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Esecuzioni Forzate e Pignoramento: Titoli Esecutivi e Opposizioni, Dispense di Diritto Processuale Civile

Diritto processuale civilediritto amministrativoDiritto processuale penale

Questo documento tratta dei titoli esecutivi e della loro esecuzione forzata, inclusi i beni mobili da pignorare presso il debitore. Viene discusso il ruolo del titolo esecutivo nella procedura esecutiva, la distinzione tra titoli esecutivi e privati autenticati, il precetto e l'opposizione agli atti esecutivi. Il documento illustra anche i limiti all'espropriazione mobiliare presso il debitore e le modalità di attuazione delle misure cautelari.

Cosa imparerai

  • Quali sono i limiti all'espropriazione mobiliare presso il debitore?
  • Come si oppone agli atti esecutivi?
  • Che cos'è un titolo esecutivo?
  • Quali sono le modalità di attuazione delle misure cautelari?
  • Come si esegue una sentenza esecutiva?

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 26/10/2022

chiaralune
chiaralune 🇮🇹

4

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Scarica Esecuzioni Forzate e Pignoramento: Titoli Esecutivi e Opposizioni e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 0573-352708 L’ESECUZIONE FORZATA (BALENA) 1. I PRESUPPOSTI DELL'ESECUZIONE FORZATA 1) IL TITOLO ESECUTIVO Ai sensi dell’art. 474 c.p.c., l'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto - certo: la certezza non si riferisce all’esistenza del diritto incorporato dal titolo esecutivo (poiché ciò contrasterebbe con l’astrattezza che caratterizza l'azione esecutiva, spesso svincolata da un vero e proprio preventivo accertamento del diritto), ma all'esigenza che il diritto sia compiutamente determinabile, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, in base al titolo esecutivo; il che assume concreta rilevanza solo per l'esecuzione in forma specifica di obblighi di fare o disfare, visto che, per i diritti aventi ad oggetto prestazioni di dare, la stessa funzione è assolta dal requisito della liquidità. - liquido: il requisito della liquidità si riferisce ai soli diritti aventi ad oggetto la dazione di denaro o di cose fungibili, che devono essere quantificati, rispettivamente, in una determinata somma o quantità risultante dallo stesso titolo esecutivo. Spesso, peraltro, i provvedimenti giudiziali di condanna non determinano direttamente la somma dovuta, che dev'essere ottenuta facendo riferimento ad elementi ad essi esterni (ad es., la sentenza che, nel condannare il datore di lavoro al pagamento di retribuzioni arretrate, ometta di precisarne l'ammontare, richiamandosi alla misura stabilita da un contratto collettivo), ma si è soliti ammetterne l'idoneità a valere come titolo esecutivo, purché contengano già tutti gli elementi occorrenti per arrivare, tramite mere operazioni aritmetiche, all'esatta quantificazione della somma dovuta. - esigibile: cioè non soggetto a termine (non ancora scaduto) o a condizione sospensiva (non ancora avveratasi). È impossibile fornire una nozione unitaria del titolo esecutivo, giacché il legislatore attribuisce tale qualità ad atti molto eterogenei, in base a valutazioni di opportunità che variano nel tempo. L'unico criterio utilizzabile, dunque, resta quello formale, per cui sono titoli esecutivi i documenti che la legge definisce tali. Sono titoli esecutivi: 1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; titoli giudiziali, che costituiscono il gruppo più numeroso, giacché comprendono le sen- tenze di condanna, le ordinanze e i decreti, aventi un contenuto analogo, cui il legislatore attribuisce la stessa qualità (ordinanze anticipatorie di condanna, ordinanza del sommario di cognizione, decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo). L'espressione altri atti allude: - al verbale di conciliazione, ormai pienamente parificato, per quest'aspetto, ai provvedimenti del giudice, anche quando sia formato prima o comunque al di fuori del processo di cognizione (ad es. dinanzi alle commissioni di conciliazione indicate dall'art.410, oppure davanti al gdp in sede non contenziosa, ex art.322 co.2.). - ai titoli esecutivi stragiudiziali previsti e disciplinati al di fuori del cpc, come il ruolo d'imposta, che fonda l’esecuzione esattoriale, utilizzata quale forma di riscossione coattiva ordinaria per le entrate dello Stato e degli altri enti pubblici non economici (oggi titolo esecutivo è già l’avviso di accertamento). 2) le scritture private autenticate (cui sono equiparate quelle giudizialmente verificate; è più dubbia l’equiparazione di quelle semplicemente riconosciute ex art.215), relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;; (in particolare assegno bancario o circolare, la cui efficacia esecutiva è subordinata, come per la cambiale, all’essere in regola col bollo fin dalla sua 249 emissione): titoli stragiudiziali, concernenti il pagamento di somme di denaro ed idonei a fondare solo l'esecuzione per espropriazione forzata (o esecuzione generica); 3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pu autorizzato dalla legge a riceverli; l'autonoma menzione dell'atto pubblico rispetto alla scrittura privata, si spiega per il fatto che il primo, a differenza della seconda, può dar luogo, per espressa previsione dell'art.474, co.3, anche all'esecuzione forzata in forma specifica per consegna o rilascio. Nulla è detto quanto all'esecuzione degli obblighi di fare o disfare, che il legislatore parrebbe aver inteso implicitamente escludere. 2) LA SPEDIZIONE DEL TITOLO IN FORMA ESECUTIVA Per le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria, gli atti ricevuti da notaio o da altro pu, l'idoneità a valere come titolo esecutivo è subordinata ad un elemento formale, l’intestazione Repubblica italiana - In nome della legge e l'apposizione sul titolo della formula esecutiva, che recita: Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, qualora ne siano legalmente richiesti (art.475). Trattandosi di titoli il cui originale è depositato, a seconda dei casi, presso la cancelleria o il pubblico ufficiale che l'ha ricevuto, il creditore procedente deve servirsi di una copia autentica; per evitare ch'egli possa utilizzare più copie per promuovere una pluralità di processi esecutivi, la spedizione in forma esecutiva (ossia il rilascio di una copia munita della formula esecutiva) è consentita, di regola, per una volta sola a favore di una determinata parte, sotto comminatoria di una pesante sanzione pecuniaria al cancelliere o pubblico ufficiale che contravvenga al divieto (art..476). Qualora ricorra un giusto motivo, peraltro, la parte interessata può chiedere il rilascio di ulteriori copie esecutive al capo dell'ufficio da cui è stato reso il provvedimento, se si tratta di titolo giudiziale, o altrimenti al presidente del tribunale nella cui circoscrizione l'atto fu formato. Per i titoli esecutivi di altro genere il cui originale resta nelle mani del creditore, l'apposizione della formula esecutiva non è prevista. Qualche dubbio potrebbe prospettarsi per il verbale di conciliazione, assimilabile, a seconda dei casi: - ai titoli giudiziari allorché, essendo stragiudiziale, venga munito di esecutività attraverso un decreto del giudice; - agli atti ricevuti da un pubblico ufficiale. In entrambe le ipotesi pare necessaria la spedizione del titolo in forma esecutiva. 3) LA LEGITTIMAZIONE, ATTIVA E PASSIVA, ALL’AZIONE ESECUTIVA. LA SUCCESSIONE NEL PROCESSO ESECUTIVO Per individuare il soggetto abilitato a promuovere l'azione esecutiva o ad esserne il destinatario passivo, bisogna guardare in primo luogo a ciò che emerge dal titolo esecutivo. I problemi sorgono, tuttavia, allorché il diritto risultante dal titolo abbia subito, sul piano sostanziale, modificazioni dal lato attivo o passivo, prima dell'inizio dell'esecuzione, durante il pro- cesso di cognizione, o a processo esecutivo già avviato; dovendosi allora stabilire se ed in quale misura sia possibile, cioè, che il processo esecutivo sia intrapreso o proseguito da o nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati nel titolo, che siano a questi ultimi succeduti nel diritto o nell’obbligo posto a base del titolo stesso. In realtà le sole disposizioni che espressamente si riferiscono all'efficacia soggettiva del titolo esecutivo sono: - l'art.475 co.2., per cui la spedizione in forma esecutiva può farsi solo alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori (senza distinzione nell'ambito di questi), indicando in calce alla copia la persona alla quale essa è rilasciata; 250 2. L'ESPROPRIAZIONE FORZATA Sezione I - L'ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE 1) FUNZIONE E STRUTTURA DELL’ESPROPRIAZIONE L'espropriazione, oltre ad essere la forma statisticamente più frequente di esecuzione forzata, è quella più complessa, giacché implica molteplici attività di varia natura, materiale o giuridica. Il Titolo II del Libro III cpc detta anzitutto una disciplina generale e comune dell'espropriazione nelle varie fasi e nei suoi aspetti essenziali (il pignoramento, artt.491 ss; l'intervento dei creditori, artt.498 ss; l'assegnazione e la vendita, artt.501 ss.; la distribuzione del ricavato, artt.509 ss.), che va integrata con quella propria della forma di espropriazione utilizzata, che può essere espropriazione mobiliare presso il debitore o presso terzi o immobiliare. Altre disposizioni specifiche riguardano l'espropriazione di beni indivisi (artt.599 ss.) e quella contro il terzo proprietario (artt.602 ss.). 2) IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE E LE DISPOSIZIONI GENERALI SULLA ESPROPRIAZIONE Giudice competente per l'espropriazione forzata è in ogni caso, in base agli artt. 9 e 26, il TRIBUNALE, del luogo: - in cui si trovano i beni mobili o immobili assoggettati all'esecuzione; - di residenza del terzo debitore, quando l'espropriazione investe dei crediti. Anche nell'espropriazione è previsto che l'ufficiale giudiziario depositi in cancelleria l’atto di pignoramento o il relativo verbale, dopodiché la cancelleria forma il fascicolo d’ufficio, nel quale saranno inseriti tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere o dall'ufficiale giudiziario, e gli atti e i documenti depositati dalle parti e dagli altri eventuali interessati (art.488). Il presidente del tribunale, su presentazione del fascicolo d'ufficio a cura del cancelliere entro 2 giorni dalla sua formazione (art.484), nomina il giudice (persona fisica) dell'esecuzione, cui spetta la direzione dell'espropriazione. I poteri e le prerogative del giudice dell'esecuzione in quanto tale -prescindendo dal possibile sorgere di controversie cognitive che s'innestino sul tronco del processo esecutivo e che spetti a lui, eventualmente, risolvere - sono simili, sul piano formale, a quelli che competono nel processo di cognizione al giudice istruttore (almeno nelle cause di cui all’art 50 bis): per il giudice dell'esecuzione, infatti, vengono esplicitamente richiamati gli artt.174 e 175. L'art.487, inoltre, prevede che i suoi provvedimenti siano dati, di regola, con ordinanza, modificabile e revocabile finché non abbia avuto esecuzione e soggetta alle disposizioni degli artt.176 ss., in quanto applicabili, e dell'art.186. Peraltro, i compiti del giudice dell'esecuzione non sono comparabili, nella sostanza, con quelli del giudice istruttore, in ragione dei peculiari obiettivi dell'espropriazione, che non mira a decidere alcunché, bensì a porre in essere le varie attività, spesso meramente materiali, occorrenti per il concreto soddisfacimento dei creditori; attività che del resto spesso competono ad altri soggetti: ad es. all'ufficiale giudiziario, cui spetta un ruolo di primo piano nella fase iniziale del procedimento, oppure al professionista cui siano state delegate le operazioni di vendita dei beni pignorati. Per le stesse ragioni, il processo di espropriazione non si snoda, come quello di cognizione, tra un'udienza e l'altra. L'art.485 prevede che il giudice fissi (con decreto) un'udienza per l'audizione delle partì e degli eventuali «altri interessati» solo quando è la legge a richiederlo oppure il giudice stesso a ritenerlo necessario. Per la prevalente giurisprudenza, il processo esecutivo in genere ha una struttura intrinsecamente unilaterale, caratterizzata da un'ontologica diseguaglianza tra creditore e debitore, sicché in esso non troverebbe spazio un vero e proprio contraddittorio (i cui vizi non sarebbero sufficienti a rendere invalido il successivo provvedimento e gli atti da esso dipendenti) e la stessa audizione delle partì, 253 perfino quando è prescritta dalla legge, servirebbe solo a consentire il più proficuo ed informato esercizio dei poteri attribuiti al giudice dell'esecuzione. Siffatta impostazione appare tuttavia poco persuasiva alla luce dell'odierno art.111, co.2, Cost. che sancisce l'essenzialità del contraddittorio in qualunque processo e pertanto impone, ove occorra, una «rilettura» costituzionalmente orientata delle disposizioni del codice. Semmai, dato l'astrattezza dell'azione esecutiva, che trova un presupposto necessario e sufficiente nell'esistenza di un titolo esecutivo, il contraddittorio potrà riguardare, in questa sede, non le questioni concernenti l'esistenza del diritto risultante dal titolo, ma solo quelle che incidono sui possibili provvedimenti del giudice dell'esecuzione, nei casi previsti dalla legge, nonché i casi in cui il giudice stesso è chiamato a decidere su domande o istanze propostegli(direttamente in udienza, anche oralmente, o tramite ricorso depositato in cancelleria) dalle parti ex art.486. L'art.489 prevede che le notificazioni e comunicazioni dirette ai creditori si eseguano nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto o, in mancanza, presso la cancelleria del giudice stesso; analogamente dispone l'art.492, co.2., per le notificazioni o comunicazioni dirette al debitore esecutato. 3) IL PIGNORAMENTO IN GENERALE Tranne che per i beni mobili dati in pegno o gravati da ipoteca, l'espropriazione forzata si inizia col pignoramento (art.491), che serve essenzialmente ad individuare i beni del debitore (mobili, immobili, o crediti) da assoggettare all'esecuzione e a vincolarli, anche giuridicamente, alla soddisfazione del creditore procedente e di quelli eventualmente intervenuti nel processo esecutivo. Il pignoramento è un atto dell'ufficiale giudiziario e consiste essenzialmente, ex art.492, nella ingiunzione, rivolta al debitore, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni colpiti dal pignoramento, che devono essere anch'essi indicati, nonché i relativi frutti. Altri elementi di forma-contenuto comuni ad ogni tipo di pignoramento sono: a) l'invito al debitore ad effettuare presso la cancelleria dèi giudice dell'esecuzione la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario del tribunale cui appartiene lo stesso giudice dell'esecuzione, con l’avvertimento che, in mancanza, come in caso di sua irreperibilità presso tali luoghi, le successive notificazioni o comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria del giudice: in assenza di un'espressa previsione di legge, deve ritenersi che l'eventuale omissione di tale invito o avvertimento imponga, nel caso in cui il debitore non abbia provveduto egualmente alla dichiarazione di residenza o elezione di domicilio, di eseguire le notificazioni o comunicazioni nei luoghi e secondo le ordinarie modalità stabiliti dagli artt.137 ss.; b) l'avvertimento al debitore concernente la possibilità di chiedere, dopo il pignoramento, la conversione ex art.495. Tale possibilità non va confusa con quelle ex art.494 - co.1, di evitare il pignoramento in extremis, versando nelle mani dell'ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l'importo delle spese, con l'incarico di consegnarli al creditore; - co.3, di evitare che il pignoramento cada su cose, depositando nelle mani dell'ufficiale giudiziario una somma di denaro pari all'importo per cui si procede e delle spese, aumentato di 2/10, affinché il pignoramento si realizzi su essa. L'avvenuta esecuzione di un pignoramento non esclude pignoramenti successivi dello stesso bene, ad istanza dello stesso o di altro creditore, i quali, in linea di principio, producono effetti autonomi ed indipendenti, ancorché siano riuniti in un unico processo (art.493); gli eventuali vizi del primo pignoramento non incidano, di per sé, sulla validità o sull'efficacia degli altri. Peraltro, il legislatore tende ad assicurare la confluenza dei pignoramenti successivi nel procedimento avviato col primo (artt.524, 550 e 561) e attribuisce al pignoramento successivo, a seconda del momento in cui si realizza, gli stessi effetti di un intervento, tempestivo o tardivo, del creditore. 254 L'efficacia del pignoramento cessa se nei successivi 90gg non viene presentata istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati (art.497). Questo termine, resta sospeso ex lege qualora sia proposta opposizione agli atti esecutivi. 4) I POTERI DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO NELL’ESECUZIONE DEL PIGNORAMENTO L’art.492, come riformato nel 2005-2006, attribuisce all'ufficiale giudiziario poteri piuttosto incisivi, finalizzati all'individuazione di beni utilmente assoggettabili all'espropriazione e di valore idoneo a soddisfare il creditore procedente. Ogniqualvolta i beni pignorati «appaiono insufficienti o per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione», l'ufficiale giudiziario deve invitare il debitore (l’art.492 lascia intendere che tale invito debba aver luogo in occasione del pignoramento, ma nulla esclude che esso possa intervenire in un momento successivo, come del resto prevede il co.6, tramite un atto ad hoc notificato al debitore) «ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili» nonché i luoghi in cui essi si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo, altresì, della sanzione prevista dall'art.388,co.6, c.p. per il caso in cui egli ometta di rispondere entro 15 giorni o renda una falsa dichiarazione. Dalla dichiarazione del debitore, che dev'essere raccolta in un processo verbale da lui sottoscritto, scaturiscono, quando è positiva, effetti diversi a seconda della natura dei beni (ulteriori) in essa indicati. Qualora si tratti di: 1) beni mobili in possesso dello stesso debitore, essi si considerano senz'altro pignorati — ad ogni effetto, anche penale - fin dal momento della dichiarazione, fermi restando gli ulteriori adempimenti dell'ufficiale giudiziario relativi alla loro materiale apprensione e custodia. 2) crediti oppure cose mobili (del debitore) in possesso di un terzo, il pignoramento si considera immediatamente perfezionato nei soli confronti del debitore, il quale, tra l'altro, è costituito senz'altro custode della somma o della cosa qualora il terzo, non avendo ancora ricevuto la notificazione dell'atto di pignoramento prevista dall'art. 543, gli effettui successivamente il relativo pagamento o gli restituisca la cosa. 3) beni immobili, “il creditore deve provvedere al relativo pignoramento secondo le specifiche modalità previste per l'espropriazione immobiliare”. Lo stesso invito può essere rivolto al debitore, su sollecitazione del creditore procedente, quando, in seguito all'intervento di altri creditori, i beni pignorati siano divenuti insufficienti. Ai fini della ricerca di cose o crediti da sottoporre ad esecuzione -allorché non sia riuscito ad individuarne di utilmente pignorabili oppure quelli pignorati o indicati dal debitore appaiano insufficienti a soddisfare il creditore procedente e i creditori intervenuti - l'ufficiale giudiziario può altresì chiedere l'assistenza della forza pubblica, qualora lo ritenga necessario, e può, su richiesta del creditore procedente, chiedere informazioni ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche, nonché, quando il debitore sia un imprenditore commerciale, invitarlo ad indicare il luogo in cui sono conservate le scritture contabili, nominando un commercialista o un avvocato o un notaio per esaminarle al fine dell'individuazione di cose e crediti pignorabili. 5) GLI EFFETTI DEL PIGNORAMENTO Ex artt. 2913 ss. ce, «non hanno effetto», in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, gli atti di «alienazione» nonché gli altri atti lato sensu dispositivi dei beni sottoposti a pignoramento, che egualmente potrebbero vanificare il soddisfacimento dei creditori partecipanti all'espropriazione. Al debitore non è vietato di disporre giuridicamente dei beni pignorati (mentre costituirebbe reato, ex art.388, co.3 cp, la loro materiale sottrazione). 255 La posizione e le prerogative processuali del creditore sono diverse a seconda ch'egli possieda o no un titolo esecutivo. Se l'intervento si fonda su un titolo esecutivo, il credito si considera già «certo» - prescindendo dalle controversie che potrebbero sorgere in sede di distribuzione del ricavato - e il creditore, che avrebbe ben potuto iniziare autonomamente l'espropriazione, ha poteri d'impulso del procedimento (artt.526 e 564), sicché può, ad es., estendere il pignoramento ad altri beni oppure proporre egli stesso l'istanza di vendita dei beni pignorati. Quando il creditore è sprovvisto di titolo esecutivo: 1) gli è preclusa la possibilità di compiere gli atti d'impulso del procedimento; 2) si rende necessario una sorta d'interpello del debitore, diretto a provocare il riconoscimento del credito stesso, seppure ai soli effetti dell'esecuzione. Una ulteriore distinzione è legata, almeno per i creditori chirografari, al tempo dell'intervento: fermo restando che vi è comunque un termine ultimo per l'intervento di qualunque creditore, la disciplina delle singole forme di espropriazione prevede che si consideri tardivo l'intervento avvenuto dopo una certa fase del procedimento; comunque anche i creditori intervenuti tardivamente, se muniti dì titolo esecutivo, possano dare impulso all'espropriazione. Il creditore chirografaro intervenuto tardivamente viene postergato nella distribuzione del ricavato, non solo ai creditori muniti di prelazione, ma pure al creditore procedente e a tutti gli altri creditori intervenuti tempestivamente, sicché può soddisfarsi solo sull'eventuale residuo; ed analoga limitazione subisce se esegue un nuovo pignoramento (sullo stesso bene) tardivamente. Il creditore munito di un diritto di prelazione, invece, non subisce alcun pregiudizio dalla tardività dell'intervento. Se il diritto di prelazione risulta da pubblici registri (come nell'ipoteca su immobili o su beni mobili registrati), il creditore ha diritto di essere avvertito dell'esecuzione intrapresa sui beni oggetto della garanzia; altrimenti, il diritto di prelazione si estinguerebbe in conseguenza della loro vendita forzata. Il creditore pignorante ha dunque l'onere di notificargli, entro il termine (non perentorio) di 5 giorni dal pignoramento, un avvisò da cui risultino l'indicazione dello stesso creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e delle cose pignorate; e in mancanza della prova di tale adempimento il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita (art.498). Ex art.511, ciascun creditore di un creditore avente diritto alla distribuzione può chiedere di essere a lui sostituito nella distribuzione stessa, proponendo domanda nelle stesse forme stabilite per l'intervento dall'art.499, co.2. Si tratta di un intervento sui generis, che mira alla sostituzione esecutiva e può avvenire in qualunque momento, finché il creditore sostituendo non abbia materialmente ricevuto la propria quota in sede di distribuzione del ricavato: è dubbio, pertanto, che per esso sia necessario il possesso di un titolo esecutivo o uno dei presupposti indicati nell’art.499 co.1. 8) LA DISCIPLINA PROCESSUALE DELL’INTERVENTO Il ricorso del creditore interveniente, ex art.499, dev'essere depositato in cancelleria prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione ai sensi degli artt.530, 552 e 569 (che si riferiscono, rispettivamente, all'espropriazione mobiliare, presso terzi e immobiliare); invece gli art.525 co.1 (richiamato dall’art.551) e 564, rispettivamente concernenti l'espropriazione mobiliare e quella immobiliare, si riferiscono specificamente alla prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita). L’intervento è consentito esplicitamente anche oltre tale momento, seppure con gli effetti indicati negli artt.528, 551 e 565. Il ricorso deve contenere l'indicazione del credito e del relativo titolo, nonché la domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione e la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio. 258 Qualora l'intervento riguardi un credito non assistito da titolo esecutivo, ma risultante dalle scritture contabili, il creditore deve allegare al ricorso, a pena di inammissibilità, un estratto autentico notarile delle scritture. In ogni caso, inoltre, il creditore privo di titolo esecutivo deve notificare al debitore, nei 10 gg successivi al deposito, copia del ricorso, eventualmente accompagnata dall’estratto autentico delle scritture contabili se l'intervento si fonda su di esso. Affinché egli possa disconoscere, in tutto o in parte, i crediti non risultanti da titolo esecutivo. Ex art.499, ult. co., infatti, il giudice, con la stessa ordinanza con cui dispone la vendita o l'assegnazione dei beni pignorati, deve fissare un'apposita udienza di comparizione del debitore e dei creditori privi di titolo esecutivo, da tenersi non oltre 60 gg dalla data del provvedimento, disponendo la notifica di quest'ultimo a cura di una delle parti. All'udienza il debitore deve dichiarare quali crediti intende riconoscere, anche solo parzialmente; se egli non compare, tutti i crediti «si intendono riconosciuti», seppure «ai soli effetti dell'esecuzione» (il che non dovrebbe escludere successive contestazioni, da parte dello stesso debitore, anche in sede di distribuzione). I creditori i cui crediti siano stati riconosciuti partecipano alla distribuzione del ricavato dell'espropriazione nei limiti dell'importo riconosciuto. Quelli i cui crediti siano stati disconosciuti, hanno solo il diritto ad un accantonamento temporaneo (per un periodo comunque non superiore a 3 anni) delle somme loro potenzialmente spettanti, purché ne facciano apposita istanza e nei 30 giorni successivi all'udienza, dimostrino di aver proposto l'azione di cognizione (che ben potrebbe essere sommaria: si pensi alla richiesta di un decreto ingiuntivo) tendente a conseguire il titolo esecutivo. La disciplina vigente non richiede più, tra i presupposti dell’intervento, la liquidità e l’esigibilità del credito, sicché è verosimile che l’intervento, in assenza di un titolo esecutivo, possa aver luogo anche a fronte di un credito illiquido o sottoposto a termine o condizione. Del resto, nel caso il credito sia illiquido, il problema dovrebbe porsi solo per i creditori intervenienti sulla base di un sequestro conservativo eseguito sui beni pignorati; in tal caso, se manca il riconoscimento esplicito del debitore, sembra inevitabile che il temporaneo accantonamento debba avere riguardo all’importo per cui era stato autorizzato il sequestro. In caso d'intervento (tempestivo) di creditori chirografari, muniti o meno di titolo esecutivo, il creditore pignorante ha la facoltà di indicare loro, con la notifica di un atto ad hoc o direttamente all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere il pignoramento su di essi, qualora si tratti di creditori muniti di titolo esecutivo, o ad anticipare le spese occorrenti per l'estensione del pignoramento. Se i creditori intervenuti non provvedono a tale estensione, senza giusto motivo, entro 30 giorni, il creditore pignorante acquista il diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione del ricavato (art.499, co.4). 9) LA VENDITA FORZATA O L’ASSEGNAZIONE DEI BENI PIGNORATI Per procedere alla vendita forzata o, quando possibile, all'assegnazione dei beni (o dei crediti) pignorati, occorre un'apposita istanza del creditore procedente o di un altro creditore munito di titolo esecutivo, da proporsi, di regola, non prima di 10 giorni dal pignoramento (salvo che si tratti di cose deteriorabili) e non oltre il termine di 90 giorni che farebbe venir meno l’efficacia del pignoramento stesso (artt.501 e 497). La vendita forzata può avvenire: - con incanto: le operazioni di vendita si svolgono e si esauriscono, di regola, in un unico contesto, nel luogo e nel giorno fissati nel provvedimento di vendita, attraverso offerte successive al rialzo - seppure col rispetto, solitamente, di un prezzo-base - ed aggiudicazione al miglior offerente. 259 - senza incanto: le offerte di acquisto, sempre nel rispetto di un prezzo minimo, possono liberamente intervenire nell'arco di tempo determinato dal provvedimento di autorizzazione alla vendita, e può essere altresì prevista, in caso di pluralità di offerte, una gara partendo dall'offerta più alta. Sebbene il legislatore adoperi il termine assegnazione senza alcuna specificazione, la dottrina suole distinguere - l'assegnazione satisfattiva, che consiste in una datio in solutum, per cui il creditore accetta, in luogo della somma di denaro cui avrebbe diritto, che gli venga trasferita la proprietà di taluno dei beni pignorati, eventualmente pagando un conguaglio in denaro quando l'importo del credito sia inferiore al valore del bene. Una sottospecie di tale figura è l'assegnazione del credito pignorato prevista nell'espropriazione presso terzi, che realizza una cessione del credito pro solvendo per cui non è neppure richiesta l'accettazione del creditore assegnatario. - l'assegnazione-vendita, che prevede il pagamento del valore del bene da parte del creditore assegnatario e dunque si risolve in una sorta di aggiudicazione per un prezzo predeterminato. Tale prezzo, in base all'art.506, non può essere inferiore all'importo totale delle spese di esecuzione e dei crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'assegnatario, affinché il ricavato sia almeno sufficiente a soddisfare i creditori a lui anteposti; alla ripartizione dell'eventuale eccedenza concorrono, tanto l'assegnatario quanto gli altri creditori, secondo le rispettive cause di prelazione. 10) GLI EFFETTI E LA STABILITA’ DELLA VENDITA E DELL’ASSEGNAZIONE Tanto la vendita forzata quanto l'assegnazione realizzano un trasferimento (coattivo) della proprietà del bene assoggettato all'espropriazione. La natura coattiva della vendita in esame non esclude che si tratti di un trasferimento a titolo derivativo, per cui l'art.2919 stabilisce che «la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede». il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell'acquirente presuppone che tale diritto sussistesse in capo al debitore esecutato; a meno che, trattandosi di beni mobili acquistati in buona fede, non risulti applicabile l'art.1153 cc, che d'altronde configura un acquisto a titolo originario. Non sono però opponibili all'acquirente i diritti acquisiti da terzi sulla cosa, se tali diritti non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione. (Il riferimento agli artt.2913 ss.). Pertanto, l'acquirente del bene espropriato acquista il bene dal debitore nella stessa situazione giuridica in cui esso si trovava alla data del pignoramento. Questo non vale per le ipoteche e i diritti di garanzia in genere, che, argomentando ex 586 (che prevede, al momento del trasferimento del bene espropriato l’ordine di cancellazione di tutte le iscrizioni ipotecarie, ancorché anteriori al pignoramento) si ritiene vengano meno con la vendita forzata. Nulla quaestio se il creditore ipotecario (o titolare di un diverso diritto di prelazione risultante da pubblici registri) ha ricevuto l’avviso ex art.498 e quindi è stato messo in condizione di partecipare all’espropriazione e concorrere alla distribuzione del ricavato; altrimenti, si ammette solo che possa agire in via risarcitoria nei confronti del creditore procedente. Può accadere, dunque, che l'acquirente in vendita forzata subisca successivamente l'evizione, totale o parziale, del bene, allorché un terzo ne rivendichi vittoriosamente la proprietà o un diverso diritto reale. In tale ipotesi egli può ripetere: • il prezzo pagato per l'acquisto - o una parte, in caso di evizione parziale - se quest'ultimo non è stato ancora distribuito (e deducendo comunque le spese), • da ciascun creditore (tranne da quelli privilegiati o ipotecari ai quali la causa di evizione non era opponibile) la parte rispettivamente riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, conservando il diritto di agire nei confronti del creditore procedente per i danni e le spese (art.2921). 260 Qualora si tratti di creditori privi di titolo esecutivo, invece, il debitore può più semplicemente disconoscere, in tutto o in parte, il relativo credito; il dubbio, semmai, riguarda la possibilità di contestare nella fase della distribuzione, ex art.512, anche l'esistenza o la misura di crediti precedentemente riconosciuti, almeno quando si tratti di un riconoscimento tacito. Secondo la soluzione che appare preferibile, sia l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione, ex art.512, si pronuncia in prima battuta sulla controversia sollevata dal debitore o da taluno dei creditori, sia la sentenza (impugnabile col solo ricorso per cassazione) pronunciata in seguito all'eventuale opposizione agli atti esecutivi, vertono solo sul diritto del creditore di partecipare al riparto, con effetti limitati al processo esecutivo cui si riferiscono, senza dar luogo ad un accertamento con efficacia di giudicato circa la sussistenza e/o la misura del credito o della causa di prelazione contestati. Riguardo la stabilità della distribuzione, si discute se le attribuzioni patrimoniali che ne scaturiscono, in favore dei creditori ammessi al concorso, possano essere rimesse in discussione, successivamente, al di fuori del processo esecutivo, attraverso un'azione per ripetizione d'indebito (cui potrebbero avere interesse tanto il debitore esecutato, quanto il creditore rimasto in tutto o in parte insoddisfatto), o debbano considerarsi irreversibili, per un fenomeno analogo al giudicato. A tal proposito, appare opportuno distinguere: - nei rapporti (meramente processuali) tra i creditori, l'esaurimento della fase di distribuzione e la preclusione relativa alle eventuali impugnazioni determina una situazione non più modificabile - nei rapporti tra debitore esecutato e creditori partecipanti alla distribuzione, non sembra possibile ammettere che la conclusione del processo esecutivo possa produrre di per sé una preclusione ad eventuali azioni di ripetizione d'indebito Sezione II - L'ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE 1) L’INDIVIDUAZIONE DEI BENI DA PIGNORARE E I RELATIVI LIMITI Mentre nell'espropriazione immobiliare e mobiliare presso terzi la ricerca e l'individuazione dei beni (o dei crediti) utilmente pignorabili vengono materialmente compiute, in via preventiva, dallo stesso creditore, nell'espropriazione mobiliare che si attua presso il debitore esse competono in tutti i sensi all'ufficiale giudiziario, che, munito del titolo esecutivo e del precetto, può effettuare la ricerca nella casa del debitore e in tutti gli altri luoghi a lui appartenenti, nonché, con l'osservanza delle opportune cautele, sulla stessa persona del debitore; e a tal fine può anche ricorrere all'uso della forza - richiedendo, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica - ogniqualvolta sia necessario aprire«porte, ripostigli o recipienti, o vincere la resistenza opposta dal debitore o da terzi, o allontanare persone che disturbano l'esecuzione del pignoramento (art.513). Su autorizzazione del presidente del tribunale o di altro giudice da questi delegato, che ne sia stato richiesto dal creditore procedente, l'ufficiale giudiziario può anche pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre, come l'autovettura che si trovi ricoverata in un garage di proprietà di terzi, cui il debitore può liberamente accedere. Se invece il debitore non ha questo potere di disposizione (utilizzazione) diretta del bene, è necessario ricorrere alle forme dell'espropriazione presso terzi, a meno che il terzo possessore non accetti di esibire volontariamente il bene all'ufficiale giudiziario. Per salvaguardare la dignità ed il decoro del debitore e la stessa sopravvivenza sua e del suo nucleo familiare, sono previsti limiti nell'individuazione delle cose da assoggettare ad espropriazione; si distingue tra impignorabilità: - assoluta (art.514) che riguarda, oltre ai casi previsti da speciali disposizioni di legge, una serie di beni mobili che vengono senz'altro sottratti all'espropriazione, o per la loro peculiare destinazione (cose sacre o necessarie per l'esercizio del culto, armi o altri oggetti che il debitore ha l'obbligo di conservare per l'adempimento di un pubblico servizio), o perché ritenuti indispensabili alle esigenze 263 basilari del debitore e della sua famiglia (alcuni arredi fondamentali della sua abitazione, una quantità di commestibili e combustibili necessaria per un mese). Lo stesso regime si ritiene competa, pur in mancanza di un'esplicita previsione normativa, ai beni giuridicamente inalienabili per legge (in particolare, i beni del demanio pubblico o del patrimonio indisponibile dello Stato e di altri enti pubblici. - relativa (artt.515 e 516), che attiene a beni che possono essere autonomamente pignorati solo in certi casi ed entro certi limiti: per es., quanto agli strumenti, agli oggetti e ai libri indispensabili per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore (che non sia una società), fino ad un massimo di 1/5 del loro valore, allorquando il valore di presumibile realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale giudiziario appaia insufficiente; oppure, se si tratti di frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, nelle 6 settimane anteriori al tempo della loro maturazione. Entro questi limiti, la scelta dei beni da pignorare, da parte dell'ufficiale giudiziario, è essenzialmente discrezionale, ancorché l'art.517 gli imponga di preferire in ogni caso il denaro contante, gli oggetti preziosi, i titoli di credito ed ogni altro bene «che appaia di sicura realizzazione», nonché, più in generale, le cose che ritiene «di più facile e pronta liquidazione». 2) LE MODALITA’ DEL PIGNORAMENTO Perché si proceda al pignoramento è necessaria una richiesta (seppure meramente verbale) da parte del creditore interessato, che: - deve fornire all'ufficiale giudiziario competente il titolo esecutivo e l'originale (debitamente notificato) del precetto; - può, al momento della richiesta, dichiarare che intende partecipare personalmente alle relative operazioni -nel qual caso l'ufficiale giudiziario è tenuto a comunicargli con un certo preavviso la data e l'ora dell'accesso - e può altresì farsi in quella sede rappresentare o assistere da un difensore e/o da un esperto. Il pignoramento vero e proprio, che può essere eseguito solo nei giorni feriali e nell'arco di tempo indicato nell'art.147 (art.519), si attua in forma orale, ma ne viene redatto un processo verbale (art.518), nel quale si da atto dell'ingiunzione e delle ulteriori formalità prescritte dall'art.492 nonché, più in generale, di tutte le operazioni all'uopo effettuate dall'ufficiale giudiziario. In particolare, per agevolare la descrizione delle cose pignorate (indispensabile perché si producano gli effetti del pignoramento) e del relativo stato, la recente riforma ha previsto ch'essa si compia «mediante rappresentazione fotografica o altro mezzo di ripresa audiovisiva». Alla stima approssimativa del «presumibile valore di realizzo» dei beni pignorati (necessaria per stabilire quando il pignoramento può arrestarsi -tenuto conto che l'art.517 indica quale limite un valore pari all'importo del credito precettato aumentato della metà- o quando, al contrario, si debba invitare il debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili) può procedere lo stesso ufficiale giudiziario, eventualmente avvalendosi, ove lo ritenga utile o su richiesta del creditore, di un esperto stimatore da lui scelto, che deve prestare giuramento e ha diritto ad un compenso, successivamente liquidatogli dal giudice dell'esecuzione. Quando ne ravvisi l'opportunità, l'ufficiale giudiziario può anche limitarsi a redigere un primo verbale di pignoramento, differendo le operazioni di stima ad un momento successivo; nel qual caso dovrà poi procedere alla definitiva individuazione dei beni da pignorare, sulla base dei valori indicati dall'esperto, «senza indugio e comunque entro il termine perentorio di 30gg». Il creditore può successivamente contestare il valore attribuito alle cose pignorate, per ottenere che il pignoramento venga esteso ad altri beni. A tal fine può infatti, entro il termine previsto per il deposito dell'istanza di vendita (che coincide col termine di efficacia del pignoramento), rivolgere istanza al giudice dell'esecuzione, che, nominato ove appaia opportuno uno stimatore, ordina l'integrazione del pignoramento se ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello stimato in sede di pignoramento; ed in tal caso l’ufficiale giudiziario deve riprendere «senza indugio» le operazioni di ricerca dei beni. 264 Nel verbale del pignoramento devono essere indicate le «disposizioni date per conservare le cose pignorate», comprensive di quelle concernenti la custodia delle stesse. Qualora il debitore non sia presente al pignoramento, l'ingiunzione di cui all'art.492 è rivolta ad una delle persone indicate nell'art.139, co.2. (una persona di famiglia o addetta alla casa ecc.), cui viene altresì consegnato un avviso dell'ingiunzione stessa destinato al debitore. Se mancano anche tali persone, l'avviso è affisso alla porta dell'immobile in cui è stato eseguito il pignoramento. Il verbale di pignoramento, unitamente al titolo esecutivo e al precetto, dev'essere depositato in cancelleria entro 24 ore dal compimento delle operazioni ed il cancelliere forma il fascicolo dell'esecuzione. A richiesta del creditore o del debitore, l'ufficiale giudiziario trasmette loro copia del verbale di pignoramento, tramite posta ordinaria o elettronica o telefax. Se l'espropriazione riguarda un bene mobile registrato, l'atto di pignoramento dev'essere anche trascritto, ex art.2693, affinché si producano gli effetti previsti dagli artt.2913 ss ed esso sia opponibile ai terzi aventi causa dal debitore. Disposizioni speciali sono dettate per l’espropriazione di alcuni beni mobili immateriali, quali i diritti: - patrimoniali di proprietà industriale: il pignoramento si esegue con un atto notificato al debitore e trascritto entro i successivi 8 gg, a pena di inefficacia, presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi; - aventi ad oggetto una quota di partecipazione in una srl: l'art.2471 cc prevede che il pignoramento della quota si compia mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese. 3) LA CUSTODIA DEI BENI PIGNORATI Il denaro, i titoli di credito e gli oggetti preziosi devono essere senz'altro consegnati al cancelliere, affinché provveda, rispettivamente, al deposito o alla custodia; per le altre cose, invece, l'art.520 dispone che l’ufficiale giudiziario, se il creditore gliene fa richiesta, provveda a trasportarle presso un luogo di pubblico deposito o ad affidarle ad un custode; nel qual caso quest'ultimo, al fine della conservazione delle cose, può essere autorizzato sia a lasciarle nell'immobile appartenente al debitore, che a trasportarle altrove. In caso di urgenza, inoltre, l'ufficiale giudiziario può affidare la custodia ad uno degli istituti autorizzati alle vendite giudiziarie. Il custode non può essere il creditore o del suo coniuge, salvo il consenso del debitore, né il debitore o altro familiare con lui convivente, se non vi sia il consenso del creditore. In ogni caso, il custode non può usare le cose pignorate senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ed è obbligato, ove ne ricorrano i presupposti, a rendere il conto della propria gestione. La nomina del custode, di regola, avviene già al momento del pignoramento ed è destinata a durare fino al momento in cui viene depositata l'istanza di vendita; dopo di che il giudice dell'esecuzione provvede alla sua sostituzione, designando l'istituto (tra quelli autorizzati) incaricato di provvedere alla vendita. Tale istituto, entro i successivi 30 giorni, provvede di regola, previa comunicazione della data e dell'ora dell'accesso, al trasporto dei beni pignorati presso la propria sede o altri locali di cui abbia la disponibilità; a meno che, trattandosi di beni difficilmente trasportabili, non ottenga dal giudice dell'esecuzione l'autorizzazione ad effettuare la custodia nel luogo stesso in cui essi si trovano. Esclusi gli istituti vendite giudiziarie, i cui compensi sono stabiliti dal Ministro della giustizia, il custode non ha diritto, di norma, a compenso, tranne quando, trattandosi di persona diversa dal creditore (o dal coniuge) e dal debitore (o suo familiare) ed avendolo chiesto, gli sia stato riconosciuto dall'ufficiale giudiziario al momento della nomina 265 830 cc) non può valutarsi in astratto, per il sol fatto che le somme di denaro o i crediti dell'ente pubblico siano stati iscritti nel relativo bilancio, ma presuppone un provvedimento amministrativo che abbia già concretamente attribuito loro tale specifica destinazione. 2) IL PIGNORAMENTO Il pignoramento si attua per iscritto ed ha una struttura piuttosto complessa, giacché l'azione esecutiva, sebbene diretta contro il solo debitore (l'unico soggetto cui debbono notificarsi titolo esecutivo e precetto), non può fare a meno di coinvolgere il terzo, che dovrà consegnare il bene mobile di proprietà del debitore o pagare le somme di cui è a sua volta debitore nei confronti dell'esecutato. Dunque, il pignoramento deve produrre effetti anche nei confronti del terzo, per evitare ch'egli riconsegni la cosa mobile o paghi (estinguendo il proprio debito) nelle mani dell'esecutato, e presuppone che, in caso di contestazioni, possa pervenirsi ad un accertamento circa l'effettiva esistenza del bene o del credito pignorato. Il pignoramento, pertanto, si esegue mediante la notifica, al debitore ed al terzo, di un atto che, oltre agli elementi prescritti in via generale dall'art.492, deve contenere, ex art.543: a) l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e della data di notificazione del precetto; b) l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute dal terzo al debitore esecutato: la giurisprudenza, muovendo dal presupposto che il creditore procedente può non conoscere nei dettagli il rapporto che lega il debitore al terzo e che l'oggetto del pignoramento potrà essere comunque precisato con la successiva dichiarazione del terzo, reputa sufficiente anche un'indicazione generica; il che consente al creditore, soprattutto se l'espropriazione ha ad oggetto un credito, di eseguire pignoramenti plurimi, con finalità sostanzialmente esplorative (ad es. presso diverse banche), alla ricerca di crediti del debitore utilmente espropriabili; c) l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice: ciò ch'è inibito al terzo, in realtà, non è disporre delle cose o dei crediti pignorati - che non appartengono a lui - ma riconsegnare la cosa o adempiere il proprio debito nelle mani del debitore esecutato; ed infatti, l'art.546 prevede che il terzo, fin dal giorno in cui gli è notificato l'atto di pignoramento, sia soggetto agli obblighi del custode relativamente alle cose o alle somme da lui dovute, nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà. Il pignoramento produce una sorta di immobilizzazione del credito del debitore esecutato: infatti, ex art.2917 cc, l'estinzione del credito per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento è inefficace rispetto al creditore pignorante e agli altri creditori intervenuti. d) la citazione del debitore e del terzo a comparire dinanzi al tribunale del luogo di residenza del terzo (affinché quest'ultimo renda la dichiarazione circa l'effettiva esistenza delle cose o dei crediti pignorati e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori) e l'indicazione della relativa udienza, nel rispetto del termine dilatorio di 10gg prescritto dall'art.501. In seguito alla riforma del 2005, peraltro, l'effettiva comparizione del terzo è necessaria solo quando il pignoramento riguarda i crediti di cui all'art.545 co.3 e 4, ossia quelli derivanti da rapporti di lavoro privato; negli altri casi è sufficiente che il terzo trasmetta la propria dichiarazione per iscritto direttamente al creditore procedente. A seconda dei casi, dunque, l'atto di pignoramento dovrà invitare il terzo a comparire all'udienza ovvero a comunicare la dichiarazione entro 10gg a mezzo di lettera raccomandata; e) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente (coincidente con quello del luogo di residenza del terzo debitore). Sebbene l'art.543 non lo precisi, si ritiene che l'atto di pignoramento debba essere sottoscritto dal creditore procedente (dal suo difensore munito di procura); la sua notifica compete all'ufficiale giudiziario che, nella relazione di notificazione, dovrebbe anche dar conto di aver rivolto al debitore l'ingiunzione prescritta dall'art.492. 268 Subito dopo la notifica, l'ufficiale giudiziario deve depositare l'originale dell'atto nella cancelleria del tribunale, affinché possa procedersi alla formazione del fascicolo e alla designazione del giudice dell'esecuzione. Al deposito del titolo esecutivo e del precetto dovrebbe provvedere, invece, lo stesso creditore pignorante, al momento della costituzione. 3) GLI ADEMPIMENTI DEL TERZO E L’EVENTUALE ACCERTAMENTO DEL DIRITTO DEL DEBITORE NEI SUOI CONFRONTI Mentre nelle altre forme di espropriazione l'appartenenza del bene pignorato al debitore si presume, grazie ad elementi oggettivi (ad es., quando si tratti di una cosa mobile, per il fatto ch'essa viene rinvenuta nell'abitazione del debitore), nell'espropriazione presso terzi, prima di poter procedere alla vendita o all'assegnazione, deve verificarsi, a seconda dei casi, se il terzo è realmente in possesso di una determinata cosa mobile di proprietà del debitore o è a sua volta debitore di quest'ultimo. Una parte della dottrina, perciò, qualifica il pignoramento presso terzi come fattispecie complessa a formazione progressiva, a sottolineare che i suoi effetti sono subordinati al successivo accertamento del diritto (di proprietà o di credito) del debitore verso il terzo. A tale accertamento poteva pervenirsi: - attraverso una dichiarazione esplicita del terzo, che si riconosca detentore della cosa mobile menzionata nel pignoramento o obbligato a pagare una determinata somma di denaro al debitore esecutato (affermandosi, dunque, debitor debitoris), per iscritto (quando non riguardi crediti di lavoro) o all'udienza di comparizione. In entrambi i casi, la dichiarazione può provenire personalmente dal terzo o da un suo procuratore speciale (eventualmente un avvocato munito di procura speciale), e deve comunque specificare di quali cose o di quali somme [il terzo] è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna, nonché gli eventuali sequestri o pignoramenti (dello stesso bene o credito) anteriormente eseguiti presso di lui e le cessioni (del credito) a lui notificate o da lui accettate. Se il terzo rende una dichiarazione positiva e quest'ultima non viene contestata (ad es. per ciò che concerne l'importo delle somme dovute), può darsi corso alla fase satisfattiva. - in seguito ad una sentenza resa a conclusione di un vero e proprio giudizio di cognizione: se il terzo omette di comparire all'udienza o comunque di rendere la dichiarazione, o se tale dichiarazione è totalmente negativa o è oggetto di contestazioni, . l'espropriazione potrà proseguire solo dopo l’accertamento, nell'ambito di un giudizio a cognizione piena, dell'esistenza del bene o del credito pignorato (e della sua 'entità). Tale giudizio, soggetto alla disciplina ordinaria del libro II, peraltro, presuppone, ex art.548, che taluna delle partì espressamente ne feccia istanza (ancorché solo verbalmente all'udienza), altrimenti il processo esecutivo si avvierebbe verso l'estinzione. Si ritiene, inoltre, che a tale istanza sia legittimato il solo creditore pignorante (e gli altri creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo) e non il debitore, che neppure avrebbe diritto a contestare in questa sede la veridicità della dichiarazione resa dal terzo (contro il quale conserva la facoltà d'intraprendere un autonomo giudizio). Molto controversi sono la natura e l'oggetto di tale giudizio. Si discute, in particolare, se il creditore procedente, nel chiedere l'accertamento del (contestato) diritto del debitore esecutato nei confronti del terzo, agisca quale sostituto processuale del debitore, in virtù di una legittimazione straordinaria di tipo surrogatorio (art.2900 cc) e facendo dunque valere in nome proprio un diritto altrui (art.81 cpc), oppure eserciti iure proprio un'azione distinta ed autonoma, mirante ad accertare l'esistenza del credito oggetto del pignoramento al solo fine di verificarne la legittimità. La soluzione rileva per ciò che attiene ai rapporti con il giudizio eventualmente instaurato dal debitore o dal terzo in merito allo stesso credito assoggettato ad esecuzione forzata, per es. quanto alla possibilità che il giudicato formatosi nell'uno precluda la proposizione o la prosecuzione dell'altro. Inoltre, qualora si muova dall'idea che l'oggetto di tali giudizi è identico, può anche pensarsi che l'accertamento del diritto del terzo, chiesto nell'ambito dell'espropriazione, debba adeguarsi alle stesse regole di giurisdizione, competenza e rito che si applicherebbero nel caso in cui fosse il 269 debitore esecutato a far valere autonomamente il proprio diritto nei confronti del terzo; sicché, ad es., se il pignoramento riguardasse un credito di lavoro, dovrebbe applicarsi il rito del lavoro. Per evitare tali complicazioni, la giurisprudenza, rivedendo un orientamento anteriore, aveva sostenuto che si trattasse di giudizi del tutto diversi ed autonomi, tesi però poco compatibile con la lettera dell'art.549 (che parla di accertare l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo) e che implicava che sulla stessa questione, l'esistenza del credito pignorato, potessero sempre aversi 2diversi giudicati: uno valido (solo) tra debitore esecutato e terzo, e l'altro (solo) tra creditore procedente e terzo. Il che, oltretutto, contraddiceva la diffusa opinione che attribuisce al debitore la posizione di litisconsorte necessario nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. Nel 2008, comunque, le Sezioni Unite hanno mutato nuovamente rotta, sostenendo che il giudizio in questione, sebbene il creditore procedente agisca in virtù di una propria (ordinaria) legittimazione ad agire, avrebbe come duplice oggetto l’accertamento: - del diritto di credito del debitore esecutato nei confronti del terzo, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti di tale rapporto; - dell'assoggettabilità del credito pignorato all'espropriazione forzata, efficace nei rapporti fra il creditore procedente ed il terzo, che esaurisce i propri effetti nell'ambito del processo esecutivo. In realtà, ove si tenga conto dell’art.2917 cc, è possibile che il giudizio di cui all'art.548 conduca ad un giudicato difforme da quello che potrebbe aversi tra debitore esecutato e terzo (poiché a quest'ultimo è inibito di invocare, ad esempio, il pagamento intervenuto dopo il pignoramento); ma non è pensabile che tale difformità possa riguardare anche l’accertamento dei fatti costitutivi del credito pignorato, doverosamente uniforme rispetto a tutti gli interessati (che, se cosi non fosse, non avrebbe alcun senso la necessaria partecipazione al giudizio del debitore esecutato). Dall'art.548, peraltro, si desume la competenza funzionale ed inderogabile del giudice dell'esecuzione a decidere (verosimilmente applicando in ogni caso il rito ordinario) sull'esistenza del credito pignorato, ricorrendo eventualmente alla sospensione ex art.295 laddove fosse già pendente un analogo giudizio tra il debitore, esecutato ed il terzo. La disciplina, come modificata dalla legge di Stabilità (per i procedimenti iniziati dopo il 01/01/13), distingue due ipotesi. 1) Mancata dichiarazione del terzo (art.548), ove si distinguono due sotto-ipotesi: - se il pignoramento riguarda i crediti di lavoro e il debitor debitoris non si presenta in udienza, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e il giudice potrà procedere all’assegnazione o alla vendita del credito pignorato. - negli altri casi, se all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza dovrà essere notificata al terzo almeno 10 giorni prima della nuova udienza e se il debitor debitoris non comparirà,si avrà lo stesso effetto che nella prima ipotesi. In tutti i casi, però, il terzo potrà effettuare opposizione agli atti “se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza dell’ordinanza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”. 2) Contestata dichiarazione del terzo da parte del creditore (art.549). Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell'esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti (e, quindi, non più secondo le forme del libro II del codice), con ordinanza. L'ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed e' impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617. Alla luce delle nuove disposizioni. sarebbe stato opportuno (se non necessario) prevedere l’obbligo per il creditore procedente di avvertire il terzo delle conseguenze derivanti dalla mancata risposta. Una dimenticanza legislativa che, precauzionalmente, sarà bene superare nella prassi inserendo comunque quell’avvertenza onde evitare eccezioni. 270 Il giudice dell'esecuzione, inoltre, può sempre disporre, con ordinanza non impugnabile, la liberazione, totale o parziale, dell'immobile pignorato, quando non ritenga di autorizzare il debitore a continuare ad abitarvi ovvero quando revochi una precedente autorizzazione; e deve comunque farlo quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione, affinché l'aggiudicatario o l'assegnatario possa riceverne la consegna libero. Tale provvedimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio e dev'essere eseguito a cura del custode, nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, anche dopo il decreto di trasferimento dell'immobile, a meno che non sia lo stesso interessato ad esentarlo da tale incombenza. Il custode, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, provvede all'amministrazione e alla gestione dell'immobile ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità (per esempio un'azione di rilascio contro il conduttore). Il giudice, inoltre, nell'ordinanza con cui dispone la vendita, stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto possano materialmente esaminare l'immobile. 4) L’AUTORIZZAZIONE ALLA VENDITA La disciplina della vendita (o dell'assegnazione) immobiliare è considerevolmente più articolata e complessa rispetto agli altri procedimenti espropriativi. Il creditore (pignorante o munito di titolo esecutivo) che presenta l'istanza di vendita ha l'onere di provvedere, entro i successivi 120 giorni, alla produzione dell'estratto catastale dell'immobile e dei certificati concernenti le iscrizioni e trascrizioni intervenute nei 20 anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; documentazione che serve ad accertare l'effettiva titolarità e la situazione giuridica del bene pignorato e che, peraltro, può essere rimpiazzata da un certificato notarile che attesti le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari (art.567). È ammessa una proroga «per giusti motivi», una volta solo e fino ad un massimo di ulteriori 120 giorni, su istanza di qualunque creditore o dello stesso esecutato. Il giudice, inoltre, assegna di propria iniziativa al creditore un altro termine di 120 giorni allorché ritiene che la documentazione presentata debba essere completata. La conseguenza prevista per l’inadempimento di tale onere, entro il termine originario o prorogato, è l'inefficacia del pignoramento, dichiarata dal giudice, previa audizione delle parti, con ordinanza, cui fa seguito l'ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento. Se invece la documentazione viene tempestivamente prodotta, il giudice, nei successivi 30 giorni, nomina un esperto e fissa la data dell'udienza (da tenersi entro 120 giorni) destinata al suo giuramento e alla comparizione delle parti (debitore esecutato, creditore pignorante ed eventuali creditori intervenuti) nonché dei creditori (non intervenuti, ma) titolari di diritti di prelazione risultanti da pubblici registri (art.569). L’esperto, dopo avere verificato la completezza della documentazione prodotta e segnalato al giudice le eventuali lacune, redige, prima dell’udienza, una relazione di stima dell'immobile pignorato, che, oltre alla determinazione del suo valore, deve contenere una serie di elementi diretti ad agevolare il controllo e le valutazioni del giudice, delle parti e, successivamente, dei soggetti eventualmente interessati all'acquisto: ad esempio, lo stato di possesso dell'immobile, con l'indicazione, se occupato da terzi, del titolo della relativa occupazione, e l'esistenza di formalità, vincoli ed oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene e destinati a rimanere a carico dell'acquirente, nonché di quelli che invece saranno cancellati o comunque non saranno opponibili all'acquirente. La relazione dev'essere trasmessa dall’esperto ai creditori (procedenti o intervenuti) e al debitore esecutato, anche se non costituito, almeno 45 giorni prima dell'udienza, tramite posta elettronica certificata oppure, quando ciò non sia possibile, a mezzo telefax o posta ordinaria; e le parti possono depositare direttamente all'udienza delle note concernenti la relazione, purché le abbiano preventivamente trasmesse all'esperto, con le stesse modalità, almeno 15 giorni prima; nel qual caso l'esperto interviene all'udienza per rendere gli opportuni chiarimenti. 273 Nella stessa udienza il giudice dispone senz'altro la vendita, con ordinanza, se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge comunque l'accordo delle parti comparse; altrimenti, deve prima decidere sulle opposizioni con sentenza. Ex 'art.569, in prima battuta deve necessariamente esperirsi la procedura della vendita senza incanto, nella quale chiunque, eccetto il debitore, può presentare, entro il termine fissato dal giudice, una propria offerta di acquisto dell'immobile, nel rispetto del prezzo minimo e delle altre condizioni indicate nell'ordinanza di vendita; fermo restando, qualora intervengano più offerte, una successiva gara tra gli stessi offerenti. Alla vendita all'incanto, invece, si ricorre quando la vendita senza incanto non abbia sortito esito positivo, o, essendo stata presentata un'unica offerta di acquisto che non supera il valore (minimo) dell'immobile aumentato di un quinto, ricorrano le condizioni indicate dall'art.572. L'ordinanza che dispone la vendita, pertanto, deve determinare: 1) il valore dell'immobile, che sarà il limite minimo per le offerte; 2) il termine, non inferiore a 90 e non superiore a 120gg, in cui potranno proporsi le offerte di acquisto, stabilendo eventualmente ch'esse possano presentarsi anche a mezzo di telefax o di posta elettronica; 3) le modalità con cui dev'essere prestata la cauzione, che serve a garantire la serietà dell'offerta e non può essere inferiore ad un decimo del prezzo offerto; 4) la fissazione, al giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, dell'udienza in cui, aperte le buste delle offerte, si procederà alla deliberazione sull'unica offerta o all'eventuale gara tra i più offerenti. L'art.569 lascia intendere che il giudice, con la stessa ed unica ordinanza, debba in ogni caso provvedere anche ex art.576 ossia fissare già la data e gli altri elementi occorrenti per la vendita all'incanto, per l'eventualità in cui essa debba aver luogo; il che eviterebbe, evidentemente, la fissazione di una nuova udienza ad hoc e la pronuncia di un nuovo provvedimento. Tenuto conto, peraltro, che tale soluzione renderebbe oltremodo complessa la predetta ordinanza e che, d'altronde, l'esaurimento della procedura di vendita senza incanto può richiedere tempi più lunghi di quelli inizialmente preventivabili, parrebbe preferibile una «lettura» più elastica della norma, che consenta eventualmente di rinviare ad un'ordinanza successiva - e nel solo caso in cui essa si renda necessaria - la fissazione della vendita all'incanto. Il provvedimento che dispone la vendita immobiliare è sempre soggetto alle forme di pubblicità previste dall'art.490, che prevede, oltre all'affissione, nell'albo del tribunale presso cui si procede, di un apposito avviso contenente le indicazioni prescritte dall'art.570, l'inserimento di una copia dell'ordinanza e della relazione di stima redatta dall'esperto in appositi siti internet, almeno 45 giorni prima, rispettivamente, della scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte ovvero della data dell'incanto, la pubblicazione di un avviso (privo dell'indicazione del debitore), una o più volte e nello stesso termine, sui quotidiani di informazione locali o nazionali indicati dal giudice, ed eventualmente la divulgazione con le forme della pubblicità commerciale. 5) VENDITA SENZA INCANTO Chiunque, tranne il debitore (art.579 co.1), è ammesso ad avanzare, personalmente o tramite un avvocato munito di procura speciale, un'offerta di acquisto dell'immobile pignorato; e gli avvocati, anzi, possono anche fare offerte per persone da nominare (artt.571 e 579, ult. co.). L'offerta, di regola, consiste in una dichiarazione, da presentare in busta chiusa in cancelleria, contenente l'indicazione del prezzo, del tempo e del modo di pagamento e di ogni altro elemento utile per la sua valutazione; e, pena l'inefficacia, deve pervenire entro il termine fissato nel provvedimento autorizzativo della vendita, rispettando le modalità stabilite per la prestazione della cauzione. Il giudice, con l'ordinanza di vendita, può anche autorizzare la presentazione delle offerte tramite posta elettronica certificata o, quando ciò non sia possibile, a mezzo telefax, nonché la prestazione 274 della cauzione mediante sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica. L'offerta non può essere revocata prima che siano trascorsi 120 giorni dalla sua presentazione (né dopo che sia stata accolta), a meno che il giudice abbia ordinato la vendita all'incanto. L'esame delle offerte, previa apertura delle buste alla presenza degli offerenti, avviene all'udienza fissata nell'ordinanza di vendita, in cui hanno diritto d'essere sentite tanto le parti quanto i creditori iscritti non intervenuti. L'eventuale mancanza di offerte tempestive ed efficaci impone di dar corso all'incanto; se l'offerta valida è una sola: - ma supera di almeno 1/5 il valore stimato dell'immobile, dev'essere senz'altro accolta. - non raggiunge tale importo, può essere accolta solo a condizione che non vi sia il dissenso del creditore procedente e che il giudice non ritenga sussistere una «seria possibilità» di una vendita più vantaggiosa col sistema dell'incanto. Allorché le offerte siano più d'una, il giudice invita gli offerenti (per quel ch'è dato desumere dall'art.573, nella stessa udienza) ad una gara, prendendo come base l'offerta più alta; e, se questa gara non può aver luogo perché gli offerenti non vi prestano adesione, al giudice è rimessa la scelta tra l'accoglimento dell'offerta più alta e la vendita all'incanto. Quando un'offerta viene accolta, il giudice dispone con decreto il termine e le modalità per il versamento del prezzo e, a pagamento avvenuto, pronuncia un ulteriore decreto di trasferimento dell’immobile, contenente gli elementi prescritti dall'art.586. Qualora l'aggiudicatario si renda inadempiente il giudice, sempre con decreto, dichiara la sua decadenza, pronuncia l'incameramento della cauzione a titolo di multa e dispone la vendita all'incanto (artt.574 e 586). 5) VENDITA ALL’INCANTO Il giudice, nella stessa ordinanza con cui fissa le iniziali modalità della vendita senza incanto (oppure con un provvedimento successivo, qualora lo si ritenga consentito), deve stabilire, per l'eventualità ch'essa non vada a buon fine, la data e l'ora dell'incanto e gli altri elementi prescritti dall'art.576, tra cui l'ammontare della cauzione necessaria per partecipare all'incanto (comunque non superiore al decimo del prezzo-base dell'asta) ed il termine per la sua prestazione, la misura minima dell'aumento da apportare, nel corso dell'asta, alle offerte, nonché il termine (non superiore a 60 giorni) e le modalità per il deposito del prezzo da parte dell'aggiudicatario. La cauzione, di regola, viene immediatamente ed integralmente restituita dopo la chiusura dell'incanto, ogniqualvolta l'offerente non si sia reso aggiudicatario. L'art.580, tuttavia, prevede che ne venga trattenuto 1/10, come somma rinveniente a tutti gli effetti dall'esecuzione, allorché l'offerente abbia omesso di partecipare (cioè di essere presente) all'incanto, eventualmente a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo. Le modalità di svolgimento dell'incanto - cui può partecipare chiunque, eventualmente anche a mezzo di mandatario munito di procura speciale, a condizione che abbia prestato la prescritta cau- zione - sono disciplinate dall'art.581, in cui si prevede, tra l'altro, che l'aggiudicazione avvenga a favore di chi ha fatto l'ultima offerta, allorché entro tre minuti non ne sopraggiunga un'altra più elevata. Tale aggiudicazione è però provvisoria, poiché l'art.584, per assicurare la massima fruttuosità della vendita forzata, prevede che dopo la positiva conclusione dell'incanto siano ancora ammesse, entro il termine perentorio di 10 giorni, ulteriori offerte di acquisto da parte di chiunque, purché il prezzo offerto superi di almeno un quinto quello per il quale si era avuta l'aggiudicazione. Tali offerte si fanno nelle stesse forme prescritte dall'art.571 per la vendita senza incanto, prestando però una cauzione pari ad un quinto del prezzo-base dell'asta; in effetti è come se si riaprisse una fase di vendita senza incanto, seppure con le limitazioni dirette ad assicurare che il relativo ricavo sia considerevolmente maggiore di quello derivato dall'incanto. 275 cancelleria, affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando altresì l'udienza per l'audizione degli interessati, cui il provvedimento dev'essere comunicato almeno 10 giorni prima. Se in quella sede il progetto viene approvato o comunque si raggiunge l'accordo di tutte le parti, se ne dà atto nel verbale dell'udienza ed il giudice dell'esecuzione o il professionista possono dar corso alla distribuzione, ordinando il pagamento delle singole quote. La mancata comparizione alla prima udienza fissata per l'esame del progetto - oppure alla nuova udienza eventualmente fissata dal giudice a norma dell'art.485, ult. co., quando appare probabile che alcuna delle parti non sia potuta comparire per cause indipendenti dalla sua volontà - implica ex lege l'approvazione del progetto (art.597). Se invece permangono contestazioni ed il progetto non viene approvato, la relativa controversia (distributiva) dev'essere decisa nelle forme di cui all'art.512. Sezione V - L'ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO 1) I PRESUPPOSTI A parte i casi in cui l'esecuzione forzata coinvolga un terzo per errore, l'espropriazione può talora colpire legittimamente i beni appartenenti ad un soggetto diverso dal debitore esecutato, che pertanto subisce l'azione esecutiva pur senza essere titolare passivo dell’obbligazione risultante dal titolo. L'art. 602, riprendendo le stesse fattispecie contemplate dall'art.2910 cc, distingue a seconda che l'espropriazione riguardi un bene: a) la cui alienazione è stata revocata poiché compiuta in frode dei creditori (art.2901 cc): i creditori dell'alienante, in conseguenza del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria, ottengono che il trasferimento sia dichiarato inefficace nei loro confronti e possono pertanto assoggettare il bene ad espropriazione come se appartenesse ancora al loro debitore, pur dovendo dirigere l'azione esecutiva contro il terzo acquirente. b) gravato da pegno o ipoteca per debito altrui: è il caso in cui il terzo abbia - acquistato il bene già gravato dal diritto reale di garanzia (che ha diritto di seguito) - concesso il pegno o l'ipoteca a garanzia di un debito altrui L'acquirente di un bene ipotecato potrebbe evitare l'espropriazione rilasciandolo ai creditori iscritti (artt.2858 ss cc), o liberandolo dalle ipoteche secondo il procedimento di cui agli artt.2889 ss. cc. L 'implicito presupposto per l'applicazione degli artt.602 ss è che l'acquisto del terzo (allorché si tratti di un bene immobile, la relativa trascrizione) sia anteriore alla trascrizione del pignoramento; se così non fosse, l'espropriazione sarebbe legittimamente diretta contro il solo debitore, e l'acquirente potrebbe tutt'al più far valere la sua successione nella titolarità del bene per contestare eventuali vizi della procedura esecutiva o comunque per partecipare alle parentesi di cognizione che dovessero scaturire da tale procedura. 2) LA DISCIPLINA SPECIFICA Il terzo ha il diritto di partecipare al processo esecutivo con poteri analoghi a quelli del debitore; ed a lui, anzi, non si applica la disposizione dell'art.579, co.1. Il titolo esecutivo ed il precetto devono essere notificati anche al terzo e nel precetto - in cui l'intimazione ad adempiere è rivolta al (solo) debitore - dev'essere espressamente menzionato il bene del terzo che s'intende assoggettare al pignoramento (art.603). Tutti gli atti dell'espropriazione, inoltre, a cominciare dal pignoramento, si compiono nei confronti del terzo, che ha diritto di essere sentito negli stessi casi in cui dev'essere sentito il debitore (art.604), e di prender parte, quale litisconsorte necessario del debitore, all'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi. 278 3. L'ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI 1) LA FUNZIONE E I PRESUPPOSTI Il creditore, ex art.599, alla luce del titolo esecutivo ha il diritto di espropriare anche i beni appartenenti pro indiviso, oltre che al debitore, a soggetti che non siano direttamente obbligati, né responsabili per il debito altrui (ad es., al terzo comproprietario datore di ipoteca sul bene comune si applicherebbero gli artt.602 ss). In questi casi, tuttavia, nel corso dell'espropriazione, occorre: - procedere alla separazione della quota spettante al debitore - il che potrebbe richiedere un vero e proprio giudizio incidentale di divisione, destinato a concludersi con sentenza - coinvolgere nel processo esecutivo tutti i comproprietari del bene indiviso. Tra le fattispecie ora considerate l'opinione prevalente ricomprende anche l’ipotesi in cui il creditore particolare di uno dei coniugi intenda soddisfarsi, in via sussidiaria, su beni oggetto della comunione legale, assoggettandoli a pignoramento fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato (ossia la metà del valore complessivo). 2) LA DISCIPLINA SPECIFICA Poiché l'esecuzione forzata si dirige solo contro il debitore, il titolo esecutivo ed il precetto devono notificarsi solo a lui e lo stesso pignoramento deve eseguirsi solo nei suoi confronti, precisando ch'esso riguarda solo la quota di sua pertinenza (altrimenti, l'espropriazione investirebbe l'intero bene ed i comproprietari non obbligati sarebbero legittimati all’opposizione ex art.619). Il pignoramento si attua nelle stesse forme ordinariamente prescritte in relazione alla natura del bene espropriato (mobile o immobile); con la sola particolarità che del suo compimento il creditore procedente deve notificare ai comproprietari (non debitori) un avviso contenente le indicazioni di cui all'art.180 disp. att. Tale avviso non condiziona la validità del pignoramento, dipendendone solo il divieto, per gli altri comproprietari, di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice; sicché, la sua omissione consentirebbe loro di procedere validamente alla divisione nonostante l'avvenuto pignoramento e l'eventuale sua trascrizione. Gli stessi comproprietari, al pari di tutti gli altri interessati (come i creditori intervenuti), devono essere altresì invitati – con lo stesso avviso o con un atto separato — a comparire dinanzi al giudice dell'esecuzione che, dopo averli sentiti, provvede alla separazione in natura della quota spettante al debitore, purché gli sia richiesta e sia materialmente possibile. In caso contrario si renderà normalmente necessario procedere alla divisione secondo le norme del cc, a meno che non appaia probabile conseguire dalla vendita della quota indivisa un prezzo uguale o superiore al suo valore (determinato, eventualmente, avvalendosi di un esperto), ossia a ciò che varrebbe la quota stessa in seguito alla divisione (art.600). Qualora debba procedersi alla divisione, lo stesso giudice dell'esecuzione provvede all'istruzione della relativa causa, previa integrazione del contraddittorio nel caso in cui non tutti gli interessati siano comparsi; ed il processo esecutivo resta sospeso finché sulla divisione non intervenga un accordo delle parti o una sentenza passata in giudicato, per essere poi riassunto nel termine di 6 mesi indicato dall'art.627. Dopo la divisione, la vendita o l'assegnazione dei beni attribuiti al debitore si compirà secondo la disciplina ordinaria. 279 4. L'ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO 1) LE DISPOSIZIONI COMUNI Se il diritto da attuare ha per oggetto la consegna di determinati beni mobili, tutto si riduce alla ricerca della o delle cose cui il titolo esecutivo si riferisce - che l'ufficiale giudiziario deve effettuare, nel luogo in cui presumibilmente si trovano, applicando le stesse disposizioni relative al pignoramento mobiliare (art.513) - e alla conseguente loro consegna alla parte istante o ad altra persona da lei designata. Prescindendo dal possibile occultamento dei beni ad opera dell’esecutato, l'unica complicazione si ha qualora l'ufficiale giudiziario trovi le cose già pignorate: in tal caso, la consegna non può avvenire e la parte istante dovrebbe far valere il proprio diritto di proprietà proponendo opposizione di terzo all'esecuzione ex art.619. Nell’ipotesi di rilascio di un determinato immobile, il procedimento è solo lievemente più complesso, dovendosi preavvertire l’esecutato del giorno e dell'ora in cui l'esecuzione avrà material- mente inizio, con l'accesso dell'ufficiale giudiziario sul posto. Tali esecuzioni possono aver luogo, oltre che in base ad un titolo esecutivo giudiziale o ad un verbale di conciliazione, anche in forza di un atto pubblico. Le disposizioni ad esse comuni sono: - l’art.605, sul contenuto dell'atto di precetto, che deve contenere, oltre agli elementi di cui all'art.480, la descrizione sommaria dei beni da consegnare o rilasciare (solitamente integrabile dall'esame dello stesso titolo esecutivo) e, qualora nel titolo si stabilisca un certo termine per la consegna o il rilascio, deve farvi riferimento, nell'intimazione. - l’art.608-bis, che estende all'esecuzione per consegna o rilascio la possibilità den'estinzione per rinuncia dell’istante - l'art.610, che consente a ciascuna parte, se nel corso dell'esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, di chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. La norma, nella sua genericità, si presta ad essere utilizzata con molta elasticità, a fronte di difficoltà sia materiali, che giuridiche; comunque, i provvedimenti temporanei di cui essa discorre, che si ritengono in ogni tempo revocabili e modificabili, non possono avere ad oggetto, neppure indirettamente, il diritto di procedere ad esecuzione forzata (altrimenti, rivestireb- bero la natura di una sentenza, non dissimile da quella resa in seguito ad un'opposizione all'esecuzione). - l'art.611, che prevede che il giudice dell'esecuzione liquidi le spese del procedimento, con decreto che costituisce titolo esecutivo, «a norma degli artt.91 ss»; il che significa che la liquidazione è posta a carico della parte esecutata e deve comprendere anche il rimborso delle spese dell'eventuale rappresentanza tecnica. In assenza di una disposizione ad hoc, si ritiene che tale provvedimento abbia natura monitoria, come se si trattasse di un decreto ingiuntivo, e sia pertanto impugnabile tramite un'opposizione dinanzi allo stesso giudice che l'ha pronunciato, ex artt.633 ss 2) L’ESECUZIONE PER RILASCIO D’IMMOBILE L'esecuzione per rilascio d'immobile ha formalmente inizio, ex art.608, con un preavviso che l’ufficiale giudiziario, su sollecitazione della parte istante, deve notificare all'intimato almeno 10gg prima dell'accesso sul luogo dell'esecuzione, specificando il giorno e l'ora in cui tale accesso avverrà. Nel giorno e nell'ora stabiliti, l'ufficiale giudiziario si reca sul luogo e, facendo uso all'occorrenza dei poteri (anche coercitivi) a lui attribuiti dall'art.513, immette la parte istante o altra persona da lei designata nel possesso dell'immobile, consegnandole le chiavi o «ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore»; il che conferma che l'esecuzione per rilascio è utilizzabile, in linea di principio, anche se l'immobile è materialmente detenuto da un soggetto diverso da quello che dal titolo risulta obbligato al rilascio, sul presupposto che la parte istante non disconosca il diritto del terzo a mantenere la detenzione dell' immobile. 280 3) LE MISURE COERCITIVE PER L’ATTUAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI FARE INFUNGIBILE E DI NON FARE Per assicurare l'esecuzione (indiretta) delle condanne aventi ad oggetto obblighi di fare infungibile o di non fare, che non potrebbero trovare attuazione attraverso il processo esecutivo, il legislatore del 2009 ha previsto nell'art.614-bis che il giudice, con il provvedimento di condanna, fissi su richiesta di parte, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, la somma di denaro (determinata tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato e prevedibile e di ogni altra circostanza utile) dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Si tratta di un istituto che non ha nulla a che vedere con l'esecuzione forzata vera e propria, ma di una misura coercitiva civile di carattere generale (mentre prima le misure coercitive erano previste solo in relazione ad ipotesi tipiche), la cui applicazione compete al giudice della cognizione. Per la verità il riferimento ai soli obblighi infungibili (di fare o di non fare), contenuto nella rubrica dell'art.614-bis, non si ritrova nel testo della norma, che in teoria potrebbe attagliarsi all'esecuzione di qualunque obbligo di fare (ancorché fungibile), di non fare o di disfare. La stessa collocazione dell'art.614-bis, tuttavia, consente di comprendere come il legislatore intendesse circoscriverne l'applicazione alle sole ipotesi in cui non è utilizzabile l'esecuzione forzata diretta). La lettera della norma induce a ritenere che l'imposizione di tale misura coercitiva debba avvenire con lo stesso provvedimento di condanna all'adempimento dell'obbligo di fare o non fare, restando esclusa la possibilità di chiederne la pronuncia con un'azione successiva, probabilmente perché il giudice cui è richiesta la condanna all'adempimento di un determinato obbligo si trova nella posizione migliore per valutare l’an ed il quantum della sanzione, alla luce degli elementi indicati dallo stesso art.614-bis. Il capo relativo all'applicazione della misura coercitiva costituisce una statuizione accessoria rispetto alla condanna principale, concernente l'adempimento dell'obbligo infungibile; sicché, - qualora quest'ultima sia caducata dal giudice dell'impugnazione, ne resterà automaticamente travolta (ex art.336, co.1) anche la prima. Dall'ambito di applicazione dell'art.614-bis, restano espressamente escluse, in base al co.1, le controversie di lavoro subordinato, pubblico o privato, e quelle relative ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co); soluzione comprensibile per la naturale incoercibilità delle obbligazioni gravanti sul lavoratore (o quanto meno di quella principale, avente ad oggetto la prestazione lavorativa), molto meno scontata relativamente alle obbligazioni del datore di lavoro- imprenditore (per es. la materiale reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato). Un'analoga esclusione non è stata prevista per i rapporti di lavoro autonomo o professionale, per i quali si profilano esigenze del tutto analoghe dal punto di vista della tutela della dignità e della sfera di libertà del prestatore d'opera (si pensi allo scrittore che si sia obbligato nei confronti dell'editore a scrivere un romanzo). Tale discriminazione, non giustificabile con la mera assenza della subordinazione (o parasubordinazione), fa sorgere dubbi d'illegittimità costituzionale. Inoltre, l'applicazione della misura coercitiva deve escludersi allorché sarebbe manifestamente iniqua. Posto che - il ricorso alle misure coercitive, in tanto ha senso e può giustificarsi, in quanto l'interesse del titolare del diritto leso non possa trovare piena ed integrale realizzazione o soddisfazione, seppure, eventualmente, ex post - per altre strade. Si è osservato, ad esempio, che, sebbene l'obbligo di concludere un contratto sia di per sé infungibile, l'esistenza di un rimedio ad hoc (art.2932 cc), lo rende giuridicamente fungibile e per- tanto esclude la possibilità di applicare l'art.614-bis. 283 - ex art.2058 cc, la reintegrazione in forma specifica può essere accordata al danneggiato, in luogo del risarcimento per equivalente, solo a condizione ch'essa non risulti «eccessivamente onerosa per il debitore». - l'alternativa, ogniqualvolta si escluda l'esecuzione indiretta, è la tutela meramente risarcitoria. Si può pensare che l'imposizione di una misura coercitiva debba essere negata (almeno) quando: 1) l'adempimento dell'obbligo implicherebbe una penalizzazione eccessiva per il débitore, magari sacrificando (anche) un suo interesse non patrimoniale; 2) il facere infungibile si concreti in una prestazione dal carattere strettamente personale (qual è quella richiesta, ad es., al lavoratore autonomo o al professionista) cui si contrappone, dal lato del creditore, un interesse di natura meramente patrimoniale, che può trovare piena soddisfazione nel risarcimento per equivalente. Queste limitazioni riguardano essenzialmente gli obblighi positivi di fare, mentre sembra più difficile ipotizzare che l’adempimento di un obbligo di non fare possa configgere con un apprezzabile interesse non patrimoniale del debitore. Qualche perplessità, sotto il profilo della compressione che può derivarne in danno del diritto di difesa del debitore, è legata al fatto che il provvedimento che impone la misura coercitiva ha efficacia di titolo esecutivo per «il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza successiva»: si è in presenza di una sorta di condanna in futuro dall'oggetto indeterminato, che l'attore vittorioso può porre in esecuzione in ogni momento, adducendo semplicemente l'intervenuta violazione (o reiterate violazioni) dell'obbligo assistito da astreinte. Se è vero, infatti, che il debitore, laddove voglia contestare tale violazione, può proporre opposizione all'esecuzione, ciò non toglie che egli possa subire, per intanto, un pignoramento del tutto arbitrario nell'an o nel quantum, fondato solo sulle affermazioni del creditore. Peraltro, l'art.614-bis discorre solo di «violazione o inosservanza successiva» (che parrebbe sottintendere un dovere negativo di astensione) e non anche - come nel primo periodo - del «ritardo nell'esecuzione del provvedimento» (che invece presuppone un obbligo di fare). Tale circostanza può dunque suggerire un'interpretazione restrittiva, che limiti l'esecutività della condanna in futuro alla sola violazione o inosservanza di provvedimenti recanti la condanna ad un non facere; tenuto anche conto che il risarcimento del danno da mero ritardo nell'adempimento di un obbligo di fare infungibile potrebbe sollevare questioni legate all'accertamento dell'effettiva imputabilità del ritardo al debitore, soprattutto quando l'adempimento non possa avvenire uno actu. Stando alla ricostruzione preferibile, l'istanza diretta all'applicazione dell'art.614-bis costituisce una vera e propria domanda accessoria (ex art.31), che concorre a determinare il valore della causa (art.10, co.2), vincola il giudice quanto al limite massimo della condanna (art.112), e deve tener conto delle ordinarie preclusioni riguardanti la proposizione delle (nuove) domande, tanto più che l'accertamento dei relativi presupposti potrebbe rendere necessaria una specifica attività istruttoria. La statuizione che impone la misura coercitiva costituisce un «capo» di sentenza autonomo, suscettibile di inibitoria in sede d'impugnazione. Secondo l'opinione più persuasiva (ma minoritaria), l'art.614-bis non può essere utilizzato dal giudice del procedimento cautelare, che pure sia chiamato a tutelare un diritto cui corrisponde, dal lato passivo, un obbligo di fare infungibile o di non fare. Difatti, sebbene non vi sia un'incompatibilità logica ed assoluta tra la sommarietà della cognizione e le misure coercitive, la collocazione della norma, all'interno della disciplina dell'esecuzione forzata in forma specifica, lascia intendere che il legislatore ha avuto presente solo l'attuazione di una sentenza o comunque di un provvedimento di condanna idoneo al giudicato, avente efficacia di titolo esecutivo; mentre l'attuazione dei provvedimenti cautelari, che non costituiscono mai titolo esecutivo in senso proprio, avviene secondo una logica diversa ed in particolare, quando abbia ad oggetto obblighi di fare o non fare, sotto il controllo dello stesso giudice che ha pronunciato il prov- vedimento 284 6. LE OPPOSIZIONI DEL DEBITORE E DEI TERZI 1) I RIMEDI CONTRO L’ESECUZIONE FORZATA INGIUSTA O ILLEGITTIMA L'esistenza di un titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente perché il processo esecutivo abbia inizio, ma ciò non esclude che l'esecuzione possa essere - ingiusta, poiché il diritto risultante dal titolo si è già estinto o addirittura non è mai esistito - illegittima, o perché non avrebbe dovuto neppure iniziare, o perché viziata in alcuno dei suoi atti. In tutti questi casi, il debitore e gli altri soggetti direttamente coinvolti dal processo esecutivo possono (o devono) far valere le proprie doglianze attraverso una opposizione, che può introdurre un vero e proprio giudizio di cognizione (destinato a concludersi con sentenza) collegato al processo esecutivo dal quale trae origine, ma eventualmente provvisto anche di una sua autonomia, in particolare quando abbia ad oggetto l’inesistenza del diritto risultante dal titolo esecutivo. L'opposizione, soprattutto quando proviene dal debitore, tende solitamente ad ottenere, come provvedimento anticipatorio ed immediato, la sospensione del processo esecutivo, per evitare che il compimento dell'esecuzione forzata dia luogo a situazioni giuridicamente o materialmente irreversibili. Le opposizioni disciplinate dal cpc sono di tre tipi: - l'opposizione all'esecuzione (art.615) che. prescindendo dall’ipotesi in cui sia utilizzata per far valere l'impignorabilità dei beni, investe l'an (cioè il se) dell'esecuzione, giacché mira ad ottenere una pronuncia in cui si dia atto che la specifica azione esecutiva di cui trattasi non può o non poteva essere promossa o comunque proseguita - l'opposizione agli atti esecutivi (art.617), che concerne solo il quomodo dell'esecuzione (ossia il modo in cui essa è stata intrapresa o si sta svolgendo) e riguarda specifici atti (o provvedimenti) del processo esecutivo - l'opposizione del terzo all'esecuzione (art.619). 2) L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE: MOTIVI E LEGITTIMAZIONE L'opposizione (a precetto e) all'esecuzione può fondarsi sulla: 1) mancanza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni e dei presupposti specifici dell'azione esecutiva: a) assoluto difetto di un titolo esecutivo: ad es, un'esecuzione erroneamente intrapresa in forza di una sentenza di mero accertamento o di condanna generica. b) Il titolo esecutivo deve sussistere non solo nel momento iniziale dell'esecuzione, ma pure per tutto il suo corso; sicché, ad es., l'opposizione potrebbe servire a far valere il venir meno dell'esecutività di una sentenza (di condanna), conseguente all'accoglimento dell'inibitoria da parte del giudice dell'impugnazione; c) inidoneità del titolo esecutivo a sorreggere un determinato tipo di esecuzione: ad es., un'esecuzione di consegna o rilascio avviata sulla base di una scrittura privata autenticata; d) difetto di legittimazione attiva o passiva all'azione esecutiva e) violazione di divieti, magari temporanei, al promovimento dell'azione esecutiva: ad es., il divieto di azioni individuali su beni dell’'imprenditore fallito Anzi, poiché in questi casi si tratta di vizi che potrebbero emergere dallo stesso titolo esecutivo (o dal precetto), nulla esclude che siano rilevati d'ufficio dal giudice dell'esecuzione o, ancor prima, dall'ufficiale giudiziario richiesto di dar corso all'esecuzione forzata (che, ad es., potrebbe rifiutarsi di eseguire il pignoramento in difetto di un idoneo titolo esecutivo. Diverso è il caso in cui il titolo esecutivo, pur esistente, non sia stato esibito); 2) inesistenza (originaria o sopravvenuta) del diritto risultante dal titolo (opposizioni di merito); qui l'opposizione tende a dimostrare che il diritto risultante dal titolo non è mai esistito o si è comunque estinto. È necessario distinguere: a) al cospetto di un titolo giudiziale, i motivi deducibili con l'opposizione sono piuttosto limitati, dovendosi tener conto, a seconda dei casi, vuoi della preclusione derivante dal giudicato (se trattasi 285 Il giudizio è poi definito con sentenza non impugnabile (art.618, co.3), però ricorribile per ricorso straordinario in Cassazione, ex art.111 Cost, e soggetta a regolamento di competenza. L'opposizione, rappresentando un rimedio di carattere generale rispetto all'illegittimità degli atti (e dei provvedimenti) del processo esecutivo, è utilizzabile non solo dal debitore esecutato, bensì da tutti i soggetti coinvolti in tale processo e dunque interessati al suo corretto svolgimento (oltre al creditore procedente e ai creditori intervenuti, il debitor debitoris, nell'espropriazione presso terzi, e l'aggiudicatario); i quali, anzi, laddove possano risentire effetti positivi o negativi dall'accoglimento dell'opposizione, si ritiene assumano la qualità di litisconsorti necessari nel relativo giudizio. 4) L’OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE Se l'espropriazione forzata colpisce per errore beni di proprietà di un terzo o sui quali egli vanti un diritto reale di godimento, questi ha a propria disposizione la specifica opposizione disciplinata dagli artt.619 ss ed esperibile senza particolari limiti temporali (purché prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione), che introduce un giudizio a cognizione piena avente ad oggetto il diritto affermato dall'opponente. Non sempre l'opposizione ex art. 619 rappresenta per il terzo uno strumento esclusivo ed indispensabile: in alcuni casi, infatti - in particolare quando, trattandosi di un'espropriazione immobiliare, non sia applicabile il principio per cui l'acquisto del possesso in buona fede vale titolo - egli potrebbe anche agire in rivendica, dopo la conclusione del processo esecutivo, direttamente nei confronti dell'acquirente o dell'assegnatario. Tuttavia, il terzo ha sempre interesse ad evitare che i propri beni vengano coinvolti dall'espropriazione; sicché la scelta dell'opposizione mira ad ottenere la sospensione dell'esecuzione, nel tempo occorrente perché si decida sull'esistenza del diritto ch'egli vanta sui beni pignorati. Se poi la sospensione non viene concessa, o l'opposizione è proposta in un momento successivo alla vendita (ed anteriore al riparto), il terzo può far valere il proprio diritto sulla somma ricavata dalla vendita (art.620). L'art.621, per proteggere i creditori da possibili accordi fraudolenti tra debitore e terzi, impedisce all'opponente di provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, a meno che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione, o dal commercio esercitati dal debitore o dal terzo (si pensi all'ipotesi in cui siano stati pignorati degli orologi ad un debitore che, per mestiere, svolge attività di riparazione di tali oggetti). Si tratta di una presunzione legale (relativa) di appartenenza al debitore di tutti i beni mobili esistenti presso la sua abitazione o azienda, che la giurisprudenza ritiene superabile solo attraverso un atto scritto, avente data certa anteriore al pignoramento, da cui risultino tanto il diritto di pro- prietà del terzo sui beni pignorati, quanto il titolo del loro affidamento al debitore esecutato. Il procedimento ricalca quello dell'opposizione del debitore; sicché, tenuto conto che in questo caso si tratta di un'esecuzione necessariamente già iniziata, l'opposizione va proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione, che fissa con decreto l'udienza di comparizione ed il termine per la notificazione del ricorso e del decreto. All'udienza le parti possono raggiungere un accordo (ad esempio riconoscendo in tutto o in parte i diritti vantati dal terzo sui beni pignorati); ed allora il giudice deve darne atto con ordinanza, adottando i provvedimenti diretti ad assicurare, a seconda dei casi, la prosecuzione o l'estinzione del processo esecutivo, e statuendo nella seconda ipotesi anche sulle spese. Se invece l'accordo non viene raggiunto, il giudice provvede sull'istanza di sospensione dell'esecuzione, e poi, a seconda che la competenza sul merito dell'opposizione spetti al suo stesso ufficio giudiziario o ad uno diverso, fisserà un termine per l’introduzione o per la riassunzione del relativo giudizio. L'opposizione ex art.619, stante il preciso riferimento all'esistenza di un diritto del terzo sui beni pignorati, sembra utilizzabile nei confronti della sola espropriazione, e non anche quando la 288 lesione del diritto del terzo derivi da un'esecuzione forzata in forma specifica, diretta alla consegna o rilascio o all'attuazione di obblighi di fare o disfare. Secondo l'opinione oggi prevalente, dovrebbe distinguersi a seconda che il terzo intenda: - semplicemente contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente nei suoi confronti: il rimedio sarebbe la opposizione all'esecuzione ex art.615 (della quale l'opposizione prevista dall'art.619 è solo una sottospecie); - rimettere in discussione la legittimità del titolo esecutivo alla cui formazione è rimasto estraneo: sarebbe necessaria l’impugnazione del titolo esecutivo con l’opposizione di terzo (ordinaria o revocatoria). Nella pratica, tuttavia, tale criterio distintivo appare equivoco. Mentre è certo, infatti, che i terzi titolari di diritti dipendenti da quella accertato nel titolo esecutivo possono usufruire, in linea di principio, solo dell’opposizione di terzo revocatoria, sempre che deducano il dolo o la collusione delle partì in loro danno e si tratti di una sentenza passata in giudicato (potendo altrimenti intervenire nel relativo giudizio che fosse ancora in corso), i titolari di diritti autonomi ed incompatibili con quello risultante dal titolo (almeno quando quest'ultimo sia costituito da una sentenza) sono sottratti agli effetti (di accertamento e, a maggior ragione, esecutivi) del provvedimento reso inter alias, e possono avvalersi dell'opposizione ordinaria ogniqualvolta abbiano motivo dì temere un pregiudizio dall'esecuzione del provvedimento stesso. Però, il titolo esecutivo potrebbe non essere una sentenza e neppure un titolo giudiziale, nei cui confronti sarebbe esclusa a priori l'opposizione ex art.404 e l'unico rimedio sarebbe offerto dall'opposizione all'esecuzione, ogniqualvolta il terzo vantasse un diritto autonomo (non importa se compatibile o no con quello risultante dal titolo). Si può pensare, allora, che la necessità di avvalersi dell'opposizione ordinaria in luogo dell'opposizione all'esecuzione vada circoscritta alle sole ipotesi in cui, basandosi l'esecuzione forzata su una sentenza, la contestazione del terzo miri ad ottenerne la riforma (anche) tra le partì (per es. quando si tratti di un litisconsorte necessario pretermesso oppure di un soggetto falsamente rappresentato nel giudizio in cui la sentenza è stata resa. 289 7. LA SOSPENSIONE E L'ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO 1) LA SOSPENSIONE Mentre nel processo di cognizione dovrebbe rappresentare un evento anomalo, nell'ambito del processo esecutivo la sospensione gioca un ruolo assai importante, poiché serve generalmente ad evitare che un'esecuzione forzata ingiusta o comunque illegittima determini una situazione non più reversibile in danno del debitore. In questo caso, la sospensione mira essenzialmente a coordinare il processo esecutivo alle varie parentesi di cognizione che su di esso possono innestarsi (in particolare, in conseguenza di un'opposizione), o all'autonomo giudizio in cui si discuta, in sede d'impugnazione, dell'esistenza del diritto risultante da un titolo di formazione giudiziale (come una sentenza di condanna di primo grado, appellata). Nel contempo, essendo volta a fronteggiare il periculum rappresentato, per il debitore, dal compimento (o anche dal mero inizio) dell'esecuzione, essa svolge una funzione schiettamente cautelare. Altre due autonome ipotesi di sospensione (discrezionali) sono previste con riguardo alla sola espropriazione forzata; la prima si riferisce specificamente alla fase di distribuzione del ricavato e presuppone che sia sorta, in tale fase, una delle controversie di cui all'art.512; la seconda, disciplinata dall'art.624-bis, riposa sulla volontà concorde dei creditori Non mancano, infine, fattispecie di sospensione previste direttamente dalla legge (ciò ch'è spesso avvenuto, ad es., per l'esecuzione delle procedure di rilascio per finita locazione di immobili adibiti ad uso abitativo) o comunque da essa desumibili: esempio di questa seconda ipotesi, l'art.549, da cui può dedursi che l'espropriazione presso terzi è sospesa per il tempo occorrente alla definizione dell'eventuale giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. A parte queste eccezioni, però, la sospensione può derivare solo da un provvedimento del giudice dell'esecuzione, o, trattandosi di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, dei giudice dinanzi al quale esso è stato impugnato. In queste ipotesi, come pure nel caso dell'opposizione a precetto (art.615 co.1), è altresì possibile ottenere in via preventiva - rispettivamente, dal giudice dell'impugnazione o da quello dell'opposizione - la sospensione della efficacia esecutiva del titolo, che impedisce che l'esecuzione forzata abbia inizio e dunque previene l'eventuale danno che al debitore potrebbe derivare, ad es., dal pignoramento. 2) LA SOSPENSIONE CONSEGUENTE AD UN’OPPOSIZIONE Prescindendo dalle ipotesi in cui è prevista dalla legge o è disposta dal giudice dell'impugnazione di un titolo esecutivo giudiziale, la sospensione di regola presuppone che sia stata proposta un'opposizione all'esecuzione, vi sia l'istanza della parte interessata e ricorrano gravi motivi (art.624, co.1). Dagli artt.618 co.2., e 624, ult. co., inoltre, si evince ch'essa può scaturire anche da un'opposizione agli atti esecutivi; nel qual caso, anzi, parrebbe anche svincolata dalla sussistenza di gravi motivi e rimessa alla discrezionalità del giudice (considerate le conseguenze che il vizio denunciato potrebbe concretamente avere sulle sortì della procedura esecutiva) Sulla richiesta di sospensione il giudice provvede con ordinanza, soggetta (in ragione della sua natura essenzialmente cautelare) al reclamo al collegio di cui all'art.669-terdecies. L'art.624 co.1 fa riferimento, a tal proposito, alla “opposizione all'esecuzione a norma degli artt.615 e 619”, ma l'opinione prevalente giustamente ritiene che il richiamo debba estendersi all'opposizione a precetto (anch'essa contemplata dall'art.615, nel co.l e comunque appartenente al genus delle opposizioni all'esecuzione), poiché la natura del provvedimento di sospensione, nelle 2 ipotesi, è la stessa, per cui un'eventuale loro discriminazione, in punto di impugnabilità del provvedimento, sarebbe del tutto irrazionale. 290 Il reclamo è previsto espressamente nelle sole ipotesi indicate sub a) e b)., ma, poiché la Consulta, in passato, lo ha già esteso all'ordinanza dichiarativa dell'estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti, è prevedibile che la giurisprudenza lo ammetterà anche nelle ipotesi sub c). Invece, per le fattispecie di estinzione atipiche, di creazione giurisprudenziale - in quanto non previste come tali dalla legge - e corrispondenti, in realtà, ad ipotesi di improseguibilità del processo esecutivo (ad es. per sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo), si ritiene che il rimedio utilizzabile per far valere i vizi del provvedimento non sia il reclamo, ma l'opposizione agli atti esecutivi. Ex art. 632, se l'estinzione interviene prima dell'aggiudicazione (anche provvisoria) o dell'assegnazione, l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti già compiuti (a partire dal pignoramento); altrimenti, l'aggiudicazione o l'assegnazione non ne vengono travolte e l'estinzione implica solo il diritto del debitore alla consegna della somma che ne è stata ricavata. Con l'ordinanza di estinzione il giudice deve anche disporre la cancellazione della trascrizione del pignoramento e provvedere tanto alla liquidazione del compenso spettante al soggetto cui erano state eventualmente delegate le operazioni di vendita (ex art.591-bis), quanto, se richiesto, alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti. Poiché, però, l’art.632 richiama l'art.310 ult. co., per cui le spese del processo estinto per inattività delle parti restano definitivamente a carico di chi le aveva anticipate, si ritiene che il diritto del creditore procedente e di quelli intervenuti al ristoro delle spese sopportate possa derivare solo da un accordo col debitore in occasione della rinuncia agli atti. 293 I PROCEDIMENTI SOMMARI (BALENA) 1. IL PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE 1) CARATTERISTICHE GENERALI Il procedimento per ingiunzione, introdotto nel 1922, è oggi il più importante fra i procedimenti sommari, costituendo lo strumento attraverso il quale trovano soddisfazione un grandissimo numero di diritti dì credito, altrimenti destinati a passare attraverso il processo ordinario o comunque un processo a cognizione piena. Ciò che contraddistingue più visibilmente il procedimento monitorio, è l'assoluto difetto del contraddittorio nella sua prima fase, che in realtà esaurisce il procedimento sommario propriamente detto. Qualora il giudice reputi fondata la domanda del creditore, tale fase si conclude con la pronuncia di un decreto, in cui viene ingiunto al debitore di pagare una certa somma di denaro (o, più in generale, di adempiere, dato che il diritto vantato dal creditore potrebbe anche avere un oggetto diverso dal pagamento) entro il termine indicato nello stesso provvedimento (di regola 40 giorni), con l'avvertimento che nello stesso termine gli è consentito di proporre opposizione. Se il debitore, cui il decreto dev'essere notificato, non propone tempestiva opposizione, il provvedimento acquista una stabilità analoga a quella di una sentenza (di condanna) passata in giudicato e (qualora non lo fosse già prima) diventa titolo esecutivo. Se invece l'opposizione viene proposta, si apre una nuova e distinta fase processuale, che, seppure con alcune peculiarità, ha la natura di un giudizio (di primo grado) a cognizione piena, governato dalle regole ordinarie e destinato a concludersi con una sentenza, che prenderà il posto del provvedimento sommario. 2) L’OGGETTO DELL’INGIUNZIONE E I RELATIVI PRESUPPOSTI Art. 633 c.p.c. 1. Su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna: 1) se del diritto fatto valere si dà prova scritta; 2) se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo; 3) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. 2. L'ingiunzione può essere pronunciata anche se il diritto dipende da una controprestazione o da una condizione, purché il ricorrente offra elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione. Stando a quanto si desume dall'art.633, il procedimento d'ingiunzione è utilizzabile per le domande (di condanna) aventi ad oggetto: a) il pagamento di una somma di danaro liquida, ossia già determinata o determinabile nel suo ammontare; b) la consegna di una determinata quantità di cose fungibili (per es. un quintale di legna da ardere); c) la consegna di una cosa mobile determinata (per esempio di un certo quadro). L'ambito di applicazione, dunque, è assai vasto, restando escluse solo le domande concernenti il rilascio di immobili o l'adempimento di obblighi di fare o di disfare. Il presupposto essenziale, però è che del diritto fatto valere si dia prova scritta (art.633), ossia che i fatti costitutivi del diritto risultino da una prova documentale. 294 Per questo si discorre di procedimento monitorio documentale, in contrapposizione a quello puro, in cui l'ingiunzione viene concessa in base alle mere allegazioni del creditore, senza alcuna verifica, seppure sommaria, della fondatezza della pretesa. Il presupposto della prova scritta dovrebbe valere, in linea di principio, per tutti i fatti costitutivi, non essendo concepibile, in questo procedimento, un'attività istruttoria diretta ad integrare la prova documentale offerta dal creditore, ma se il diritto posto a base della domanda d'ingiunzione dipende da una controprestazione o da una condizione (si pensi all'ipotesi del contratto di compravendita, in cui il pagamento del prezzo sia previsto dopo la consegna del bene) è sufficiente che il ricorrente fornisca una prova indiretta, offrendo elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione. Tuttavia, il concetto di prova scritta necessaria e sufficiente in sede monitoria è assai più ampio ri- spetto a quello che verrebbe in rilievo in un processo a cognizione pieno, nel senso che, ai soli fini della pronuncia del decreto ingiuntivo, possono utilizzarsi anche dei documenti che non varrebbero come prova secondo le regole ordinarie e che talvolta provengono dallo stesso creditore. In particolare, la prova scritta può esser data (artt.634-635): a) da polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e telegrammi, anche se privi dei requisiti prescritti dal cc; b) limitatamente ai crediti relativi a somministrazioni di merci e di denaro o a prestazioni di servizi effettuate da imprenditori esercenti un'attività commerciale, da estratti autentici delle scritture contabili prescritte dal cc o dalle leggi tributarie, purché bollate e vidimate e comunque tenute se- condo le nonne per esse stabilite. Talvolta la giurisprudenza sembra includere tra le prove scritte in questione la fattura emessa dall'imprenditore-creditore ma si tratta di un'estensione del tutto arbitraria, giacché, stando a ciò che si evince dall'art.634, la fattura può essere utilizzata solo quando sia accompagnata dall'estratto autentico delle scritture contabili fiscali in cui essa sia stata debitamente annotata. Stando ai principi, i libri e le scrittore contabili dell'impresa potrebbero eventualmente far prova in favore dell'impresa stessa solo nei rapporti con altri imprenditori; ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, invece, essi sono reputati sufficienti anche quando il credito sia vantato nei confronti di persone che non esercitano alcuna attività commerciale; c) per i crediti di una banca, dall'estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, che deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido; d) per i crediti dello Stato o di enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato, dai libri o registri della PA, purchè un funzionario all'uopo autorizzato o un notaio ne attesti la regolare tenuta a norma delle leggi e dei regolamenti; e) per i crediti derivanti da omesso versamento di contributi previdenziali o assistenziali obbligatori inerenti ai rapporti di lavoro, dagli accertamenti eseguiti dall'ispettorato del lavoro o dai funzionari degli enti creditori; Si ritiene, peraltro, che l’elenco abbia carattere solo esemplificativo e che la prova scritta possa consistere, più in generale, in qualunque documento (proveniente dal debitore o anche da un terzo, nei limiti in cui da esso possa desumersi in via diretta l'esistenza di fatti costitutivi del diritto posto a base della domanda d'ingiunzione: si pensi al condebitore solidale che, avendo soddisfatto Interamente il debito comune, agisca in via di regresso nei confronti di un altro condebitore, adducendo come prova scritta una quietanza rilasciatagli dal creditore) intrinsecamente idoneo a dimostrare, seppure in maniera non incontrovertibile, l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato, anche quando esso difetti dei requisiti formali che sarebbero necessari in un giudizio a cognizione piena: si pensi, alla scrittura privata non autenticata o magari prodotta in copia fotostatica, la quale, potendo essere tranquillamente disconosciuta dal preteso debitore, non può ancora reputarsi legalmente riconosciuta né possiede l'efficacia probatoria di cui all'art.2702. 295 6) L’EVENTUALE ESECUTIVITA’ PROVVISIORIA ORIGINARIA DEL DECRETO INGIUNTIVO Di regola il decreto ingiuntivo acquista la qualità di titolo esecutivo allo spirare del termine per l'opposizione o dal giorno in cui viene rigettata, se proposta. Ciò nondimeno, il giudice, in certi casi, può o addirittura deve concedere l'esecuzione provvisoria del decreto, fin dal momento in cui pronuncia l'ingiunzione (e dunque inaudita altera parte) o dopo l'inizio del giudizio di opposizione da parte dell'intimato. Ex art.642, il decreto ingiuntivo è reso immediatamente esecutivo, su istanza del ricorrente, quando: - il credito è fondato su cambiale, assegno bancario o circolare, certificato di liquidazione di borsa o atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato; la provvisoria esecutività è obbligatoria - vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo - il ricorrente ha prodotto documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere. la provvisoria esecutività è discrezionale, e il giudice può anche subordinarla alla prestazione di una cauzione (per le eventuali restituzioni e per le spese) da parte del ricorrente. Se reso provvisoriamente esecutivo, il provvedimento ingiunge al debitore di pagare o consegnare senza dilazione, onde evitare l'esecuzione forzata, ed il termine di cui all'art.641 viene fissato ai soli fini della proposizione dell'opposizione. In questi casi, anzi, il giudice può anche dispensare il ricorrente dall'osservanza del termine di 10gg di cui all'art.482. Inoltre, il decreto provvisoriamente esecutivo è titolo per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale sui beni del debitore (art.655). 7) L’OPPOSIZIONE DEL DEBITORE, TEMPESTIVA O TARDIVA Se l'intimato, ricevuta la notifica del decreto ingiuntivo, intende reagire ed evitare ch'esso divenga definitivo, deve, entro il termine indicato nel decreto stesso (solitamente 40 giorni), proporre opposizione dinanzi all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento, di regola con atto di citazione notificato al ricorrente, a seconda dei casi, presso il difensore- procuratore oppure nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio (art.645 co.1). La possibilità di un'opposizione tardiva, è circoscritta dall'art.650 alle sole ipotesi in cui l'intimato provi di non avere - avuto tempestiva conoscenza del decreto per irregolarità della notificazione o caso fortuito o forza maggiore; - seppur a conoscenza del provvedimento, potuto proporre tempestiva opposizione per caso fortuito o forza maggiore. La previsione sembra addossare all'ingiunto un onere probatorio assai gravoso (in quanto la prova verte su un fatto negativo) e, se applicata anche ai casi di vera e propria nullità della notificazione, contraddice il principio per cui quod nullum est nullum producit effectum, in base al quale la notifica del decreto dovrebbe essere inidonea a far decorrere il termine per l'opposizione. Peraltro, anche l'opposizione tardiva, quando è ammessa, incontra un limite temporale insuperabile, rappresentato dal decorso del termine di 10gg dal compimento del primo atto dell'esecuzione forzata. L’art. 78 d.l. n. 69/2013, poi, introduce alcune modifiche al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, intervenendo sia sull’art. 645 che sull’art. 648 c.p.c. Nel primo caso viene aggiunto un periodo al co. 2 che prevede per l’anticipazione della prima udienza di comparizione e trattazione. Come noto, l’art. 163 bis, co. 3, c.p.c. prevede che, qualora il termine a comparire assegnato dall’attore con la notifica dell’atto di citazione ecceda il termine minimo di 90 giorni (se la notificazione avvenga in Italia) o di 150 giorni (se la notificazione avvenga all’estero), il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al giudice che l’udienza per la comparizione e trattazione sia fissata «con congruo 298 anticipo su quella indicata dall’attore», sebbene sempre nel rispetto del termine minimo. Per effetto della modifica introdotta nel co. 2 dell’art. 645 c.p.c. con specifico riferimento all’applicazione del co. 3 dell’art. 163 bis al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, l’anticipazione della prima udienza di comparizione e trattazione dovrà essere disposta dal giudice fissando tale udienza a non oltre 30 giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire. L’obiettivo è evidente: consentire al convenuto nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, e cioè al titolare del credito oggetto dell’originario ricorso, che si presume maggiormente interessato ad arrivare nel più breve tempo possibile alla definizione della controversia, di ottenere un’anticipazione dell’udienza di prima comparizione e trattazione fissata dall’attore-opponente ad una data individuata entro i 30 giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire, così come indicato dal co. 1 dell’art. 163 bis c.p.c. Quanto alla seconda modifica che interessa il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, essa si ritrova nel co. 1 dell’art. 648 c.p.c. Qui viene ora stabilito espressamente che l’ordinanza sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto vada pronunciata nel corso della prima udienza di comparizione e trattazione. Il che implicitamente comporta che la relativa istanza per la concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto dovrà essere formulata dal creditore opposto già nella sua comparsa di costituzione e risposta, insieme alla dimostrazione della sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 648 per concederla e non potrà essere reiterata in un momento successivo. Entrambe le modifiche sono divenute applicabili ai decreti ingiuntivi notificati a partire dal 22 giugno 2013. Esse non fanno altro che recepire alcune buone prassi già seguite nella partica. Ma, come è facilmente intuibile, si tratta di due interventi che avranno un’incidenza limitata sul giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. 8) LA NATURA E L’OGGETTO (DUPLICE) DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE Ex art.645 co.2., il giudizio instaurato dall'opposizione dell’'intimato si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (standard o del lavoro) davanti al giudice adito. L'opposizione introduce un giudizio a cognizione piena ed esauriente, destinato a sfociare in una sentenza che, almeno in alcuni casi, è destinata a prendere il posto del decreto ingiuntivo. Si tratta di un processo di primo grado, nel quale dovrà accertarsi non semplicemente se sussistevano i presupposti per la pronuncia dell'ingiunzione, bensì se la domanda di condanna posta a base del decreto è fondata o no, con riferimento al momento in cui l'opposizione viene decisa nonché alla luce dei fatti allegati e delle prove assunte nel giudizio stesso; ciò implica, tra l'altro, che l'opposizione potrebbe approdare ad una sentenza di condanna anche quando il decreto ingiuntivo non avrebbe dovuto essere concesso, per difetto dei relativi presupposti; oppure, potrebbe concludersi col rigetto totale o parziale della domanda, o magari con una sentenza di cessazione della materia del contendere, allorché il diritto, esistente al momento della pronuncia dell'ingiunzione, si fosse successivamente estinto. In questi casi la (originaria) legittimità o illegittimità del provvedimento sommario inciderà sulla ripartizione delle spese del giudizio o comunque di quelle relative alla fase monitoria in senso stretto, ma non può impedire al giudice dell'opposizione di decidere sul merito della domanda di condanna in base alla situazione sostanziale così come accertata nel processo a cognizione piena. Sebbene l'opposizione sia instaurata dall'intimato, attore in senso processuale, la posizione delle parti, per ciò che attiene alla ripartizione degli oneri probatori, resta quella determinata dalla domanda formulata in via monitoria; sicché, se l'intimato ha l'onere di dare impulso al processo e di condurlo fino alla decisione (per evitarne l'estinzione, che provocherebbe il consolidarsi del provvedimento sommario), è il creditore - ricorrente che, avendo proposto la domanda, dovrà fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto. 299 Pertanto, le prove documentali utilizzate dal ricorrente per ottenere il decreto ingiuntivo potranno avere, nel giudizio di opposizione, solo l'efficacia loro attribuita dalle regole ordinarie, che in tale fase tornano ad avere piena applicazione. Ad es., se l'ingiunto non imprenditore propone opposizione contro un decreto pronunciato in base ad un estratto autentico delle scritture contabili dell'impresa, contestando i fatti costitutivi del credito, l'imprenditore-creditore sarà tenuto a fornire aliunde la dimostrazione del proprio diritto, giacché gli artt.2709 e 2710 cc escludono che tale documento possa far prova, in favore dell'imprenditore, nei confronti di chi non lo è a sua volta. Sembra lecito concludere che il giudizio di opposizione ha una natura composita e un oggetto essenzialmente duplice: pur dando luogo ad un processo di primo grado, opera come una vera e propria impugnazione del decreto pronunciato inaudita altera parte, ma nel contempo introduce un ordinario processo di cognizione, avente ad oggetto (almeno) la domanda di condanna già posta a fondamento del ricorso per ingiunzione, nonché, eventualmente, le ulteriori domande ad essa connesse, secondo i principi che consentono il cumulo oggettivo e soggettivo di cause. 9) LE POSSIBILI RELAZIONI CON ALTRI GIUDIZI A COGNIZIONE PIENA Se il più delle volte, essendo la decisione unitaria, la duplicità dell'oggetto del giudizio di opposizione non si fa neppure avvertire, talora essa emerge piuttosto nettamente. L'opinione oggi prevalente muove dalla premessa che quella del giudice dell'opposizione in quanto tale (ossia per quel che concerne l'impugnazione del decreto ingiuntivo) sia una competenza funzionale ed inderogabile, che non ammette deroghe per ragioni di connessione. Conseguentemente, ex art.645, co.1, si ritiene che a dover decidere sulla legittimità e validità del decreto, cioè sulla ricorrenza dei presupposti per la relativa pronuncia, è sempre 1'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, mentre può trasmigrare ad altro giudice (solo) la causa avente ad oggetto il merito dell'ordinaria azione di condanna virtualmente cumulata nel stesso giudizio di opposizione. Tale conseguenza ben si attaglia ad alcuni casi: a) in caso di incompetenza del giudice che ha pronunciato il decreto ingiuntivo, il giudice dell'opposizione deve revocare il decreto ingiuntivo con sentenza, in accoglimento dell'opposizione, e nel contempo rimettere al giudice competente (ai sensi dell'art.50) la sola causa ordinaria con- cernente il merito della domanda di condanna. b) Se la domanda di condanna posta a base dell'ingiunzione è connessa ad un'altra domanda oggetto di un separato giudizio (pendente dinanzi ad altro giudice) o, essendo proposta nello stesso giudizio di opposizione, esorbita la competenza del giudice adito (il caso più frequente è quello della domanda riconvenzionale avanzata dall'opponente dinanzi al giudice di pace, che appartenga per materia o valore alla competenza del tribunale), gli inconvenienti derivanti dalla trattazione separata di cause connesse, per quanto indesiderabili, sono gli stessi nei quali inevitabilmente ci s'imbatte ogniqualvolta, anche rispetto a due giudizi a cognizione piena,non è attuabile il simultaneus processus. Le maggiori perplessità riguardavano, invece, fino a qualche tempo fa, altre ipotesi, in relazione all’art.643,co.3, per cui (solo) la notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Infatti, è possibile che, anteriormente a questa notificazione (ma dopo l'inizio del procedimento monitorio), venga proposta, in via ordinaria e davanti ad un diverso ufficio giudiziario, una domanda. c) Di condanna in via ordinaria, che dà luogo ad una situazione di litispendenza (art.39); ma è un’ipotesi di scarso rilievo pratico, poiché presuppone che lo stesso creditore abbia proposto dapprima il ricorso per ingiunzione e poi, senza attendere la pronuncia del decreto e la sua notifica, l'azione in via ordinaria dinanzi ad un diverso giudice. d in relazione di continenza (tipico l'esempio del debitore che previene la richiesta di decreto ingiuntivo, da parte del creditore, proponendo un'ordinaria azione di accertamento negativo del credito); in passato, in relazione a tale ipotesi, più frequente, la giurisprudenza era divisa tra la 300 In caso di conciliazione il giudice, con ordinanza non impugnabile, deve semplicemente adeguare il decreto ingiuntivo all'accordo raggiunto dalle parti, eventualmente riducendo la somma (o la quantità di cose fungibili) per cui era stata pronunciata l'ingiunzione e rendendo quest'ultima esecutiva, qualora non lo fosse già prima. Se interviene una riduzione del quantum, relativamente ad un decreto provvisoriamente esecutivo in base al quale il creditore aveva intrapreso l'esecuzione forzata, gli atti esecutivi già compiuti, al pari dell'ipoteca giudi- ziale eventualmente iscritta, restano validi «fino a concorrenza della somma o quantità ridotta» (art.652). Se il giudizio di opposizione si estingue, il decreto ingiuntivo, che non sia già esecutivo, acquista efficacia di titolo esecutivo (art.653 co.1); quantunque non sia chiaro se ciò presuppone o no la definitività del provvedimento di estinzione. Se il giudizio si conclude con sentenza, deve ritenersi che quest'ultima, sia essa di accoglimento o di rigetto dell'opposizione, si sovrapponga e si sostituisca in ogni caso al decreto. Pertanto: a) in caso di accoglimento totale dell'opposizione, il decreto, pure se provvisoriamente esecutivo, resta immediatamente caducato, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza; b) se l'opposizione viene rigettata in toto, il rigetto equivale ad una condanna provvisoriamente esecutiva ipso iure ex art.282, ma il legislatore prevede che in tal caso lo stesso decreto acquisti (o conservi) l'efficacia di titolo esecutivo; c) se l'accoglimento dell'opposizione è solo parziale, il titolo esecutivo è costituito solo dalla sentenza e gli atti esecutivi anteriormente compiuti conservano efficacia nei soli limiti della somma o quantità riconosciuta dalla sentenza stessa. In tutti questi casi, ove accorra, l'esecutorietà del decreto ingiuntivo viene conferita con un ulteriore decreto dello stesso giudice che aveva pronunciato il primo provvedimento, scritto in calce all'originale dell'ingiunzione, e, per dare inizio all'esecuzione forzata, non è richiesta una nuova notificazione del provvedimento, che costituisce il titolo esecutivo, essendo sufficiente che nell'atto di precetto si faccia menzione di tale decreto di esecutorietà (art.654). 13) L’EFFICACIA DEL DECRETO INGIUNTIVO DIVENUTO IMMUTABILE E LE IMPUGNAZIONI STRAORDINARIE Ex art.647, se l'opposizione non è proposta nel termine, o l'intimato, dopo averla tempestivamente proposta, non si costituisce, il giudice, su istanza anche verbale del creditore - ricorrente, dichiara esecutivo il decreto (ammesso che non lo fosse già prima); a meno che, trattan dosi di omessa opposizione, non gli risulti o appaia probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del provvedimento e che, pertanto, debba disporsi la rinnovazione della sua notificazione. Salva quest’ipotesi, la scadenza del termine per l'opposizione o di quello per la costituzione dell'opponente rende l'opposizione, rispettivamente, improponibile o improcedibile e determina la liberazione della cauzione eventualmente prestata dal ricorrente. L'opinione dominante, nel silenzio della legge, ritiene che in questi casi, e in quello in cui il giudizio di opposizione si estingue, il decreto ingiuntivo acquisti un'efficacia analoga a quella di una sentenza passata in giudicato. Una parte autorevole della dottrina, al contrario, è dell'avviso che il decreto ingiuntivo debba avere un'efficacia preclusiva più circoscritta, impedendo al debitore le sole azioni, di natura lato sensu restitutoria, tendenti a privare il creditore della somma o del bene attribuitigli («preclusione pro judicato»). Tale tesi: - non condivide neppure la nozione di giudicato implicito sulle questioni che abbiano costituito una premessa indispensabile della decisione, incluse quelle concernenti l'esistenza e la validità del rapporto giuridico fondamentale da cui deriva il diritto dedotto in giudizio - si differenzia anche dalle tesi più restrittive circa i limiti oggettivi del giudicato, giacché esclude che al decreto ingiuntivo possano attribuirsi effetti riflessi relativamente ad altri diritti o rapporti giuridici eventualmente dipendenti dall'esistenza del credito (o del diritto alla consegna di bene mobile) riconosciuto nel provvedimento. Ostano alla piena assimilazione del decreto ingiuntivo divenuto esecutivo alla sentenza passata in giudicato il fatto che: 303 1) il rigetto dell'istanza di ingiunzione sia privo di qualunque efficacia preclusiva (art.640, ult co.) contraddice l'esistenza di un accertamento incontrovertibile del diritto posto a fondamento dell'ingiunzione. 2) la giurisprudenza ha sempre escluso ogni equiparazione tra il decreto ingiuntivo (ancora opponibile) e la sentenza (ancora impugnabile) con riguardo al previgente art.95,co.3, 1. fall., in base al quale, per non ammettere al passivo fallimentare un credito risultante dà una sentenza non passata in giudicato, era necessario impugnarla Il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo ex art.647, può impugnarsi - oltre che con l'opposizione tardiva - solo per revocazione, «nei casi di cui all'art.395 nn.1,2,5 e 6 e con opposizione di terzo revocatoria (art.656). La disciplina trascura l'ipotesi del decreto divenuto esecutivo per estinzione del giudizio di opposizione, ex art.653, e, pur alludendo alle fattispecie di revocazione straordinaria, vi include, inspiegabilmente, il n.5 e non il n.3. Mentre il primo ostacolo viene sontamente superato ammettendo un'interpretazione estensiva dell'art.656, il secondo, frutto probabilmente di una svista materiale del legislatore, parrebbe emendabile solo attraverso un intervento della Consulta. 304 2. IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO 1) CARATTERISTICHE GENERALI Il procedimento per convalida di licenza o sfratto, disciplinato dagli artt.657 ss., offre al locatore, che intenda agire per conseguire il rilascio dell’'immobile locato, la possibilità di ottenere in maniera piuttosto rapida un provvedimento che gli consente di accedere al processo esecutivo. Il procedimento inizia con un atto di citazione e dunque assicura, fin dal primo momento, un pieno contraddittorio tra le partì. La sua specialità (e sommarietà), pertanto, va ricercata nella circostanza che se il convenuto: a) omette di comparire alla prima udienza oppure non si oppone, il procedimento viene senz'altro definito con una ordinanza non impugnabile, equivalente, nella sostanza, ad una sentenza di condanna esecutiva; b) compare e si oppone, il giudizio deve necessariamente proseguire nelle forme e con le garanzie del processo a cognizione piena, per essere definito con una sentenza (impugnabile secondo le regole ordinarie), ma per intanto il giudice può pronunciare, in presenza di determinate condizioni, un'ordinanza non impugnabile di condanna al rilascio «con riserva delle eccezioni del convenuto». 2) LE IPOTESI CUI E’ ESPERIBILE Le azioni che possono esperirsi tramite il procedimento per convalida sono quelle di: - rilascio per finita locazione (art.657); in tal caso, il locatore può agire non solo per intimare al conduttore lo sfratto, allorché il contratto sia già scaduto (e la sua tacita rinnovazione sia esclusa o sia stata comunque impedita attraverso un atto ad hoc), ma pure in via preventiva, ossia prima ancora della scadenza del contratto, chiedendo un provvedimento di condanna in futuro. In tal caso, anzi, l'art.657 gli consente di cumulare in un unico contesto la licenza - ossia l'atto di natura sostanziale eventualmente necessario, in base al contratto, alla legge o agli usi, per evitare che il contratto si rinnovi - quanto la citazione per la convalida dell'intimazione, i cui elementi sono simili a quelli normalmente prescritti per l'atto introduttivo del processo ordinario. - sfratto per morosità (art.658), che implica una domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento nel pagamento del relativo canone. L'art.659, inoltre, prevede che il procedimento sia utilizzabile pure quando, trattandosi di un immobile il cui godimento costituisce il corrispettivo, anche parziale, di un contratto di prestazione d'opera (tipico è il caso dell'alloggio di servizio concesso al portiere dello stabile), tale contratto cessi per qualunque causa. 3) LA FASE INTRODUTTIVA E LA COSTITUZIONE DELLE PARTI La competenza per il procedimento di convalida, è attribuita inderogabilmente al tribunale del luogo in cui è ubicato l'immobile locato (art.661) e coincide, d'altronde, con quella, parimenti inderogabile, prevista in generale per tutte le cause in materia di locazione (artt.21, co.1 e 447-bis, co.2). L'atto introduttivo ha la forma della citazione, che però presenta alcune peculiarità (art.660): - non sono richiesti tutti gli elementi di cui all'art.163, ma solo quelli di cui all'art.125, integrati dall'invito a comparire nell'udienza indicata e dall'avvertimento che, in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto ai sensi dell'art.663; - il termine mimmo di comparizione è di'soli 20 giorni liberi e, su istanza dell'intimante, può essere abbreviato fino alla metà dal presidente del tribunale, allorché si tratti di una causa che richiede «pronta spedizione» (ossia che presenta connotati di particolare urgenza) - per ridurre al minimo l'eventualità che l’intimazione non pervenga materialmente a conoscenza del conduttore, è esclusa la possibilità ch'essa sia notificata presso il domicilio eletto e, se l'atto non viene consegnato nelle mani proprie dell'interessato, l'ufficiale giudiziario deve avvertirlo 305 Stando all'art.668, inoltre, l'unico rimedio idoneo a caducare l'ordinanza di convalida è l'opposizione tardiva, ammessa solo quando l'intimato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell’intimazione «per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore», o di non essere potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore. Tale opposizione, esperibile comunque non oltre 10 giorni dall'inizio dell'esecuzione forzata per rilascio, instaura un giudizio a cognizione piena ed esauriente e si propone con le stesse «forme prescritte per l'opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto applicabili»; questo giudizio è soggetto alla speciale disciplina menzionata nell'art.447-bis. La proposizione dell'opposizione non fa venir meno, di per sé, l'esecutività dell'ordinanza di convalida, ma il giudice, in presenza di «gravi motivi», può disporre, con ordinanza non impugnabile, la sospensione del processo esecutivo, eventualmente subordinata, qualora lo ritenga opportuno, alla prestazione di una cauzione da parte dell'opponente. La non impugnabilità del provvedimento di convalida è stata in parte ridimensionata: - sul piano strettamente interpretativo, poiché la giurisprudenza e la prevalente dottrina, ricorrendo al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, ritengono che, laddove l’ordinanza sia stata resa al di fuori degli specifici presupposti di legge (per es. nonostante l'opposizione dell’'intimato, o in mancanza dell'attestazione prescritta dal co.3 dell'art.663), essa debba considerarsi sentenza (di I grado) e sia dunque appellabile (seppure per motivi limitati). - dalla Consulta, che ha assoggettato l'ordinanza di convalida all'opposizione di terzo e alla revocazione per i nn.1 e 4. 308 3. I PROVVEDIMENTI CAUTELARI 1) PREMESSA La tutela cautelare si colloca all'interno del più ampio genus della tutela sommaria; la distinzione, rispetto ai provvedimenti sommari tout court, è divenuta oggi, almeno per quelli anticipatori, molto meno netta di quanto non fosse in passato, in conseguenza del mutato loro rapporto col processo a cognizione piena e dell'attenuazione della provvisorietà che li aveva sempre tradizionalmente contraddistinti. I provvedimenti cautelari contemplati nel Titolo I, Capo III, del Libro IV cpc, pur essendo quelli di più frequente utilizzazione, sono meno numerosi di quelli disciplinati altrove, nel codice civile, in leggi speciali e finanche nello stesso codice di rito 2) SEQUESTRI I vari tipi di sequestro. Il sequestro è la più tipica misura cautelare conservativa, mirando in genere a cristallizzare la situazione di fatto e di diritto, per evitare tutte quelle modificazioni, materiali o giuridiche, che potrebbero rendere difficile o impossibile o comunque scarsamente fruttuosa, l'attuazione del provvedimento di condanna a favore della parte che risulterà vittoriosa al termine del processo a cognizione piena. Il cpc prevede 2 figure di sequestro diverse per funzione e presupposti: il sequestro giudiziario (di beni e di prove , art.670) e quello conservativo (art.671), cui si aggiunge un tipo «speciale» e meno diffuso, il sequestro liberatorio, ex art.687, la cui funzione, secondo l'opinione preferibile, è affine a quella dell'offerta reale contemplata dall'art.1208 cc. Ad esso può ricorrersi allorché il debitore abbia offerto o messo comunque a disposizione del creditore delle somme o cose per liberarsi della propria obbligazione e siano controversi l'obbligo o le modalità del pagamento o della consegna, oppure l'idoneità della cosa offerta. Parecchie altre figure particolari di sequestro - alcune delle quali di dubbia natura cautelare - sono previste dal cc e da leggi speciali. 3) IL SEQUESTRO CONSERVATIVO Il sequestro conservativo può avere ad oggetto beni mobili o immobili del debitore, o cose o somme a lui dovute da terzi, e presuppone che il creditore abbia «fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito». Il sequestro conservativo, a differenza di quello giudiziario, è disciplinato anche dal cc (artt.2905- 2906), che lo colloca, unitamente all'azione surrogatoria e revocatoria, tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, offerta da tutti i beni, presenti e futuri, del debitore. Il sequestro conservativo, come si evince dall'art.671 cpc, è dunque previsto a tutela dei diritti di credito, nelle situazioni in cui il creditore abbia ragione di temere che il debitore, attraverso atti di disposizione dei propri beni, magari fraudolenti, possa di fatto svuotare il proprio patrimonio, vanificando le concrete possibilità di una successiva azione esecutiva fruttuosa. Per il fumus boni iuris, che il legislatore non menziona espressamente, valgono le considerazioni di carattere generale riguardanti la sommarietà e la superficialità della cognizione che connotano tatti i provvedimenti cautelari. Il periculum in mora può desumersi sia da circostanze oggettive - riguardanti in primo luogo la scarsa consistenza del patrimonio del debitore, rapportata all' entità del credito, e la sua composizione (poiché è chiaro, ad es., che i beni mobili sono più agevolmente occultabili degli immobili) - sia dal comportamento del debitore, che faccia intuire, o almeno ragionevolmente temere, la sua volontà di sottrarre i propri beni alla successiva espropriazione forzata. Non è detto, anzi, che debbano necessariamente concorrere entrambi i profili, poiché a rendere «fondato» il timore del creditore potrebbe esserne sufficiente anche uno solo. 309 L'art.671 individua l’oggetto del sequestro nei beni mobili o immobili del debitore e nelle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Tale rinvio ai limiti di pignorabilità dei beni si giustifica in quanto il sequestro conservativo rappresenta, anche dal punto di vista degli effetti, una sorta di anticipazione del pignoramento. Ciò spiega perché l'art.671, a differenza dell'art.670, non menzioni, come possibile oggetto di sequestro, l'azienda, che, al pari delle altre universalità di beni, non potrebbe essere espropriata in quanto tale, bensì con riguardo ai singoli beni mobili ed immobili di cui è composta, da indicarsi specificamente nell'atto di pignoramento. L'individuazione dei beni assoggettati al sequestro non viene compiuta, di regola, dal giudice nel provvedimento di concessione della misura cautelare - che solitamente, benché il cpc neppure l'esiga espressamente, si limita ad indicare l'importo massimo della somma per cui il sequestro è autorizzato – ma allo stesso creditore nella successiva fase di esecuzione del sequestro (come, in presenza di un titolo esecutivo, spetta al creditore, seppure entro certi limiti, l'individuazione dei beni da assoggettare a pignoramento). Peraltro, l'art.2905 co.2 cc consente di chiedere il sequestro conservativo anche nei confronti di un soggetto diverso dal debitore, che da quest'ultimo abbia acquistato dei beni, allorché sia stata proposta l'azione per far dichiarare l'inefficacia dell'alienazione (si pensi all'azione revocatoria ex art.2901); in tal caso il sequestro deve dirigersi, fin dal principio, sugli specifici beni che sono stati oggetto dell'atto di disposizione contestato. La prassi ha escogitato anche il sequestro conservativo -peraltro controverso e di assai dubbia ammissibilità- di somme (o, più raramente, di cose) che lo stesso creditore sequestrante sarebbe tenuto a pagare (o a dare) al debitore, e che, pertanto, vengono sequestrate presso l’istante, al fine di legittimare il suo mancato adempimento. 4) L’ESECUZIONE A differenza delle altre misure cautelari, che ricadono sotto il regime dell'art.669-duodecies, il sequestro mantiene, relativamente alla fase dell'attuazione, una propria disciplina specifica, racchiusa negli artt.677-679 ed ispirata, per quel che riguarda il sequestro conservativo, alle forme del pignoramento. Qualora si tratti di beni mobili, trovano applicazione, a seconda dei casi, le norme relative al pignoramento presso il debitore o presso terzi; ed in questo secondo caso il creditore sequestrante, analogamente a quanto è previsto nell'espropriazione, con lo stesso atto di sequestro, deve citare il terzo a comparire dinanzi al tribunale del luogo in cui risiede, per rendere la dichiarazione prevista dall'art.547. Se tale dichiarazione viene omessa o è oggetto di contestazioni, sicché deve procedersi all'accertamento dell'obbligo del terzo, il relativo giudizio resta di regola sospeso fino alla conclu- sione del giudizio di merito (concernente l'esistenza del credito tutelato tramite il sequestro), a meno che non sia il terzo a chiedere l'accertamento immediato. Se oggetto del sequestro sono beni immobili o mobili registrati, la misura cautelare si esegue semplicemente mediante trascrizione del provvedimento autorizzativo, presso la conservatoria dei registri immobiliari del luogo in cui i beni si trovano (art.679) o nei diversi registri previsti dalla legge (per gli autoveicoli, nel pubblico registro automobilistico). In ogni caso il sequestro conservativo, come quello giudiziario, dev'essere eseguito entro 30gg dalla pronuncia del provvedimento autorizzativo, che altrimenti diverrebbe inefficace (art.675). Sono possibili: 1) la revoca del sequestro se il debitore presta idonea cauzione per l'ammontare del proprio debito e delle spese (art.684) 2) la vendita delle cose deteriorabili, con il trasferimento del vincolo del sequestro sul relativo ricavato (art.685). Invece manca (prescindendo dal richiamo, per il solo sequestro su beni mobili, all'art.610, che attribuisce il potere di risolvere le difficoltà sorte nel corso del procedimento che non ammettono dilazione al giudice dell'esecuzione) una disciplina autonoma delle varie questioni e contestazioni 310 applicabili, e quindi, a seconda della natura del bene, alle forme dell'esecuzione per consegna o rilascio, escludendo in ogni caso, peraltro, la necessità della previa notificazione dell'atto di precetto. Il preavviso di rilascio prescritto dall'art.608, co.1, inoltre, è richiesto solo qualora il custo- de non sia lo stesso detentore dell'immobile. Il sequestro giudiziario si attua, dunque, in definitiva, con l'immissione del custode (che già non vi si trovasse prima) nel possesso dei beni sequestrati. Se si tratta di beni mobili, ciò implica la loro materiale apprensione; per gli immobili, invece, la trasmissione del possesso al custode non esclude che la mera detenzione del bene - fermi restando i poteri-doveri di controllo da parte del custode - venga lasciata alla parte destinataria del provvedimento di sequestro o al terzo (per es. al conduttore) che l'esercitava anteriormente. In tal senso depongono sia l'art.608, co.2, per cui l'esecuzione per rilascio si compie «ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore», sia l'art.677, co.3, che contempla l'ipotesi in cui il bene sia detenuto da un terzo e prevede che il giudice, con lo stesso provvedimento autorizzativo del sequestro o successivamente, possa ordinargli di esibire il bene sequestrato o di consentire l'immediata immissione in possesso del custode (nel qual caso il terzo può opporsi al provvedimento ex art.211). Nulla dispone il codice per l'eventualità in cui sia nominata custode la stessa parte che già si trovava nella detenzione del bene; e poiché nella specie non avrebbe senso applicare le disposizioni concernenti l'esecuzione per consegna o rilascio, sembra preferibile escludere la necessità di una vera e propria attività esecutiva del sequestro, giacché per far mutare il titolo giuridico della detenzione - rendendo attuale, cioè, l'obbligo di custodia - è sufficiente che al custode sia data conoscenza legale (ove occorra, tramite notifica) del provvedimento di nomina. Per il sequestro giudiziario manca una norma analoga all'art.2906 cc, probabilmente perché la funzione prevalente dell'istituto doveva essere, nel disegno del legislatore, quella di assicurare la conservazione e la gestione materiale dei beni controversi Una parte della dottrina ritiene che il divieto di alienazione sia comunque implicito nell'ordinamento, sicché taluno ne ha dedotto che la sua violazione sia motivo di nullità, quando il terzo acquirente è a conoscenza del provvedimento di sequestro. Nella maggior parte dei casi, peraltro, per tenere indenne il sequestrante dagli eventuali atti di disposizione dei beni sequestrati è sufficiente l'applicazione dei principi di cui all'art.111 co.4 cpc. Infatti, distinguiamo: a) se si tratta di beni mobili (non registrati), l'attribuzione del possesso al custode dovrebbe escludere l'eventualità che un terzo acquirente del bene possa invocare a proprio favore l'art.1153 ce, a meno che il possesso del bene non gli sia stato trasferito dallo stesso custode, in violazione dei propri obblighi; b) se si tratta di beni immobili o mobili registrati, la tutela del sequestrante è assicurabile attraverso la trascrizione della domanda (di merito) cui il sequestro si ricollega, che opera come una sorta di prenotazione degli effetti della futura sentenza di accoglimento, rendendo inopponibili all'attore i successivi atti di disposizione del bene controverso 9) L'ISTRUZIONE PREVENTIVA Rilievi introduttivi. L'istruzione preventiva consente l'assunzione anticipata di determinati mezzi di prova in situazioni nelle quali, se dovesse attendersi l'apertura della fase strictu sensu istruttoria del processo a cognizione piena, essa potrebbe risultare di fatto preclusa o comunque non più utile. I provvedimenti d'istruzione preventiva, pur avendo natura cautelare, presentano alcune peculiarità, che spiegano perché il legislatore abbia preferito mantenerne quasi integralmente autonoma la disciplina, sottraendola all'applicazione del rito cautelare uniforme. Dal punto di vista della strumentalità, infatti, il provvedimento d'istruzione preventiva, come il se- questro giudiziario ex art.670, n. 2, non tutela direttamente il diritto controverso, ma il diritto alla prova. 313 Ciò si riflette anche sul versante della provvisorietà, giacché, sebbene il provvedimento non abbia un contenuto propriamente anticipatorio, la parte che l'ottiene ante causam non ha alcun onere di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio per evitare ch'esso divenga inefficace. Stando all'opinione preferibile, in sede d'istruzione preventiva non deve valutarsi, in linea di principio, il fumus del diritto alla cui prova il mezzo cautelare è preordinato (tanto più che quest'ultimo potrebbe anche riguardare l'esistenza di un fatto estintivo, impeditivo o modificativo del diritto controverso), ma l'ammissibilità e la rilevanza (quanto meno in astratto) del mezzo di prova; fermo restando che il suo accertamento avrà un carattere del tutto provvisorio e non potrà co- munque pregiudicare la successiva risoluzione delle stesse questioni da parte del giudice del merito. La minore incisività di tali provvedimenti, che esauriscono i propri effetti sul piano meramente istruttorio, spiega perché il legislatore ne consente la pronuncia anche al giudice di pace, cui sono preclusi gli altri provvedimenti cautelari. 10) I MEZZI DI PROVA ASSUMIBILI IN VIA PREVENTIVA Gli artt.692 e 696 prevedono la possibilità di assumere in via preventiva, prima dell'inizio del giu- dizio di merito oppure nel corso dello stesso (ed anche durante la sua eventuale interruzione o sospensione: art.699), la prova testimoniale, l'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale., ed il carattere eccezionale dell'istituto induce ad escluderne l'impiego rispetto alle altre prove costituende (giuramento e interrogatorio delle partì), che potrebbero prospettare analoghe esigenze. L'art.696-bis, introdotto nel 2005, ammette, inoltre, una vera e propria «consulenza tecnica» preventiva, che tuttavia, nonostante la sua collocazione, parrebbe del tatto estranea alla tutela cautelare. L'art.692 consente l'audizione di testi a futura memoria quando le loro deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre e vi sia fondato motivo di temere ch'essi stiano per mancare (ad es, un teste gravemente ammalato). L’originario art.696 menzionava, quale possibile oggetto di accertamento tecnico o ispezione, solo lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose; dal che l'opinione dominante deduceva che: a) fosse esclusa l'esperibilità in via preventiva dell'ispezione corporale di cui agli artt.118 e 260; a parte un duplice intervento della Consulta, la riforma del 2005 ha precisato che l'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale preventivi possono disporsi anche sulla persona dell'istante e, qualora essa vi acconsenta, perfino sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta. b) l'accertamento tecnico preventivo dovesse comunque limitarsi alla mera descrizione dello stato dei luoghi o delle cose, senza potersi spingere, nei giudizi risarcitori, alla valutazione delle cause e dell'entità dei danni controversi. Invece, il novellato art.696 co.2, consente espressamente che l'accertamento tecnico comprenda valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica; lasciando intendere che al consulente tecnico può chiedersi, già in questa sede, anche una concreta stima dell' entità dei danni lamentati dalle parti, il che potrebbe rendere superflua un'ulteriore consulenza tecnica nel processo a cognizione piena. In ogni caso il ricorso all'accertamento tecnico e all'ispezione giudiziale preventivi resta subordinato al presupposto dell'urgenza, che coincide col periculum in mora e va identificata con l'eventualità che, nel periodo occorrente per l'assunzione della prova in via ordinaria, ne venga meno o risulti comunque alterato l'oggetto. 11) IL PROCEDIMENTO L'art.669-quaterdecies esclude i provvedimenti in esame dall'ambito di applicazione del rito cautelare uniforme, eccezion fatta per la disposizione dell'art.669-septies. L'istanza si propone con ricorso, contenente l'indicazione dei motivi dell'urgenza e dei fatti sui quali verte la prova, e l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali essa è preordinata (art.693). 314 La competenza è attribuita allo stesso giudice che sarebbe competente per il merito in base ai criteri ordinari, sia esso il tribunale o il giudice di pace; tuttavia, nel caso del tribunale, la decisione spetta al presidente. A tale competenza si affianca, in caso di eccezionale urgenza, quella del tribunale del luogo in cui la prova dev'essere assunta. Se poi la causa di merito è già pendente, l'istanza si propone, stando alla soluzione preferibile, al relativo giudice istruttore, o (in applicazione analogica dell'art.669-quater) al presidente al tribunale, allorché l'istruttore non sia stato ancora designato o il relativo giudizio si trovi in una situazione di quiescenza. Qualora il ricorso sia proposto ante causam, il giudice è di regola tenuto, prima di provvedere sull'istanza, a disporre con decreto la comparizione delle parti, fissando contestualmente la relativa udienza ed il termine perentorio per la notificazione del provvedimento. Dopo aver sentito le parti ed aver acquisito, ove occorra, sommarie informazioni, egli decide con ordinanza non impugnabile, che, se ammette la prova, contiene la designazione del giudice che deve materialmente assumere la testimonianza o, quando si tratti di accertamento tecnico o d'ispezione, l'indicazione della data d'inizio delle operazioni e, a seconda dei casi, la nomina del consulente tecnico (artt.694 e 695). In caso di eccezionale urgenza, il giudice può anche accogliere l'istanza con decreto, inaudita altera parte, dispensando il ricorrente dalla notificazione alle altre parti e nominando un procuratore, che intervenga per le parti non presenti all'assunzione della prova (art.697). In tal caso, tuttavia, il cancelliere deve notificare il decreto, non oltre il giorno successivo, alle parti non presenti all'assunzione. Ex art.669-septìes, l'ordinanza di incompetenza o di rigetto della domanda cautelare non preclude la riproposizione della domanda, purché, in caso di rigetto per ragioni di merito, siano dedotti mutamenti delle circostanze o nuove ragioni di fatto o di diritto. Inoltre, quando l'incompetenza o il rigetto siano pronunciati prima dell'inizio del giudizio di merito, il provvedimento deve anche statuire sulle spese del procedimento cautelare. Discussa è la possibilità di estendere ai provvedimenti d'istruzione preventiva, nonostante l'assenza di un'esplicita previsione di legge, il reclamo cautelare di cui all'art.669-terdecies: la Consulta, intervenendo di recente sul combinato disposto degli artt.669-quaterdecies e 695, ha assoggettato senz'altro al reclamo il (solo) provvedimento di rigetto dell'istanza d'istruzione preventiva; ma parte della dottrina ritiene che lo stesso dovrebbe valere per quello di accoglimento. 12) LA CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA CON FUNZIONE CONCILIATIVA La riforma del 2005 ha previsto che una vera e propria consulenza tecnica preventiva possa essere richiesta, anche al di fuori delle condizioni di cui all'art.696 co. 1, ai fini dell'accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito (art.696-bis). L’istituto ha ben poco in comune, sul piano funzionale, con l'accertamento tecnico disciplinato dall'art.696, giacché prescinde dalla sussistenza di un periculum in mora e conseguentemente da una finalità cautelare, essendo invece preordinato (come si evince dalla rubrica) a favorire una composizione preventiva della lite, quando appare sperabile che l'intervento del consulente tecnico giovi al raggiungimento di un accordo tra i contendenti (si pensi alle ipotesi in cui la controversia verte essenzialmente sul quantum dell'obbligazione). A tale consulenza tecnica preventiva può farsi ricorso, ante causam, in presenza di qualunque controversia riguardante il pagamento di somme di denaro, a titolo di risarcimento o restituzione, che scaturisca da un illecito contrattuale o extracontrattuale; ed in questo ambito le indagini del consulente tecnico possono vertere non solo sul quantum, ma anche sull'an del diritto. La disciplina procedimentale è mutuata dall'accertamento tecnico preventivo per la fase dell'ammissione (ma la natura non cautelare dell'istituto induce ad escludere l'esperibilità del recla- mo ex art.669-terdecies), e dalla consulenza tecnica ordinaria, quanto alla fase di espletamento del 315 cautelare corrisponde, almeno parzialmente, al contenuto della (ipotetica) sentenza di accoglimento della domanda di merito sottesa a quella cautelare. - provvedimenti cautelari conservativi che non hanno neanche parzialmente lo stesso contenuto del futuro eventuale provvedimento reso all'esito della cognizione piena (sentenza o meno); il loro contenuto ha la funzione di congelare la situazione di fatto in modo da garantire che quando l'attore otterrà il provvedimento a cognizione piena questo sarà utile Art. 669-bis. (Forma della domanda) - La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente. L'articolo non specifica il contenuto di tale ricorso, ma sopperisce a questa mancanza l'art .125 cpc, norma a carattere generale che prevede che l'atto introduttivo contenga l'indicazione del giudice adito, delle parti, i motivi che si pongono a fondamento della domanda (motivi del fumus e del periculum); ma qualunque sia il contenuto del provvedimento cautelare bisogna indicare il risultato cui si tende. È opinione diffusa, inoltre, che il ricorso cautelare, se proposto ante causam, debba contenere gli elementi minimi indispensabili per identificare la domanda cui l'istanza cautelare si correla e che costituirà l'oggetto del futuro (eventuale) giudizio di merito; requisito, questo, particolarmente importante in relazione alle misure anticipatorie atipiche (come i provvedimenti ex art.700), per le quali è atipico anche il diritto rispetto al quale è invocabile la tutela. Pertanto, fermo restando che la domanda di merito potrebbe essere successivamente modificata o precisata nel processo a cognizione piena, il ricorso cautelare che non consentisse in alcun modo d'individuare tale domanda dovrebbe reputarsi nullo, in quanto privo degli elementi indispensabili per il raggiungimento del proprio scopo (art.156, co.2.). La circostanza che il ricorso cautelare debba già preannunciare la domanda di merito può avere, d'altronde, conseguenze non trascurabili circa il momento da cui devono farsi decorrere gli effetti sostanziali e processuali di quest'ultima. Il diritto positivo, anche in relazione ai provvedimenti a strumentalità rigida, configura il giudizio a cognizione piena non gà come una prosecuzione del procedimento cautelare, ma come una fase autonoma e distinta (tant'è che l'art.669-octies discorre di termine per l'inizio del giudizio di merito). Ciò: - parrebbe impedire che gli effetti del ricorso cautelare si saldino con quelli prodotti dalla successiva domanda introduttiva del giudizio a cognizione piena - conduce ad ammettere, nell'ipotesi in cui siano individuabili più fori territorialmente competenti, la sua instaurazione dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello adito in via cautelare. La giurisprudenza, tuttavia, ha in più occasioni aggirato l'ostacolo, ritenendo che gli effetti della domanda di merito possano retrodatarsi al momento della proposizione del ricorso cautelare (ante causam). E, pur tenendo ferma la tendenziale autonomia delle due fasi processuali, siffatta soluzione merita d'essere condivisa, per quel che concerne gli effetti processuali, quanto meno in relazione ai provvedimenti cautelari a strumentalità rigida. D'altronde, quanto agli effetti sostanziali della domanda, un'analoga soluzione è desumibile dal comb. disp. degli artt. 2943, co.1 e 2945 co.2., cc, dal quale emerge non solo che l'atto introduttivo del procedimento cautelare (che costituisce un giudizio conservativo) è di per sé idoneo ad interrompere la prescrizione, ma pure che tale interruzione dura fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva del processo a cognizione piena. Ove si accolga tale soluzione - che dovrebbe valere anche per l'impedimento di eventuali decadenze e che rivaluta la domanda di merito già doverosamente prospettata nel ricorso cautelare ante causam, si potrebbe pensare che il ricorso, dopo la sua notificazione, possa essere autonomamente trascritto nei registri immobiliari, ogniqualvolta la domanda ch'esso preannuncia sia sufficientemente determinata e rientri tra quelle soggette a trascrizione. 318 Sebbene la questione sia controversa, non v'è ragione di escludere che la domanda cautelare, anziché col ricorso autonomo cui allude l'art.669-bis, possa inserirsi all'interno dell'atto introduttivo del giudizio a cognizione piena; in tal caso la domanda cautelare si avrà per proposta a giudizio di merito già iniziato (art.669-quater), e più precisamente dal momento in cui l'atto di citazione, con la costituzione dell'attore ed il deposito in cancelleria, verrà portato a conoscenza dell'ufficio giudiziario. Competenza - Rispetto alle norme generali sulla competenza per materia e per territorio, gli art.669 ter quater e quinques dettano delle regole speciali per la richiesta dei provvedimenti cautelari. Quindi si farà ricorso alle norme generali sulla competenza solo in quanto richiamate da tali articoli. In particolare il legislatore distingue fra competenza - ante causam, quando cioè il provvedimento viene chiesto prima che sia iniziato il giudizio di merito - in corso di causa, quando è già pendente il processo a cognizione piena Art. 669-ter. (Competenza ante-causam) - Prima dell'inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice (ufficio giudiziario) competente a conoscere del merito. Se competente per la causa di merito è il gdp (sprovvisto di poteri cautelari), la domanda si propone al tribunale territorialmente competente. Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la competenza per l'emissione del provvedimento cautelare, proprio perché si ricollega alla mera pendenza del giudizio a cognizione piena, non risenta dell'eventuale incompetenza del giudice adito rispetto al merito della con- troversia. Dato, però, che tale soluzione consente di fatto all'attore di scegliersi il giudice del procedimento cautelare, sembra doversi ammettere che l'eventuale sentenza declinatoria della competenza, cui successivamente pervenga il giudice adito per il merito, determini la caducazione del provvedimento cautelare da lui reso. È possibile che la giurisdizione italiana sussista solo per il procedimento cautelare - poiché il ri- chiesto provvedimento dev'essere eseguito in Italia - ma non anche per il merito; se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare. A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del Tribunale il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Art. 669-quater. (Competenza in corso di causa) - Quando vi è causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa (competenza funzionale inderogabile). Se la causa pende davanti al tribunale la domanda si propone all'istruttore oppure, se questi non e' ancora designato o il giudizio e' sospeso o interrotto, al presidente, il quale provvede ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 669-ter. Se la causa pende davanti al gdp, la domanda si propone al tribunale. In pendenza dei termini per proporre l'impugnazione, la domanda si propone al giudice che ha pronunziato la sentenza. Se la causa pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non e' competente a conoscere la causa di merito, si applica il terzo comma dell'articolo 669-ter. Il terzo comma dell'articolo 669-ter si applica altresì nel caso in cui l'azione civile e' stata esercitata o trasferita nel processo penale, salva l'applicazione del comma secondo dell'articolo 316 del codice di procedura penale. 319 Art.669-quinquies. (Competenza in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale) - Poiché agli arbitri sono preclusi i provvedimenti cautelari (art.818), se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali o se e' pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. In conseguenza di un recente intervento della Consulta, la stessa regola vale per l'istanza di accertamento tecnico preventivo Art. 669-sexies. (Procedimento) - Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda. Ciò significa ch'egli, nel rispetto della sommarietà della cognizione cautelare, dovrà compiere le sole indagini ed utilizzare i soli mezzi istruttori compatibili con l'urgenza del procedimento, avvalendosi delle prove di più celere acquisizione e senza essere neppure vincolato a tutte le formalità solitamente prescritte per la loro assunzione (ove non siano essenziali per il contraddittorio); così evitando che l'istruttoria cautelate si risolva nell'integrale anticipazione di quella che potrà aver luogo, eventualmente, nel processo a cognizione piena. Il ricorrente ha l'onere di notificare il ricorso introduttivo e il decreto di fissazione dell'udienza alla controparte; effettuata l'istruzione sommaria, il giudice con ordinanza provvede all'accoglimento o al rigetto dell'ordinanza. Però quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. Stando all'opinione preferibile, tale situazione può verificarsi non solo quando, in considerazione della natura e dell'oggetto del provvedimento richiesto, la preventiva conoscenza della domanda cautelare da parte del soggetto destinatario potrebbe consentirgli di eludere agevolmente la successiva attuazione della misura cautelare (si pensi al sequestro di beni mobili, che potrebbero essere facilmente occultati), ma anche - seppure in casi estremi -quando l'urgenza sia tale da non consentire alcun indugio e da porre a rischio l'utilità stessa del provvedimento che dovesse intervenire successivamente all'instaurazione del contraddittorio. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a 15 giorni assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a 8gg per la notificazione del ricorso e del decreto (che poi è il modello che si segue anche quando viene deciso audita altera parte). Se il decreto non viene notificato in tempo da parte del ricorrente, il provvedimento perde efficace (ipotesi di contraddittorio differito ma necessario). A tale udienza fatta l'istruttoria di cui al I comma, sentite quindi anche le ragioni del convenuto, realizzatosi il contraddittorio il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. L’ordinanza si sostituirà sempre al decreto concesso inaudita altera parte. Nella cognizione piena i tempi per lo svolgimento delle attività di parte sono cadenzati dal legislatore con dei termini di preclusione più o meno rigidi a seconda del tipo di cognizione; le modalità di richiesta e assunzione dei mezzi di prova, soprattutto costituendi, sono predeterminate; i mezzi di prova sono tipici. Nel procedimento cautelare nulla di tutto ciò; e a tale procedimento si è ispirato infatti quello sommario di cognizione: la formula è la stessa solo che li si parla di "procedere ai mezzi di istruzione rilevanti ai fini dell'istruzione"; quindi il criterio è quello della rilevanza, non dell'indispensabilità. Nell'art.669 sexies co.1, l'unico limite posto dal legislatore è il rispetto del contraddittorio. 320 Parte della dottrina, infatti, è dell'avviso che in tal caso si avrebbe una sostanziale inversione degli originari oneri probatori, giacché la parte nei cui confronti era stata proposta la domanda cautelare formulerebbe, nella causa di merito, una domanda di accertamento negativo del diritto posto a fondamento del provvedimento, accollandosi conseguentemente l'onere di dimostrarne l'inesistenza. Una siffatta soluzione, tuttavia, sarebbe del tutto incongrua, giacché verrebbe irragionevolmente a discriminare la posizione processuale delle parti in base alla sola circostanza, del lutto accidentale, che il provvedimento cautelare sia concesso ante causam o nella pendenza del giudizio di merito. Deve ritenersi, pertanto, che nel predetto giudizio - analogamente a ciò che avviene nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo - la posizione delle parti, anche dal punto di vista degli oneri probatori, resti quella stessa determinata dal ricorso cautelare; tenendo conto, oltretutto, che in tale ricorso dev'essere già prospettata, quanto meno nei suoi elementi essenziali, la domanda che sarà oggetto dell'eventuale giudizio a cognizione piena. Il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma (provvedimenti a strumentalità attenuata) prima dell’inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare. Perché esso non necessariamente è seguito dal giudizio a cognizione piena, e ogni volta che si chiude un procedimento bisogna provvedere sulle spese L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa. L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo. Anche se, dal 2006, la sopravvivenza dei provvedimenti cautelari anticipatori non è subordinata all’instaurazione di un giudizio a cognizione piena, l’efficacia dei primi è solo cautelare, non farà stato tra le parti e quindi potrà essere superata da un diverso giudizio di merito. Art. 669-novies. (Inefficacia del provvedimento cautelare) – Una volta verificatosi un evento causa di inefficacia, perché il provvedimento cautelare diventi inefficace, deve essere dichiarato dal giudice. L’art. 669 novies individua il giudice competente e disciplina il procedimento attraverso il quale si arriva alla dichiarazione di inefficacia. Una volta sopravvenuto un motivo di inefficacia sarà chiaramente la parte che subisce il provvedimento ad avere interesse a chiederne la dichiarazione di inefficacia. Se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all'articolo 669-octies, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia. Tali motivi di inefficacia riguardano solo i provvedimenti a strumentalità rigida e, sebbene l'inefficacia operi sicuramente ipso iure, è possibile che la parte che ha subito il provvedimento abbia interesse a farla dichiarare, anche al fine di ottenere, a sua volta, una pronuncia idonea ad eliminare gli effetti pregiudizievoli già prodotti dal provvedimento cautelare. In entrambi i casi, il giudice (persona fisica) che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso (si istaura il contraddittorio), dichiara, se non c'è contestazione, con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. In caso di contestazione l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all'art.669-decies (la revoca o la modifica dei provvedimenti cautelari), per evitare che la parte che ha ottenuto il provvedimento cautelare abusi del suo diritto alla difesa facendo una contestazione immotivata solo per ritardare la dichiarazione di inefficacia. Il provvedimento cautelare perde altresì efficacia se - non è stata versata la cauzione di cui all'art.669-undecies - con sentenza resa all'esito della cognizione piena (o ordinanza del processo sommario di cognizione), anche non passata in giudicato (basta quindi anche solo una sentenza in primo grado)., è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso. Questo è il 323 principale motivo di inefficacia del provvedimento cautelare, di ogni tipo. In tal caso i provvedimenti di cui al comma precedente sono pronunciati nella stessa sentenza o, in mancanza, con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento. Parrebbe esclusa a priori, seppure in presenza di contestazioni, la necessità di decidere con sentenza a conclusione di un autonomo procedimento. Considerato, tuttavia, che l'art.669-novies ult co., per l'ipotesi in cui l'infondatezza della domanda di merito risulti da una sentenza straniera o da un lodo arbitrale, rinvia puramente e semplicemente al procedimento contemplato dal co.2., sembra lecito pensare che, sebbene il legislatore abbia reputato meno probabile, in questi casi, il sorgere di contestazioni, tale eventualità deve egualmente condurre aia pronuncia di una sentenza. Il giudice del merito che decide per l’inesistenza del diritto a causa del quale o in corso di causa o ante causam era stato emanato il provvedimento cautelare deve anche dichiarare l’inefficacia del provvedimento stesso. Se non lo fa nella sentenza si deve chiedere la dichiarazione di inefficacia al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare (che è competente in tutte le altre ipotesi di inefficacia: mancato versamento della cauzione, decreto di estinzione del giudizio, mancato inizio del giudizio di merito, lodo arbitrale o sentenza del giudice straniero. La regola è che si deve chiedere al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare). Ci si deve chiedere se l'inefficacia possa derivare, oltre che da una pronuncia di inesistenza del diritto, anche da una sentenza di rigetto in rito, La risposta si riallaccia alla distinzione tra misure cautelari - conservative: il provvedimento cautelare non potrà sopravvivere, in principio, alla conclusione del giudizio di merito; - anticipatorie caratterizzate dalla provvisorietà «attenuata»: trattandosi di un provvedimento la cui efficacia è svincolata dalla necessaria instaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena, non è detto che la riconosciuta impossibilità di decidere il merito della causa implichi anche un vizio del provvedimento cautelare e dunque ne determini la caducazione: basti considerare, a tal proposito, la disciplina dei limiti della giurisdizione italiana, che potrebbe sussistere per la pronuncia cautelare e non anche per il giudizio di merito. Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato italiano o estero, il provvedimento cautelare, oltre che nei casi previsti nel primo e nel terzo comma, perde altresì efficacia: 1) se la parte che l'aveva richiesto non presenta domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro i termini eventualmente previsti a pena di decadenza dalla legge o dalle convenzioni internazionali; tenuto conto, peraltro, dell'attuale regime di riconoscimento automatico delle sentenze straniere, tale disposizione parrebbe aver senso, oramai, solo rispetto al sequestro conservativo (la cui conversione in pignoramento esige l'acquisizione di un titolo esecutivo), per il quale è prescritto che il sequestrante proponga domanda di esecutorietà della sentenza straniera o del lodo entro il termine perentorio di 60 giorni. 2) se sono pronunciati sentenza straniera, anche non passata in giudicato, o lodo arbitrale che dichiarino inesistente il diritto per il quale il provvedimento era stato concesso. Per la dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare e per le disposizioni di ripristino si applica il secondo comma del presente articolo. Art. 669-decies. (Revoca e modifica) - Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell'art.669-terdecies, nel corso dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si e' acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica 324 dell'ordinanza di accoglimento, esaurita l'eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell'articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull'istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Questo vale per tutte i provvedimenti cautelari. La revoca e la modifica, inoltre, potrebbero riguardare un provvedimento anticipatorio, affrancato dalla necessaria instaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena; sicché sono consentite, alle stesse condizioni, anche quando il giudizio di merito non sia stato (ancora) iniziato o sia stato dichiarato estinto. PER QUEL CHE CONCERNE LA COMPETENZA, POI, OCCORRE DISTINGUERE: A) SE IL GIUDIZIO DI MERITO È STATO INIZIATO ED È TUTTORA PENDENTE, IL POTERE DI REVOCA O MODIFICA SPETTA IN OGNI CASO AL GIUDICE ISTRUTTORE CHE NE È INVESTITO, «SALVO CHE SIA STATO PROPOSTO RECLAMO EX ART.669-terdecies»: IN QUEST'ULTIMO CASO, INFATTI I NUOVI FATTI SOPRAVVENUTI DOVREBBERO ESSERE COMUNQUE DEDOTTI NEL PROCEDIMENTO DI RECLAMO; SICCHÉ LA POSSIBILITÀ DI PORLI A BASE DI UNA SUCCESSIVA ISTANZA DI REVOCA O MODIFICA PRE- SUPPONE CH'ESSI SIANO INTERVENUTI DOPO LA CONCLUSIONE DI TALE PROCEDIMENTO OVVERO CHE LA PARTE INTERESSATA PROVI DI AVERNE AVUTO CONOSCENZA DOPO TALE MOMENTO; B) SE INVECE IL GIUDIZIO DI MERITO NON È STATO (ANCORA) INIZIATO, OPPURE SI È GIÀ ESTINTO85, LA REVOCA O LA MODIFICA POSSONO CHIEDERSI ALLO STESSO GIUDICE «CHE HA PROVVEDUTO SULL'ISTANZA CAUTELARE PURCHÉ SI SIA «ESAURITA L'EVENTUALE FASE DEL RECLAMO PROPOSTO EX ART.669-terdecìes»; ED ANCHE IN QUESTO CASO IL RIFERIMENTO AL RECLAMO SOTTINTENDE L'ONERE DI FAR VALERE NEL RELATIVO PROCEDIMENTO OGNI FATTO NUOVO SOPRAVVENUTO PRIMA DELLA SUA DEFINIZIONE; C) se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l'azione civile e' stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. Art. 669-undecies. (Cauzione) - Con il provvedimento di accoglimento o di conferma o di modifica il giudice può imporre all'istante, valutata ogni circostanza, una cauzione per l'eventuale risarcimento dei danni. La funzione è quella di una contro cautela, garantire la possibilità sulla base della cauzione di ottenere il risarcimento del danno se poi all’esito del giudizio a cognizione piena il provvedimento cautelare perderà efficacia perché si accerta l’inesistenza del diritto a tutela del quale è stato emanato. Il condizionare l’efficacia del provvedimento cautelare al versamento di una cauzione e soprattutto la determinazione del quantum di questa cauzione deve essere esercitato con una certa cautela da parte del giudice perché una cauzione troppo elevata equivale alla mancata concessione. Il mancato versamento della cauzione è uno dei motivi di inefficacia del provvedimento cautelare Art. 669-duodecies. (Attuazione) - Un provvedimento cautelare intanto è utile in quanto ci sia la possibilità di attuarlo coattivamente, in mancanza dell’adempimento spontaneo. L’art. 669 duodecies disciplina le modalità attraverso le quali il provvedimento cautelare può essere attuato coattivamente: si parla di attuazione (mentre le norme sul sequestro parlano di esecuzione) perché qui non c’è titolo esecutivo. Le modalità di attuazione sono diverse a seconda dell’oggetto del provvedimento: Salvo quanto disposto dagli artt.677 ss in ordine ai sequestri (perché per i sequestri ci sono delle regole speciali di esecuzione), l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto 1) somme di denaro avviene nelle forme degli art.491 ss (vale a dire nelle forme dell’espropriazione, dell’esecuzione in forma generica che si utilizzano per l’esecuzione dei titoli esecutivi che abbiano ad oggetto pagamenti di somme di denaro) in quanto compatibili. 325 Il procedimento è disciplinato dagli artt. 737 e 738 che disciplinano il procedimento il camera di consiglio, prevedono il meccanismo d’istruzione semplificata e l’introduzione del processo con ricorso. Stando all'opinione largamente prevalente, il reclamo è un'impugnazione: 1) sostitutiva, nel senso che non ha come obiettivo il mero controllo dell'operato del primo giudice, bensì esige che il giudice ad quem, dopo aver posto rimedio agli eventuali errori o vizi del provvedimento impugnato, pronunci a sua volta sulla fondatezza della domanda cautelare, concedendo o negando il provvedimento richiesto, indipendentemente dal modo in cui si era concluso il primo procedimento. Il legislatore, infatti, precisa che non è consentita la rimessione al primo giudice. Ciò significa che in sede di reclamo è esclusa, almeno di regola, una pronuncia meramente re- scindente, che si limiti all'annullamento dell'ordinanza impugnata; a meno che non sussistano ostacoli processuali (ad es. il difetto di giurisdizione, l'incompetenza o il difetto di capacità pro- cessuale del ricorrente) che già avrebbero imposto al primo giudice il rigetto dell'istanza in mero rito. 2) devolutiva, giacché sottopone al giudice ad quem la stessa domanda (cautelare) oggetto del provvedimento impugnato; il che spiega perché, a norma del co.4 dell'art.669-terdecies, anche le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Tale disposizione, che mira a coordinare il reclamo con la possibile istanza di revoca o modifica del provvedimento impugnato, va intesa nel senso che ciascuna delle parti ha il diritto e l'onere dì far valere questi nuovi fatti o motivi in qualunque momento del procedimento d'impugnazione (salvo l'obbligo, per il giudice, di assicurare all'avversario un congruo spazio per l'esercizio del diritto di difesa), non potendo altrimenti dedurli, successivamente, a fondamento di un'istanza di revoca o modifica del provvedimento (reso o confermato in sede di reclamo). Secondo l'interpretazione più ragionevole, peraltro, la stessa soluzione deve valere, sebbene la norma in esame non ne faccia menzione, per le nuove circostanze di fatto o di diritto anteriori alla proposizione del reclamo o addirittura preesistenti alla pronuncia del provvedimento impugnato; con la differenza che per esse non v' è motivo di consentirne indiscriminatamente la deduzione nel corso del procedimento di reclamo, al di là dei rispettivi atti introduttivi delle parti. Quanto ai limiti dell'effetto devolutivo, inoltre, deve ritenersi — giacché si tratta di caratteristiche oramai comuni a tutte le impugnazioni - che il reclamante abbia l'onere di formulare censure specifiche, in fatto o in diritto, e che la cognizione del giudice del reclamo sia quindi circoscritta, in linea di principio, alle sole questioni concretamente propostegli (o ripropostegli) dalle parti. Per altri profili la disciplina positiva del reclamo risulta del tutto lacunosa (ad es., per ciò che attiene alla regolamentazione del reclamo incidentale, che però deve ritenersi certamente ammissibile in virtù delle regole generali in materia d'impugnazione). Per quel che attiene ai nuovi mezzi di prova, è previsto solo che il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti, il che potrebbe far pensare ad una corrispondente preclusione di ordine generale a carico delle parti. Tenuto conto, però, che nel procedimento cautelare di prima istanza non v'è traccia alcuna di preclusioni, è preferibile ritenere che la disposizione in esame non escluda nuove iniziative probatorie delle parti, ma intenda solo concedere un limitato potere istruttorio officioso al giudice del reclamo, il quale, in deroga all'art. 210, potrà ordinare d'ufficio alle parti anche l'esibizione di documenti in loro possesso. Il collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti gg dal deposito del ricorso, ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento; tuttavia il presidente del tribunale o della Corte investiti del reclamo (solo) quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell'esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. 328 Il reclamo cautelare può essere proposto contro: 1 ordinanze di accoglimento o di rigetto 2 le ordinanze che revocano o modificano il provvedimento cautelare (non contro il decreto che inaudita altera parte concede il provvedimento cautelare, perché il 669terdecies parla di ordinanza, non di provvedimento) 3 i provvedimenti che dispongono sulle modalità di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, consegna o rilascio Art. 669-quaterdecies. (Ambito di applicazione) - Le disposizioni della presente sezione si applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo (sequestri, azioni di nunciazione e provvedimenti d'urgenza;), e , in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal cc e dalle leggi speciali (ma anche in altre parti del cpc). L'art.669-septies si applica altresì ai provvedimenti di istruzione preventiva. La riserva di compatibilità significa che la disciplina generale degli artt.669-bìs ss non si sovrappone automaticamente a quella (preesistente al 1990) eventualmente dettata per i singoli provvedimenti, che sopravvive, in linea di principio, quale lex specialis. Stando all'opinione più persuasiva, inoltre, la compatibilità può essere parziale, ossia riguardare una parte solo delle disposizioni del rito uniforme, giacché uno dei principali obiettivi della riforma del '90 era quello di colmare le considerevoli lacune della disciplina dei diversi provvedimenti cautelali. In particolare, tenuto conto dell'ulteriore finalità garantistica che ispirò quella riforma, è da consi- derarsi in ogni caso compatibile l'art.669-terdecies, che ha previsto la reclamabilità del provvedimento cautelare. 329 5. I PROVVEDIMENTI D'URGENZA 1) ATIPICITA’ E SUSSIDIARIETA’ La disciplina dei provvedimenti cautelari definisce in maniera più o meno puntuale a) il tipo di diritti oggetto di tutela; b) il periculum cui la misura cautelare mira a porre rimedio; c) il contenuto che può assumere il provvedimento cautelare. Tuttavia, poiché è impossibile disciplinare con disposizioni specifiche tutte le situazioni in cui un diritto può essere minacciato da un pericolo immediato ma, d'altro canto, il diritto d'azione è per sua natura atipico e la tutela cautelare ne costituisce presidio irrinunciabile (la Consulta, negli anni '80, dichiarò l'incostituzionalità del sistema del processo amministrativo laddove non prevedeva una tutela cautelare atipica), è inevitabile che l'ordinamento appresti strumenti idonei a far fronte ad ogni possibile evento in grado di attentare all'effettività della tutela giurisdizionale. Ciò spiega perché il cpc, accanto ai provvedimenti cautelari tipici e nominati, prevede anche delle misure atipiche, in grado di sopperire a tutte le residue esigenze di cautela. In base all'art.700, infatti, «fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo [che disciplinano i sequestri, le azioni di enunciazione ed i procedimenti d'istruzione preventiva], chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ri- corso al giudice i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. L'atipicità di tali provvedimenti può cogliersi rispetto: - alla situazione giuridica tutelata, che potrebbe essere qualunque diritto; - al periculum, genericamente definito come la minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile del diritto - ai possibili contenuti, che, dovendo essere quelli più idonei ecc, potranno essere sia anticipatori che conservativi È desumibile dall''incipit dell'art.700 che tale disposizione, proprio perché costituisce una sorta di valvola di sicurezza del sistema della tutela cautelare, può essere invocata solo quando, per la difesa di un determinato diritto da un certo periculum, non sia utilizzabile un provvedimento cautelare tipico (sussidiarietà dei provvedimenti d'urgenza). 2) I LIMITI POSITIVI DELL’ISTITUTO Quantunque il contenuto dei provvedimenti d'urgenza possa essere il più vario, non appare lecito perseguire surrettiziamente per questa via un risultato maggiore di quello ottenibile dal processo a cognizione piena o comunque estraneo ai suoi possibili esiti. Per analoghe ragioni, non è pensabile attribuire al giudice del cautelare poteri maggiori di quelli che spetterebbero al giudice della cognizione piena, come il potere di decidere disapplicando senz' altro - e direttamente - una norma di legge ritenuta incostituzionale. È controversa l'ammissibilità di provvedimenti d'urgenza che anticipino non una statuizione di condanna, bensì di mero accertamento o costitutiva; per Balena è da escludere, giacché il provvedimento cautelare, essendo intrinsecamente inidoneo a produrre la certezza giuridica propria del giudicato, non sembra poter fornire alcuna oggettiva utilità ulteriore rispetto a quelle derivanti dalla sua possibile attuazione coattiva (che presuppone una statuizione assimilabile ad una sentenza di condanna). Così, ad es., il provvedimento d'urgenza che dichiarasse la legittimità di un determinato comportamento di una delle parti non potrebbe precludere, qualora il giudizio di merito dovesse condurre ad un risultato opposto, un'azione risarcitoria dell'altra parte fondata proprio sulla illegittimità di quel comportamento. Altra questione delicata attiene all'individuazione del periculum in mora: non tanto in relazione alla imminenza del pregiudizio che minaccia il diritto, da apprezzare in rapporto al tempo 330 7. I PROCEDIMENTI POSSESSORI 1) GENERALITA’ L’originario art.703 prevedeva che alle azioni di reintegrazione e manutenzione nel possesso (regolate, quanto ai presupposti sostanziali, dagli artt.1168-1170 cc) si applicasse la disciplina di quelle di nunciazione. La tesi prevalente riteneva, pertanto, che il procedimento possessorio avesse una struttura composita, caratterizzata da due fasi: - una interdittale, essenzialmente sommaria, finalizzata alla pronuncia di provvedimenti immediati di natura cautelare - una a cognizione piena ed esauriente, sul merito possessorio, concludentesi con sentenza idonea al giudicato sostanziale Dopo la riforma del ‘90, che aveva esteso a tali procedimenti la disciplina di cui agli artt.669 bis ss, alcuni avevano negato che il possesso, quale mera relazione di fatto tra una persona ed una res, seppure autonomamente tutelata, potesse essere oggetto di un vero e proprio accertamento idoneo al giudicato; deducendone che il possessorio fosse un procedimento non cautelare, definito in ogni caso con un'ordinanza, priva di un reale contenuto decisorio e destinata a sopravvivere (se di accoglimento) solo fino all'esito dell'eventuale giudizio petitorio a cognizione piena (avente ad oggetto il diritto reale sottostante). Nonostante ciò, la ricostruzione tradizionale ha resistito, ed è su di essa che si è implicitamente basata la riforma del 2005, che ha però introdotto alcuni elementi di novità. L'odierno art.703 prevede che le domande possessorie si propongono con ricorso al giudice competente ex art. 21, che provvede ai sensi degli artt.669-bis ss, in quanto compatibili. Ciò conferma che i relativi procedimenti, benché distinti da quelli cautelari, restano assoggettati, in linea di principio, alla disciplina di questi ultimi; inoltre, il co.3 precisa che l'ordinanza di accoglimento o di rigetto della domanda è soggetta al reclamo di cui all'art.669-terdecies. L'innovazione più significativa è l'art.703 co.4, che stabilisce che il giudice fissi dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito solo se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di 60 giorni decorrente, a seconda dei casi, dalla comunicazione dell'ordinanza di accoglimento o di rigetto o, in caso di reclamo, del provvedimento che decide sul reclamo stesso. Il legislatore ha così implicitamente ribadito la struttura tendenzialmente composita e bifasica del giudizio possessorio; ma nel contempo, per coerenza con il nuovo regime di stabilità dei provvedimenti cautelari anticipatori, ha previsto che l'apertura della seconda fase - che non inizia un nuovo giudizio, rappresentando la mera prosecuzione di quello introdotto dal ricorso ex art.703 - non è più necessaria ed automatica, sul presupposto che spesso, sia nel caso in cui l'ordinanza abbia concesso il provvedimento interdittale sia nel caso inverso, la parte soccombente possa acquietarsi, magari dopo aver tentato la strada del reclamo, e l'altra parte non abbia interesse a far decidere con efficacia di giudicato sull'esistenza (o l'inesistenza) di una lesione del possesso. 2) I RAPPORTI FRA LA FASE SOMMARIA E QUELLA A COGNIZIONE PIENA L'eventuale prosecuzione del giudizio di merito è retta dalla domanda già formulata nel ricorso introduttivo ex art.703 ed è poi soggetta alla disciplina del processo ordinario di cognizione; l'istanza di fissazione dell'udienza, cui ciascuna delle parti è legittimata, si propone con ricorso allo stesso giudice-persona fisica investito della fase interdittale ed il rispetto del relativo termine perentorio di 60 giorni deve valutarsi, pertanto, con riguardo al deposito del ricorso stesso. Nel silenzio del legislatore, è dubbio se debba essere l’istante o la cancelleria a notificare alle altre parti il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza. Qualora nessuna parte chieda la prosecuzione del giudizio entro il termine perentorio, il giudizio si estingue, ex art.307 co.3, ma ciò non incide sull'efficacia dell'ordinanza possessoria (di accoglimento), che può essere caducata solo da una sentenza - ancorché non passata in giudicato - 333 che accerti l'infondatezza della domanda possessoria (art.669-novies, co.3, richiamato dall'art.703, ult. co.). Stando all'opinione più persuasiva, peraltro, l'estinzione non può neppure attribuire al provvedi- mento sommario un'autorità analoga a quella del giudicato, sicché non può impedire, almeno in teoria, un nuovo ed autonomo processo a cognizione piena (diverso da quello petitorio) avente ad oggetto la stessa situazione possessoria dedotta nel giudizio estinto e che conduca una sentenza idonea a prevalere sull’ordinanza possessoria 3) RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO POSSESSORIO E PETITORIO Gli artt.704 e 705 disciplinano i rapporti tra il procedimento possessorio e l'eventuale giudizio petitorio (quello in cui si discuta dell’effettiva esistenza e titolarità del diritto di proprietà o del diverso diritto reale cui l’attività del possessore dovrebbe corrispondere: art.1140 cc). In linea di principio, ex art.704, se il fatto lesivo del possesso avviene durante la pendenza del giudizio petitorio, la domanda possessoria è attribuita alla competenza del giudice del petitorio. La sola azione di spoglio (o reintegrazione nel possesso) può essere proposta anche al giudice (territorialmente diverso) del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato (art.21), che però deve limitarsi alla pronuncia dei provvedimenti temporanei indispensabili (l'ordinanza interdittale), spettando poi a ciascuna parte l'eventuale decisione di proseguire il giudizio petitorio ex art.703. L'art.705, per rafforzare la tutela del possessore, sancisce il divieto del cumulo tra petitorio e possessorio: il convenuto nel giudizio possessorio non può (quindi l’attore può) proporre giudizio petitorio, finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita a meno che non dimostri che l'esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell'attore. Il divieto, tuttavia, è stato considerevolmente attenuato da una pronuncia della Consulta, che lo ha escluso quando potrebbe derivarne al convenuto un pregiudizio imparabile (si pensi all'ipotesi in cui il provvedimento possessorio rechi condanna alla demolizione di un manufatto che il convenuto sostiene di avere legittimamente costruito). Dalla motivazione della decisione della Corte parrebbe che l'unico rimedio sia costituito, in tali ipotesi, dalla possibilità di instaurare immediatamente il giudizio petitorio e ottenere in quella sede, eventualmente, un provvedimento cautelare (magari un 700) destinato ad anticipare la relativa decisione di merito e per intanto a paralizzare l'esecuzione del provvedimento possessorio; ma l'opinione prevalente ammette che il convenuto, deducendo il pericolo di un pregiudizio irreparabile, possa far valere le proprie ragioni petitorie già nel procedimento possessorio, seppure in via di mera eccezione e dunque al solo fine di ottenere il rigetto della relativa domanda 334 8. PROFILI GENERALI DEI PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO 1) PROCEDIMENTI CAMERALI E GIURISDIZIONE VOLONTARIA Gli artt.737 ss. disciplinano, con poche e scarne disposizioni, uno speciale modello di procedimento, applicabile quando la legge prevede, anche al di fuori del cpc, che un provvedimento debba essere pronunciato in camera di consiglio (art.742-bis); espressione che, almeno in origine, si contrapponeva alla decisione a seguito di discussione in pubblica udienza, considerata di per sé più garantistica. In passato il procedimento camerale era confinato nell'ambito della giurisdizione vo- lontaria, che non ha ad oggetto diritti o status ed talora neppure consente d'individuare, almeno a priori, delle parti contrapposte potenzialmente destinatarie del provvedimento. Ciò spiega il carattere semplificato di tale rito, che una parte della dottrina riconduce ai proce- dimenti sommari e che si contraddistingue per la massima discrezionalità attribuita al giudice nella conduzione e determinazione delle modalità di svolgimento del processo, nonché per il peculiare regime di stabilità e d'impugnazione del provvedimento finale. A prescindere, però, dalle molte ipotesi in cui la linea di demarcazione tra giurisdizione volontaria e contenziosa risulta assai sfumata, il legislatore, sia nel cpc che al di fuori, richiama spesso il modello-base del procedimento camerale, eventualmente apportandovi modifiche o integrazioni, in casi in cui il processo ha ad oggetto diritti soggettivi o status (ad es, la domanda di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo). Tale cameralizzazione dei diritti si è accentuata, negli ultimi decenni, forse anche per reazione all'eccessiva complessità e durata del processo ordinario di cognizione; ciò ha portato dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi sulla compatibilità con i principi costituzionali del procedimento camerale al di fuori dell'area della giurisdizione volontaria e sugli adattamenti e le integrazioni che la disciplina-base deve in tali casi subire, all'occorrenza anche sul piano interpretativo. 2) IL PROCEDIMENTO - BASE Ex art.737, il procedimento camerale inizia con ricorso, da depositare nella cancelleria del giudice competente. La legge nulla prevede circa le modalità di instaurazione del contraddittorio, lasciando quasi intendere che il giudice possa anche provvedere inaudita altera parte, ma dottrina e giurisprudenza ritengono che il principio del contraddittorio debba trovare attuazione anche nei procedimenti camerali, non solo se adottati per la tutela di diritti o di status, ma pure quando, trattandosi di giurisdizione volontaria, siano a priori individuabüi dei soggetti controinteressati; del resto, l'art.111 co.2 Cost impone il rispetto del contraddittorio, senza distinzione alcuna, in ogni processo. Quindi il giudice (il presidente del collegio, di solito), ove non si tratti di un procedimento unilaterale, dovrà disporre con decreto la comparizione delle parti - senza essere in ciò vincolato ad alcun termine minimo dilatorio - assegnando un termine per la notificazione dell'atto introduttivo e del decreto ai controinteressati. Quanto alla trattazione e all'istruzione in senso stretto, l'art.738 si limita a prevedere la nomina di un relatore, che riferisce al collegio in camera di consiglio, a disciplinare le modalità d'intervento del pm, nei casi ex art.70, e ad attribuire al giudice il potere di assumere informazioni. Se ne deduce che la trattazione è, di regola, integralmente collegiale (sebbene l'opinione prevalente ammetta la delegabilità dell’assunzione delle prove ad uno dei componenti), che le attività di allegazione e probatorie delle partì sono esenti da specifici termini o preclusioni, e che il giudice è investito di ampi poteri inquisitori e di autonoma iniziativa istruttoria. Salvo che la legge disponga altrimenti, il procedimento si conclude con un decreto motivato, modificabile e revocabile in ogni tempo (indipendentemente dal mutamento delle circostanze, e dunque anche in base ad una diversa valutazione dei fatti e delle ragioni giuridiche originariamente dedotti), con salvezza dei diritti anteriormente acquistati in buona fede dai terzi (art.742). 335
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