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procedura civile I (riassunto Luiso primo volume), Dispense di Diritto Processuale Civile

Il documento è un riassunto del manuale Luiso, ultima edizione (aggiornato alla Riforma Cartabia) utile alla preparazione della prima parte dell'esame di procedura civile.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 06/03/2024

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Scarica procedura civile I (riassunto Luiso primo volume) e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE IL DIRITTO SOSTANZIALE E L’ATTIVITIA GIURISDIZIONALE Oggetto del diritto processuale civile non è definibile in modo rigido, varia dal punto di vista storico e in dipendenza delle impostazioni generali di ogni ordinamento. Ha oggetto le norme contenute nel codice processuale civile, che a loro volta disciplinano l’attività giurisdizionale – quel settore del diritto pubblico che regola l’attività dei giudici ordinari ex art 102 cost. Però il contenuto del c.p.c e le attribuzioni della magistratura sono eterogenee, è quindi necessario ricercare un criterio sistematico per definire il contenuto del diritto processuale civile Da un lato si può quindi dire che il diritto processuale civile ricopre, lato sensu, l’area della tutela dei diritti quindi si caratterizza per essere una normativa secondaria – che interviene laddove la normativa primaria ha fallito il suo scopo. La tutela dei diritti può aver luogo - in via giurisdizionale (attraverso l’attività dello stato ex titolo IV della costituzione ed è affidata alla magistratura) - in via non giurisdizionale – ad esempio attraverso l’arbitrato per ciò che attiene alla tutela dichiarativa o attraverso la pubblica amministrazione per ciò che riguarda la tutela esecutiva. Infatti, la riserva prevista dall’art 102 cost riguarda solo la tutela dichiarativa dei diritti realizzata attraverso provvedimenti autoritativi: non esclude né tutela dichiarativa impartita mediante atti non di diritto pubblico, né una tutela esecutiva impartita mediante atti autoritativi non giurisdizionali, sebbene dalla pubblica amministrazione. Dall’altra lato, alla giurisdizione civile possono essere attribuite anche funzioni ulteriori della tutela dei diritti – esempio la giurisdizione volontaria è attività nella sostanza amministrativa, in quanto che al giudice viene attribuita la cura di interessi ed è attribuita alla magistratura per mere ragioni di opportunità, in ragione della peculiare posizione di indipendenza organizzativa che riveste. Ma può essere anche attribuita a soggetti diversi, senza violare l’art 102 cost. Giurisdizione e tutela dei diritti sono due cerchi che si sovrappongono solo parzialmente: - vi è un settore comune: attività giurisdizionale finalizzata alla tutela dei diritti) - due settori autonomi a) attività giurisdizionale non finalizzata alla tutela dei diritti b) tutela dei diritti perseguiti per via non giurisdizionale negli ultimi anni si è sviluppato un ulteriore settore del diritti processuale civile: quello degli strumenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie. Sono strumenti talvolta negoziali o autoritativi che hanno la stessa finalità e producono lo stesso risultato della giurisdizione dichiarativa e dell’arbitrato. STRUTTURA DEL DIRITTO PROCESSUALE in qualunque ordinamento esiste una normativa che disciplina i comportamenti dei consociati, tale normativa che possiamo chiamare “sostanziale” / “primaria” è un complesso che istituisce una rete di doveri di comportamento, cercando di raggiungere determinate finalità. Esempio – norma del c.p. art 575 che pone il divieto di uccidere: l’astenersi da tale comportamento è doveroso. Ci sono anche norme che danno facoltà a taluni soggetti di compiere certe attività e garantiscono loro un potere di scelta in ordine a certi comportamenti- esempio il titolare del diritto di proprietà su un bene garantisce (art 832 cc) la spendita di determinati poteri sul bene locato. Da un lato troviamo che certi comportamenti sono qualificati come doverosi (o l’astensione da essi è doverosa) e dall’altra abbiamo che certi comportamenti sono qualificati come possibili e rimessi alla scelta del soggetto (o l’astensione di essi è qualificata come possibile). Il secondo aspetto non è costante: non sempre l’ordinamento garantisce la possibilità di tenere certi comportamenti, mentre l’imposizione di doveri costituisce un dato immancabile. Può accadere che, di fronte a una norma che in astratto prevede che si debbano o non si debbano tenere certi comportamenti, l’attività concreta di un consociato si trovi ad essere difforme dall’astratta previsione normativa – ILLECITO, che è il comportamento concreto difforme alla previsione normativa. L’ordinamento, oltre a imporre doveri, talvolta riconosce determinati interessi della vita, che sceglie certe volte liberamente e altre vincolato dalla costituzione. 1 - Nel settore penale di fronte al reo non abbiamo il titolare dell’interesse protetto: l’interesse protetto è unicamente quello generale - Di fronte al debitore che non paga, abbiamo la figura del creditore: soggetto che ha un interesse garantito dall’ordinamento. Questo interesse è chiamato diritto soggettivo o interesse legittimo. = proprio in previsione del soddisfacimento dell’interesse tutelato l’ordinamento impone il dovere: l’obbligo di pagare il credito è imposto al debitore per la soddisfazione del diritto del creditore. La relazione è trilaterale (ordinamento – titolare del dovere – titolare del bene della vita, elevato a rango di situazione sostanziale protetta in funzione della quale l’ordinamento impone il dovere e che è destinata a essere soddisfatta dal comportamento doveroso altrui). È necessario però che l’ordinamento preveda il caso che i doveri previsti non siano rispettati, e quindi venga ad esistenza un illecito. L’ordinamento deve prefigurarsi il caso in cui ad esempio il debitore non paghi il proprio debito – a differenza del diritto penale, dove il meccanismo è lineare (illecito – processo – sanzione penale), nel diritto processuale civile quando l’illecito è correlato a situazioni sostanziali protette dall’ordinamento si prevede che all’illecito seguano conseguenze sul piano sostanziale = alla violazione del dovere di comportamento subentra un ulteriore dovere di comportamento ESEMPIO – un dovere primario correlato al diritto di proprietà consiste nel non sottrarre il bene al proprietario; se viene sottratto all’illecito consegue il dovere di restituzione del bene, dei frutti e anche del risarcimento del danno eventualmente art (948 c.c.) Il meccanismo però non può essere ripetuto all’infinito, alla violazione di un dovere prima o poi corrisponde una replica dell’ordinamento sempre sul piano sostanziale attraverso la nascita di un diverso dovere. Se chi si è impossessato del bene altrui è divenuto obbligato a restituirlo ma non lo restituisce si innescherà il meccanismo giurisdizionale che ha la funzione di intervenire laddove la normativa sostanziale è entrata in crisi. Quindi, la tutela giurisdizionale deve partire dalla realtà sostanziale e alla realtà sostanziale deve tornare – il processo è una macchina che deve prendere all’inizio del suo ciclo lavorativo quel frammento della realtà sostanziale interessato dall’illecito, operare su tale frammento, con lo scopo di rimetterlo nella realtà sostanziale, una volta ricucito lo strappo prodotto. È stretto il collegamento tra processo e realtà sostanziale, anzi l’oggetto principale dello studio è stabilire come il processo si adatta alla realtà e come evitare che la distorca- Il processo è al servizio del diritto sostanziale. PRESUPPOSTI DELL’ATTIVITA GIURISDIZIONALE Il presupposto costante della tutela giurisdizionale è nell’affermazione o nell’esistenza di un illecito (=comportamento difforme dall’astratto dovere imposto da una previsione normativa. Per quanto riguarda l’attività giurisdizionale civile, c’è un quid pluris: la violazione del dovere, cioè l’illecito, produce anche (soprattutto) la lesione, l’insoddisfazione di una situazione sostanziale protetta. L’illecito provoca la violazione di quell’interesse protetto che è elevato dall’ordinamento a dignità di situazione sostanziale. Esempio il mancato pagamento del debito non costituisce solo la violazione di un dovere ma anche la lesione di un diritto di credito, proprio perché quel dovere di comportamento non è fine a sé stesso ma è previsto per la realizzazione della corrispondente situazione sostanziale protetta. L’illecito produce la lesione del diritto perché senza l’adempimento dei doveri che l’ordinamento impone, non è possibile garantire la soddisfazione dell’interesse, che sta alla base della situazione sostanziale riconosciuta dall’ordinamento. Rispetto alla giurisdizione penale, in quella civile c’è un elemento in più: la situazione sostanziale protetta che l’ordinamento garantisce e riconosce, e che viene a essere lesa perché non trovano attuazione quelle previsioni che l’ordinamento pone nell’interesse della situazione stessa. Tutte le forme di giurisdizione sono simili perché hanno in comune la seguente caratteristica = vi è una situazione sostanziale da tutelare. Anche il processo amministrativo e tributario è civile, hanno come scopo la tutela dei diritti; si differenziano dal penale in cui non ci sono situazioni sostanziali da tutelare ma illeciti da reprimere, violazioni di norme penali cui fa conseguire applicazione della sanzione. 2 Il provvedimento costitutivo, sulla base della situazione sostanziale preesistente e verificata la sussistenza dei presupposti per la modificazione di queta, opera tale modificazione e statuisce su ciò che è lecito e su ciò che è doveroso fare in conseguenza della modificazione effettuata. A una sentenza costitutiva può conseguire una consequenziale pronuncia di condanna. Esempio la sentenza costitutiva risolve il contratto per inadempimento ex art 1453 cc; il consequenziale provvedimento di condanna ciascuna parte alla restrizione all’altra delle prestazioni eventualmente già effettuate. Il legislatore dal punto di vista giuridico – politico sceglie la via dell’esercizio stragiudiziale del diritti potestativo quando privilegia l’esigenza dell’immediatezza rispetto all’esigenza della certezza; mentre al contrario sceglie la via dell’esercizio giudiziale del diritto, quando ritiene preminenti le esigenze di certezza su quelle dell’immediatezza. Infatti, se l’effetto è prodotto dal provvedimento giurisdizionale è necessario più tempo perché esso si produca, ma al tempo stesso l’atto che lo produce (provvedimento giurisdizionale) è maggiormente percepibile dell’atto stragiudiziale di esercizio del diritto stesso. La tutela dichiarativa realizza la tutela della situazione sostanziale protetta mediante la determinazione dei comportamenti possibili e doverosi, che con riferimento a quella situazione sostanziale, le parti possono o devono tenere. A volte le regole di condotta sono ricavate dalla realtà sostanziale preesistente (sentenza di mero accertamento); altre sono ricavate dalla realtà sostanziale così come modificata dal provvedimento. (sentenza costitutiva) d) Esecutiva = si ricollega alle ipotesi in cui l’ordinamento impone a un soggetto di tenere un comportamento funzionale alla soddisfazione, realizzazione di una situazione sostanziale protetta. Quando il comportamento non è stato tenuto, la pura e semplice attività dichiarativa non è necessaria né sufficiente per la soddisfazione della situazione sostanziale protetta. Non è necessario che il giudice impartisca una tutela dichiarativa nei seguenti termini:” accertato che esiste il diritto di credito occorre che il debitore adempia”. La tutela dichiarativa ha funzione di determinare i comportamenti leciti e quelli doverosi laddove fra gli stessi siano controverse le rispettive regole di condotta. La tutela dichiarativa può rendersi necessaria solo ove il titolare del diritto si debba procurare un titolo esecutivo che è il presupposto indispensabile del processo esecutivo. La tutela dichiarativa non è sufficiente, perché niente garantisce che, anche dopo l’emanazione del provvedimento dichiarativo non persista ancora l’emanazione del comportamento dovuto. Se il soggetto obbligato non si attiva nel senso voluto dall’ordinamento, deve intervenire una diversa forma di tutela che garantisca la soddisfazione della situazione sostanziale, per la realizzazione della quale è previsto l’obbligo di tenere quel comportamento che in concreto non è stato tenuto. La tutela in questione è impartita attraverso l’attività giurisdizionale esecutiva che si articola in due forme a) Esecuzione forzata diretta – si ha tutte le volte in cui l’attività non tenuta dall’obbligato è sostituta da una corrispondente attività dell’organo giurisdizionale. Ha carattere tipicamente sostitutivo e dà al titolare del diritto quella soddisfazione che non gli è pervenuta dalla fisiologica osservanza delle norma di comportamento Esempio tizio ha l’obbligo di consegnare un bene a caio e non lo fa, interviene l’ufficio esecutivo, il quale prende il bene dalle mani di tizio e ne trasferisce la materiale disponibilità a caio. L’attività di consegna, che non è stata compiuta dall’obbligato viene effettuata dall’organo esecutivo coattivamente, a prescindere dalla volontà dell’obbligato. o Esecuzione forzata indiretta = è previsto a carico dell’obbligato, il prodursi di determinate conseguenze sfavorevoli come conseguenza del persistere dell’inadempimento. Tali conseguenze possono variare dalla sanzione penale al sorgere di obblighi di pagamento di somme di denaro a favore dello stato o del creditore. Esempio il tenore ferruccio si è obbligato a cantare un brano d’opera, è evidente che il brano cantato dal giudice non è la stessa cosa. L’esecuzione diretta differisce da quella indiretta per il fatto che, nel primo caso (diretta) l’attività dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo; mentre nel secondo caso (indiretta) so cerca di convincere l’obbligato a tenere il comportamento dovuto, stabilendo, come conseguenza il ripersi o protrarsi dell’inadempimento, il sorgere di effetti che, per l’obbligato, producono conseguenze più onerose dell’adempimento stesso. La tutela esecutiva può essere impartita in via autoritativa (attraverso strumenti di diritto pubblico), anche da soggetti della magistratura. e) Cautelare = dal momento della richiesta di intervento e l’impartizione della tutela, passa un certo lasso di tempo nel quale la realtà non si ferma. Questo rischia di sminuire o estinguere l’interesse di colui che ha richiesto la tutela giurisdizionale – esempio se è inadempiuto un obbligo alimentare e la condanna gli alimenti viene concessa dopo 5 anni da quando gli alimenti sono stati richiesti, nel frattempo l’avente diritto è morto di fame. 5 si rendono necessari strumenti per impedire che il fluire della vita nel corso del processo possa diminuire o far scomparire l’interesse alla tutela giurisdizionale. La funzione cautelare costituisce una delle esplicazioni di un principio fondamentale del processo – la durata del processo non deve danneggiare la parte che ha ragione. Le caratteristiche della tutela cautelare sono 1. Deve essere concessa per le finalità a cui è deputata, senza una preventiva, completa ricognizione di chi abbia ragione e di chi abbia torto. Bisogna che sia impartita velocemente e con una certa approssimazione. 2. Può avere contenuto vario: custodia del bene, forme di anticipazione degli effetti del provvedimento finale 3. Ha natura subordinata e non autonoma, come la tutela dichiarativa e quella esecutiva. Non è rivolta alla tutela definitiva delle situazioni sostanziali, alla definitiva risoluzione delle controversie ma è al servizio di altre forme di tutela giurisdizionale – ha la funzione di garantire l’effettività delle forme di tutela giurisdizionale, principali. 4. Provvisorietà – ha durata limitata all’arco temporale del processo principale cui è funzionale, dopodiché è sostituita dalla misura giurisdizionale definitiva. Non realizza un bene in sé, ma un bene strumentale alle effettività che deriva dalle forme di tutela giurisdizionale principale. La tutela cautelare è una forma di intervento giurisdizionale ancillare Esempio il provvedimento di custodia del bene è destinato ad essere riassorbito dalla pronunzia definitiva che attribuirà il bene all’attore o al convenuto. Le caratteristiche sono comuni anche alla tutela sommaria non cautelare. Ciò che rende specifica la tutela cautelare sta nel periculum in mora – cioè nella funzione di realizzare il principio in base al quale la necessità di servirsi del processo non deve essere fonte di pregiudizio per la parte che avrà ragione. La tutela sommaria cautelare non è necessaria (mentre la tutela cautelare è costituzionalmente necessaria). Esempio l’accertamento tecnico preventivo (art 696) è un procedimento cautelare perché serve ad accertare una situazione che non può più essere verificata in seguito. La consulenza tecnica preventiva (696bis cpc) invece non è un procedimento cautelare, perché manca l’esigenza di evitare un pericolo derivante dalla durata del processo. I PRINCIPI COSTITUZIONALI IN TEMA DI GIURISDIZIONE le norme costituzionali sono sovraordinate alle norme primarie che disciplinano la materia giurisdizionale. Le norme costituzionali hanno la caratteristica di essere norme generali: non disciplinano compiutamente la materia, ma forniscono delle direttive, dei principi, che devono poi essere calati nella realtà normativa di rango primario. Ciò presuppone una preventiva ricognizione del modo in cui è in concreto vissuta tale realtà normativa. Per stabilire la conformità alla costituzione delle norme primarie non è quasi mai sufficiente esaminare le norme primarie limitandosi al dettato normativo, ma è necessario scendere all’esame di come in concreto sono interpretate e applicate le norme. Senza vedere qual è il diritto vivente, non è possibile stabilire se la norma è veramente contraria o conforme a principi costituzionali. La prima fondamentale norma che si interessa di tutela dei diritti è l’art 24 cost – l’articolo si struttura in quattro diverse proposizioni Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi  rileva il b) punto di vista soggettivo “tutti”, che nel linguaggio costituzionale si contrappone a “cittadini”. con “tutti” o “nessuno” si indica qualunque soggetto di diritto; mentre con “cittadini” si limita l’efficacia della regola costituzionale a coloro che sono legati allo stato dal vincolo della cittadinanza. L’articolo parla di “tutti”, ciò significa che la tutela giurisdizionale è garantita a qualunque soggetto di diritto, per il solo fatto di essere tale. Sarebbe incostituzionale una norma che subordinasse il diritto alla tutela giurisdizionale alla sussistenza di requisiti ulteriori o punto di vista oggettivo – la norma impedisce al legislatore di creare situazioni sostanziali protette e negare la tutela giurisdizionale delle stesse. Il legislatore non può, nel momento in cui riconosce a un interesse della vita la dignità di situazione sostanziale protetta, impedire che essa sia tutelabile in sede giurisdizionale. Il legislatore costituzionale ha voluto esaurire tutto il settore delle situazioni sostanziali protette. La norma si deve leggere nei seguenti termini “tutti possono agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni sostanziali protette, qualunque rango, qualunque caratteristica esse abbiano” – non è possibile un diniego espresso della tutela giurisdizionale di situazioni sostanziali protette. Anche la tutela esecutiva rientra nella garanzia costituzionale. 6 Esistono ipotesi in cui il legislatore nega expressis verbis la tutelabilità giurisdizionale di situazioni protette? La costituzione nasce in un contesto in cui il legislatore ha voluto reagire affermando principi che erano stati disapplicati nell’esperienza politica precedente. Mentre la tutela dei diritti soggettivi non era stata negata, erano invece numerosissime le ipotesi di interessi legittimi rispetto ai quali il legislatore espressamente stabiliva che non era ammessa tutela - il legislatore prevedeva impossibilità di avere la tutela giurisdizionale nei confronti della P.A, a ciò con seguiva la negazione della tutela dell’interesse legittimo correlato all’Atto amministrativo inoppugnabile. Il primo principio che si trae dall’art 24 è dove vi è una situazione sostanziale protetta, ivi deve essere possibile la tutela giurisdizionale. Il discorso diventa delicato quando ci troviamo di fronte a una tutela giurisdizionale compressa o condizionata. Esempi in cui la legittimità costituzionale va saggiata rispetto all’art 24 cost. PRIMO ESEMPIO – AUTODICHIA DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI = “farsi giustizia da sé” e ha un significato parallelo a termini come “autonomia” e “autarchia”. Si verifica con riferimento ai rapporti coi propri dipendenti, non possono chiedere la tutela giurisdizionale dei diritti, derivanti dal rapporti di lavoro, ma devono richiedere al proprio datore di lavoro il riconoscimento delle proprie pretese. È lo stesso datore che accoglie o rigetta la richiesta (esteso nel 99 per la camera e nel 2005 il senato anche ai rapporti con terzi). Tuttavia, sia la Corte costituzionale sia la corte di cassazione hanno escluso che, quando il rapporto con i terzi è disciplinato dalla normativa di diritto comune e non dalla normativa interna del parlamento, l’autodichia possa trovare applicazione. Un altro settore dove trova applicazione l’autodichia riguarda l’elezione dei membri del parlamento. se nasce una controversia in merito all’elezione di un deputato o senatore, non è risolta dal giudice ma dalla stessa assemblea, alla quale l’elezione si riferisce (art 66 cost.). L’autodichia degli organi costituzionali ha una ragione storica  nasce quando la magistratura non godeva delle garanzie di indipendenza di cui gode attualmente ma era sottoposta all’influenza dell’esecutivo. L’autodichia voleva sottrarre gli organi costituzionali all’influenza indiretta dell’esecutivo, attraverso una magistratura influenzabile. L’autodichia presenta molti profilo negativi, in primo luogo nelle controversie coi dipendenti e con terzi mancano terzietà e indipendenza. Ancor di più se ciò accade per le controversie previste dall’art 66 cost: in tal caso la decisione è presa dalla maggioranza, senza considerare che, ove le contestazioni siano numerose, si rischia che la questione sia risolta da soggetti il cui titolo di legittimazione a decidere è controverso. Oltretutto quando si tratta delle elezioni del parlamento europeo, la l- 18/1979 prevede che sia la giurisdizione a risolvere le controversie relative alle condizioni di eleggibilità e compatibilità e quelle relative alle operazioni elettorali. Sicché l’art 66 rischia di essere anacronistico. L’autodichia è salvata dalla Corte costituzionale, con la sent. 262/2019 con riferimento alle controversie dei dipendenti del senato. Tuttavia, la corte EDU ha accolto il ricorso presentato da alcuni dipendenti della camera che lamentavano la carenza dei requisiti di indipendenza e imparzialità per il “tribunale” dall’art 6 della CEDU. SECONDO ESEMPIO – ARBITRATO OBBLIGATORIO – Forma non giurisdizionale di tutela dei diritti che si ha quando gli interessati, di comune accordo stabiliscono di devolvere la soluzione a più soggetti (arbitri) e che vengono investiti della volontà della parti del potere di decidere. L’arbitrato obbligatorio di caratterizza per il fatto che è la legge che nega il diritto alla tutela giurisdizionale davanti al giudice e lascia alle parti solo la possibilità di rivolgersi all’arbitro. La previsione di un arbitrato obbligatorio non costituisce negazione assoluta di tutela, in quanto l’arbitrato dà un tutela non diversa da quella che si ottiene dal giudice di stato. Tuttavia, la corte costituzionale ha dichiarato più volta l’incostituzionalità delle norme che istituivano forme di arbitrati obbligatori, affermando che l’art 24 cost laddove usa l’espressione “agire in giudizio”, non intende riferirsi a una qualunque forma di tutela ma alla tutela giurisdizionale. La tutela del giudice può essere esclusa solo sulla base della volontà degli interessati e non può essere negato dal legislatore. L’arbitrato si fonda sulla volontà delle parti non solo nell’ipotesi in cui le parti stipulano un accordo specifico col quale si impegnano a deferire la risoluzione della controversia degli arbitri. l’arbitrato è volontario quando è previsto da una fonte eteronoma – diversa dall’accordo delle parti, e purtuttavia ciascuna di esse può rivolgersi al giudice esercitando la declaratoria. 7 l’istanza, non viola la legge perché ha il potere di farlo; ma altrettanto viole l’art 101 c.p.c. perché non assicura il rispetto del contraddittorio. Desta perplessità l’espressione “dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa” – perché si abbia violazione del contraddittorio occorre che vi sia lesione del diritto di difesa. è una precisazione inutile. il principio del contraddittorio deve trovare applicazione alle iniziative officiose del giudice. per le questioni rilevabili non di ufficio, ma solo ad iniziativa della parte, il problema non si pone perché: o una delle parti ha rilevato la questione e allora la controparte viene a conoscenza e può replicare o la parte non ha rilevato la questione e allora il giudice non può porla a fondamento della sua decisione. per le questioni rilevabili di ufficio, si pone la necessità che siano preventivamente sottoposte al contraddittorio delle parti, il principio si fonda, infatti, sul presupposto che una questione discussa è meglio decisa di una non discussa. la cassazione interpreta restrittivamente l’art 101 II, secondo periodo c.p.c. in base al quale “ se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.” – è noto h cela corte ritiene non applicabile la disposizione alle questioni di rito e alle questioni di merito che siano di puro diritto. tale restrittiva opinione confonde la nullità della sentenza che pone a suo fondamento una questione rilevata d’ufficio con gli strumenti utilizzabili per contrastare tale nullità = mezzi di impugnazione. non vi è dubbio che le questioni di rito e di puro diritto decise dal giudice di merito senza preventivamente sollecitare il contraddittorio, possono essere proposte, e quindi il vizio è sanato, anche in cassazione, al contrario, le questioni che comportano la rilevanza di fatti ulteriori e diversi (“miste”), che non siano state proposte in contraddittorio, devono essere fatte valere in sede di impugnazione, ma l’errore ì rimediabile solo in appello e non in cassazione. se il giudice rileva d’ufficio la Vessatoriorietà di una clausola contrattuale senza sottoporre alla discussione delle parti la questione, la parte soccombente può eccepire a) che la clausola non è vessatoria; b) cela controparte non è un con consumatore, c) che la clausola è stata contratta. Quindi la contestazione a) è affrontabile anche dalla, e quindi il vizio è sanabile anche in, cassazione; quelle sub b) e c) solo in appello perché sarà necessario acquisire le prove relativa. tutto ciò non toglie che il giudice a quo ha commesso un illecito e rimediabile sempre in appello e talvolta in cassazione. la cass. ha ribadito (sent. 105/2023) che la violazione del dovere di indicare alle parti le questioni rilevabili di ufficio comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio fosse stato attivato”  ratio: come può essere nullo in dipendenza di un’(in)attività successiva alla perfezione dello stesso? se le parti non hanno niente da dire è sanata una nullità all’origine, tuttavia esistente. FORME DI REALIZZAZIONE DEL CONTRADDITTORIO il processo assume forme e strutture diverse a seconda che si debba impartire una tutela dichiarativa, esecutiva o cautelare. il processo di cognizione ha la funzione di stabilire quali devono essere i futuri comportamenti delle parti con riferimento a una situazione sostanziale, e quindi si innesta su uno stato di incertezza istituzionale circa l’esistenza e il modo di essere della situazione, di cui richiede la tutela; a tale incertezza corrisponde un contraddittorio a bilateralità perfetta di poteri fra l’attore e il convenuto e tra le parti e il giudice. il processo esecutivo invece ha la funzione di tutelare una situazione sostanziale per la cui realizzazione è previsto dalla norma l’adempimento di un altro soggetto. nell’esecuzione forzata si dà per presupposto che esista il diritto di tutelare; in relazione a questo profilo (l’an dell’esecuzione) il contraddittorio è meramente eventuale, in quanto è rimesso alla volontà dell’esecutato il potere di usare alcuni strumenti destinati a verificare l’esistenza del diritto, a tutela del quale si procede ad esecuzione forzata. 10 anche nel processo esecutivo vi è contraddittorio pieno per ciò che riguarda le misure esecutive che debbono prendere gli organi del processo (quomodo dell’esecuzione). ci sono poi alcuni procedimenti speciali in cui si ha una particolare attuazione del principio del contraddittorio. dobbiamo permettere che vi è un nucleo di principi che debbono comunque essere attuati ma non esiste un sistema costituzionale necessitato di attuazione di tali principi. una prima distinzione deve essere fatta - nei processi a cognizione piena (=quando le parti possono portare il loro contributo in ordine a tutte le questioni rilevanti ai fini della decisione, usando tutti i mezzi) - sono a cognizione piena il processo ordinario e semplificato e i processi speciali che sono previsti per fornire la tutela dichiarativa in alcune particolari categorie di controversie, in quanto sono più adatti alle peculiarità delle stesse. sono speciali il processo previsto per le controversie di lavoro e previdenza, materia di locazione e affitto e comodato, per l’opposizione alle sanzioni amministrative e il processo in materia di persone e minorenni. in tutti i casi le particolarità dei processi speciali a cognizione piena non impediscono l’attuazione dei principi costituzionali. - i processi sommari- si individuano in senso negativo: sono sommari tutti i processi che non sono a cognizione piena in quanto non prevedono una trattazione piena ed esauriente della controversia. la limitazione può derivare - dal fatto che talune questioni vengono escluse dalla trattazione – esempio l’art 35 c.p.c. stabilisce che se l’eccezione di compensazione esige lo svolgimento di un’istruttoria complessa, il giudice può decidere sulla domanda e rimandare all’esame dell’eccezione a un momento successivo - dal fatto che non possono essere usati tutti i mezzi di prova previsti dal sistema – esempio l’art 201 VI d.lgs. 14/2019 stabilisce che la prova del credito possa essere data esclusivamente mediante documenti. - dal fatto che l’istruttoria è effettuata in modo atipico – senza seguire regole ordinarie esempio art 669 sexies c.p.c. in materia di tutela cautelare, stabilisce che il giudice sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini provvedimento richiesto. il rapporto tra processi sommari e il diritto di difesa è il seguente: i processi che sono sommari in ragione dei limiti posti alle questioni da trattare oppure ai mezzi di prova da utilizzare (a) e (b) soggiacciono a una regola costante: ciascuna delle parti deve poter ottenere, semplicemente manifestando la sua volontà ina tal senso, l’instaurazione di un processo a cognizione piena, il cui atto conclusivo sostituisca gli effetti prodotti dal provvedimento emesso nel processo sommario. Se la parte, che ha diritto al processo a cognizione piena purché lo chieda, si acquieta al provvedimento sommario, non vi è alcuno ostacolo costituzionale a che il provvedimento sommario acquisisca gli effetti di un provvedimento a cognizione piena. Il diritto di difesa è un DIRITTO, non un obbligo. se si tratta di processi sommari in ragione di una trattazione e di un’istruttoria che sono complete ma atipiche, l’opinione costante della giurisprudenza della Corte costituzionale. di cassazione è nel senso della compatibilità del processo sommario col diritto di difesa. = la giurisprudenza ritiene che il principio del contraddittorio e il diritto di difesa siano compatibili con un processo il cui svolgimento non sia compiutamente predeterminato dal legislatore, a condizione che la trattazione e l’istruttoria siano complete difesa legale dei non abbienti – art 24 comma 3 si occupa di un profilo diverso ma fondamentale ai fini del diritto di azione e di difesa – l’uguaglianza delle parti di fronte al giudice non si realizza se alcune di esse non hanno la capacità economica di procurarsi un difensore. Il legislatore ha il dovere di predisporre istituti per assicurare la difesa giudiziaria di chi nono può permettersi di pagare l’avvocato., D.P.R. 115/2002 contiene la disciplina generale – le linee fondamentali del sistema di difesa sono 1. limite massimo di reddito al di sopra del quale non si ha diritto al beneficio – l’istanza è presentata al consiglio dell’ordine degli avvocati che ha sede dove è l’ufficio del giudice competente a conoscere del merito. il ricorrente deve auto attestare la sussistenza dei presupposti di natura economica e indicare il diritto che intende far valere e la tutela richiesta 2. il consiglio dell’ordine preso atto dell’auto attestazione dei presupposti (la cui veridicità è verificata dagli uffici finanziari) valuta la non manifesta infondatezza delle pretese dell’istante e lo ammette al patrocinio 3. se il consiglio dell’ordine respinge l’istanza, l’interessato può riproporla al giudice del merito. L’ammissione ha effetti per tutti i gradi del processo, se la parte ammessa è vittoriosa; se è soccombente deve proporre nuova istanza e sottoporsi a una nuova valutazione di non manifesta infondatezza. 11 Il difensore è scelto dalla parte ed è retribuito dallo stato. Inoltre, l’ammissione determina l’esenzione del pagamento dei tributi e delle tasse inerenti al processo, nonché la retribuzione del consulente tecnico di parte, ove il giudice disponga una consulenza tecnica di ufficio. Se la controparte di chi è stato ammesso al patrocinio rimane soccombente, ed è condannata alle spese, sono ovviamente versate allo stato. bisogna tenere presente che sussistono altre istituzioni di natura privata che offrono assistenza legale: i sindacati per le controversie dei lavoratori dipendenti e patronati per le controversie pensionistiche. Secondo l’art 101 la giustizia è amministrata in nome del popolo: i ricollega al principio di sovranità popolare (art 1 cost). la soggezione del giudice alla legge, prevista dal secondo comma dell’art 101 cost, può essere letta in molteplici direzioni: una volta il principio base era che l’unica soggezione che hanno i giudice è la legge (nec spec. nec metu). Taluni vedono in essa il fondamento del principio di legalità (il giudice è vincolato agli atti degli altri poteri dello stato solo se questi sono conformi alla legge e deve disapplicare gli atti contrastanti) con la legge. il nostro ordinamento non prevede il valore vincolante nel precedente giudiziale: qualunque decisione vale solo per il caso concreto come NORMA AGENDI; per i casi analoghi può avere solo efficacia di precedente. Il precedente non è quindi giuridicamente vincolante. La decisione che si discosta dal precedente non è solo illegittima, Tuttavia il precedente, seppur non in modo vincolante ha un’autorità che vale imperio rationis (NON RATIONE IMPERII) = è efficace in quanto è persuasivo. la parte dell’art 102 cost che interessa maggiormente è il secondo comma “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali” – vieta che possano essere istituiti organi giurisdizionali STRAORDINARI E SPECIALI - giudice straordinario = istituito e incaricato della materia post factum – prima si verificano i fatti costitutivi di un diritto soggettivo azionabile in giudizio, oppure un reato, successivamente si costituisce per legge l’organo giurisdizionale incaricato di decidere della controversia civile o del reato, successivamente si costituisce per legge l’organo giurisdizionale incaricato di decidere della controversia civile o del reato. un tale meccanismo viola l’art 102 II cost, perché il giudice deve essere precostituito per la fondamentale garanzia di imparzialità rispetto all’oggetto della lite. Un giudice che sia istituito dopo il fatto, da cui scaturiscono gli effetti giuridici oggetto della lite. Un giudice che sia istituito dopo il fatto, da cui scaturiscono gli effetti giuridici oggetto del processo, è per definizione un giudice pericoloso (perché ha la tendenza ad identificarsi con la posizione di chi l’ha istituito). Nel processo civile il giudice straordinario era un relitto del passato. - i giudici speciali sono costituiti dalla legge prima del fatto, con competenza solo su determinate materie ma per tutte le controversie che in essa rientrano. il divieto di istituzione di giudici speciali è stato previsto dalla cost. per reagire all’esperienza storica immediatamente precedente, che dei giudici speciali aveva abusato. Sono giudici speciali quelli diversi dai magistrati ordinari, di cui all’art 102 I cost – non godono di tutte le garanzie proprie della magistratura ordinaria, per questo sono vietati. l’art 102 cost II procede “possono solo istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura” – la sezioni specializzate non è un organo giudiziario a sé stante ma fa parte di un ufficio (tribunale, corte d’appello) che è tendenzialmente destinato ad esaminare tutte le materie, non solo quelle specializzate. La sezione specializzata può essere composta con membri laici (magistrati non professionali) ad esempio la sezione lavoro istituita presso tribunali e corti d’appello è composta da giudici professionali. l’Art 103 riguarda la giustizia amministrativa – le situazioni sostanziali protette non sono riportabili allo schema del diritto soggettivo. ci sono anche interessi legittimi correlati all’esercizio dei poteri autoritativi della P.A. la cui tutela si realizza attraverso l’impugnazione del provvedimento amministrativo legittimo che li lede. la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi costituisce una delle questioni più spinose, perché su di essa è imperniato il riparto di giurisdizione fra - giudice ordinario (al quale spetta la tutela dei diritto soggettivi nei confronti dell’attività autoritativa della P.A) - Giudice amministrativo (al quale è affidata la tutela degli interessi legittimi) il nostro è l’unico sistema in cui vi sono due giudici diversi per le controversie di diritto pubblico. le controversie di diritto privato con una pubblica amministrazione appartengono tutte al giudice ordinario. Gli organi di giurisdizione amministrativa hanno giurisdizione anche relativamente a taluni diritti soggettivi, sempre nelle materie disciplinate da diritto pubblico. I settori più importanti sono quelli relativi alle controversie in materia di pubblici servizi e a quelle in materia urbanistica e edilizia. 12 Occorre rilevare che la cassazione non riesce a intervenire su tutti i settori dell’ordinamento. Infatti, la corte richiede che l’ordinanza e il decreto, per essere considerati sentenza in senso sostanziale e quindi sottoponibili al ricorso per cassazione ex art 111 debbono avere lo stesso contenuto e la stessa disciplina come una sentenza. Sicché restano esclusi quei provvedimenti che sono inidonei al giudicato o perché modificabili e revocabili dal giudice che li ha emessi o perché producono effetti non decisori e quindi non suscettibili di essere rimossi in un diverso processo (normalmente di cognizione). esempio 1 gli effetti dei provvedimenti cautelari sono rimossi dalla sentenza pronunciata nel processo di cognizione. dunque, i provvedimenti cautelati sono non suscettibili di ricorso in cassazione esempio 2 gli ordini di protezione contro abusi familiari secondo la cassazione mancano dei requisiti della sentenza, in quanto modificabili o revocabili. La corte afferma che non sono suscettibili di ricorso in cassazione La corte così facendo si preclude la possibilità di esercitare la propria funzione nomofilattica: a) nel primo esempio in relazione alle norme processuali e relativa tutela cautelare b) nel secondo esempio anche in relazione alle norme sostanziali – viene meno la possibilità per la cassazione di avere precedenti di cassazione relativi anche ai presupposti sostanziali e agli effetti degli ordini di protezione contro abusi l’art 111 VII cost ha un profilo GARANTISTA poiché consente sempre di denunciare gli errori di diritto compiuti dal giudice di merito; ma presenta anche profili di interesse generale perché serve a tutto l’ordinamento che sia assicurata l’esatta osservanza e l’uniforme applicazione della legge e l’unità del diritto oggettivo. Tuttavia, ci sono settori nei quali la cassazione non interviene e che non usufruiscono dei vantaggi della nomofilachia. L’art 111 VIII stabilisce che contro le sentenze del consiglio di stato e della corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso solo per motivi inerenti alla giurisdizione, la corte di cassazione è poi il giudice che decide i conflitti di giurisdizione. significa che nel settore in cui tali organi hanno giurisdizione le funzioni di nomofilachia sono da esse stessi esercitate. L’art 113 cost. interessa la giustizia amministrativa ma ha rilevanza per il processo civile soprattutto con riferimento al terzo comma, secondo il quale spetta alla legge ordinaria determinare se gli atti della p.a. possono essere annullati dal giudice ordinario o dal giudice amministrativo. Il principio generale espresso dall’art 4 l. 2248/1865 inibisce al giudice ordinario di annullare gli atti della PA e gli consente unicamente la disapplicazione degli stessi. L’art 113 cost stabilisce chiaramente che tale principio non ha valenza costituzionale e che il legislatore ordinario è assolutamente libero di accoglierlo o no. I PRINCIPI SOVRANAZIONALI Bisogna tener conto delle norme di origine sovranazionale: CEDU e normativa comunitaria. LA CEDU (ratificata nel 19995) contiene una disposizione di specifico interesse per la tutela dei diritti: l’art 6: diritto a un processo equo, stabilisce che ogni persona ha diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, che decide in ordine alla controversia sui suoi diritti e obblighi di natura civile.” l’Italia si è impegnata ad assicurare la realizzazione di previsioni contenute nella cedu. Ove uno stato venga meno agli obblighi previsti nella convenzione, può essere convenuto dalla CEDU dinanzi alla corte EDU (sede a Strasburgo) affinché accertata la violazione degli obblighi, condanni lo stato inadempiente a rimuovere gli effetti della lesione o al risarcimento dei danni subiti. la persona lesa può ricorrere alla commissione la quale, effettua una istruttoria, può definire lo stato innanzi alla corte. Se lo stato non adempie a quanto stabilito può essere sospesa provvisoriamente dal consiglio di Europa o a anche esclusa. lo stato italiano è stato ripetutamente condannato per violazione dell’art 6 soprattutto per l’eccessiva durata dei processi, che non rispetta il termine ragionevole – in conseguenza di queste condanne è stata introdotta la l.89/2001 (legge Pinto) che consente alla persona lesa di ricevere dallo stato un risarcimento per il danno subito a causa dell’eccessiva durata del processo: ove tale risarcimento sia equivalente a quello che l’interessato riceverebbe dalla corte, egli non ha più motivo di proporre ricorso in sede europea. 15 di diversa portata è il diritto comunitario. Innanzitutto, le norme europee hanno immediata efficacia nei singoli stati membri; ma l’unione europea non ha una propria struttura giurisdizionale autonoma, competente per le materie regolate dal diritto comunitario o per le controversie che presentino profili rilevanti per l’ordinamento europeo. Nell’UE sono i giudici degli stati membri a dover applicare il diritto comunitario, che naturalmente prevale, ove contrastante sul diritto interno. questo significa che l’interpretazione e l’applicazione delle norme comunitarie è affidata a singoli giudici statuali e quindi c’è il rischio che siano diversamente interpretate e applicate nei singoli stati membri. L’inconveniente è fronteggiato dalla presenza di un organo giurisdizionale comune, la corte di giustizia dell’UE (sede a Lussemburgo): compito nomofilattico delle corti supreme. Lo strumento che consente alla corte europea di assicurare forme di interpretazione e applicazione delle norme comunitarie è costituito dal rinvio pregiudiziale. – quando il giudice di uno stato membro si trova a dover fare applicazione di una norma comunitaria, la cui interpretazione lascia dubbi, può sospendere il procedimento e rimettere la questione alla corte europea. Il rinvio pregiudiziale è obbligatorio quando il dubbio interpretativo sorga innanzi a una corte suprema. la decisione della corte è vincolante per il giudice che ha sollevato la questione. La corte di giustizia e il tribunale di primo grado costituiscono la struttura giurisdizionale interna della comunità, sono competenti a decidere le controversie che possono sorgere in materia di infrazione da parte di un singolo stato membro, agli obblighi imposti dalle norme comunitaria. dal 2000 in virtù del trattato di Amsterdam gli organi comunitari hanno iniziato a interessarsi anche del processo interno ai singoli stati membri: sono stati emanati regolamenti che hanno una forte attrattive per i legislatori nazionali che tendono ad adeguarsi ai principi contenuti nella normativa comunitaria. I PRINCIPI COMUNI il c.p.c è così strutturato, in libri 1. disposizioni generali – scritto con l’ottica rivolta soprattutto al processo di cognizione, motivo per cui per poter applicare tali principi agli altri processi, occorre adattarli alle peculiarità di questi. 2. processo di cognizione 3. esecuzione forzata 4. procedimenti speciali non si tratta di regole proprie solo del processo di cognizione, ma di regole impostate dal punto di vista di tale processo. le norme processuali regolano dei comportamenti umani: la struttura è uguale a quella delle norme sostanziali. sono comportamenti umani considerati leciti o doverosi. Ma le norme processuali sono secondarie rispetto alle norme sostanziali, l’attività giurisdizionale subentra laddove la realizzazione dell’interesse tutelato dalla norma sostanziale non si è verificato. spetta alle norme processuali. All’attività giurisdizionale è devoluto il controllo della conformità dei concreti comportamenti alle astratte previsioni delle norme sostanziali. Ma può accadere che un concreto comportamento disattenda una previsione normativa sostanziale. una delle caratteristiche fondamentali dell’attività giurisdizionale è la seguente: il controllo sulla conformità dei concreti comportamenti alle astratte previsioni delle norme processuali non è devoluto a meccanismi giurisdizionali. è la stessa attività giurisdizionale a dover essere dotata di idonei meccanismi per reagire alla violazione delle norme processuali, per cogliere ed eliminare eventuali illeciti. il processo non può scaricare su strumenti esterni il controllo del rispetto delle proprie regole, discende una duplicità di contenuto della normativa processuale, che fornisce le regole di comportamento ma anche strumenti di controllo idonei a verificare che queste siano rispettate. la normativa processuale ha - un profilo primario statico in cui opera come le norme sostanziali - un profilo secondario dinamico mediante il quale individua e disciplina strumenti che hanno funzione di controllare che le regole relative al primo profilo siano effettivamente rispettate e di correggere gli illeciti che si sono verificati all’interno del processo Le questioni di rito sono normalmente pregiudiziali alle questioni di merito, nel senso che, ove sorga una questione di rito, la sua decisione deve essere effettuata prima che siano decise le questioni di merito. Nella fase del processo dedicata alla raccolta degli elementi necessari al provvedimento finale (Fase di trattazione) non vi è pregiudizialità del rito rispetto al merito. Può darsi che la trattazione delle questioni di merito, ma non è necessario che ciò accada. L’importante è che la questione di rito sia decisa prima del merito. 16 Non tutte le questioni di rito sono uguali tra di loro: vi sono questioni di rito che hanno caratteristiche particolari, in quanto costituiscono requisiti indispensabili perché il giudice possa decidere il merito. Esistono questioni di rito che non incidono sulla possibilità di emettere una decisione di merito, ma sul suo contenuto, in quanto riguardano la individuazione del materiale utile per decidere del merito. le questioni di rito che condizionano l’emanazione della pronuncia di merito per tradizione si chiamano presupposti processuali  non sono presupposti per l’instaurazione o la validità del processo: infatti, è proprio il processo la sede dove si verifica la carenza di una di tali condizioni e quindi la possibilità di arrivare alla decisione di merito. l’accertamento che la decisione di merito è possibile o no, ha natura endoprocessuale, tanto che la fase della trattazione non è condizionata dall’esistenza delle condizioni per la decisione di merito: si può procedere alla trattazione del merito anche prima di accertare l’esistenza delle condizioni. quindi la terminologia più corretta sarebbe “decisioni per la decisione del merito” perché quelle di cui parliamo non sono condizioni per l’instaurazione o validità del processo, ma condizioni perché il giudice possa scendere alla decisione del merito. I presupposti processuali sono un numerus clarus, sono individuati dal legislatore e non sono disponibili dalle parti- Possono, per mera comodità espositiva, essere distinti in - presupposti processuali che attengono all’organo giudicante: giurisdizione, competenza, regolare cost. del giudice - presupposti processuali che attengono all’oggetto della controversia: cosa giudicata litispendenza, fenomeni assimilabili e altri eventuali impedimenti della decisione di merito - presupposti processuali che attengono alle parti: capacità, legittimazione, interesse ad agire, rappresentanza tecnica. il processo è al servizio del diritto sostanziale – il ponte tra diritto sostanziale e processo è costituito dalla domanda giudiziale, il ponte fra processo e diritto sostanziale è costituito dal provvedimento giurisdizionale. LA DOMANDA GIUDIZIALE è il ponte tra diritto sostanziale e processo, è un elemento delicato perché serve a determinare gli elementi attraverso i quali si individua l’oggetto del processo e intorno alla quale si svolge l’attività processuale, col risultato che gli effetti del provvedimento finale si riverseranno sul diritto sostanziale per raggiungere la finalità dell’attività giurisdizionale. La proposizione della domanda avviene con l’atto introduttivo del processo – individua l’oggetto del processo. Se non è individuato l’oggetto del processo, non è possibile capire quella diritto si voglia tutelare, quale lesione è lamentata come effetto di illecito altrui e quali effetti si vogliono dal giudice. La domanda è il primo atto del processo, ma può essere inserita anche in altri atti del processo, quando ciò accade si ha un processo con più oggetti o un processo CUMULATO (anche quando con il primo atto del processo si pongono più domande). l’argomento della proposizione della domanda presenta un duplice aspetto: l’atto del processo che contiene la domanda può essere variamente regolato dal legislatore. il legislatore può stabilire che tale atto assuma certa forme esempio nel rito ordinario l’atto introduttivo assume la forma della citazione. problema importante – le parti non sono libere di individuare l’oggetto del processo come meglio credono. Vi è un contenuto minimo della domanda, che risponde ad esigenze pubblicistiche, volte a evitare che il servizio pubblico di giustizia sia chiamato a intervenire più volte, quando ciò può essere evitato. Secondo opinione comune, con la domanda si deve chiedere la tutela di un diritto e non si può ricorrere al giudice al solo fine di ottenere la risoluzione di singole questioni, rilevanti, insieme ad altre per l’esistenza/inesistenza del diritto. Se fosse possibile frazionare in più processi la richiesta di tutela di un diritto, l’apparato giurisdizionale sarebbe chiamato a intervenire più volte. analogamente non è possibile frazionare un credito proponendo domanda relativamente ad una sola parte di esso, con riserva di chiedere l’altra parte in un successivo giudizio: non è un problema di buona fede processuale perché altrimenti il frazionamento del credito si renderebbe possibile, quanto una esigenza pubblicistica di non sprecare le risorse dello stato. 17 a. litispendenza in senso proprio (art 39 c.p.c.) b. irretrattabilità della domanda che non può essere ritirata senza il consenso della controparte costituita (Art 306 c.p.c) c. perpetuatio iurisdictionis (art 5 c.p.c.) d. la possibilità di successione processuale Alcune norme rilevanti - art 127 cc. art 270 cc, art 110 c.p.c. gli effetti processuali in senso stretto si ricollegano al fatto che il processo è pendente e riguardano non il merito ma il rito (andamento del processo). essi operano a favore di tutte le parti del processo 3. effetti sostanziali (prodotti dalla disposizioni) = incidono sul contenuto di merito della pronuncia vanno distinti in a. ipotesi in cui è rilevante in sé la proposizione della domanda – la domanda interrompe la prescrizione in quanto atto di esercizio del diritto. la conseguenza è che gli effetti sostanziali si producono per il solo fatto che la domanda è proposta ed è irrilevante che il processo giunga a una decisione di merito. se il processo si estingue o si chiude in rito, l’effetto si produce ugualmente perché la domanda non vale come atto processuale ricollegato alla sentenza ma in quanto atto di esercizio del diritto. l’effetto sostanziale è ricollegato unicamente e automaticamente alla proposizione della domanda. la domanda, quindi, interrompe la prescrizione in quanto atto di esercizio del diritto. La conseguenza importante è che gli effetti sostanziali appartenenti a queta categoria si producono per il solo fato che la domanda è proposta, ed è irrilevante che il processo giunga a una decisione di merito. se anche il processo si estingue o si chiude in rito, l’effetto si produce ugualmente perché la domanda non vale come atto processuale ricollegato alla sentenza ma in quanto atto di esercizio del diritto. L’effetto sostanziale è ricollegato automaticamente alla proposizione della domanda particolarità che si nota meglio in altri casi esempio ci sono rapporti di durata, soggetti a rinnovazione automatica, salvo che una delle parti non manifesti una volontà contraria in un termine anteriore alla scadenza del rapporto (esempio locazione commerciale ai sensi della l.392/1978 si rinnova automaticamente se nessuna delle parti comunica all’altra almeno dodici mesi prima della scadenza che non intende rinnovarla. Immaginiamo che sia proposta domanda con cui venga fatta valere la cessazione del rapporto di locazione; se anche il processo instaurato non giunge a una sentenza di merito, la volontà di non rinnovare il rapporto è ugualmente manifestata: basta la semplice proposizione della domanda per impedire la rinnovazione automatica del rapporto. ci sono ipotesi in cui la domanda giudiziale è l’unico mezzo con cui produrre un certo effetto sostanziale: ma la domanda ha rilevanza come semplice manifestazione di volontà non atto iniziale di un processo. ESEMPIO l’usucapione dei diritti reali può essere interrotta solo con una domanda giudiziale perché l’art 2943 IV cc non si applica ai diritti reali. quindi l’unica maniera per interrompere l’usucapione è di proporre domanda giudiziale per far valere nei suoi confronto il diritto incompatibile con l’usucapione che si sta mutando – in questa fattispecie l’effetto non può essere prodotto da atti stragiudiziali (la costituzione in mora è possibile solo per le obbligazioni) ma l’effetto è automatico, immediato e si produce anche se il processo non arriva a una sentenza di merito. In realtà non è necessario che il processo sia avviato, è sufficiente notificare la citazione alla controparte senza iscrivere la causa a ruolo. più complessi sono gli effetti sostanziali prodotti dall’accoglimento – presuppongono l’accoglimento della domanda. Si producono solo se la domanda sarà accolta, se sarà riconosciuto esistente il diritto che è fatto valere nel processo – si ricollegano alla proposizione della domanda in quando ad essa segua il suo accoglimento e quindi l’accertamento dell’esistenza del diritto fatto valere. Gli effetti che rientrano hanno in comune il seguente fondamento – il processo ha una durata e può accadere che si verifichino atti che pregiudicano l’interesse di colui che ha proposto la domanda, perché diminuisce o scompare l’utilità o la possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale = tale fenomeno deve essere impedito perché contrasta con art 24 cost: IL DIRITTO DI AZIONE, diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. la necessità di servirsi del processo non deve andare dalla parte che ha ragione che al termine del processo deve essere collocata, nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata se la tutela gli fosse stata concessa nel momento in cui l’aveva richiesta. devono essere “sterilizzati” i danni conseguenti alla durata del processo. Può accadere che il pregiudizio derivi dalla stessa applicazione del diritto sostanziale – esempio colui che possiede un bene senza esserne proprietario deve restituire i frutti al proprietario, se li ha percepiti in mala fede; in caso contrario fa propri tali frutti (art 1148) pagina 74 - questo pregiudizio deriva dall’applicazione della norma sostanziale secondo la quale i frutti sono trattenuti dal possessore di buona fede. gli effetti sostanziali della domanda servono proprio a evitare 20 pregiudizi – le norme sostanziali di diritto comune sono disapplicate e sono applicate NORME SOSTANZIALI SPECIALI, quando l’applicazione delle norme comuni a fatti arreca un pregiudizio alla parte che avrà ragione. la fattispecie è la percezione dei frutti, la regola generale è che questo sono fatti propri dal possessore di buona fede. l’applicazione di tale regola pregiudica la parte che ha ragione. Allora alla percezione dei frutti nel corso del processo non si applica la regola generale, valida per la percezione dei frutti quando non vi è un processo pendente, ma la regola SPECIALE per cui i frutti devono essere consegnati, dal possessore soccombente, all’attore che ha ragione senza che rilevi la buona fede. esempio: interruzione della prescrizione ex art 2943 cc può non essere sufficiente . se il termine di prescrizioni è di 5 anni la domanda interrompe la prescrizione e comincia a decorrere un nuovo periodo. ipotizziamo che quando si compiono altri 5 anni il processo è ancora in corso, applicando le norme comuni il diritto si prescriverebbero in corso di causa. il pregiudizio nasce dal fatto che applichiamo la stessa norma, durante il processo e fuori dal processo L’effetto appena illustrato è diverso da quello, prima visto, dell’interruzione della prescrizione in quanto l’effetto sospensivo si perde se non si giunge ad una sentenza di merito. L’effetto sospensivo deve, quindi, essere ricollegato all’accoglimento della domanda perché delle due l’una: o la sentenza accoglie la domanda, e quindi si applica la norma speciale; o la sentenza rigetta la domanda, e allora se il diritto non c’è, non ci sarà neanche l’effetto sospensivo della prescrizione. Uno degli effetti sostanziali più importanti della domanda giudiziale è stato introdotto dal d.l 132/2014, e riguarda il saggio degli interessi dovuti nel corso del processo. All’art. 1284 c.c. sono stati aggiunti un quarto e un quinto comma, in base ai quali «se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (interessi moratori). La disposizione del quarto comma si applica anche all’atto con cui si promuove il procedimento arbitrale». Altra ipotesi di effetti sostanziali della domanda è prevista dall’art. 111 c.p.c. in materia di successione nel diritto controverso («se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie»): qui gli effetti sostanziali della domanda sono utilizzati per risolvere il conflitto fra la parte che ha ragione ed un terzo avente causa dalla parte soccombente. LA GIURISDIZIONE la giurisdizione del giudice ordinario trova tre limiti: nei confronti del convenuto, nei confronti degli altri poteri pubblici, nei confronti degli organi giurisdizionali speciali. 1) limiti in relazione alla persona del convenuto L’art. 3 della legge n. 218 del 1995 (che si applica in via residuale) ci dice: «la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del Codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge». Per vedere se sussiste la giurisdizione del giudice italiano, si deve andare a guardare il convenuto, ed in particolare il suo domicilio o residenza: questo è il criterio generale. Nel caso in cui il convenuto fosse residente in uno Stato terzo, la giurisdizione italiana sussisterà in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della convenzione di Bruxelles del 1968, che, tendenzialmente, rispecchiano quelli delle competenze speciali degli artt. 7 e 8 del regolamento Bruxelles I bis (c.d. fori alternativi al foro generale): - in materia contrattuale, si fa riferimento al luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio; - in materia extracontrattuale, si fa riferimento al luogo in cui l’evento dannoso si è verificato (o si sarebbe dovuto verificare). «Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio». Il legislatore ha deciso di usare i criteri per la competenza territoriale interna anche ai fini della delimitazione della giurisdizione internazionale. Le norme interne che vengono utilizzate per il riparto di giurisdizione tra i vari tribunali italiani vengono proiettate in una dimensione internazionale, anche al fine di delimitare l’ambito della giurisdizione. 21 2) limiti nei confronti degli altri poteri pubblici (in particolare: la pubblica amministrazione) La giurisdizione del giudice civile ordinario trova un limite laddove una norma di legge primaria attribuisca il potere giurisdizionale ad un altro organo pubblico. In forza del principio di legalità, ciascun potere deve rimanere nell’ambito delle proprie attribuzioni. Due esempi: La giurisdizione ordinaria trova un limite laddove il convenuto sia un membro del parlamento e la controversia riguardi l’invalidità della sua elezione. Questa quesitone rientra infatti nell’autodichia del parlamento: Il giudice ordinario sarebbe privo del potere giurisdizionale qualora gli venisse chiesto di ordinare a dei genitori di sottoporre i figli minori alle vaccinazioni obbligatorie: la produzione di questo effetto giuridico è affidata alla p.a., e discende necessariamente da un provvedimento amministrativo. 3) limiti nei confronti delle giurisdizioni speciali Ai sensi dell’art. 1 c.p.c., «la giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari»: essa ha dunque portata generale e residuale (opera laddove non sia stabilito diversamente da apposite norme primarie: in tal caso, la giurisdizione del giudice ordinario incontra un limite). Nel nostro ordinamento, il controllo di legittimità costituzionale delle norme primarie è affidato, in via esclusiva, alla Corte costituzionale (c.d. controllo accentrato), ed è sottratto al giudice ordinario. Le controversie in materia di diritto pubblico, che riguardano situazioni soggettive di interesse legittimo, sono affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il giudice tributario ha potere giurisdizionale nelle controversie aventi ad oggetto tributi, di ogni genere e specie. La caratteristica delle giurisdizioni speciali è che le loro decisioni sono impugnabili dinnanzi alla corte di Cassazione: di norma, per i motivi ordinari di ricorso (art. 360 c.p.c.); a volte, limitatamente alle questioni di giurisdizione (art. 111 Cost.: «contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione»). Il limite della giurisdizione del giudice ordinario rispetto al giudice speciale (n. 3) è diverso rispetto agli altri (nn. 1 e 2): - i limiti della giurisdizione del giudice ordinario in relazione al convenuto e nei confronti degli altri poteri pubblici danno luogo ad un DIFETTO ASSOLUTO di giurisdizione: la carenza del potere giurisdizionale dà luogo ad una lacuna di tutela giurisdizionale; nell’ordinamento, non c’è nessun altro giudice in grado di assicurare una tutela. - il n. 3 integra un criterio speciale di ripartizione interna rispetto al potere giurisdizionale dell’ordinamento nel suo complesso; la conseguenza è che la carenza del potere del giudice ordinario non comporta la mancanza di tutela giurisdizionale, ma la necessità di chiedere tale tutela ad un giudice diverso. Si parla di DIFETTO RELATIVO: se anche il giudice ordinario non ha potere giurisdizionale, esiste nell’ordinamento un altro giudice che il potere giurisdizionale lo ha. La verifica del potere giurisdizionale del giudice adito (presupposto processuale) è una questione di rito, che dev’essere verificata dal giudice adito stesso. Il mezzo attraverso cui si controlla il rispetto delle norme processuali, nel processo di cognizione, è la rilevazione della questione: le questioni relative al rispetto delle norme processuali (c.d. questioni di rito) divengono oggetto di trattazione e di decisione, come le questioni attinenti al merito. La rilevazione è sempre possibile per le parti (quando la rilevazione proviene dalle parti, si parla di eccezione); normalmente può essere anche effettuata dal giudice d’ufficio (senza essere sollecitato da un’istanza di parte). Può quindi essere rilevato: - dal giudice d’ufficio dal convenuto 22 Nel processo civile vige il principio di autoresponsabilità - nessun soggetto è legittimato a far valere vizi del processo a cui egli ha dato causa (art 157 III c.p.c) – - l’errore dipende dall’attore e costui non può rilevare il difetto di giurisdizione perché vi ha dato causa. Può solo segnalare al giudice l’opportunità di controllare la giurisdizione senza potere impugnare il provvedimento, se il giudice ignora la sua segnalazione = non è titolare di alcuna situazione processuale protetta. quando l’art 37 dice che è rilavabile anche d’ufficio , si intende escludere che il soggetto che ha dato causa al vizio di cui ci si lamenta. Se il giudice nella la propria giurisdizione, l’attore è titolare di una situazione processuale protetta e può, impugnando, fare riesaminare la questione da un altro giudice. - il convenuto, al contrario, può impugnare la sentenza sede il giudice afferma la propria giurisdizione, sempre che non abbia chiesto al giudice di dichiararsi fornito di giurisdizione. Se il giudice nega la sua giurisdizione il convenuto non può impugnare se ha chiesto lui al giudice di dichiararsi carente di giurisdizione – il convenuto non può impugnare la sua richiesta sempre in virtù del principio di autoresponsabilità un’altra precisazione riguarda l’espressione in qualunque stato e grado del processo - vanno sottointese le parole “per la prima volta” – finché è pendente il processo non si verificano preclusioni di alcun genere nella rilevazione del difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione. Una volta rilevata la questione di giurisdizione, il giudice deve affrontarla e deciderla con una sentenza. se il giudice afferma la propria giurisdizione e il convenuto non ripropone la questione in sede di impugnazione, la decisione di primo grado passa in giudicato e il giudicato ne impedisce l’ulteriore rilevazione nel successivo svolgimento del processo = questo principio vale anche per altri presupposti processuali rilevabili in ogni stato e grado del processo. La loro rilevabilità cessa di fronte al formarsi del giudicato sulla questione. la decisione di una questione, rilevabile di ufficio e senza limiti di tempo, la degrada a questione, la cui decisione è controllabile solo su istanza di parte attraverso mezzi di impugnazione. Si deve trattare di una decisione esplicita e non di una decisione ricavabile dal fatto che il giudice ha pronunciato nel merito senza occuparsi di giurisdizione. L’idea su cui si basa la decisione esplicita non è accertabile oltre tutto perché se fosse fondata, significherebbe abolire la categoria delle questioni di rito rilevabili in ogni stato e grado del processo. ogni decisione di merito significherebbe che sussistono tutti i presupposti processuali positivi e che non esiste alcun presupposto processuale negativo. il difetto di giurisdizione nei confronti del convenuto ha una disciplina diversa- l. 285/1995. In alcuni casi è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo. le ipotesi sono tre 1. controversia che abbia ad oggetto beni immobili situati all’estero 2. quando il convenuto è contumace (non si è costituito nel processo) 3. quando la giurisdizione è esclusa per effetto di una norma internazionale  si ha accettazione espressa della giurisdizione quando il convenuto manifesta la volontà di accettare la giurisdizione italiana  si ha accettazione tacita quando il convenuto si costituisce e si difende nel merito senza sollevare l’eccezione di carenza di giurisdizione – quando la difesa nel merito è incondizionata e non accompagnata dalla rilevazione del difetto di giurisdizione. Se il convenuto si costituisce si difende nel merito ma contesta anche la giurisdizione non si ha giurisdizione tacita. disciplina analoga contenuta nel regolamento 2012/2015 art 28. La rilevazione della questione di giurisdizione investe il giudice del dovere di decidere la questione stessa. Il nostro sistema parte dal principio che il giudice, per il solo fatto di essere investito della domanda, ha il potere di valutare la sussistenza di tutti i presupposti processuali e anche quelli che lo riguardano (ogni giudice è giudice della propria competenza). A tale principio si fa eccezione solo per quanto concerne la ricusazione (art 52 c.p.c) Il potere che con l’eccezione di carenza di giurisdizione viene posto in contestazione è il potere di decidere nel merito, ma il potere di verificare l’esistenza dei presupposti processuali rimane sempre giudice adito ha il potere di valutare tutti i 25 presupposti processuali. il potere di decidere del merito è condizionato dalla sussistenza di tutti i presupposti processuali. la fattispecie che do al giudice il potere di decidere nel merito: esistenza dei presupposti processuali la fattispecie che dà al giudice il potere di valutare i presupposti processuali è la proposizione della domanda = sono due i poteri che nascono da questi presupposti il potere del giudice di affrontare la questione di rito e anche quella di giurisdizione non è propriamente decisorio – nessun soggetto può decidere della conformità s diritto dei propri comportamenti, è solo un potere ricognitivo, quindi l’operato del giudice è sempre suscettibile di controllo pieno, attraverso mezzi di impugnazione se si tratta di un processo dichiarativo; con un processo dichiarativo se si tratta di altre funzioni CONSEGUENZE DEL DIFETTO DI GIURISDIZIONE = il giudice dichiara di non avere giurisdizione con sentenza. le conseguenze sono diverse a seconda che si tratti di - difetto di giurisdizione assoluto: limiti al convenuto, agli altri poteri pubblici. il giudice adito si limita a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione - difetto di giurisdizione relativo: limite ai giudici speciali, è relativo in quanto la carenza di giurisdizione del giudice ordinario non esclude che esiste un altro giudice che può fornire la tutela richiesta. il giudice deve dichiarare il proprio difetto di giurisdizione ma deve anche indicare qual è il giudice che è fornito di giurisdizione per quelle controversia  meccanismo di sanatoria del difetto di giurisdizione. ai sensi dell’art 59 l. 69/2009 se la domanda è riproposta innanzi al giudice indicato come fornito di giurisdizione, sono fatti solvi gli effetti processuali e sostanziali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice, indicato come fornito di giurisdizione, fosse stato adito fin dall’inizio. esempio Tizio 10/06/2023 Tizio, il 10 giugno 2023, propone dinanzi al giudice ordinario una domanda, che invece spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il 30 aprile 2026 passa in giudicato la sentenza che dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. La causa, nei tre mesi successivi, è riproposta al giudice amministrativo: essa si considera proposta, innanzi al giudice amministrativo, il 10 giugno 2023. Se, in quella data, il diritto fatto valere era prescritto, oppure se - trattandosi di interesse legittimo - la domanda doveva essere proposta nel termine di decadenza di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento amministrativo impugnato, e questa notificazione è avvenuta il 10 marzo 2023, il giudice amministrativo rigetta la domanda per prescrizione oppure la dichiara inammissibile per intervenuta decadenza. Ma se la notificazione del provvedimento amministrativo è avvenuta il 10 maggio 2023, la domanda riproposta al giudice amministrativo è tempestiva, nonostante che alla data della riproposizione siano decorsi più di tre anni dalla notificazione dell'atto amministrativo. se la domanda è riproposta, le parti sono vincolate alla indicazione del giudice munito di giurisdizione, essendovi una sentenza passata in giudicato che dichiara che la giurisdizione spetta a quel giudice. Il giudice di fronte al quale la causa è riproposta è vincolato dalla sentenza che dichiara la sua giurisdizione solo se questa è pronunciata dalle sezioni unite dalla cassazione altrimenti egli può rilevare di non essere munito di giurisdizione. non può farlo dichiarando puramente e semplicemente la sua carenza di giurisdizione, ma deve con ordinanza rimettere la questione davanti alle sezioni unite della cassazione. Se la domanda non è proposta tempestivamente, gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda si perdono. Se la domanda è riproposta tardivamente (dopo i tre mesi dal passaggio in giudicato), il giudice adito dichiara estinto il processo. Ciò non impedisce che la domanda tardiva sia idonea a instaurare un altro e diverso processo. la domanda tardiva, avendo tutti i requisiti di un atto introduttivo del giudizio dinanzi a quel giudice, se non è idonea a causa della tardività a salvare la prima litispendenza è perfettamente idonea ad aprire un nuovo processo. Regolamento di giurisdizione = istituto di diritto processuale civile, disciplinato dall’art. 41, è lo strumento mediante il quale una parte chiede alle sezioni unite della Cassazione la risoluzione delle questioni di giurisdizione di cui all’art. 37 (quindi, NON quelle riguardanti il convenuto), alternativo all’ordinario mezzo di impugnazione. Il potere di decidere sulla giurisdizione è sottratto al giudice adito e rimesso alla corte di Cassazione, che decide in luogo del giudice adito. Alla Cassazione, a s. u., viene attribuito il potere originariamente proprio del giudice adito: quello di decidere se vi è, o meno, giurisdizione. 26 A differenza del mezzo di impugnazione ordinario (appello, ricorso per cassazione), il regolamento è un mezzo preventivo: previene la decisione del giudice sul punto, la anticipa. È un mezzo facoltativo: se non è attivato (o se sono scaduti i termini per attivarlo), ci sono altri strumenti a disposizione delle parti - la parte interessata può ugualmente impugnare la questione di giurisdizione, proponendo appello avverso la sentenza di primo grado, o ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado. Termine: «finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado». la cassazione interpreta la norma in modo ampio come comprensiva di ogni sentenza pronunciata in primo grado, sia merito sia di rito. quando il regolamento nono è più riproponibile. la questione di giurisdizione può essere coltivata attraverso i normali mezzi di impugnazione. il regolamento giurisdizionale è uno strumento facoltativo- la parte può comunque investire la corte della questione. lo scopo del legislatore è dare alle parti la possibilità di avere subito una pronuncia definitiva della giurisdizione. La parte attiva questo strumento. Il giudice valuta che il regolamento NON sia (1) manifestamente inammissibile e (2) manifestamente infondato, e sospende il procedimento di merito: si parla di sospensione discrezionale. La pronuncia della Cassazione è vincolante. La competenza è l’ambito entro il quale ciascun giudice esercita la propria sfera di giurisdizione (è misura della giurisdizione), è la ripartizione interna del potere giurisdizionale. Le regole di competenza attuano il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge: esse non hanno solo una portata organizzatoria (esigenza organizzativa di ripartire tra la molteplicità degli organi che esercitano attività giurisdizionale la relativa potestà), ma anche una portata garantista (esigenza di fissare ante factum dei criteri astratti e generali per l’istituzione del giudice). la proposizione del regolamento di giurisdizione determina una sospensione discrezionale – il processo di merito è sospeso tranne che il giudice valuti il regolamento manifestamente inammissibile o manifestamente infondato. La possibilità di procedere verso la decisione di merito nonostante che l’avvenuta proposizione del ricorso abbia sottratto al giudice potere di decidere, trasferendo il potere alla cassazione, fa sorgere il problema di stabilire cosa accade se la sentenza di merito viene emessa e magari passa in giudicato prima che la cassazione abbia deciso del regolamento. Nulla quaestio se la cassazione afferma la giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza di merito; se invece la giurisdizione è negata, occorre coordinare le due sentenze. Posto che la pronuncia di merito è emessa senza che il giudice abbia potuto esaminare la questione di giurisdizione è evidente che tale pronuncia presuppone sussistente la giurisdizione del giudice che l’ha pronunciata. Essa è una sentenza condizionata al riconoscimento della sussistenza della giurisdizione. Se la cassazione nega la giurisdizione, viene meno un presupposto necessario per la sentenza di merito, che è caducata in virtù dello stesso principio di cui fa applicazione l’art 336 c.p.c (effetto espansivo). Non si ha applicazione diretta dell’art 336 c.p.c (il quale fa riferimento ai mezzi di impugnazione: e tale non è il regolamento di giurisdizione), ma applicazione analogica dello stesso in virtù della aedem ratio. Oltre al regolamento di giurisdizione proposto dalla parte, si ha anche il regolamento proposto ad opera di un soggetto estraneo al processo: la PA che non è parte in causa. Questa può chiedere alla cassazione che sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa, si tratta di rivendicazione dell’esercizio di poteri di amministrazione attiva, attribuiti alla PA dalla legge, che non ha niente a che vedere col controllo, da parte del giudice, degli atti della pubblica amministrazione questo profilo pone una questione di giurisdizione fra il giudice ordinario e i giudici speciali, e non una questione di conflitto fra giudice ordinario e PA II P.M. chiede al giudice di condannare i genitori inadempienti a sottoporre i figli minori alle vaccinazioni obbligatorie, Si tratta di un difetto assoluto di giurisdizione, perché il relativo potere è attribuito alla pubblica amministrazione. Questa può 27 anche accertasse che Tizio ha diritto a € 500 (e quindi, che la somma effettivamente spettante a Tizio è inferiore al limite della sua competenza, cioè rientra nella sua competenza), dovrà comunque dichiararsi incompetente. Il principio è sempre lo stesso: SI FA RIFERIMENTO ALLA DOMANDA! MODIFICAZIONE DELLA DOMANDA DA PARTE DELL’ATTORE, = può darsi che nel corso del processo l’attore modifichi la sua domanda aumentando o diminuendo le sue richieste = La modificazione è possibile fino a che la causa passa DALLA FASE ISTRUTTORIA ALLA FASE DECISORIA (cioè: fino all’udienza di precisazione delle conclusioni).  IN AUMENTO: Tizio chiede al GdP di condannare Caio a pagargli € 2 mila. Nel corso della causa di accorge che in realtà il suo credito verso Caio è di € 6 mila. La modificazione, in aumento, fa superare il limite massimo della competenza del giudice di pace adito. IL GIUDICE DEVE DICHIARARSI INCOMPETENTE E RIMETTERE LA CAUSA AL GIUDICE SUPERIORE (tribunale). Fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, Tizio può modificare in questo senso la domanda, ma farà scattare l’incompetenza del giudice di pace.  IN DIMINUZIONE: Tizio chiede al tribunale la condanna di Caio a pagargli € 10 mila. Dall’istruttoria risulta che il suo credito è inferiore: parliamo di € 2 mila. All’udienza di precisazione delle conclusioni, Tizio modifica la domanda e chiede la condanna di Caio a pagargli € 2 mila. La modificazione, in diminuzione, fa superare il limite minimo della competenza del tribunale adito, rientrando adesso la controversia nella competenza per valore del giudice di pace. La giurisprudenza ritiene che LA DIMINUZIONE DELLA DOMANDA NON Sia RILEVANTE AI FINI DELLA COMPETENZA, MA LO È AI FINI DEL MERITO. IL TRIBUNALE NON DOVRÀ DICHIARARSI INCOMPETENTE, MA POTRÀ DECIDERE SUL MERITO. Però, ATTENZIONE: in base al principio per cui il giudice non può attribuire più di quello che gli è stato chiesto (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), IL GIUDICE NON POTRÀ RICONOSCERE PIÙ DI CIÒ CHE GLI È STATO CHIESTO. Per quanto riguarda il “calcolo” del valore della causa ai fini della competenza, le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro (ART. 10 co. 2) . È la c.d. SOMMATORIA FRA DOMANDE, che ha luogo quando con un unico atto, una parte propone una pluralità di domande contro una stessa controparte. La sommatoria NON opera (e quindi: il valore delle domande NON si somma ai fini della competenza) in alcune ipotesi: a) le domande proposte dall’attore contro il convenuto non si sommano alle domande proposte dal convenuto contro l’attore; b) non si sommano le domande proposte contro più soggetti, anche se con un unico atto; c) ove vi sia una ragione di connessione, e quindi riunione delle cause in un unico processo : in questo caso, le domande dei due processi non si sommano perché sono state proposte con atti diversi; d) le domande, proposte con lo stesso atto, dalla stessa parte nei confronti dello stesso convenuto, sono l’una soggetta alla competenza per materia, l’altra soggetta alla competenza per valore (es. domanda relativa alla rimozione di una siepe troppo vicina al confine + risarcimento del danno di € 10 mila). e) in caso di CUMULO CONDIZIONATO (= l’esito - rigetto o accoglimento - di una domanda incide sull’esame dell’altra), che può essere di tre tipi:  cumulo alternativo : l’attore chiede, alternativamente, l’annullamento del contratto o l’adempimento. Il giudice può accogliere alternativamente l’una o l’altra domanda (accoglierà la più “liquida”, più matura per la decisione). Se ne accoglie una, non può accogliere anche l’altra (pronuncia di assorbimento).  cumulo condizionato in senso proprio : l’attore propone, in via principale, una domanda (es. accertamento dell’esistenza della servitù) e, per il caso che questa sia rigettata, propone una domanda in subordine (es. costituzione di servitù coattiva per interclusione). Il rigetto/accoglimento della prima domanda incide sull’esame della seconda.  cumulo condizionato in senso improprio : l’attore chiede che, in caso di accoglimento di una domanda, venga esaminare anche l’altra. Es. chiede la risoluzione del contratto e, in caso di accoglimento, la restituzione del 30 bene. L’accoglimento della prima domanda costituisce il presupposto per l’esame della seconda. Invece, si ha CUMULO INCONDIZIONATO quando le diverse domande sono proposte in modo tale che l’esito di una non condiziona l’esame dell’altra: sono decise l’una indipendentemente dall’altra. Tizio chiede l’annullamento del contratto e la condanna di Caio alla restituzione del bene. Si tratta di due domande diverse, indipendenti tra loro. Il giudice deve esaminarle entrambe e deciderle nel merito, senza che la decisione dell’una incida sull’esame dell’altra. In altri termini, deve esaminare la domanda di restituzione, sia che accolga, sia che rigetti la domanda di annullamento. Se è chiesto da più persone o contro più persone l’adempimento per quote di un’obbligazione, il valore della causa si determina dall’intera obbligazione (ART. 11). Deroga alla regola di cui all’art. 10: qui, fa difetto l’unicità dei soggetti. Sulla base dell’art. 10 più domande proposte contro soggetti diversi non si sommano tra loro: l’art. 11 introduce un’eccezione quando si tratta di domande che fanno riferimento ad un’unica obbligazione di cui è chiesto l’adempimento pro quota. Il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione (ART. 12). Il rapporto giuridico obbligatorio è quella figura di diritto sostanziale che ha la funzione di unificare una pluralità di effetti giuridici per dare loro una disciplina unitaria e coerente di per sé non garantisce alcun bene della vita. L’esistenza di un rapporto obbligatorio da sola non attribuisce alcuna utilità concreta, la quale discende invece dai singoli effetti (diritto) che costituiscono il rapporto. è come un recipiente che contiene una serie di diritti, operando sul contenente si opera unitariamente e omogeneamente su tutto il contenuto. Il venir meno di tutti i diritti ricollegati a un rapporto, produce la scomparsa del rapporto stesso. quando l’art 12 prevede che nelle cause relative all’esistenza, validità o restituzione di un rapporto obbligatorio, il valore ai fini della competenza si determina in relazione a quella parte del rapporto che è in contestazione, istituisce un criterio di semplificazione per determinare il valore della causa ai fini della competenza. Occorre ribadire che quella esposta è una forma di semplificazione, che non ha alcun riflesso sui limiti del giudicato. in relazione alla competenza, per quanto riguarda la competenza possono accadere cose diverse - può essere dedotto in giudizio uno dei diritti che nascono dal rapporto esempio il dipendente. che chiede la tredicesima, per stabilire se esiste l’effetto giuridico dedotto in giudizio, può essere che il giudice debba portare la sua attenzione sull’esistenza e il modo di essere del rapporto giuridico obbligatorio – il legislatore per semplificare il calcolo del valore, invece di far riferimento al rapporto fondamentale, fa riferimento a quella parte del rapporto che è in contestazione, ossia al valore non fa riferimento a quella parte del rapporto che è in contestazione. il giudice di pace potrà esaminare l’esistenza e il modo di essere di un rapporto, il cui valore eccede la sua competenza - può essere che non sia dedotto un singolo effetto ma che sia chiesto l’accertamento dell’esistenza o inesistenza o la qualificazione del rapporto in sé – il criterio semplificatore non funzione e il valore va determinato sulla base dell’intero rapporto, sulla base del valore pecuniario degli effetti della sentenza resta da stabilire come si calcola il valore dei beni da dividere, dell’obbligazione da adempiere, del risarcimento del danno etc.  l’art 14 e 15 c.p.c. stabiliscono come si determina il valore di una somma di denaro, di una bene mobile o immobile Cause relative a somme di denaro: l’art. 14 disciplina due ipotesi: 1) SOMMA DI DENARO QUANTIFICATA DALL’ATTORE (es. l’attore precisa che vuole € 2 mila): il valore si determina in base alla richiesta. Le eventuali contestazioni del convenuto circa l’esistenza e l’entità della somma sono irrilevanti ai fini della competenza, e sono invece rilevanti ai fini del merito (il giudice deve prendere in considerazione le difese del convenuto). La somma di denaro può essere quantificata in corso di causa, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. Abbiamo tre ipotesi: - l’attore indica una somma compresa fra il limite minimo e il limite massimo di competenza del giudice adito: la quantificazione ha effetto ai fini del merito, ma non incide sulla competenza. 31 - la somma indicata superi il limite massimo di valore del giudice adito (GdP: quantificazione > 5 mila): il giudice di pace deve dichiararsi incompetente, e la causa va trasferita al giudice superiore. - la somma indicata sia inferiore al limite minimo di competenza del giudice adito (tribunale): la quantificazione non rileva ai fini della competenza, ma solo ai fini del merito. Il giudice adito rimane competente, ma non può attribuire una somma maggiore di quella richiesta. 2) SOMMA DI DENARO NON QUANTIFICATA DALL’ATTORE (es. l’attore chiede il risarcimento dei danni nella misura che risulterà dall’istruttoria; la domanda non è quantificata neanche in corso di causa: passa in decisione, e l’attore continua a chiedere la somma che risulterà di “giustizia”): la causa si presume di competenza del giudice adito, cioè si presume che rientri nel limite massimo della sua competenza, ma solo ai fini del merito. Tizio chiede, nei confronti di Caio, il risarcimento dei danni nella misura di € 100 mila, davanti al tribunale. Caio contesta che il danno sia così ingente, e afferma che, al massimo, il danno è di € 1000. Effettuata l’istruttoria, risulta che il convenuto ha ragione: il danno è effettivamente di € 1000. Il tribunale valuta la propria competenza dalla domanda, e si ritiene competente perché Tizio ha chiesto € 100 mila. Ai fini del merito, accoglie la domanda dell’attore per l’1%, e la rigetta per il 99%. L’attore paga con la (sostanziale) soccombenza nel merito la sua avvenuta quantificazione. «Il valore della causa rimane fissato anche agli effetti del merito nei limiti della competenza del giudice adito» . Il giudice non può attribuire una somma superiore al limite massimo della sua competenza, anche se dovesse riconoscere che il credito, sul piano sostanziale, è di entità maggiore. La decisione (con attribuzione di una somma pari al massimo della competenza) forma giudicato sull’oggetto del processo, e la differenza non può essere richiesta in un altro processo. Tizio chiede il risarcimento dei danni per un incidente stradale al giudice di pace, senza mai quantificare. Il giudice di pace gli riconosce un credito risarcitorio di € 20 mila (magari in presenza di una consulenza tecnica, che quantifica il danno in € 25 mila). Tizio non può chiedere il residuo in un successivo processo, perché il giudicato si forma sull’intero diritto. Se l’attore si accorge, dall’istruttoria della causa, che il suo diritto supera il limite massimo di competenza del giudice adito, può quantificarlo, far scattare l’incompetenza del giudice e riassumere la causa di fronte al giudice superiore. Se non lo fa, il giudice di pace gli liquida il danno in € 20 mila, e l’attore perde definitivamente la differenza (€ 5 mila). può accadere che la causa passi in decisione senza che l’attore abbia quantificato la somma richiesta, oppure che l’attore la quantifichi in corso di causa, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. se l’attore quantifica in corso di causa si possono avere tre opzioni 1. l’attore indica una somma compresa tra il limite minimo e massimo di competenza del giudice adito – in tal caso nulla quaestio la quantificazione ha effetto ai fini del merito ma non incide sulla competenza 2. la somma superi il limite massimo di valore del giudice adito: in quel caso il giudice deve dichiararsi incompetente e la causa va trasferita al giudice superiore 3. la somma indicata sia inferiore al limite minimo di competenza del giudice adito – la quantificazione non rileva ai fini della competenza ma solo ai fini del merito ciò in virtù di quanto si è detto in riguardo all’art 10 c.p.c: che gli aumenti rilevano ai fini della competenza, le diminuzioni no SOMMA NON QUANTIFICATA = se l’attore non quantifica il valore del bene, la causa si presume di competenza del giudice adito. Se si arriva alla decisione senza che l’attore abbia attribuito un valore al bene si applica l’art. 14, ult. co.: «Il valore della causa rimane fissato anche agli effetti del merito nei limiti della competenza del giudice adito». Per i beni mobili, il valore non è rilevante ai fini del merito. A differenza delle cause relative a somme di danaro, la sentenza che attribuisce la proprietà del bene mobile non trova ostacoli nel limite massimo della competenza del giudice adito. Se l’attore quantifica il valore del bene, la competenza si stima sulla base della somma indicata dall’attore. se l’attore non quantifica il valore del bene, la causa si presume di competenza del giudice adito. 32 realizza così – l’art 38 cpc presuppone che il valore della causa sia numericamente determinato. Sulla base dell’art 14 cpc ciò può avvenire perché l’attore se si tratta di somma di denaro, la quantifica, se si tratta di bene mobile, perché si arriva ad attribuirgli un valore attraverso il meccanismo di contestazione e decisione allo stato degli atti, previsto dall’art 14 II cpc. Quando per una via o per l’altra si è giunti ad esprimere in termini numerici il valore della causa, allora in relazione a quell’entità applicando i parametri degli artt 7 e 9 cpc il giudice può rilevare d’ufficio la propria incompetenza per valore. Tra le due norme non c’è sovrapposizione ma consecuzione: in prima battuta si applica l’art 14 cpc; se attraverso l’applicazione dei meccanismi previsti dalla norma si arriva a determinare in cifre il valore della causa, a quel punto scatta l’art 38 cpc; se non si arriva a determinare in cifre il valore della causa, l’art 38 cpc non si applica perché ex art 14 ultimo comma cpc la causa si presume competenza del giudice adito. • INCOMPETENZA PER TERRITORIO DEROGABILE (fuori dai casi di cui all’art. 28) : deve essere rilevata d’ufficio dal giudice, laddove rilevi una clausola di competenza stipulata dal consumatore. Se la competenza territoriale è stata convenzionalmente derogata, il giudice adito, sulla base di tale clausola, deve rilevare d’ufficio la propria incompetenza. b) DAL CONVENUTO L’incompetenza (in generale: sia per materia, sia per valore, sia per territorio) «sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata». Quindi, il potere di eccezione del convenuto si preclude prima che si precluda il concorrente potere di rilevazione del giudice: alla prima udienza il convenuto potrà ancora “segnalare” al giudice l’incompetenza, ma senza avere alcuna situazione processuale protetta (il termine per eccepire è decorso). Solo per quanto riguarda la competenza territoriale, l’ART. 38 aggiunge che «l’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente» . Quando eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice adito, il convenuto deve anche individuare il giudice a suo avviso competente; altrimenti, l’eccezione si ha come non proposta. l’indicazione del giudice competente serve a innescare un possibile meccanismo di accordo endoprocessuale che risolve in via breve la questione di competenza. proprio perché l’indicazione del convenuto ha senso solo in vista di questo accordo, che è possibile solo per la competenza territoriale derogabile, si deve ritenere che l’eccezione di incompetenza per territorio inderogabile non soggiaccia allo stesso onere. Al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 28, «quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo» e la causa non è più ripetuta davanti a lui in udienza. l’accordo sulla competenza così formato rimane vincolante per le parti se la causa è riassunta entro tre mesi dall’ordinanza di cancellazione, cioè il provvedimento con il quale il giudice ha chiuso il processo di fronte a sé. l’accordo endoprocessuale ha effetti limitati nel tempo è condizionato alla riassunzione della causa entro 3 mesi; se la riassunzione non avviene entro tre mesi, l’accordo perde efficacia e tutto ricomincia dall’inizio: la causa dovrà essere riproposta ex novo, magari di fronte al giudice sul cui nome si era formato l’accordo delle parti, l’accordo non è vincolante, la controparte può eccepire che il giudice non è territorialmente competenze. il sistema previsto dall’art 38 cpc non funziona nel caso in cui le altre parti non aderiscono all’indicazione del giudice competente, effettuata dal convenuto insieme con la proposizione della relativa eccezione. inqueto caso la conseguenza costante della rilevazione della questione di competenza sta in ciò, che il giudice deve affrontare la questione di competenza. non significa che il giudice debba decidere subito della questione di competenza: la pregiudizialità dalle questioni di rito rispetto al merito si manifesta nel momento della decisione della causa, allorché prima devono essere esaminati i presupposti processuali sulla cui esistenza è sorta la contestazione, e solo dopo aver accertato la loro sussistenza potrà essere affrontato il merito. il fatto che sia sollevata questione di competenza non impedisce al giudice di svolgere l’attività di trattazione e istruzione relativa al merito, salvo affrontare la questione della competenza quando la causa sarà totalmente istruita. per decidere delle questioni di competenza il giudice può trovarsi nella necessità di compiere attività istruttoria. 35 Occorre accertare se è effettivamente venuta ad esistenza la fattispecie concreta corrispondente a quella astratta. In alcuni casi la fattispecie concreta è realizzata da un fatto che accade all’interno del processo – endoprocessuale. Ciò si verifica quando rilevanti, ai fini del rito, sono gli stessi fatti rilevanti anche ai fini del merito poiché la fattispecie del presupposto processuale è integrata dalla sua affermazione. Quindi, rilevante è l’atto processuale in cui l’affermazione è contenuta. in questa ipotesi in cui processualmente rilevante è un fatto endoprocessuale non vi è necessità di acquisire prove sulla sussistenza dei fatti storici che integrano la fattispecie concreta relativa al presupposto processuale perché tali fatti sono percepiti dal giudice con la semplice lettura degli atti. In altri casi la fattispecie concreta è realizzata da un fatto extraprocessuale e che è rilevante ai fini del merito esempio la residenza o il domicilio del convenuto che fondano la giurisdizione o la competenza - in questi casi il giudice deve accertare che il convenuto abbia effettivamente la residenza o il domicilio in un luogo, che sia compreso nell’ambito della sua competenza territoriale. a tal fine si usano, per tutti i presupposti processuali tranne che per la competenza, i normali mezzi di istruzione probatoria di cui al libro II cpc che si caratterizzano per avere ad oggetto fatti rilevanti per il rito. Per la sola competenza l’art 38 IV cpc prevede che l’istruttoria abbia luogo con la tecnica delle sommarie informazioni -«le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni» = istituto spesso usato dal legislatore in sede di procedimenti speciali e si caratterizza per essere un’istruttoria deformalizzata, in cui sono utilizzabili anche prove atipiche oppure tipiche ma atipicamente assunte. ancorché svolta con la tecnica delle sommarie informazioni l’istruttoria è completa. IL GIUDICE SI DICHIARA COMPETENTE. Il provvedimento può assumere: 1) la forma dell’ORDINANZA se decide della sola competenza (es. accerta la propria competenza, ma si accorge che è necessaria un’ulteriore istruttoria per decidere il merito: in tal caso, rimette, con ordinanza, la causa in istruttoria per l’assunzione delle prove necessarie per la decisione del merito; 2) la forma della SENTENZA se, insieme alla questione di competenza, decide altre questioni che devono essere decise con sentenza (cioè, in pratica, decide il merito). Se tale provvedimento contiene sia la dichiarazione di competenza, sia la decisione di merito, assume la forma della sentenza. IL GIUDICE DICHIARA LA PROPRIA INCOMPETENZA. Il provvedimento assume necessariamente la forma dell’ordinanza (perché non può riguardare il merito). Il giudice non può limitarsi a tale pronuncia negativa, ma deve obbligatoriamente indicare il giudice competente, aggiungendo una pars construens alla dichiarazione della propria incompetenza. Il provvedimento del giudice sulla competenza PUÒ ESSERE IMPUGNATO, come tutti i provvedimenti del giudice, attraverso: ORDINARI MEZZI DI IMPUGNAZIONE (appello, ricorso per cassazione) o REGOLAMENTO DI COMPETENZA REGOLAMENTO DI COMPETENZA mezzo di impugnazione (al contrario del regolamento di giurisdizione che è un mezzo preventivo e non di impugnazione) del provvedimento del giudice, volto a risolvere un conflitto di competenza tra più giudici. Segue i principi generali dei mezzi di impugnazione come conferma l’art 324 cpc. Le parti possono impugnare, davanti alla corte di Cassazione, il provvedimento con cui il giudice si pronuncia sulla questione di competenza (sentenza o ordinanza). occorre precisare che rientrano tra i provvedimenti che decidono della competenza anche quelli che si occupano delle questioni relative al rilievo della relativa questione: tempestività dello stesso, potere del giudice di rilevarlo d’ufficio = col regolamento di competenza si devono far valere anche i profili dinamici della competenza. Il regolamento di competenza non si applica alle decisioni del giudice di pace (Art 46 cpc). I provvedimenti del giudice di pace sulla competenza si impugnano come tutti gli altri suoi provvedimenti: con l’appello. il regolamento assume due configurazioni diverse, a seconda che il provvedimento da impugnare abbia deciso solo della competenza. 36 il regolamento può assumere due configurazioni: - NECESSARIO se il provvedimento riguarda la sola competenza (= ordinanza): il regolamento è l’unico mezzo per ridiscutere della questione di competenza; - FACOLTATIVO se il provvedimento riguarda anche il merito (= sentenza): il regolamento concorre, per la ridiscussione della questione di competenza, con gli altri mezzi di impugnazione ordinari (appello, ricorso in cassazione). il regolamento di competenza, nonostante la distinzione in necessario e facoltativo, è un unico mezzo di impugnazione che ha una disciplina unitaria e produce sempre gli stessi effetti. dato il concorso tra i normali mezzi di impugnazione e il regolamento facoltativo, bisogna vedere come si coordinano tra di loro i due strumenti. Dobbiamo precisare che la questione di competenza può essere ridiscussa con un mezzo ordinario a condizione che, insieme alla competenza sia impugnazione anche il merito (art 43 I cpc) - (n. b: la Cassazione intende per merito qualunque questione, anche di rito, diversa dalla competenza) . non è ammissibile impugnare col mezzo ordinario la sola questione di competenza REGOLE DI COORDINAMENTO - Se il regolamento di competenza è proposto prima dell’impugnazione ordinaria, abbiamo la sospensione dei termini per l’impugnazione ordinaria in attesa che la Cassazione decida sul regolamento. Se la sentenza che decide il regolamento CONFERMA la competenza del primo giudice (sostanzialmente, nega il regolamento), i termini per l’impugnazione ordinaria riprendono a decorre ma potrà essere impugnata soltanto la parte relativa al merito (la questione di competenza è stata ormai decisa). Se la sentenza che decide il regolamento NEGA la competenza del primo giudice (accogliendo il regolamento), i termini cessano di decorrere perché la sentenza della Cassazione che ha dichiarato incompetente il giudice adito ha travolto la pronuncia di merito. - Se l’impugnazione ordinaria è proposta prima del regolamento di competenza , le altre parti (ovviamente NON quella che ha impugnato) possono comunque proporre il regolamento di competenza. D’altro lato il convenuto, finché non viene impugnato dall’attore il capo di merito non ha interesse a impugnare la questione di competenza, perché la vittoria sul merito gli dà una tutela maggiore di quella che gli avrebbe dato la vittoria sulla competenza, quindi il convenuto, vittorioso nel merito ma soccombente nel rito, è soccombente virtuale e non può impugnare il provvedimento nella parte relativa al rito fino a quando la controparte non impugna la parte relativa al merito. Solo a questo punto nasce un problema di strategia processuale. Se il convenuto ritiene di potere ottenere la conferma della sentenza di merito in sede d’appello, gli conviene non sollevare la questione di rito: se viene accolta l’impugnazione del convenuto sulla questione di rito, perde effetti la sentenza di merito a lui favorevole. Se d’altra parte, il convenuto non impugna sulla questione di competenza si forma il giudicato e quindi, qualora in sede di impugnazione rimanga soccombente nel merito, il convenuto non può sollevare la questione di competenza. Concludendo: al convenuto si impone una scelta, se è forte nel merito lascia passare in giudicato la questione di rito e si difende solo nel merito, se è debole nel merito coltiva la questione di competenza, in quanto la sentenza di primo grado sul punto della competenza è passata in giudicato. dato che la proposizione dell’impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facoltà di proporre l’istanza di proporre l’istanza di regolamento, il convenuto vittorioso sul merito ma soccombente sulla competenza, qualora decida di coltivare la questione di competenza, può scegliere tra due strumenti distinti: - contestare, con l’impugnazione incidentale, la decisione della questione di competenza di fronte al giudice adito dall’attore - utilizzare il regolamento di competenza se sceglie questa via il processo è sospeso in attesa della decisione del regolamento. in questo caso, gli esisti sono: 37 favorisce la controparte. ci sono ipotesi in cui la retroattività non è giuridicamente possibile, una è quella della nullità della citazione per vizi attinenti alla aedo actionis. il principio in virtù del quale il processo deve tendere a una decisione di merito e quindi i vizi sanabili devono poter essere sanati, non esige che la sanatoria sia retroattiva. Anche quando la sanatoria non è retroattiva, il processo giunge comunque a una decisione di merito, e quindi il principio è rispettato. 2. che ne è degli atti compiuti medio tempore, prima della sanatoria? la sanatoria del vizio opera solo sulla possibilità di pronunciare nel merito. nel caso di vizio di capacità della parte, certamente al rappresentante legale, non possono essere imposti gli effetti degli atti già compiuti, altrimenti verrebbe leso il diritto di difesa. il rappresentante legale non può subire gli effetti delle prove assunte quando non era stato chiamato a partecipare al processo. Sostenere che gli atti, compiuti con la partecipazione dell’incapace, sono utilizzabili per la decisione di merito significa sostenere che l’incapace è in grado di difendersi in modo idoneo; ma se così fosse non si vede perché il minore dovrebbe essere sostituito dal rappresentante legale. Sicuramente questi atti sono nulli e non sono sanati dalla acquisizione al processo delle condizioni per la pronuncia di merito. Identico ragionamento per tutti i vizi che hanno inciso sul diritto di difesa. salva la possibilità di una ratifica dell’interessato. per quanto riguarda la competenza, l’art 50 cpc stabilisce che se il processo viene riassunto nei termini davanti al giudice dichiarato comeptente continua davanti al nuovo giudice = la sanatoria ha efficacia retroattiva quindi gli effetti della domanda si producono dal momento in cui la domanda è stata proposta al giudice incompetente. dottrina e giurisprudenza argomentano l’espressione il “processo continua”, per dedurre l’utilizzabilità delle prove raccolte dal giudice incompetente. in generale degli atti di trattazione della causa compiuti di fronte al giudice incompetente. è indubitabile che, al contrario di altri casi, per quanto riguarda la competenza, sembra difficile trovare un pregiudizio specifico prodotto dall’incompetenza. occorre tener presente che le regole di competenza concretizzano il principio del giudice naturale precostituito per legge. Quindi sembra più corretta l’opinione secondo la quale gli atti di trattazione compiuti di fronte al giudice incompetente non possono essere utilizzati dal giudice competente, dinanzi al quale la causa è riassunta, salvo il consenso di tutte le parti fino alla loro riutilizzazione RIASSUNZIONE = istituto in forza del quale la causa prosegue, con salvezza degli effetti della domanda, davanti al giudice dichiarato competente (dichiarato competente da chi?) lett. a) dall’ordinanza del giudice adito che dichiara la propria incompetenza; lett. b) nel caso in cui il giudice affermi la propria competenza e tale provvedimento venga impugnato mediante regolamento di competenza, dall’ordinanza di regolamento emessa dalla Cassazione. I termini per la riassunzione della causa sono fissati nell’ordinanza del giudice; in mancanza: 3 mesi dalla comunicazione dell’ordinanza. Se la riassunzione non avviene in questi termini, il processo si estingue (con perdita degli effetti della domanda, che andrà riproposta ex novo). l’atto di riassunzione non contiene una domanda, ha caratteristiche del tutto diverse dall’atto introduttivo del processo. non c’è necessità di una nuova procura legale, non c’è bisogno di ripetere tutti gli elementi che integrano il contenuto della domanda giudiziale, basta solo richiamare l’atto introduttivo e dire che si riassume il processo (art 125 disp att cpc). l’atto di riassunzione non contiene una domanda giudiziale, l’atto di riassunzione può essere compiuto da ogni soggetto del processo e non solo dall’attore. è un atto di mero impulso processuale che de iure condendo potrebbe benissimo essere sostituito dalla trasmissione del fascicolo operata ex officio dal cancelliere del giudice a quo al cancelliere del giudice ad quem LA PROSECUZIONE DEL PROCESSO ipotesi in cui il provvedimento sulla competenza non viene impugnato (art 44-45 cpc) - bisogna distinguere 1) Mancata impugnazione del provvedimento con cui il giudice si dichiara COMPETENTE : ciò determina il formarsi 40 del giudicato sulla questione di competenza, la prosecuzione del processo di fronte al giudice adito e l’impossibilità di sollevare di nuovo la questione di competenza nel corso dello stesso processo (né di fronte a quel giudice, né di fronte ai giudici delle impugnazioni). 2) Mancata impugnazione dell’ordinanza con cui il giudice si dichiara INCOMPETENTE : qui lo scenario è più complesso: il giudice che si dichiara incompetente non può limitarsi a tale pronuncia negativa ma deve anche indicare il giudice competente, aggiungendo una parte positiva alla dichiarazione della propria incompetenza – s e le parti aderiscono a tale indicazione, ciascuna di esse può RIASSUMERE la causa di fronte al giudice indicato come competente dall’ordinanza di incompetenza, entro i termini di cui all’art. 50 (tre mesi). l’art 50 cpc comprende anche tali ipotesi perché prevede la possibilità di riassumere la causa non solo dopo un’ordinanza di regolamento (emessa dalla cassazione) ma anche dopo un’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito. in entrambi i casi il processo continua di fronte al nuovo giudice con gli effetti della riassunzione. La prosecuzione del processo davanti al giudice indicato come competente avviene non solo nel caso in cui l’indicazione del giudice competente proviene dalla cassazione in sede di regolamento di competenza ma anche quando l’nidificazione del giudice competente proviene dal giudice adito, il quale si sia dichiarato incompetente ed abbia dichiarato come competente un altro giudice. un problema si pone quando la riassunzione avviene sulla base di un’ordinanza non della cassazione ma di un altro giudice (“giudice di merito”) – è ovvio che l’ordinanza della corte chiude definitivamente la questione di competenza, perché la regola di competenza con efficacia erga omnes, rispetto a tutti i giudici: un’efficacia che sopravvive anche all’estinzione del processo. Anche se la causa viene riproposta ex novo, invece che riassunta, si perdono gli effetti della prima domanda ma si mantiene l’efficacia della sentenza della corte sulla competenza: la causa deve essere riproposta davanti al giudice indicato come competente dalla cassazione. Quando, invece, la riassunzione avviene sulla base di un’ordinanza del giudice di merito, il problema che si pone è il seguente: fermo che la parte negativa è vincolante, perché ciascun giudice è giudice della propria competenza, ci si chiede che efficacia abbia la parte positiva della ordinanza di incompetenza (quella con cui il giudice adito dichiara la competenza di un altro giudice). la questione è disciplinata dagli artt 44 e 45. l’art 44 cpc distingue le ipotesi di incompetenza per valore e territorio derogabile della ipotesi di incompetenza per materia e territorio inderogabile. nel primo caso la pronuncia di incompetenza è vincolante non solo per la parte negativa ma anche positiva. il giudice indicato come competente, quando la causa è tempestivamente riassunta nel termine dell’art 50 cpc non può rilevare la propria incompetenza per valore e territorio derogabile. l’art 44 stabilisce che «L’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice che l’ha pronunciata, se non è impugnata con l’istanza di regolamento, rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicato se la causa è riassunta nei termini di cui all’art. 50, salvo che si tratti di incompetenza per materia o di incompetenza per territorio nei casi previsti nell’art. 28». Quindi: • se si tratta di incompetenza per valore o incompetenza per territorio derogabile (fuori dei casi di cui all’art. 28), l’ordinanza rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice indicato (sempre che la causa sia riassunta nei termini): ciò vuol dire che tale ordinanza è vincolante per il giudice indicato come competente. Pertanto, una volta che sia stata riassunta nei termini, non potrà più essere sollevata la questione di competenza, né dalle parti, né d’ufficio. • se si tratta di incompetenza per materia o incompetenza per territorio inderogabile (ex art. 28), e la causa viene riassunta davanti al giudice indicato come competente, tale giudice non è vincolato all’indicazione di competenza, e può a sua volta rilevare la propria incompetenza. Contesta l’indicazione contenuta nell’ordinanza di incompetenza dal giudice a quo, affermandosi egli stesso incompetente. in deroga alla regola normale, secondo la quale il giudice, che rileva la propria incompetenza, decide della questione, il giudice di fronte al quale la causa è riassunta non può dichiarare la propria incompetenza ma deve richiedere il regolamento di competenza di ufficio = emettere un’ordinanza di rimessione degli atti alla cassazione perché decida sul 41 conflitto di competenza. è vero che il secondo giudice non è vincolato dalla pronuncia del primo giudice, ma il fatto che la causa è stata riassunta di fronte a lui dopo un’ordinanza di incompetenza determina una modifica nello sviluppo del processo. - se la causa è vergine la rilevazione dell’incompetenza comporta la decisione della questione - se la causa gli è arrivata in via di riassunzione dopo una dichiarazione di incompetenza di un giudice di merito, il giudice deve rimettere gli atti alla cassazione perché risolva il conflitto di competenza. Si parla di regolamento di competenza d’ufficio: in questo caso (= la causa gli è arrivata in via di riassunzione dopo una dichiarazione di incompetenza di un giudice di merito), il “secondo” giudice deve rimettere gli atti alla Corte di cassazione perché risolva definitivamente il conflitto di competenza. Non è rilevante che il giudice, di fronte al quale la causa è riassunta, ritenga competente un terzo giudice o il terzo giudice (cioè quello che si era dichiarato incompetente in prima battuta); rilevante è solo che il giudice, di fronte al quale la causa è riassunta, si ritenga incompetente per ragioni di materia o territorio ex art. 28: sarà la Cassazione che, in sede di regolamento di competenza, emetterà la pronuncia che statuirà definitivamente sulla decisione. la ratio di tutto ciò risale al periodo in cui l’esercizio della giurisdizione era un diritto e non un dovere del giudice. Si capisce che ogni giudice doveva avere uno strumento per far valere il proprio diritto a esercitare la giurisdizione su una certa controversia. Ma una disciplina che neghi ai provvedimenti sulla competenza, pronunziati dai giudici di merito e passati in giudicato, l’effetto di vincolare il giudice, quand’essa vincola le parti del processo innanzi a quel giudice ad quem non ha più alcuna ragione di esistere dal momento in cui l’esercizio della giurisdizione è un dovere Se le parti non riassumono la causa entro i termini, IL PROCESSO SI ESTINGUE . L’effetto è la perdita degli effetti della domanda. La causa potrà essere riproposta ex novo, anche davanti al giudice che si è dichiarato incompetente (che potrà nuovamente rilevare d’ufficio l’incompetenza e deciderla in maniera del rutto libera e incondizionata, arrivando perfino ad un risultato diverso). l’estinzione del processo produce effetti ulteriori rispetto a quelli che produce in ordine alla ordinanza della cassazione, perché l’art 310 cpc salva dalla estinzione le pronunce della cassazione ma non le pronunce di rito emesse dal giudice di merito. l’art 310 cpc afferma che l’estinzione rende inefficaci gli atti computi, a non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza. se il processo si estingue per mancata riassunzione dopo la ordinanza di incompetenza: si perdono gli effetti della domanda, ma la causa può anche essere riproposta allo stesso giudice che si è dichiarato incompetente, questo può sollevare la questione o il convenuto eccepirne la incompetenza; il giudice deve decidere la questione in modo libero e non condizionato dalla sua precedente pronuncia e magari arrivare a un risultato diverso, affermando la propria competenza. la causa può essere riproposta al giudice che era stato dichiarato come competente, e questi può rilevare di ufficio la propria incompetenza ex art 38 III cpc. quando la causa è riproposta il giudice indicato come competente, se si ritiene incompetente, non solleva il conflitto di competenza ma decide sulla questione, Infine, ove, l’atto di riassunzione sia tardivo, ma abbia tutti i requisiti di un atto introduttivo, esso è in grado di instaurare un nuovo processo in virtù del principio di conversione, RIASSUNZIONE ≠ RIPROPOSIZIONE (esempio): Tizio agisce in rivendicazione contro Caio, rivendicando la sua proprietà di un orto. In caso di riproposizione ex novo, l’attore NON ha diritto a tutti i frutti maturati dopo la prima domanda, ma solo a quelli maturati dopo la seconda domanda. La prescrizione, interrotta con la proposizione della prima domanda, ricomincia a decorrere immediatamente: se la prescrizione matura prima della riproposizione della domanda, il diritto che Tizio fa valere si prescrive. Con la riassunzione, invece, si salvano gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda. LA REGOLARE COSTITUTUZIONE DEL GIUDICE: ASTENSIONE E RICUSAZIONE Un terzo presupposto processuale attiene all’ufficio: la regolare costituzione del giudice, l’art 158: «la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata 42 SOSTANZIALI DISPONIBILI. Rispetto ad esse, ha efficacia la volontà negoziale delle parti: la loro esistenza ed il loro contenuto sono influenzati dagli atti di disposizioni delle stesse. Dunque, il r icorso alla giurisdizione diviene quindi necessario solo dove le parti non trovino un accordo tra di loro, ovverosia ove sussista un contrasto effettivo. Inoltre, la natura disponibile del diritto consente all’ordinamento di non preoccuparsi né che il titolare la faccia valere né che all’interno del processo avente oggetto quella situazione sia offerto al giudice un quadro completo e veritiero dei fatti storici rilevanti ma il diritto sostanziale conosce anche DIRITTI INDISPONIBILI rispetto ai quali non sussiste un potere negoziale dei loro titolari – il giudice normalmente viene a conoscenza dei fatti rilevanti solo attraverso le allegazioni operate dalle parti. In tal caso, le parti potrebbero essere in contrasto, oppure volere lo stesso effetto della sentenza, tanto da allegare in giudizio solo i fatti favorevoli al risultato che ambedue vogliono raggiungere. Ma proprio perché il diritto è indisponibile (ad esempio il rapporto di filiazione), occorre garantire che eventuali omissioni difensive di una delle parti non conducano il giudice ad ammettere una sentenza contra ius, in quanto fondata su una realtà sostanziale diversa da quella effettivamente esistente. Quindi, è necessario prevedere un meccanismo che garantisca la completezza del quadro dei fatti allegati e provati in giudizio, che sono oggetto di valutazione da parte del giudice per la sua decisione. Anzi, nei casi in cui l’interesse pubblico sia ancora maggiore, è consentita l’instaurazione di un processo anche quando i titolari del rapporto indisponibile rimangano inerti. A ciò provvede l’ordinamento con gli artt. 69-74 cpc, i quali affidano ad un organo pubblico, il PUBBLICO MINISTERO, il potere-dovere di attivarsi per tutelare i diritti indisponibili. Il pubblico ministero può essere ATTORE o PARTE NECESSARIA. IL PM ATTORE – il PM ha il potere di iniziare il processo, deducendo in giudizio la situazione sostanziale bisognosa di tutela giurisdizionale. si tratta di un’ipotesi di legittimazione straordinaria ex art 81 cpc. ART. 69: «Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge». Tra questi, i più importanti sono: - rettificazione degli atti dello stato civile; - alcune impugnative matrimoniali; - alcuni controlli in materia societaria e in materia di associazioni. La legge vuole che sia assicurato l’esercizio dell’azione civile: si tratta di situazioni sostanziali indisponibili, in cui l’interesse pubblico prevale sulla scelta delle parti di non chiedere la tutela giurisdizionale del proprio diritto. PM PARTE NECESSARIA - il PM deve essere messo a conoscenza della pendenza del processo, affinché egli possa intervenire e spendervi i poteri attribuitegli dalla legge. ciò accade nelle ipotesi ex art 70 cpc «Il pubblico ministero deve intervenire a pena di nullità rilevabile d’ufficio 1) nelle cause che egli stesso potrebbe proporre (ex art. 69); 2) nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi; 3) nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone; 5) negli altri casi previsti dalla legge (querela di falso, controversie elettorali)». Inoltre, il PM «deve intervenire nelle cause davanti alla corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge» e infine «può intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse». COME SI RIVOLGE AL PROCESSO a cui il pm deve partecipare. - se nei casi previsti dall’art 69 cpc, propone la domanda dovrà partecipare come attore - se ricorrono le ipotesi dell’art 70 cpc la partecipazione del pm al processo si realizza con la comunicazione degli atti, che è disposta dal giudice di fronte al quale pende la causa (art 71 cpc) – si realizza QUANTO VOLUTO DALL’ORDINAMENTO, spetterà poi al pm valutare se prendere parte attiva al processo o disinteressarsene. POTERI PROCESSUALI – art 72 si deve distinguere a seconda che si tratti di: CAUSA CHE AVREBBE PORUTO PROPORRE: «ha gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime». Quindi: può allegare fatti, richiedere prove, produrre documenti; il suo consenso è necessario per la rinuncia agli atti; può impugnare la sentenza. 45 CAUSA CHE NON AVREBBE POTUTO PROPORRE: «può produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti». l’attività descritta dalla norma ha natura istruttoria, ma il pm può anche allegare in giudizio fatti non dedotti dalle parti. Se lo scopo del suo intervento è evitare che le parti costringano giudice a prendere una decisione senza una visione completa dei fatti storici rilevanti, è ovvio che si rende necessario conferire al PM un potere non solo istruttorio ma anche di allargare il quadro dei fatti storici dedotti in giudizio. nelle ipotesi di intervento senza azione, il pm non ha né il potere di impedire una estinzione del processo per rinuncia agli atti, né il potere di impugnare. Eccezionalmente il potere di impugnare è concesso nelle cause matrimoniali, salvo quelle di separazione, nei processi di impugnazione bisogna distinguere trai casi in cui il pm abbia o meno il potere di proporre un’autonoma impugnazione - se risposta affermativa: al processo di impugnazione deve partecipare il PM presso il giudice a quo - se la risposta è negativa al processo di impugnazione non partecipa il PM della precedente fase, sebbene quello esistente presso l’organo giurisdizionale competente per la fase di impugnazione, - ciò dipende dall’organizzazione degli uffici del PM che sono impersonali – ogni magistrato ad essi addetto può indifferentemente svolgere le attività consentite. una volta proposta l’impugnazione, il processo spetta al giudice dell’impugnazione ART. 158: «la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata d’ufficio, salva la disposizione dell’art. 161». La mancata comunicazione degli atti al PM (art. 71) determina il vizio di un presupposto processuale. Per escludere la nullità, è sufficiente che il PM sia stato avvertito della pendenza del processo, mentre non è necessario che vi abbia partecipato effettivamente. Se il vizio non è colto durante la pendenza del processo (e quindi: il processo viene chiuso e abbiamo una sentenza passata in giudicato, c’è un rimedio straordinario a disposizione del PM: la REVOCAZIONE. L’ART. 397 stabilisce che: «nelle cause in cui l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio a norma dell’art. 70, le sentenze passate in giudicato possono essere impugnate per revocazione dal pubblico ministero: 1) quando la sentenza è stata pronunciata senza che egli sia stato sentito; 2) quando la sentenza è l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge». LA COSA GIUDICATA: I LIMITI OGGETTIVI il giudicato (o cosa giudicata) fa parte del secondo gruppo di presupposti processuali, i temi da trattare sono: cosa scaturisce la sentenza, nei confronti di chi e fino a quando. sarebbe opportuno parlare di effetti della sentenza passata in giudicato (invece di effetti del giudicato) – perché il giudicato non è un ulteriore effetto che si aggiunge a quelli della sentenza ma una qualità che consiste nella stabilità di tali effetti. Il provvedimento giurisdizionale produce gli effetti x, y, z, i quali diventano stabili nel momento in cui la pronuncia passa in giudicato, perché da quel momento non sono più utilizzabili i mezzi di impugnazione ordinaria. Non potendosi rimuovere la fonte degli effetti, è chiaro che gli effetti acquistano stabilità. “PASSATO IN GIUDICATO” – COSA SI INTENDE ART. 324 (“Cosa giudicata formale”): «Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 46 4 e 5 dell’articolo 395 (c.d. MEZZI DI IMPUGNAZIONE ORDINARI = l’impossibilità di una loro utilizzazione determina il passaggio in giudicato della sentenza)». contrapposti a questi ci sono i MEZZI DI IMPUGNAZIONE STRAORDINARI che sono suscettibili di essere usati anche contro sentenze passate in giudicato formale e che sono: revocazione per motivi di cui ai numeri 1,2,3 e 6 art 395 cpc e opposizione di terzo (art 404 cpc). la definizione esposta in realtà non chiarisce niente perché i mezzi di impugnazione ordinari sono individuati con riferimento alla loro esperibilità prima del passaggio in giudicato ma a sua volta il passaggio in giudicato è individuato con riferimento all’esperibilità dei mezzi di impugnazione ordinari. Tuttavia, è possibile individuare i mezzi di impugnazione ordinari come quelli spendibili contro i vizi palesi della sentenza ed i mezzi di impugnazione straordinari come quelli spendibili contro i vizi occulti. Da qui la essenziale conseguenza che il termine per proporre il mezzo di impugnazione ordinario ha un dies a quo certo (la pubblicazione della sentenza) mentre quello per proporre il mezzo di impugnazione straordinario ha un dies a quo incerto (la scoperta del vizio) e non si può sapere né se tale vizio esiste né se e quando sarà scoperto. possiamo concludere nel senso che si dice “passata in giudicato” la sentenza che, non essendo più sottoponibile a mezzi di impugnazione ordinari ha una certa stabilità. Del resto, l’esperienza dimostra che i mezzi di impugnazione straordinari raramente sono utilizzabili, quindi la sentenza passata in giudicato formale è nella maggior parte dei casi stabile. il giudicato può essere alternativamente DI RITO o DI MERITO - la sentenza DI RITO ha ad oggetto il processo, ed afferma o nega la possibilità di pronunciare nel merito a causa della esistenza/inesistenza di un presupposto processuale; per definizione, non produce effetti sul terreno del diritto sostanziale, in quanto enuncia regole di comportamento processuali. Ad esempio: Tizio propone nei confronti di Caio una domanda, rivolta ad ottenere la condanna dello stesso al risarcimento dei danni subiti in dipendenza di un certo incidente stradale; il giudice dichiara la propria incompetenza: è evidente che niente viene statuito in ordine al credito di Tizio nei confronti di Caio, in quanto il giudice - qualificandosi incompetente - dichiara di NON avere il potere di emettere una sentenza di merito. - la sentenza DI MERITO pronuncia sulla situazione sostanziale dedotta in giudizio. Dobbiamo quindi distinguere tra - COSA GIUDICATA FORMALE – che riguarda tutte le pronunce - COSA GIUDICATA SOSTANZIALE – che consiste negli effetti delle pronunce di merito, cioè delle sentenze che pronunciano sulla situazione sostanziale dedotta in giudizio è necessario poi distinguere tra - GIUDICATO INTERNO = formatosi nello stesso processo; - GIUDICATO ESTERNO = formatosi in un processo diverso. La distinzione tra giudicato interno/esterno può essere rilevante in due direzioni: a. In primo luogo, in ordine al potere di rilevazione del giudicato. Per lungo tempo, la giurisprudenza ha affermato che solo il giudicato interno poteva essere rilevato anche d’ufficio; al contrario, il giudicato esterno aveva il regime dell’eccezione proponibile solo dalla parte. Poi, la Cassazione ha mutato parere, ed ha ritenuto RILEVABILE D’UFFICIO ANCHE IL GIUDICATO ESTERNO, purché esista agli atti la relativa prova. Sotto questo profilo, quindi, la rilevanza della distinzione riguarda solo quella parte della dottrina che ritiene proponibile solo dalla parte l’eccezione di giudicato esterno. b. In secondo luogo, la distinzione riguarda la stessa efficacia della sentenza al di fuori del processo in cui è stata emessa. L’opinione dominante è nel senso che la sentenza di rito (ad eccezione della sentenza sulla competenza e sulla giurisdizione pronunciata dalla Cassazione) non abbia effetti al di fuori del processo in cui si è formata. Sicché la sentenza di rito passata in giudicato formale non ha neppure effetti nel successivo processo, instaurato fra le stesse parti in ordine allo stesso oggetto, qualora all’interno di questo secondo processo dovesse sorgere la stessa questione di rito già affrontata e decisa dalla precedente sentenza. 47 Nell'ipotesi di dipendenza la questione è rovesciata: per decidere di Y, oggetto della prima sentenza, il giudice ha portato la sua attenzione sulla fattispecie del diritto; fra gli elementi della fattispecie X. Il giudice, nel decidere di Y, può aver preso posizione sul modo di essere di X. Quando nel secondo processo si deve decidere di X, è vincolante quanto su tale diritto è detto nella prima sentenza, oppure il secondo giudice può liberamente decidere? Concludendo: nelle ipotesi di pregiudizialità, si tratta di vedere se l'effetto della sentenza si espande verso il basso, cioè in direzione della situazione dipendente; nelle ipotesi di dipendenza, si tratta di vedere se l'effetto della sentenza si espande verso l'alto, cioè in direzione della situazione pregiudiziale. Concentrando l'attenzione sul rapporto di pregiudizialità, vediamo di fare alcuni esempi. esempio = l'ordinamento prevede delle ipotesi di responsabilità solidale tra colui che commette un fatto illecito (responsabile principale) e il proprietario del bene che è servito a compiere l'illecito (art. 2054, III c.c.). Se vogliamo schematizzare la responsabilità del proprietario di un autoveicolo in caso di incidente e di danni da questo provocati, possiamo dire che è necessario che vi sia una fattispecie composta dai seguenti elementi: A) un incidente stradale; B) che abbia provocato certi danni; X) che l'obbligato sia proprietario dell'autoveicolo che ha prodotto i danni. A e B sono fatti storici che volta per volta si dovranno accertare, ma su X può esserci una sentenza passata in giudicato. Quando il giudice del processo sul diritto (dipendente) al risarcimento dei danni deve accertare se effettivamente il convenuto è proprietario dell'autoveicolo che ha prodotto i danni, potrebbe esserci una precedente sentenza in cui Si è statuito che la proprietà dell'autoveicolo spetta (o non spetta) al convenuto. la soluzione al problema si trova nell’art 2909 che stabilisce che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto. Quando si sia definito - con sentenza passata in giudicato - il modo di essere del DIRITTO PREGIUDIZIALE e, nel secondo processo, si discute della SITUAZIONE DIPENDENTE, le parti e il giudice del secondo processo sono vincolati a ciò che è stato deciso sulla situazione pregiudiziale. Ad esempio: l’ordinamento prevede delle ipotesi di responsabilità solidale tra colui che commette un fatto illecito (responsabile principale) e il proprietario del bene che è servito a compiere l’illecito (art. 2054 co. 3). Se vogliamo schematizzare la responsabilità del proprietario di un autoveicolo in caso di incidente e di danni da questo provocati, possiamo dire che è necessario che vi sia una fattispecie composta dai seguenti elementi: a) un incidente stradale; b) che abbia provocato certi danni; c) che l’obbligato sia proprietario dell’autoveicolo che ha prodotto i danni. a) e b) sono fatti storici che volta per volta si dovranno accertare, ma su X può esserci una sentenza passata in giudicato . Quando il giudice del processo sul diritto (DIPENDENTE) al risarcimento dei danni deve accertare se effettivamente il convenuto è proprietario dell’autoveicolo che ha prodotto i danni, si dovrà attenere all’eventuale precedente sentenza in cui si è statuito che la proprietà dell’autoveicolo spetta (o non spetta) al convenuto). Oppure: tra capitale ed interessi vi è un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, nel senso che l’esistenza dell’obbligo di pagare il capitale è fatto costitutivo dell’obbligo di pagare gli interessi; gli interessi presuppongono sempre che vi sia l’obbligo di pagare il capitale. Una volta accertata, con sentenza passata in giudicato, la demenza del capitale, quando si discuterà degli interessi, il giudice dovrà attenersi a quanto statuito nella prima sentenza. passiamo ora al caso in cui, oggetto della prima decisione è il DIRITTO DIPENDENTE- esempio per accertare un obbligo alimentare il giudice deve convincersi che esiste un rapporto di parentela. per condannare gli interessi, il giudice deve convincersi che è esistito per un certo periodo l’obbligo relativo al capitale. deve stabilire se ciò che il primo giudice ha detto della situazione pregiudiziale forma giudicato, se nel secondo processo che ha per oggetto la situazione pregiudiziale, la configurazione di questa è bloccata dalla precedente sentenza o è liberamente discutibile 50 il problema trova in parte soluzione nell’ ART. 34 c.p.c. (“Accertamenti incidentali”): «Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui». La decisione della questione pregiudiziale ha efficacia di giudicato solo se nel precedente processo, quando è stata discussa, vi è stata l’ESPLICITA DOMANDA DI UNA DELLE PARTI, oppure la LEGGE PREVEDE che della questione pregiudiziale si debba decidere con efficacia di giudicato. Se è mancata la domanda di parte o non sussiste la previsione d legge, ciò che il giudice del primo processo ha detto circa il modo di essere della situazione pregiudiziale NON costituisce una decisione con efficacia di giudicato, ma una MERA COGNIZIONE INCIDENTER TANTUM (= finalizzata esclusivamente alla decisione del diritto dipendente, oggetto del processo). Ricapitolando: - nelle ipotesi di pregiudizialità, dall’art. 2909 c.c. si ricava che LA SENTENZA SUL DIRITTO PREGIUDIZIALE SI ESPANDE VERSO IL DIRITTO DIPENDENTE; - nelle ipotesi di dipendenza, dall’art. 34 c.p.c. si ricava che LA SENTENZA SUL DIRITTO DIPENDENTE NON SI ESPANDE VERSO IL DIRITTO PREGIUDIZIALE. Su quest’ultimo si forma il giudicato, solo se c’è domanda, ma, se non c’è domanda, il giudicato si forma in via diretta, e non per espansione. Fin qui abbiamo parlato di PREGIUDIZIALITÀ IN SENSO TECNICO. Il problema che si pone è se la stessa disciplina si applica anche alla c.d. pregiudizialità in senso logico, cioè a quelle ipotesi in cui viene dedotto in giudizio uno degli effetti di un rapporto giuridico. Se il giudice, per decidere della esistenza/inesistenza del diritto, che costituisce uno degli effetti del rapporto giuridico e che è oggetto del processo, ha preso posizione sull’esistenza o sulla qualificazione del rapporto a cui quell’effetto si riallaccia, ci si domanda se tale situazione estende la sua efficacia anche all’esistenza o inesistenza o qualificazione del rapporto giuridico presupposto. Tizio (lavoratore) chiede a Caio (datore di lavoro) il pagamento della tredicesima, affermando l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente. Il giudice, per statuire sulla tredicesima, porta la sua cognizione sull’esistenza del rapporto di lavoro dipendente, perché solo nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato si ha diritto alla tredicesima. La sentenza accoglie la domanda e passa in giudicato. In seguito, Caio chiede a Tizio il risarcimento dei danni per violazione dell’obbligo di fedeltà (tipico del rapporto di lavoro dipendente): nel secondo processo, è vincolante la qualificazione che il giudice della prima sentenza ha dato del tipo di rapporto intercorrente tra le parti? È vincolato a ritenere che tra le parti sussiste un rapporto di lavoro dipendente, o potrebbe anche giungere alla conclusione che si tratta di un rapporto di lavoro autonomo, e quindi rigettare la domanda di Caio? Al problema sono state date soluzioni diversi. Quella più convincente è che la pregiudizialità in senso logico si innesta su un modo di essere della realtà sostanziale diverso da quello della pregiudizialità in senso tecnico. Il rapporto diritto pregiudiziale-diritto dipendente non ha niente a che vedere con la relazione tra il singolo effetto e il rapporto giuridico da cui questo effetto scaturisce. Mentre nella pregiudizialità in senso tecnico la situazione pregiudiziale è un vero e proprio diritto che attribuisce un bene della vita, il rapporto giuridico di per sé non è una situazione sostanziale attributiva di alcun bene della vita. L’utilità non nasce dal rapporto in sé, ma dai singoli effetti del rapporto. Il rapporto di lavoro dipendente di per sé non dà niente a nessuno; l’utilità nasce dai singoli effetti del rapporto di lavoro dipendente: ferie, tredicesima, fedeltà. – nessun elemento si può trarre dall’art 34 perché altro è che pregiudiziale sia un diritto vero e proprio, altro è che si discuta dell’esistenza e qualificazione di un rapporto che è solo un’entità strumentale e artificiale che ha l’unico scopo di rendere omogenei più effetti, di più diritto che da esso scaturiscono. quindi il diritto pregiudiziale è una vera e propria situazione sostanziale attributiva di una bene della vita. Al contrario, se si tolgono tutti gli effetti ad un rapporto, esso resta un guscio vuoto, in quanto il rapporto è un’entità artificiale che l’ordinamento crea per far sì che i singoli effetti non vadano ognuno per conto suo, ma siano come legati in un fascio, in modo che essi siano regolati in modo omogeneo; ma non ha un valore in sé, a prescindere dagli effetti che lo compongono. 51 Allora, non è pensabile che un soggetto, condannato a pagare la tredicesima con una sentenza che ha riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente, nel successivo processo in cui egli fa valere un diritto che nasce dallo stesso rapporto (es. risarcimento dei danni per violazione dell’obbligo di fedeltà), si veda eccepito - dalla parte vittoriosa nel primo processo - che fra di loro esiste NON un rapporto di lavoro dipendente, bensì un RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO. Il criterio da utilizzare per la pregiudizialità logica è quello dell’antecedente logico necessario: se il giudice, per decidere dell’effetto (diritto) dedotto in giudizio, si è dovuto occupare (antecedente logico) della esistenza e qualificazione del rapporto a cui tale diritto appartiene, allora ciò che il giudice ha stabilito del rapporto FORMA GIUDICATO ove venga in discussione, in un successivo processo, un altro diritto che appartiene allo stesso rapporto. Se però, per decidere del diritto, il giudice NON ha avuto bisogno di occuparsi del rapporto, il giudicato NON SI FORMA. Tizio chiede la condanna di Caio al pagamento della tredicesima maturata nel 1983. Caio eccepisce la prescrizione. Il giudice può decidere della domanda senza doversi occupare del problema dell’esistenza del rapporto di lavoro dipendente. Egli può rigettare la domanda, affermando che, se anche il diritto esisteva perché il rapporto lavoro doveva qualificarsi di lavoro subordinato, esso si è ormai prescritto. in tema di domanda giudiziale abbiamo accennato - DIVIETO AL FRAZIONAMENTO DEL CREDITO, divieto che risponde a esigenze pubblicistiche di economia processuale. Il presupposto è che si tratti di un credito l presupposto è che si tratti di un credito unico: e questo dato - che è il più difficile - ovviamente lo deve fornire il diritto sostanziale Esempio: l'opinione giurisprudenziale è sostanzialmente concorde nel sostenere che le più voci di danno prodotte dallo stesso incidente stradale (danni materiali e danni alla persona) costituiscono un diritto unico, quantomeno quando i danni alla persona si sono già compiutamente "stabilizzati" allorché viene proposta la domanda. Utilizziamo dunque questa fattispecie per esaminare le conseguenze processuali del frazionamento del credito. Tizio chiede il risarcimento dei danni derivatigli da un incidente stradale, identificando il diritto, oggetto del processo, nei modi che abbiamo visto esaminando la domanda giudiziale. Il danno viene quantificato in 1.000,00 €, allegando un danno alla persona. Come sappiamo, l'entità del credito non rileva per l'identificazione del diritto fatto valere. La domanda viene decisa, e la sentenza passa in giudicato. Tizio non può proporre un'altra domanda volta a chiedere 500,00 € per i danni patrimoniali prodotti dallo stesso incidente, perché a ciò osta la cosa giudicata, che si è formata sull'unico diritto esistente. Tizio propone la stessa domanda di cui sopra, ma questa volta limita espressamente la propria domanda ai danni alla persona, riservandosi di far valere successivamente i danni patrimoniali. Si tratta evidentemente di un frazionamento del credito, che in linea di principio, e comunque nel caso concreto, non è ammissibile. Secondo la giurisprudenza (Cass. 2023/2278), il giudice dovrebbe decidere la domanda così come proposta, ma la riserva non avrebbe effetto. La successiva domanda, con la quale Tizio chiede 500,00 € per i danni patrimoniali, sarebbe inammissibile in quanto contraria alla buona fede e lesiva del principio della ragionevole durata del processo. La soluzione non convince: se il frazionamento del credito non è ammissibile (e non lo è) e se nel primo processo tale frazionamento deve essere reso esplicito, mediante la espressa dichiarazione di voler far valere solo una parte del credito e di riservarsi di far valere l'altra parte in un successivo processo - in mancanza della quale riserva il giudicato si forma sull'intero credito - la causa che deve essere fermata in rito è la prima, non la seconda. Se il primo giudice, errando, non dichiara la inammissibilità della prima domanda per avere un oggetto non consentito, non si può nel secondo processo dichiarare una inammissibilità che doveva essere dichiarata nel primo. Il giudicato si forma su ciò che è stato deciso, non su ciò che si sarebbe dovuto decidere. Affermare il contrario sarebbe come dire che - chiesto nel primo processo il solo mancato verificarsi della prescrizione, senza chiedere una pronuncia sull'esistenza del diritto, ed avendo il giudice erroneamente deciso su un tale inammissibile oggetto, negando la prescrizione - nel secondo processo si dovrebbe dichiarare che il credito è già stato accertato. LIMITI SOGGETTIVI 52 Qui il discorso si rovescia: sono le parti del primo processo che non hanno tenuto conto della realtà sostanziale, che hanno trascurato la situazione del terzo, che già esisteva quando la prima domanda è stata proposta; sono le parti che hanno scelto di non instaurare il contraddittorio nei confronti del terzo, pur essendo in grado di farlo, in quanto - nel momento in cui il primo processo è iniziato - Sempronio già “esisteva”, perché la sua situazione era già sorta. Qui è più corretto tutelare il diritto di difesa del terzo. Essendo controversa fra Tizio e Caio la proprietà di un bene, Tizio concede ipoteca sul bene ad un creditore ipotecario, Sempronio. Al termine del processo viene accertato che Caio, e non Tizio, è il proprietario del bene. Siccome l’ipoteca si acquista solo a titolo derivativo, l’inesistenza della proprietà (sul bene) di Tizio comporta necessariamente l’inesistenza del diritto (di ipoteca) di Sempronio. Questi pretende di far valere il suo diritto di ipoteca sul bene, affermando che Tizio era proprietario del bene, nel momento in cui gli ha concesso l’ipoteca. Sorge così una CONTROVERSIA tra Sempronio e Caio sull’esistenza del diritto di ipoteca: - Caio afferma che Sempronio NON ha il diritto di ipoteca perché si è accertato, con sentenza passata in giudicato, che Tizio, dante causa di Sempronio, non era proprietario del bene; sostiene quindi Caio che, nel secondo processo fra lui e Sempronio, non si può discutere della proprietà di Tizio, perché su questo oggetto si è già avuta una sentenza passata in giudicato, che ha negato l’esistenza della proprietà di Tizio. - Sempronio obietta che vincolarlo alla precedente sentenza significa negargli il diritto di difesa, e pretende di essere ammessa a provare che (contrariamente a quanto afferma la sentenza) Tizio era proprietario del bene, quando è stata costituita l’ipoteca. Si verifica una SITUAZIONE DI INCOMPATIBILITÀ: - o si ammette Sempronio a ridiscutere del diritto di proprietà di Tizio, tutelando il suo diritto di difesa, ma pregiudicando così la vittoria che Caio aveva ottenuto (= il riconoscimento della sua proprietà del bene); - oppure non si ammette Sempronio a ridiscutere del diritto di proprietà del suo dante causa Tizio, tutelando così il diritto d’azione di Caio, ma pregiudicando il suo diritto di difesa. tertium non datur In passato, era prevalente l’idea che la connessione per pregiudizialità-dipendenza fra il DIRITTO (oggetto della sentenza) e la SITUAZIONE DEL TERZO fosse sufficiente per estendere alla situazione sostanziale dipendente l’efficacia della sentenza che avesse ad oggetto la situazione sostanziale pregiudiziale. Ora, il rapporto di pregiudizialità-dipendenza è NECESSARIO perché la sentenza possa avere rilevanza per il terzo, ma NON è SUFFICIENTE, perché la (potenziale) espansione della sentenza sul rapporto dipendente del terzo è impedita dal principio del contraddittorio. la teoria dell’efficacia riflessa della sentenza sui rapporti dipendenti dei terzi è del tutto minoritaria. l’unica soluzione ragionevole sta nel prior in tempore prior in iure. a. se l’ipoteca è stata iscritta dopo la proposizione della domanda nel primo processo, è più ragionevole tutelare Caio, cui non si può imporre l’onere di sorvegliare cosa fa Tizio durante tutto il corso del processo. È più ragionevole, dunque, che la sentenza sia efficace anche nei confronti di Sempronio: questi non può lamentarsi di non essere stato chiamato nel processo, perché tale pretesa avrebbe imposto un onere eccessivo a Caio; quindi, avrebbe pregiudicato il suo diritto di azione. b. se l’ipoteca è stata iscritta prima della proposizione della domanda, Caio - che cita in giudizio Tizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà - se voleva una sentenza efficace e vincolante anche nei confronti del creditore ipotecario Sempronio, poteva estendere anche a lui il contraddittorio, poiché la situazione di Sempronio era già attuale nel momento in cui Caio ha proposto la domanda. Caio era in grado di instaurare il contraddittorio anche contro Sempronio, come ha fatto contro Tizio. altri criteri processuali per determinare i limiti soggettivi di efficacia della sentenza non ce ne sono; bisogna solo stabilire se è da privilegiare la pretesa dell’efficacia (che comporta la tutela de diritto di difesa del terzo) o dell’inefficacia (che comporta la tutela del diritto di difesa del terzo) della sentenza. 55 l’unico criterio ragionevole è quello dell’anteriorità della proposizione della domanda rispetto al sorgere della situazione del terzo o viceversa. Questo problema si pone solo quando la sentenza è favorevole alla controparte del dante causa (Caio). Se, al contrario, essa è favorevole al titolare del diritto o dell’obbligo pregiudiziale (Tizio), non vi è alcuna esigenza di tutelare né il diritto di azione della controparte soccombente (essa ha usufruito dei poteri processuali previsti dall’ordinamento), né il diritto di difesa dell’avente causa della parte vittoriosa (Sempronio). Anzi, le regole civilistiche gli consentono di utilizzare - nei confronti della parte soccombente - la sentenza favorevole al proprio dante causa anche se il processo, che ha portato all’emanazione della stessa, è iniziato dopo la nascita del diritto o dell’obbligo del terzo. infatti, il contratto non può pregiudicare i terzi, ma può avvantaggiarli. analogamente chi agisce in giudizio può vincendo, avvantaggiare i suoi aventi causa con titolo antecedente all’inizio del processo ma non può pregiudicarli. A certe condizioni, NON è esclusa un’efficacia della sentenza nei confronti del terzo, la cui situazione sia sorta prima della proposizione della domanda, ma non per ragioni di diritto processuale (quindi: di armonizzazione tra diritto di azione e di difesa), bensì per motivi di diritto sostanziale, per il tipo speciale di struttura sostanziale che lega la situazione intercorrente tra le parti (e che diviene oggetto del primo processo) e la situazione del terzo. dobbiamo distinguere tra - pregiudizialità istantanea: relazione sostanziale per cui la situazione pregiudiziale deve esistere nel momento in cui sorge la situazione dipendente; le modificazioni della situazione pregiudiziale, in un momento successivo alla nascita della situazione dipendente, dal punto di vista del diritto sostanziale, sono ininfluenti. Ad esempio: relazione tra la proprietà del concedente l’ipoteca e il diritto del creditore ipotecario —> perché l’ipoteca sorga efficacemente è necessario che colui che la concede sia proprietario nel momento in cui l’ha concessa. Se poi, successivamente all’iscrizione dell’ipoteca, colui che ha concesso l’ipoteca dispone del suo diritto di proprietà, ciò ai fini dell’esistenza del diritto di ipoteca è irrilevante: la perdita della proprietà, da parte del concedente l’ipoteca, dopo che questa è stata iscritta, non estingue l’ipoteca. Perché l’ipoteca nasca, è necessario che il concedente sia proprietario del bene nel momento in cui l’ipoteca è iscritta, ma affinché l’ipoteca persista, non è necessario che il concedente continui ad essere proprietario. Conseguentemente, Sempronio non è pregiudicato dal fatto che, dopo la concessione dell’ipoteca, Tizio perde la proprietà del bene in virtù di un atto di disposizione. - pregiudizialità permanente: relazione sostanziale per cui la situazione pregiudiziale deve esistere non solo nel momento in cui sorge la situazione dipendente, ma deve persistere anche successivamente; intanto persiste il diritto dipendente, in quanto persista il diritto pregiudiziale. esempio 1: la responsabilità dei soci di una società in nome collettivo per gli obblighi della società è strutturata in modo tale che qualunque obbligo della società diventa un obbligo del socio; il sorgere dell’obbligo societario fa sorgere l’obbligo dei soci. esempio 2: il creditore chirografario ha garanzia sul patrimonio del debitore (art 2749) ma tale diritto segue l’evolversi del patrimonio del debitore nelle sue diminuzioni e neo-suoi aumenti. se il patrimonio del debitore aumenta, il creditore vede aumentata la sua garanzia. se diminuisce, il creditore vede diminuita la sua garanzia. Quando la persistenza della situazione “figlia” dipende dalla persistenza della situazione “madre”, ove intervenga una sentenza che neghi l’esistenza della situazione pregiudiziale, ciò si ripercuote necessariamente nella sfera del titolare della situazione dipendente. Ciò dimostra che NON è la sentenza - in quanto atto giurisdizionale - che pregiudica il terzo: qui, è IL MODO D’ESSERE DEL DIRITTO SOSTANZIALE che lo pregiudica, in quanto l’ordinamento costruisce la sua situazione come una situazione che si deve adattare, momento per momento, alla situazione pregiudiziale. Qualunque evento che incida sulla situazione pregiudiziale comporta il necessario assestamento della situazione dipendente. Le parti del rapporto principale, disponendo del loro rapporto, di riflesso, indirettamente incidono sul rapporto dipendente che, per regola di diritto sostanziale, si deve adeguare al nuovo assetto che le parti hanno dato, disponendone, al rapporto principale. ciò dimostra che non è la sentenza, in quanto atto giurisdizionale, che pregiudica il terzo; qui è il modo di essere 56 del diritto sostanziale che lo pregiudica in quanto l’ordinamento costruisce la sua situazione come un a situazione che si deve adattare momento per momento alla situazione pregiudiziale. In tema di responsabilità patrimoniale, l’atto di vendita compiuto dal debitore è opponibile al creditore, come dimostra la presenza di strumenti di tutela del creditore, quale ad esempio l’azione revocatoria. Se il creditore vuole rendere inopponibili gli effetti della vendita, deve agire con l’azione revocatoria e ottenere la dichiarazione di inefficacia, nei suoi confronti, dell’alienazione. Il creditore ipotecario, al contrario, non ha necessità di agire in revocatoria per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’alienazione del bene ipotecato, perché per lui è indifferente chi ne sia divenuto il proprietario, il suo diritto è opponibile a tutti gli aventi causa di colui che ha costituito l’ipoteca. La situazione del creditore ipotecario, nel momento in cui sorge, si sgancia dalla situazione madre, mentre la situazione del creditore chirografario deve adattarsi all’evoluzione della situazione madre. Quando la situazione dipendente si deve adeguare alla situazione pregiudiziale, essa risente delle modificazioni di diritto sostanziale prodotte sia da atti di disposizione, sia da sentenze. Sarebbe assurdo difendere il terzo nei confronti elle sentenze, e lasciarlo esposto agli atti dispositivi di diritto sostanziale. Sarebbe assurdo difendere il sub conduttore nei confronti di una pronuncia che dichiara cessato il rapporto di locazione principale, e lasciarlo scoperto di fronte alla lettera, inviata al locatore principale dal conduttore principale, con cui quest’ultimo recede anticipatamente dal rapporto di locazione. La protezione del terzo dev’essere identica: non può essere più protetto contro gli eventi processuali di quanto lo sia contro gli eventi di diritto sostanziale. Del resto, quale obiezione potrebbe avanzare un terzo, allorché si pretenda di far valere nei suoi confronti la sentenza emessa inter alios? Potrebbe lamentare l’ingiustizia della sentenza; che la parte soccombente si è mal difesa; che la realtà sostanziale è diversa da quella su cui sfonda la sentenza in questione, e che quindi - in virtù del principio del contraddittorio - ha diritto di dimostrare al giudice il vero modo di essere della realtà sostanziale. Ora, quando la situazione del terzo è permanentemente dipendente da quella oggetto della sentenza, e quindi egli è pregiudicato tanto dalla sentenza quanto dagli atti di disposizione della parte, la sua obiezione è spuntata: perché la parte soccombente ben avrebbe potuto pregiudicarlo con un atto di disposizione, nei confronti del quale egli non potrebbe pretendere il rispetto del principio del contraddittorio. il terzo cercherebbe di dimostrare che la realtà sostanziale è diversa da quella risultate dalla decisione: ciò che rileva per il terzo è la realtà sostanziale attualmente esistente e questa è quella scaturente dalla sentenza come quella scaturente dall’atto dispositivo DIPENDENTE (e quindi sensibile a qualunque atto, negozio o sentenza, che abbia ad oggetto la situazione pregiudiziale) è PROTETTO nei confronti dei comportamenti dei titolari della situazione pregiudiziale. Di solito, la protezione è quella del DOLO: se gli atti sono compiuti con lo scopo di pregiudicare il terzo, questi può farli dichiarare a sé inopponibili. Contro gli atti sostanziali, ha a disposizione l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.); contro le sentenze, l’opposizione di terzo revocatoria (art. 404 co. 2). analogamente accade per la simulazione: i creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione di un contratto, che pregiudica i loro diritti (art 1416 II). in nodo parallelo, i creditori sempre attraverso l’opposizione di terzo revocatoria, possono far valere l’accordo simulatorio delle parti, che si è tradotto in una sentenza. Altre volte, la protezione non è data dal dolo, ma da ALTRI PRESUPPOSTI. Una situazione che tipicamente ha le caratteristiche della dipendenza permanente è quella del legittimario (= erede che ha diritto ad una quota del patrimonio, nell’entità che tale patrimonio ha al momento della morte del de cuius. Prima dell’apertura della successione, l’erede legittimario è soggetto agli atti di disposizione di colui al quale dovrà succedere; se questi, prima della sua morte, si disfa di ogni suo avere, all’erede legittimario non rimarrà nulla. Qui, rileva il TITOLO DELL’ATTO DI DISPOSIZIONE: se il de cuius ha alienato questi beni a titolo gratuito, l’erede legittimario ha una tutela (se invece li ha venduti, no). Concludendo: in presenza di una relazione di pregiudizialità-dipendenza permanente, LA SENTENZA HA EFFETTI NEI CONFRONTI DEL TERZO, anche se questi è titolare di una situazione che è sorta prima della proposizione della 57 La situazione fattuale NON CAMBIA rispetto a quella esistente al momento della precisazione delle conclusioni: quando il giudice emette la sentenza, la costruzione del capannone industriale - ancorché prevedibile - non è ancora avvenuta, né il capannone sarà costruito in futuro. Quello che conta è che la situazione fattuale futura sia diversa da quella prevista dal giudice. -PROVVEDIMENTO DI RIGETTO ( che ha negato il verificarsi dell’effetto giuridico) La sentenza di rigetto NON ha una portata precettiva predeterminata come la sentenza di accoglimento. Se oggetto del processo è un credito o la proprietà di un bene, e il giudice accoglie la domanda, noi sappiamo subito la portata precettiva della sentenza: la situazione sostanziale, oggetto del processo, è dichiarata esistente con riferimento al giorno in cui sono state precisate le conclusioni. Quando, invece, il giudice rigetta la domanda, non sappiamo ancora la portata precettiva della sentenza. Quando il giudice ha dichiarato inesistente un effetto giuridico, occorre sempre chiedersi quale sia stato il motivo del rigetto. Infatti, la portata precettiva della pronuncia si determina con riferimento a quell’elemento della fattispecie che il giudice ha ritenuto CARENTE. Il fatto sopravvenuto, idoneo a consentire la riapertura del discorso chiuso dal giudicato, deve integrare quell’elemento della fattispecie che il giudice ha ritenuto carente; esso deve coincidere con il motivo del rigetto. esempio: se il giudice ha stabilito che il credito non è scaduto, si aspetterà la scadenza del credito per potere agire di nuovo; se però il giudice ha stabilito che il credito è stato pagato, non si potrà agire di nuovo dicendo che ilo termine è successivamente scaduto, perché non è questo il motivo di rigetto; quindi, il sopravvenire di tale fatto nuovo è irrilevante in riferimento alla quaestio iuris = si tratta di capire come influisce sulla sentenza passata in giudicato un cambiamento della legge applicabile. L’ultimo momento utile per applicare il mutamento normativo è la pubblicazione della sentenza, cioè il momento in cui il giudice si spoglia, per averlo esercitato, del potere giurisdizionale. Il giudice può e deve applicare le novità normative fino al momento in cui pronuncia la sentenza. CASSAZIONE: per quanto riguarda la quaestio facti, poiché il momento determinante è costituito dall’ultima udienza di trattazione, e la trattazione si ha solo nelle fasi di merito (primo grado e appello), nel giudizio di Cassazione nessuna nuova allegazione è possibile, e quindi il referente temporale della quaestio facti rimane quello relativo alla sentenza impugnata in sede di legittimità. Per quanto riguarda la quaestio iuris, la novità normativa deve essere applicata anche dalla Corte di cassazione. il problema che si pone riguarda lo ius superveniens e i suoi rapporti col giudicato: dobbiamo stabilire a che condizioni e fino a che punto la norma nuova può alterare le regole di condotta contenute nella sentenza. SCHEMA X la linea indica il flusso temporale. X l’effetto giuridico disciplinato dalla sentenza pubblicata nel momento A e, successivamente, dalla nuova norma, che entra in vigore del momento B. bisogna distinguere gli effetti giuridici relativi a un interesse permanente e le nuove norme retroattive e le nuove norme non retroattive. gli effetti giuridici possono dirsi relativi a un interesse istantaneo, allorché tale interesse si realizza in un momento temporale preciso e puntuale. ciò si verifica anzitutto per gli effetti costitutivi o estintivi di una situazione giuridica, che si producono istantaneamente allorché si completa la fattispecie costitutiva oppure estintiva del diritto. in secondo luogo, ciò si verifica con riferimento al contenuto del diritto, in relazione alle situazioni strumentali che realizzano l’interesse protetto quando si estinguono rispettivamente per l’adempimento o per la loro utilizzazione. gli effetti giuridici possono dirsi relativi a un interesse permanente, allorché questo si realizza in un arco temporale durevole. ciò accade in relazione 60 A B al contenuto delle situazioni finali, che realizzano l’interesse protetto finché esistono e perdurano nel tempo: finché perdurano i poteri e doveri che impongono il diritto in questione. si ha interesse istantaneo con riferimento alla fattispecie acquisita o estintiva di qualunque diritto, si ha interesse permanente con riferimento al contenuto delle situazioni finali. dobbiamo distinguere tra - IU S SUPERVENIENS IRRETROATTIVO la nuova norma non retroattiva. Non entra mai in conflitto con la sentenza : questa produce, sì, i suoi effetti verso il futuro, ma sulla base della situazione normativa esistente nel momento in cui è stata pubblicata. Se la nuova norma non è retroattiva, l’effetto giuridico disciplinato da quella sentenza resta sempre disciplinato dalla sentenza; le regole di comportamento in questa contenute non entrano mai in conflitto con le diverse regole di comportamento contenute nella nuova normativa. Ciò vale: - sia per gli effetti giuridici relativi ad un INTERESSE ISTANTANEO (che si realizza in un momento temporale preciso e puntuale); - sia per gli effetti giuridici relativi ad un INTERESSE PERMANENTE (che si realizza in un arco temporale durevole). Ad esempio: applicando la normativa in quel momento vigente, è stata dichiarata la validità di un contratto traslativo della proprietà. Successivamente una NORMA NON RETROATTIVA introduce, come ulteriore requisito di validità del contratto di compravendita, la regolarità urbanistica del bene. Poiché la norma nuova si applica solo ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore, essa non si applica al contratto traslativo della proprietà, che resta disciplinato dalla sentenza. Ad esempio: applicando la normativa in quel momento vigente, la sentenza ha quantificato il canone di locazione in una certa somma. Successivamente, una NORMA NON RETROATTIVA aumenta il canone di locazione, con efficacia a partire dal momento della sua entrata in vigore. La tranche che va dalla pubblicazione della sentenza all’entrata in vigore della norma resta disciplinata dalla sentenza; la tranche dall’entrata in vigore della norma in poi è disciplinata dalla nuova norma. - IUS SUPERVENIENS RETROATTIVO Sovrappone la sua disciplina a quella che la sentenza ha determinato sulla base della normativa preesistente. In questo caso, la nuova norma entra in conflitto con la sentenza, perché ambedue coprono lo stesso periodo temporale. La sentenza, nell’individuare i comportamenti doverosi e leciti dalle parti, SOSTITUISCE le regole di condotta da essa stessa determinate al consueto meccanismo norma astratta - fattispecie concreta. Quando il giudice stabilisce che Tizio deve tot a Caio per risarcimento danno da un certo incidente stradale, la regola di condotta così individuata sostituisce il meccanismo incidente stradale - art. 2054. Pertanto, la norma retroattiva NON si applica alla fattispecie presa in considerazione dalla sentenza, poiché tale fattispecie è divenuta irrilevante per la produzione dell’effetto giuridico in questione, che resta ormai disciplinato esclusivamente dalla sentenza LA RILEVAZIONE E DECISIONE DELLE QUESTIONI RELATIVE AL GIUDICATO Il giudicato è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, salvo che la questione sia già stata sollevata e decisa (e quindi si sia già formato il “giudicato sul giudicato”). In tal caso, la questione non è più risolleva bile successivamente, secondo le regole comuni a tutti i presupposti processuali. Il giudice, quindi, può rilevare il giudicato in ufficio, per la prima volta anche in appello e in cassazione, senza limitazioni che non siano quelle della già avvenuta decisione della questione relativa al precedente giudicato. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, l’eccezione di giudicato è un’ECCEZIONE DI RITO. 61 al giudice, una volta sollevata la questione del precedente giudicato, non è inibita la trattazione della causa, però al momento della decisione dovrà esaminare la questione relativa all’esistenza del giudicato prima di decidere il merito. Occorre che il tener conto che il precedente giudicato svolge il ruolo di un presupposto processuale e altre volte funziona in maniera diversa. Esempio – è stata sollevata la questione, il giudice si convinca che essa è fondata, che esiste un precedente giudicato avente effetto in quel processo. le conseguenze non sono sempre le stesse: dobbiamo distinguere ipotesi in cui l’oggetto del secondo processo è identico all’oggetto della precedente sentenza passata in giudicato, dalle ipotesi in cui l’oggetto del secondo processo è diverso dall’oggetto della precedente sentenza. NEI CASI DI IDENTITA DI OGGETTO - si applica il principio del NE BIS IN IDEM: il giudice non ha il potere di decidere nel merito una domanda che è già stata decisa. Il secondo giudice emette una sentenza di rito con cui stabilisce: “poiché il diritto, oggetto del presente processo, ha già avuto la sua regolamentazione giurisdizionale in virtù della precedente sentenza, è inutile emettere un’altra sentenza, è sufficiente quella precedentemente emessa”. Il ne bis in idem integra i c.d. effetti NEGATIVI del giudicato: negativi perché NEGANO IL POTERE GIURISDIZIONALE DEL GIUDICE SUCCESSIVO. Tizio agisce contro Caio per l’accertamento della proprietà del bene X, e la domanda è rigettata. Successivamente, Tizio ripropone la stessa domanda, allegando un fatto acquisitivo della proprietà antecedente all’udienza di precisazione delle conclusioni del precedente processo (e quindi precluso dal principio del dedotto e del deducibile). Il secondo giudice, preso atto che nessuna idonea sopravvenienza è stata allegata, chiude il processo in rito, perché non c’è niente da decidere in merito. NEI CASI DI OGGETTO DIVERSO. Se l’oggetto è diverso (es. capitale e interessi), vengono in luce i c.d. effetti POSITIVI del giudicato. In questo caso, l’oggetto della sentenza è diverso dall’oggetto del secondo processo, quindi la seconda sentenza non può essere di rito, non possono valere gli effetti negativi del giudicato; qui occorre giungere ad una pronuncia che statuisca sulla diversa situazione sostanziale, oggetto del secondo processo, tenendo conto di quanto stabilito nella precedente sentenza: IL VINCOLO DEL GIUDICATO RIGUARDA QUELL’ELEMENTO, RILEVANTE NEL SECONDO PROCESSO, CHE È GIÀ STATO DECISO CON LA PRIMA SENTENZA. Il discorso è simile quando sussiste una pregiudizialità logica: in questo caso, una volta che si è avuto il giudicato sul rapporto fondamentale, RIMANGONO FERMI l’ACCERTAMENTO DELL’ESISTENZA E LA QUALIFICAZIONE DI TALE RAPPORTO. Occorre poi istruire gli ulteriori presupposti specifici del diritto, oggetto del secondo processo. Quelli appena descritti sono gli effetti positivi del giudicato: positivi perché il secondo giudice emette, sul diverso oggetto del secondo processo, una sentenza di merito, il cui contenuto è vincolato a quanto già decis Qui, il precedente giudicato non funziona come presupposto processuale, ma come criterio che orienta il contenuto della decisione di merito. Ricapitolando —> il giudicato opera IN DUE MODI DIVERSI: - se si tratta di effetti negativi, il ne bis in idem funziona come presupposto processuale (escludendo una seconda decisione); - se si tratta di effetti positivi, il precedente giudicato funziona come criterio vincolante che orienta il contenuto della decisione di merito. se due sentenze passate in giudicato contengono disposizioni tra loro contrastanti si ha il contrasto di giudicati – che può essere teorico oppure pratico 1. TEORICO: si ha quando le due pronunce hanno ad oggetto situazioni sostanziali diverse. Ad esempio: il primo giudice ha stabilito che esiste il diritto al capitale ed il secondo giudice (violando il precedente giudicato) esclude il diritto agli interessi, perché esclude l’esistenza del diritto al capitale. Oppure: il primo giudice ha affermato che Tizio non ha diritto di ricevere il prezzo della compravendita, perché il contratto è inefficace; il secondo giudice afferma che Caio ha diritto di ricevere la consegna del bene, perché il contratto di compravendita è efficace. 62 è un istituto che si applica in due diversi fenomeni quando l’oggetto di uno dei due processi rappresenta un quid minus rispetto all’oggetto dell’altro processo = in uno dei due è richiesto qualcosa un meno rispetto all’altro, tra i due processi c’è un rapporto da più a meno, perché un processo contiene l’altro. Tale quid minus può verificarsi: - in relazione al tipo di tutela richiesta: c’è continenza tra un processo in cui è chiesto il MERO ACCERTAMENTO DI UN CREDITO e un processo in cui è chiesta la CONDANNA PER LO STESSO CREDITO: la condanna costituisce un QUID PLURIS rispetto all’accertamento del credito. - in relazione ai diritti dedotti in giudizio: c’è continenza tra un processo in cui è chiesta la RISOLUZIONE DEL CONTRATTO e un processo in cui è chiesta LA RISOLUZIONE E LA CONDANNA AL RISARCIMENTO DEL DANNO: qui l’oggetto di un processo è maggiore rispetto all’oggetto dell’altro. questa è la configurazione tradizionale della continenza che corrisponde al significato etimologico del termine e realizza una sorta di litispendenza parziale. la litispendenza nella configurazione descritta costituisce il fenomeno meno frequente. ha subito uno sviluppo in un’altra direzione - Si usa questo istituto non solo laddove vi sia maggior ampiezza di una domanda rispetto ad un’altra, ma anche con riferimento a RAPPORTI INCOMPATIBILI SUL PIANO PRATICO: tali per cui l’accoglimento di una domanda non potrebbe che portare al rigetto dell’altra. Ad esempio: si ha continenza tra il processo in cui l’acquirente chiede la CONSEGNA DEL BENE e un altro processo, con cui il venditore chiede il PAGAMENTO DEL PREZZO IN RELAZIONE ALLO STESSO CONTRATTO DI COMPRAVENDITA. Oppure: si ha continenza tra un processo nel quale il lavoratore dipendente chiede il PAGAMENTO DELLA TREDICESIMA, e un altro processo nel quale chiede il PAGAMENTO DELLE FERIE. in questi casi non si ha litispendenza perché il diritto che si fa valere è diverso nei due processi ancorché entrambi trovino fondamento nello stesso rapporto giuridico; tuttavia, entrambi i processi sono potenzialmente produttivi di giudicato sullo stesso rapporto fondamentale. una duplice decisione dello stesso rapporto è evento solo potenziale perché non necessariamente la decisione relativa al singolo diritto dipendente da un rapporto produce il giudicato relativamente al rapporto stesso; il giudicato si produce se ed in quanto, per decidere della domanda proposta, il giudice debba portare l’attenzione sull’esistenza o inesistenza o modo di essere del rapporto. pur essendo fenomeno solo eventuale, occorre uno strumento idoneo a prevenire la pronuncia di due sentenze, ciascuna delle quali potrebbe formare giudicato sullo stesso rapporto fondamentale. per giungere a tale risultato la giurisprudenza applica il rimedio della continenza che è logicamente diverso dalla litispendenza poiché qui non c’è identità di oggetto come nella litispendenza, c’è l’identità del rapporto fondamentale PROFILI DINAMICI DELLA LITISPENDENZA- secondo la regola generale litispendenza e continenza sono rilevabili in ogni stato e grado del processo. per la litispendenza il meccanismo è più semplice poiché essendo l’oggetto dei due processi lo stesso, uno dei due è superfluo. la tutela della richiesta può provenire indifferentemente dalla sentenza di ciascuno dei due processi. se in un processo è richiesto l’accertamento della stessa servitù per destinazione dl padre di famiglia, la sentenza di uno dei due processi che stabilisce se c’è o non c’è servitù è idonea a disciplinare anche l’oggetto dell’altro processo – è quindi necessario e sufficiente chiudere uno dei due processi con provvedimento di rito dichiarando la litispendenza. anche quando competente fosse eventualmente il giudice adito per secondo e quello per primo fosse incompetente. se ciò accade si chiude dapprima il secondo processo, il giudice adito per primo si dichiara incompetente in favore dell’altro giudice e la causa viene riassunta dinanzi a quest’Ultimo. è necessario che il primo processo sia ancora pendente. per stabilire quale dei due processi è stato instaurato per primo si applica l’ultima parte dell’art 39 cpc – la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione. il processo instaurato con un atto introduttivo notificato per primo va 65 avanti, mentre l’altro processo instaurato con un atto notificato dopo is chiude- la cassazione ha precisato che rilevante è il momento in cui la notificazione della citazione si perfezione e non il momento in cui la notificazione è richiesta. per i processi che traggono origine da un ricorso la prevenzione è data dalla priorità del deposito dello stesso nella cancelleria del giudice adito e non dalla successiva notificazione del ricorso alla controparte. infine: quando nell’art 39 cpc si parla di giudici diversi di intende uffici giudiziari diversi – se gli stessi fenomeni che originano la litispendenza e la continenza si verificano non fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, ma fra cause pendenti di fronte allo stesso ufficio giudiziario non si applicano i meccanismi dell’art 39 ma quelli previsti dall’art 273 cpc per la continenza- il discorso è complesso perché stante la non coincidenza fra gli oggetti dei due processi non è sempre possibile chiudere il processo instaurato successivamente- ex art 39 II cpc bisogna stabilire se anche per la causa proposta successivamente è competente il giudice della causa proposta per prima. se il giudice adito per primo è competente il giudice della causa proposta al secondo giudice allora è questo che dichiara la continenza, cioè emette un’ordinanza di rito a contenuto negativo. se, invece, il giudice adito per primo non è competente anche per la seconda causa ma è il giudice adito per secondo ad essere competente anche per la causa proposta per prima, allora è il giudice adito per primo che dichiara la continenza a favore del giudice adito per primo a condizione che sia competente anche per la causa pendente di fronte all’altro giudice Esempio: Tizio chiede davanti al giudice di pace l’adempimento di una prestazione del contratto (una sola, che è scaduta), del valore di € 2 mila. Successivamente, lo stesso Tizio chiede al tribunale la risoluzione dell’intero contratto, del valore di € 10 mila. Bisogna guardare al giudice di pace (= giudice della causa proposta preventivamente): è competente per la causa proposta successivamente? No, perché il contratto vale € 10 mila, quindi siamo al di fuori del limite massimo della competenza per valore del GdP. Quindi, sarà il giudice di pace a dover dichiarare la continenza a favore del tribunale (= giudice adito per secondo). La causa verrà riassunta davanti al tribunale. nella continenza non è sempre sufficiente chiudere uno dei due processi, perché qui gli oggetti dei due processi sono diversi, anche se possono essere parzialmente coincidenti- pertanto, con la sentenza che dichiara la continenza il giudice assegna un termine per trasferire la causa. le pronunce in tema di continenza e litispendenza sono equiparate alle ordinanze di competenza quanto ai mezzi di impugnazione - soggette al regolamento di competenza necessario art 42 cpc ipotesi di CONNESSIONE art 40 c.p.c - ai sensi dell’ART. 40, si verifica quando sono proposte, davanti ad uffici giudiziari diversi, più cause le quali - per ragioni di connessione - possono essere decise in un solo processo . Ratio: favorire il simultaneus processus (armonizzazione dei giudicati quando le pronunce riguardano eventi e diritti collegati l’uno all’altro). A garantire questa esigenza, abbiamo REGOLE PARTICOLARI CHE DEROGANO AI PRINCIPI SULLA RIPARTIZIONE DELLA COMPETENZA (solo quella per valore e per materia: la competenza per materia “resiste” in maniera assoluta). Due cause connesse possono essere proposte ab origine insieme (attraverso il meccanismo del cumulo), oppure possono proposte separatamente e poi riunite. Se l’attore non realizza il simultaneus processus con la domanda (presentando insieme le cause connesse), l’art. 40 prevede il meccanismo della riunione . Se gli artt. 31-36 presuppongono che le domande connesse siano proposte originariamente davanti allo stesso giudice, l’art. 40 si occupa specificamente del caso in cui tali domande siano proposte davanti a giudici diversi. la funzione dell’art 40 è di realizzare simultaneus processus, e quindi, mediatamente, quella del cumulo oggettivo e soggettivo: l’economia processuale e/o il coordinamento delle decisioni. occorre ribadire l’esclusione dall’art 40 delle ipotesi in cui le più cause connesse pendono dinanzi allo stesso ufficio giudiziario. l’art 40 cpc trova il suo pendant nell’art 474 cpc per l’ipotesi in cui le cause connesse pendono dianzi allo stesso ufficio giudiziario = se le cause connesse pendono dinanzi ad uffici giudiziari diversi si applica l’art 40 mentre se le cause connesse pendono di fronte allo stesso ufficio giudiziario si applica l’art 274 cpc ratio= simultaneus processus fra cause pendenti innanzi allo stesso ufficio giudiziario non pone problemi di competenza come invece li pone lo spostamenti di una causa da un ufficio giudiziario all’altro. 66 RAGIONI DI CONNESSIONE: il c.p.c. individua delle cause di connessione agli ARTT. 31 - 36. Tra queste rilevano, in particolare, le RAGIONI DI CONNESSIONE OGGETTIVA, che derivano da un legame tra le due cause relativo all’oggetto o alla causa petendi. In presenza di queste ragioni di connessione, il giudice dispone la RIUNIONE dei processi. Ratio: risparmio di attività istruttoria (principio di economia processuale) ed esigenza di coordinamento della decisione sulle diverse cause (evitare contrasto di giudicati). ART. 31 (CAUSE ACCESSORIE): «La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinché sia decisa nello stesso processo, osservata, quanto alla competenza per valore, la disposizione dell’art. 10, co. 2». Accessorietà = forma di pregiudizialità dipendenza caratterizzata dal fatto che domanda accessoria presuppone proposizione e accoglimento domanda principale (non solo suo accertamento). ART. 32 (CAUSE DI GARANZIA): «La domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo. Qualora essa ecceda la competenza per valore del giudice adito, questi rimette entrambe le cause al giudice superiore assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione» . Insieme alla domanda principale, viene proposta anche una domanda di garanzia, nei confronti del “garante” (sul piano processuale). ART. 33 (CUMULO SOGGETTIVO): «Le cause contro più persone che a norma degli articoli 18 e 19 (fori generali, siamo nella competenza territoriale) dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo, possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo». NON è una ragione di connessione oggettiva: l’oggetto del processo continua ad essere uno solo, non c’è un cumulo oggettivo. ART. 34 (ACCERTAMENTI INCIDENTALI): «Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui». ART. 35 (ECCEZIONE DI COMPENSAZIONE): «Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; altrimenti provvede a norma dell’articolo precedente». ART. 36 (DOMANDA RICONVENZIONALE): «Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti». dal PUNTO DI VISTA DINAMICO – le condizioni perché possa operare la riunione e la realizzazione del simultaneus processus sono indicate nell’art 40 comma 2 «La connessione NON può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio DOPO la prima udienza (della causa proposta successivamente), e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse (sostanzialmente: non può effettuarsi se la causa proposta antecedentemente si trova già in uno stato di istruttoria avanzata)». - ECCEZIONE DI PARTE o RILEVAZIONE D’UFFICIO non oltre la prima udienza della causa proposta successivamente; - la causa proposta antecedentemente NON deve trovarsi in uno STATO DI ISTRUTTORIA AVANZATO, che non consente la trattazione esauriente della causa che le viene riunita. quando sussistono la connessione opera art 40 comma 1 «Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragioni di connessione possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito». 67 loro capacità (d’agire)». Pertanto, il minore sta in giudizio attraverso uno dei suoi genitori, l’interdetto attraverso il tutore, e così via. Questa è la rappresentanza legale: il rappresentante legale sta in giudizio in nome e per conto del soggetto incapace, ed è lo strumento attraverso cui il soggetto incapace partecipa al processo. Svolge le attività processuali, ma gli effetti di tali attività cadono direttamente in capo al soggetto rappresentato. Nel caso in cui un soggetto sia capace giuridicamente ma incapace di agire sia, dal punto di vista processuale, una scissione fra la parte in senso processuale (quella destinataria degli effetti) e la parte in senso formale (colui che compie atti processuali, i cui effetti si imputano al soggetto rappresentato o assistito). Nel processo in cui è parte un incapace, questi è destinatario degli effetti giuridici degli atti del processo (parte in senso processuale), mentre colui che compie gli atti processuali è il suo rappresentante legale (parte in senso formale). L’art. 78 e i seguenti disciplinano la figura del curatore speciale, il quale rappresenta il minore soltanto in quel processo nel quale è nominato. Viene nominato in due casi: 1) «se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono ragioni d’urgenza»: in questo caso, il curatore speciale viene nominato ad interim fino a che non subentri il soggetto cui spetta la rappresentanza o l’assistenza; 2) «quando vi è conflitto di interessi col rappresentante» (ad esempio, se il genitore e il figlio minore sono entrambi coeredi e si deve procedere alla divisione del bene). Una uguale scissione fra il soggetto, che compie gli atti, e il soggetto, cui si sputano gli effetti degli atti compiuti, si ha nel caso di rappresentanza volontaria. Questa differisce dalla rappresentanza legale per il fatto che anche il rappresentato volontario avrebbe il potere di compiere gli atti del processo (poteri che invece il rappresentato legale, come il minore, non ha). Il potere di rappresentanza processuale (volontaria) si conferisce attraverso la procura, che è un atto scritto (vd. art. 77). La procura è la fonte di tale potere e il rapporto tra rappresentato e rappresentante si configura come un rapporto di mandato con rappresentanza. La giurisprudenza ritiene che, affinché ci possa essere rappresentanza processuale volontaria, ci debba essere anche una rappresentanza dal punto di vista sostanziale. Cioè: io non posso, soltanto perché voglio andare in vacanza, conferire il potere di rappresentarmi in giudizio ad un determinato soggetto. Dovrò avergli conferito il potere di rappresentanza sostanziale, e conferirgli espressamente per iscritto anche il potere di rappresentanza processuale. L’art. 75, ai co. 3 e 4, prevede anche l’ipotesi di chi sta in giudizio per le persone giuridiche, comprese quelle di diritto pubblico (es. Comuni, Province, Regioni, Stato) e per i soggetti di diritto che non sono persone giuridiche (comitati associazioni non riconosciute e società di persone). Per quanto riguarda gli enti, normalmente nello statuto si attribuisce la rappresentanza ad un determinato soggetto. Se devo citare in giudizio un ente o una società, dovrò fare una visura in camera di commercio (per vedere chi ne ha la rappresentanza). Si usa in genere indicare nell’atto di citazione la tale società “in persona del legale rappresentante pro tempore”: in questo modo, se cambia questo soggetto, non sorgono problemi. «Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto // Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 e ss. c.c.». Questo è il fenomeno della rappresentanza organica, che si caratterizza per il fatto che all’ente si imputano non solo gli effetti dell’attività compiuta, sebbene l’attività stessa. Gli atti del rappresentante organico sono, in realtà, atti dell’ente. L’AUTORIZZAZIONE 70 L’autorizzazione è il fenomeno (cui l’art. 75 accenna, e che l’art. 182 tratta) in forza del quale colui che compie gli atti processuali deve essere munito, se ciò è previsto, dell’autorizzazione di un altro soggetto. Ad esempio: i genitori del minore devono essere autorizzati dal giudice tutelare in relazione a talune controversie. L’autorizzazione non è un requisito cui è subordinato l’acquisto della qualità di parte, intesa come destinataria degli effetti degli atti processuali, bensì è requisito per la regolare costituzione in giudizio e per il regolare compimento degli atti del processo. Quindi, l’autorizzazione non incide sulle parti come destinatarie degli effetti, ma incide sulla possibilità che il rappresentante compia validamente gli atti processuali. Ad esempio: l’autorizzazione al curatore non è condizione affinché la procedura di liquidazione sia destinataria degli effetti del processo, ma è condizione affinché il curatore possa validamente compiere atti processuali. Ciascun soggetto che deve essere autorizzato ha l’onere di procurarsi la propria autorizzazione. Mentre in caso di rappresentanza legale o organica, l’attore ha l’onere di agire per mezzo del suo rappresentante legale oppure ha l’onere di instaurare il contraddittorio nei confronti del rappresentante legale del convenuto (es. se l’attore vuole chiamare in giudizio un minore, deve notificare la citazione non al minore, ma al padre o alla madre), nel caso dell’autorizzazione l’attore deve procurarsi le autorizzazioni per lui prescritte, ma non deve procurarsi anche le eventuali autorizzazioni che servono al convenuto: è quest’ultimo che deve preoccuparsi di farsi autorizzare. L’inosservanza di tale onere comporta l’invalidità di tutti gli atti processuali compiuti dal soggetto non munito della prescritta autorizzazione, essendo invalida la sua costituzione in giudizio. —> se sono violate le norme sulla rappresentanza, ciò impedisce sempre la pronuncia di merito, in quanto il rispetto delle norme sulla rappresentanza costituisce presupposto processuale. Se il minore agisce da solo il giudice non può emettere la pronuncia di merito; se è chiamato in giudizio un minore invece del suo rappresentante legale, il giudice non può emettere una pronuncia di merito. —> se sono violate le norme sull’autorizzazione (cioè: se questa manca quando è prescritta), bisogna distinguere: infatti, l’autorizzazione costituisce condizione per la decisione di merito solo dalla parte dell’attore (o meglio: di chi propone la domanda): • se manca l’autorizzazione dell’attore, è invalida la domanda giudiziale (che costituisce un presupposto processuale), per cui il processo non può giungere ad una pronuncia di merito; • se manca l’autorizzazione al convenuto, ciò non impedisce l’emanazione di una pronuncia di merito, perché gli atti processuali compiuti dal convenuto senza autorizzazione sono sì invalidi, ma ciò non impedisce la pronuncia di merito; il convenuto privo di autorizzazione è considerato come un convenuto contumace, e cioè come un soggetto che non compie atti, il che non impedisce la pronuncia di merito. Difetto di rappresentanza e difetto di autorizzazione Il difetto relativo alla capacità processuale è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Il difetto di rappresentanza è suscettibile di sanatoria: quell’elemento ben può essere acquisito al processo su iniziativa di chi ha proposto la domanda. Ad esempio: il rappresentante legale può essere successivamente chiamato in giudizio (se il rappresentato è convenuto) o costituirsi spontaneamente (se rappresentato è l’attore). Nel nostro ordinamento vige il principio per cui, se il vizio del presupposto processuale è sanabile, il giudice non può immediatamente chiudere il processo in rito, ma deve prima provvedere affinché sia sanato il vizio attraverso l’acquisizione al processo dell’elemento mancante. Ciò è quanto prevede, in tema di vizio della rappresentanza legale, l’art. 182 co. 2. Una volta sanato il vizio relativo alla capacità della parte, si può arrivare alla sentenza di merito. Tuttavia, gli atti processuali già compiuti non diventano immediatamente validi: essi devono essere compiuti di nuovo, tranne che si abbia la ratifica dell’interessato. La ratifica si ha quando colui che doveva rappresentare la parte, costituendosi fa propri gli atti compiuti dal soggetto che stava nel processo al suo posto. Ad esempio: il padre, costituendosi in giudizio, ratifica gli atti compiuti dal figlio minore; altrimenti si ricomincia da capo. La ratifica presuppone quindi un comportamento attivo dell’interessato, che manifesta la volontà di fare propri gli atti compiuti da un altro soggetto (il rappresentato incapace). 71 La sanatoria ha carattere retroattivo: gli effetti della domanda si producono dal momento in cui è stata proposta la domanda, ancorché viziata. Operata la sanatoria, «gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione» (art. 182, co. 2) o, se si tratta di ricorso, fin dal momento dell’originario deposito in cancelleria dello stesso. Per quanto riguarda il difetto di autorizzazione, la mancanza di una prescritta autorizzazione produce l’inefficacia degli atti compiuti dalla parte non debitamente autorizzata. Se la parte non autorizzata è l’attore, il vizio impedisce la decisione di merito in via indiretta, in quanto determina l’invalidità della domanda giudiziale; se la parte non autorizzata è il convenuto, essa deve considerarsi contumace. Per quanto riguarda la sanatoria, l’autorizzazione può essere data in qualunque momento, anche nel corso del processo, finché il giudice non abbia emesso un provvedimento che abbia accertato il difetto di autorizzazione e ne abbia tratto le debite conseguenze. Una volta data, l’autorizzazione integra retroattivamente la condizione di efficacia degli atti della parte: non soltanto impedisce che siano dichiarate le conseguenze negative sopra viste, ma rende efficaci ex post anche gli atti compiuti prima che l’autorizzazione fosse concessa, operando come una sorta di ratifica. Incapacità naturale Sul piano sostanziale, l’incapacità naturale rileva come motivo di annullamento degli atti compiuti da un soggetto che, sia pure transitoriamente, sia stato incapace di intendere e di volere al momento in cui tali atti sono stati compiuti. Nel processo, dunque, l’incapacità naturale non ha una rilevanza immediata e diretta: in particolare, essa non può essere fatta valere dalla controparte. Infatti, sul piano sostanziale l’atto compiuto dall’incapace è annullabile e non nullo: spetta all’incapace stesso scegliere se far valere o meno la sua incapacità. Nelle ipotesi in cui l’incapacità naturale abbia inciso sul diritto di difesa del soggetto, può essere utilizzata la rimessione in termini (art. 152, co. 2). Tizio, incapace naturale, riceve la notificazione di una citazione e quindi non si costituisce in giudizio: Tizio stesso (ove la sua incapacità sia temporanea) o il suo rappresentante legale (ove essa sfoci in un’interdizione) potranno chiedere di essere rimessi in termini, allegando e provando lo stato di incapacità naturale di Tizio. LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE è un presupposto processuale, Non abbiamo nessuna norma del codice così rubricata. Partiamo dall’art. 81 c.p.c., che dobbiamo leggere al contrario: «fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui». Per essere legittimati ad agire nel giudizio, devo affermarmi titolare del diritto che si vuole far valere. Art. 24 Cost. ci parla di proprio diritto. A contrario, da questo istituto disciplinato dall’art. 81 (c.d. legittimazione straordinaria), è possibile ricavare il concetto della legittimazione ad agire: chi agisce in giudizio deve farlo per la tutela di un diritto proprio e deve proporre la domanda nei confronti del titolare dei doveri, correlati a tale diritto e funzionali alla soddisfazione dello stesso. si può dire anche legittimato è colui, nei cui confronti si produrranno gli effetti della misura giurisdizionale. Trattandosi di processo dichiarativo, legittimato è colui cui si imputeranno le regole di condotta, che la sentenza conterrà. Pertanto, chi propone la domanda deve chiedere la tutela di un suo diritto attraverso la determinazione di regole di condotta che si imputeranno a lui ed al soggetto, nei cui confronti egli chiede la tutela. Qua si dice: chi agisce deve dire che il diritto per cui agisce è un suo diritto. Quello che conta, in questo momento, è che 72 processuale nelle ipotesi in cui lo strumento di attacco o di difesa utilizzato dalle parti può essere fondato, ma è inutile. Quindi: - Se la domanda o la difesa sono infondate, e la sentenza che le accoglie sarebbe contra ius, non c’è bisogno dell’interesse ad agire. In questi casi è sufficiente l’applicazione delle regole sostanziali. - Quando, invece, la domanda o la difesa possono essere fondate ma sono comunque inutili, serve l’interesse ad agire per evitare lo svolgimento di attività processuali attinenti al merito. = Ha la funzione di filtro processuale nelle ipotesi in cui lo strumento di attacco o difesa delle parti può essere fondato ma è comunque inutile. L’interesse ad agire può essere carente con riferimento al mezzo processuale, oppure al risultato del processo, cioè agli effetti richiesti. - CARENTE CON RIFERIMNTO AL MEZZO PROCESSUALE = l’effetto chiesto al giudice è utile, ma la parte può ottenerlo per una via diversa da quella giurisdizionale: di solito attraverso strumenti di diritto sostanziale, cioè spendendo poteri di natura sostanziale. esempio - Ad esempio: lo strumento generale per reagire all’inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive è l’azione generale di risoluzione ex art. 1453 c.c. Attraverso la sentenza che accoglie la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. si arriva alla risoluzione del contratto. Tuttavia, in materia di lavoro subordinato, l’ordinamento fornisce il datore del potere unilaterale di risoluzione del rapporto (licenziamento), per cui il datore raggiunge l’effetto risolutivo del rapporto attraverso l’utilizzazione di un potere sostanziale; quindi, egli non ha bisogno del mezzo processuale per arrivare allo scopo, che è la risoluzione del rapporto. Se poi sorgerà una controversia sugli effetti del licenziamento si vedrà, ma l’intervento giurisdizionale si rende necessario solo a posteriori ed in via eventuale, e non a priori e in via necessaria. manca l’interesse al mezzo processuale pur essendo utili gli effetti che si richiedono - CARENTE CON RIFERIMENTO AL RISULTATO DEL PROCESSO = Dal punto di vista del secondo profilo, gli effetti richiesti possono essere ottenuti solo in via giurisdizionale e quindi l’interesse al mezzo c’è, però tali effetti non servono perché lasciano la parte che richiede e li ottiene nella stessa situazione di prima. La parte ha diritto di ottenerli, ha ragione nel merito; però, una volta che li ha ottenuti, non gli servono, in quanto lo lasciano nella stessa situazione di prima. Ad esempio: Tizio propone contro Caio una domanda di mero accertamento di un diritto non contestato da Caio. Tutti i soggetti sono titolari di una serie di diritti. Ciascuno di essi può divertirsi a proporre una domanda di accertamento del diritto al nome che ha nei confronti di un qualunque altro soggetto. Se non vi fosse l’interesse ad agire, il giudice dovrebbe svolgere attività di merito per accertare se l’attore ha diritto al nome che porta. Ma la sentenza che accoglie la domanda non ha alcuna utilità, perché nessuno aveva contestato all’attore il diritto di portare il nome di chi porta Quindi l’interesse ad agire è un selettore per impedire lo svolgimento di un’attività (di trattazione, istruzione e decisione) relativa al merito, quando la pronuncia di merito non serve. analogo strumento, dal lato passivo è L’INTERESSE A CONTRADDIRE alla domanda – c’è sempre, qualunque soggetto, nei cui confronti è proposta una domanda, ha interesse a resistere alla stessa. La portata dell’interesse a contraddire possiamo trovarla non in relazione a una difesa generica nei confronti della domanda, ma in relazione all’utilizzazione di uno specifico mezzo di difesa processuale. Anche la parte che resiste alla domanda può spendere mezzi per i quali si può fare lo stesso discorso: magari sono fondati, però non servono. Esempio: possiamo utilizzare l’esempio del testamento, immaginando che sia stata proposta la domanda di divisione ereditaria da parte del beneficiario del testamento. Il convenuto si difende eccependo la falsità del testamento. Se la delazione ereditaria non muta, ancorché il testamento sia nullo, l’eccezione di invalidità del testamento è una eccezione inutile. Così vi possono essere tutta una serie di mezzi di difesa che magari sono fondati, ma che non sono utili alla parte. 75 per quanto riguarda PROFILI DINAMICI – il difetto di interesse ad agire è rilevabile in ogni stato e grado del processo anche d’ufficio, salvo il giudicato; ed è ovviamente insanabile. chi ha proposto domanda non può far niente per acquisire un interesse ad agire che sia carente. la disciplina del difetto di interesse ad agire risente della caratteristica di tutti gli strumenti volti a realizzare l’economia processuale, infatti, è volto ad evitare attività che non servono e per funzionare bene deve funzionare subito. il rapporti tra interesse e merito sono diversi tra quello normale di rito e merito = una pregiudizialità- del rito rispetto al merito si giustifica se la questione di rito in genere e il presupposto processuale in specie, si pongono come condizione di validità e quindi di attendibilità della decisione di merito: la quale è istituzionalmente “giusta” se emessa in seguito ad un processo “corretto”. Un’altra caratteristica dell’interesse ad agire è che esso può sopravvenire o venir meno nel corso del giudizio: ciò che conta è la sua esistenza al momento della decisione. Ebbene, l’interesse ad agire ha funzioni di economia processuale: la decisione di merito emessa in carenza dell’interesse ad agire non è invalida, ma inutile. Ecco perché può esserci fungibilità fra accoglimento nel merito e rigetto in rito per carenza di interesse ad agire; se ad es., la causa è matura per la decisione di merito, mentre dovrebbe essere istruita sull’interesse ad agire, il giudice ben può accogliere nel merito la domanda, senza che ciò comporti inconvenienti di rilievo. A partire da una sent. Cass. del 2015 (n. 4228), la giurisprudenza afferma che laddove vi sia un valore economico della controversia che è oggettivamente minimo - estremamente limitato - non c’è interesse ad agire. Ha utilizzato l’art. 100 per dichiarare l’inammissibilità della domanda. Sul fatto che non si debba andare in giudizio, ok: è contrario al buon funzionamento del sistema. Sul fatto che non ci sia interesse ad agire, non siamo d’accordo: c’è sia necessità, sia utilità. La soluzione non la possiamo trovare nell’art. 100, ma la dobbiamo trovare altrove. Nel 2017, la Cass. si è un po’ ripresa: con la sent. n. 2168, ha detto che, in materia di cognizione, non si può applicare il principio affermato dalla sent. n. 4228 del 2015. Proprio per soddisfare questa esigenza di scremare le azioni dal punto di vista economico, una parte della dottrina ha introdotto un’atra condizione dell’azione: cioè la meritevolezza dell’azione. Soddisfare questa condizione dell’azione vuol dire che non si sta abusando del processo. Intesa come freno a questi fenomeni di abuso del processo. RAPPRESENTANZA TECNICA La rappresentanza tecnica (o patrocinio in giudizio) è un presupposto processuale disciplinato dagli artt. 82 e seguenti. Essa è sempre possibile e in alcuni casi necessaria. Per capire la ratio dell’istituto bisogna distinguere il profilo della possibilità e dell’obbligo - diritto della difesa legale = La rappresentanza tecnica è sempre possibile: la parte ha diritto di affidare la cura dei propri interessi ad un soggetto che, per le sue cognizioni specialistiche e per il rapporto di fiducia intercorrente con la parte, sia in grado di meglio difendere gli interessi della parte stessa. In sostanza, la parte non può essere costretta a difendersi da sola: è una scelta del legislatore, che, per una piena realizzazione del diritto d’azione ex art. 24, co. 2, Cost., chiede che la parte non sia lasciata da sola a sbrigarsela nei complicati meandri del diritto. Occorre dare alle parti - indipendentemente dalle loro conoscenze - uguali chances. - obbligo della difesa legale = In alcuni casi (nella giurisdizione civile, quasi sempre), la rappresentanza tecnica è necessaria. La ratio di ciò è l’esigenza, tutta ed esclusivamente pubblicistica, di garantire che gli atti del processo siano compiuti da soggetti i quali, grazie alla loro formazione professionale, sappiano come muoversi, e quindi non creino intralci allo svolgimento del processo stesso. La possibilità di difesa tecnica dev’essere ricollegata al diritto di difesa ex art 24 cost- L’obbligo di difesa tecnica deve essere ricollegato ad esigenze pubblicistiche di corretto svolgimento del processo giurisdizionale. Ciò è comprovato dal fatto che, laddove il processo non è giurisdizionale (es. arbitrato), la parte ha sempre il diritto, ma non ha mai l’obbligo della difesa tecnica: infatti, l’arbitrato dà luogo ad un processo privato, che non comporta la svendita di denaro pubblico, e quindi le parti, se vogliono, possono anche fare a meno della difesa tecnica. 76 non si deve confondere l’obbligo della difesa tecnica con l’obbligo di difendersi = Nel processo civile, la parte può liberamente decidere di non difendersi, di rimanere inerte: in questo caso, il processo andrà avanti senza di lei. L’unica eccezione è il processo in cui si deve stabilire l’adattabilità di un minore: in questo caso, se i genitori o - in mancanza - i parenti entro il quarto grado non provvedono a nominarsi un difensore, sarà loro assegnato un difensore d’ufficio (come accade nel processo penale). la rappresentanza tecnica può essere inserita nella categoria della rappresenta volontaria - il difensore tecnico è legato alla parte da un mandato con rappresentanza (c.d. mandato alle liti), poiché compie attività giuridica in nome e per conto della parte che rappresenta, ossia il suo cliente. Ai sensi dell’art. 83, «quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura». e la procura deriva dal contratto di mandato che lega la parte e il suo difensore. dall’altro lato l’art 84 I cpc prevede che quando la parte sia in giudizio col ministero del suo difensore, questi può compiere e ricevere nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. = il difensore compie attività processuale per conto della parte interessata (MANDATO CON RAPPRESENTANZA) Ma se è vero che la rappresentanza tecnica è da calarsi nell’ipotesi del mandato con rappresentanza, è anche vero che ciò subisce una deroga in due casi, che realizzano la c.d. ultrattività del mandato: 1) ai sensi dell’art. 85 (sull’ipotesi di revoca e rinuncia alla procura), se il difensore tecnico viene revocato o rinuncia, ciò non ha effetto sul processo, fino a quando intervenga la nomina di un nuovo difensore: si ha una prosecuzione del mandato (nei confronti della controparte) nonostante la revoca o la rinuncia. Nel mandato, invece, la rinuncia e la revoca fanno estinguere il mandato stesso automaticamente (art. 1722). 2) se viene meno la parte nel processo civile, il mandato del suo rappresentante tecnico non si estingue automaticamente, la procura rimane valida. Il processo può fingere di non sapere che la parte rappresentata è venuta meno; si può proseguire il giudizio in nome della parte, anche se è morta. Ciò vale soltanto per il primo e il secondo grado, non in Cassazione, dove abbiamo un tipo di procura diversa. L’effetto estintivo si produce solo quando lo stesso difensore dichiara nel processo la morte del suo cliente. Nel contratto di mandato, invece, la morte del mandante estingue automaticamente il mandato. l’art 83 stabilisce che “La procura alle liti può essere generale oppure speciale…” (art. 83, co. 2, parte I). da qui si ricava una prescrizione di contenuto, in quanto possiamo avere - La procura è speciale quando il mandato è riferibile ad un singolo processo che la parte vuole instaurare o che contro la parte è stato instaurato - procura generale quando la parte fornisce al difensore tecnico il potere di difenderla in tutti i possibili processi che saranno proposti nei confronti di essa o che essa proporrà. dall’articolo si ricava anche una prescrizione di forma = la procura può essere conferita solo per atto pubblico o per scrittura privata autenticata: o con un atto globalmente formato da un pubblico ufficiale (atto pubblico) o con una scrittura privata la cui sottoscrizione è attestata autenticata da un pubblico ufficiale. l’art 83 stabilisce che la procura speciale può anche essere apposta in calce o al margine di un atto processuale ed in questi casi ‘autografia della sottoscrizione della parte viene certificata dallo stesso difensore. se la procura è contenuta in certi atti del processo, la legge conferisce al difensore il potere di pubblico ufficiale per quanto riguarda l’autenticazione della scrittura privata sottoscritta dal cliente. Quando la rappresentanza tecnica è necessaria, e quando invece la parte può agire in giudizio di persona? La regola generale è che il soggetto deve essere difeso da un rappresentante tecnico. Tuttavia, è consentito (non obbligatorio!), in particolari casi, che la parte non si faccia rappresentare tecnicamente, ma di compiere direttamente gli atti del processo. Qui, l’ordinamento rinuncia all’obbligo della difesa tecnica, in considerazione dello scarso valore della causa, per non far gravare eccessivamente sulla parte le spese di difesa. Queste ipotesi sono: • ex art. 82, co. 1, davanti al giudice di pace, le parti possono stare in giudizio di persona nelle controversie di valore 77 - riguarda le eccezioni che possono essere fatte valere solo dalla parte: il giudice non può rigettare la domanda sulla base di un’eccezione riservata al convenuto, e che questi non abbia fatto valere ancorché il fatto sia provato agli atti di causa. purché il fatto sia legalmente provato in causa e anche con le eccezioni il giudice può utilizzarlo anche se non allegato dalla parte interessata. Si è soliti distinguere tra: - FATTI PRINCIPALI = quelli che integrano direttamente la fattispecie invocata dalla parte. In questo caso, l’ONERE DI ALLEGAZIONE è a carico della parte interessata. Eccezionalmente, il giudice può tener conto d’ufficio di fatti principali diversi da quelli espressamente allegati, purché essi non fondino un diritto diverso ed integrino la medesima fattispecie legale (a condizione che tali fatti risultino dagli atti). - FATTI SECONDARI = circostanze specificative del fatto o dei fatti che rilevano solo sul piano probatorio. Sono rilevabili d’ufficio. QUAESTIO IURIS - è la questione di diritto, cioè quell’attività processuale che consiste nell’individuazione della norma giuridica. Essa spetta ESCLUSIVAMENTE al giudice, che NON è vincolato alle allegazioni delle parti. Le parti non possono, neppure se sono d’accordo, vincolare il giudice nell’applicazione di una certa norma. Il giudice procede D’UFFICIO ad individuare ed interpretare la norma. le due norme di riferimento sono gli artt 113 e 114 cpc. che precisano quale debba essere il metro del giudizio che il giudice utilizza al momento della decisione di merito. essendo norme sostanziali sono in primis regole di condotta (=qualificano comportamenti stabilendo ciò che si può/deve o non può fare) ART. 113 (“Pronuncia secondo diritto”): «Nel pronunciare sulla causa il giudice DEVE SEGUIRE LE NORME DEL DIRITTO (SOSTANZIALE), salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità». Queste norme, nel momento in cui vengono utilizzate dal giudice per decidere, sono METRO DEL GIUDIZIO. Una norma che impone al debitore di pagare è: - per il debitore: regola di condotta; - per il giudice: metro di giudizio. L’unico limite per il giudice consiste nel DOVERE di provvedere ad indicare alle parti le norme su cui ritiene di fondare la decisione e sollecitarne il contraddittorio. La regola generale (art. 113 c.p.c.), che impone al giudice di applicare le norme di diritto sostanziale al fine di definire la causa, può essere derogata nei casi previsti dalla legge, in modo tale da consentire la decisione secondo equità. non sempre il giudice deve usare norme di diritto sostanziale, talvolta utilizza norme diverse = l’equità ART. 114 (“Pronuncia secondo equità a richiesta di parte”): «Il giudice, sia in primo grado che in appello, decide il merito della causa SECONDO EQUITÀ quando esso riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richiesta». in materia di diritti disponibili, se vi è richiesta congiunta delle parti, il giudici usa come metro di giudizio l’equità, invece delle norme sostanziali. Questa è l’EQUITÀ SOSTITUTIVA (nel senso che sostituisce il giudizio di diritto). che non va confusa con: EQUITÀ INTEGRATIVA: è l’equità che integra una norma di diritto, perché è la norma di diritto che richiama l’equità. Es. art. 1226 cod. civ.: «Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa». La norma è integrata attraverso un richiamo all’equità; l’equità costituisce un elemento della fattispecie che il legislatore richiama. L’EQUITÀ NECESSARIA è invece quella disciplinata nell’ART. 113 co. 2: «Il giudice di pace decide SECONDO EQUITÀ le cause il cui valore non eccede 2500 euro (prima del 2021 era: 1100 euro), salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del c.c. (= mediante la sottoscrizione di moduli o formulari)». 80 Il giudizio di equità necessaria risponde ad esigenze di economia processuale ed assolve la funzione di semplificazione, da intendersi nel senso che il giudizio di equità consente di decidere le cause di minore rilievo in modo più snello, agevole e rapido di quello di stretta legalità. In ogni caso, il giudizio equitativo deve essere MOTIVATO: il decidente deve esporre i criteri che ha seguito nella decisione e deve giustificare la scelta di tali criteri. le sentenze pronunciate secondo equità non sono soggette ad appello – solo le sentenze pronunciate secondo equità sostitutiva ex art 114 cpc rientrano in questa disposizione, e non anche quelle pronunciate secondo equità integrativa perché nell’ equità integrativa il legislatore richiama la buona fede, la diligenza etc. le sentenze pronunciate secondo equità sostitutiva non sono soggette ad appello ma solo ricorso in cassazione in quanto si considerano pronunciate in un unico grado. le sentenze pronunciate secondo equità necessaria ex art 113 cpc sono soggette a un appello limitato. in ogni caso il decidente deve esporre i criteri che ha seguito nella decisione e deve giustificare la scelta di tali criteri. non si deve pensare che nel giudizio equitativo il decidente fa quello che gli pare, l’attività delle parti e del giudice continua a essere disciplinata da norme processuali: i fatti allegati devono essere provati secondo la disciplina delle norme processuali sulle prove. il giudizio di equità assume un significato diverso a seconda che - costituisca lo strumento per far applicare al decidente le regole vigenti in una certa organizzazione o anche le consuetudini vigenti in un gruppo non organizzato = più frequentemente le parti prevedono un arbitrato equitativo che ha il vantaggio di consentire alle parti di scegliersi colui o coloro che decidono la controversia - riguardi la relazione tra due soggetti non appartenenti a uno stesso gruppo attribuendo al giudice il potere di decidere secondo equità, le parti gli consentono anche dei profili di opportunità della decisione. l’attribuzione al giudice del potere di decidere equitativamente la controversia è fenomeno sconosciuto mentre è molto frequente nell’arbitrato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Per il principio del contraddittorio, l’atto introduttivo del processo deve essere portato a conoscenza della CONTROPARTE, cioè a COLUI CHE PUÒ COMPIERE GLI ATTI DEL PROCESSO (e non a colui cui si imputano gli effetti degli atti processuali). Ad esempio, se il convenuto è un minore, posponga portare l’atto a conoscenza del suo rappresentante legale. L’instaurazione del contraddittorio ha la funzione di mettere colui nei cui confronti è chiesto il provvedimento nella condizione di sfruttare in concreto quei poteri di partecipazione al processo che l’ordinamento gli conferisce. LA NOTIFICAZIONE è lo strumento attraverso il quale si porta un atto alla conoscenza di un soggetto. Essa è compiuta da un ufficiale giudiziario, su istanza di parte o su richiesta del PM o del Cancelliere. (art 137 ss. cpc). anche gli avvocati hanno la possibilità di notificare gli atti relativi ai propri assistiti – provvedono alla notificazione o a mezzo posta oppure a mezzo posta elettronica certificata (pec), se il destinatario sia titolare di un indirizzo pec risultante da pubblici registri. (sono obbligati a provvedere in proprio alla notifica e possono rivolgersi agli ufficiali giudiziari solo se la notificazione a mezzo pec non è possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario). La notificazione produce effetti per il notificato dal momento in cui essa si PERFEZIONA. Se fra gli effetti della notificazione vi è la decorrenza di un termine per il compimento di un atto da parte del notificato (es. costituzione in giudizio), tale termine inizia a decorrere dal momento in cui la notificazione si è perfezionata = momento che non sempre coincide con la ricezione materiale dell’atto da parte del destinatario- se fra gli effetti della notificazione vi è la decorrenza di un termine per il compimento di un atto da parte del notificato, tale termine inizia a decorrere dal momento in cui la notificazione si è perfezionata secondo le varie previsioni normative che disciplinano l’iter della notificazione stessa- non rileva il momento in cui il procedimento notificato è iniziato, ma solo quello in cui si è. concluso (rectius, il momento in cui la notificazione produce effetti sulla base delle varie previsioni normative) 81 Ai sensi dell’art. 164, l’attore deve costituirsi in giudizio entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di citazione. Ai fini del calcolo di questi 10 giorni, si comincia a contare dal momento in cui LA NOTIFICAZIONE È STATA PERFEZIONATA (cioè dal momento in cui il notificato è venuto a conoscenza dell’atto). Può accadere che la notificazione debba essere compiuta dal notificante ENTRO UN CERTO TERMINE. Quando si considera scaduto il termine? Fino a qualche tempo fa, si considerava rilevante il momento in cui si perfezionava la notifica: il termine a carico del notificante era rispettato solo se la notifica produceva effetti per il notificato entro il termine previsto. Tizio deve notificare un atto a Caio entro il 31 marzo, richiede all’ufficiale giudiziario la notifica il 28 marzo, ma questa si perfeziona il 2 aprile: la notifica si considerava TARDIVA. La Corte costituzionale ha ritenuto questo regime INCOSTITUZIONALE. Pertanto, oggi il termine si ritiene rispettato dal momento in cui il notificante HA RICHIESTO LA NOTIFICA all’ufficiale giudiziario. Rileva il momento della “consegna” dell’atto all’ufficiale giudiziario. Tizio vuole appellare una sentenza e deve notificarlo a Caio entro il 31 gennaio. Richiede la notificazione all’ufficiale giudiziario il 30 gennaio, ma si perfeziona nei confronti di Caio il 10 febbraio. La notifica si considera NEI TERMINI. Questa regola presuppone ovviamente che la notifica abbia BUON ESITO: cioè, che l’ufficio giudiziario la faccia giungere al suo destinatario. Se la notifica non si perfeziona, la salvezza del termine viene meno- si realizza il fenomeno della fattispecie a formazione progressiva: alcuni effetti si producono prima che la fattispecie (notificazione) si perfezioni, ma il loro definitivo consolidamento esige il perfezionamento della fattispecie. In conclusione: - la data di consegna (dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario) rileva solo ed esclusivamente per quanto attiene al RISPETTO DEL TERMINE imposto, a pena di decadenza, al notificante. Per vedere se ho rispettato il termine entro il quale notificare, non si va a vedere quando si è perfezionata la notifica, ma quando ho consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario chiedendogli di provvedervi. - ad ogni altro effetto, continua a rilevare la data di perfezionamento. Tizio appella la sentenza e notifica l’atto di appello; entro 10 giorni dalla notificazione della citazione all’appellato deve costituirsi in giudizio (pena l’improcedibilità del giudizio di appello). Tale termine NON decorre dalla consegna dell’atto di appello all’ufficiale giudiziario, BENSÌ dal perfezionamento della notificazione per l’appellato. Chi è competente ad effettuare la notificazione? Vi è una COMPETENZA CONCORRENTE, nel senso che sono alternativamente competenti a notificare l’atto: - l’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio giudiziario al quale l’atto da notificare si riferisce; - l’ufficiale giudiziario del luogo in cui si deve eseguire la notificazione. Un atto di citazione di fronte al Tribunale di Pisa deve essere notificato a Livorno, perché il convenuto abita a Livorno. Vi sono due ufficiali giudiziari competenti ad effettuare la notificazione: - l’ufficiale giudiziario di Pisa, perché è l’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio presso il quale pende o sarà pendente il processo di cui fa parte quell’atto da notificare - l’ufficiale giudiziario di Livorno, che è l’ufficiale giudiziario del luogo dove la notificazione deve essere eseguita. La notifica effettuata da un ufficiale giudiziario incompetente è perfettamente valida ed equivalente alla notifica effettuata da un ufficio giudiziario competente (Cassazione). Notificazione per posta: è regalato da una legge speciale. Si esegue inserendo in una busta la copia dell’atto che dev’essere notificato, e inviandola al destinatario con una raccomandata. - Se l’atto viene consegnato, la notificazione si considera effettuata al momento in cui l’atto è consegnato. - Se, invece, non è consegnato o viene lasciato in giacenza all’ufficio postale, il destinatario viene avvisato - con lettera raccomandata e la notificazione si considera effettuata al momento del ritiro dell’atto presso l’ufficio postale o - se l’atto non è ritirato - dopo dieci giorni di giacenza. 82 ordine alla tutela giurisdizionale richiesta. se il giudice riscontra che non si verifichino le condizioni sopra esposte deve ugualmente rigettare la domanda. il convenuto che decide di prendere parte attiva al processo, spendendo quei poteri difensivi che l’ordinamento elargisce può svolgere un’attività che rientra in una delle seguenti categorie •SEMPLICE o MERA DIFESA = È l’attività più elementare che il convenuto può tenere e consiste nella contestazione della fondatezza della domanda, cioè DEI FATTI COSTITUTIVI DEL DIRITTO FATTO VALERE DALL’ATTORE IN GIUDIZIO. Il convenuto si inserisce nell’ambito di questioni che già appartengono a quelle esaminare. e discutere, anche in mancanza di una sua attiva partecipazione al processo. il valore delle semplici difese a seconda che le contestazioni siano - DI DIRITTO = contestazione di una scelta e dell’interpretazione delle norme giuridiche - Essa serve cioè a convincere il giudice che l’esatta soluzione della quaestio iuris non è quella che afferma l’attore, ma è diversa, onde le conseguenze giuridiche non sono quelle che l’attore ha affermato. Ad esempio: il convenuto, pur ammettendo che egli non saluta l’attore quando lo incontra per strada, rileva che ciò non integra la fattispecie di risarcimento danni da fatto illecito ex 2043 c.c., e cerca di convincere il giudice che le conseguenze giuridiche dei fatti allegati dall’attore, e magari dallo stesso convenuto confermati, sono diverse. la contestazione in diritto riguarda un’attività che il giudice deve compiere anche nell’inerzia di convenuto. l’intervento del convenuto serve a convincere il giudice che l’esatta soluzione della quaestio iuris non è quella che afferma l’attore, ma è diversa, onde le conseguenze giuridiche non sono quelle che l’attore ha affermato. - DI FATTO = Negazione di fatti allegati dall’attore – esempio l’attore dice di avere un diritto di credito derivante da un contratto dimuto e il convenuto nega di aver mai stipulato contratti di mutuo. Di per sé, la semplice negazione dell’esistenza dei fatti storici allegati dall’attore ha un’importanza relativa, perché non aggiunge niente a ciò che il giudice avrebbe comunque dovuto fare (es. accertare la dinamica dell’incidente). il senso della mera difesa in fatto è soprattutto svolgere attività istruttoria sui fatti allegati dall’attore per cercare di giungere ad accertare fatti diversi da quelli allegati dall’attore con mezzi istruttori che riescano a convincere il giudice che nella realtà i fatti non si sono svolti nel modo affermato. con le mere difese, il convenuto attua il principio del contraddittorio ma non arricchisce il processo di questioni nuove. gli argomenti su cui il convenuto esplica la sua attività difensiva sono quegli stessi che il giudice avrebbe comunque dovuto affrontare e risolvere d’ufficio. invece, con l’eccezione il convenuto arricchisce di nuovi fatti la cognizione del giudice. per chiarire il punto dobbiamo soffermarci sulla nozione di ECCEZIONE e sulla regola dell’onere della prova art 2697 cc- per individuare la nozione di eccezione si deve richiamare la nozione di fattispecie: la fattispecie costitutiva del diritto è la metà della fattispecie complessiva che è composta, oltre che dai fatti costitutivi, anche dai fatti impeditivi, modificativi ed estintivi che fondano le eccezioni. la regola sull’onere della prova può essere mal intesa – l’art 2697 cc stabilisce che chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamenti (fatti costitutivi). chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su ciò l’eccezione di fonda. l’art 2697 cc non parla in termini di attore e convenuto, perché se è veto che colui che prende iniziativa di instaurare il processo (attore) ad affermare l’esistenza di un suo diritto, ci sono molti casi di inversione dell’iniziativa processuale; quindi, la qualità di attore spetta a colui che nega l’esistenza del diritto altrui -esempio azione negatoria (art 949 cc). un’altra precisazione - la lettera dell’art 2697 cc sembra dire che ogni parte deve procurare le prove dei fatti da essa allegati: attore i fatti costitutivi e il convenutole eccezioni. la prova dei fatti costitutivi dovrebbe scaturire solo dai mezzi di prova acquisire al processo su iniziativa di chi afferma l’esistenza del diritto, e la prova dei fatti impeditivi, modificativi e estintivi dovrebbe scaturire solo dai mezzi di prova acquisiti al processo su iniziativa di chi nega l’esistenza del diritto. Ma non è vero che nel nostro sistema l’onere della prova comporta anche l’onere dell’iniziativa probatoria. vige il principio diametralmente opposto che si chiama: PRINCIPIO DI ACQUISIZIONE – in virtù del quale, quando una prova è 85 legittimamente acquisita al processo il giudice può trarre da essa ciò che serve per provare indifferentemente tutti i fatti allegati, chiunque sia il soggetto che ha preso l’iniziativa per acquisire al processo la prova in questione. esempio il convenuto chiede l’ammissione di una prova testimoniale per provare un fatto estintivo, e i testimoni raccontano fatti costitutivi. il giudice può trarre la prova dai fatti costitutivi. Proprio in virtù di questo principio, la regola sull’onere della prova deve definirsi una regola di giudizio che si applica allorché i fatti allegati non risultano provati attraverso una qualunque delle prove acquisite. essa ripartisce il rischio della mancata prova. l’art 2697 cc si applica in presenza di un fatto affermato e non provato e non ha modo di essere applicato quando il fatto è stato comunque provato in causa, qualunque soggetto abbia preso iniziativa per acquisire al processo il mezzo di prova da cui risulta provato quel fatto. se così fosse, le prove acquisiste al processo su iniziativa del giudice non sarebbero utilizzabili. il problema successivo è la RIPARTIZIONE DELLA FATTISPECIE STESSA DEI DUE settori costitutivi dele eccezioni ai fini dell’applicazione della regola dell’onere della prova. è rilevante stabilire se la mancata prova di un certo fatto, essendo un fatto costitutivo, comporta il rigetto della domanda, oppure se essendo un’eccezione, non impedisce l’accoglimento della domanda. sappiamo che la struttura della decisione è tale per cui l’accoglimento della domanda postula l’integrazione della fattispecie costitutiva e la mancanza di ogni elemento della fattispecie impeditiva, modificativa ed estintiva cosicché quando si sia in presenza di una fattispecie in cui manchi anche uno solo dei fatti costitutivi o sia presente anche una sola delle eccezioni, la conseguenza è il rigetto. quindi è importante distinguere tra i fatti descritti dal legislatore, che devono essere ascritti alla prima parte della fattispecie e quali alla seconda poiché, quando si arriva alla decisione e alcuno di tali fatti non sia provato, bisognerà spere quali conseguenze trarne in ordine al contenuto della decisione. Distinguere i fatti modificativi ed estintivi dai fatti costitutivi. prima si completa la fattispecie costituiva, e sorge il diritto; poi si ha la modificazione o l’estinzione del diritto sorto. tutto ciò si colloca nel tempo dopo l’integrazione della fattispecie costitutiva è un fatto modificativo o estintivo e costituisce quindi un’eccezione. Il problema riguarda i fatti impeditivi, perché essi sono contemporanei ai fatti costitutivi. ove alla fattispecie costitutiva si aggiunga un ulteriore fatto, a cui l’ordinamento attribuisce la prerogativa di rendere inefficaci i fatti costitutivi questo è un fatto impeditivo. la difficoltà sta nell’individuazione di quando un fatto appartenga alla fattispecie costitutiva e quando alla fattispecie impeditiva. il problema sembra assurdo, non sembra possibile confondere un fatto costitutivo con uno impeditivo. il punto è che la nozione di fatto giuridico è diversa dalla nozione di fatto storico. In particolare, rilevante nella fattispecie può essere sia l’esistenza sia l’inesistenza di uno stesso fatto storico. l’ordinamento può ritenere giuridicamente rilevante sia il verificarsi di un fatto storico, sia il mancato verificarsi dello stesso. esempio L’art. 18 St. Lav. ci dice che, in caso di licenziamento infondato, il lavoratore: - ha diritto alla reintegrazione (tutela reale, più forte), se l’impresa occupa più di 15 dipendenti; - ha diritto al pagamento di un’indennità (tutela meramente economica), se l’impresa occupa meno di 15 dipendenti. Poniamo che manchi la prova del numero di dipendenti: chi è onerato? Si tratta di provare il fatto costituivo o il fatto impeditivo? il problema nasce quando manca la prova perché si deve applicare l’art 2697 cc ma a tal fine è necessario sapere se la presenza di più di 15 dipendenti è fatto costitutivo o se la presenza di 15 o meno dipendenti è fatto impeditivo. lo stesso fatto storico può essere visto da un lato come fatto costitutivo, e il suo rovescio come fatto impeditivo: può essere assunto dal legislatore come inserito in una, età della fattispecie oppure nella congiurazione opposta, come inserito nell’altra metà della fattispecie. 86 nell’esempio il fatto può essere alternativamente o la presenza di più di 15 dipendenti, considerato come fatto costitutivo con l’onere della prova a carico di chi richiede la reintegrazione: oppure l’assenza di più di quindici dipendenti, considerato come fatto impeditivo, col relativo onere a carico di chi si oppone alla reintegrazione. ci sono vari criteri per decidere alcuni casi dubbi non risolti dal legislatore a) definizione tra REGOLA e ECCEZIONE – dalla struttura della norma si ricava che il legislatore descrive la fattispecie nei termini seguenti: al verificarsi di certi fatti, si verificano taluni effetti “tranne che” “ad eccezione che”, “questa disposizione non si applica quando” esempio art 905 al primo e secondo comma pone una serie di regole con cui si stabilisce quando non si possono aprire vedute dirette o balconi, al terzo comma stabilisce il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica è un fatto impeditivo del divieto, e andrà dimostrata da chi ha interesse a non far applicare il divieto il criterio è più affidabile, ma dipende dalla struttura della norma e non copre tutte le ipotesi possibili. non si può applicare ove non ci sia una struttura sintattica che consenta di ricavare una regola e un’eccezione. b) negativa non sunt probanda – l’art 3 I lettera g) della L 431/1998 sulle locazioni abitative prevede che, alla prima scadenza del contratto, questo possa essere non rinnovato se il locatore intenda vendere l’immobile e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. se la mancanza di altri beni fosse un fatto costitutivo, il locatore sarebbe onerato di una prova negativa, della prova di un non fatto: l’onere di una prova negativa è difficile da soddisfare perché non può essere oggetti di prova immediata ma solo di presunzioni. quindi in applicazione del brocardo la non presenza di beni è fatto costitutiva del diritto alla risoluzione anticipata del rapporto, ma la presenza di altri beni è fatto impeditivo di tale diritto. Quindi spetta al conduttore provare che il locatore ha un altro immobile oltre a quello adibito a propria abitazione. si evita di onerare il locatore di una prova negativa che potrebbe dare con molta difficoltà quanto visto da ultimo consente di enunciare un criterio di cui il brocardo negativa non sunt probanda è una specificazione: principio di vicinanza dell’onere della prova, il quale consente di addossare l’onere della prova alla parte che ha più facilmente accesso alle informazioni. È onerato della prova il soggetto per cui la prova è più facile, cioè il soggetto più vicino alle fonti di prova. Ad esempio, tra lavoratore e datore di lavoro, quest’ultimo può più agevolmente provare i fatti inerenti alla gestione dell’azienda che condizionano i diritti del lavoratore. con il criterio della vicinanza della prova si dovrebbe risolvere il problema del fatto impeditivo. occorre tener conto che la giurisprudenza, almeno nelle affermazioni di principio, non accetta il criterio della vicinanza alla prova, anche se poi, nelle concrete soluzioni giunge spesso a conclusioni coincidenti con quelle cui porta l’applicazione del criterio in questione. Qualificare un fatto come difesa o eccezione permette di distribuire correttamente l’onere della prova e il rischio della sua incertezza. Per questo è importante INDIVIDUARE LE ECCEZIONI: b) eccezione estintiva: l’esempio paradigmatico sono le CAUSE DI ESTINZIONE DELLE OBBLIGAZIONI (adempimento, risoluzione del contratto, impossibilità sopravvenuta, remissione del debito, cessione del credito); c) eccezione modificativa: proroga di un contratto; accordo con cui le parti modificano l’oggetto della prestazione dovuta; d) eccezione impeditiva: fatti che determinano l’inefficacia della fattispecie legale costituiva, cui è collegata la nascita del diritto soggettivo. Questi fatti sono coevi, contemporanei, alla stessa realizzazione del fatto costitutivo, ma IMPEDISCONO che il diritto sorga fin dall’inizio. All’interno delle eccezioni dobbiamo introdurre che riguarda la dinamica del processo: dalla parte del giudice, non tutte le eccezioni sono uguali. 87 della proposizione dio più domanda nel corso del processo, che consentono la trattazione e decisione congiunte delle più cause, nonostante che il giudice non sia competente per tutte. ART. 34: «Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui». l’oggetto della previsione normativa è un quid (questione pregiudiziale) che deve per forza di cose consistere in un diverso oggetto della domanda e quindi del processo: solo ciò che è suscettibile di costituire oggetto di domanda è suscettibile di essere attribuiti alla competenza di un giudice. se determinata sulla base della domanda e quindi dell’oggetto del processo. In questo caso, il giudice ha un potere di accertamento che prescinde dalla domanda delle parti: ha il potere di rimettere l’intera causa ad un giudice diverso (quello SUPERIORE, competente PER MATERIA O PER VALORE), affinché questi decida con efficacia di giudicato, una QUESTIONE PREGIUDIZIALE. Questione pregiudiziale = questione che, pur potendo costituire oggetto autonomo di una decisione, si inserisce come un passaggio obbligato nell’iter logico-giuridico che conduce alla sentenza . Deve trattarsi di una situazione sostanziale AUTONOMA: solo le autonome situazioni sostanziali possono appartenere alla competenza di un giudice diverso da quella adito. NON rientrano nell’art. 34 due gruppi di fenomeni: - tutte le questioni di rito (essendo, per definizione, di competenza del giudice adito); - le questioni di merito che riguardano i singoli elementi della fattispecie, cioè i fatti costitutivi e le eccezioni, e che non hanno la consistenza di un’autonoma e diversa situazione sostanziale. nell’ampia nozione di questione pregiudiziale, che ricomprende ogni punto controverso che il giudice deve affrontare per decidere (art 279 cpc) sta la nozione più ristretta di QUESTIONE PREGIUDIZIALE, rilevante ai sensi dell’art 34 cpc – è una species del genus perché la questione pregiudiziale dell’art 34 deve consistere in un’autonoma situazione sostanziale, in quanto solo le autonome situazioni sostanziali possono appartenere alla competenza di un giudice diverso da quello adito. quindi la questione pregiudiziale dell’art 34 cpc ha la dimensione di una diversa situazione sostanziale, (la decisione circa) l’esistenza della quale è pregiudiziale alla causa che è stata proposta. la situazione oggetto del processo è dipendente da un’altra situazione che ne forma elemento della fattispecie. Siamo in presenza di un RAPPORTO DI PREGIUDIZIALITÀ-DIPENDENZA – la situazione sostanziale decotta in giudizio vede come elemento della fattispecie l’esistenza o inesistenza di un’altra situazione sostanziale: tali questioni incidentali si pongono come un punto da superare necessariamente nell’iter logico-giuridico, occorrente alla pronuncia sulla domanda “principale”. In particolare, l’ambito di applicazione dell’art. 34 è la PREGIUDIZIALITÀ TECNICA (che va distinta dalla pregiudizialità logica, ipotesi nella quale è dedotto in giudizio un effetto giuridico di un rapporto: es. si discute della tredicesima e viene in gioco l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente —> qui l’istituto applicabile è la continenza): la cognizione del diritto pregiudiziale rimane mera cognizione, tranne che vi sia una domanda di parte o un’esplicita previsione di legge che stabilisce che il diritto pregiudiziale non sia solo conosciuto, ma anche DECISO. Quindi, se NON c’è alcuna domanda di parte, NÈ la legge impone alcun accertamento, il giudice può limitarsi a CONOSCERE (cognitio) queste questioni pregiudiziali, MA SENZA GIUDICARLE. Se invece c’è una DOMANDA DI PARTE oppure un’ESPLICITA PREVISIONE DI LEGGE, la questione pregiudiziale dev’essere non solo CONOSCIUTA, ma anche DECISA CON AUTORITÁ DI GIUDICATO. Quando si proporrà una domanda che abbia ad oggetto il diritto pregiudiziale, ciò che il primo giudice ha detto di tale diritto nella motivazione della precedente sentenza non formerà giudicato, perché tale sentenza ha deciso solo del diritto dipendente e ha semplicemente conosciuto del diritto pregiudiziale. Se, invece, c’è la volontà di legge o la 90 domanda di parte che investa il diritto pregiudiziale, questo diventa oggetto del processo, oggetto della decisione, e su di esso si forma il giudicato. DOMANDA DI PARTE: la domanda di accertamento incidentale è la domanda, ex art. 34, con cui una delle parti chiede al giudice adito che venga decisa (da parte di un giudice superiore competente per materia o per valore di tale questione) una questione pregiudiziale con efficacia di giudicato. La domanda deve essere proposta nei modi e nei tempi previsti dai singoli modelli processuali. Ad esempio, nel processo di cognizione: - il CONVENUTO deve proporre la domanda di accertamento incidentale con la tecnica della domanda riconvenzionale, inserendo la domanda stessa nella comparsa di risposta, e depositando quest’ultima nella cancelleria del giudice adito almeno 20 giorni prima dell’udienza di prima comparizione. - l’ATTORE deve proporre la domanda di accertamento incidentale alle condizioni e nei modi previsti dalla legge (vd. art. 183). Ovviamente, essa deve presentare tutti i requisiti di una domanda giudiziale (legittimazione, interesse, giurisdizione; solo la competenza ammette deroghe). la domanda di accertamento giudiziale ex art 34 cpc deve rispettare tutti i requisiti delle domande giudiziali= es la legittimazione: la parte non può chiedere l’accertamento con efficacia di giudicato del diritto pregiudiziale, se di esso è titolare un altro soggetto. PREVISIONE DI LEGGE: va coordinata con il principio della domanda (art. 112), perché in questo caso non è la parte che sceglie SE E QUANDO far valere un proprio diritto (ma la legge); in questo modo, si produce una coazione del diritto di azione, che dev’essere giustificata dalla natura delle situazioni sostanziali in gioco. bisogna vedere se ci sono giustificazioni sufficienti per una compressione del diritto di azione da parte del legislatore – diritto di azione significa anche diritto di scegliere se e quando far valere un proprio diritto; la coazione a far valere un diritto in giudizio contrasta con l’art 24 cost- Ci sono delle ipotesi di ACCERTAMENTO INCIDENTALE EX LEGE, cioè casi in cui la legge impone che il giudice attivi il meccanismo di cui all’art. 34, in modo da arrivare a decidere - con efficacia di giudicato - la questione pregiudiziale (da cui dipende la sentenza sull’oggetto del processo). esempio ART. 124 C.C. (vincolo di precedente matrimonio): «Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio dell’altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, TALE QUESTIONE DEVE ESSERE PREVENTIVAMENTE GIUDICATA». Se - nel corso di una causa riguardante l’impugnazione del matrimonio - si fa valere la nullità del primo matrimonio, tale questione dev’essere preventivamente giudicata. Non basta che nell’esaminare questa causa relativa al doppio matrimonio si faccia conoscenza dell’eventuale nullità del primo matrimonio: occorre che il giudice decida sulla nullità del primo matrimonio (la questione dev’essere soggetta ad accertamento e poi ha giudicato). L’ipotesi è la seguente: Tizio è sposato a Caia, la quale contrae un ulteriore matrimonio con Sempronio. Tizio impugna il secondo matrimonio di Caia (quello con Sempronio), affermando che lei è già sposata con lui. Caia e Sempronio si oppongono, affermando che il loro matrimonio è valido, perché NULLO È IL PRECEDENTE MATRIMONIO TRA TIZIO E CAIA. Ai sensi dell’art.124 c.c., il giudice è obbligato a decidere, con efficacia di giudicato, sulla questione pregiudiziale, cioè sulla nullità del primo matrimonio tra Tizio e Caia . Sulla validità del primo matrimonio si DEVE formare il giudicato. DEROGA ALLA COMPETENZA – nel processo cumulato tutti i presupposti processuali devono essere autonomamente esaminati, il motivo per cui l’art 34 cpc è inserito nella sezione delle modificazioni di competenza per ragioni di connessione, è che tutte le volte in cui la “cognizione” del giudice sul diritto pregiudiziale diventa “decisione”, si pongono problemi di competenza, perché il diritto pregiudiziale può NON appartenere alla competenza del giudice competente per il diritto dipendente. Ove ciò accada, se non vi fosse l’art. 34 c.p.c., il giudice dovrebbe dichiararsi incompetente per la causa relativa al diritto pregiudiziale: il simultaneus processus non potrebbe realizzarsi. Per evitare ciò, l’art. 34 c.p.c. introduce una REGOLA 91 SPECIALE DI COMPETENZA: le cause devono rimanere unite, essere trattate da un unico giudice, anche se ciò comporta la deroga alle norme ordinarie di competenza. - Se la causa pregiudiziale appartiene alla competenza di un giudice superiore, IL GIUDICE ORIGINARIAMENTE ADITO RIMETTE TUTTE E DUE LE CAUSE AL GIUDICE SUPERIORE, assegnando alle parti un termine per porre in essere l’atto di riassunzione (essendo un atto di impulso processuale, può essere compiuto da una qualunque delle parti). La causa proseguirà, dinanzi al giudice superiore, con due oggetti, che dovranno essere decisi entrambi con efficacia di giudicato. - Se, invece, la causa pregiudiziale appartiene alla competenza di un giudice inferiore, IL GIUDICE ORIGINARIAMENTE ADITO DECIDE ANCHE DELLA CAUSA PREGIUDIZIALE, quantunque di competenza di un giudice inferiore. il principio che si evince dall’art 34 cpc è le cause vanno tenute unite, e lo spostamento avviene solo verso l’alto, nel senso che la competenza superiore assorbe la competenza inferiore. Se la competenza superiore è del giudice adito con la domanda relativa al diritto dipendente, non c’è spostamento, ma solo assorbimento della competenza della causa pregiudiziale; se la competenza superiore è del giudice della causa pregiudiziale, c’è spostamento di fronte al giudice superiore delle due cause e assorbimento della competenza della causa dipendente. l’assorbimento della competenza sulla causa che sarebbe di ocmpetenza del giudice inferiore opera sia per la competenza per materia sia per la competenza per valore. una deroga alla competenza per materia si può avere solo con riferimento alle previsioni dell’art 7 III cpc – nei rapporti giudice di pace-tribunale. Ma in relazione a tali rapporti l’art 40 VI e VII cpc stabilisce la derogabilità senza limita della competenza del giudice di pace – il simultaneus processus è sempre possibile innanzi al tribunale, anche se una delle due cause connesse per pregiudizialità-dipendenza appartiene alla competenza per materia. l’art 34 comporta anche una deroga alla competenza territoriale = se il giudice è territorialmente competente per la causa dipendente originariamente proposta, ma non per quella pregiudiziale, acquista la competenza territoriale derogata anche per la sua causa pregiudiziale se questa viene introdotta nel processo aperto prima. LA COMPENSAZIONE l’art 35 disciplina la compensazione - ART. 35: «Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; altrimenti provvede a norma dell’articolo precedente». È disciplinata tra le ragioni di connessione oggettiva. prima di affrontare gli aspetti processuali bisogna chiarire i presupposti sostanziali: è disciplinata dagli artt 1241 ss. cc: se fra due soggetti sussistono rapporti incrociati di credito-debito per una quantità di cose fungibili i due rapporti si estinguono vicendevolmente per le quantità corrispondenti la compensazione presuppone che la relazione di credito-debito nasca da due rapporti distinti. Se la relazione di dare- avere nasca all’interno di un unico rapporto, non si applica la disciplina della compensazione. – es si ha compensazione tra un credito di lavoro e un credito di locazione. La compensazione OPERA IPSO IURE, ma RICHIEDE UNA MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ: occorre che il con credito sia opposto in compensazione da uno dei due soggetti; una parte manifesta la propria volontà di UTILIZZARE IL PROPRIO CREDITO PER ESTINGUERE IL CONCREDITO ALTRUI. Gli effetti della compensazione (che, appunto, si producono DOPO la manifestazione di volontà) sono RETROATTIVI al momento in cui i due crediti sono venuti a coesistenza, ossia sono divenuti entrambi esigibili. Pertanto, se uno dei crediti si è prescritto successivamente, e anche solo per un momento i due crediti sono stati coesistenti, la compensazione opera ugualmente. La compensazione NON è rilevabile d’ufficio dal giudice: dovendo essere manifestata la volontà di uno dei soggetti, il 92 il suo credito in due parti: •una di valore equivalente al credito dell’attore; •l’altra, equivalente al residuo, che rimane comunque estranea al processo Se l’eccezione di compensazione è assorbita, l’intero controcredito rimane vergine. Se è esaminata, il controcredito è bruciato limitatamente alla parte su cui l’eccezione è stata fondata, e rimane vergine per il residuo. Se tuttavia l’attore contesta l’esistenza del controcredito, l’ordinamento prevede che il credito si ricompone ad unità. Mere ragioni di economia processuale: per impedire che si debba operare una doppia istruttoria (una nel processo in corso, una nel successivo processo avente ad oggetto il residuo) rispetto alla stessa fattispecie. = eccependo in compensazione un controcredito maggiore, il convenuto divide il proprio credito in due come se operasse una cessione parziale dello stesso Se l’attore contesta l’esistenza del controcredito, l’ordinamento prevede che la scissione del controcredito originario in due sotto crediti venga meno= il credito si ricompone ad unità. questo per mere ragioni di economia processuale: per impedire che si debba operare una doppia istruttoria (una nel processo in corso; una nel successivo processo avente oggetto il residuo) rispetto alla stessa fattispecie. Si ha l’accertamento con efficacia di giudicato dell’intero controcredito (anche dell’eventuale residuo) sempre però subordinatamente al mancato assorbimento della eccezione Se l’eccezione di compensazione è assorbita, rimane vergine. Se è esaminata, DUE POSSIBILI STRADE: - l’attore CONTESTA l’esistenza del controcredito —> si ha la decisione con efficacia di giudicato dell’intero controcredito; - l’attore NON CONTESTA l’esistenza del controcredito —> il giudicato investe soltanto la parte di controcredito uguale al credito dell’attore, e il residuo non è pregiudicato. quindi nel successivo processo sul residuo, se il credito è stato contestato è efficace la precedente sentenza nella parte che accerta o nega l’esistenza del controcredito. se il controcredito non è stato contestato, nel successivo processo sul residuo la precedente sentenza non conta e si riparte da zero. Il successivo processo ovviamente può avere oggetto solo il residuo, perché la parte di controcredito equivalente al credito dell’attore è già stata spesa nel precedente processo. problema della COMPETENZA: finché il contro diritto è utilizzato come eccezione - e quindi viene dedotto nel processo non per intero, ma per la parte corrispondente al credito dell’attore - il problema della competenza non si pone: se il giudice è competente per il credito dell’attore, è competente anche per la quantità corrispondente del controcredito. Ma se occorre decidere con efficacia di giudicato dell’intero controcredito, PERCHÈ ESSO È CONTESTATO E IL SUO AMMONTARE SUPERA IL CREDITO ORIGINARIO, può darsi che si ponga un problema di competenza per valore del giudice adito (competente per la quantità minore del credito originario, ma NON per la quantità maggiore del credito opposto in compensazione). —> ciò accade con riferimento alla competenza per valere del giudice di pace. l’art 35 fa capire che Il giudicato sull’intero controcredito dipende dalla CONTESTAZIONE DELL’ATTORE: se il credito non è contestato non si pongono problemi di competenza. Ciò significa che non c’è giudicato, perché se ci fosse si porrebbero problemi di competenza. le modificazioni della competenza sono conseguenza eventuale della necessità del giudicato. Qualora il controcredito, opposto in compensazione e contestato dall’attore, superi la competenza del giudice, occorre distinguere: • se la domanda originaria dell’attore è fondata su un TITOLO NON CONTROVERSO O FACILMENTE ACCERTABILE, il giudice decide della domanda dell’attore e rimette al giudice superiore la decisione sull’eccezione di compensazione —> abbiamo una sentenza di condanna con riserva delle eccezioni. Con la prima sentenza, il giudice - istruiti con cognizione ordinaria ed in modo esauriente i fatti costitutivi e le altre eccezioni, diverse dalla compensazione - decide dell’esistenza del diritto accantonando l’eccezione di compensazione, che diviene oggetto di istruttoria, con 95 cognizione ordinaria ed in modo pieno, nella seconda fase del processo, che termina anch’essa con sentenza la quale decide in via definitiva del diritto fatto valere, tenendo conto di quanto affermato nella prima sentenza (che il giudice della seconda fase non può modificare o revocare) e di quanto emerge dall’istruttoria sull’eccezione di compensazione. • se la domanda dell’attore È CONTESTATA e NON È DI VELOCE DECISIONE, il giudice adito rimette la causa al giudice superiore, che deciderà unitariamente della domanda e dell’eccezione di compensazione. secondo l’art 35 cpc quando il giudice decide la domanda, rimettendo al giudice superiore al cognizione dell’eccezione di compensazione, egli può subordinare l’esecuzione della sentenza con cui decide del credito, alla prestazione di una cauzione  il convenuto può usare il controcredito nel processo oppure far valere il suo controcredito in un separato processo; in questo caso il convenuto si riserva di agire quando gli farà comodo. il vantaggio dell’eccezione di compensazione sta, per il convenuto, nel non essere costretto a corrispondere all’attore una somma che egli dovrà recuperare in un separato processo quando farà valere il suo contro diritto. il convenuto vuole evitare il passaggio di denaro da lui all’attore e successivamente, un passaggio inverso di denaro dall’attore a lui. possono sorgere problemi ove il patrimonio dell’attore non dia sufficienti garanzie: il convenuto può correre il rischio di non trovare nel patrimonio dell’attore neanche ciò che ha pagato. l’interesse vero alla compensazione è quello di evitare il rischio di non ottenere la restituzione di ciò che il convenuto paga, a causa di una incerta e oscillante solvibilità dell’attore. la proposizione dell’eccezione di compensazione vuole evitare al convenuto il rischio di non riuscire a riprendere dall’attore quello che ha pagato per adempiere al proprio debito. la cauzione serve a garantire al convenuto non di avere il suo ma di recuperare quello che già ha pagato all’attore in virtù della sentenza di condanna con riserva delle eccezioni. LA CAUSA RICONVENZIONALE Art 36 cpc- domanda proposta dal convenuto, traendo occasione da quella attorea: deve dipendere dal titolo dedotto in giudizio o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. la causa riconvenzionale statisticamente è l’ipotesi più frequente tra le domande nuove, che vanno distinte in 1) APPARTENENTI ALLA COMPETENZA DEL GIUDICE ADITO: se il contro diritto fatto valere dal convenuto nella domanda riconvenzionale appartiene alla competenza del giudice adito (per giudicare della domanda originaria), la domanda riconvenzionale è sempre ammissibile, anche laddove non vi siano presupposti di connessione . Quindi, il convenuto può proporre contro domande illimitatamente sfruttando il processo pendente, purché i contro diritti fatti valere appartengano alla competenza del giudice adito. 2) NON APPARTENENTI ALLA COMPETENZA DEL GIUDICE ADITO: se invece il contro diritto appartiene alla competenza di un giudice diverso, tale contro diritto può essere dedotto, come causa riconvenzionale, nel processo già instaurato A CONDIZIONE CHE tra diritto originario e contro diritto ESISTA LA CONNESSIONE DESCRITTA DALL’ART. 36. Solo in questa seconda ipotesi opera l’art. 36. Questo istituto costituisce un’applicazione dell’art. 24 Cost. (Parità di armi tra attore e convenuto). Se l’attore può proporre più domande nello stesso processo, la stessa facoltà deve avere anche il convenuto (purché entrambi rispettino le regole di competenza). ART. 36: «Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali CHE DIPENDONO DAL TITOLO a. DEDOTTO IN GIUDIZIO DALL’ATTORE o b. CHE GIÀ APPARTIENE ALLA CAUSA COME MEZZO DI ECCEZIONE purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti». 96 la sussistenza della connessione incide sul potere di separazione che può essere esercitato solo a determinate condizioni che variano a seconda del tipo di connessione tra le cause cumulate. Se le cause non sono connesse la separazione può avvenire alle condizioni previste dall’art 104 cpc; se le cause sono connesse la separazione è subordinata al verificarsi delle condizioni diverse a seconda del tipo di connessione. Il diritto fatto valere dal convenuto con la domanda riconvenzionale può essere connesso con quello dell’attore in DUE MODI: a) CONNESSIONE PER TITOLO Per titolo si intende la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere in giudizio dall’attore. La connessione per titolo si ha quando le rispettive fattispecie costitutive hanno in comune almeno uno dei fatti che le compongono. Dopo un incidente tra auto, Tizio chiede a Caio il risarcimento dei danni ed allega la fattispecie costitutiva ( fatto colposo, che ha cagionato un danno ingiusto) composta da tre elementi: - il fatto (l’incidente), - l’imputabilità del fatto (condotta colposa di Caio) - il danno che ha prodotto (danneggiamento alla macchina di Tizio). Caio si presenta in giudizio e chiede in via riconvenzionale il risarcimento per lo stesso incidente. Il contro diritto risarcitorio di Caio nasce dallo stesso fatto storico (da un’altra imputabilità e da danni diversi): c’è un elemento in comune. I due diritti hanno in comune il medesimo fatto storico (incidente stradale): C’È CONNESSIONE PER TITOLO. b) CONNESSIONE PER ECCEZIONE Per eccezione si intendono i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto fatto valere dall’attore . In questo caso, la domanda riconvenzionale è connessa al titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. Il convenuto può usare il controcredito: - come eccezione, allo scopo di far rigettare la domanda dell’attore; - come diritto, chiedendone autonomamente la tutela. INCOMAPTIBILITA – la compensazione costituisce un particolare caso di incompatibilità tra diritti. l’incompatibilità in senso proprio è strutturata in termini diversi- due diritti sono incompatibili quando l’esistenza dell’uno osta all’esistenza dell’altro diritta e viceversa la differenza tra incompatibilità in senso proprio e compensazione è che nella compensazione l’effetto estintivo incrociato è bilaterale, per ogni credito estingue l’altro, mentre nella incompatibilità (pur essendo potenzialmente ogni diritto di fatto impeditivo/estintivo dell’altro e pur essendo il collegamento incaricato analogo, l’efficacia impeditiva estintiva in concreto opera in un senso solo: nel senso stabilito dall’ordinamento sulla base dei criteri di prevalenza. due differenze 1. solo l’eccezione può essere assorbita, e la domanda no: il giudice dovrà sempre obbligatoriamente esaminare la domanda; 2. modalità e tempi di proposizione della domanda nuova e dell’eccezione possono essere diversi. Nel caso in cui il contro diritto venga utilizzato come ECCEZIONE, non si ottiene nulla di più del rigetto della domanda dell’attore; nel caso in cui venga utilizzato come DOMANDA, si ottiene, oltre al rigetto della domanda dell’attore, anche la tutela del contro diritto stesso. Nell’eccezione riconvenzionale, il contro diritto serve solo a dar rigettare la domanda dell’attore, ma NON è accertato con efficacia di giudicato. Nella causa riconvenzionale, il contro diritto è ACCERTATO CON EFFICACIA DI GIUDICATO. le eccezioni si definiscono RICONVENZIONALI perché l’alternativa tra fondare sulla stessa realtà sostanziale una domanda o un’eccezione è possibile solo dove la realtà sostanziale consista non in un ero fatto storico ma in un diritto. Nel caso in cui la realtà sostanziale sia costituita da un mero fatto storico, può essere acquisita al processo come eccezione. se il contro diritto è fatto valere in via di eccezione, si comporta come un’eccezione. in alcuni casi di ha il fenomeno della domanda riconvenzionale dell’attore Tizio propone domanda di rivendicazione della proprietà contro Caio. Questi, se a sua volta si afferma proprietario 97
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