nel processo si hanno due legittimazioni: quella ordinaria del terzo avente causa (vero titolare della situazione giuridica) e quella straordinaria del dante causa che sta in in giudizio per un diritto che non è più suo. Ecco perché il dante causa, nel momento in cui entra nel processo il vero legittimato (vero titolare del diritto), può chiedere se le parti lo consentono di essere estromesso dal processo. Ma se nulla di questo accade, ovvero se nonostante il trasferimento il dante causa continua a stare nel processo, la sentenza farà comunque stato nei confronti dell’avente causa, perché di cui all’art. 2909 c.c. gli aventi causa coinvolti dal giudicato non sono solo quelli che acquistano dopo la pronuncia della sentenza ma sono tutti quelli che acquistano dopo l’inizio del processo. Tale disciplina va coordinata con 2 regole tipiche del diritto sostanziale: 1. trascrizione nei pubblici registri immobiliari; 2. possesso vale titolo —> art. 1153 c.c.: Possesso vale titolo. Art. 1153 c.c. Effetti dell’acquisto del possesso. Dispositivo dell'art. 1153 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO TERZO - Della proprietà → Titolo VIII - Del possesso → Capo II - Degli effetti del possesso → Sezione II - Del possesso di buona fede di beni mobili Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà [922] mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna (1) e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (2). La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno. 57 Anno accademico 2018-2019 Se la parte muore e sulla base del testamento aveva fatto un legato, cioè aveva attribuito un diritto specifico ad un soggetto si ha la successione nel processo per la morte della parte, ma anche l’acquisto a titolo particolare. Il successore a titolo universale sostituirà il defunto e una volta che il processo sarà fra l’attore e l’erede si avrà la stessa situazione di cui all’art. 111 c.p.c.: l’erede litigherà per un diritto che non è proprio ma che è del legatario, potrà cioè spendere una legittimazione straordinaria. Se il legatario interviene si avrà il legittimato ordinario e l’erede potrà essere estromesso. 60 Anno accademico 2018-2019 Il Giudice. Inquadramento. In Italia la giustizia civile è amministrata da 4 tipi di organi giudiziari: 1. giudice di pace; 2. Tribunale; 3. Corte d’appello; 4. Corte di Cassazione. Caratteristica di questi organi è che man mano che si sale nella piramide, dal giudice di pace verso la Cassazione, sono molto di meno numericamente. I giudici di pace sono largamente diffusi sul territorio nazionale, i Tribunali sono in numero inferiore, le Corti d’appello di numero ancora inferiore e la Cassazione è unica. Recenti riforme dell’organizzazione giudiziaria hanno portato a ridurre ulteriormente il numero degli uffici del giudice di pace e dei Tribunali, nell’intenzione di economizzare l’amministrazione della giustizia concentrando in un numero minore di uffici l’attività della giustizia civile. Si parla di uffici, organi, giudiziari: si deve tenere ben presente la distinzione tra magistrato come ufficio dal magistrato come persona fisica, ogni ufficio è composto necessariamente da una pluralità di magistrati ma le norme su giurisdizione e competenza non fanno tanto riferimento al singolo magistrato (persona) quanto all’assetto e all’organizzazione degli organi e degli uffici giudiziari. Reclutamento dei giudici. In Italia attualmente i giudici sono raggruppati in 2 categorie: 1. giudici professionali, togati: giudici che diventano tali per concorso (esame in magistratura —> assunzione da parte del Magistrato della Giustizia); 2. giudici onorari: affiancano i giudici togati, non esercitano in modo tendenzialmente esclusivo l’attività di amministrazione della giustizia in quanto la può affiancare ad altre attività, vengono assunti a tempo determinato e vengono tendenzialmente retribuiti in maniera molto inferiore al giudice professionale (pagamento a cottimo) —> Riforma 2017, d. lgs. n. 116/2017 (in vigore, tendenzialmente, dal 2020): il giudice onorario in Italia dev’essere un laureato in giurisprudenza, unica condizione essenziale alla quale si affiancano dei presupposti di preferenza: fra una pluralità di domande sono preferiti gli avvocati, i notati, i professori o ricercatori universitari, coloro che hanno svolto la funzione di magistrato togato e abbiano cessato la propria funzione (per evitare conflitti di interesse chi è iscritto ad un ordine all’interno di una determinata regione tendenzialmente può esercitare la funzione di giudice onorario al di fuori della regione stessa). L’ufficio del giudice di pace è composto esclusivamente da giudici onorari. Il tribunale e la Corte d’Appello hanno sia giudici onorari sia giudici professionali: tendenzialmente gli incarichi più rilevanti vengono svolti da giudici togati, le attività meno rilevanti vengono svolte da giudici onorari. La Corte di Cassazione non ha giudici onorari, ha soltanto giudici togati ma l’art. 106 Cost. prevede che possano diventare magistrati in Cassazione, senza concorso, professori universitari o avvocati che abbiano esercitato per un certo numero di anni la professione. 61 Anno accademico 2018-2019 Al di là dei giudici onorari e togati possono comporre gli organi giudiziari anche cittadini estranei alla magistratura. Tipicamente nel processo penale si hanno le Corti d’Assise e le Corti d’Assise d’Appello, nelle quali l’organo giudiziario è composto che da cittadini non giuristi. Nei sistemi anglosassoni la giuria, tutta popolare, ricostruisce il fatto e denuncia la colpevolezza o meno dell’imputato, quindi il giudice togato commisura la pena alla fattispecie. A differenza di questi, nel sistema Italiano non c’è una divisione di momenti ma il giudice popolare partecipa allo stesso collegio di cui fa parte il giudice togato. Monocraticità e collegialità. La tradizione italiana, per ragioni di ponderatezza della decisione, è una tradizione che si muoveva un retaggio di forte collegialità. Solo negli ultimi anni, in funzione di risparmio della spesa e di incremento dell’efficenza, sono aumentati gli spazi di monocraticità. In sostanza: - giudice di pace: l’ufficio del giudice di pace opera sempre monocraticamente; - Tribunale: l’ufficio del Tribunale opera talora in funzione monocratica, talora in funzione collegiale; - Corte d’Appello: organo collegiale; - Corte di Cassazione: organo collegiale. La collegialità in Tribunale e in Corte d’Appello è una collegialità a 3, la Corte di Cassazione quando pronuncia a sezioni semplici ha 5 magistrati, quando pronuncia a Sezioni Unite opera con 9 magistrati. Anche quando l’organo è collegiale all’interno dell’organo c’è comunque un giudice (che davanti al Tribunale è chiamato giudice istruttore, mentre davanti alla Corte d’Appello e alla Cassazione giudice relatore) incaricato di studiare con particolare attenzione la causa, magistrato che quindi rispetto agli altri membri del collegio conosce meglio la causa e in particolare tutta la fase di trattazione della causai in Tribunale è condotta non collegialmente ma soltanto al giudice istruttore, al quale si affiancano gli altri due componenti saltato al momento della pronuncia della sentenza. È sotteso a questo sistema il pensiero, se pur difficilmente concretizzabile, che anche quando l’organo è collegiale il dominus della decisione sia il giudice istruttore o il giudice relatore e che gli altri componenti del collegio intervengano in modo meno incisivo nella deliberazione della sentenza. Quando si è fatto riferimento all’attività di non giuristi in Corte d’appello, anche in ambito di giurisdizione civile la partecipazione di estranei all’amministrazione della giustizia si ha in quell’ambito di organi giudiziari chiamati a risolvere quelle controversie caratterizzate da una particolarità che suggerisce al legislatore di far si che la deliberazione della sentenza sia il risultato non soltanto di giuristi ma anche di esperti di altre discipline. Ad esempio, il fenomeno più noto di tale partecipazione è rappresentato dal Tribunale dei minori, sezione della Corte d’appello. Ci sono tutta una serie di affari civili, in cui il Tribunale opera come Tribunale dei minori, in cui affianco dei giudici togati compongono un collegio degli esperti tratti dalle scienze mediche, psichiatriche, psicologiche e sociologiche. A questo proposito tra l’altro il regio decreto sul Tribunale dei minorenni (epoca fascista: 1934) prevede che i collegi giudicanti siano composti da 4 membri: 2 magistrati, un uomo e una donna scelti tra cultori di biologia, medicina, psichiatria, psicologia, pedagogia o sociologia. La particolarità è che in questo modo il Tribunale dei minori ha un collegio di 4 persone, mentre tutti gli altri collegi giudicanti collegialmente hanno un numero dispari di componenti. 62 Anno accademico 2018-2019 Fa parte del sapere dell’avvocato, prima di iniziare la causa, interpellare la controparte per trovare un accordo, ovvero fa parte del mestiere dell’avvocato nell’interesse dei clienti cercare di metterli d’accordo senza dover condurre necessariamente la controversia all’attenzione del giudice. Se questo è il sostrato sociologico conosciuto il pensiero che laddove non siano riusciti gli avvocati riesca il mediatore o riesca una formalizzazione del mestiere degli avvocati è una persuasione che rende particolarmente pessimisti. È necessario a questo punto domandarsi se di fronte all’art. 24 Cost. il legislatore ordinario possa prevedere, per determinate controversie, che prima di potersi rivolgere al giudice sia obbligatoria un’ulteriore procedura. La C. Cost. quando è intervenuta sul tema della giurisdizione condizionata ha affermato che il condizionamento all’accesso ai tribunali non è di per sé incostituzionale ma per essere conforme alla Costituzione deve rispondere a 3 requisiti: 1. Funzionalità dell’amministrazione della giustizia —> il condizionamento dev’essere finalizzato ad una migliore amministrazione della giustizia: la finalità del condizionamento dev’essere interna allo stesso esercizio della giurisdizione —> da questo punto di vista per quanto riguarda la mediazione o la negoziazione assistita si può di dire che siano in linea con tale finalità in quanto nello spirito del legislatore si cerca di frenare la giustizia per ridere l’esercizio della stessa più agevole e meno appesantito dall’eccesso di controversie; 2. non eccessiva durata nel tempo —> l’attività da esercitare prima di rivolgersi ai giudici non dev’essere tale da procrastinare eccessivamente nel tempo l’accesso alla giustizia: il condizionamento dev’essere cronologicamente limitato —> in questo senso il legislatore per quanto riguarda la mediazione obbligatoria (2010) ha affermato che il procedimento di mediazione non può durare più di 4 mesi (se in 4 mesi il mediatore non è riuscito a raggiungere un accordo tra le parti la mediazione può ritenersi fallita e le parti possono rivolgersi direttamente alla giustizia); 3. è necessario che il condizionamento non sia tale da precludere radicalmente l’accesso alla giustizia —> da questo punto di vista, sia il legislatore della mediazione obbligatoria (2010) sia il legislatore della negoziazione assistita (2017) ha risposto alle indicazioni della Corte. Se viene iniziata una causa senza che sia stata compiuta l’attività preliminare? L’attività preliminare funziona non come condizione di proponibilità della domanda ma, per essere costituzionalmente conforme, come condizione di procedibilità della domanda. Se l’attività condizionante fosse una condizione di proponibilità della domanda il giudice al quale fosse proposta la domanda non preceduta dall’attività stessa voluta dal legislatore dovrebbe constatare che l’attività non è stata compiuta e chiudere il processo con una pronuncia processuale con la quale si attesti che la decisione non è stata possibile in quanto l’attività obbligatoria prevista non è stata appunto compiuta. Invece, sia il decreto sulla mediazione sia la legge sulla negoziazione assistita qualificano l’attività pregiudiziale come di mera procedibilità della domanda: il giudice che si rende conto che non è stata compiuta la mediazione piuttosto che la negoziazione assistita non chiude immediatamente il processo ma assegna alle parti un termine per compiere l’attività che prima non era stata portata a compimento, finché ciò non avviene il processo non può proseguire. Certo, se le parti nonostante l’invito del giudice, a causa iniziata, continuano a non adempiere l’improcedibilità diventa non più temporanea ma definitiva. 65 Anno accademico 2018-2019 Si tratta di un altro caso in cui uno stato processuale non è così radicale perché per essere superato anche in corso di causa, così come per litisconsorzio necessario (il giudice invita le parti ad integrare il contraddittorio) e il caso di rappresentanza e assistenza degli incapaci in giudizio (il giudice invita la parte ad integrare la propria capacità processuale). Il condizionamento quindi deve rispondere ad una finalità di buona amministrazione della giustizia, non deve ritardare più di tanto l’accesso alla giustizia e dev’essere costruito in modo tale che la sua mancanza non precluda radicalmente l’accesso alla giustizia. Un esempio nel quale la C. Cost. ha ritenuto che il condizionamento fosse contrario alla Costituzione è il caso di condizionamento pecuniario —> per quanto riguarda le spese processuali, per rivolgersi al giudice, l’attore deve pagare il contributo unificato: il legislatore vuole che l’attore contribuisca alla cassa dello Stato attraverso questa tassa, se viene iniziata una causa senza che l’attore abbia pagato il contributo unificato la causa procede comunque perché il pagamento della tassa risponde ad una finalità molto indirettamente legata al buon funzionamento della giustizia (aspetti di finanza pubblica tendenzialmente slegati dall’amministrazione della giustizia). La C. Cost. in questo senso ha affermato che non si può condizionare il processo civile al fatto che la parte non abbia pagato la tassa dovuta. Certo, se la parte non paga verrà perseguita attraverso sanzioni ed interessi ma intanto il processo può andare avanti. Limiti della giurisdizione. Liti della giurisdizione civile: - verso la P.A.; - verso i giudici speciali; - verso i giudici degli Stati esteri. Limite —> P.A, giudici speciali. Per parlare dei limiti della giurisdizione è necessario specificare che le posizioni soggettive del singolo possono essere distinte in 3 categorie: 1. diritto soggettivo: l’ordinamento riconosce al singolo un diritto soggettivo quando la pretesa di questo è tendenzialmente assoluta, incondizionata e illimitata; 2. interesse legittimo: l’ordinamento riconosce al privato una posizione di vantaggio ma tale posizione implica che la P.A. svolga una determinata attività —> chi è titolare di un interesse legittimo purché abbia la finalità di raggiungere un risultato non ha la garanzia di raggiungere quel risultato, ha la garanzia che la P.A. operi correttamente nell’amministrare e nel gestire l’interesse del privato stesso (es.: reclutamento dei giudici attraverso concorso —> la finalità di un partecipante al concorso è quella di diventare giudice ma non si può dire che lo stesso soggetto abbia il diritto di diventare giudice); 3. interesse di mero fatto: si ha l’interesse di mero fatto quando la finalità del cittadino sta al livello del mero desiderio, nel senso che non è garantita né da un puto di vista assoluto (diritto soggettivo) né da un punto di vista strumentale (interesse legittimo) —> gli interessi di mero fatto non hanno tutela giurisdizionale ma vengono curati dalla P.A. Nella sua discrezionalità e il privato che desidererebbe qualcosa non ha una pretesa e quindi non ha tutela giudiziaria. 66 Anno accademico 2018-2019 Le posizioni giuridiche che si identificano rispettivamente in diritti soggettivi e interessi legittimi sono tendenzialmente così articolate: - i diritti soggettivi si fanno valere davanti ai giudici civili ordinari; - gli interessi legittimi si fanno valere davanti ai T.A.R. Inoltre, dato che la distinzione tra diritto soggettivo - giurisdizione civile, interesse legittimo - giurisdizione amministrativa è una distinzione spesso difficile, per ragioni di semplicità il legislatore a volte attribuisce intere materie alla giurisdizione amministrativa. Si tratta di una giurisdizione per materia (giurisdizione esclusiva): non si tratta di distinguere tra diritto soggettivo e interesse legittimo perché quale che sia la posizione soggettiva fatta valere comunque si deve adire alla giustizia amministrativa. Se il giudice civile ordinario si rende conto che viene fatto valere di fronte allo stesso un interesse di mero fatto per il quale non vi è giurisdizione, perché la tutela dell’interesse di mero fatto la cura la P.A., deve dichiararsi privo di giurisdizione perché il potere spetta ad un’altra articolazione dello stato, ovvero l’esecutivo tramite l’attività amministrativa. Se il giudice civile ordinario si rende conto che viene proposta davanti a lui una domanda in cui si fa valere un interesse legittimo oppure una domanda attinente ad una delle materie delle giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo parimenti deve dichiararsi privo di giurisdizione non perché la giurisdizione non ci sia ma perché la stessa giurisdizione non è quella del giudice ordinario, ovvero è la giurisdizione amministrativa. Limite —> giudici di Stati esteri. I questo senso si fa riferimento al fatto che esistano altri Stati e la giurisdizione potrebbe appartenere ad uno Stato diverso dall’Italia. Le regole sull’individuazione della giurisdizione Italiana nel mondo sono contenute, non nel c.p.c., ma nella legge speciale, l.n. 218/1995 - “Legge di diritto internazionale privato e processuale” - e nell’ambito dell’UE nel Regolamento UE n. 1215/2012. Mentre la le legge n. 218/1995 regola i rapporti tra giurisdizione italiana e giurisdizione di qualsiasi parte del mondo, il Regolamento UE opera esclusivamente per i rapporti tra Italia e altri Stati all’interno dell’UE. Criteri di collegamento esclusivi vs. Criteri di collegamento concorrenti. Il criterio di collegamento è la norma che afferma a quale giurisdizione appartenga una determinata controversia. Criteri di collegamento esclusivi: se il collegamento è unico si ha una giurisdizione esclusiva —> data una controversia c’è un solo Stato che può deciderla. Criteri di collegamento concorrenti: se i criteri di collegamento sono plurimi si ha un fenomeno di giurisdizione concorrente —> ci sono più Stati i cui giudici hanno il potere di decidere la controversia. Quando la giurisdizione è concorrente la scelta è rimessa all’attore: chi inizia la causa liberamente decide se rivolgersi ai giudici di uno Stato piuttosto che un altro. Il criterio fondamentale di attribuzione della giurisdizione in ambito internazionale è quello del così detto “foro del convenuto”, ovvero si guarda al luogo in cui il convenuto risiede o ha domicilio. La nazionalità dell’attore o del convenuto non ha più nessun rilievo: possono essere convenuti in italia coloro che italiani o meno risiedano o abbiano domicilio in Italia. 67 Anno accademico 2018-2019 Nell’impianto del codice del ’40 il difetto di giurisdizione nell’ambito dei giudice della PA e dei giudici speciali aveva quindi un impatto molto forte, tale da consentirne il rilievo durante tutti i gradi del processo. Rispetto a questa regola, da una decina d’anni, però la Cassazione ha operato un’interpretazione restrittiva, per lo più critica dalla dottrina, tesa ad alleggerire la questione. In sostanza la Cassazione ritiene che il difetto di giurisdizione sia rilevabile d’ufficio soltanto nel corso del 1°grado di giudizio, superato questo il difetto è rilevabile dal giudice dell’impugnazione solamente se una delle parte eccepisce il difetto, soltanto quindi su eccezione di parte. La Cassazione motiva tale orientamento affermando che se il giudice di 1°grado si dichiara munito di giurisdizione e le parti non impugnano la sentenza facendo valere il difetto di giurisdizione, sulla parte di sentenza che ha affermato la giurisdizione e che non è stata impegnata si formerebbe una sorta di giudicato. In sostanza decisa la questione di giurisdizione in primo grado se le parti non se ne dolgono con il mezzo di impugnazione sulla questione scenderebbe una sorta di definitivi che impedirebbe il rilievo d’ufficio (preclusione endo-processuale). Il passo ulteriore della Cassazione è stato affermare che anche se il giudice di 1°grado non si è espresso sulla giurisdizione ma ha espresso la decisione nel merito, tale decisione implica necessariamente anche se implicitamente l’affermazione sulla propria giurisdizione (il giudice che si dichiarasse privo di giurisdizione non potrebbe decidere la controversia nel merito —> nel momento in cui il giudice decide nel merito, implicitamente afferma la propria giurisdizione). In questo modo la questione di giurisdizione può essere presa in considerazione dal giudice di Appello o di Cassazione soltanto su eccezione di una delle parti. Un passo ancora ulteriore della Cassazione, Sez. Unite sent. n. 21260/2016, è stato chiedersi se l’attore che ha perso nel merito, può appellare la sentenza sostenendo che il giudice italiano a cui egli stesso si è rivolto è privo di giurisdizione. A pensarci bene, l’interesse dell’attore c’è, perché una dichiarazione di assenza di giurisdizione abbatterebbe la sentenza di merito che ha definito la sconfitta dell’attore stesso, certo però sarebbe una presa di posizione bizzarra avendo egli stesso scelto di rivolgersi al giudice italiano. Nemo contra factum proprium venire potest - nessuno può pentirsi e agire contrariamente ad un comportamento che aveva tenuto. Avvalendosi di questo principio le Sezioni Unite della Cassazione ha affermato che, non soltanto in Appello e in Cassazione il difetto di giurisdizione non è più rilevabile d’ufficio, ma l’eccezione di difetto di giurisdizione può essere solamente sollevato dal convenuto. Difetto di giurisdizione —> translatio iudicii. Fino al 2009, quando il giudice si dichiarava privo di giurisdizione, se c’era un altro giudice idoneo a decidere sulla controversia andava iniziata da capo una nuova causa davanti ad un nuovo giudice, in ipotesi munito giurisdizione. Fino al 2009 non c’era comunicazione tra giurisdizioni diverse. Esempio: caso —> un cittadino ritiene di aver subito un pregiudizio da un provvedimento della P.A. di cui vorrebbe l’annullamento. Secondo la giurisdizione amministrativa il termine di decadenza per proporre l’azione di annullamento è solitamente di 60 giorni, il cittadino in questione però ritiene che la sua posizione giuridica alla base dell’azione sia un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, quindi si rivolge al giudice ordinario (termine di decadenza per l’esperimento dell’azione più lungo, solitamente termine di prescrizione del diritto soggettivo). 70 Anno accademico 2018-2019 Se il giudice ordinario si dichiarasse privo di giurisdizione in favore del giudice amministrativo è evidente però che i 60 giorni disponibili per l’esperimento dell’azione di fronte a quest’ultimo nel frattempo sarebbero ampiamente passati (pregiudizio per il cittadino: l’azione non poteva più essere esperita dopo la dichiarazione del difetto di giurisdizione). Allora fin al 2009 in questi casi gli avvocati erano soliti piuttosto intraprendere due cause, una davanti al giudice ordinario e una davanti al giudice amministrativo, per non rischiare la decorrenza del termine per ricorrere stabilito dalla giurisdizione amministrativa, con un’evidente spreco di energie e con evidente offesa all’economia processuale. Nel 2009 il legislatore cambia la regola con l’art. 59 legge n. 69/2009. Art. 59. Decisione delle questioni di giurisdizione.
 1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.
 2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile.
 3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.
 4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
 5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. Quando un giudice italiano si dichiara privo di giurisdizione in favore di un altro giudice italiano, non deve limitarsi a negare la propria giurisdizione ma deve indicare il che secondo lo stesso è munito di giurisdizione. Se nei tre mesi successivi alla pronuncia della sentenza la parte si rivolge al nuovo giudice, ciò non determina un nuovo processo bensì è la prosecuzione dello stesso processo che trasla da una giurisdizione all’altra. Il processo è unico: deve considerarsi iniziato nel momento in cui si è formulata la prima domanda. Questo meccanismo viene denominato translatio iudicii. Il meccanismo di translatio non ha ragione di funzionare se il giudice civile italiano si dichiara privo di giurisdizione perché ritiene che non ci sia un altro giudice italiano competente, ma ritiene che la posizione fatta valere sia una posizione di mero fatto: se ritiene che la posizione soggettiva si un interesse di mero fatto non esiste un potere decisorio di un altro giudice ma il privato è soggetto all’autorità del potere esecutivo, ovvero al potere discrezionale della P.A. 71 Anno accademico 2018-2019 Ci si potrebbe chiedere se tale meccanismo potrebbe funzionare anche tra giudici di Stati diversi, al momento però il trasferimento del processo internazionale non è previsto. La translatio iudicii serve quindi solo verso un limite della giurisdizione civile italiana, non verso i giudici stranieri, non verso la P.A., ma per i rapporti tra i giudici ordinari e i giudici speciali. Il giudice davanti al quale il processo è riassunto potrebbe a sua volta ritenersi privo di giurisdizione. Essendo un giudice che appartiene ad un diverso ordine giurisdizionale, questo non è vincolato dalla decisione del primo giudice, quindi il secondo giudice sarebbe teoricamente libero di negare a sua volta la giurisdizione. Tuttavia se si consentisse al secondo giudice di dichiarare per la seconda volta il difetto di giurisdizione si creerebbe un meccanismo di diniego di giustizia preoccupante. Dato che non si può negare al secondo giudice il potere di dichiararsi privo di giurisdizione, se si ritiene veramente tale, deve investire della questione la Cassazione, organo di vertice anche rispetto agli altri ordini giurisdizionali. Art. 65 ordinamento giudiziario: la Corte di Cassazione ha il compito di regolare i rapporti tra le varie giurisdizioni. Art. 65. Attribuzioni della corte suprema di cassazione.
 La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge.
 La corte suprema di cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio del regno, dell'impero e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato. La Cassazione quindi è l’organo che darà la prova definitiva sulla giurisdizione. Ma in ogni caso, anche dopo la pronuncia della Cassazione, se le parti riprendono il processo è sempre lo stesso processo che prosegue. L’intervento della Corte di Cassazione su istanza del secondo giudice che si ritenga a sua volta privo di giurisdizione prende il nome di regolamento di giurisdizione d’ufficio: regolamento di giurisdizione perché la Cassazione regola e determina la giurisdizione stessa, d’ufficio perché la Cassazione è investita da un giudice che reclama d’ufficio il suo intervento decisorio. Ci si chiede a questo pinto cosa succeda se invece, dopo che, il primo giudice si è dichiarato privo di giurisdizione la parte interessata non prosegue tempestivamente il processo davanti al giudice che viene dichiarato competente, ovvero se non si verifica la translatio iudicii. Semplicemente il processo termina con una dichiarazione di difetto di giurisdizione, ovvero una pronuncia meramente processuale che non impedisce di riproporre la domanda e non forma giudicato. La parte che si è vista dichiarare il difetto di giurisdizione e non riassume la causa potrà farne una nuova, ma anche rifarla davanti al giudice che si era già dichiarato prev di giurisdizione sperando che abbia cambiato parere, poiché la prima pronuncia non è vincolante. Particolarità: la pronuncia sulla giurisdizione sia in senso positivo sia in senso negativo è data con sentenza, appellabile e poi ricorribile per Cassazione. Se rispetto alla prima sentenza di difetto di giurisdizione, si arriva fino in Cassazione, la sentenza della Cassazione (pronunciata sull’impugnazione delle parti e non su regolamento d’ufficio) si ritiene abbia un’efficacia pan-processuale (incidenza globale su tutti i giudici). 72 Anno accademico 2018-2019 Si solleva in questo senso una questione in via preventiva per avere una decisione finale da parte della Cassazione, così mentre l’attore non è legittimato ad impugnare una sentenza che riconosca la giurisdizione che lui stesso ha scelto, prima della pronuncia della sentenza se c’è un dubbio sensato sulla giurisdizione stessa, l’interesse a chiarire la questione non può essere solo del convenuto, ma dev’essere concesso anche all’attore. Nel momento in cui la Cassazione riconosce che la giurisdizione non c’è scatta ovviamente il meccanismo della translatio iudicii per cui nei tre mesi successivi alla negazione della giurisdizione il processo può essere proseguito davanti al giudice dichiarato munito di giurisdizione. Si è parlato di due regolamenti - il regolamento di giurisdizione d’ufficio, il regolamento preventivo di giurisdizione - nessuno dei due regolamenti è, mai, un mezzo d’impugnazione: - regolamento di giurisdizione d’ufficio: è proponibile dal giudice davanti al quale è riassunta la causa; - regolamento preventivo di giurisdizione: è proponibile dalle parti, ma prima della pronuncia della sentenza. L’impugnazione delle sentenze che pronunciano sulla giurisdizione non ha regole particolari: - sentenza di 1° grado —> Appello; - sentenza di Appello —> ricorso per Cassazione. 75 Anno accademico 2018-2019 Competenza. La competenza, una volta appurato che i giudici civili italiani possono decidere sulla controversia, afferma quali tra i giudici distribuiti sul territorio, possono decidere validamente la controversia. La competenza individua l’organo, l’ufficio giudiziario, non ha quindi nulla a che vedere con la distribuzione degli affari giudiziari all’interno dello stesso ufficio. Gli uffici giudiziari non sono quasi mai composti da un solo magistrato, una volta individuato che per una determinata causa è competente un determinato organo, bisogna individuare a quale dei giudici di quell’ufficio va la competenza a giudicare la controversia. La distribuzione interna degli affari giudiziari è regolata da norme di ordinamento giudiziario che fanno riferimento da un lato ai poteri del presidente del tribunale, dall’atro all’adozione di sistemi di automatismo laddove sia possibile per evitare che lo stesso presidente usi una discrezionalità distorta. Tendenzialmente c’è una circolarità per quanto riguarda la distribuzione delle cause ai vari giudici componenti dell’ufficio, tuttavia la violazione di queste regole interne non ha anche fare con la competenza e non ha neanche degli effetti processualmente rilevanti: non determina la nullità del processo seguito ad una cattiva assegnazione della causa. L’unica rilevanza la persona del singolo magistrato si ha a riguardo dei fenomeni di astensione e ricusazione del giudice (regole su imparzialità e terzietà del giudice). Competenza —> 2 coordinate: - verticale: quale tipo di organo giudiziario è competente —> giudice di pace, Tribunale, Corte d’Appello, Cassazione; - orizzontale: a quale fra gli uffici del giudice di pace, Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione, distribuiti sul territorio spetta la specifica causa. Competenza verticale: - competenza per materia: riferimento alla causa petendi, cioè alla ragione del chiedere; - competenza per valore: riferimento al petitum mediato, ovvero all’oggetto della domanda. Gli articoli 7 ss. c.p.c. individuano sporadiche ipotesi di competenza per materia, ciò perché la competenza per materia prevede determinate ipotesi, laddove l’ipotesi specifica non sia prevista opera il criterio della competenza per valore. Esempi: • competenza per materia della Corte d’Appello —> irragionevole durata del processo: se un soggetto lamenta l’eccessiva durata del processo e richiede un indennizzo per l’irragionevole durata del processo è competente sempre la Corte d’Appello, già in 1°grado —> si guarda alla causa petendi: irragionevole durata del processo —> competenza per materia della Corte d’Appello; • competenza per materia del Tribunale —> stato e capacità delle persone: le cause in tema di stato e capacità delle persone (es.: rapporti matrimoniali, rapporti di filiazione, interdizione, inabilitazione ecc.) sono sempre di competenza per materia del Tribunale; • competenza per materia del giudice di pace —> il giudice di pace ha delle piccole zone di competenza per materia, esempi: immissioni nocive da un fondo al fondo vicino —> le cause in materia di immissioni fra civili abitazioni sono di competenza del giudice di pace; materia condominiale: quando la causa petendi attiene all’uso di servizi comuni del condominio. 76 Anno accademico 2018-2019 Quando attraverso le regole previste per la competenza per materia non si trova una materia, cioè quando la causa sfugge ad un’indicazione di materia, si fa riferimento, per il criterio verticale, al criterio del valore indipendentemente dalla causa. Attualmente il giudice di pace ha una competenza per valore fino a 5.000. Da lì in sù la competenza è del Tribunale, a meno che non si individui una competenza per materia del Tribunale o della Corte d’Appello che affermi che indipendentemente dal valore la causa vada ad uno o all’altro. Inoltre, nelle cause da risarcimento del danno connesso alla circolazione stradale il giudice è competente fino ad un limite di 20.000. Si manifesta una sorta di sfavore verso il giudice di pace in questo senso, ma solo perché il giudice di pace è un giudice onorario, quindi tendenzialmente il legislatore pensa che al giudice di pace non vadano affidate cause di un valore eccessivamente più alto. La competenza si determina essenzialmente dalla domanda dell’attore: che sia per fare riferimento alla causa petendi, che sia per fare riferimento al petitum si guarda a cos’ha chiesto, quindi a come ha agito l’attore. Esempio: se per un sinistro stradale che abbia causato un graffio alla vettura si richiede un risarcimento del danno da 100.000, il fatto che il convento si difenda affermando che il danno sia al massimo di 50.000, non sposta la competenza. La competenza in questo senso viene fondata dalla domanda dell’attore, per come viene formulata, indipendentemente dalla sua fondatezza. Per quanto riguarda le obbligazioni che hanno ad oggetto somme di denaro, si sommano al capitale gli interessi e le spese sostenute fino al momento della proposizione della domanda. Esempio: azione per la restituzione della condanna per 4.000 —> se l’attore chiede la condanna per la somma più gli interessi, bisogna fare il calcolo in base agli interessi fino alla proposizione della domanda. Se la somma del capitale più gli interessi sta sotto i 5.000 la competenza rimane del giudice di pace, se cumulati gli interessi la somma arrivasse anche solo a 5.001 la competenza sarebbe del Tribunale. Si consideri l’ipotesi in cui l’attore formuli verso lo stesso convenuto di più domande. Se l’attore formula nei confronti del convenuto più domande il valore delle stesse si somma ai fini della competenza. Tra l’altro l’art. 104 c.p.c. consente che nello stesso processo vengano formulate dall’attore contro il convenuto più domande che fra di loro non connesse, purché si rispetti la sommatoria delle domande. Art. 104 c.p.c. Pluralità di domande contro la stessa parte. Dispositivo dell'art. 104 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell'articolo 10 secondo comma (1). È applicabile la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente (2). Esempio: 4.000 come prezzo di compravendita + 3.000 come canone di locazione —> se l’attore agisce contro il convitto separatamente saranno promosse 2 cause diverse ciascuna di competenza del giudice di pace; se le cause si cumulano insieme potrebbe cambiare la competenza che in questo caso sarebbe del Tribunale. 77 Anno accademico 2018-2019 Se il creditore agisce per l’adempimento e la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro può scegliere il luogo di adempimento dell’obbligazione, che essendo il luogo di domicilio di esso attore sarà un luogo comodo per lo stesso, perché vicino al luogo in cui l’attore ha la sede dei propri affari. Obbligazioni aventi ad oggetto somme liquide di denaro: obb. in cui l’ammontare della prestazione è fin dall’inizio determinato o determinabile. Tipicamente le obb. contrattuali che abbiano ad oggetto un corrispettivo sono obb. liquide, cos’ come gli interessi e la rivalutazione monetaria perché determinarli sulla base di criteri oggettivi. Le obb. da fatto illecito non sono liquide perché la somma di risarcimento del danno va determinata in base ad indagini complesse e non immediate. Sempre in concorrenza con il criterio della scelta del luogo da parte dell’attore, vale anche il luogo in cui l’obbligazione è sorta. Criteri speciali di collegamento. Esiste poi una pluralità di criteri di collegamento speciali, che operano per determinate controversie. Alcuni casi. Criterio di competenza per le cause ereditarie. Cause che attengono alla successione di un determinato soggetto, di competenza esclusiva del giudice del luogo dove si è aperta la successione —> art. 456 c.c.: luogo in cui il de cuius aveva il suo ultimo domicilio. Se la successione si apre all’estero e la giurisdizione è italiana, torna ad essere applicabile il criterio della residenza o del domicilio del convenuto. Art. 456 c.c. Apertura della successione. Dispositivo dell'art. 456 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO SECONDO - Delle successioni → Titolo I - Disposizioni generali sulle successioni → Capo I - Dell'apertura della successione, della delazione e dell'acquisto dell'eredità La successione si apre (1) al momento della morte(2), nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto (3). Criterio di competenza per le cause aventi ad oggetto diritti reali su immobili. Le cause che hanno ad oggetto diritti reali su immobili sono di competenza territoriale necessaria del giudice del luogo dove si trova l’immobile, ciò perché si pensa che sia probabilmente necessario fare degli accertamenti sull’immobile ed è bene che la competenza appartenga al giudice sia più possibile vicino allo stesso. Cause in cui una delle parti è un magistrato. Art. 30-bis c.p.c.: è evidente che il singolo magistrato non potrebbe giudicare nella causa di cui egli stesso è parte, la norma vuole garantire una certa serenità di giudizio ai giudici che dovranno pronunciare la sentenza in cui è parte un proprio collega. Si vuole evitare in questo senso che la causa vada a finire sulla base dei criteri ordinari ad un ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che è parte della controversia. Allora la causa va a finire all’ufficio giudiziario del capoluogo di distretto di Corte d’Appello individuato sulla base dell’art. 11 c.p.p. La causa che sarebbe di competenza di un ufficio presso il quale il giudice che è parte esercita le sue funzioni viene traslata, ovvero attratta per competenza, al giudice del capoluogo di distretto di Corte d’Appello individuato sulla base dell’art. 11 c.p.p. 80 Anno accademico 2018-2019 L’art. 11 c.p.p. fa riferimento ad una tabella territoriale per la quale per ogni Corte d’Appello è individuata la Corte d’Appello più vicina. Esempio: se il giudice competente fosse Torino, dalla Corte d’Appello di Torino in base alle indicazioni della tabella territoriale si deve traslare la controversia presso la Corte d’Appello di Genova. Art. 30-bis c.p.c. Foro per le cause in cui sono parti i magistrati. Dispositivo dell'art. 30 bis Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione III - Della competenza per territorio Le cause in cui sono comunque parti magistrati, che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale. Se nel distretto determinato ai sensi del primo comma il magistrato è venuto ad esercitare le proprie funzioni successivamente alla sua chiamata in giudizio, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello individuato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale con riferimento alla nuova destinazione. Accordi sulla competenza. Gli artt. 28 ss. c.p.c. consentono accordi sulla competenza ma si tratta di accordi sulla sola competenza territoriale. Alle parti anche prima del processo, purché l’accordo sia fatto per iscritto ed abbia ad oggetto fatti determinanti, è consentita una deroga alle regole di competenza territoriale. È tipico contratti di serie, quelli proposti dall’imprenditore ad una tipologia indefinita di clienti, avere una clausola di deroga alla competenza per territorio. Per tutte le cause derivanti dell’interpretazione, all’esecuzione, nullità o annullamento di un determinato contratto di questo tipo è competente solitamente l’organo giudiziario più comodo al soggetto che prepara le condizioni generali di contratto. Se c’è il valido accordo di deroga alla competenza territoriale, il tribunale individuato dalle parti si aggiunge come concorrente agli altri criteri individuati dalla legge. Se le parti vogliono che il criterio di competenza territoriale scelto dalle stesse funzioni da criterio esclusivo devono manifestarlo esplicitamente. 2 limitazioni: - artt. 1341, 1342 c.c.: se un imprenditore predispone delle condizioni generali di contratto, alcune di queste sono ritenute vessatorie, tra queste vi è l’accordo sulla competenza territoriale, allora l’accordo di competenza territoriale se contenuto nelle condizioni generali di contratto sarà operativo in quanto sia specificamente approvato per iscritto (—> 2 firme: una firma del contratto, una per l’approvazione delle clausole vessatorie);
 
 art. 33 codice del consumo: se la controparte è un consumatore (soggetto che opera al di fuori della sua attività imprenditoriale o professionale) la clausola di deroga alla competenza per territorio è invalida perché ritenuta una clausola abusiva a danno del consumatore —> nelle cause fra imprenditore e consumatore l’unico criterio territorialmente utile è quello della residenza o del domicilio del consumatore. 81 Anno accademico 2018-2019 Art. 1341 c.c. Condizioni generali di contratto. Dispositivo dell'art. 1341 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO QUARTO - Delle obbligazioni → Titolo II - Dei contratti in generale → Capo II - Dei requisiti del contratto → Sezione I - Dell'accordo delle parti Le condizioni generali di contratto [1342, 1679, 2211] predisposte da uno dei contraenti (1) sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto (2) questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza [1176, 1370]. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità [1229], facoltà di recedere dal contratto [1373] o di sospenderne l'esecuzione [1461], ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze [2965], limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni [1462], restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi [1379, 1566, 2596], tacita proroga o rinnovazione del contratto [1597, 1899], clausole compromissorie [808 c.p.c.] o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria [1370; 6, 28, 29, 30, 413 c.p.c.] (3). Art. 1342 c.c. Contratto concluso mediate moduli o formulari. Dispositivo dell'art. 1342 Codice civile Fonti → Codice civile → LIBRO QUARTO - Delle obbligazioni → Titolo II - Dei contratti in generale → Capo II - Dei requisiti del contratto → Sezione I - Dell'accordo delle parti Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari [1370], predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali (1), le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse anche se queste ultime non sono state cancellate. Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente. - art. 28 c.p.c.: per determinate controversie patti in deroga alla competenza territoriale non sono comunque possibili —> 2 casi importanti: cause in cui è previsto obbligatoriamente l’intervento del PM; controversie di lavoro. Art. 28 c.p.c. Foro stabilito per accordo delle parti. Dispositivo dell'art. 28 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione III - Della competenza per territorio La competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti [29] (1), salvo che per le cause previste nei nn. 1, 2, 3 e 5 dell'articolo 70 (2), per i casi di esecuzione forzata, di opposizione alla stessa, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti in camera di consiglio e per ogni altro caso in cui l'inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge [25, 38, 413, 661, 747, 825] (3). Momento determinante della giurisdizione e della competenza. Art. 5 c.p.c./legge n. 218/1995 art. 8: momento rilevante per determinare competenza e giurisdizione. Art. 5 c.p.c. Momento determinante della giurisdizione e della competenza. Dispositivo dell'art. 5 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione I - Della giurisdizione e della competenza in generale La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente (1) e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda [163, 316, 414] (2), e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo (3). Art. 5 c.p.c.: per determinare la competenza e la giurisdizione si guarda allo stato di fatto e alle norme esistenti nel momento in cui la causa inizia, i mutamenti dello stato di fatto e il cambiamento delle norme lite pendente non hanno rilevanza. 82 Anno accademico 2018-2019 Ordinanza che pronuncia sulla sola competenza: - in senso positivo: ordinanza impugnabile dal convenuto, non dall’attore perché è colui che ha scelto il giudice che si dichiara competente —> l’unico legittimato all’impugnazione è il convenuto attraverso il regolamento di competenza, perché lo stesso convenuto dall’incompetenza del giudice otterrebbe che il processo non potrebbe più essere pronunciato davanti a quel giudice; - in senso negativo: l’unico legittimato ad impugnare è l’attore attraverso il regolamento di competenza —> unico soggetto interessato all’impugnazione perché è colui che ha scelto un giudice che si dice incompetente, dando torto all’attore stesso. Sentenza che cumula la decisone di competenza con la decisione di merito —> 2 alternative: - competenza + ragione all’attore: l’interessato ad impugnare è il convenuto —> 3 chance: 1. attaccare solo il capo sulla competenza —> regolamento di competenza; 2. attaccare solo il capo sul merito —> mezzo ordinario di impugnazione; 3. attaccare tutti e due i versanti —> mezzo ordinario di impugnazione; - competenza + ragione al convenuto: l’interessato ad impugnare è l’attore, che non potrebbe attaccare il capo sulla competenza ma potrebbe attaccare il capo di merito, attraverso il mezzo ordinario di impugnazione (appello). Ci si potrebbe chiedere se il convenuto, che pur si è visto dar ragione nel merito, potrebbe attaccare il capo sulla competenza con regolamento di competenza ma la risposta è no perché lo stesso convenuto ha avuto la vittoria nel merito, che se diventa definitiva forma la cosa giudicata. Se si consentisse al convenuto, che ha avuto ragione nel merito, di criticare la decisone sulla competenza, si consentirebbe al convenuto una sorta di auto-lesione, perché se avesse ragione sulla competenza crollerebbe la sua vittoria nel merito. Ci si potrebbe anche chiedere se una volta che l’attore ha impugnato la decisione di merito, potrebbe sorgere un interesse del convenuto ad attaccare il capo sulla competenza. Si potrebbe dire che finché la Corte d’Appello non riforma la decisone che vedeva vittorioso il convenuto resta a lui la vittoria. Si potrebbe anche dire però che l’interesse del convenuto ad attaccare il capo sulla competenza, all’inizio inesistente, potrebbe diventare un interesse condizionato: di fronte al rischio di perdere in appello, il convenuto potrebbe aver interesse a tirare fuori la questione di competenza facendo abbattere così tutta la sentenza di 1°grado. Il legislatore consente al convenuto, proposta l’impugnazione ordinaria altrui, sorge nell’altra parte l’interesse a proporre il regolamento di competenza. Quando viene proposto il regolamento di competenza, l’impugnazione ordinaria viene automaticamente sospesa. Il giudice d’appello si blocca in attesa della decisone sulla competenza della Cassazione. Termini per proporre il regolamento di competenza: - 30 giorni dalla comunicazione della decisione sulla competenza; - se la stessa sentenza è stata impugnata nel merito dall’altra parte il termine viene prorogato fino ai 30 giorni dalla proposizione dell’attui impugnazione. 85 Anno accademico 2018-2019 Esempio: Tizio, attore vs. Caio, convenuto. Il giudice si dichiara competente e dà ragione a Caio. Tizio non può proporre immediatamente il regolamento di competenza perché in quanto attore è colui che ha scelto il giudice (che non gli ha dato ragione nel merito ma si è dichiarato competente). Caio non può proporre il regolamento di competenza perché ha vinto nel merito. Tizio può però proporre appello perché ha perso nel merito: nel momento in cui Tizio propone appello si riapre il termine per proporre il regolamento di competenza, così che il convenuto Caio possa avere 30 giorni da quel momento per proporre lo stesso regolamento. Caio potrebbe preferire in questo senso far abbattere la vittoria in rito piuttosto che rischiare di vedersi attribuita una sconfitta nel merito dalla sentenza di appello. Non sempre il giudice deve decidere sulla sua competenza. Quando viene in rilievo la sola competenza per territorio, nei casi in cui tale competenza è pattiziamente derogabile, il legislatore costruisce un meccanismo che può sollevare il giudice dalla necessità di decidere. Proposta la domanda da parte dell’attore, se il convenuto contesta la competenza del giudice indicando quello che secondo lui sarebbe competente, il c.p.c. consente all’attore di aderire all’indicazione del convenuto. Se l’attore aderisce all’indicazione del convenuto si verifica una sorta di accordo processuale sulla competenza, come se le parti avessero pattuito in corso di processo un accordo sulla competenza per territorio. Esattamente come a proposito della giurisdizione, quando si ha una dichiarazione di incompetenza o quando c’è un accordo sulla stessa come sopra detto, il giudice chiude la causa davanti se indicando il giudice competente davanti al quale le parti nei tre mesi successivi possono riassumere la causa. Il meccanismo di translatio iudicii che vale a proposito della giurisdizione civile italiana funziona a tutto campo nel settore della competenza: qualsiasi giudice che si dichiari incompetente pone fine al processo davanti a sé ma non pone fine al processo considerato nel suo complesso, perché se la parte interessata a diligente riassume nei tre mesi il processo davanti al giudice dichiarato competente è lo stesso processo che continua (gli effetti sostanziali e processuali della domanda restano ancorati al primo atto introduttivo del processo). Se il secondo giudice si ritiene incompetente: - per valore o per territorio derogabile: il pensiero del secondo giudice non ha nessuna rilevanza, la competenza è vincolata dalla decisione del primo; - per materia o per territorio inderogabile: il giudice è libero di valutare la propria incompetenza, ma non può dichiararsi incompetente, bensì deve investire la Corte di Cassazione con il regolamento di competenza d’ufficio. Riassumendo. 4 Regolamenti (4 vie che portano la decisione direttamente in Cassazione): - regolamento di competenza —> su istanza di parte: unico mezzo di impugnazione, con il quale si attacca la decisione sulla competenza; - regolamento preventivo di giurisdizione —> su istanza di parte: è la parte che decide di rivolgersi alla Cassazione, ma in via preventiva - prima che ci sia una sentenza - per acquisire una certezza sulla giurisdizione prima che il giudice si pronunci; 86 Anno accademico 2018-2019 - regolamento di giurisdizione d’ufficio —> quando a seguito di translatio iudicii il secondo giudice appartenente al secondo ordine giurisdizionale si ritiene privo di giurisdizione; - regolamento di competenza d’ufficio —> quando a seguito di translatio iudicii il secondo giudice si ritiene incompetente per materia o per territorio inderogabile. Elemento di complicazione: se la pronuncia di incompetenza è del giudice di pace, il regolamento di competenza come mezzo di impugnazione non opera. In questi casi comunque l’unico strumento di attacco della pronuncia è l’appello, non il regolamento di competenza. Tuttavia anche di fronte alle sentenze del giudice di pace opera il regolamento di competenza d’ufficio. Se, quindi, si verifica la translatio iudicii e il secondo giudice davanti al quale è riassunta la causa è un giudice di pace che si ritiene incompetente - per materia o per territorio inderogabile - deve comunque ricorrere al regolamento di competenza d’ufficio. Competenza. Azioni fra di loro cumulate, proposte nel medesimo processo. Questioni pregiudiziali. Art. 34 c.p.c. Accertamenti incidentali. Dispositivo dell'art. 34 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione IV - Delle modificazioni della competenza per ragione di connessione Il giudice, se per legge [124 c.c.] o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato [324; 2909 c.c.] una questione pregiudiziale (1) che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest'ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio [153] per la riassunzione della causa davanti a lui [50, 307 3; disp. att. 125] (2). In riferimento ai limiti del giudicato si è detto che la cosa giudicata si estende non solo alla specifica domanda proposta dall’attore, ma anche a tutti gli aspetti del medesimo rapporto giuridico nel quale la domanda si inscrive, il giudicato non si estende invece alle questioni pregiudiziali che fanno riferimento ad un rapporto giuridico diverso. L’art. 34 c.p.c. prende in considerazione il caso in cui sul rapporto pregiudiziale diverso si debba decidere con efficacia piena e non meramente incidentale —> 2 ipotesi: I. quando ci sia un’espressa domanda di parte, che chieda al giudice di decidere una volta per tutte —> sarà possibile in quanto la parte ne abbia legittimazione e ne abbia interesse; II. quando la decisione con efficacia di giudicato sia imposta dalla legge: ipotesi molto più incerta;
 
 unico fenomeno sul quale si concorda che la legge richieda la pronuncia con efficacia di giudicato —> matrimonio: tra le varie ipotesi di nullità c’è quella del matrimonio del bigamo, ma è possibile che nell’azione di nullità di matrimonio il bigamo affermi che è vero che è il secondo matrimonio ma che il primo era nullo, se così fosse non avrebbe impedimento da bigamia —> secondo l’art. 124 c.c. (vincolo di precedente matrimonio) non si può decidere sulla validità del secondo matrimonio conoscendo in via meramente incidentale l’invalidità del primo, bisogna decidere con efficacia piena quale dei due sia il matrimonio valido;
 
 la giurisprudenza ritiene che l’ipotesi in cui ci sia comunque necessità di una decisione con efficacia piena è quella su tutte le azioni di status (filiazione, matrimonio, adozione) —> in tutti questi casi secondo la giurisprudenza dev’esserci un accertamento con efficacia piena. 87 Anno accademico 2018-2019 Ratio: probabilmente delle ragioni storiche, viene però fuori sicuramente un meccanismo non molto lineare. Chiamata in garanzia. Art. 32 c.p.c. Cause di garanzia. Dispositivo dell'art. 32 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione IV - Delle modificazioni della competenza per ragione di connessione La domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo(1). Qualora essa ecceda la competenza per valore del giudice adito, questi rimette entrambe le cause al giudice superiore assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione (2). Intervento di un terzo su istanza del convenuto: il convenuto può chiamare un terzo dal quale vuole essere garantito. La domanda di garanzia si può proporre nello stesso processo nel quale è proposta la domanda principale. Ma se la chiamata in garanzia supera i limiti di valore del giudice adito deve andare tutto quanto al giudice superiore. Ci si chiede per come sia possibile che la domanda di garanzia superi l’ammontare della domanda principale. Essendo il garante un soggetto che deve tenere indenne il convenuto dalla sconfitta, ci si chiede cioè come sia possibile il superamento nel valore. Bisogna immaginare che il rapporto di garanzia sia un rapporto che nel suo insieme abbia un valore più alto di quello oggetto della domanda principale. Se il garante convenuto mette in discussione l’esistenza del rapporto di garanzia, allora mette in discussione l’accertamento dell’intero rapporto di garanzia che potrebbe avere nel suo insieme un valore più alto. Esempio: se sorge una questione sull’intero rapporto di assicurazione e questo supera i limiti del valore del giudice di pace opera l’art. 32 c.p.c. e tutto quanto va al Tribunale. Cause accessorie. Art. 31 c.p.c. Cause accessorie. Dispositivo dell'art. 31 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione IV - Delle modificazioni della competenza per ragione di connessione La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale (1) affinché sia decisa nello stesso processo, osservata, quanto alla competenza per valore, la disposizione dell'articolo 10, secondo comma [18, 40, 274] (2). [Può tuttavia essere proposta allo stesso giudice anche se eccede la sua competenza per valore, qualora la competenza per la causa principale sia determinata per ragione di materia] (3)(4). La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinché sia decisa dal medesimo processo, osservata per quanto riguarda la competenza per valore la disposizione di cui all’art.10 comma 2 c.p.c. La accessorietà di cause è individuata dalla giurisprudenza essenzialmente in 2 ipotesi: 90 Anno accademico 2018-2019 1. se in un’azione a tutela del possesso viene anche proposta una domanda risarcitoria, questa è ritenuta una domanda accessoria; 2. Il rapporto di fideiussione, contratto di garanzia per cui un terzo risponde dei debiti dell’obbligato principale, è ritenuto un rapporto che dà luogo ad una causa accessoria. Cumulo oggettivo: fino ad ora, i casi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35, 36 c.p.c. danno luogo a fenomeni di cumulo oggettivo —> più questioni vengono cumulate nella stessa causa. Cumulo soggettivo. Art. 33 c.p.c. Cumulo soggettivo. Dispositivo dell'art. 33 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione IV - Delle modificazioni della competenza per ragione di connessione Le cause contro più persone che a norma degli articoli 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l'oggetto o per il titolo (1) possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse (2), per essere decise nello stesso processo [103, 274] (3) (4). Il petitum è unico ma indirizzato verso più soggetti. Caso tipico: co-obbligati solidali. Le cause contro più soggetti connesse per il titolo (causa petendi) o per l’oggetto possono essere proposte al giudice territorialmente competente per una qualsiasi (regola di favore per l’attore). Litispendenza, continenza, connessione. È necessario ora immaginare l’ipotesi che le cause connesse non siano proposte nello stesso processo, ma siano proposte in processi separati. Tale fenomeno, di cause in qualche modo accomunate ma proposte in processi separati, da luogo a tre fenomeni. Litispendenza (1). Litispendenza: l’art. 39 c.p.c. prende in considerazione il caso in cui la stessa identica causa sia proposta davanti a giudici diversi —> ipotesi assolutamente patologica, contraria a qualsiasi logica di economia processuale, foriera di un ipotesi di conflitto di giudicato. Il giudice adito per secondo, da u pinto di vista cronologico, riscontrata la litispendenza deve dichiararla e chiudere il processo davanti a sé —> seconda domanda: domanda inammissibile, rispetto alla quale il giudice deve limitarsi a chiudere il processo. Il secondo giudice deve dichiarare la litispendenza, e quindi chiudere il processo davanti a sé, indipendentemente dalla verifica della competenza. 91 Anno accademico 2018-2019 Art. 273 c.p.c. Riunione di procedimenti relativi alla stessa causa. Dispositivo dell'art. 273 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale → Capo II - Dell'istruzione della causa → Sezione IV - Dell'intervento di terzi e della riunione di procedimenti Se più procedimenti relativi alla stessa causa [39 c.p.c.] pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d'ufficio (1), ne ordina la riunione (2). Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per la stessa causa pende procedimento davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti (3), ordina con decreto la riunione, determinando la sezione o designando il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire. Ipotesi per la quale le due cause pendono davanti allo stesso ufficio giudiziario. In questo caso la seconda causa non viene dichiarata inammissibile, ma dato che l’organo giudiziario è identico le due cause vengono riunite. Riassumendo: - art. 39 c.p.c.: se gli organi giudiziari sono differenti scatta la norma di cui all’art. 39 c.p.c. per cui il secondo giudice adito deve chiudere il processo con la dichiarazione di litispendenza; - art. 273 c.p.c.: se le due cause sono davanti allo stesso organo giudiziario vengono riunite. Continenza (2). Continenza: la relazione di contingenza fra due cause pendenti davanti ad organi giudiziari diversi, è quella per cui una causa contiene in sé l’altra. Si può avere una relazione di continenza per il petitum mediato. Esempio: Tizio chiede la condanna di Caio al pagamento del capitale in una prima causa, in una seconda causa chiede la condanna di Caio al pagamento del capitale più gli interessi. Si tratta di una continenza per petitum mediato: l’oggetto è per un pezzo identico, il capitale, nella seconda causa si aggiungono gli interessi. Si può avere una relazione di continenza anche per il petitum immediato, cioè per il tipo di provvedimento chiesto al giudice. Quando si è detto delle azioni di mero accertamento, di condanna e costitutive, si è detto che le azioni di condanna e costitutive hanno oltre al mero accertamento, qualcosa di più. Esempio: condanna = accertamento + condanna al convenuto di pagare la cosa —> es.: in una prima causa Tizio chiede al giudice di accertare che Caio gli deve 10, in una seconda causa Tizio chiede al giudice la condanna di Caio per 10 —> continenza per petitum immediato. La maggioranza della dottrina si ferma a queste ipotesi di continenza, ma la giurisprudenza allarga la nozione e ritiene che siano in rapporto di continenza anche le cause fondate sul medesimo rapporto contrattuale e fra loro contrapposte. Regola: se sono proposte davanti a giudici diversi due cause il relazione di continenza, il secondo giudice deve dichiararsi incompetente in favore del primo (prevale il criterio temporale), ma in questo caso viene in rilievo la competenza perché se il secondo giudice è quello competente per valore allora il processo rispetto al quale si ha la dichiarazione di incompetenza non è il secondo ma il primo. 92 Anno accademico 2018-2019 Astensione obbligatoria. Art. 51 c.p.c. —> 3 tipologie: 1. rapporti personali: il giudice è legato, o con rapporti di parentela, o con rapporti di coniugio, o con rapporti di convivenza, o con rapporti di amicizia forte o di odio verso una delle parti o dei suoi difensori; 2. rapporti fra giudice e lite: il giudice si è già occupato della controversia o in un precedente grado di giudizio oppure se si è occupato della lite come avvocato, o se nella causa aveva deposto come testimone; 3. rapporti di interesse all’esito del processo: il giudice è in stato di astensione o ricusabilità se ha interesse all’esito, ovvero al modo in cui la causa viene decisa (se da un certo tipo di decisione gliene viene un vantaggio indiretto) —> la regola dell’interesse viene estesa al caso in cui il giudice abbia interesse, non nella singola causa rispetto alla quale è chiamato a giudicare, ma ad una causa diversa che verta su una medesima questione di diritto: caso in cui il giudice decidendo la causa a cui è chiamato in un certo modo potrebbe fare della sua decisione un precedente che potrebbe essere invocato dal giudice chiamato a decidere la causa di cui lui abbia interesse. Di cui al n. 2 ex art. 51 c.p.c. si parla di “commensale abituale”. Esempio. In questo senso ci si è chiesti, ad esempio, se partecipare alla redazione della stessa rivista giuridica, sia una ragione assimilabile alla commensalità abituale: secondo la giurisprudenza di Milano no. Si è ritenuto allo stesso modo, in tema di arbitrato, che non sia motivo di ricusazione il fatto che l’avocato e l’arbitro privato siano stati colleghi di università. Di cui al n. 3 ex art. 51 c.p.c. si parla di “grave inimicizia”. Esempio. Caso del Tribunale di Napoli, 2009. Situazione di fatto: quattro giudici discutono di una controversia in una stanza di Tribunale. Fuori dalla stanza c’è però un avvocato che sente che uno dei giudici parlare di lui con assoluta disistima. I giudici stavano valutando se in una procedura fallimentare scegliere un avvocato per una valutazione e uno dei giudici fa il nome di quell’avvocato parlandone in quel senso. L’avvocato poi si trova in causa con il giudice in questione, secondo il Tribunale di Napoli però non si trattava una ragione di ricusazione assimilabile al caso di inimicizia. Ricusazione —> singolare paradosso. Se un giudice viene ricusato e la ricusazione viene respinta, cioè si ritiene che non ci siano ragioni ostative a che il giudice decida la causa, il giudice che è stato ricusato se prima della ricusazione era davvero imparziale forse dopo la richiesta di ricusazione una certo risentimento verso la parte che l’ha ricusato lo viene a sviluppare. Paradosso: se si desse credito al risentimento che sorge a seguito della richiesta di ricusazione si dovrebbe dire che basta ricusare anche a vuoto per generare nel ricusato quello stato di inimicizia che anche se prima non c’era poi si crea. Se così fosse però chiunque potrebbe essere ricusato da una delle parti con l’obbiettivo di indurre quello stato che dovrebbe invece preesistere alla ricusazione. Bisogna dire allora che ciò è irrilevante altrimenti si dovrebbe dare per scontato che la ricusazione, se respinta, determinerebbe un risultato sfavorevole al ricusante. Sulla ricusazione decide un collegio di giudici dello stesso organo giudiziario di cui fa parte il giudice ricusato. L’unico caso in cui non è lo stesso organo giudiziario a giudicare sulla ricusazione è il caso di ricusazione del giudice di pace, in quel caso decide il Presidente del Tribunale. 95 Anno accademico 2018-2019 Il provvedimento sulla ricusazione non è impugnabile. Se la ricusazione è accolta il giudice che accoglie la ricusazione sceglie automaticamente un altro magistrato a cui affidare la causa. Se la ricusazione è respinta il giudice che era stato ricusato continua a svolgere il suo incarico. Astensione facoltativa. Si è detto che fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge il giudice può decidere di astenersi in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Si tratta di una decisione discrezionale, ma il legislatore teme che il giudice possa usare la grave ragione di opportunità per astenersi come pretesto per non incaricarsi di quella determinata controversia, allora la decisione finale sull’astensione facoltativa non è del giudice che vuole astenersi ma del capo del suo medesimo ufficio giudiziario. Si è detto che sulla ricusazione decide normalmente un collegio di giudici appartenenti allo stesso organo, salvo nel caso che sia ricusato il giudice di pace e la decisione di ricusazione non è impugnabile. Si è altresì detto che la decisione sulla ricusazione non è impugnabile. In relazione a ciò ci si chiede se possa essere impugnabile la sentenza resa da un giudice che si ritiene essere stato parziale facendo valere come motivo di impugnazione, quindi come motivo di invalidità della sentenza, la circostanza che il giudice si trovava in una situazione di astensione obbligatoria. La risposta è frutto di una giurisprudenza costante, la quale afferma che intanto la parte soccombente può impugnare la sentenza in quanto abbia proposto un’istanza di ricusazione che è stata respinta. Se l’istanza di ricusazione non è stata proposta la sentenza non può essere attaccata facendo valere la parzialità del giudice. È vero che la decisione sulla ricusazione in sé non è impugnabile, ma nel momento in cui è resa la sentenza dal giudice ricusato quando la ricusazione è stata respinta, si ha la possibilità di attaccare la sentenza, facendone valere la parzialità. C’è solo un’ipotesi in cui indipendentemente dalla proposizione della ricusazione la sentenza è comunque impugnabile: si tratta del caso in cui il giudice avesse interesse alla causa. A proposito del giudice interessato è necessario un collegamento con quanto detto a proposito l’intervento, fenomeno processuale per il quale un soggetto che non è parte può diventarlo se c’è connessione tra la domanda che intende proporre e la domanda che fa già parte del processo in corso. Il giudice interessa è essenzialmente quello che, pur non essendo parte, si trova in una situazione per cui sarebbe possibile il suo intervento. Art. 52 c.p.c. Ricusazione del giudice. Dispositivo dell'art. 52 Codice di procedura civile Fonti → Codice di procedura civile → LIBRO PRIMO - Disposizioni generali → Titolo I - Degli organi giudiziari → Capo I - Del giudice → Sezione VII - Dell'astensione, della ricusazione e della responsabilità dei giudici Nei casi in cui è fatto obbligo al giudice (1) di astenersi [51], ciascuna delle parti può (2) proporne la ricusazione mediante ricorso contenente i motivi specifici e i mezzi di prova. Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell'inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario [54 2] (3). La ricusazione sospende il processo [296, 298] (4). 96 Anno accademico 2018-2019 Art. 52 c.p.c. —> la proposizione della ricusazione sospende automaticamente il processo. Nonostante questa formula che non ammette eccezioni la giurisprudenza, da un po’ di anni, ritiene che la sospensione non sia automatica ma sia rimessa alla valutazione della probabile fondatezza dell’istanza della ricusazione. La giurisdizione individua il complesso dei giudici civili italiani. La competenza individua all’interno del complesso l’organo giudiziario competente. Le norme che all’interno dell’organo individuano il singolo magistrato, non sono rilevanti ai fini del processo (la violazione di queste norme non ha effetti processuali salvo che la causa vada a finire di fronte ad un giudice parziale, casi in cui scattano le norme su astensione e ricusazione). 97
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