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Procedura Civile II, Balena, Dispense di Diritto Processuale Civile

Balena, Procedura Civile II, dalle impugnazioni ai procedimenti camerali. Uniba, Bari. Questa è una dispensa integrata con appunti presi a lezione. Ho sostenuto l'esame con il prof Balena 27/30. Validi, non manca nulla.

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 14/01/2021

LoStudenteUniba
LoStudenteUniba 🇮🇹

4.5

(28)

27 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Procedura Civile II, Balena e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1 IL GIUDICATO L’obiettivo delle impugnazioni è quello di riparare gli errori commessi dal giudice e in qualche caso possono consentire alle parti di correggere gli errori nei quali esse siano incorse nelle precedenti fasi del processo, perseguendo in tal modo l’ulteriore finalità, di assicurare che il risultato del processo sia il più possibile “giusto”: conforme cioè alla soluzione concretamente desumibile dal diritto sostanziale. Giudicato formale e sostanziale sono due facce della stessa medaglia: • Formale à art. 324 cpc dice: “s’intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso in cassazione, revocazione ordinaria (ex.art. 395 motivi 4,5)”, cioè che si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta alle impugnazioni ordinarie. Questa nozione può riguardare qualunque sentenza che sia definitiva o non definitiva (non confondiamo la sentenza definitiva con quella passata in giudicato) e anche sentenze di merito e meramente processuali. Si indica dunque un notevole grado di “stabilità” della decisione che comunque non indica “immutabilità” giacché nessuna sentenza potrà mai dirsi assolutamente inattaccabile. • Sostanziale à art. 2909 c.c. dice: “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. Quindi il giudicato sostanziale fa riferimento agli effetti. Questo però può riguardare solo le sentenze di merito, perché solo queste contengono un accertamento che può far stato nei rapporti tra le parti, ecc.: un accertamento che riguarda il mondo sostanziale, l’esistenza/modo di essere del diritto/status oggetto del giudizio. Al giudicato sostanziale si ricollega quella di giudicato che copre il dedotto e il deducibile. Questo vuol dire che è la sentenza passata in giudicato è idonea a coprire ogni possibile ragione ed eccezione che è stata dedotta in giudizio o che avrebbe potuto essere dedotta. Quindi non possono essere fatti valere in giudizio fatti semplici oppure fatti-diritti* che pre-esistendo alla formazione del giudicato avrebbero potuto essere utilmente dedotti nel primo processo. Se il giudicato è di accoglimento (quindi si è accertata l’esistenza di un diritto o status), questo accertamento positivo non potrà essere rimesso in discussione, né facendo valere fatti estintivi, modificativi o impeditivi già dedotti, né quelli che avrebbero potuto essere dedotti. Non potremmo, ad esempio, davanti a una sentenza che ha accertato un credito, contestare questo accertamento in un altro giudizio sollevando un’eccezione di prescrizione che avrei potuto sollevare nell’altro giudizio. Questo vale anche per il giudicato di rigetto (si è accertata l’inesistenza del diritto o status) non potendo far valere in un nuovo processo un fatto estintivo che si sarebbe potuto far valere precedentemente: questo principio serve a garantire la stabilità del giudicato. Il giudicato resiste anche allo ius superveniens (nonché alla pronuncia di illegittimità costituzionale), cioè un mutamento normativo che incide su taluna delle norme sostanziali posta alla base della decisione. Però tutto questo va riferito ad un “momento”: è come se la sentenza passata in giudicato “fotografasse” il rapporto controverso in un certo momento e quindi l’insensibilità del giudicato a dedotto e deducibile va riferita ad un certo momento. Non è possibile escludere che la situazione si possa modificare in un momento successivo a quell’accertamento. Si ritiene che in un nuovo processo siano deducibili tutti i fatti nuovi (costitutivi, impeditivi, modificativi, estintivi) intervenuti in un momento in cui, sebbene non fosse stata ancora pronunciata la sentenza, non avrebbero più potuto essere tempestivamente introdotti nel processo. Ma qual è il momento in cui è riferito l’accertamento? DIPENDE DAL PROCESSO DI RIFERIMENTO. Banalmente pensiamo al fatto che la sentenza ha accertato un certo credito: nulla esclude che quel credito poi venga estinto: è ovvio che il giudicato non può fare riferimento al futuro. Ma qual è il momento in cui è riferito l’accertamento? È invece il momento ultimo in cui quei fatti potevano essere introdotti nel processo. Se facciamo riferimento al processo ordinario, dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni (con cui si chiude la fase istruttoria), la parte non ha nessuna possibilità di dedurre quel fatto: si ritiene che quei fatti non siano coperti dal giudicato (secondo l’opinione prevalente). Quindi se il creditore voglia richiedere un secondo pagamento, il debitore potrà contestare questo giudicato, perché questo fatto, in quanto sopraggiunto quando non era più deducibile in processo, non è coperto dal giudicato. 2 * fatti semplici à non hanno valenza autonoma ma rilevano per l’esistenza/inesistenza di un determinato diritto (es. vizio della cosa può rilevare per il diritto di garanzia ma non autonomamente); fatti diritti à sono fatti che possono costituire oggetto di autonomo giudizio (contro-credito di un debitore). Come opera il giudicato? Si parla di giudicato interno (si è formato all’interno dello stesso processo, come una sentenza non definitiva, non impugnata) e giudicato esterno (quello formato in diverso giudizio ma tra le stesse parti). In passato il giudicato interno era rilevabile d’ufficio, quello esterno invece si riteneva fosse un’eccezione in senso stretto rilevabile SOLO dalle parti. Oggi si ritiene che siano comunque entrambe rilevabili d’ufficio (naturalmente nel secondo caso il giudicato deve risultare dagli atti, altrimenti il giudice non può conoscerla). Ogni giudicato produce un effetto positivo e uno negativo: + à fa obbligo al giudice di conformare la propria pronuncia all’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato la quale opera come opererebbe una qualunque norma di legge incidente sul rapporto. - à impedisce al giudice di tornare a decidere sullo stesso diritto di cui è già stata accertata l’esistenza o inesistenza (divieto bis in idem) Dal punto di vista pratico, il problema di giudicato si pone sempre quando è sollevato in un diverso giudicato, con un’eccezione di cosa giudicata. Se i due giudizi hanno lo stesso oggetto, qui vale il principio del ne bis in idem, quindi non si può avere una nuova decisione e quindi il giudice dovrà rigettare la domanda in rito. Diverso è il caso in cui, il giudicato non si è formato sullo stesso oggetto, ma su un rapporto che rileva nel processo come pregiudiziale: pensiamo al caso di un giudizio relativo al rimborso delle spese di riparazione sopportate per ripristinare il muro di confine; se sorge una questione sulla proprietà comune o esclusiva di una delle parti, da questa questione dipende la decisione sulla domanda. Immaginiamo che su questa questione ci sia già un giudicato precedente. Qui l’oggetto dei due giudizi non è lo stesso, quindi il giudice non può limitarsi a dire che c’è già un giudicato e rigettarlo. Sarà solo vincolato, per la questione pregiudiziale all’accertamento del precedente giudicato (positivo o negativo che sia). I conflitti di giudicato Cosa succede se una sentenza va in conflitto con una passata in giudicato? Si distingue se l’oggetto è identico o meno. • Se l’oggetto è lo stesso, le due sentenze non possono coesistere: quindi c’è un conflitto pratico di giudicato. In questo caso si ritiene che se il contrasto viene rilevato prima che la seconda sentenza passi in giudicato, quella sentenza sarà evitata. Se si dovesse però arrivare a una seconda decisione che passa in giudicato, qui si ritiene che prevalga il giudicato più recente, come la soluzione per il contrasto tra due leggi. • Se l’oggetto è diverso, perché il giudicato riguarda solo una questione pregiudiziale, qui abbiamo un contrasto non pratico, ma meramente logico. Pensiamo all’ipotesi in cui c’è un giudicato che ha affermato che il muro di confine è di proprietà esclusiva di Tizio, ma in un secondo giudizio, Tizio ha agito contro Caio per il rimborso spese per questo muro, ritenendolo comune. Questa seconda sentenza contrasta col giudicato, ma è un contrasto logico, perché il giudice ha deciso sulla questione pregiudiziale in maniera difforme. Allora qui, se questa sentenza è impugnata tempestivamente, va bene. Se invece passa in giudicato, i due giudicati potranno coesistere, anche se c’è un contrasto logico. I limiti oggettivi del giudicato I problemi maggiori che si pongono in questo ambito riguardano i limiti oggettivi e soggettivi. Su cosa fa stato la sentenza passata in giudicato e nei confronti di chi? • Per quanto riguarda i limiti oggettivi, una norma considerata centrale da dottrina e giurisprudenza è l’art. 34, sugli accertamenti incidentali. 5 contrattuale con un’unica fattura). Questo lascia intendere che avrebbe potuto riproporsi la domanda per intero. • Cass. 2011: se le conseguenze dannose derivanti da un fatto illecito unico siano già note interamente al momento della proposizione della domanda, il frazionamento dell’azione extracontrattuale per i danni da circolazione stradale, è una forma di abuso del processo ostativo all’esame della seconda domanda. • SS.UU. 2017: questa sentenza dice che le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, benché relative a uno stesso rapporto, possono essere proposte in separati processi, ma se le pretese creditorie siano iscrivibili allo stesso fatto costitutivo, le relative domande devono essere formulate nello stesso giudizio: Se si tratta di domande relative a diversi crediti, si possono fare più giudizi; il problema sorge quando questi diritti di credito si inseriscono su un rapporto di durata e quindi, essendo fondati sullo stesso rapporto costitutivo, sarebbe dispendioso dividerli in più giudizi. Quindi occorre che il frazionamento della domanda sia dovuto ad un interesse oggettivamente valutabile ed apprezzabile. Se al giudice non risulti questo interesse, deve sollevare la questione d’ufficio, assegnando un termine alle parti perché attraverso le memorie possano trattare la questione. Questa sentenza non risolve tutti i problemi: se il giudice non solleva la questione e si arriva la decisione su una di queste domande, che succede alle domande successive? I limiti soggettivi del giudicato È un tema molto controverso. L’art. 2909 dice che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o gli aventi causa. Tuttavia non specifica se “parti” dev’essere inteso in senso processuale (coloro che hanno partecipato al giudizio) oppure sostanziale (i soggetti titolari del rapporto oggetto della decisione). Vi è un principio tratto da un brocardo latino per cui “la cosa giudicata inter alios non nuoce ne giova al terzo”. Oggi questo principio è stato messo in discussione, alla luce dell’art. 1306, che è una norma che riguarda le obbligazioni solidali. Art. 1306: “La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.” Questo articolo prevede un’estensione del giudicato in utilibus: quindi vuol dire che il giudicato non può essere invocato contro il terzo, ma può essere invocato a suo favore, cioè nella parte che giova al terzo. Il debitore solidale che non ha partecipato al processo non subisce gli effetti della sentenza. Secondo una parte della dottrina e anche secondo il professore, questo art. 1306, in realtà, anche se dettato solo per le obbligazioni solidali, è un principio generale applicabile a tutte le ipotesi in cui il giudicato riguardi un rapporto unico plurisoggettivo. Se si tratta di ipotesi in cui, ex art. 102 (litisconsorzio necessario), tutti i contitolari del rapporto plurisoggettivo devono partecipare al processo, il problema non si pone. Anche se il fatto che sia dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo non significa che tutti debbano partecipare al processo. Pensiamo all’ipotesi in cui uno dei comproprietari agisca in rivendica nei confronti di un terzo. Oppure uno dei comproprietari agisca in confessoria servitutis nei confronti del proprietario del fondo limitrofo. In queste ipotesi non è necessario che al giudizio partecipino anche gli altri comproprietari. Se la domanda viene rigettata, il suo giudicato non potrà essere invocato contro gli altri comproprietari, i quali potrebbero proporre un nuovo giudizio con la medesima azione, senza essere vincolati da giudicato di rigetto. Se fosse stato di accoglimento, gli altri contitolari del medesimo rapporto giuridico, se accediamo alla tesi per cui il 1306 è espressione di un principio generale, allora questi potrebbero invocare questo giudicato a proprio favore. Si tratta ora di capire se ci sono casi in cui il giudicato intervenuto inter alios può prodursi in danno di un terzo. È un problema di efficacia della sentenza e del giudicato, quindi distinguiamo: 6 • Efficacia diretta, che riguarda il diritto o status immediato della decisione. Questa efficacia non può mai prodursi ultra partes (eccezione nell’art. 111, c. 4, che prevede che gli effetti della sentenza si estendano anche al successore a titolo particolare (erede o alienante), anche se non ha partecipato al giudizio, sia se favorevoli che sfavorevoli; altra eccezione artt.108 e 109 circa la sentenza pronunciata DOPO l’estromissione che produce effetti anche nei confronti della parte estromessa, in un caso del garantito e nell’altro dell’obbligato). • Efficacia riflessa: riguarda rapporti dipendenti da quello dedotto in giudizio, sia tra le stesse parti che tra altre parti. Innanzitutto un terzo può essere coinvolto: - in via di fatto à il terzo deve riconoscere il giudicato formatosi tra le parti (es. se A rivendica vittoriosamente la proprietà nei confronti di B e poi agisce in negatoria servitutis nei confronti di C, C non può difendersi affermando che il proprietario è B e non A). - terzi titolari di rapporti giuridici connessi à non risente di alcun pregiudizio il terzo titolare di un diritto autonomo, diverso se dipendente (nel quale rapporto rientrano anche gli aventi causa; anch’essi al pari degli eredi vengono assoggettati all’autorità di giudicato)* *Controversa è dunque la seconda categoria, la possibilità che questa efficacia si produca ultra partes, in danno di terzi titolari di situazioni giuridiche dipendenti (eccezione nell’art. 111, c. 4). Ad es. il problema che si può porre se in un primo giudizio si sia accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; poi c’è un secondo giudizio promosso o dal lavoratore nell’ente previdenziale, in cui il lavoratore chiede la sua condanna a determinate prestazioni, oppure il caso in cui l’ente agisce contro il datore di lavoro per dei contributi obbligatori per legge. In entrambi i casi si pone il problema dell’efficacia riflessa, perché il secondo giudizio ha per oggetto un rapporto giuridico dipendente, che riguarda soggetti in parte diversi. Ci si chiede: in questo secondo giudizio caratterizzato da un collegamento giuridico, quel giudicato produce o no efficacia riflessa? Se condividiamo la tesi del 1306 come principio generale, gli effetti si produrrebbero solo a favore dei terzi che potrebbero avvantaggiarsi del giudicato à il problema non si pone nel caso dell’ente previdenziale che agisce contro il datore di lavoro; diverso è il discorso nell’altro caso dove il lavoratore agisce contro l’ente, perché qui sarebbe invocato contro il terzo (contro l’ente previdenziale): qui può essere invocato contro il terzo? Ci sono tre tesi: o Prima tesi Allorio, Protopisani, Carpi à quando c’è un nesso di dipendenza sul piano sostanziale, questa dipendenza si estende sul piano processuale. Se c’è dipendenza fra due rapporti giuridici che fanno capo a parti diverse l’efficacia riflessa si produce normalmente in danno di terzi. Oggi questa tesi è stata superata, essendo poco rispettosa del diritto di difesa dei terzi. o Seconda tesi Vocino, Attardi, Monteleone à oggi è la tesi che ha più favore: l’estensione ultra partes ha natura eccezionale, quando la legge espressamente lo preveda (come nel caso ex. art.1306 dove il giudicato non può essere invocato contro il terzo, ma può essere invocato a suo favore, cioè nella parte che giova al terzo). o Terza tesi di Luiso à è una variante della seconda, perché concorda sul fatto che l’efficacia riflessa ultra partes sia eccezionale, ma può manifestarsi non solo quando c’è una disposizione ad hoc ma pure quando vi è un “nesso intenso” definito di dipendenza permanente (la situazione soggettiva che fa capo al terzo dipende dall’esistenza del diritto controverso tra le parti non solo nella fase genetica ma pure nelle vicende seguenti). Es. nel caso di sublocazione, il diritto del subcontraente presuppone l’esistenza del diritto del contraente principale, tant’è che l’annullamento del contratto base produrrebbe l’estinguersi del subcontratto. In tali ipotesi, la circostanza che la sentenza intervenuta tra le parti del rapporto principale produca efficacia riflessa nei confronti del subcontraente si spiegherebbe in ragione della peculiare dipendenza. 7 o Tesi della giurisprudenza à oggi concorda nell’escludere che di regola la sentenza possa produrre effetti riflessi in danno di un terzo, ma dice che può essere usata come un elemento di prova contro un terzo. La sentenza passata in giudicato, anche quando non possa avere l’effetto vincolante del 2909, può avere l’efficacia riflessa di prova o di elemento di prova. Spetta al giudice di merito di valutarla. È come se dalla sentenza pronunciata inter alios, il giudice può trarre qualunque argomento. È una soluzione molto empirica che esclude un valore vincolante della sentenza, ma attribuisce un valore diverso. L’art.24 Cost. unito al principio del contraddittorio ex. art. 111 co.2, induce ad escludere che il terzo titolare di un rapporto giuridicamente dipendente da quello oggetto del giudicato tra le parti subisca l’efficacia riflessa di una sentenza a lui sfavorevole, potendo solo ammettersi che l’accertamento del rapporto pregiudiziale, sia invocabile liberamente dal terzo se a lui favorevole. Questa soluzione sarebbe concorde con quella di Vocino-Attardi. La terza tesi non sembra persuasiva perché il diritto di natura personale del contratto di sublocazione non dipende, sul piano sostanziale, dall’esistenza del contratto di locazione (di cui il subconduttore potrebbe pure ignorarne l’esistenza) e il fenomeno non riguarda l’efficacia riflessa del giudicato bensì l’efficacia esecutiva della sentenza che senz’altro lo investe. Inoltre, affermare in una s.n.c. che la sentenza di condanna verso la società produca efficacia riflessa verso i soci perché trattasi di un legame di dipendenza permanente porterebbe all’errata conclusione che questi non possano rimettere in discussione l’esistenza del debito sociale. NON è COSI perché nei casi di sentenza pronunciata nei confronti di un co-debitore, non vi è effetto contro altri debitori ex art. 1306 che potranno comunque difendersi non essendo vincolati a quel giudicato. LA CORREZIONE DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE Ci sono dei casi in cui l’impugnazione delle sentenze (o di diversi provv. Ugualmente non revocabili o modificabili) appaiono eccessivi rispetto alla natura del vizio stesso, sicchè è stata prevista la possibilità di un procedimento diretto alla correzione del provvedimento mediante ricorso allo stesso giudice che l’ha pronunciato ex art.287. Art.287 à “Le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e le ordinanze non revocabili possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. Parliamo quindi di OMISSIONI, ERRORI MATERIALI, ERRORI DI CALCOLO (operazioni aritmetiche), OMESSA PRONUNCIA DI PROVV. NECESSARI. Il vizio può riguardare: - elemento formale (es. nome di uno dei magistrati o di una delle parti, o data deliberazione): deve trattarsi di mera svista involontaria facilmente riconoscibile dal raffronto con gli altri atti processuali (es. errore su identità di parte emerge facilmente dall’ausilio dell’atto introduttivo). - elemento della decisione: deve trattarsi di errore di manifestazione della volontà e non di formazione della volontà, quindi nel caso di errori di calcolo riguardanti le operazioni aritmetiche. La giurisprudenza ritiene che siano emendabili dallo stesso giudice a quo anche omessa pronuncia di provv.necessari quali ad es. liquidazione delle spese processuali. I provvedimenti correggibili: L’art. fa riferimento a sentenze di cui non è stato proposto appello e ordinanze non revocabili; TUTTAVIA si ritiene che si applichi anche a sentenze di ogni grado e ordinanze, decreti non revocabili. PRIMA era solo il primo grado perché si diceva che in appello, essendoci senz’altro la pronuncia di una nuova decisione si pone rimedio; OGGI si tiene in considerazione l’interesse immediato di una parte alla correzione del vizio (si pensi alla pronuncia di condanna immediatamente esecutiva). L’inconveniente è stato risolto dalla Corte Cost. che ha dichiarato illegittimo l’articolo nel 2004 per contrasto con il diritto d’azione ex art.24 nella parte in cui fa riferimento alle sole sentenze di primo grado. 10 Pensiamo al ricorso per cassazione o revocazione: sono rescindenti perché il giudice può rigettare l’impugnazione e il ricorso si ferma lì: il rigetto porta al consolidamento della sentenza impugnata, non la sostituisce. Solo se l’impugnazione è accolta, avremo la prima fase rescindente e in un momento (logicamente) successivo avremo la fase rescissoria. Qualificazione del provvedimento. Con riguardo all’oggetto della controversia e dell’impugnazione, può accadere che il giudice qualifichi in maniera errata l’oggetto del processo - es. la sentenza qualifica erroneamente l’opposizione del debitore esecutato come opposizione agli atti esecutivi (inappellabile) anziché come opposizione all’esecuzione (appellabile). In questi casi, si tutela l’apparenza e il legittimo affidamento delle parti, pertanto il rimedio utilizzabile sarebbe solo il ricorso per cassazione. Con riguardo alla forma del provvedimento giurisdizionale, posto che l’art. 323 si riferisce all’impugnazione delle sentenze, mentre normalmente non sono impugnabili ordinanze e decreti, ci si è chiesti cosa succede se il giudice, che dovrebbe decidere con una determinata forma (ad es. sentenza), ha deciso erroneamente con altra forma (ad es. ordinanza) ? In questi casi la giurisprudenza parla del principio della prevalenza della sostanza sulla forma: in questi casi si guarda al contenuto/sostanza del provvedimento, che è quello che prevale. Se il provvedimento ha il contenuto tipico della sentenza, lo dobbiamo considerare tale anche ai fini dell’impugnazione. Ovviamente vale anche il contrario: se il giudice nell’ambito di una sentenza non definitiva, ha poi affrontato la questione relativa ai mezzi di prova (che doveva risolvere con ordinanza), il solo fatto che siano convenuti in una sentenza non li renderà impugnabili. !!! TUTTAVIA, Non sempre questo principio è sufficiente per risolvere ogni problema, perché ci sono parecchi casi in cui il contenuto non è sufficiente per determinare in modo univoco il regime di impugnazione !!!. Ci sono delle ordinanze che dal punto di vista contenutistico sono in tutto e per tutto sentenze di condanna ma il legislatore impone forma di ordinanza o di decreto, pensiamo ad esempio alle ordinanze del 186-bis (pagamento di somme non contestate) o il 663 (ipotesi in cui il conduttore o non si presenta all’udienza o si presenta e non si oppone allo sfratto, quindi il giudice pronuncia con ordinanza la convalida dello sfratto e il processo finisce lì). Che succede se il giudice condanna, ma il convenuto aveva contestato quelle somme o nel secondo caso si era presentato e si era opposto allo sfratto? Se il giudice dovesse, in questo caso, pronunciare una sentenza al posto dell’ordinanza, non si pone il problema perché si impugnerebbe. Ma se pronuncia un’ordinanza (come se il convento non avesse contestato) quando la controparte aveva contestato? Di regola non esisterebbe alcun rimedio. FORTUNATAMENTE si è formata una certa giurisprudenza. Ad es. Cass. 2010, dice che il ricorso per cassazione in questi casi è inammissibile però in questi casi (dato che è stata pronunciata al di fuori delle condizioni di legge e quindi come se fosse una sentenza) è ammesso l’appello. Una situazione analoga ha riguardato l’art. 789, che prevede che una volta formato il progetto di divisione dell’eredità, se su questo non sorgono contestazioni, il giudice lo dichiara esecutivo con ordinanza (non impugnabile): se ci sono contestazioni, allora decide con sentenza. Se però decide con ordinanza e però c’erano delle contestazioni, la sent. Cass. 2006 ha detto che in questo caso è ammissibile il ricorso per cassazione. Questa giurisprudenza però è stata criticata dalla dottrina e poi è stata cambiata. La cass. SS.UU. del 2012 ha previsto che il giudice che dichiara esecutivo il progetto di divisione in presenza di contestazioni ha natura di sentenza e quindi è impugnabile in appello. Condizioni dell’impugnazione Come per il diritto d’azione si parla di condizione dell’azione (che sono legittimazione - spetta a chi assume di essere titolare di un diritto e interesse ad agire - spetta a chi ha un interesse obiettivamente utile e apprezzabile), allo stesso modo in proposito del diritto di impugnazione, si parla di condizioni dell’impugnazione. Quindi sono: • Legittimazione ad impugnare: questa spetta di regola a chi è stato parte nel processo in cui è stato pronunciato il provvedimento che si impugna. Si ritiene che la legittimazione spetti sia al rappresentante che al rappresentato (in caso di rappresentanza volontaria e finanche nel caso di falsus procurator che agisce come rapp. senza poteri). 11 Vediamo le eccezioni: - l’interventore adesivo dipendente: questo non può impugnare, perché non propone una domanda in giudizio ma ha soltanto una legittimazione secondaria (ha diritto di partecipare al giudizio intrapreso dall’altra parte). Siccome la legittimazione ad impugnare si ricollega a quella ad agire, all’interventore adesivo dipendente mancano entrambe. - legittimazione ad impugnare del successore a titolo universale e particolare: ci sono alcuni casi in cui anche chi non ha partecipato al giudizio può proporre impugnazione. Ad esempio i casi di successione processuale sia universale (ex art.2909 che subiscono anch’essi gli effetti del giudicato), che particolare (questa è un’eccezione più significativa ex art.111 co.4 dove è previsto che questi, anche quando non sia intervenuto né chiamato in giudizio, possa impugnare). Di regola il successore a titolo particolare resta fuori dal giudizio, ma se anche rimane estraneo, in realtà subisce gli effetti della sentenza che sarà pronunciata dalle parti, quindi avrà anch’egli legittimazione ad impugnare. - l’impugnazione del PM e l’opposizione di terzo. Un problema che si è posto e si pone frequentemente è quello relativo al momento in cui si valuta la legittimazione ad impugnare in tutti quei casi di perdita di capacità processuale di una delle parti o morte (senza che sia stata dichiarata ai fini dell’interruzione del processo o comunque anteriormente alla proposizione dell’impugnazione). Pensiamo al caso in cui la sentenza è stata pronunciata nei confronti di Tizio e di Caio; nel periodo successivo alla sentenza e prima dell’impugnazione, muore una delle parti e subentrano gli eredi; oppure la morte è stata anteriore alla sentenza e non è stata dichiarata prima. In questi casi il buon senso dice che se l’impugnazione è proposta dal successore o nei suoi confronti, non ci sono problemi. Ma spesso accade che l’altra parte non sa nulla dell’evento (morte/incapacità) e quindi propone l’impugnazione nei confronti della parte originaria. È un fatto grave, soprattutto nel momento in cui l’evento si è verificato poco prima dell’impugnazione. Potrebbe anche accadere questo dal lato attivo, cioè quando il difensore della parte soccombente ha ricevuto mandato per l’impugnazione, ma poco dopo muore la parte rappresentata; quindi il difensore (ignorando l’evento) propone l’impugnazione a nome di una parte estinta. Di regola quindi l’impugnazione sarebbe proposta da o nei confronti di una parte priva della legittimazione e quindi sarebbe inammissibile: le conseguenze sarebbero gravi e ingiuste, quindi dottrina e giurisprudenza si sono affannate a trovare una soluzione, prospettando diverse tesi. o Prima tesi: è stata prevalente fino a una ventina di anni fa. Se l’evento si è verificato nel corso del processo e non è stato dichiarato o notificato, è irrilevante, non solo all’interno del processo, ma anche nell’impugnazione. Questa parte quindi si considerava ancora in vita anche nel prosieguo del giudizio. Per esempio: Cass. 2000 sull’estinzione di una persona giuridica: se l’evento non è dichiarato dal difensore e la sentenza è pronunciata nei confronti di questa persona giuridica, deve riconoscersi alla controparte la legittimazione a proporre impugnazione anche nei confronti della persona giuridica, a prescindere dall’effettiva conoscenza di quell’evento e dalla mala/buonafede. Lo stesso una Cass. 2003: il raggiungimento della maggiore età del minore che partecipa con rappresentante legale, se non è notificato, non modifica il regime di impugnazione, che avverrà nei confronti del rappresentante legale, senza che rilevi la conoscenza o conoscibilità di questo evento per la parte impugnante. o Seconda tesi: la legittimazione all’impugnazione deve essere sempre verificata con riguardo al momento in cui è instaurato il giudizio di impugnazione, salvo il caso di mancata conoscenza incolpevole. Quindi se l’impugnazione è posta nei confronti della parte estinta/incapace, questa non è valida. C’è però la possibilità di salvare l’impugnazione dimostrando che non si è potuto avere conoscenza dell’evento senza colpa. Cass. 2005: se uno degli eventi ecc. e non è dichiarato, il giudizio di impugnazione deve essere instaurato da e nei confronti dei soggetti effettivamente legittimati: il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto però resta subordinato alla conoscenza o conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza da parte del soggetto che impugna. Quindi, nel caso di raggiungimento di maggiore età di una delle parti nel corso del processo, dato che è un fatto facilmente conoscibile (dagli atti del processo stesso), si prescinde dalla incolpevolezza dell’ignoranza, quindi l’impugnazione non è valida. 12 o Terza tesi: la legittimazione deve essere sempre verificata con riguardo alla instaurazione del giudizio di impugnazione (come la seconda tesi), senza che possa configurarsi una mancata conoscenza incolpevole. È una tesi veramente ultra-rigorosa. Cass. SS.UU. 2009: In caso di morte dopo sentenza ma prima dell’impugnazione, questa va sempre rivolta nei confronti degli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente. Questa sentenza fu criticata aspramente dalla dottrina. Cass. SS.UU. 2014: per quanto riguarda la cancellazione dal registro delle imprese della società di capitali conseguente alla liquidazione volontaria: con la riforma del diritto societario c’è una norma che lascia intendere che la società non esista più dopo la cancellazione dal registro delle imprese, con gravi conseguenze ed incertezze normative per i giudizi pendenti. Proprio per questo ad un certo punto le SS.UU. si sono rese conto che questa loro tesi si offriva a strumentalizzazione: i soci, con una serie di giudizi pendenti, liquidavano la società, la cancellavano dal registro, magari la controparte ignorava l’estinzione e quindi il tutto faceva saltare l’impugnazione. Questa sentenza quindi dice che l’incidenza del processo degli eventi previsti dall’art. 299 (morte o perdita della capacità di stare in giudizio) è disciplinata dalla regola dell’ultrattività del mandato per cui la morte della parte rappresentata non estingue il mandato (a meno che non subentrino i successori che revochino il mandato) e dunque, se l’evento non è stato notificato, il difensore continua a rappresentare la parte anche dopo l’evento, come se non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata. Quindi la parte originaria si continua a considerare legittimata. Quindi anche la notificazione della sentenza fatta al difensore della parte che ha perso la legittimazione è ancora idonea a far decorrere il termine anche nei confronti degli eredi/nuovo rappresentante legale. Questo difensore, se gli era stata conferita una procura per gli ulteriori gradi del processo, può proporre impugnazione. Per il ricorso in cassazione il problema non si può porre (perché serve sempre una procura speciale), mentre per l’appello sì, perché la procura ad litem può essere conferita sia per il primo grado, che per l’appello. Il difensore quindi potrebbe proporre appello in nome della parte estinta. È chiaro che il difensore, sul piano deontologico, non potrà poi non rapportarsi coi successori e gli eredi, ma sul piano processuale la sua impugnazione sarebbe del tutto valida. È ammissibile anche l’atto di impugnazione notificato presso il procuratore alla parte deceduta o divenuta incapace, anche se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento. Tutti questi principi presuppongono che la parte colpita si fosse costituita nel precedente grado di giudizio. In ipotesi di contumacia, tutti questi principi non si avverano. Il problema sulla contumacia si può ancora proporre: la parte soccombente potrebbe non sapere che il contumace è morto se si è verificato poco prima dell’impugnazione. Quindi il problema può essere risolto, attraverso la remissione in termini per causa non imputabile, quando la parte che ha impugnato non poteva sapere dell’evento. • Interesse ad impugnare: si ricollega alla soccombenza. Come per proporre una domanda è necessario avere un interesse ex.art.100 così per l’impugnazione è necessario essere soccombenti. La soccombenza è la circostanza in cui la parte si è vista rigettare totalmente/parzialmente, nel merito o per ragioni processuali, una propria domanda oppure abbia visto accogliere, totalmente/parzialmente, una domanda che una parte aveva proposto nei sui confronti. A proposito della soccombenza si parla di soccombenza formale e teorica. - La soccombenza formale (è quella effettiva) si ha quando la parte si è vista rigettare la propria domanda oppure accogliere la domanda della controparte: molto spesso avremo una soccombenza parziale, o anche reciproca. Per quanto riguarda la sentenza che abbia definito il processo per ragioni meramente processuali, vedrà come soccombente l’attore. - La soccombenza teorica si ha quando una parte che è stata vittoriosa nel merito, ma è risultata soccombente per una sola questione (sia processuale, che di merito). Per es. il convenuto ha eccepito la prescrizione del diritto: se la sentenza rigetta la prescrizione ma comunque gli dà ragione nel merito abbiamo una soccombenza meramente teorica. In questo caso l’interesse non è attuale: se il convenuto instaurasse lui l’impugnazione, questa sarebbe inammissibile per difetto dell’interesse attuale ad impugnare essendo comunque vittorioso nel merito, però potrebbe sopravvenire: nel momento in 15 L’art.329 prevede che: “Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 (revocazione straordinaria), l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità. L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”. L’acquiescenza è una accettazione della sentenza, che può essere espressa o tacita ed è causa di estinzione del potere di impugnazione. L’acquiescenza vera e propria interviene solo dopo la pubblicazione della sentenza e prima che l’impugnazione sia proposta: se ci fosse acquiescenza dopo la proposizione dell’impugnazione sarebbe rinuncia all’impugnazione. - Acquiescenza espressa à dichiarazione ad hoc, unilaterale e non recettizia - Acquiescenza tacita à quella che risulta da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni. Si tratta di capire quali comportamenti della parte soccombente possono essere intesi in maniera inequivoca come accettazione della sentenza. C’è una certa casistica: per esempio fino al 1990, dato che la sentenza di primo grado non era esecutiva per legge, si riteneva che l’esecuzione spontanea della sentenza di condanna di primo grado non ancora esecutiva, fosse da intendere come accettazione della sentenza; oggi la sentenza di primo grado è normalmente esecutiva e quindi il solo fatto che il soccombente vi dia esecuzione non può significare acquiescenza (può averlo fatto anche solo per evitare le spese dell’esecuzione forzata). Potrebbe suonare come acquiescenza l’esecuzione spontanea di una sentenza costitutiva (che non è esecutiva prima di passare in giudicato): se la parte pone in essere dei comportamenti che presuppongono già quella modificazione giuridica (es. il promissario acquirente paga subito), è probabile che si parli di acquiescenza tacita. Vi è poi una particolare ipotesi di acquiescenza tacita quella del comma 2: l’acquiescenza qualificata, che deriva dall’impugnazione parziale della sentenza. Qui la sentenza consta di più capi: se la parte soccombente impugna solo alcuni di questi capi, questo suo comportamento implica acquiescenza tacita rispetto all’altro capo, mentre gli altri passano in giudicato (es. il giudice accoglie una domanda di risoluzione per inadempimento e condanna il convenuto al risarcimento del danno, quindi due capi: se il convenuto impugnasse solo il capo relativo al risarcimento del danno, questo suo comportamento implica l’acquiescenza tacita rispetto all’altro capo). NON SEMPRE l’impugnazione parziale può determinare il passaggio in giudicato degli altri capi, ma necessita che questi capi siano autonomi e indipendenti, perché se si tratta di capi dipendenti non può considerarsi acquiescenza: ex art.336 che parla dell’effetto espansivo interno, un’impugnazione parziale può estendersi OLTRE I CAPI DI SENTENZA DIRETTAMENTE COINVOLTI e quindi potrebbero esserci capi DIPENDENTI da quello impugnato che potranno rimanere coinvolti dall’accoglimento dell’impugnazione pur se formalmente passata in giudicato. Quindi l’acquiescenza qualificata vale per capi autonomi come: - capo di domanda (statuizione concernente fondatezza/infondatezza di una domanda) - capo riguardante decisione avente ad oggetto una singola questione (rito o merito) Invece non opererà: - cumulo di cause inscindibile: non opera acquiescenza perché l’impugnazione contro alcune delle parti vittoriose, evita il passaggio in giudicato nei confronti di tutte; se le cause fossero scindibili, impugnare contro solo una delle parti, può dar luogo a distinti procedimenti. Inammissibilità e improcedibilità dell’impugnazione Inammissibilità – non può proporsi impugnazione • L’inammissibilità in senso proprio per vizi generici può essere: o Per vizi extraformali: ipotesi non tassative in cui il potere di impugnazione non è mai sorto oppure si è estinto. Ad es. l’ipotesi in cui è proposta un’impugnazione che in realtà non è prevista da legge (es. ricorso per cassazione di una sentenza di primo grado che sarebbe appellabile), ovvero l’ipotesi in cui 16 l’impugnazione proposta senza i requisiti dell’impugnazione (interesse e legittimazione, come nella soccombenza solamente teorica), o anche quando sono già spirati i termini per l’impugnazione. Sono ipotesi non necessariamente previste dalla legge in maniera espressa. o Per vizi formali: ipotesi tassative (es. artt. 365, 366, 398), quindi occorre una norma che ricolleghi espressamente l’inammissibilità a un vizio formale, perché normalmente i vizi formali di un atto possono dar luogo alla nullità, e possono essere anche vizi sanabili, quindi serve una norma precisa che li ricolleghi all’inammissibilità, che non è sanabile. Es. ex art.365 Se il ricorso per cassazione non contiene determinati elementi, non è nullo, ma è inammissibile • Vediamo la inammissibilità in senso improprio, usata per riferirsi a situazioni in cui non c’è un vizio genetico: - art. 360-bis à il ricorso per cassazione è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; e quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo. Qui stiamo parlando di impugnazioni che appaiono infondate nel merito, già prima facie. - art. 348-bis à l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta: quindi si parla sempre di manifesta infondatezza. Non è la stesa cosa né dal punto di vista formale (perché l’inammissibilità può produrre anche delle conseguenze su altre impugnazioni – tipo la consumazione dell’impugnazione), né dal punto di vista sostanziale (perché ovviamente l’infondatezza è meglio dell’inammissibilità). Improcedibilità – l’impugnazione non può essere proseguita Per quanto invece riguarda l’improcedibilità, si colloca in una fase successiva a quella genetica, d’instaurazione del processo. Sono ipotesi certamente tassative. Art.348 (improcedibilità appello), art. 369 (ricorso per cassazione: ci sono determinati oneri a carico del ricorrente sanzionati con l’improcedibilità), art. 399 (giudizio di revocazione). L’improcedibilità è in stretta connessione con il principio della consumazione dell’impugnazione: deducibile dagli artt. 358 e 387 (relativi all’appello e ricorso per cassazione) dove sostanzialmente si dice che l’appello/ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine fissato dalla legge. Quindi il potere di impugnazione si consuma nel momento in cui è esercitato. Quindi non può essere esercitato una seconda volta, non è possibile integrare l’atto di impugnazione in un momento successivo (magari integrando nuovi motivi). Tuttavia c’è un punto pacifico: siccome le due norme parlano di appello o ricorso per cassazione dichiarato inammissibile o improcedibile, da qui si desume che fin quando non è intervenuta una dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità, l’impugnazione può essere riproposta (se non è scaduto il termine). Una sentenza della Cass. SS.UU. 2016 ha specificato questo punto dicendo che se il termine non è ancora decorso, si fa ancora in tempo a proporre una nuova impugnazione che sostituisca quella viziata: nel momento in cui la parte si accorge di aver sbagliato qualcosa, se il termine per l’appello non è ancora decorso fa ancora in tempo a rimediare. Questa sentenza però dice una cosa in più molto criticata: nel momento in cui si notifica la prima impugnazione, non si può far riferimento al termine lungo, perché in realtà, dal momento che hai notificato la prima impugnazione decorre il termine breve (30 giorni per l’appello, 60 per il ricorso per cassazione), perché la notifica del primo atto di appello dimostra la conoscenza legale del provvedimento impugnato: quindi da quel momento cominciano i 30/60 giorni. NON è corretto. Perché il termine breve possa iniziare a decorrere, l’art.295 richiede la notificazione della sentenza, richiesta dalla parte vittoriosa ed eseguita nei confronti del difensore dell’altra parte. Quindi non è sufficiente la conoscenza legale, ma è richiesta una attività ben precisa della parte vittoriosa. Ma fino ad adesso, questo orientamento giurisprudenziale è consolidato. In realtà, secondo il professore, da questa disciplina e da come vengono intesi i due articoli, certamente si può escludere la possibilità di una integrazione dell’impugnazione (aggiungendo nuovi motivi di impugnazione), ma dovrebbe essere sempre possibile (a prescindere da vizi che la rendano inammissibile o improcedibile) la sostituzione 17 totale dell’impugnazione. Perché nulla impedisce alla parte di rendere l’appello volontariamente improcedibile, non costituendosi nei termini, e poi proporre una nuova impugnazione che vada a sostituire la prima. Gli effetti dell’impugnazione Generalmente, gli effetti della pronuncia del giudice, sostitutiva o rescindente che sia, investo in via diretta le sole parti della sentenza effettivamente impugnate L’art. 336 contiene 2 indicazioni. EFFETTO ESPANSIVO INTERNO à il primo comma dice che la riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti (=capi) della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata. Se il convenuto impugna solo il capo sulla risoluzione del contratto e non quello del risarcimento del danno, questo implicherebbe acquiescenza sul risarcimento del danno; in realtà però il 336 dice che se il giudice dell’impugnazione accoglie l’impugnazione contro la pronuncia di risoluzione di contratto, questa sentenza travolgerà anche il capo relativo al risarcimento del danno, perché il risarcimento è dipendente qui dalla risoluzione (anche se formalmente già passato in giudicato). EFFETTO ESPANSIVO ESTERNO à Il secondo comma riguarda non più altre parti della stessa sentenza, ma altri atti/provvedimenti, ma anch’essi dipendenti dalla sentenza riformata/cassata. Questa norma ha avuto nel tempo due modifiche: • Formula originaria identica a quell’attuale: si parla di riforma o di cassazione della sentenza che estende i suoi effetti ai provvedimenti e atti dipendenti. Quindi quando interviene una riforma (pensiamo all’appello, quando il giudice riformi la sentenza di primo grado), la caducazione della sentenza impugnata provoca la caducazione di tutti gli atti e provvedimenti che dipendono dalla sentenza impugnata. Questo non poneva, in passato, particolari problemi con riguardo all’ipotesi dell’impugnazione di una sentenza non definitiva visto che queste originariamente non erano immediatamente impugnabili, ma lo erano solo alla fine del processo, assieme alla sentenza definitiva. Nel 1950 il legislatore ha però introdotto la possibilità di fronte alla sentenza non definitiva o di impugnare subito o attendere la sentenza definitiva. Ecco il problema: qualora una parte vedesse rigettarsi una questione con sentenza non definitiva (es. difetto di giurisdizione), se questa viene appellata immediatamente e viene dichiarato difetto di giurisdizione, stando alla formulazione originaria vi sarebbe caducazione della sentenza definitiva e di tutti gli atti da questa dipendenti. Se il processo di primo grado ancora non si è concluso, il giudice di primo grado, deve chiuderlo con l’assurda conseguenza che se poi si impugna la sentenza d’appello e la Cassazione dice che non sussiste difetto di giurisdizione, si dovrebbe riprendere quel processo di primo grado che però si è estinto. • 1950: il legislatore aggiunge: “la riforma/cassazione con sentenza passata in giudicato, estende i suoi effetti ai provvedimenti e atti dipendenti”: quindi la caducazione si aveva solo nel momento in cui la sentenza d’appello passava in giudicato, cosa che evitava i problemi che abbiamo visto nel punto precedente. Alla fine degli anni ’70 però si aprì un nuovo problema perché la giurisprudenza di merito ritenne applicabile questo articolo anche per gli atti di esecuzione forzata dipendenti da sentenza di primo grado. Ad esempio nel caso di reintegrazione del lavoratore nelle ipotesi di licenziamento illegittimo: la sentenza di primo grado ordinava la reintegrazione; il lavoratore era reintegrato; la sentenza di appello dichiarava poi legittimo il licenziamento, cosa che dovrebbe comportare l’estromissione del lavoratore MA applicando l’art.336 avevamo che finché non passava in giudicato quella sentenza di appello il lavoratore non si sarebbe potuto estromettere. Quindi il lavoratore continuava a lavorare. Ci fu un dibattito vivace, con 3 interventi delle SS.UU. in pochi anni. • 1990: il legislatore ha risolto il problema tornando alla vecchia formulazione del 336 con la conseguenza che una sentenza di secondo grado che riforma una di condanna, produce effetti immediati su tutti gli atti esecutivi eventualmente posti in essere medio tempore. Però intervenne anche con una disposizione di attuazione: il 129-bis disp. Att.: “se sia stato proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza d’appello che abbia riformato una delle sentenze non definitive, il giudice istruttore (su istanza di parte interessata) se ritiene che 20 In tutte queste ipotesi, l’unitarietà del processo d’impugnazione è assicurata dall’art.335 che prevede che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbano essere rinviate, anche d’ufficio, in un solo processo. Le fattispecie di causa inscindibile. L’art.331 parla di causa inscindibile o tra loro dipendenti. Individuando le ipotesi di causa inscindibile o tra loro dipendenti, le altre fattispecie si iscriveranno al concetto di “cause scindibili” ex art.332. I hp à Litisconsorzio necessario originario, tanto quello sostanziale tanto quello processuale (è morta una delle parti e subentrano gli eredi oppure intervento coatto di un terzo) II hp à Litisconsorzio unitario (c.d. quasi necessario) cumulo di domande tra parti diverse connesse per oggetto e titolo, cioè quando non è necessario che una pluralità di soggetti partecipino al giudizio, ma se si è instaurato tra una pluralità di soggetti si crea poi un cumulo inscindibile: ad esempio più soci impugnano una delibera assembleare, oppure più condomini hanno impugnato una delibera condominiale. III hp à successione a titolo particolare nel diritto controverso, sempreché il successore abbia partecipato al precedente grado di giudizio e l’alienante non sia stato estromesso prima della pronuncia della sentenza. IV hp à intervento adesivo dipendente di un terzo, si parla di causa inscindibile perché l’interventore adesivo dipendente si limita ad aiutare in giudizio una delle parti (quindi non abbiamo due cause ma solo una) e inoltre, negargli la possibilità di partecipare al giudizio di impugnazione instaurato da una delle due parti originarie, frusterebbero le finalità del suo intervento. Le fattispecie di cause tra loro dipendenti. Cosa si intende per cause tra loro dipendenti? Il legislatore sembra chiedere qualcosa in più rispetto alla pregiudizialità-dipendenza (esistenza o l'inesistenza di un diritto dipende, sul piano sostanziale, dall'esistenza o inesistenza, tra le stesse parti o tra parti diverse, di un altro rapporto giuridico costitutivo/modificativo/estintivo rispetto al primo). Si può parlare di interdipendenza reciproca (sostanziale o circolare) come l’esempio del creditore che agisce tanto contro il debitore che il suo fideiussore, e il fideiussore abbia a sua volta proposto domanda di regresso nei confronti del debitore principale (domanda che dipende, al pari di quella del creditore vs fideiussore, dall’esistenza del credito vantato dal creditore vs debitore): VANNO UNITE Altri esempi di interdipendenza reciproca sono: • Litisconsorzio alternativo: si ha in caso di connessione di domande proposte nei confronti di soggetti diversi che hanno stesso petitum: non c’è una principale e una dipendente, ma sono interdipendenti, perché se è accolta una viene rigettata l’altra (A chiede accertamento proprietà nei confronti di B, B fa lo stesso nei confronti di A) • Garanzia: siamo nell’es. del convenuto che chiama in garanzia un terzo. Oggi tutte le ipotesi di garanzia rientrano nell’ambito del 331 sia che si tratti di garanzia propria/impropria* ogniqualvolta l’impugnazione investa il rapporto pregiudiziale e rischi di condurre, in caso di mancata integrazione del contraddittorio ad accertamenti difformi. Invece, in precedenza, la giurisprudenza faceva un distinguo, ammettendo che tanto l’art.32 (criteri di competenza) quanto l’art.331 si applicassero solo alla garanzia propria. Oggi c’è parificazione delle ipotesi. *GARANZIA PROPRIA deriva dalla legge o dallo stesso rapp. giuridico sul quale si fonda la domanda principale GARANZIA IMPROPRIA deriva da diverso rapporto giuridico es. vendita a catena, l’acquirente finale agisce per vizi vs dettagliante e questi si rivolge al grossista. • Si può estendere alle ipotesi di semplice pregiudizialità-dipendenza o ci vuole qualcosa di più? Quel che è sicuro è che l’applicazione del 331 si ha SOLO quando sia messo in discussione dall’impugnazione il rapporto pregiudiziale (questione che ha priorità logica giuridica rispetto ad un'altra) NON ANCHE IL RAPPORTO DIPENDENTE. Pensiamo all’ipotesi in cui l’attore ha convenuto in giudizio, chiedendo la condanna in solido, l’obbligato principale e il suo fideiussore, ma possiamo anche pensare all’ipotesi di normale garanzia di un terzo; poniamo il caso che sia accolta la domanda tanto nei confronti del convenuto principale, quanto nei 21 confronti del fideiussore/garante: se l’impugnazione investe l’esistenza del rapporto pregiudiziale siamo nell’ambito del 331 e quindi dovrà partecipare in giudizio anche il garante/fideiussore, quindi i titolari del rapporto giuridico dipendente. Se invece impugna esclusivamente il fideiussore/garante per ragioni relative esclusivamente all’esistenza dell’obbligo di garanzia o della fideiussione: l’obbligo non tocca il rapporto pregiudiziale, ma attiene solo al rapporto dipendente: qui non opera il 331, perché nulla esclude che la sentenza passi in giudicato per l’esistenza dell’obbligazione principale. • Il caso delle obbligazioni solidali: quando parliamo di obbligazioni solidali ci si riferisce secondo l’opinione prevalente a cause scindibili (quindi si applica il 332), perché la scindibilità è caratteristica essenziali delle obbligazioni essendo possibile che il creditore si rivolga solo a uno dei condebitori per l’adempimento per intero piuttosto ché, ciascun concreditore può agire autonomamente nei confronti del comune debitore, lasciando poi ai rapporti interni la gestione delle eventuali azioni di regresso. È ben possibile dunque che alcuni condebitori impugnino la sentenza solo nei confronti di alcuni concreditori o viceversa non essendo necessaria l’integrazione del contradditorio. Tali giudicati non costituiscono problema insormontabile nei rapporti interni posto che se uno dei condebitori condannati in primo grado poi volesse agire in azione di regresso verso un altro debitore che ha impugnato la condanna e vinto l’appello, quest’ultimo NON potrebbe OPPORGLI la sentenza d’appello a lui favorevole pronunciata in un giudizio in cui il primo debitore è rimasto estraneo. Diverso sarebbe il caso in cui la condanna di un condebitore dipende dalla condanna di un altro (debitore- garante), qui ovviamente una sentenza d’impugnazione che abbia accolto la condanna nei confronti del debitore principale e su questo presupposto anche del fideiussore, richiede la chiamata del fideiussore. L’impugnazione incidentale Nell’ipotesi di più parti soccombenti oppure di una soccombenza parziale reciproca, ci può essere l’interesse di più parti a proporre più impugnazioni avverso la medesima sentenza perché: - l’impugnazione ha effetto solo nei confronti della parte destinataria dell’impugnazione e non delle altre - nel nostro ordinamento c’è il divieto della reformatio in pejus: la riforma della sentenza non può mai condurre a un peggioramento delle condizioni della parte che ha impugnato à quindi una parte ha interesse a proporre impugnazione per sperare in una riforma a sé favorevole. Es. Il convenuto impugna la sentenza che l’ha condannato a pagare 50, l’attore che aveva chiesto 100, non impugna a sua volta. Il giudice o accoglie con una somma minore di 50, o rigetta; MAI potrà condannare il convenuto ad un importo maggiore. L’interesse delle parti a questa pluralità di impugnazioni porterebbe a una ramificazione del giudizio diseconomica e intollerabile (solo nei casi di impossibilità di pluralità di decisioni per cause inscindibili) à al fine di assicurare l’unicità del processo anche in fase d’impugnazione, il legislatore ha previsto l’impugnazione incidentale, che serve a far confluire in un unico processo tutte le impugnazioni proponibili avverso la medesima sentenza. In cosa differisce l’impugnazione incidentale da quella principale? La principale è quella proposta per prima: l’unica differenza riguarda la forma, cioè il modo in cui si propone l’impugnazione, perché per l’impugnazione principale sono previste determinate forme (perché la principale è quella che instaura il giudizio di impugnazione, quindi deve proporsi nello stesso modo con cui si instaura il giudizio di primo grado, quindi citazione notificata al convenuto appellato, oppure con ricorso per cassazione notificato e poi depositato); mentre l’impugnazione incidentale (che si ritiene essere un istituto generale, quindi applicabile a tutti i giudizi, anche dove il legislatore non lo abbia previsto, anche per il reclamo, il cd. Reclamo incidentale) si deve inserire all’interno di un giudizio di impugnazione già avviato e quindi la sua forma si ricollega a questa diversa situazione. Quindi come si propone? Dipende dal diverso tipo di impugnazione: l’appello incidentale si propone con la comparsa di costituzione dell’appellato convenuto (20 gg prima dell’udienza indicata nell’atto introduttivo); per il ricorso per cassazione, il ricorso incidentale è contenuto nel controricorso (che dev’essere notificato al ricorrente entro 40gg dall’ultima notifica del ricorso stesso e depositato in cancelleria entro i successivi 20gg). Per tutto il resto i presupposti sono gli stessi, a cominciare dall’interesse ad impugnare (si deve guardare sempre la soccombenza, anche teorica - dove l’interesse ad impugnare sussiste non in via principale, ma solo in via incidentale). 22 L’art. 333 dice che l’onere dell’impugnazione (in forma) incidentale sorge solo quando si riceve notifica dell’impugnazione principale oppure dell’atto di integrazione del contraddittorio ex art.331 o litis denuntatio ex art.332. A pena di decadenza. Può succedere che tra l’altro dopo una prima impugnazione principale ne venga legittimamente proposta un'altra, da una parte che non era stata coinvolta nella prima impugnazione o che comunque non era stata notificata le c.d. impugnazioni simultanee (A impugna nei confronti di B e C impugna nei confronti di B senza notificarlo alle altre parti). Può anche succedere tra due parti reciprocamente soccombenti che entrambe propongano simultaneamente un’impugnazione principale à in queste ipotesi è previsto a garanzia dell’unità del giudizio, che tutte le impugnazioni separatamente proposte siano obbligatoriamente riunite d’ufficio nello stesso processo ex art.335. È una norma di chiusura che la giurisprudenza utilizza per salvare le impugnazioni che erroneamente sono state fatte in forma principale, quando avrebbero dovuto essere fatte in via incidentale (quindi ANCHE nel caso in cui la parte ha già ricevuto la notificazione): invece dell’inammissibilità dell’impugnazione viene convertita in incidentale, a condizione che sia rispettato il termine previsto per l’impugnazione incidentale: se è scaduto il termine dato dal giudice, qui è inammissibile perché altrimenti sarebbe un’elusione del termine dato dal giudice con la diversa forma. N.B. è ammessa l’ipotesi che a seguito della volontà dell’impugnante incidentale, sia subordinata la sua impugnazione incidentale all’accoglimento/rigetto dell’impugnazione proposta per prima (principale o diversa incidentale): è ammessa esattamente come si ritiene possibile, in primo grado, subordinare l’esame di una domanda all’accoglimento/rigetto di un’altra domanda. Impugnazione incidentale tardiva Art. 334: “Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia”. Dicesi impugnazione incidentale tardiva quella proposta quando erano già scaduti i termini per l’impugnazione principale (30/60 giorni). L’impugnazione incidentale ha un suo termine che è legato al tipo di impugnazione (20 giorni prima dell’udienza per l’appello, e così via). Fermo restando il termine specifico per l’impugnazione incidentale, la parte può proporla anche quando sarebbero scaduti i termini per l’impugnazione principale, secondo l’art. 334. Perché il legislatore lo consente? Per agevolare l’accettazione della sentenza ed evitare la corsa all’impugnazione. Pensiamo all’ipotesi di soccombenza parziale reciproca (l’attore chiede 1000 e la domanda è accolta per 500): se l’impugnazione fosse consentita solo nei termini consueti, potrebbe accadere che al convenuto stia bene di pagare 500 MA l’attore (desideroso dei 1000) impugni nell’ultimo giorno utile. Il convenuto non farebbe più in tempo a proporre impugnazione, potrebbe dunque accadere che si accolta la domanda del ricorrente principale per un valore superiore a 500 euro perché per il convenuto (non avendo impugnato a sua volta, non varrebbe il divieto di reformatio in peius). Viene da sé che senza l’art.334 le parti sarebbero portate a impugnare sempre, per cautelarsi e sperare in una riforma della sentenza in senso a se favorevole. Avendo invece la possibilità di impugnare in via incidentale anche dopo la scadenza dei termini, la parte che sarebbe disposta ad accettare la sentenza (nell’esempio il convenuto), ha questa garanzia, perché sa che se l’altra parte decidesse di impugnare all’ultimo momento, può sempre attuare l’impugnazione incidentale tardiva dove “tardiva” SI INTENDE solo nei confronti dei termini dell’impugnazione principale, non anche nei confronti del termine specifico dell’impugnazione incidentale. Tenuto conto della sua ratio, viene da sé che nel momento in cui l’impugnazione principale venisse dichiarata inammissibile o improcedibile, l’impugnazione incidentale perderebbe ogni efficacia. L’unica differenza tra l’impugnazione incidentale in termini e quella tardiva è che la prima è autonoma e non risente delle sorti della impugnazione principale, mentre la tardiva perde ogni efficacia nel caso di inammissibilità della principale: questo perché non c’è più l’interesse all’impugnazione incidentale tardiva. Ovviamente nulla esclude poi che la principale venga rigettata in merito, mentre l’incidentale tardiva venga accolta. 25 comunque confluire - evidentemente nella forma dell’impugnazione incidentale - nel processo instaurato da altra parte che abbia impugnato la sentenza definitiva; d) può avvenire, infine, che il giudizio, dopo la pronuncia della sentenza non definitiva oggetto della riserva, si estingua. Bisogna distinguere: - se si tratta di una sentenza dal contenuto processuale, essa perde efficacia in seguito all’estinzione, e pertanto il problema della sua impugnazione neppure si pone; - se la sentenza è “di merito”, sicché sopravvive all’estinzione, essa acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa irrevocabile l’ordinanza, o passa in giudicato la sentenza dichiarativa dell’estinzione (da questo momento prenderanno a decorrere i consueti termini di decadenza per la sua impugnazione). L’APPELLO. L’appello rappresenta un’impugnazione ordinaria ex art. 324. Permette di realizzare il principio del doppio grado di giurisdizione inteso nel senso che ogni domanda deve poter essere sottoposta all’esame successivo di 2 giudici di merito (anche se non è affatto detto che per ogni punto della causa sia assicurata la doppia decisione, essendo non pochi i casi in cui il giudice a quo non aveva a torto o ragione pronunciato). Dovrebbe garantire una maggiore qualità della sentenza di secondo grado rispetto a quella del primo, anche se in questi ultimi anni le corti d’appello sono in grave crisi (per via di interventi del legislatore) facendo si che la qualità delle sentenze d’appello, secondo alcuni, sia mediamente peggiore rispetto a quelle del primo grado. Al di là di questo, statisticamente, quel che dovrebbe assicurare maggiore qualità della sentenza di secondo grado è rappresentato dal fatto che il giudice d’appello è in una situazione di vantaggio rispetto a quello di primo grado perché: • Giudica come secondo, avendo davanti la decisione del giudice di primo grado, ma anche le critiche che la parte soccombente rivolge alla decisione del giudice di primo grado • Molto spetto l’oggetto del contendere in appello si va riducendo Sono solo queste considerazioni che a livello statistico attribuirebbero alla sentenza d’appello una maggiore credibilità. Le caratteristiche dell’appello: • Impugnazione a critica libera, ammessa per ogni tipo di vizio della sentenza di primo grado, in procedendo o in iudicando, può attenere al giudizio di diritto quanto la ricostruzione dei fatti rilevanti per la decisione • Impugnazione ad effetto potenzialmente devolutivo, possibilità che l’impugnazione chiami il giudice dell’appello a decidere nuovamente la stessa domanda/e già sottoposta all’esame del giudice di primo grado • Poteri del giudice ad quem identici a quelli del giudice a quo • Effetto sostitutivo dell’appello: perché la sua sentenza d’appello prende sempre il posto della precedente • Restrizione dei nova: ad oggi il nostro appello è caratterizzato da una restrizione dei nova. Inizialmente nel 1865 le parti avevano ampi poteri di portare in appello elementi nuovi, perché l’appello era configurato come novum iudicium. Nel codice del ’40 si ebbe una grossa restrizione, con un passo indietro nel ’50, ma nel ’90 si è tornati alla restrizione presente nel codice del ’40. È importante interrogarsi su quella che sia la ratio dell’appello: rimediare agli errori del giudice a quo o pervenire a una sentenza giusta consentendo alle parti di emendare i propri errori e lacune difensive. Su questa domanda si distinguono due modelli di appello: - appello novum iudicium àprosecuzione del giudizio di primo grado, le parti possono introdurre degli elementi nuovi rispetto a quelli introdotti nel giudizio di primo grado come domande nuove, eccezioni nuove, nuove difese, nuovi mezzi di prova e documenti. Il giudice è investito, con cognizione piena della medesima controversia già sottoposta al primo giudice, sicché la sua decisione potrebbe differire da quella impugnata indipendentemente dalle censure mosse dall’impugnante. 26 - appello revisio prioris instantiae à circoscritto al riesame al controllo dell’operato del primo giudice e dunque all’eliminazione degli errori da lui commessi, mentre esclude l’introduzione di una qualunque nuova allegazione/prova. I provvedimenti appellabili. - Tutte le sentenze pronunciate in primo grado, dal giudice di pace o tribunale, purché non sia escluso da legge ed alcune ordinanze. Quali sono i limiti principali (ipotesi di inappellabilità): 1) Le parti possono mettersi d’accordo per iscritto per escludere l’appello. In questo caso la sentenza sarà soggetta solo a ricorso per cassazione, pur trattandosi di una sentenza di primo grado. Sono ipotesi rarissime, ma dobbiamo pensare a situazioni in cui la causa verta esclusivamente su questioni di diritto (es. interpretazione di una norma) e le parti abbiano urgenza particolare di ottenere subito un’indicazione dalla Cassazione. 2) Sentenze pronunciate secondo equità concordata, in base a concorde richiesta delle parti, che possono autorizzare il giudice a decidere secondo equità quando la causa abbia ad oggetto diritti di cui le parti possono disporre. 3) Sentenze per cui la legge prevede, come rimedio, una opposizione dinnanzi allo stesso ufficio giudiziario dal quale promanano – la sentenza soggetta a questa opposizione sarà poi soggetta ad appello 4) Sentenze su controversie di lavoro di valore 25,82 euro 5) Sentenza resa sull’opposizione agli atti esecutivi che ammettono solo ricorso per cassazione 6) Sentenza di equità necessaria pronunciata dal giudice di pace: cause di cui il valore non eccede 1100 euro, salvo quelle riguardanti contratti conclusi secondo l’art. 1342 c.c. cioè mediante moduli o formulari (per questo si parla di sentenza di equità necessaria e non concordata, perché è la legge che la impone). L’art. 339 prima del 2006 prevedeva senz’altro l’inappellabilità delle sentenze secondo equità del giudice di pace: si avrebbe infatti una prima decisione secondo equità e una seconda (in appello) secondo diritto. Ci furono però delle conseguenze infelici, perché c’è sempre l’art. 111 cost. che garantisce il ricorso per cassazione, quindi queste sentenze erano ricorribili per cassazione, ma che senso ha ammettere il ricorso per Cassazione per violazione di legge, se la sentenza è emessa secondo equità? Era un’evidente contraddizione. Nel 2004 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.113 nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia e cioè il giudice non può decidere al di fuori della legge e questo proprio perché lo stesso art.111 Cost, garantisce un ricorso in cassazione per violazione di legge. Il legislatore del 2006 poi ha ammesso l’appello anche nei confronti delle sentenze di equità del giudice di pace il cui valore non eccede 1100, ma un appello limitato. Il 339, c. 3 dice che le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità sono appellabili solo: o per violazione di norme sul procedimento o violazione delle norme costituzionali o comunitarie o violazione dei principi regolatori della materia. Resta precluso l’appello per tutti gli errori che riguardano l’accertamento dei fatti di primo grado o l’assunzione delle prove. È un appello vicino al ricorso per cassazione, in realtà. Il giudice competente. Varia a seconda del giudice che ha conosciuto della controversia in primo grado. 27 Giudice di pace in primo grado à tribunale monocratico Tribunale monocratico in primo grado à corte d’appello Territorialmente ci si riferirà all’ufficio giudiziario della stessa circoscrizione territoriale in cui ha sede il giudice di 1° grado. Fino a poco tempo fa si riteneva che nell’ipotesi di incompetenza del giudice di impugnazione non potesse operare la disciplina ordinaria dell’incompetenza (quindi della translatio iudicii), MA che l’eventuale incompetenza implicasse l’inammissibilità dell’appello. La cass. 2016 ha previsto che l’appello proposto dinanzi al giudice diverso (per territorio o per grado) non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo a instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente. L’effetto devolutivo dell’appello L’effetto devolutivo dell’appello consiste nella possibilità che l’impugnazione chiami il giudice dell’appello a decidere nuovamente la stessa domanda/e già sottoposta all’esame del giudice di primo grado. Nel codice del 1865 questa devoluzione era piena ed automatica: il giudice d’appello era automaticamente investito di tutte le domande e questioni: certamente le parti potevano limitare la devoluzione e dunque laddove la parte non avesse indicato i capi della sentenza che intendeva appellare, la sentenza si intendeva appellata in toto. Oggi si parla di effetto devolutivo limitato dell’appello e non più automatico, con un avvicinamento al modello della revisio prioris instantiae, perché in realtà ci sono delle norme che oggi escludono un automatismo della devoluzione: ad oggi al giudice d’appello sono devolute esclusivamente le domande e le questioni che le parti specificamente gli devolvono. Ci sono due artt. da tenere in considerazione 342 (che impone all’appellante una specifica motivazione vedi giù “motivi dell’appello”) e il 346. 346 à “Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate” (La giurisprudenza riteneva che questo onere di riproposizione non valesse per il contumace in appello e quindi si riteneva che se non le riproponeva in appello perché contumace non si considerassero rinunciate ma oggi è pacifico che anche la parte contumace in appello SE NON RIPROPONE rimane contumace). Il problema è di capire cosa significa nell’art. 346 l’espressione “non accolte” per capire quando le domande e le eccezioni debbano essere riproposte e non impugnate. Vi sono 3 possibili interpretazioni (ma solo intesa come non decisa è preferibile sia per domande che eccezioni). Ora, per quel che concerne le domande. 1. Una prima possibile soluzione è di intendere questo nel senso di rigettate espressamente dal giudice di primo grado. 2. Una seconda soluzione intende il significato di non decise: pensiamo se una domanda è proposta subordinatamente ad un’altra; se il giudice accoglie la domanda proposta in via principale non decide sulla subordinata, che rimane assorbita. Possiamo pensare, nell’ambito delle eccezioni, lo stesso fenomeno, in cui il convenuto eccepisce il difetto di giurisdizione e la prescrizione: se il giudice accoglie il difetto di giurisdizione, non decide sulla prescrizione, perché si è verificata un’ipotesi di assorbimento. 3. Una terza possibilità è quella di dargli entrambi i significati: sia quando le domande e le eccezioni sono state rigettate, sia quando sono state non decise. È pacifico che quel “Non accolte” è inteso come le domande che sono rimaste assorbite, sulle quali legittimamente il giudice di primo grado non ha deciso. UN CONTO è RIPROPORRE (che è più semplice) UN CONTO è IMPUGNARE (che richiede di indicare i motivi dell’appello) Se il giudice ha rigettato espressamente la domanda o ha omesso per errore di pronunciare, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, allora qui non si parla più di riproporre ma è necessario impugnare il capo della sentenza rigettato o viziato da omessa pronuncia (indicando i motivi dell’appello) con impugnazione principale o incidentale. La riproposizione è sufficiente solo in ipotesi di assorbimento della domanda. 30 Già nel 2012, intervenne una modifica del 342, e oggi l’art. dice che “L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell'articolo 163. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1. Le indicazioni delle parti (= capi) del provvedimento che si intende impugnare e delle modiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto del giudice di primo grado 2. Le indicazioni delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.” Dottrina e giurisprudenza si divisero nuovamente, perché secondo alcuni l’idea del legislatore sarebbe stata quella di rendere più rigoroso l’onere di specificazione dei motivi dell’appello, accentuati rispetto al passato. Addirittura, stando ad una certa tesi, l’appellante avrebbe dovuto redigere una sorta di progetto di sentenza alternativo a quella di primo grado. In realtà si richiede l’indicazione delle parti del provvedimento e delle modifiche che vengono richieste: l’appellante sostiene che il giudice abbia sbagliato a ricostruire i fatti in un certo modo, e gli è richiesto di specificare come andrebbero secondo lui ricostruiti i fatti. È ovvio che non è pensabile che il legislatore del 2014 abbia voluto fare un passo indietro. Alla fine questa diatriba è stata risolta nel modo più ragionevole da una sent. Cass. SS.UU. 2017 che ha detto che non è cambiato nulla perché quello che si diceva del vecchio art. 342 vale tutt’ora: l’appello contiene una parte volitiva in cui si indicano le questioni e i punti contestati dalla sentenza impugnata, e una parte argomentativa, che confuti le ragioni addotte dal primo giudice, senza contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione. Questo significa ribadire che la cognizione del giudice di appello si limita a conoscere delle questioni oggetto di specifica censura di cui sia stato investito espressamente. Ci sono due eccezioni: 1. Questioni di puro diritto, perché anche qui vale il principio iura novit curia. 2. Questioni non decise (la cognizione del giudice si estende, all’interno dei capi della sentenza impugnati, alle questioni processuali o di merito rilevabili d’ufficio): pensiamo ad esempio alla questione della nullità del contratto posto a fondamento della domanda, che è rilevabile d’ufficio, in linea di principio anche in fase di impugnazione. In questo caso, in linea di principio, come la questione era rilevabile d’ufficio, resta rilevabile d’ufficio dal giudice d’appello, purché non sia stata oggetto di decisione in primo grado (perché altrimenti avrebbe dovuta essere espressamente impugnata, non essendo più possibile la rilevabilità d’ufficio). L’intervento dei terzi in appello. Nel giudizio d’appello, l’intervento dei terzi è ammesso in termini più ristretti che nel giudizio di 1°grado, PERCHÉ si vuole evitare che una domanda proposta dal terzo (intervento volontario) o nei suoi confronti (chiamato in causa) venga conosciuta dal giudice di appello e goda solo di un unico grado: è pacifico che l’intervento coatto è escluso, finanche quando, essendo stato chiesto al giudice di 1° grado, quest’ultimo l’avesse negato erroneamente. Per il solo intervento volontario, l’art.344 prevede una deroga limitatamente ai terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art.404 (opposizione di terzo): secondo questo art. un terzo può fare opposizione contro una sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva tra altre persone se pregiudica i suoi diritti. La legittimazione all’intervento compete a: 1. litisconsorti necessari pretermessi, che in tal modo potrebbero anche evitare l’annullamento della sentenza resa in 1° grado per violazione dell’art.102 e la rimessione della causa al giudice a quo; 2. chi vanta un diritto autonomo e incompatibile con quello accertato in sentenza; 3. interventori adesivi dipendenti (sostengono il diritto di una delle parti, avendovi un interesse) 4. successore a titolo particolare nel diritto controverso, cui l’art.111 ult.co conferisce il diritto di impugnare autonomamente coi mezzi ordinari la sentenza. In tali ipotesi l’intervento mira a prevenire la pronuncia di una sentenza viziata da parte del giudice d’appello, il quale dovrà decidere nuovamente la causa nel merito poiché una delle parti originarie ha impugnato. L’art.344 dice che l’opposizione ordinaria del terzo è ammissibile solo se la sentenza sia passata in giudicato o esecutiva: è chiaro che se siamo in appello non è passata in giudicato e allora ci si è chiesti se la sentenza debba essere 31 esclusivamente esecutiva per permettere al terzo di intervenire à no, la poca giurisprudenza è proprio in questo senso. LO IUS NOVORUM (il regime dei nova) – Le nuove domande. Art.345 cpc: 1. “Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. 2. Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio. 3. Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”. I nova sono i possibili nuovi elementi che le parti possono portare in appello. La loro disciplina è mutata nel tempo. L’art. 345 originale, c.1 è rimasto immutato. Quello che è variato è il c. 2, che in passato escludeva nuove eccezioni e documenti ed ammissioni di prova, salvo che sussistessero gravi motivi accertati dal giudice. Se ne delinea un appello tendenzialmente chiuso ai nova (accentuata la funzione revisio prioris instantiae – esame/controllo operato giudice di 1° grado) Il testo del 345, riformato nel 1950, è rimasto in vigore fino al 1990. Nel frattempo però era intervenuta, nel ’73 la riforma del processo del lavoro, che introdusse un sistema di preclusioni rigido, sia nel giudizio di primo grado che in appello che all’art.437 (ancora in vigore) prevede che non siano ammesse nuove domande ed eccezioni, né nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio li ritenga indispensabili per la decisione della causa. È sempre fatta salva la possibilità di deferire il giuramento decisorio. Nel 1990 allora si modifica anche il 345. Il primo comma rimane invariato prevedendo che nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e se proposte devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio (esse potranno rimanere liberamente proponibili in un separato giudizio). A questo divieto di “nuove domande” si sottraggono la domanda relativa ad interessi, frutti ed accessori maturati dopo la sentenza, e la domanda di risarcimento danni successivi alla sentenza. ATTENZIONE. Nell’art. 345 è fatto SOLO divieto di domande nuove, quindi di mutatio libelli (cioè il mutamento essenziale della domanda) MA resta possibile l’emendatio libelli (variazioni marginali petitum o causa petendi), che non trasforma la domanda in qualcosa di diverso. A proposito di questa distinzione, dottrina e giurisprudenza distinguono: - diritti autodeterminati (es. diritto di proprietà): per l’identificazione di tali diritti è necessario e sufficiente il PETITUM MEDIATO (bene perseguito concretamente dall’attore) senza che sia necessaria l’identificazione dei fatti costitutivi (infatti è irrilevante per il diritto di proprietà che questo sia stato acquisito per usucapione, accessione ecc). - diritti eterodeterminati (es. diritto di credito): per l’identificazione di tali diritti è necessaria l’identificazione dei fatti costitutivi, (infatti l’attore può pretendere la somma a titolo di mutuo oppure a titolo di un diverso contratto di mutuo). Se si tratta di domande autodeterminate è possibile (senza incorrere in alcun divieto), porre a fondamento di una certo bene un titolo completamente diverso da quello del primo grado, avendosi comunque una semplice emendatio. Inoltre, la Cassazione a SSUU 2015, parlando di emendatio libelli nel giudizio di primo grado ha detto che non è vero che l’emendatio si verifica solo con variazioni marginali di petitum o causa petendi: la modifica consentita può portare anche a una radicale variazione del petitum/causa petendi, purché ci sia un collegamento tra la domanda nuova e 32 quella originaria, perché devono derivare dalla stessa vicenda sostanziale. È una domanda che non si aggiunge alla domanda originaria, ma ne prende il posto. Nel caso specifico, era accaduto che in primo grado l’attore aveva chiesto una sentenza costitutiva sostenendo di aver stipulato un preliminare di compravendita e l’altra parte si era rifiutata di stipulare il definitivo. Nell’udienza l’attore cambia, dicendo che non era un contratto preliminare, ma era un contratto definitivo, quindi chiedeva una sentenza di mero accertamento del suo diritto sul bene. Quindi era un cambio completo della domanda. Prima di questa sentenza non sarebbe stata consentita questa modifica, considerandola come mutatio e non come emendatio. Ma tutto questo vale anche in appello? C’è chi ritiene di sì, ammettendo anche la possibilità in appello di una trasformazione radicale della domanda: il punto è controverso. C’è anche una sentenza, che ha detto che in appello non si applica la sentenza della Cassazione SSUU 2015 che parla di emendatio nel primo grado , risolvendo il problema in termini originari: in appello si ammetterebbero le sole variazioni della domanda tali da non snaturarla. LO IUS NOVORUM (il regime dei nova) – Le nuove eccezioni. Non si possono proporre eccezioni nuove che non siano rilevabili d’ufficio. Si precludono quindi solo le eccezioni in senso stretto, cioè quelle riservate all’iniziativa delle parti, rimanendo proponibili le eccezioni in senso lato (fatti impeditivi, modificativi, estintivi rilevabili d’ufficio). Questo implica che in appello dunque possano introdursi fatti nuovi MA che siano rilevabili d’ufficio. Un fatto estintivo come il pagamento dell’obbligazione, è pacifico che sia oggetto di eccezione in senso lato: allora deve ritenersi che il convenuto possa anche per la prima volta, anche se magari era contumace in primo grado, allegare il pagamento. Attenzione, però: proponibilità dell’eccezione =/ l’ammissibilità della relativa prova: la possibilità di allegare fatti nuovi d’ufficio, non implica la possibilità di provare quel fatto. Per la prova si tengono presenti le limitazioni di cui al c. 3 del 345 (vd. Tra poco). Se sono consentite le nuove eccezioni in senso lato, a fortiori devo essere consentite le mere difese (con la eccezione si introduce un fatto nuovo, con la mera difesa ci si limita a negare i fatti addotti dall’altra parte). Bisogna anche fare i conti con il principio di non contestazione, che è un tema abbastanza controverso. L’onere di contestazione non vale per il contumace. Se la nuova difesa viene da una parte costituita, l’onere della prova sta a chi lo allega tranne il caso in cui lo stesso fatto non era stato contestato in primo grado e quindi era stato ritenuto provato: in questo caso, se viene contestato in ritardo, l’onere spetta a chi lo contesta. si tratta di vedere se il giudice in primo grado aveva considerato il fatto non contestato o meno: - se l’attore allega un fatto e lo stesso convenuto non aveva contestato in primo grado e quindi il giudice di primo grado l’aveva ritenuto provato, se poi la parte contesta in appello (tardivamente) l’onere della prova spetta a chi lo contesta. - fuori da questa ipotesi, chi allega il nuovo fatto deve provarlo. Resta da stabilire fin quando le eccezioni debbano considerarsi proponibili: • Nuove eccezioni processuali (con le quali si contesta la possibilità di decidere nel merito la causa perché evidenziano un difetto di presupposto processuale) à fondate su questioni pregiudiziali di rito, vizi formali/extraformali, si ritiene che il potere-dovere del giudice d’appello di rilevare queste eccezioni in ogni grado/stato del giudizio, sicché sono ammesse fino a precisazione delle conclusioni. • Nuove eccezioni di merito (allegazione fatti estintivi, impeditivi, modificativi al fine di conseguire rigetto della domanda) in questi casi distinguiamo tra domanda rigettata in primo grado e domanda accolta in primo grado. - se la domanda (ad es. dell’attore) era stata rigettata in primo grado à la parte (es l’attore del primo grado impugna e il convenuto di primo grado - che in secondo grado diventa appellato - ) dovrà confermare il rigetto della domanda dell’altra parte e potrà eccepire qualsiasi fatto estintivo, impeditivo, rilevabile d’ufficio. Quindi, 35 La differenza tra conflitto negativo e positivo è che il negativo si ha quando uno dei due poteri nega la propria giurisdizione, conflitto positivo si ha quando uno dei due poter denunci usurpazione delle sue prerogative da parte dell’altro. • Il solo procuratore generale presso la Cassazione, può richiedere che la Corte si pronunci su una questione particolarmente importante. Non è una vera e propria impugnazione (presuppone che le parti abbiano rinunciato all’impugnazione o non sia ricorribile) serve per la fx nomofilattica (garantire applicazione/interpretazione uniforme del diritto). Perché non venisse vanificata la garanzia del ricorso in cassazione, la giurisprudenza ha sempre attribuito al termine sentenza un significato che prescinde dalla forma. Se si intendessero solo i provvedimenti che hanno forma di sentenza, allora il legislatore potrebbe oltrepassare l’ostacolo usando ordinanza invece della sentenza per eliminare il ricorso per cassazione. Quindi si applica una nozione sostanziale della sentenza, con questi presupposti: • Decisorietà: cioè deve avere deciso su diritti o status, escludendo quindi l’applicazione del ricorso per cassazione per i provvedimenti di natura istruttoria o provvedimenti di giurisdizione volontaria (quindi tutte le ipotesi in cui l’oggetto del giudizio non è un diritto o uno status). Con riguardo alla decisiorietà limitata a diritti - status sembrerebbero essere escluse dalle garanzie costituzionali ex art.111 Cost, le sentenze/provvedimenti che definiscono il processo in mero rito MA COSì NON È, perché investono pur sempre un diritto, anche se di natura processuale che è il diritto d’azione pertanto è oggetto di “autonoma” copertura costituzionale. • Definitività: è escluso il ricorso ai sensi del 111, per i provvedimenti che siano revocabili e modificabili da parte del giudice, come le ordinanze anticipatorie di condanna e ai provvedimenti cautelari. Più in generale è escluso il ricorso per cassazione quando il provvedimento è soggetto a un diverso rimedio (pensiamo al decreto ingiuntivo). Non è invece escluso quando il provv. è revocabile/modificabile in un diverso e successivo processo. Motivi di ricorso Ricordiamo che il ricorso per cassazione è un’impugnazione a critica vincolata e pertanto si può impugnare solo per determinati motivi che sono 6, contemplati nell’art.360 e sono tassativi. 1. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3): è il più importante, perché potrebbe assorbire tutti gli altri (forse solo quella del n. 5 potrebbe non rientrare). a. Violazione: si omette di applicare una norma o se ne fraintende il significato (norma processuale o sostanzialiale). b. Falsa applicazione: la norma è stata correttamente intesa, ma il giudice ha sbagliato nel riportare una fattispecie ad una norma di diritto che non riguarda quella fattispecie (errore di sussunzione). Si parla non di norme di legge, ma di norme di diritto (concetto più ampio, quindi rientrano anche la violazione di usi e di consuetudini, tutte le fonti del diritto) Un profilo che ha sempre dato luogo a dubbi riguarda il confine tra questioni di fatto e questioni di diritto. Questioni di fatto à il controllo della corte può essere solo indiretto Questioni di diritto à il controllo della corte è diritto e sono quelle deducibili per i motivi ex 360 n.3 Può sembrare una distinzione banale, ma ci sono delle situazioni di confine in cui la distinzione diviene difficile. In particolare si è posto questo problema per i concetti giuridici indeterminati (cd. Clausole generali). Pensiamo alle ipotesi in cui il legislatore fa riferimento alla giusta causa o al concetto di buona fede: cosa si intende per giusta causa e buona fede? Non sono concetti predeterminati, ma sono norme elastiche. Capire dove si inquadrano serve a far capire se la sentenza in cui il giudice ha attribuito una certa rilevanza alla giusta causa o buona fede, sia o meno ricorribile per cassazione. Un certo orientamento per es. una sentenza della Cass. del 2015 ha detto che i concetti giuridici indeterminati rientrano nei motivi ex art.360, n.3. 36 2. Violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3): Innanzitutto preme osservare come i contratti, non avendo ad oggetto una norma di diritto, costituiscano il più delle volte una quaestio facti di cui la Corte potrebbe conoscere solo indirettamente. Però l’art.360n.3 deroga a questi principi e considera i CCNL = norme di diritto dal punto di vista del ricorso in Cassazione. Bisogna far riferimento al rapporto tra questa disposizione e l’art. 420-bis (processo del lavoro): “quando per la definizione di una controversia del 409 (di solito sono solo cause di lavoro) è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione sulla efficacia, validità o interpretazione delle clausole di contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza questa questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o per la prosecuzione della causa, fissando una successiva udienza in data non anteriore a 90 giorni”. La stessa questione quindi può interessare un notevole numero di controversie (connessione impropria), il legislatore ha quindi fornito un intervento diretto e immediato della Cassazione, per fornire una soluzione autorevole della questione e risolvere sul nascere questo contezioso seriale. Se si seguissero le vie ordinarie, potrebbero passare anni prima che la questione arrivi dinanzi alla cassazione e poi la corte potrebbe anche solo sindacare in via indiretta l’interpretazione del giudice, ma questo art. 420- bis favorisce un intervento rapido della corte: la sentenza è impugnabile solo con ricorso immediato per cassazione, da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Questa norma obbliga il giudice a decidere immediatamente questa questione: questa sentenza non definitiva non è appellabile, ma è immediatamente ricorribile per cassazione. Qui fra l’altro si applica solo il termine breve, non quello lungo. 3. Motivi attinenti alla giurisdizione (art. 360, n. 1): si censura la sentenza che abbia negato (quando il giudice abbia erroneamente negato la sua giurisdizione) o affermato (quindi il giudice si è occupato di causa di cui era privo di giurisdizione) la giurisdizione del giudice adito. 4. Violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza (art. 360, n. 2): il provvedimento che ha deciso sulla competenza a volte può essere impugnato solo col regolamento di competenza, altre volte è possibile impugnarlo in cassazione. Il ricorso in cassazione per impugnare il provv. Che ha deciso sulla competenza sarebbe esigibile: 1- Quando la sentenza impugnata avesse risolto erroneamente una questione di competenza unitamente al merito* 2- Quando avesse deciso del merito OMETTENDO di rilevare l’incompetenza ANCHE SE oggi è quasi impossibile che si verifichi questa ipotesi perché l’incompetenza è rilevabile entro la prima udienza di trattazione avendosi che dopo non si può più rilevare (tranne casi di rilevabilità d’ufficio). * tutte le volte che invece il giudice decide della questione di competenza non unitamente al merito, si pronuncia con ordinanza che è impugnabile dalle parti con regolamento di competenza, che ugualmente investe la Cassazione ma con la differenza che è soggetta a disciplina diversa e può avere ad oggetto esclusivamente la questione di competenza. 5. Nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, n. 4): errores in procedendo: - vizi propri (difetto di sottoscrizione o omissione di pronuncia) - invalidità formale atti procedimento - difetto capacità processuale delle parti 6. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art.360 n.5) – ad oggi questa disposizione si riferisce ad un difetto della motivazione. PREMESSA: La fx della Corte è quella di giudice di mera legittimità, pertanto i suoi poteri esulano dalla valutazione DIRETTA dei fatti extra-processuali rilevanti per la decisione della causa, per la cui ricostruzione essa deve rifarsi ai risultati a cui è pervenuto il giudice di merito. TUTTAVIA, la cassazione ha sempre avuto la 37 possibilità di andare a sindacare indirettamente gli accertamenti di fatto attraverso il controllo della motivazione. 1865 à nel codice non vi era nulla a riguardo questo motivo di ricorso MA la corte si era comunque attribuita la possibilità di conoscere indirettamente dei fatti allorchè avesse accertato che la motivazione relativa a una determinata ricostruzione fattuale non era congrua a giustificare le conclusioni cui era pervenuto il giudice a quo. 1942 à il legislatore dell’epoca si guardò bene da questo orientamento della cassazione e per evitare invasioni di campo limitò la ricorribilità all’omesso esame DI un determinato fatto decisivo per il giudizio = omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. 1950 à si parlò non più di omesso e basta, ma di “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, si ampliò il sindacato indiretto sul giudizio di fatto. 2012 à il legislatore ha quindi ristretto nuovamente questo motivo d’impugnazione, riconducendo la disposizione in esame alla sua formulazione originaria, attribuendo rilievo esclusivamente all’omesso esame circa un fatto decisivo = omessa motivazione (non anche insufficiente/contraddittoria). Dunque, il legislatore con “omesso esame circa un fatto decisivo” non si riferisce all’ipotesi in cui il giudice abbia omesso di valutare il fatto decisivo e controverso tra le parti, per questa ipotesi vi è il motivo n.4 cioè nullità della sentenza per violazione del principio tra chiesto e pronunciato. Si fa riferimento a vizio della motivazione (ma l’avevamo capito). Questa modifica del 2012 è stata accolta in maniera differente. Parte della dottrina ritiene che non è cambiato nulla, dato che l’obbligo del giudice di fornire una motivazione inadeguata sarebbe comunque una violazione che rientra nei motivi 3 o 4 (violazione di legge o nullità sentenza/procedimento). Altra parte della dottrina invece vede un limite al ricorso per motivo n.5 ai soli casi più gravi di motivazione inconsistente, meramente formale, apodittica - scontata. Si noti poi che si sta parlando di motivazione in fatto e non in diritto, posto che il problema non può porsi per la motivazione in diritto perché la cassazione valuta direttamente se la sentenza è conforme al diritto o meno, prescindendo dalla motivazione. Il difetto deve riguardare un fatto che sia stato: - oggetto di discussione tra le parti à si mira ad escludere che nel giudizio di legittimità trovino ingresso questioni di fatto nuove; - decisivo à la Corte deve limitarsi a valutare la potenzialità decisiva della sentenza impugnata. I fatti a cui fa riferimento l’art.360 n.5 sono fatti extra-processuali, che di regola sono appunto sottratti alla cognizione della cassazione. Tutti i fatti processuali invece (cioè tutto ciò che è accaduto nel processo, in primo grado o appello), può essere oggetto di accertamento diretto ad opera della Corte, sicchè non avrebbe senso limitare il sindacato della Corte stessa ai soli vizi di motivazione adottata dal giudice di merito. DOPPIA CONFORME Lo stesso DL 83/2012 che ha modificato il n.5 art.360, ha escluso che il vizio in questione (omesso esame circa un fatto decisivo) sia deducibile nei confronti della sentenza d’appello che abbia confermato la decisione di 1° grado e sia fondata su stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste alla base della decisione impugnata -- > c.d. doppia conforme. Perché? Perché se la sentenza d’appello conferma quella di primo grado sulla base della stessa motivazione, il legislatore pensa che la motivazione non sia viziata, anche se le parti spesso tentano di prospettare ugualmente un vizio grave di motivazione. Identica limitazione si applica al ricorso per Cassazione proponibile nei confronti di sentenza di 1° grado, allorché l'appello si stato dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi degli artt.348 bis e 348 ter (filtro di ammissibilità): in entrambi i casi, il ricorso è proponibile solamente per i motivi di cui all'art.360 nn.1-2-3-4 40 - rilevabili d’ufficio à nuove questioni rilevabili d’ufficio solo se processuali (non di merito) per cui sia la stessa legge a sancirne la rilevabilità in ogni stato/grado del giudizio (es. omessa partecipazione litisconsorte necessario) Il ricorso in Cassazione incidentale. La parte resistente, allorché sia rimasta a sua volta soccombente in relazione a una propria domanda/eccezione, e voglia sperare nell’annullamento del relativo capo della sentenza, deve proporre un’impugnazione incidentale nel medesimo atto contenente controricorso (chi riceve notificazione ex artt.331-332 possono proporla entro 40gg dalla notificazione medesima) Il destinatario del ricorso incidentale può a sua volta replicare con un controricorso entro 20gg dallo scadere del termine per il deposito in cancelleria del ricorso incidentale. Un tema particolare è quello del ricorso incidentale condizionato, ma potremmo anche parlare in generale dell’impugnazione incidentale condizionata - perchè il problema si pone quasi esclusivamente in cassazione. Una parte può avere interesse a chiedere un’impugnazione incidentale condizionata tutte le volte in cui questa risulti soccombente teorica solo su una questione preliminare/pregiudiziale (di rito/merito) e un’altra parte, praticamente soccombente sul merito della causa, impugni in via principale. Chiaramente il soccombente teorico non ha interesse ad impugnare la decisione in via principale, però se l’altra parte lo fa, c’è l’interesse a proporre l’impugnazione incidentale. In cassazione c’è da ricordare che, mentre il giudice di merito normalmente sostituisce la sentenza impugnata con una nuova, il giudice Cassazione si limita ad annullare e poi ci sarà la sentenza di merito fatta dal giudice di rinvio. Quindi il soccombente teorico non ha interesse che quella sentenza sia cassata, a meno che non vi sia ricorso dell’altra parte: quindi col ricorso incidentale condizionato il convento chiede che la corte, invertendo l’ordine logico delle questioni (e quindi esaminando prima la questione pregiudiziale o preliminare di merito, che logicamente vengano prima), esamini prima il ricorso principale e solo se questo sia fondato, esamini dopo anche il ricorso incidentale. Perché dovrebbe chiedere un ricorso condizionato? Perché il convenuto vittorioso nel merito, se eccepisse una questione pregiudizale/preliminare di merito e la corte la accogliesse, ci sarebbe eliminazione di una sentenza totalmente favorevole al convenuto che poi non saprebbe nemmeno quale potrebbe essere l’esito dell’eventuale giudizio di rinvio. Allora pare chiaro che questi non ha interesse a che la corte cassi questa decisione a prescindere, quindi chiede prima di esaminare il ricorso principale e solo dopo quello incidentale. Si discute se sia possibile che la parte condizioni l’ordine di esame dei ricorsi, vincolando quindi la corte a un determinato ordine di esame. Prima tesi: il condizionamento è sempre inammissibile: quindi le censure del ricorso incidentale, quando involgono questioni preliminari di merito devono essere esaminate, per ordine logico, prioritariamente rispetto ai motivi prospettati con il ricorso principale (cass. 2007). È una tesi minoritaria. Seconda tesi: il condizionamento è implicito: (Cass. SS.UU. 2013), in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parti. Quindi se il ricorso incidentale viene da un soccombente teorico, questa parte non avrebbe interesse ad impugnare, ma il suo interesse deriva solo dall’eventualità che venga accolta l’impugnazione proposta dall’altra parte (riguardante il merito). In questi casi quindi il ricorso è sempre da considerare implicitamente condizionato. In realtà quindi la corte deve esaminarlo solo nell’ipotesi in cui ritenga fondato il ricorso principale. Terza tesi: il condizionamento è efficace, ma non per tutte le questioni: (Cass. SS.UU. 2009) Questa tesi distingue, le ipotesi in cui il ricorso incidentale abbia oggetto questioni rilevabili d’ufficio nel giudizio di legittimità (come la questione della nullità del contratto), e le ipotesi in cui invece si tratta di questioni non rilevabili d’ufficio. Qualora siano rilevabili d’ufficio, la Cassazione dice che il ricorrente incidentale non può impedire di rilevare d’ufficio la questione e quindi il condizionamento non sarebbe efficace ma solo se è una questione nuova perché se invece la 41 questione era già stata esaminata dal giudice a quo, allora la corte non può rilevarla d’ufficio di nuovo, in mancanza d’impugnazione di parte: in questo caso infatti il condizionamento funziona. I nuovi documenti ammessi in Cassazione. IN CASSAZIONE NON C’è NEPPURE ECCEZIONALMENTE ALCUNA FASE ISTRUTTORIA. I nuovi documenti ammessi sono quelli in materia di nullità della sentenza impugnata e ammissibilità del ricorso/controricorso. Nullità della sentenza = nullità che investa direttamente il provvedimento impugnato o nullità che può anche riguardare atti anteriori alla decisione, che si riflettano sulla validità della stessa per estensione? La giurisprudenza ha cercato di limitare l’estensione della norma che però non è giustificata. I nuovi documenti devono essere proposti contestualmente alla presentazione del ricorso/controricorso a meno che non riguardino l’ammissibilità di questi ultimi: in tal caso, dovranno depositarsi fino all’inizio dell’udienza di discussione, a condizione che ne sia data notizia alle altre parti (con notificazione). Inibitoria della sentenza impugnata. Ogni qual volta si voglia sospendere l’efficacia di una sentenza questa deve dapprima essere impugnata (non avere soltanto notificato), poi potrà chiedersi l’eventuale “inibitoria”. Per le impugnazioni diverse dall’appello è previsto il rispetto dell’art.373: la competenza è attribuita non al giudice ad quem (ossia la Corte suprema) bensì, lo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento. Si propone ricorso in Cassazione, dove il giudice adito fissa con decreto la data della comparizione delle parti. Questo ricorso con decreto dovrà essere notificato a cura del ricorrente al difensore che aveva rappresentato l’altra parte. È possibile in caso di eccezionale urgenza (in appello diciamo per giusti motivi di urgenza), che la sospensione dell’esecuzione venga concessa già col decreto di fissazione dell’udienza (prima dell’udienza di comparizione), fermo restando che in tale udienza il decreto dovrà essere confermato/revocato con ordinanza. Assegnazione dei ricorsi alle sezioni – ripartizioni tra SS.UU e Sezioni semplici. La decisione sul ricorso spetta ad una delle 5 sez. semplici (il cui collegio è composto da 5 giudici. In alcuni casi è però previsto che a decidere debbano o possano essere le Sezioni Unite, ossia un collegio formato da 9 giudici in organico nelle varie sezioni). Alle SS.UU. sono attribuiti ricorsi che involgono: • Questioni di giurisdizione e questioni ex art.362* (però è previsto che se sono questioni su cui si sono già pronunciate le SS.UU., può essere dato alla sezione semplice). • Questioni decise in modo contrastante dalle sezioni semplici. • Questioni di massima e particolare importanza • Altri casi previsti da legge quali impugnazioni CNF o CSM * le questioni ex art.362 sono conflitti + e – tra giudici ordinari e speciali oppure conflitti – tra PA e giudice ordinario. Normalmente è il primo presidente che decide se assegnare a una sezione semplice o sezioni unite. - È possibile che l’investitura delle SS.UU. venga sollecitata o da una delle parti (fino a 10 giorni prima dell’udienza o comunque della Camera di Consiglio fissata, può chiedere al primo presidente che intervengano le ss.uu.) - L’investitura delle SS.UU può anche derivare da una sezione semplice, d’ufficio o su richiesta del PM. 42 Nel 2006 è stato introdotto il 374, c. 3, per cui se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle SS.UU., rimette a queste la decisione del ricorso con ordinanza motivata. Se quindi c’è una questione già risolta dalle SS.UU., ma se la sezione semplice ritiene di non condividere questa decisione, deve rimettere a queste la decisione del ricorso con un’ordinanza motivata. Tuttavia ci sono stati dubbi di legittimità costituzionale perché nel nostro ordinamento il giudice è soggetto solo alla legge e il precedente giudiziale non è vincolante. La norma sarebbe stata palesemente incostituzionale se avesse obbligato ad attenersi al principio delle SS.UU., ma qui la situazione è diversa, perché le impedisce semplicemente di decidere difformemente. Questo per evitare delle “ribellioni” delle sezioni semplici. Officiosità del processo in Cassazione e caratteristiche del procedimento. Non esiste una fase istruttoria, non c’è assunzione di mezzi di prova. Vediamo le caratteristiche del procedimento: • Officiosità: l’impulso delle parti è richiesto solo per l’avvio del procedimento, che poi procede indipendentemente dall’attività delle parti. La corte è tenuta a decidere sul ricorso anche quando nessuna delle parti compare nell’udienza di discussione. Questo ha pure qualche conseguenza non propriamente positiva, perché può avvenire che le parti non compaiano perché hanno raggiunto un accordo e la corte decide quando non sarebbe necessaria più la sua decisione. Quindi non si estingue per inattività delle parti (ma le parti possono determinare l’estinzione del giudizio tramite rinuncia al ricorso). L’altra conseguenza è l’inapplicabilità della disciplina dell’interruzione: su questo punto la dottrina è stata molto critica, ma la cassazione è sempre stata molto decisa in questo senso, ritenendo che non si abbia interruzione neanche se morisse uno dei difensori o una delle parti. Se muore il resistente prima che si sia costituita, per esempio, il giudizio comunque va avanti (senza quindi il contraddittorio). La cassazione da un po’ di anni ha solo mitigato il problema, ammettendo che nel momento in cui dovesse risultare alla corte l’avvenuto decesso dell’unico difensore delle parti, un doveroso rinvio dell’udienza. • La possibile rinuncia al ricorso: è ammessa o fino all’inizio dell’eventuale udienza di discussione oppure fino alla data di adunanza camerale (se la decisione è in camera di consiglio). Deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato e dev’essere notificato direttamente alle altre parti o ai rispettivi avvocati. Produce i suoi effetti indipendentemente dall’accettazione dell’altra parte con effetto limitato al ricorso al quale si rinuncia (avendosi che se la rinuncia è per l’unica impugnazione allora c’è estinzione, se la rinuncia riguarda solo uno dei più ricorsi vi è una causa sopravvenuta di improcedibilità). Il procedimento è poi pronunciato o dal Presidente con decreto (se è prima della fissazione della data della decisione) o ordinanza (se in camera di consiglio). • Se sia stata raggiunta dalle parti una transazione, è possibile la cessazione della materia del contendere: la cassazione ricostruisce come una causa di sopravvenuta inammissibilità del ricorso per cassazione per cessato interesse – che in realtà è una vera e propria SENTENZA DI MERITO che da atto dell’estinzione/modificazione del rapporto sostanziale controverso qualora sia dimostrato che renderebbe inutile la decisione. Modalità della decisione – Vaglio preliminare ad opera della “sezione filtro” della Cassazione Circa le concrete modalità di decisione in Cassazione, vi sono state reiterate modifiche nel tempo. Il sistema originario prevedeva che il giudizio di cassazione si dovesse concludere sempre con una sentenza, a seguito di una discussione in una pubblica udienza, in cui gli avvocati discutono oralmente della causa, con la possibilità di depositare memorie fino a 5 giorni prima. Invece, il ricorso SOLO in alcune limitate ipotesi poteva essere deciso con ordinanza in camera di consiglio. Questo era possibile solo se si trattava di decidere i regolamenti di giurisdizione/competenza o quando si doveva dichiarare l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso. Tra il 2001 e il 2006 il legislatore intervenne per rendere più agevole il carico della cassazione, ampliando le ipotesi in cui era possibile decidere sul ricorso con ordinanza in camera di consiglio senza la fissazione di una pubblica udienza. Subito dopo la riforma del 2006 il primo presidente dell’epoca ebbe l’idea di creare la struttura, cioè un gruppo di magistrati che aveva il compito di esaminare preliminarmente tutti i ricorsi per individuare quelli che si prestavano alla decisione in camera di consiglio con ordinanza. Un’idea che fu accolta dal legislatore del 2009 che creò una apposita 45 I POSSIBILI ESITI DEL PROCESSO IN CASSAZIONE. Prescindendo dalla forma del provv. definitivo (ordinanza o sentenza), il ricorso per cassazione, principale/incidentale può condurre a una pronuncia di accoglimento o rigetto (rigetto per ragioni processuali o di merito). RIGETTO ACCOGLIMENTO Parliamo prima, però, dell’enunciazione espressa principio di diritto à ci sono casi in cui la Corte, nel definire il giudizio, deve enunciare espressamente il principio di diritto ossia la sintetica esplicazione della corretta interpretazione ch’essa ha ritenuto di attribuire alla norma di diritto investita dai motivi del ricorso. Questo principio deriva dalla funzione nomofilattica della Cassazione (garantire applicazione/interpretazione uniforme del diritto) poiché orienta la successiva giurisprudenza. Ex art. 384 co.1: “La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell'articolo 360 n. 3) – violazione falsa applicazione norma di diritto, e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza” + hp di rigetto anche quando inammissibile/improcedibile. In passato (prima del 2006) il principio di diritto doveva essere enunciato solo nell’ipotesi di accoglimento del ricorso per violazione/falsa applicazione norme di diritto. Oggi, invece è previsto anche in ipotesi di rigetto; persino quando il ricorso è inammissibile o improcedibile (il procuratore generale p.34 presso la Cassazione può chiedere che la corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi) - pensiamo ai provvedimenti in materia di giurisdizione volontaria, che sono sottratti alla garanzia del ricorso per cassazione, perché mancano della caratteristica della decisorietà: quindi tutte le questioni giuridiche che vi possono sorgere, non potrebbero mai ottenere una soluzione uniforme da parte della cassazione: potrebbe accadere che nell’ambito delle Corti d’Appello si formino delle giurisprudenze diverse, senza la possibilità di arrivare a una soluzione. Quindi con questo strumento, si può ottenere un’indicazione da parte della Cassazione. Torniamo ai possibili esiti del giudizio: RIGETTO Il rigetto del ricorso per cassazione determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Il rigetto si può avere per ragioni processuali (inammissibilità/improcedibilità/nullità del ricorso) o infondatezza dell’impugnazione. Ragione peculiare è il rigetto con correzione della motivazione ex art.384 4°co: “Non sono soggette a cassazione le sentenze ERRONEAMENTE MOTIVATE IN DIRITTO, quando il dispositivo sia conforme al diritto, in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione”. Cioè quando la Corte ritiene che il dispositivo sia conforme al diritto ma la motivazione sia lacunosa, ben può succedere che la Corte corregge la motivazione ma non annulla/cassa la sentenza. Limiti a questo tipo di rigetto: - non può esserci un mutamento del dispositivo della sentenza - la corte deve fondarsi sempre su fatti già accertati o su fatti processuali di cui può direttamente conoscere RAGIONI PROCESSUALI INFONDATEZZA MERITO RIGETTO CON CORREZIONE MOTIVAZIONE EX 384, 4° co. CASSAZIONE SENZA RINVIO PER RAGIONI PROCESSUALI CASSAZIONE CON RINVIO CASSAZIONE SENZA RINVIO MA CON DECISIONE DI MERITO RAGIONI PROCESSUALI INFONDATEZZA MERITO RIGETTO CON CORREZIONE MOTIVAZIONE EX 384, 4° co. 46 - non può tener conto di questioni che non siano rilevabili d’ufficio ACCOGLIMENTO 1. Cassazione senza rinvio per ragioni processuali: si tratta di quei casi in cui la Corte di Cassazione si limita a cassare la sentenza, ponendo fine all’intero giudizio, perché non c’è più nulla da decidere. Può avvenire in 2 ipotesi ex art.382, 3 co.: - quando sia dichiarato difetto di giurisdizione sia del giudice del quale si impugna che di ogni altro giudice. - in ogni altro caso in cui la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito. Hp1: qui la cassazione senza rinvio non riguarda le ipotesi di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di uno speciale. Fino al 2007 si riteneva che la sentenza declinatoria di giurisdizione poneva fine all’intero giudizio, perché si riteneva che non ci fosse comunicabilità tra le due giurisdizioni, salva la possibilità di iniziare un giudizio nuovo. Dal 2009 si è prevista la possibilità della translatio iudici nel caso di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di uno speciale. Quindi la cassazione senza rinvio qui riguarda le altre ipotesi: difetto di giurisdizione del giudice italiano o difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della PA. Hp2: qui ci si riferisce a ipotesi di improponibilità della domanda o improseguibilità del giudizio, dunque non riguarda il merito. Per esempio l’ipotesi in cui c’era improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria: se la cassazione ritiene che la domanda era improcedibile, allora cassa senza rinvio. Pensiamo anche l’ipotesi di estinzione del giudizio di primo grado o d’appello, per esempio perché proposto fuori dal termine. Gli effetti della cassazione senza rinvio consistono nell’annullamento sia della sentenza di primo grado che d’appello perché seppur vero che l’oggetto diretto dell’annullamento è la sentenza di secondo grado, non ci sarà revivescenza della sentenza di primo grado, già definitivamente annullata e sostituita da quella d’appello. Se invece la cassazione senza rinvio dovesse dipendere dall’appello inammissibile, improcedibile o estinto, allora si implica il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (che è come se non fosse mai stata impugnata e quindi riformata). 2. Cassazione con rinvio: ipotesi in cui la Cassazione accoglie il ricorso con annullamento della sentenza e poi rimette la causa ad un altro giudice di merito che dovrà pronunciare una nuova sentenza destinata a sostituire quella cassata. Ovviamente ogniqualvolta l’annullamento si dipeso violazione falsa applicazione norma di diritto, o abbia implicato la risoluzione di una questione di diritto di particolare importanza, la Corte è tenuta all’enunciazione del principio di diritto a cui il giudice di rinvio dovrà uniformarsi. A che giudice si rinvia la causa? Il giudice di rinvio è di regola il giudice diverso ma pari grado di quello che aveva pronunciato la sentenza impugnata. La cassazione a volte designa un ufficio giudiziario diverso, più spesso la assegna allo stesso ufficio giudiziario, ma a una sezione diversa o finanche la stessa sezione ma composizione diversa altrimenti istanza recusazione. Ci sono 3 eccezioni: 1. Qualora il ricorso sia stato proposto per saltum, (le parti si erano rivolte in cassazione saltando l’appello), la causa va rinviata al giudice d’appello (quello che sarebbe stato competente) 2. Quando l’appello è stato dichiarato inammissibile ex art.348bis e 348ter (filtro d’ammissibilità in appello) perché privo di ragionevole probabilità di accoglimento, la causa va al giudice d’appello 3. Quando la Cassazione riscontra una delle ipotesi in cui il giudice d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado ex art.353-354 (erronea definizione del processo in rito o nullità della sentenza), la causa va rinviata al giudice di primo grado. Una parte della dottrina, poi, distingue: CASSAZIONE SENZA RINVIO PER RAGIONI PROCESSUALI CASSAZIONE CON RINVIO CASSAZIONE SENZA RINVIO MA CON DECISIONE DI MERITO 47 o Rinvio prosecutorio: quando cassa per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error in iudicando) che da vita a una nuova fase del giudizio. o Rinvio restitutorio: quando il ricorso è accolto per un error in procedendo, vi è una riapertura di una precedente fase processuale. In qualche caso questa distinzione è stata utilizzata dalla giurisprudenza, sostenendo che alle ipotesi di rinvio restitutorio non si applicherebbe il principio per cui il giudice di rinvio debba essere diverso. Questo dà per scontato che si arriva a una diversa disciplina, cosa che non convince il professore, perché non è stata prevista questa distinzione dal legislatore. Come si configura il giudizio di rinvio? Il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto stabilito dalla corte. Vi deve essere riassunzione entro 3 mesi (prima era 1 anno) dalla pubblicazione della sentenza di cassazione che deve avvenire con citazione (o ricorso per rito del lavoro) da notificarsi personalmente alle parti (non ai difensori). Il processo di rinvio si deve concludere con sentenza di merito che sarà a sua volta impugnabile con mezzi ordinari ed eventualmente con nuovo ricorso di cassazione. Qualora le parti non riassumano nei tempi e ci sia l’estinzione del giudizio di rinvio, cade tutto, non fa rivivere la sentenza cassata (sia essa appello o primo grado). L’unica cosa che sopravvive è il principio di diritto, che vincolerebbe anche il nuovo giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda. Qui c’è una conferma dell’effetto sostitutivo della sentenza d’appello: la sentenza di primo grado non torna in vita perché la sentenza d’appello aveva sostituito in via definitiva la sentenza di primo grado, che non esiste più. Si salva solo il principio di diritto, che ha un’efficacia panprocessuale (cioè produce effetti anche nei successivi processi tra le stesse parti, aventi ad oggetto la stessa domanda). --- Poteri delle parti e del giudice --- Il 394 dice che le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata (quindi dato che probabilmente era un giudizio d’appello, conservano le posizioni di appellato/appellante). Nel giudizio di rinvio può deferirsi giuramento decisorio, ma le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata. Il giudizio di rinvio è un giudizio ad istruttoria normalmente chiusa (oggi anche il giudizio d’appello è ad istruttoria normalmente chiusa e quindi a fortiori deve valere per il giudizio di rinvio): niente domande nuove, niente nuove eccezioni, neanche se si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio, perché si ha uno sbarramento a qualunque questione rilevabile d’ufficio, niente nuove prove, con eccezione del giuramento decisorio, ammesso al di là di ogni preclusione per la sua particolare efficacia. Il compito del giudice di rinvio, quindi, normalmente è un compito limitato perché non gli resta che applicare il principio di diritto ai fatti accertati. Il principio di diritto non può essere messo in discussione neanche dalla corte di cassazione: se si ha un nuovo ricorso in cassazione contro la sentenza resa dal giudice di rinvio, la cassazione non potrebbe rivedere il principio di diritto: l’unico caso in cui il principio di rinvio può essere superato, è quello dello ius superveniens o pronuncia Corte Costituzionale -> nel qual caso sarebbero anche ammesse al giudizio di rinvio nuove allegazioni. Dobbiamo dire qualcosa in più, entrando più nel dettaglio per i poteri del giudice di rinvio e delle parti. Bisogna fare una distinzione: o Ipotesi in cui è stata cassata per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (errores in iudicando). Qui il vincolo del giudice di rinvio è particolarmente intenso, perché riguarda non solo il principio di diritto, ma anche i presupposti di fatto della sentenza di cassazione. Se così non fosse il giudice di rinvio, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti (affermando ad es. che il contratto, in ordine al quale la cassazione aveva avvisato una violazione di legge delle regole ermeneutiche, non si era in realtà mai perfeziono). Quindi non solo non può contestare il principio di diritto, ma non può nemmeno superarlo indirettamente, rimettendo in discussione i presupposti di fatto della decisione della corte. Quali sono le possibili eccezioni? Una prima eccezione deriva dalla stessa sentenza di cassazione: questa stessa può affidare al giudice di rinvio un compito ulteriore, per esempio quello di accertare determinati fatti che non erano stati precedentemente accertati: nel caso in cui la sentenza d’appello 50 rientrerebbero in nessuno dei due articoli: Se per esempio il provvedimento ha deciso anche su un’altra questione processuale (ad es. la giurisdizione), qui è difficile capire in quale ipotesi ci troviamo, perché il provvedimento non ha deciso solo sulla competenza e quindi non dovrebbe entrare nel 42, ma non entra neanche nel 43 perché non ha deciso il merito, ma una questione processuale. La giurisprudenza fa rientrare questa ipotesi nell’art. 43, un po’ forzatamente, lasciando intendere che tutto ciò che non è competenza, è merito (anche se non è prettamente così). La pronuncia sulla competenza può essere anche implicita (quando il giudice decide nel merito omettendo di pronunciarsi su eccezione sollevata dalle parti o rilevabile d’ufficio). Il regolamento presuppone che l’istante sia realmente soccombente rispetto alla decisione sulla competenza e quindi quella dichiarativa di competenza sarà impugnabile dal convenuto, mentre interessato a impugnare la declinatoria l’attore. C’è un’esclusione esplicita per i giudizi davanti al giudice di pace. Secondo l’art. 46, le disposizioni degli artt. 42 e 43 non si applicano, ma è possibile solo il regolamento d’ufficio. Quindi queste pronunce sono impugnabili solo con i mezzi ordinari. Invece è comunque ammesso il regolamento necessario, nonostante l’art.46 per le pronunce del giudice di pace che dispongano la sospensione del processo. IL CONCORSO TRA REGOLAMENTO FACOLTATIVO E IMPUGNAZIONE ORDINARIA Nelle ipotesi dell’art.43 il regolamento di competenza concorre con l’impugnazione ordinaria. Può succedere anche che la medesima sentenza sia impugnata da parti diverse tanto con regolamento di competenza, quanto con l’impugnazione ordinaria. L’istanza di regolamento di competenza prevale sull’impugnazione ordinaria. Se viene proposto PRIMA regolamento dell’impugnazione ordinaria à i termini per proporre quest’ultima restano sospesi e riprendono a decorrere dalla comunicazione della sentenza di regolamento. Se invece una delle parti propone prima impugnazione, le altre parti possono proporre DOPO regolamento à si produrrà sospensione automatica del procedimento di appello o cassazione e quest’ultimo potrà riprendere tramite riassunzione nella sola ipotesi in cui la decisione della Corte suprema, resa in sede di regolamento, confermi la competenza del giudice adito. Questo vale anche per la stessa parte: se uno è soccombente sia sulla competenza che nel merito, può decidere prima di esperire il regolamento di competenza e poi (se la decisione della Corte è di rigetto), conserva la possibilità di proporre/continuare l’impugnazione nel merito. C’è da dire che nella scelta tra REGOLAMENTO e IMPUGNAZIONE ORDINARIA, mentre l’impugnazione consente di chiedere sempre al giudice l’inibitoria, con il regolamento di competenza non è prevista. Questo dunque, potrebbe far preferire per l’impugnazione ordinaria. PROCEDIMENTO REGOLAMENTO COMPETENZA. L’Istanza di ricorso à dev’essere proposta entro 30 gg dalla comunicazione della sentenza (mentre il ricorso in cassazione si deve proporre entro 60gg) e nel caso di mancanza comunicazione/notifica può essere proposta entro 6 mesi dalla pubblicazione. Il contenuto rispetta quello dell’art.366 per il ricorso in cassazione MA basta la sottoscrizione del difensore senza alcuna procura speciale ovvero direttamente dalla parte se questa si è costituita direttamente. La notifica del ricorso à il procedimento inizia con la notificazione che dev’essere depositato entro 20gg però qui entro 5gg dalla notificazione, il ricorrente deve chiedere ai cancellieri degli uffici davanti ai quali pendono i processi che i relativi fascicoli siano trasmessi alla cancelleria della Corte di Cassazione: da questo giorno i processi sono sospesi. Le altre parti à non devono notificare il controricorso (entro 20gg dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso) MA possono entro 20gg depositare le proprie memorie difensive + documenti. Fase decisoria à ordinanza pronunciata SEMPRE in camera di consiglio mai udienza, pronunciata entro 20gg dalla scadenza dei predetti termini (qualora ci siano conclusioni PM la corte notifica alle parti le conclusioni con possibilità di deposito memorie non oltre 5 gg l’adunanza prevista). Riassunzione à eventuale riassunzione al giudice a quo entro 3 mesi. LA REVOCAZIONE - IMPUGNAZIONE ORDINARIA (N.4-5 ART.395) E STRAORDINARIA (N.1-2-3-6 ART.395) 51 La revocazione è uno dei rimedi dalle origini più remote e ha la caratteristica di essere rivolta al giudice (inteso come uff. giudiziario) da cui la sentenza proviene. La revocazione è a critica vincolata e ha natura rescindente, perché mira all’annullamento della sentenza impugnata dove risultino sussistenti i vizi denunciati e solo in un secondo momento si potrà avere una nuova decisione nel merito della causa. Può essere ordinaria o straordinaria a seconda dei motivi (4 e 5 è ordinaria, perché ammessa solo nei confronti di sentenze non passate in giudicato in grado d’appello o unico grado; mentre 1, 2, 3, 6 è straordinaria, perché ammessa contro sentenze d’appello o unico grado ma anche di 1°grado solo se quest’ultime siano passate in giudicato perché la rev. Può concorrere con il ricorso in cassazione ma non anche con l’appello). La ratio della distinzione tra rev. Ordinaria/straordinaria sta nella natura dei vizi che si possono proporre: nella rev ordinaria sono vizi palesi, cui la parte può rendersi conto sin dalla lettura del provvedimento e quindi è ovvio che i termini per proporla siano (30gg o 6 mesi) e decorrano dalla notifica o dalla pubblicazione della sentenza. Nella rev straordinaria invece, i vizi possono essere conosciuti dal soccombente in un tempo notevole, ecco perché 30gg qui decorrono da quando la parte viene concretamente a conoscenza del vizio. Artt. 395: le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere revocate quando: 1. Sono effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra. 2. Se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza. 3. Se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per forza maggiore o per fatto dell’avversario. 4. Se la sentenza è effetto di un errore di fatto, risultante dagli atti o documenti della causa. 5. Se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata. 6. Se la sentenza è effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato. Quali sono i provvedimenti impugnabili: • L’art. 395 menziona le sentenze in grado di appello o in unico grado per tutti i motivi indicati dal 395, sia quella ordinaria che straordinaria. • Per il 396, le sentenze di primo grado per cui è scaduto il termine d’appello (quindi passate in giudicato). Queste possono essere impugnate purché la scoperta del dolo, della falsità, ecc., siano avvenuti dopo la scadenza del termine per l’impugnazione in appello PERCHÉ OVVIAMENTE se i fatti menzionati avvengono durante il corso del termine dell’appello, il termine di 30gg è prorogato dal giorno della conoscenza del fatto con un favor per l’appello. La revocazione può concorrere con il ricorso per cassazione, ma non con l’appello, perché se è proponibile l’appello, non lo è la cassazione. Questo perché i motivi per la revocazione possono farsi valere con l’appello (che è a critica libera), mentre non potrebbero farsi valere in Cassazione, perché si parla di fatti. • Sentenze e ordinanze decisorie della Cassazione (vedi dopo). I motivi di revocazione • Revocazione ordinaria o Art. 395, n. 4: errore di fatto, risultante dagli atti o documenti della causa. C’è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e se il fatto non ha costituito un punto controverso della sentenza: se il giudice ha affermato/negato 52 consapevolmente quel fatto, il rimedio sarebbe solo quello di ricorso per cassazione, come errore di motivazione. Una delle poche ipotesi di colpa grave sulla responsabilità del giudice fa riferimento proprio a questo tipo di errore. o Art. 395, n. 5: contrarietà della sentenza ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché la stessa sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato, escludendo, SBAGLIANDO, il giudicato (in questo secondo caso deve farsi valere con il ricorso in cassazione – motivo 360n.5). L’ipotesi è quella di una sentenza anteriore, già passata in giudicato tra le parti (un giudicato formatosi su stesso oggetto; sia giudicato riguardante diritto/rapporto giuridico pregiudiziale). Non sussiste nessun contrasto se la prima decisione, passata in giudicato, avesse pronunciato incidenter tantum sul diritto che viene in rilievo nel secondo giudizio (cioè con effetti limitati al processo in corso). Secondo una certa opinione questa ipotesi riguarderebbe solo il contrasto con un giudicato esterno (quello formato in diverso giudizio ma tra le stesse parti), mentre non violerebbe l’ipotesi un giudicato interno (si è formato all’interno dello stesso processo, come una sentenza non definitiva, non impugnata). In questo caso non ci sarebbe la revocazione, ma il ricorso per cassazione per vizio in procedendo. Ad oggi questa impostazione non è più condivisibile perché in passato si riteneva che il giudicato interno era rilevabile d’ufficio, quello esterno invece si riteneva fosse un’eccezione in senso stretto rilevabile SOLO dalle parti. Oggi si ritiene che siano comunque entrambe rilevabili d’ufficio e forse neanche per la revocazione ci sarebbe questa distinzione. • Revocazione straordinaria: o Art. 395, n. 1: la sentenza è effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra. Si tratta di atti o comportamenti processuali fraudolenti, concretatesi in artifizi o raggiri, che abbiano avuto efficienza causale sulla decisione, limitando l’attività difensiva dell’avversario o l’accertamento della verità da parte del giudice. o Art. 395, n. 2: sentenza fondata su prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza, oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza. Riconosciute à si intende dalla stessa parte che si è avvantaggiata della prova Dichiarate false à si intende da sentenza passata in giudicato che verta sulla falsità della prova medesima. o Art. 395, n. 3: caso in cui dopo la sentenza sono stati trovati documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario. Tre requisiti: decisività dei documenti, non imputabilità alla parte dell’impossibilità di produrli e documento preesistente alla sentenza impugnata per revocazione. o Art. 395, n. 6: la sentenza è effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato. Nell’ambito della revocazione straordinaria c’è da menzionare la revocazione (anche straordinaria) proponibile dal PM, sul presupposto che si tratti di cause nelle quali vi è il suo intervento obbligatorio*, ex art.70, in due ipotesi: § quando la sentenza sia stata pronunciata senza che egli sia stato sentito, ovviamente senza che sia stato avvisato § Quando la sentenza è l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge (es. i due coniugi che si mettono d’accordo per porre nel nulla il matrimonio e far risultare un motivo d’invalidità) * intervento obbligatorio: cause matrimoniali/separazione, quella circa status/capacità delle persone, negli altri casi previsti dalla legge. 55 Quando la domanda di revocazione sia accolta, se ha contenuto uniforme a quello della pronuncia di cassazione impugnata allora non incide su atti e situazioni dipendenti dall’anteriore decisione della Cassazione; Quando la domanda di revocazione ha contenuto difforme, ne deriverà l'immediata caducazione di tutti gli atti ed i provvedimenti dipendenti dalla sentenza revocata. OPPOSIZIONE DEL TERZO – IMPUGNAZIONE STRAORDINARIA L’opposizione del terzo ha la caratteristica di essere eseguita da CHI non ha assunto la qualità di parte nel processo in cui la sentenza è stata resa e anche qui la competenza appartiene allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. L’art.404 disciplina due diversi tipi di opposizione: quella ordinaria, c. 1, e quella revocatoria, c. 2. In realtà l’opposizione “ordinaria” è la più straordinaria delle impugnazioni, perché non ha termini di decadenza. • Ordinaria: l’opposizione è consentita nei confronti di qualunque sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva che pregiudica i diritti di un terzo. L’opposizione spetta ai terzi, cioè a chi NON è stato parte del primo giudizio e che NON subiscono l’efficacia DIRETTA della sentenza. [Invece il rappresentato, che formalmente non ha partecipato al processo, risente degli effetti e pertanto non è terzo; come anche il successore universale o a titolo particolare, di regola non sono terzi, perché subiscono gli effetti della sentenza. Ricorderemo che nel caso del successore a titolo particolare, l’art. 111, c. 4 prevede che di regola il successore a titolo particolare, anche se non ha partecipato al processo, subisce gli effetti della sentenza e quindi potrà avvalersi delle impugnazioni ordinarie: il tutto ovviamente se la successione è avvenuta durante il processo. Il successore (universale/particolare) potrà avvalersi dell’opposizione del terzo se ad es. la successione è avvenuta prima del processo: è ovvio, in quel caso il processo avrebbe dovuto promuoversi proprio nei suoi confronti e non sussistono quindi i presupposti per l’estensione degli effetti della decisione in suo danno. Oppure Il successore a titolo particolare che vanta ex art.111 co.4 un possesso in buona fede o ha un vantaggio derivante dalla trascrizione della domanda giudiziale – in questi casi la sentenza non può fare stato]. Quale tipo di pregiudizio deve procurare la sentenza al diritto del terzo? Il pregiudizio che legittima l’opposizione ordinaria non è il giudicato in quanto tale perché di regola il terzo NON SUBISCE IL PREGIUDIZIO DERIVATO DAL GIUDICATO TRA ALTRI SOGGETTI. Il pregiudizio non è eliminare una generica situazione di incertezza perché il terzo potrebbe far valere il proprio diritto, in via d’eccezione o azione, in un nuovo e autonomo giudizio. Se C volesse rivendicare la proprietà del bene in un giudizio tra A e B, ben potrebbe agire con una azione di rivendica nei confronti di chi è risultato proprietario. Il pregiudizio è più materiale che giuridico, deriva dalla necessità di evitare che la sentenza abbia esecuzione tra le parti. Un elemento in favore di questa soluzione è nell’art. 404, che dice che l’opposizione ordinaria si può proporre nei confronti di una sentenza passata in giudicato, o comunque esecutiva: questo conferma che non è il pregiudizio che deriva dal giudicato ma la quello derivante dalla possibile esecuzione tra le parti. Pensiamo all’ipotesi in cui la sentenza abbia condannato Caio alla demolizione di una certa opera che Tizio riteneva illegittima; immaginiamo che ci sia un terzo che affermi di essere il proprietario o il comproprietario di quell’opera: la sua opposizione mira proprio ad evitare che la sentenza venga eseguita. Non è quindi legata al giudicato, ma alla sola esecuzione. Quali sono i soggetti concretamente legittimati? o L’ipotesi principale fa riferimento ai terzi titolari di diritti autonomi e incompatibili con quello risultante dalla sentenza. Ci si riferisce a chi avrebbe potuto spiegare l’intervento volontario principale. Quindi questi soggetti che potevano fare un intervento principale (ma non l’hanno fatto), 56 possono avvalersi dell’opposizione di terzi. Questa opposizione è ovviamente esclusa per quei soggetti titolari di situazioni dipendenti. Pensiamo al caso in cui il terzo riteneva di essere proprietario lui del bene oggetto di disputa tra altre parti: qui tutto dipende dal titolo di acquisto vantato dal terzo: se vanta un acquisto a titolo originario, è chiaro che vanta un diritto autonomo e incompatibile e quindi potrà poi usare un’opposizione di terzo (così come l’intervento principale). Se invece vanta un acquisto a titolo derivato, il suo acquisto dipenderebbe dal diritto di una delle parti e quindi non potrebbe usare l’opposizione di terzo (ma può usare al massimo quella revocatoria se ricorrono i presupposti, cioè se la sentenza è stata frutto di dolo e collusione in suo danno). o Altri terzi sono i litisconsorti necessari pretermessi, contitolari dello stesso rapporto giuridico plurisoggettivo accertato dalla sentenza: es. comproprietario di un fondo sul quale la sentenza abbia affermato gravare una servitù di passaggio. o I casi di sostituzione processuale, dove si fa valere in nome proprio un diritto altrui (c.d. legittimazione straordinaria) es. azione surrogatoria che ammette che il creditore possa esercitare diritti che spettano verso i terzi al proprio debitore. In queste ipotesi si ritiene che il sostituito debba comunque partecipare al processo in qualità di litisconsorte necessario. o Un’altra ipotesi, la più discussa, riguarda il soggetto falsamente rappresentato (falsus procurator). Il soggetto falsamente rappresentato formalmente è stato parte e quindi una parte della dottrina ritiene che utilizzi le impugnazioni ordinarie. Però per l’opposizione ordinaria ovviamente non c’è un termine, mentre per l’appello sì e quindi potrebbe venire a conoscenza del processo solo quando è scaduto il termine. Quindi un’altra parte della dottrina (professore) ritiene che sia possibile ammetterlo all’opposizione di terzo. L’alternativa sarebbe quantomeno quella di applicare analogicamente il 327, c. 2 sull’ipotesi di contumacia involontaria che consente il superamento di quei termini di decadenza, allorchè la parte dimostri di non avere avuto conoscenza del processo a causa della nullità della citazione o della notificazione. • Revocatoria: in base al c. 2 dell’art. 404, è prevista, nei confronti della sentenza passata in giudicato e spetta ai creditori e agli aventi causa, quando la sentenza è frutto di dolo o collusione tra le parti, in loro danno. Questa opposizione ha forti punti di contatto con l’azione revocatoria (detta pauliana) dell’art. 2901 c.c., che presuppone la possibilità che creditori e aventi causa chiedano di dichiarare inefficace un atto di disposizione del debitore, al fine di proteggere i creditori dagli atti dolosi posti in essere dal debitore, per vanificare la garanzia che il proprio patrimonio offre al creditore stesso. Ci si riferisce non solo ai casi in cui il debitore si spoglia dei propri beni in vista di un’azione esecutiva, MA anche al meccanismo più sottile dove ad es. il debitore, in accordo col terzo che promuove un’azione di rivendica nei suoi confronti, non si difende o si difende male (per risultare soccombente). Il terzo dunque avrà il bene in proprietà. Il risultato è lo stesso per debitore che ha sottratto quel bene all’aggressione dei creditori. QUI, non è più utilizzabile l’azione revocatoria, ma sarà possibile usare l’opposizione revocatoria. Il procedimento dell’opposizione: l’art. 405 dice che l’opposizione è proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza (= stesso ufficio giudiziario), secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui, quindi può iniziare con citazione a meno che sia processo del lavoro quindi ricorso. La citazione deve contenere anche l’indicazione della sentenza impugnata e, nel caso dell’opposizione revocatoria, soggetta al termine di 30 giorni dal momento in cui il terzo viene a conoscenza del dolo/collusione, anche l’indicazione del giorno in cui è venuto a conoscenza. Il giudice dell’opposizione può pronunciare l’ordinanza per la sospensione dell’esecuzione, valendo lo stesso presupposto del grave e irreparabile danno previsto nell’art. 373. 57 Per quanto riguarda il contenuto della decisione, di regola il giudice pronuncerà una nuova decisione di merito che prenderà il posto di quella impugnata (quindi il momento rescindente, coinciderà con il momento rescissorio). Ma ci può essere il caso in cui la decisione sia meramente rescindente, perché il vizio è tale da escludere una nuova sentenza: a) lesione del contraddittorio: il vizio è insanabile. b) Violazione di litisconsorzio necessario: se è vs sentenza di primo grado, consente allo stesso giudice di primo grado (che è quello dell’opposizione) di pervenire a nuova pronuncia di merito. Se è vs sentenza di secondo grado, il giudice dell’opposizione deve limitarsi a rimettere la causa al giudice di primo grado così da non negare alle parti un grado di giudizio. Oggi il 391-ter prevede l’opposizione di terzo anche contro le sentenze di merito della cassazione, quindi sentenze in cui la Cassazione ha pronunciato una sentenza sostitutiva. Se la Cassazione accoglie l’opposizione, può pronunciare una nuova sentenza di merito, se non sono necessari altri accertamenti, altrimenti rinvia al giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata. 1-101 ESECUZIONE FORZATA 139-192 La inquadriamo nel Libro Terzo “del processo di esecuzione” – Titolo I “titolo esecutivo” • Espropriazione forzata: è l’esecuzione generica, ed è la più frequente, servendo ad attuare coattivamente un diritto al pagamento di una somma di denaro. Nello stesso tempo è anche il procedimento di esecuzione più complicato. Tra l’altro, l’espropriazione forzata prevede una serie di procedimenti diversi a seconda del bene: o Mobiliare presso il debitore o Mobiliare presso i terzi o Immobiliare o Di beni indivisi o Contro il terzo proprietario • Esecuzione specifica per consegna o rilascio • Esecuzione specifica degli obblighi di fare o non fare (=di disfare) Esaminiamo i profili generali dell’esecuzione forzata, iniziando dal titolo esecutivo che non è altro che un documento che la legge definisce tale, non essendo possibile fornire una nozione unitaria. 60 Se invece vuole iniziare l’esecuzione forzata, la si deve notificare personalmente. Quindi è possibile che la parte vittoriosa sia obbligata a una duplice notifica (ai fini dell’impugnazione e ai fini del procedimento esecutivo). In realtà la notificazione del titolo esecutivo non è richiesta per i titoli del n. 2 del 474 (cambiali, assegni, scritture private autenticate, ecc.), perché qui la notificazione è sostituita dalla trascrizione integrale del titolo all’interno del precetto. Di regola il creditore può scegliere liberamente se notificare distintamente titolo esecutivo e precetto, ovvero notificarli insieme. Ovviamente la seconda è la più frequente e la più semplice. In quel caso il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta comunque personalmente alla parte. OVVIAMENTE se si sceglie di notificarli separatamente, si deve notificare prima il titolo esecutivo, poi il precetto (anche perché tra gli elementi del precetto c’è la data di notificazione del titolo esecutivo). Ci sono però dei casi in cui la notificazione del precetto deve essere necessariamente posteriore e differita rispetto a quella del titolo. Sono casi in cui al debitore è data la possibilità di adempiere senza subire le spese del precetto (perché queste spese comunque sono rimborsate normalmente dal debitore al creditore, anche se l’esecuzione non ha inizio). Questi casi in cui il legislatore chiede un certo lasso di tempo sono: o Quando l’esecuzione deve aver luogo contro gli eredi della parte indicata nel titolo (art.477): quindi la parte è morta dopo la formazione del titolo, ma gli eredi possono ignorare il titolo esecutivo. Quindi prima si notifica il titolo e poi devono trascorrere almeno 10gg dalla notificazione (e potrà essere eseguita entro 1 anno dalla morte), fatta agli eredi collettivamente ed impersonalmente, all’ultimo domicilio del defunto o Contro amministrazioni statali ed enti pubblici non economici: in questo caso è necessario far passare almeno 120 giorni tra la notifica dell’atto esecutivo e la notifica del precetto. *Vediamo gli elementi necessari per l’atto di precetto, ex art. 480: a. Intimazione di adempiere l’obbligo entro un termine non minore di 10 giorni, indicato dal creditore, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà all’esecuzione forzata: Nel caso vi sia periculum in mora, il creditore può chiedere al presidente del tribunale competente per l’esecuzione, l’autorizzazione all’esecuzione immediata (eventualmente subordinandola alla prestazione di cauzione): ad es. pensiamo all’ipotesi in cui il creditore possa documentare l’esistenza di altre procedure esecutive a carico del debitore. b. Indicazione delle parti, data di notificazione del titolo esecutivo (se è avvenuta separatamente) c. Eventuale trascrizione integrale del titolo esecutivo, se questo non è soggetto a notificazione (n. 2 del 474) d. Sottoscrizione della parte oppure del difensore: perché la rappresentanza tecnica è meramente facoltativa, dato che il precetto è un atto stragiudiziale e. Dichiarazione di residenza o elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. La mancanza di questo non incide sulla validità dell’atto di precetto, ma serve solo a facilitare un’opposizione. Se mancasse questo, le eventuali opposizioni si propongono davanti al giudice dove è stato notificato il precetto e le notificazioni si fanno alla cancelleria di questo giudice. Quindi la mancanza della dichiarazione di residenza espone al rischio di non venire a conoscenza delle opposizioni. 61 f. Avvertimento sulle procedure previste per le crisi di sovra indebitamento. È stato aggiunto di recente, per concludere un accordo di composizione con il debitore (escluso dall’ambito della legge d’applicazione fallimentare) con l’ausilio di organismi di composizione della crisi o di professionisti nominati dal giudice. Una volta notificato l’atto di precetto, l’esecuzione forzata deve iniziare entro 90 giorni, che è il termine di efficacia del precetto, dato dal 481. È possibile la sospensione di questo termine se il debitore faccia opposizione. La legittimazione attiva e passiva all’azione esecutiva Un problema che si pone con una certa frequenza riguarda la legittimazione attiva e passiva all’azione esecutiva. Di regola si determina in base al titolo esecutivo: il debitore sarà legittimato passivo e il creditore sarà legittimato attivo. Però potrebbero essere intervenuti dei mutamenti nella titolarità del rapporto, che potrebbero riguardare sia il lato attivo, che quello passivo (es. morte). Manca una disposizione nel codice per rilevare i mutamenti della titolarità del rapporto. Le disposizioni che si riferiscono all’efficacia soggettiva del titolo esecutivo sono 2: - 475 co.2 à la spedizione in forma esecutiva (rilascio copia conforme) può farsi solo alla parte a favore della quale fu pronunciato provv. O stipulaata l’obbigazione O dai suoi successori (il legislatore non specifica il tipo di successione). - 477 co.1 à il titolo esecutivo contro il defunto è senz’altro efficace contro gli eredi (ma i successori a titolo particolare????) Limitandoci alla lettura dei due artt. emerge che la legittimazione attiva si trasmette ai successori mentre quella passiva riguarda solo gli eredi. Tuttavia l’opinione dominante ammette che il titolo esecutivo è utilizzabile pure nei confronti del successore il cui acquisto è posteriore alla formazione del titolo nei confronti del dante causa (e questo perché l’avente causa nel corso del processo subisce gli effetti della sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa). Distinguiamo a seconda che il mutamento che può incidere sulla titolarità sia intervenuto prima o dopo l’inizio dell’esecuzione: - Se il mutamento si è verificato prima del processo esecutivo: • Per quanto riguarda la successione universale è pacifico che la legittimazione attiva e passiva si trasmetta agli eredi del creditore o del debitore; • Se si tratta di successione a titolo particolare, la legittimazione attiva o passiva concorre con quella del successore. Soprattutto per la passiva si pone qualche problema. Un’eventuale esecuzione potrà proporsi sia nei confronti del legittimato ordinario che nei confronti del successore. - Se il mutamento si è verificato durante i dubbi riguardano l’applicabilità degli artt.110-111, sulla successione processuale. Questi due artt. stanno nella parte generale del codice (quindi dovrebbero riguardare qualunque tipo di processo) ma sembra facciano riferimento solo al processo di cognizione. In linea di principio si ritiene che il mutamento intervenuto nel corso del processo esecutivo non incida sul processo esecutivo, proprio come avviene nel processo di cognizione, il cui processo di regola va avanti tra le parti originarie. • Per la successione universale è pacifico che il processo esecutivo prosegua indisturbato nei confronti degli eredi, visto che non trova applicazione l’istituto dell’interruzione (come nell’ordinario ex art.110). • Per la successione a titolo particolare, qualcuno ritiene che, se si trasferisce il diritto controverso con atti tra vivi, il processo prosegua tra le parti originarie (come dice l’art.111) però le maggiori dispute riguardano il successore a titolo particolare dal lato passivo (es. il terzo che acquista il bene pignorato), c’è una sentenza che dice è abilitato a proporre opposizione e si sostituisce in tutto e per tutto al debitore; altra 2013 dice che il terzo non può succedere al soggetto passivo e non può proporre opposizione all’esecuzione. 62 ESPROPRIAZIONE FORZATA (anche detta esecuzione generica) Libro III, TITOLO II, CAPO I La disciplina dell’espropriazione forzata ha il fine di dara attuazione a un credito pecuniario e va divisa in 4 fasi: 1.PIGNORAMENTO (individuare i beni del creditore) 2. INTERVENTO DEI CREDITORI 3. ASSEGNAZIONE e VENDITA (trasformazione in denaro dei beni medesimi) 4. DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO (ripartizione del ricavato tra più creditori) Disciplina integrata poi da quella specifica a seconda del tipo di bene del debitore che essa aggredisce 1. ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO DEBITORE – Beni mobili (individuazione ad opera dell’uff.giudiziario) 2. ESPROPIAZIONE MOBILIARE PRESSO TERZI – Solitamente investe un credito (individuazione ad opera creditore) 3. ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE (individuazione ad opera del creditore) 4. ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI 5. ESPROPRIAZIONE CONTRO TERZO PROPRIETARIO L’art.484 parla di giudice dell’esecuzione: il giudice competente per l’espropriazione forzata è il Tribunale. Competenza quella del luogo dove si trovano beni mobili/immobili; si guarda anche alla residenza, domicilio, dimora del debitore (in caso di espropriazione di crediti per debitore diverso da PA); luogo di residenza, domicilio, dimora, del terzo debitore (per espropriazione di crediti diretta verso PA). La nomina del giudice dell’esecuzione viene fatta dal Presidente del Tribunale, su presentazione del fascicolo d’ufficio a cura del cancelliere entro 2gg dalla sua formazione. I poteri del giudice dell’esecuzione sono gli stessi di quello istruttore nel giudizio di cognizione ma nell’espropriazione forzata, il giudice rimane sempre un po’ sullo sfondo intervenendo solo in alcune fasi: 174 -> tendenziale immutabilità del giudice istruttore 175 -> ampi poteri di direzione del procedimento 487 -> provvede con ordinanza (come giudice istruttore) modificabile e revocabile finchè non ha avuto esecuzione Altra peculiarità riguarda il fatto che il processo di cognizione si snoda tra un’udienza e l’altra, mentre il processo di esecuzione no, è il giudice che se ritiene necessario o la legge lo richiede, fissa un’udienza per l’audizione delle parti: il processo esecutivo è generalmente inteso come struttura unilaterale con diseguaglianza tra creditore/debitore, sicché in esso non troverebbe spazio un vero e proprio contraddittorio. Però tale interpretazione è contraria all’art.111 co.2 Cost. che sancisce l’essenzialità del principio del contraddittorio. Notificazioni e comunicazioni devono essere eseguite tanto per il creditore, quanto per il debitore alla residenza/domicilio eletti o presso cancelleria del giudice stesso. Anche qui vi è iscrizione della causa a ruolo con formazione fascicolo d’ufficio da parte del creditore procedente ed esclusivamente con modalità telematiche. È prevista una pubblicazione di un avviso in apposita area del portale del Min. della Giustizia “portale vendite pubbliche”: l’omissione di tale pubblicazione comporta estinzione processo esecutivo se imputabile a creditore pignorante. FASE 1: Il pignoramento È l’atto dell’ufficiale giudiziario con cui inizia qualunque procedimento di espropriazione forzata (che è una forma di esecuzione che serve a realizzare coattivamente il diritto avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro). 65 Nel 2015, il legislatore ha introdotto un’altra disposizione: l’art. 2929 bis c.c. il quale prevede che quando il creditore venga pregiudicato da un atto a titolo gratuito del debitore che sia successivo al sorgere del credito e abbia alienato beni immobili/mobili registrati, oppure abbia costituito su di essi un vincolo di indisponibilità o dei diritti reali limitati, l’azione esecutiva prescinde dal previo accoglimento dell’azione revocatoria (o pauliana) purchè il pignoramento venga trascritto entro un anno dalla trascrizione dell’atto a titolo gratuito. Se il debitore ha ceduto, alienato un immobile o mobile iscritto a titolo gratuito, in epoca successiva al sorgere del credito per il quale si fa espropriazione, il creditore può pignorare direttamente questo bene (in danno del terzo acquirente), anche senza aver preventivamente ottenuto una sentenza che dichiari l’inefficacia di questa alienazione in accoglimento di un’azione revocatoria. Normalmente, prima che intervenisse questo 2929 bis, anche se la donazione fosse intervenuta un giorno prima del pignoramento, il creditore non avrebbe più potuto pignorare il bene, ma avrebbe dovuto prima esercitare vittoriosamente l’azione revocatoria, e dopo la sentenza dichiarativa dell’inefficacia della donazione, avrebbe potuto aggredire il bene. Oggi, invece, è possibile, se il pignoramento viene trascritto entro un anno dalla trascrizione dell’atto a titolo gratuito, che il creditore possa pignorare direttamente il bene in danno del terzo, del donatario. È come se questi atti compiuti a titolo gratuito entro l’anno anteriore alla trascrizione del pignoramento si presumessero inefficaci. Il debitore e il terzo assoggettato ad espropriazione e chiunque fosse interessato alla conservazione del vincolo possono contestare con l’opposizione all’esecuzione non soltanto i presupposti applicativi dell’art.2929bis ma anche quelli del 2901 (azione revocatoria) e cioè: eventus damni -> contestare che l’atto abbia effettivamente arrecato pregiudizio al creditore scientia damni -> contestare la consapevolezza del pregiudizio da parte del debitore. Conversione del pignoramento. Per liberare BENI/CREDITI già pignorati, si può pagare nelle mani dell’ufficiale giudiziario una somma di denaro + spese e interessi (determinata con ordinanza del giudice dell’esecuzione, sentite le parti in udienza) ex art.495. La relativa richiesta non può essere fatta più di una volta, dev’esser fatta prima che sia disposta vendita/assegnazione dei beni e dev’essere accompagnata (quale garanzia di serietà) dal deposito in cancelleria di una somma pari ad almeno 1/6 del totale dei predetti crediti. Il pagamento può essere rateizzato in 48 mesi e la liberazione si avrà solamente quando verrà soddisfatto il pagamento dell’ultima rata. Se vi è un’inadempienza, omissione, ritardo di oltre 30gg di pagare anche 1 sola delle rate, il giudice su richiesta, dispone vendita cose pignorate. FASE 2: Intervento dei creditori: il pignoramento non crea nessuno specifico diritto di prelazione per il creditore procedente e quindi se il creditore che ha avviato l’espropriazione fosse chirografario (non avesse diritti di prelazione), subisce il concorso di tutti gli altri creditori. Se poi all’esecuzione partecipano dei creditori privilegiati, rischia pur avendo lui avviato il processo esecutivo, di non prendere nulla. Fino alla riforma del 2005-2006, il sistema tendeva ad assicurare la par condicio creditorum al massimo livello: assicurare che all’interno del processo potessero partecipare tutti i creditori ed essere soddisfatti secondo i loro diritti di prelazioni. Al processo di espropriazione forzata, poteva intervenire qualunque creditore, anche i creditori che non fossero muniti di un titolo esecutivo. Il che certamente consentiva di dare ampia attuazione al principio della par condicio, ma aveva anche degli svantaggi, perché molto spesso sorgevano contestazioni sul credito vantato dal creditore al momento dell’intervento: se risulta da un titolo esecutivo, nulla quaestio; mentre se non deriva da titolo esecutivo, veniva contestata la certezza del credito. Sorgevano controversie soprattutto da debitore e creditore intervenuto, ma anche tra diversi creditori (es. possono avere interesse a contestare il diritto di un altro creditore, se il ricavato non è sufficiente per soddisfare tutti o se si tratta di un creditore che vanta una causa di prelazione, ecc.). Per limitare queste possibili controversie AD OGGI la legittimazione all’intervento è riservata: 66 - ai creditori muniti di titolo esecutivo, ai creditori titolari di un diritto di pegno o di prelazione risultante da pubblici registri (es. creditore ipotecario). Questi soggetti hanno anche il diritto di essere avvertiti dell’espropriazione: il creditore pignorante deve notificare entro 5 gg dal pignoramento – termine ordinatorio - un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito, del titolo e delle cose pignorate, perché se non partecipano al processo di espropriazione e quindi non vengono soddisfatti e magari il bene viene estinto, si estingue il loro diritto di prelazione, non opponibile all’acquirente del bene; devono essere informati perché possano trovare soddisfazione all’interno dell’espropriazione forzata. In mancanza della prova della notificazione, il giudice non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita. - ai creditori che anteriormente al pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati - ai creditori che siano titolari di un credito risultante dalle scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 2214 c.c. quelle dell’impresa (in dottrina è stato sollevato qualche dubbio sulla legittimità costituzionale, perché privilegiare l’imprenditore rispetto agli altri creditori? Perché solo questo può utilizzare le scritture contabili per la prova del creditore). Le prerogative processuali dei creditori si distinguono a seconda che siano: creditori titolati à posseggano un titolo esecutivo: il credito si considera già certo e il creditore ha poteri di impulso nel procedimento creditori non titolati à sono coloro che non posseggono un titolo esecutivo: gli è preclusa la possibilità di compiere atti di impulso e si rende necessario una sorta di “interpello del debitore”, diretto a provocare il riconoscimento del credito stesso: • Se viene riconosciuto allora è ammesso a partecipare alla distribuzione del ricavato • Se non viene riconosciuto, l’interveniente ha diritto all’accantonamento delle somme in un piano di riparto, sempreché ne faccia istanza e dimostri di aver dato inizio, entro 30gg, all’azione occorrente per munirsi di titolo esecutivo. Posto che c’è comunque un tempo oltre il quale non è ammesso più l’intervento di nessun creditore, ogni disciplina di espropriazione prevede che si consideri tardivo l’intervento avvenuto DOPO una certa fase del procedimento. Se si tratta di creditori chirografari, questi devono intervenire tempestivamente perché se intervengono tardivamente, verranno soddisfatti per ultimi: potranno essere soddisfatti solo dell’eventuale somma residua dopo aver soddisfatto integralmente tutti i creditori muniti di prelazione, il creditore procedente, tutti i creditori intervenuti tempestivamente. I creditori privilegiati, non subiscono alcun concreto pregiudizio dalla tardività dell’intervento e conservano integro il diritto in sede di distribuzione. Sostituzione esecutiva ex art. 511. xxx Prevede che i creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione possano chiedere di essere a lui sostituiti proponendo intervento. Questa norma è molto lacunosa, perché non chiarisce se questo subintervento sia soggetto alle stesse condizioni previste per l’intervento: non è chiaro se per es. occorra il titolo esecutivo; se debbano anche per questi creditori sussistere le condizioni previste poc’anzi. È una questione tutt’ora aperta, anche se l’unica sentenza fino ad adesso che si è occupata di questo tema ha negato che occorrano quelle condizioni: quindi la sostituzione può essere chiesta da qualunque creditore, anche in mancanza delle condizioni di cui all’art. 499. DISCIPLINA PROCESSUALE DELL’INTERVENTO 67 Circa la disciplina processuale dell’intervento ex art. 499, per quanto riguarda le modalità di intervento: i creditori devono proporre intervento con ricorso e deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta vendita o assegnazione e deve contenere l’indicazione del credito, il relativo titolo, domanda a partecipare alla distribuzione, dichiarazione di residenza/domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Necessità dell’interpello del debitore quando il creditore non è titolato: il creditore non assistito da titolo esecutivo deve notificare al debitore, entro i 10 gg successivi al deposito del ricorso di intervento, una copia del ricorso ed eventualmente anche le scritture contabili. La notifica al debitore serve per informare il debitore dei crediti non risultanti da titolo esecutivo. Il giudice, nella stessa ordinanza in cui fissa vendita/assegnazione dei beni pignorati, deve fissare udienza di comparizione del debitore e creditori senza titolo esecutivo, da tenersi non oltre 60gg dalla data del provvedimento. Il debitore deve dichiarare quale dei crediti egli intenda riconoscere, ecc. solo ai fini del processo esecutivo ovviamente; i creditori riconosciuti possono partecipare alla distribuzione; invece, i creditori disconosciuti hanno diritto all’accantonamento delle somme (sempreché ne facciano istanza e dimostrino di aver proposto nei 30 gg successivi l’azione necessaria per munirsi di titolo esecutivo. In realtà, questo accantonamento può durare un massimo di 3 anni). Nel co. 4 vi è la possibilità, nel caso intervengano tempestivamente dei creditori chirografari, che il creditore pignorante indichi loro l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere il pignoramento su di essi (se titolati) oppure anticipare a lui le spese occorrenti per l’estensione del pignoramento (cioè nel caso ad es. che il pignoramento sia stato eseguito su istanza di un creditore chirografario che vede intervenire altri creditori semplici col rischio che il ricavato non sia più sufficiente a soddisfare tutti, può indicare l’esistenza di altri beni e dire questi di andare a pignorarli autonomamente – se creditori titolati – oppure chiedergli di anticipargli le spese per andare lui ad estendere il pignoramento). Se l’invito non viene rispettato senza giusto motivo entro 30gg, il creditore pignorante viene preferito a questi altri creditori nella distribuzione del ricavato. FASE 3: Vendita e assegnazione. Il pignoramento perde efficacia se entro 45 gg non è stata chiesta l’assegnazione e la vendita. Occorre questo atto di impulso (quello di vendita e assegnazione), che deve intervenire 10gg<x<45gg dal pignoramento (quindi non prima di 10 gg e non dopo 45 gg), per dare modo al debitore che ha subito il pignoramento di proporre eventuali opposizioni. Questa norma non distingue, ma secondo l’opinione prevalente, questa norma non dovrebbe applicarsi al pignoramento dei crediti, ma solo beni mobili e immobili. La vendita forzata può avvenire: - all’incanto à si realizza in un arco di tempo concentrato, in un determinato giorno fissato nel provvedimento che dispone la vendita. Si attua una gara (asta) in cui partendo da un prezzo-base prefissato, tutti i soggetti legittimati possono partecipare attraverso offerte al rialzo successive, che devono intervenire in un determinato lasso di tempo. La gara ha termine quando, trascorso questo termine, non ci siano ulteriori offerte in rialzo. La gara si conclude con l’aggiudicazione del bene a chi aveva fatto l’offerta più alta. - senza incanto à si ha in un lasso di tempo più esteso: entro un periodo prefissato, tutti i soggetti interessati possono fare delle offerte segrete che non devono essere inferiori al prezzo-base, dopodiché trascorso questo periodo, vengono aperte le buste e se c’è un’unica offerta valida, il bene sarà aggiudicato a chi fa questa offerta; se c’è una pluralità, si attua contestualmente una gara limitata soltanto ai soggetti che avevano fatto queste offerte valide: si ha una sorta di asta esclusivamente tra questi soggetti, con possibili offerte al rialzo e in quel caso il bene viene aggiudicato a chi ha fatto l’offerta più elevata. Il legislatore IN PASSATO aveva sempre considerato più garantistica la vendita all’incanto, quindi fino alla riforma 2006 quella con incanto era ordinaria, mentre quella senza incanto in alcune situazioni. OGGI, la regola è rappresentata dalla vendita senza incanto, che sembra funzionare meglio mentre la vendita con incanto può essere disposta solo quando il giudice ritenga probabile che la vendita con tale modalità possa fruttare un prezzo superiore alla metà del valore di stima del bene. Siccome è improbabile questa circostanza, è diventata eccezionale. 70 faceva stato sull’esistenza o inesistenza del credito. Oggi una parte della dottrina ritiene che la decisione di queste controversie abbia un’efficacia endoprocessuale, valendo (per questa tesi) esclusivamente ai fini del processo esecutivo in corso, senza dar luogo ad accertamento circa sussistenza o meno del credito. Immaginiamo che sia stato contestato un credito. Poi il provvedimento del giudice di esecuzione accerta il credito. Però poi, dato che il ricavato non è idoneo a soddisfare tutti, il creditore non è soddisfatto a pieno. Se il provvedimento facesse stato a tutti gli effetti, potrebbe iniziare un nuovo procedimento esecutivo. Ma se invece non è così, un domani la questione rimane impregiudicata (finché non divenga oggetto di un giudizio di cognizione). PROBLEMA 2: Un ulteriore problema è quello della stabilità della distribuzione del ricavato. Una volta che sia avviata la distribuzione, può essere di nuovo messa in discussione, successivamente, al di fuori del processo esecutivo o devono considerarsi irreversibili? Si ritiene che nei rapporti tra vari creditori, la distribuzione crea dei rapporti non più modificabili. Più dubbia è la soluzione nei rapporti tra debitore e vari creditori: alcuni pensano che il debitore possa anche rimettere in discussione con azione ripetizione indebito. L’espropriazione mobiliare (presso il debitore) Nell’espropriazione mobiliare il problema pratico è quello della ricerca dei beni da pignorare. Stiamo parlando di beni mobili, quindi di più difficile ricerca. L’art. 513 attribuisce all’ufficiale giudiziario dei poteri di natura coercitiva, per finalizzarli alla ricerca di beni mobili. “L’ufficiale giudiziario munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti, anche sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro. Se è necessario aprire porte, ripostigli, recipienti, vincere la resistenza opposta dal debitore o dai terzi, o allontanare persone che disturbano l’esecuzione del pignoramento, l’ufficiale giudiziario provvede secondo le circostanze, richiedendo l’assistenza della forza pubblica.” Si noti che su autorizzazione del presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, l’ufficiale giudiziario a pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore ma delle quali egli può direttamente disporre (es. autovettura nel garage di un terzo è ok se c’è autorizzazione presidente). Se manca il potere di disposizione diretta da parte del debitore, è necessario ricorrere alle diverse e più complesse forme dell’espropriazione presso terzi. L’individuazione delle cose da assoggettare ad espropriazione incontra alcune limitazioni, per salvaguardare dignità e decoro del debitore, nonché la sopravvivenza del suo nucleo familiare. Sono le ipotesi di impignorabilità assoluta o relativa. • Beni assolutamente impignorabili (imp. Assoluta) ex art.514: riguarda una serie di beni mobili che vengono sottratti all’espropriazione per il regime della loro peculiare destinazione, perché sono ritenuti indispensabili alle esigenze basilari del debitore e della sua famiglia (cose sacre e che servono all’esercizio del culto, anello nuziale, biancheria, tavoli per la consumazione dei pasti, stufe, cibo e combustibili necessari alla sopravvivenza per un mese, animali d’affezione). • Beni relativamente impignorabili (imp. relativa) ex art.515-516: riguarda quei beni che possono essere pignorati ma solo in determinate circostanze ed entro certi limiti (es. strumenti della professione fino a 1/5 del loro valore se il valore degli altri beni non appare sufficiente L’art. 517 dice poi che nella scelta delle cose da pignorare l’ufficiale giudiziario deve preferire denaro contante, oggetti prezionsi, titoli di credito e quelle di pronta liquidazione (quindi facilmente vendibili) nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all’importo del credito precettato aumentato della metà. Quindi deve fermarsi quando ha pignorato beni per il valore di una volta e mezzo del credito. (ma tanto il creditore non li farà mai trovare). MODALITA DI PIGNORAMENTO Il procedimento inizia con una richiesta verbale mostrando titolo esecutivo + precetto. Il creditore può voler partecipare al pignoramento e allora l’uff.g. deve comunicargli con certo preavviso data e ora cosicché possa parteciparvi. 71 Il pignoramento può essere eseguito solo nei giorni feriali dalle 7 alle 21, viene attuato in forma orale e viene redatto processo verbale con allegazioni fotografiche o mezzi di ripresa audiovisiva e viene iscritto il presumibile valore di realizzo con l’assistenza di un esperto stimatore. Nel processo verbale l’ufficiale giudiziario fa relazione delle disposizioni date per conservare le cose pignorate. Il creditore ovviamente potrà successivamente contestare il valore attribuito alle cose pignorate, per ottenere che il pignoramento venga esteso ad altri beni: può, entro il termine previsto per istanza di vendita, rivolgere istanza al giudice dell’esecuzione che nomina un esperto estimatore e ove opportuno integra il pignoramento. Qualora il debitore sia assente al pignoramento, l’ingiunzione ex art.492 (cioè l’ordine dell’ufficiale giudiziario rivolto al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni colpiti dal pignoramento) viene rivolta alle persone ex art.139 (persona di famiglia, addetta alla casa purché non minore di anni 14) assieme ad un avviso di ingiunzione destinato al debitore. Se mancano tali persone l’avviso di ingiunzione è affisso alla porta dell’immobile a cui è stato eseguito il pignoramento. Concluse queste operazioni, l’uff.g. consegna il verbale di pignoramento (corredato da precetto e titolo esecutivo) al creditore che entro 15gg deve depositare in cancelleria la nota d’iscrizione al ruolo con copie conformi di titolo esecutivo e precetto assieme al verbale. Il pignoramento perde efficacia se la nota di iscrizione a ruolo e la copia degli atti sono depositate oltre 15 giorni dalla consegna al creditore. Questo deposito in realtà può avvenire adesso solo per via telematica. Il creditore deve trarre delle copie, che attesta conformi all’originale, e poi le deve trasmettere. Se l’espropriazione riguarda un bene mobile registrato dovrà procedersi anche alle trascrizioni affinché si producano gli effetti di inefficacia delle dichiarazioni del bene pignorato. Il pignoramento di diritti patrimoniali di proprietà intellettuale si esegue con atto notificato al debitore e trascritto entro 8gg; per pignoramento quote di srl si compie con notificazione a debitore e società con iscrizione RI. CUSTODIA BENI PIGNORATI Denaro, titoli di credito, oggetti preziosi, devono essere consegnati al cancelliere affinché sia lui a provvedere al deposito/custodia dei beni. Per altri beni non è detto che debbano essere immediatamente sottratte al debitore MA su richiesta del creditore, può esserci deposito/custodia. Secondo il 521, non possono essere nominati custode: creditore e suo coniuge senza il consenso del debitore, il debitore o le persone della sua famiglia che convivono con lui senza il consenso del creditore: in ogni caso il custode non può usare le cose pignorate ed è obbligato a render conto della propria gestione. La nomina del custode va dal pignoramento fino all’istanza di vendita. L’istituto di vendita poi provvede a trasferirsi i beni presso di sé. L’art.521-bis introdotto con una riforma del 2014 è un articolo innovativo perché autoveicoli, motoveicoli, rimorchi PRIMA potevano essere pignorati nella stessa forma degli altri beni mobili e in concreto, questo rendeva (e rende tutt’oggi) problematico il pignoramento dell’autoveicolo, perché occorre trovarlo, trovare il debitore per farsi consegnare chiavi e documenti di circolazione. OGGI abbiamo una disposizione ad hoc. Il pignoramento di autoveicoli, motoveicoli, rimorchi, può avvenire o con le forme dell’art.518 (quelle ordinarie dell’espropriazione mobiliare) oppure mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale si indicano i beni e diritti che si intendono sottoporre ad esecuzione, e gli si fa l’ingiunzione prevista nell’art. 492. Il pignoramento contiene altresì l’intimidazione a consegnare entro 10 giorni i beni pignorati, nonché i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso dei medesimi, all’istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario nel quale è compreso il luogo in cui il debitore ha residenza, domicilio, dimora, sede. Se entro i 10gg anzidetti, non si provvede a consegnare i beni all’istituto di vendite giudiziarie autorizzato, SE gli organi di polizia accertano la circolazione di beni pignorati. procedono al ritiro della carta di circolazione e dei titoli e dei documenti sulla proprietà e all’uso dei beni pignorati, e consegno il bene all’istituto vendite giudiziarie più vicino al luogo in cui il bene pignorato è stato rinvenuto. Il creditore verrà avvisato via PEC e alla fine deve entro 30gg depositare in cancelleria la nota d’iscrizione al ruolo, con copie del titolo esecutivo, precetto, atto pignoramento e nota trascrizione. 72 INTERVENTO CREDITORI e ASSEGNAZIONE/VENDITA BENI Questi devono intervenire entro la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o assegnazione (se però il bene è di valore <20000 entro la data di presentazione del ricorso): dopo tale momento si considera l’intervento tardivo e il credito dell’interveniente chirografario verrà posposto a quello degli altri creditori, potendosi soddisfare solo sull’eventuale somma residua. L’istanza di assegnazione/vendita non può proporsi se non siano decorsi 10gg dal pignoramento (deve intervenire 10gg<x<45gg dal pignoramento), dopodiché su richiesta del creditore pignorante o chi ha titolo esecutivo (che hanno impulso), il giudice fissa udienza per audizione delle parti (da qui è diverso), al fine di decidere assegnazione/vendita beni pignorati. Tale udienza, in cui le parti possono fare osservazioni circa l'assegnazione nonché circa il tempo e le modalità della vendita, costituisce anche l'ultima occasione per le opposizioni agli atti esecutivi nei confronti degli atti anteriori all'udienza stessa: se non vi sono opposizioni il giudice dell'esecuzione dispone senz'altro, con ordinanza, l'assegnazione o la vendita; altrimenti, prima di provvedere in tal senso, deve decidere sulle opposizioni con sentenza. In caso di piccola espropriazione, il giudice provvede direttamente con decreto, senza fissare l'udienza, allorché fino alla presentazione dell'istanza di vendita o di assegnazione non siano intervenuti altri creditori; oppure, in caso contrario, provvede con ordinanza, secondo le modalità indicate poc’anzi, dopo l'audizione dei soli creditori intervenuti tempestivamente. In merito alle modalità di vendita, la regola è rappresentata dalla vendita senza incanto: il giudice fissa il prezzo minimo, l'importo a cui la vendita si arresta, il numero complessivo degli esperimenti di vendita, le modalità di deposito della somma ricavata dalla vendita ed il termine finale, non superiore a 6 mesi, alla cui scadenza il soggetto incaricato della vendita, in caso di insuccesso, deve restituire gli atti in cancelleria. Generalmente lo svolgimento della gara tra gli offerenti e il pagamento del prezzo vengono effettuati con modalità telematiche. I beni pignorati sono quindi affidati all'istituto vendite giudiziarie oppure, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario. Se poi la vendita non avviene entro il termine fissato, il soggetto è tenuto a restituire gli atti in cancelleria e il giudice dispone senz'altro la chiusura anticipata del processo esecutivo. Nel caso di vendita all'incanto (consentita solo quando appare probabile che tale modalità possa fruttare un prezzo superiore di almeno ½ rispetto al valore di stima del bene) il giudice deve fissare il prezzo di apertura dell'incanto e stabilire altresì luogo, giorno ed ora in cui la vendita deve avvenire, affidandone l'esecuzione al o ad un istituto all'uopo autorizzato; se la cosa resta invenduta, il soggetto incaricato della vendita fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di 1/5 rispetto a quello precedente. Se sono beni mobili registrati, è previsto che il giudice, nel disporre la vendita, ne deleghi sempre le relative operazioni ad un istituto a ciò autorizzato. L'art.530 prevede che la vendita sia sempre resa pubblica nelle forme prescritte dall'art.490, ossia mediante avviso inserito nello specifico portale del MinGiustizia almeno 10gg prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (vendita senza incanto) oppure della data dell'incanto; inoltre, quando si tratti di espropriazione di beni mobili registrati di valore superiore ai 25.000 euro, mediante inserimento del medesimo avviso, in appositi siti internet almeno 45gg prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto: l'art.534 fa inoltre salva la possibilità che il giudice, nell'autorizzare la vendita, disponga forme di pubblicità straordinaria. In merito alla distribuzione del ricavato, i creditori possono concordare un piano di riparto, che il giudice, dopo aver sentito il debitore, può senz'altro recepire nel proprio provvedimento: qualora il giudice non approva il piano concordato tra i creditori, ciascuno di questi può chiedere che sia il giudice stesso a provvedere alla distribuzione, tenendo conto delle rispettive cause di prelazione. Allorché le cose pignorate risultino invendute dopo il secondo o successivo incanto, oppure quando la somma assegnata non sia sufficiente, il giudice, ad istanza di uno dei creditori stessi, ordina senz'altro l'integrazione del pignoramento attraverso la ricerca di ulteriori beni da parte dell'ufficiale giudiziario: - ricerca positiva: il giudice dispone la vendita delle nuove cose pignorate; - ricerca negativa: dichiara d'ufficio l'estinzione del procedimento 75 7. Invito al terzo a comunicare entro 10gg a mezzo PEC la propria dichiarazione circa l’effettiva esistenza di cose/crediti pignorati + avvertimento che in caso di mancata comunicazione, la stessa dovrà esser resa dal terzo comparendo in udienza e che se il terzo non compare o non rende dichiarazione, i beni/crediti si danno per non contestati. 8. Sottoscrizione creditore procedente. Dopo la notificazione, l’ufficiale giudiziario deve consegnare l’originale dell’atto al creditore che deve iscrivere causa a ruolo entro 30gg dalla consegna depositando titolo esecutivo + precetto + atto di pignoramento. -------------- ------------- --------------- ----------- In questa espropriazione mobiliare presso terzi, a differenza delle altre forme di espropriazione, l’esistenza del bene oggetto del pignoramento o del credito, si fonda esclusivamente sull’affermazione del creditore istante, sicché è necessario che, prima di procedere alla vendita/assegnazione dei beni, si verifichi se il terzo è realmente in possesso di una determinata cosa mobile di proprietà del debitore o se il terzo è realmente debitore di quest’ultimo. Vediamo le modalità dell’accertamento del credito o del bene. Ci sono tre possibili strade: 1. Dichiarazione esplicita del terzo circa l’esistenza e l’ammontare del credito pignorato o circa la detenzione del bene mobile menzionato. È l’ipotesi più semplice. - Se questa dichiarazione (positiva) non viene contestata, si potrà arrivare subito all’assegnazione o alla vendita del bene o delle somme. - Se questa dichiarazione è contestata, intanto che si accerti l’esistenza del bene/credito, si procede all’espropriazione 2. Inerzia del terzo: il terzo omette di fare questa dichiarazione, in udienza il creditore dichiara di non averla ricevuta. Il giudice con ordinanza fissa un’udienza successiva: questa ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima. Se il terzo non compare o compare ma rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, si considera non contestato ai fini del procedimento. Quindi in caso di inerzia prolungata del terzo, si ha una sorta di non contestazione da parte del terzo, che si considera sufficiente per accertare l’esistenza del credito o dei beni appartenenti al debitore e in possesso del terzo A CONDIZIONE CHE l’allegazione del creditore nell’atto di pignoramento consenta l’identificazione del credito o dei beni d’appartenenza del debitore in possesso del terzo. Se però è un’indicazione meramente generica, in questo caso non si può accertare l’esistenza di questi crediti, perché non sono stati determinati dallo stesso creditore. Questa disciplina infatti spesso non si può applicare. Ad oggi il creditore procedente probabilmente per prudenza dovrebbe in qualche modo quantificare il credito che lui attribuisce al debitore esecutato nei confronti del terzo: anche se poi dovesse buttarsi al buio non ci sono conseguenze sfavorevoli: se nessuno contesta e il terzo rimane inerte, si potrà applicare questa disciplina; se invece ci sono delle contestazioni si va nella terza ipotesi – decisione del giudice. Entro 20gg dalla pronuncia dell’ordinanza in udienza, il terzo può fare opposizione agli atti esecutivi se prova di non aver avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. 3. Decisione del giudice: il 549 dice che “se sulla dichiarazione del terzo sorgano contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini dell’art. 617 (opposizione agli atti esecutivi). Quindi sarà lo stesso creditore procedente a chiedere questo accertamento: si apre una parentesi di cognizione, ma l’ordinanza non produce giudicato, ma vale solo ai fini dell’esecuzione. Questa ordinanza è impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, che è un giudizio a cognizione piena che si conclude con sentenza ma che non è appellabile ma solamente ricorribile in cassazione. Sia l’ordinanza che l’eventuale sentenza dell’opposizione agli atti, NON valgono al di fuori del 76 processo esecutivo, secondo l’opinione più ragionevole. Se il giudice dovesse negare questo credito, ciò non impedirebbe in un giudizio autonomo al creditore di agire nei confronti del terzo. Vediamo l’intervento dei creditori: stessa disciplina dell’espropriazione mobiliare presso il debitore: si considererà tempestivo l’intervento entro la prima udienza di comparizione delle parti e cioè quella indicata nell’atto di pignoramento destinata alla dichiarazione del terzo. Vediamo l’assegnazione o la vendita. Il 553 dice che è necessario distinguere tra: - Credito esigibile immediatamente o entro 90gg: Il giudice la assegna in pagamento ai creditori concorrenti, tenendo conto delle rispettive cause di prelazione. L’assegnazione del credito di pagamento avverrà pro solvendo cioè il diritto del creditore nei confronti dell’originario debitore si estinguerà solo nel momento in cui vi sia l’effettivo pagamento di quanto dovuto dal terzo e in caso di mancata riscossione, l’assegnatario potrà produrre nuova procedura esecutiva. - Credito esigibile in un termine superiore a 90gg: l’assegnazione è subordinata a richiesta concorde dei creditori. SE manca l’accordo è necessario vendere il credito con vendita forzata di cose mobili. Quindi si applicano le regole della vendita dei mobili e il valore di mercato risentirà da un lato del termine, dall’altro dalla concreta solvibilità del terzo pignorato: tanto maggiore è la solvibilità, maggiore sarà il realizzo di questo credito. PROBLEMA: L’ordinanza di assegnazione ha l’efficacia di titolo esecutivo contro il terzo, anche ignaro dell’assegnazione. Si è posto un problema: qui il terzo potrebbe essere chiamato ad adempiere nel momento stesso in cui viene a conoscenza dell’assegnazione. Quindi il giudice assegna il credito a uno dei creditori e il creditore notifica al terzo l’ordinanza di assegnazione (titolo esecutivo) e anche l’atto di precetto con cui gli intima di adempiere. Questo però fa sì che il terzo debba pagare le spese dell’atto di precetto anche se in realtà non ha alcuna responsabilità del ritardo, perché il terzo non poteva certamente pagare nei confronti del creditore prima. Non sembra equo che poi debba sopportare anche le spese dell’atto di precetto visto che egli sarebbe sicuramente disposto a pagare se sapesse prima a chi. La giurisprudenza è intervenuta, con una Cass. 2016 (orientamento consolidato): l’ordinanza di assegnazione è titolo esecutivo, ma acquista questa efficacia solo dal momento in cui è portata a conoscenza del terzo. L’espropriazione immobiliare (individuazione ad opera del creditore): L’espropriazione immobiliare Fino all’inizio degli anni 2000, funzionava molto male e durava tempi lunghissimi, fornendo poi risultati molto modesti per una serie di ragioni in parte normative, in parte pratiche, perché il legislatore non aveva pensato a una serie di problemi pratici rilevanti nell’espropriazione immobiliare come ad es. al fatto che spesso l’acquirente deve ricorrere ad un mutuo bancario, che allunga i tempi e che quindi spesso l’interessato che magari ha partecipato all’espropriazione aggiudicandosi il bene, poi si vede negare il mutuo. Oggi, con alcuni uffici giudiziari che hanno fatto da apripista, ci sono tutta una serie di convenzioni fra uffici giudiziari ed alcuni istituti di credito, per rendere molto più semplice, se non automatica, la concessione di un mutuo. Per esempio gli istituti di credito rinunciano a fare una loro perizia sul valore dell’immobile, prendendo per buona quella del perito del tribunale. Ancora un’altra cosa: l’interessato vorrà vedere l’immobile ed in passato questo era problematico, ma oggi è stato risolto. Il legislatore nel 2005/2006 ha modificato una serie di aspetti ispirandosi ad alcune di queste prassi virtuose di alcuni uffici giudiziari, che avevano operato praeter legem. Secondo l’art.555, il pignoramento immobiliare si esegue per iscritto mediante notificazione al debitore + trascrizione di un atto nei registri immobiliari sottoscritto dal creditore pignorante contenente indicazione immobile assoggettati ad espropriazione con estremi catastali (richiesti dal codice civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato) + ingiunzione prevista ex.art.492 (ma questa dev’essere fatta dell’uff.g. di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni colpiti da pignoramento). --- Un punto discusso riguarda il rapporto tra notificazione e trascrizione del pignoramento. Quando si producono gli effetti del pignoramento? Dal momento di notificazione o dal momento di trascrizione nei registri immobiliari? SENTENZA 1: La trascrizione presso i registri immobiliari è fondamentale avendo fx costitutiva e non dichiarativa e la notificazione non sarebbe idonea a produrre alcun effetto, nemmeno l’obbligo di custodia. (cass.2009) 77 SENTENZA 2: Il pignoramento è strutturato come fattispecie a formazione progressiva. La notificazione segna l’inizio del processo esecutivo e produce l’effetto dell’indisponibilità del bene pignorato, la trascrizione completa il pignoramento, e cioè produce effetti sostanziali nei confronti di terzi e pubblicità notizia nei confronti dei creditori concorrenti. È presupposto essenziale affinché il giudice dia seguito all’istanza di vendita del bene (cass.2015). Per il professore questa soluzione è la migliore, perché già dalla notificazione c’è l’effetto di rendere indisponibile il bene da parte del debitore. --- Dopo la notificazione del pignoramento, l’uff.g. deve consegnare al debitore l’originale dell’atto di pignoramento + nota di trascrizione dei registri immobiliari, affinchè il creditore nei successivi 15gg provveda a depositare in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo assieme a copie conformi di titolo esecutivo, precetto, pignoramento, nota di trascrizione. Anche in questi casi, l’omesso e tardivo deposito dei predetti documenti da parte del creditore fa venir meno l’efficacia del pignoramento. Il creditore può pignorare oltre che l’immobile anche i beni mobili che lo arrendano, però l’uff.g. dovrà formare atti separati per l’immobile e per i beni mobili. L’intervento dei creditori, si considererà tempestivo se avviene entro la prima udienza per l’autorizzazione alla vendita e il termine massimo per la comparizione tardiva è quella dell’udienza di comparizione fissata per la discussione del progetto di distribuzione. La custodia dei beni immobili è affidata allo stesso debitore MA può nominarsi persona diversa à successivamente sarà nominato custode l’istituto autorizzato per la vendita perché ovviamente è difficile ottenere la collaborazione del debitore esecutato alla vendita dell’immobile e il custode è punto di riferimento per i soggetti interessati all’acquisto dell’immobile. Il debitore e i familiari conviventi conservano il possesso dell’immobile fino alla pronuncia del decreto di trasferimento (IN REALTÀ anche prima qualora ostacolino il diritto di visita dei potenziali acquirenti o l’immobile non sia abitato dal debitore). Il debitore non può dare tra l’altro in locazione l’immobile pignorato senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione ed è tenuto a consentire che esso sia visitato da potenziali acquirenti. L’AUTORIZZAZIONE DELLA VENDITA 1. Istanza di vendita à Posto che l’istanza di vendita ex art.501 non può porsi prima di 10 gg e non oltre 45gg, decorso questo termine, il creditore pignorante e ogni altro creditore con titolo esecutivo, possono chiedere la vendita del bene pignorato. Il creditore deve provvedere entro 60gg dal deposito istanza di vendita (termine prorogabile per g.m. di altri 60gg) a depositare in cancelleria estratto catastale o certificato notarile da cui risultino tutte le variazioni di proprietà del bene immobile avvenute negli ultimi 20 anni (20 anni non è termine a caso ma il termine per l’usucapione dei beni immobili, quindi con questo esame di queste iscrizioni/trascrizioni, si può accertare che il bene appartenga effettivamente al debitore assoggettato ad esecuzione). La vendita forzata è un acquisto a titolo DERIVATIVO e non ORIGINARIO e quindi si presuppone che il debitore fosse proprietario. Se l’adempimento non viene compiuto, si ha inefficacia del pignoramento. 2. Qualora la documentazione fosse prodotta, il passo successivo è rappresentato dalla nomina, da parte del giudice, di un esperto per la valutazione dell’immobile entro 15gg e la fissazione dell’udienza per l’autorizzazione della vendita. 3. Poi c’è la stesura della relazione di stima dell’immobile da parte dell’esperto, che contiene il valore di mercato, la situazione di possesso dell’immobile, valutazioni dello stabile ecc. Questa è trasmessa ai creditori e al debitore almeno 30gg prima dell’udienza tramite PEC o telefax. 4. Dopodiché si arriva all’autorizzazione della vendita, che normalmente è disposta senza incanto (con incanto se il giudice probabile che il prezzo di realizzo sarà superiore almeno la metà rispetto al valore di stima dell’immobile). L’ORDINANZA DI VENDITA deve indicare: - prezzo base dell’immobile - termine 90<x<120gg entro cui si possono proporre offerte. Chiunque, ad eccezione del debitore, può presentare, entro il termine fissato dal giudice delle offerte di acquisto dell’immobile. Le offerte ora si possono svolgere per via 80 L’espropriazione contro terzo proprietario. Siamo in casi in cui l’espropriazione colpisce LEGITTIMAMENTE dei beni appartenenti a soggetto diverso dal creditore esecutato, che subisce l’espropriazione pur senza essere esso stesso titolare passivo dell’obbligazione risultante dal titolo. Vediamo alcune ipotesi particolari, secondo il 602, di espropriazione contro il terzo proprietario (bene mobile): a. Beni la cui alienazione è stata revocata perché compiuta in frode dei creditori: il creditore che è risultato vittorioso dall’azione revocatoria contro il debitore può pignorare i beni nei confronti dell’acquirente assoggettandolo ad espropriazione come se appartenesse al debitore. Ex art.2929-bis, già visto prima, è previsto che laddove si tratti di alienazione di beni immobili o mobili registrati, compiuta a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, l’esecuzione forzata contro l’acquirente possa essere esercitata prescindendo dal previo esperimento della revocatoria a condizione che il pignoramento sia trascritto entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole. b. Beni gravati da pegno o ipoteca a garanzia di un debito altrui (ipotesi più frequente), presuppone che il terzo abbia acquisito un bene gravato dal diritto reale di garanzia, o abbia egli stesso concesso pegno/ipoteca a garanzia di debito altrui. Potrebbe evitare l’espropriazione, rilasciandolo volontariamente o liberandolo dalle ipoteche. c. Beni gravati da vincolo di indisponibilità oppure oggetto di alienazione inefficace ai sensi del 2929-bis c.c.: ad esempio il soggetto al quale il debitore aveva donato un bene immobile con un atto trascritto entro un anno dalla trascrizione del pignoramento, quindi il pignoramento interviene prima che sia compiuto l’anno dalla trascrizione dell’atto di donazione. Il creditore quindi può aggredire direttamente il bene nei confronti dell’acquirente anche senza passare dall’azione revocatoria, perché quell’atto di alienazione si considera inefficace nei suoi confronti. A queste ipotesi si applica una disciplina particolare: • Art. 603: il titolo esecutivo e il precetto sono notificati anche al terzo: nel precetto deve essere menzionato espressamente il bene del terzo che si intende espropriare, perché il terzo risponde esclusivamente con quel bene – cosicchè venga assicurata la partecipazione del terzo. • Art. 604: il pignoramento e gli atti di espropriazione si compiono nei confronti del terzo, a cui si applicano tutte le disposizioni relative al debitore compreso il diritto di partecipare al processo esecutivo, tranne il divieto (dell’art. 579) di rendersi acquirente dei beni pignorati: quindi il terzo qui può partecipare alla gara per aggiudicarsi il bene pignorato. L’espropriazione contro terzo proprietario si ritiene applicabile all’art.189co.2 cioè all’hp in cui il creditore particolare di uno dei due coniugi voglia agire esecutivamente, in via sussidiaria sui beni della comunione legale, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. IL PROBLEMA è che il legislatore non ha detto come si attua questa norma. La Cass. 2013 ha indicato una soluzione che è stata anche criticata: la natura di comunione senza quote comporta che l’espropriazione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, quindi è necessario lo scioglimento della comunione legale limitatamente alla vendita del bene e all’assegnazione. Il coniuge non debitore avrà diritto a percepire la metà della somma che verrà ricavata dalla vendita di questo bene. Questa sentenza non convince neanche il professore. Dall’art.189 c.c. si desume che certamente il creditore può pignorare per intero un bene, ma non è scritto da nessuna parte che metà del ricavato vada all’altro coniuge: l’unico limite è che il valore non ecceda la quota. Se però ci dovesse essere un unico bene immobile è inevitabile che ci debba essere una restituzione della metà della quota. Ma se ci sono più beni immobili, nulla esclude che l’intero ricavato della vendita di quel bene vada al creditore. 81 Una parte della dottrina ritiene che per espropriare i beni della comunione legale si debba usare la disciplina dell’espropriazione dei beni indivisi, per altri invece si applica la disciplina dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Espropriazione di beni indivisi. L’ultima forma particolare di espropriazione riguarda l’espropriazione di beni indivisi. Secondo il 599 possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore. In tal caso si notificano TITOLO ESECUTIVO + PRECETTO solo al debitore, poi del pignoramento è notificato avviso anche ai comproprietari avvisandoli che vige per loro divieto di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice. Tutte le volte che l’espropriazione grava su “beni indivisi”, occorre per un verso procedere alla separazione della quota spettante al debitore (cosa che può portare a un vero e proprio giudizio incidentale di divisione): se è possibile la separazione in natura della quota del debitore, è preferibile questa ipotesi. Ma dato che spesso questo non è possibile, si ricorre alla divisione del bene, avviando un giudizio di divisione, che porterà alla formazione di quote o vendita quota indivisa: il 601 prevede che l’esecuzione rimanga sospesa finché non sia intervenuto sulla divisione un accordo fra le parti o una sentenza. Una volta avvenuta la divisione potrà riprendere il processo esecutivo. ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA PER CONSEGNA (beni mobili)/RILASCIO(beni immobili) L’esecuzione per consegna di bene mobile o rilascio di un bene immobile è una forma di esecuzione semplice. Le difficoltà possono solo essere di carattere materiale, perché il problema potrebbe essere solo quello di trovare il bene, soprattutto se bene mobile. Esecuzione per consegna bene mobile àil tutto si riduce alla ricerca della cosa e “consegna” alla parte. Può accadere che l’uff.g. trovi le cose già pignorate, in tal caso la parte istante dovrebbe far valere il proprio diritto di proprietà, con opposizione di terzo all’esecuzione ex 619. Esecuzione per rilascio bene immobile à realizza coattivamente rilascio immobile con preavvertimento della parte esecutata e accesso uff.g sul psoto. Queste esecuzioni possono avere luogo su base di titolo esecutivo, verbale conciliazione, atto pubblico (vedi pag 56) Art.605 –> il precetto (pag 57-58) che è l’ultimatum al debitore perché adempia sotto minaccia di avviare il procedimento di esecuzione forzata deve contenere oltre agli elementi ex art.480 (intimazione ad adempiere l’obbligo risultante da titolo esecutivo entro almeno 10gg, avvertimento che in mancanza si procederà con es.forzata, indicazione delle parti, data notificazione titolo esecutivo, residenza parte istante, accordo di componimento crisi, sottoscrizione parte) anche la descrizione sommaria dei beni e qualora nel titolo è presente un termine per consegna/rilascio, l’intimazione si farà con riferimento a tale termine. Art.608 -> L’art. 608 riguarda solo l’esecuzione per rilascio di immobile: l’esecuzione inizia con preavvertimento da parte dell’ufficiale giudiziario alla parte tenuta al rilascio almeno 10gg prima, in cui è indicato giorno e ora delle operazioni. In questo tempo l’ufficiale giudiziario munito di precetto, e facendo uso dei poteri di coercizione già visti (es. forzare le serrature, ecc.), immette la parte istante nel possesso dell’immobile, ingiungendo i detentori (magari diversi dal soggetto esecutato) a riconoscere il nuovo proprietario. Ad esempio un rilascio di un immobile oggetto di compravendita, che era stato dato in locazione a un terzo, contratto opponibile anche all’acquirente. In questo caso quindi l’esecuzione per rilascio è compatibile con la conservazione della detenzione da parte del terzo, al quale però ingiunge di riconoscere come proprietario e possessore il creditore. Spesso le operazioni occorrenti per portare a termine l’esecuzione non possono essere concluse in 1gg, l’ugg.g ha potere di accedere più volte senza reiterare avviso. Se all’interno del bene immobile ci sono beni mobili, l’uff.g intima all’esecutato/terzo di asportare i beni dall’immobile entro un certo termine. Scaduto questo termine, se la parte istante lo richiede, l’uff.g. deve determinare il valore di 82 realizzo di tali beni includendo spese per trasporto e custodia. Se il valore dei beni mobili è maggiore delle spese, si procede alla vendita senza incanto (forma per vendita beni mobili pignorati). Se il valore dei beni mobili non appare di superiore alle spese (non conviene) allora i beni si considereranno abbandonati e l’uff.g. dispone smaltimento/distruzione. Art.610 -> se nel corso dell’esecuzione sorgano problemi, attribuisce a ciascuna parte la facoltà di chiedere al giudice i provvedimenti temporanei occorrenti (in ogni tempo revocabili/modificabili) Art. 611 -> prevede che la liquidazione delle spese del procedimento sia fatta dal giudice dell’esecuzione con decreto che costituisce titolo esecutivo. La liquidazione viene posta a carico della parte esecutata. Eventualmente è impugnabile dinnanzi allo stesso giudice che l’ha pronunciato. ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA DEGLI OBBLIGHI DI FARE/NON FARE Ci sono degli obblighi infungibili, che non trovano soluzione nell’esecuzione generica (o espropriazione forzata) che essendo un’attività sostitutiva/surrogatoria rispetto a quella che sarebbe richiesta dal diritto sostanziale, non è utilizzabile per obblighi materialmente o giuridicamente infungibili. L’esecuzione in forma specifica fa riferimento a obblighi di fare e disfare (più corretto rispetto a non fare), dal momento che l’obbligo di non fare non è suscettibile di esecuzione in forma specifica che invece può giustificare un risarcimento danno o condanna a disfare, ossia a distruggere. Alla base di questa esecuzione forzata in forma specifica ci può essere solo un titolo esecutivo di tipo giudiziale o un verbale di conciliazione (art. 474, n. 1), sul presupposto che la fungibilità dell’obbligo debba essere valutata dal giudice della cognizione, in via preventiva. PROCEDIMENTO Le norme su questo procedimento esecutivo sono molto scarne. Tutto sta nel 612: “chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione”. Quindi notifica titolo esecutivo + precetto dopodiché ricorso al giudice con cui si chiede che il giudice determini le modalità dell’esecuzione perché per attuare questo titolo esecutivo può occorrere un’attività più o meno complessa (ad es. la demolizione di un’opera può essere semplice; altrimenti l’edificazione di un’opera invece è un’attività più complessa): in tali ipotesi il titolo esecutivo si limita solo a determinare L’OBIETTIVO che il creditore ha diritto di conseguire, senza indicare il COME che spetta al giudice dell’esecuzione che dovrà integrare il titolo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata con ORDINANZA. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera o alla sua distruzione (sempre ammessa l’opposizione agli atti esecutivi). PROBLEMA: A volte il giudice dell’esecuzione, per dare esecuzione al titolo esecutivo è costretto a modificarlo. Ma quindi quali sono i limiti e i rimedi di questo tipo di esecuzione? Orientamento tradizionale (es. cass. 2011): ogni volta che il giudice con l’ordinanza risolva contestazioni che non attengono alla determinazione delle modalità esecutive, ma alla portata sostanziale del titolo esecutivo, questo provvedimento acquista natura di sentenza e quindi sarebbe appellabile. Nuovo orientamento (oggi prevalente, es. Cass. 2017): l’ordinanza che abbia assunto contenuto decisorio sulla portata sostanziale del titolo esecutivo e sull’ammissibilità dell’azione esecutiva, non può considerarsi come una sentenza. Quindi la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito del 616 (opposizione all’esecuzione). La portata e il significato di questo mutamento giurisprudenziale lo capiremo quando parleremo dell’opposizione all’esecuzione. 85 prevalente, tali singoli atti possono essere anche dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione, che l'opposizione consente di censurare per qualunque aspetto incluse le valutazioni meramente discrezionale. A) OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE ex art.615.: Questa è l’opposizione intesa in senso stretto, è un rimedio che serve a contestare il diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata. Serve quindi a contestare l’an dell’esecuzione. Oppure, può essere usata per contestare l’impignorabilità dei beni. L’opposizione all’esecuzione è un rimedio di carattere generale, valendo per ogni tipo di esecuzione forzata. Questo rimedio si può usare sia prima che dopo l’inizio dell’esecuzione. Se si fa prima ci si rivolge al precetto (ovviamente prima della notifica del precetto non è ammissibile). Se si fa dopo allora è opposizione all’esecuzione in senso proprio e si fa con ricorso (vedi giù). In linea di principio non prevede nessun termine, è quindi proponibile fino alla conclusione del processo esecutivo, però recentemente il legislatore è intervenuto nell’art. 615, c. 2, per l’espropriazione forzata, e dice che nell’esecuzione per espropriazione, l’opposizione è possibile finché sia disposta la vendita/assegnazione, salvo deroghe cioè fatti sopravvenuti o causa non imputabile all’opponente. Verrà poi deciso con sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari (differenza notevole con opposizione atti esecutivi). La legittimazione all’opposizione spetta al debitore, o comunque a colui nei confronti del quale l’esecuzione è diretta. Vediamo quali sono i possibili motivi per l’opposizione all’esecuzione: a. Difetto originario o sopravvenuto dei presupposti dell’azione esecutiva § Difetto originario del titolo esecutivo (es. esecuzione intrapresa in forza di una sentenza di mero accertamento) § Inidoneità del titolo esecutivo a fondare quel determinato tipo di azione esecutiva (es. la scrittura privata autenticata serve solo a fondare espropriazione forzata non sorregge esecuzione di consegna/rilascio) § Difetto di legittimazione attiva o passiva all’azione esecutiva (pag.59) § Violazione di divieti o limiti specifici (divieto di iniziare azioni di esecuzione contro il fallito) b. Inesistenza originaria o sopravvenuta del diritto risultante dal titolo (cd. Opposizioni di merito, perché sono opposizioni che si fondano sull’inesistenza del diritto risultante dal titolo). Occorre tenere presente una distinzione: § Titolo stragiudiziale: l’opposizione di merito non incontra limitazione, si può fondare su qualsiasi vizio, anche l’inesistenza originaria del titolo esecutivo. § Titolo giudiziale: solo per i fatti estintivi, impeditivi, modificativi intervenuti dopo il giudicato. Se il titolo è una sentenza passata in giudicato, non potrei utilizzare l’opposizione all’esecuzione per far valere un fatto che invece avrei potuto e dovuto far valere in quel giudizio. Potrebbe anche trattarsi o di una sentenza non ancora passata in giudicato, di un giudizio ancora in corso, ma anche di un provvedimento diverso dalla sentenza (es. ordinanze anticipatorie del 186-bis e ter): qui il giudizio di merito è in corso ancora, non c’è l’ostacolo del giudicato, ma un altro ostacolo, cioè il limite della litispendenza, visto che c’è un giudizio già in corso e non possiamo avere altri giudizi. È la litispendenza che impedirebbe di usare qui l’opposizione all’esecuzione: sarà nel giudizio di merito che io dovrò usare i modi ordinari (es. appello). 86 c. Impignorabilità dei beni (o crediti): è un motivo sui generis e se non fosse stato menzionato espressamente l’avremmo ricondotto nell’opposizione agli atti esecutivi poiché attiene al modo. Presuppone un pignoramento già avvenuto. PROCEDIMENTO • Esecuzione non ancora iniziata (ma è già stata annunciata dal precetto) àl'opposizione si dirige contro il precetto e va proposta con atto di citazione dinanzi al giudice individuato secondo gli ordinari criteri di competenza per materia e valore, territorio; al relativo procedimento si applica integralmente la disciplina del processo di cognizione, tenuto anche conto dell'eventuale rito speciale applicabile ratione materiae; il giudice dell'opposizione può disporre, su istanza di parte ed in presenza di gravi motivi, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo (che impedisce di usare quest’ultimo per avviare l’esecuzione). • Esecuzione iniziata àl'opposizione si propone con ricorso allo stesso giudice dell'esecuzione, il quale fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé ed il termine perentorio entro cui l'opponente deve provvedere alla notifica del ricorso e del decreto; si noti che siffatta competenza del giudice dell'esecuzione è del tutto provvisoria ed è giustificata dalla circostanza che l'opposizione si accompagna normalmente ad una richiesta di sospensione dell'esecuzione. Dopo questa primissima fase, che dovrebbe ridursi in una unica udienza, si passa al giudizio di cognizione vero e proprio ed allora si torna ad applicare non soltanto i criteri ordinari di competenza (eccetto quello di competenza territoriale, dovendosi avere riguardo al luogo dell'esecuzione). Più precisamente l'art.616 prospetta 2 ipotesi di competenza: a. I criteri ordinari portano ad affermare la competenza dello stesso ufficio giudiziario (tribunale) cui appartiene il giudice dell'esecuzione, questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire ex art.163 bis, o altri se previsti, ridotti ad ½; b. Diverso ufficio giudiziario: il giudice dell'esecuzione deve rimettere ad esso la causa, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa stessa. La norma deve interpretarsi nel senso che, la parte interessata è tenuta a dare nuovo impulso al relativo giudizio, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, vuoi con atto introduttivo di forma adeguata al rito della causa, vuoi tramite una comparsa di riassunzione ex art.125 disp. att. La ratio della necessità di un nuovo atto d’impulso deve ricondursi all’ipotesi in cui nessuna delle parti, alla luce dell'esito della preliminare fase inibitoria, si mostri interessata ad ottenere una sentenza sul merito dell'opposizione: tale sentenza è soggetta a tutte le impugnazioni proprie della sentenza di 1° grado e dunque anche all'appello; il che rappresenta una non lieve differenza rispetto alla sentenza che definisce l'opposizione agli atti esecutivi. B) OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI ex 617: serve a contestare la regolarità formale* o la legittimità di un singolo atto del processo esecutivo o un provvedimento del giudice di esecuzione. Si contesta quindi il modo in cui si sta svolgendo l’esecuzione forzata. Qui non è in discussione il diritto del creditore, ma si contesta la legittimità di un determinato atto del processo esecutivo o di un provvedimento del giudice. È proponibile sia prima che dopo l’inizio dell’esecuzione, ma è previsto un termine perentorio di soli 20 giorni che decorrono: - se è usata contro il titolo esecutivo o il precetto, il termine è di 20 giorni dalle loro notificazioni. - Se il vizio è quello della notificazione, il termine è di 20 giorni dal primo atto di esecuzione forzata. - Se si dirige verso un altro atto o provvedimento, il termine di 20 giorni decorrerà dalla data della conoscenza legale dell’atto o provvedimento. Spesso gli avvocati fanno confusione, prospettando come opposizione all’esecuzione un’opposizione agli atti esecutivi, magari quando il termine è già scaduto. 87 È decisa con una sentenza inappellabile (ricorribile per cassazione) A DIFFERENZA dell’opposizione all’esecuzione che è decisa con sentenza appellabile invece. *La regolarità formale si riferisce al titolo esecutivo e al precetto. Ci si è chiesti se si deve dare rilevanza anche a vizi che non sarebbero motivo di nullità. Per il precetto, essendo specificatamente previsto quando nullo, varrà solo per quelle cause di nullità quindi no. Per il titolo esecutivo, non essendoci un articolo a specificare le cause di nullità, si estende anche a vizi che non sarebbero motivo di nullità. Soggetti legittimati: quelli coinvolti nel processo esecutivo (tutti) e anche il giudice d’ufficio potrà rilevare un vizio formale quando la nullità debba ritenersi prevista non già nell’interesse esclusivo delle parti ma a tutela del corretto esercizio della fx giurisdizionale (in tal caso la rilevabilità d’ufficio sopravvive alla scadenza del termine). La competenza sarà sempre del giudice dell’esecuzione in questo caso. Non si pone il problema di stabilire se è lui o meno a decidere dell’opposizione. Per quanto riguarda le modalità però si distingue a seconda che: o Esecuzione non ancora iniziata: citazione davanti al tribunale competente per l’esecuzione o Esecuzione già iniziata: si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti, un termine perentorio dove debba essere comunicato tale decreto e poi, all’udienza decide sulla sospensione, assegnando un termine perentorio per introdurre il giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata. C) OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE ex art.619: serve al terzo a far valere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Si tratta di un terzo diverso da quello che è tenuto a subire l’espropriazione per un debito altrui. Per questo motivo, ovviamente, l’opposizione di terzo si riferisce solo all’espropriazione forzata ed è possibile solo quando l’espropriazione è già iniziata e quindi presuppone che sia già stato eseguito il pignoramento. Non prevede alcun termine (ma ex 619, il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni). Non sempre l’opposizione ora considerata rappresenta per il terzo strumento indispensabile: egli potrebbe agire per rivendica, successivamente alla conclusione del processo esecutivo MA IL TERZO potrebbe avere interesse ad evitare che i propri beni vegano coinvolti nell’espropriazione, sicchè la scelta per l’opp. di terzo all’esecuzione mira ad ottenere la sospensione dell’esecuzione, nel tempo occorrente perché si decida sul diritto che egli vanta sui beni pignorati. Per proteggere i creditori da possibili accordi fraudolenti tra debitore e terzi, viene impedito al terzo opponente di provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore (a meno che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal debitore o dal terzo). Si tratta di una presunzione legale relativa che la giurisprudenza ritiene superabile con prova scritta con data certa anteriore al pignoramento, da cui risultino il diritto di proprietà del terzo sui beni pignorati e il titolo del loro affidamento al debitore esecutato. PROCEDIMENTO: simile all’opposizione del debitore. Il processo esecutivo è già iniziato pertanto ricorso al giudice dell’esecuzione, che fissa decreto di comparizione e termine di notificazione del ricorso e decreto. Le parti possono raggiungere accordo in udienza (il giudice ne da atto con ordinanza); le parti potrebbero non raggiungere accordo e allora il giudice provvede sull’istanza di sospensione dell’esecuzione e poi fissa introduzione/riassunzione relativo giudizio. I rimedi del terzo nell’esecuzione forzata in forma specifica (diretta a consegna rilascio oppire attuazione obblighi fare/disfare). ABBIAMO DETTO che l’art.619 si applica solo in caso di esecuzione generica 90 o Omessa comparizione delle parti a due udienze consecutive (art. 631): ipotesi analoga a quella del processo di cognizione; o Altre ipotesi previste da legge, per esempio: c’è l’onere per il creditore procedente di produrre le trascrizioni riguardanti l’immobile, in un’espropriazione immobiliare: la mancata produzione è causa di estinzione. L’estinzione è dichiarata con ordinanza reclamabile al collegio entro 20gg dalla pronuncia. Per quanto poi riguarda gli effetti dell’estinzione (632): • Estinzione anteriore all’assegnazione o aggiudicazione: rende inefficaci tutti gli atti • Estinzione posteriore all’aggiudicazione o assegnazione: non incide sugli atti di vendita o assegnazione ma la somma ricavata dev’essere consegnata al debitore. Con l'ordinanza di estinzione, il giudice deve anche disporre la cancellazione della trascrizione del pignoramento e provvedere alla liquidazione del compenso spettante al soggetto cui erano state eventualmente delegate le operazioni di vendita (art.591 bis) e se richiesto, alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti (anche se tenuto conto che il processo si è estinto per inattività delle parti, queste dovrebbero restare a carico di chi le ha anticipate, a meno che ci sia un accordo tra debito . Tenuto conto tuttavia che lo stesso art.632 richiama l'art.310 ult.co., per cui le spese del processo estinto per inattività delle parti restano in modo definitivo carico di coloro che le avevano anticipate, si ritiene che il diritto del creditore procedente e di quelli intervenuti al ristoro delle spese sopportate possa derivare esclusivamente da un accordo col debitore in occasione della rinuncia agli atti. PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE ( E NON processo di cognizione sommaria perché la cognizione è piena) Viene inquadrato sistematicamente all’interno del Libro IV, Titolo I “procedimenti sommari”, Capo III bis. La sommarietà è riferita non alla QUALITÀ della cognizione ma alla SEMPLIFICAZIONE del procedimento, sicché è comunque a COGNIZIONE PIENA. È stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2009 come alternativa al rito ordinario. Nel 2009 si previde, con gli art. 702-bis, ter e quater, che in tutte le controversie attribuite al tribunale monocratico*, si potesse scegliere questo rito invece di quello ordinario. Era una scelta dell’attore, qualora desiderasse un procedimento snello, semplificato idoneo, se non appellato, al passaggio in giudicato (salva possibilità che il giudice opti per la prosecuzione del giudizio con rito ordinario). Con DL 132/2014 è stato inserito l’art.183-bis, che prevede il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione nel caso in cui l’attore avesse iniziato il processo con rito ordinario e il giudice decida lui, di utilizzare invece il rito sommario. Il giudice può disporre che si proceda a norma del 702-ter, invitando le parti ad indicare a pena di decadenza nella stessa udienza i mezzi di prova, compresi i documenti. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a 15 giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori 10 giorni per le sole indicazioni di prova contraria. Il giudice quindi lo fa con ordinanza non impugnabile e poi fissa anche delle preclusioni, per la produzione di documenti e prove. * l’ambito di applicazione del rito non è rationae materiae ma va bene per qualunque tipo di domande purché il tribunale giudichi in composizione monocratica quindi escludendo: - cause art.50-bis à tribunale collegiale (cioè obbligatorio intervento PM, opposizione/impugnazione/revocazione, deliberazioni assemblee/cda, testamenti, riduzione legittima) - cause di competenza del giudice di pace à beni mobili inferiori a 30.000 euro, veicoli natanti inferiori a 50.000. immobili inferiori a 30.000… Secondo l’opinione prevalente, il rito sommario si può usare SOLO per il rito ordinario, ma per alcuni si può usare anche per i riti speciali (es. rito del lavoro) ma la soluzione è da ritenere negativa, infatti l’art.702-ter fa riferimento, 91 per l’ipotesi in cui il giudice escluda la possibilità di procedere col rito sommario, alle sole disposizioni ex art.163ss (cioè rito ordinario). Il d.lgs 150/2011 ha previsto che alcune controversie siano per legge assoggettate al rito sommario sicché il giudice non può optare per la prosecuzione del giudizio con rito ordinario. Abbiamo già parlato del d.lgs. 150/2011 sulla semplificazione e riduzione dei riti civili. Abbiamo già visto che ci sono stati alcuni decenni che hanno visto una grande proliferazione dei riti speciali, nell’idea della tutela giurisdizionale differenziata, creando un gran numero di riti speciali. L’idea del 2011 è stata quella di ridurre i riti speciali per ricondurli a soli tre modelli rito ordinario, rito del lavoro, rito sommario di cognizione. La fase introduttiva Il 702-bis disciplina la fase introduttiva: • Si introduce con ricorso, sottoscritto dal difensore munito di procura o dalla parte se abilitata personalmente in giudizio. Il ricorso contiene gli elementi dell’art.163 (compreso l’avvertimento per il convenuto di costituirsi entro 20gg -che qui son 10gg - prima dell’udienza per non incorrere nelle decadenze dell’art.38 e 167 - cioè non poter far valere eccezione di incompetenza o proporre domande riconvenzionali e di accertamento incidentale, eccezioni proc/merito non rilevabili d’ufficio, chiamata del terzo), ovviamente si devono omettere gli elementi della vocatio in ius (indicazione tribunale, giorno udienza ..). • Il ricorso dev’essere depositato affinché il cancelliere formi il fascicolo d’ufficio e consegna al Presidente del tribunale che designa il giudice della trattazione e tale magistrato con decreto fissa udienza di comparizione, assegnando il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre 10gg dall’udienza. Ricorso + decreto devono essere notificati al convenuto almeno 30gg prima della data fissata per la costituzione, quindi 40gg prima dell’udienza, a cura dell’attore. • Costituzione del convenuto: deve costituirsi con il deposito della comparsa di risposta. Confrontando 702bis e 167, al pari di quanto previsto dal 167 del processo ordinario, qui il convenuto deve in tale comparsa: - proporre difese, prendere posizione su fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicando i mezzi di prova (non dice a pena di decadenza eh ma vedi sotto) di cui intende avvalersi e i documenti prodotti - a pena di decadenza, proporre eventuali domande riconvenzionali (domande aventi ad oggetto controdiritto che hanno certa dipendenza dal titolo dedotto in giudizio, che si potrebbe far valere in autonomo giudizio ma si propone nello stesso processo) e eccezioni process/merito non rilevabili d’ufficio. - chiamata del terzo in garanzia (solo in garanzia? Vedi sotto). (Mezzi di prova e documenti secondo l’art.702bis sembrerebbero non essere sottoposti a decadenza – ma nel 2014 è stato introdotto il 183bis dove è contemplato che il giudice possa disporre passaggio da giudizio ordinario a sommario e qui le parti dovrebbero nella stessa udienza di trattazione “a pena di decadenza” produrre documenti e mezzi di prova, salva possibilità di riservare 2 distinti termini di 15gg e 10gg) N.B. per quanto riguarda MEZZI DI PROVA e DOCUMENTI, la produzione anche nel rito ordinario è concessa fino alla conclusione della prima fase di trattazione della causa. • C’è un problema per quanto riguarda l’eventuale chiamata in causa del terzo. Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia, deve a pena di decadenza farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice con decreto provvede a fissare la data della nuova udienza dando un termine perentorio per la citazione del terzo che deve scadere almeno 40gg prima dell’udienza. Il terzo deve costituirsi entro 10gg dall’udienza (avendo lo stesso tempo concesso al convenuto). La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma. Il problema è che parla solo della chiamata del terzo in garanzia, che è solo una delle ipotesi di chiamata in causa del terzo. C’è una parte della dottrina che ritiene che si debba interpretare in maniera estensiva questa disposizione 92 • La possibile conversione al rito ordinario: il 702-ter prevede che, all’udienza di comparizione, il giudice debba preliminarmente accertare che sussistano i presupposti specifici cui è subordinata l’utilizzazione del procedimento in esame. - se dovesse esserci una domanda riconvenzionale o principale che non rientra tra quelle art.702-bis essendo attribuita al giudice collegiale o di competenza del giudice di pace o appartenente al rito speciale, allora la dichiara inammissibile con ordinanza non impugnabile. - definizione giudizio in rito se ritiene fondata una questione preliminare processuale sollevata dal convenuto o d’ufficio - il giudice deve valutare le difese delle parti: se consta che richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice con ordinanza non impugnabile fissa l’udienza di cui all’art. 183 (comparizione e trattazione della causa): da quel momento si applicano le disposizioni del rito ordinario. Altrimenti la tratta col rito semplificato in esame. MA come va intesa la sommarietà o non sommarietà dell’istruzione? Secondo l’opinione preferibile per il professore, si deve guardare essenzialmente non tanto al tipo di prova da assumere (perché qualcuno dice che nel rito sommario sono ammesse solo prove di agevole risoluzione), ma si deve guardare al numero e alla complessità delle prove che la causa pone. Se sono questioni più complesse è meglio passare al rito ordinario perché il legislatore ha voluto riservare questo rito alle cause più semplici. Il legislatore non ha tutelato il diritto alla difesa del convenuto nel passaggio al rito ordinario non essendo prevista una remissione in termini. Nel rito sommario il convenuto può avere un termine di costituzione più breve del rito ordinario 30gg contro i 70gg (dove il convenuto si deve costituire 20 giorni prima dell’udienza, che è fissata 90 giorni dopo la notificazione: quindi in toto sono almeno 70 giorni; mentre nel sommario il convenuto dev’essergli notificato il ricorso 40gg prima dell’udienza e può costituirsi 10gg prima e sono solo almeno 30 giorni). Potrebbe avvenire che il convenuto abbia un termine di 30 giorni, poi il giudice dispone il passaggio al rito ordinario, ma non è prevista alcuna rimessione in termini del convenuto. Dovrebbe quantomeno recuperare il termine non goduto, per modificare la comparsa di risposta. Questo ancora non è previsto e prima o poi si porrà questo problema. SE consta che invece la causa si presta bene all’istruzione sommaria, il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento/rigetto delle domande. Quindi il 702 quater dice al giudice: procedi come meglio ritieni e poi decidi con ordinanza, basta che sia garantito il contraddittorio. Quindi al giudice è garantita una enorme discrezionalità, cosa che ovviamente ha attirato molte critiche, perché la disciplina è totalmente data al giudice. LA NATURA E PECULIARITÀ DEL RITO SOMMARIO L’idea che prevale oggi è che questo procedimento, che è detto “procedimento sommario di cognizione” e non “processo di cognizione sommaria”, è un procedimento a cognizione piena e non sommaria, quindi il risultato cui perviene è un risultato che è considerato equivalente a quello cui si potrebbe arrivare col procedimento ordinario cambiando solo l’immediatezza della decisione, la semplificazione procedimentale. Quindi l’ordinanza che definisce il processo sommario di cognizione è idonea a ottenere l’efficacia di giudicato. Se si parte da questo presupposto dovrebbero cadere tutta una serie di dubbi. Si ritiene infatti che i mezzi di prova del procedimento sommario siano gli stessi che potrebbe usare nel giudizio ordinario: molti hanno anche parlato di prove atipiche, ma anche nel procedimento ordinario il giudice le può usare con una certa ampiezza, così come nel procedimento sommario. Una parte della dottrina ha parlato di un’istruttoria semplificata, per cui il procedimento di assunzione dei mezzi di prova potrebbe essere lasciata alla decisione del giudice, ma in realtà è difficile comprendere per quali aspetti si possono semplificare i mezzi di prova, perché ci sono dei passaggi ineludibili nell’assunzione di mezzi di prova. Quindi in realtà gli aspetti per cui il rito sommario si discosta dal rito ordinario sono pochi: sicuramente si può risparmiare tempo (ad esempio non è prevista la trattazione scritta; poi non si parla neanche della trattazione delle conclusioni; queste attività possono in teoria essere compresse e la causa decisa già all’esito della prima udienza, in 95 2. Instaurazione del giudizio: avviene con ricorso, seguito da decreto con fissazione data udienza, e poi ricorso + decreto notificato all’altra parte per instaurazione contraddittorio. 3. Oralità: è marcatamente orale, e gli scritti difensivi (successivi a quelli introduttivi) trovano posto eccezionalmente 4. Concentrazione: dovrebbe svolgersi in un’unica udienza (c.d. udienza di discussione) o comunque in un paio d’udienze, essendo previsto che la fase istruttoria si esaurisca in un’udienza ed essendo vietate le udienze di mero rinvio 5. Preclusioni: c’è un rigido sistema di preclusioni sin dagli atti introduttivi delle parti, con possibilità di allegazioni successive modeste* 6. Ampi poteri istruttorii del giudice: ha poteri d’ufficio molto incisivi, potendo usare quasi tutti i mezzi di prova normalmente riservati alle parti 7. Decisione: al termine della discussione orale, viene letto sempre il dispositivo in udienza e la motivazione (in alcuni casi questa viene resa nota dopo ma se la condanna è favorevole al lavoratore il solo dispositivo costituisce titolo idoneo per iniziare il processo d’esecuzione forzata. * Nel 1973 Nel 1973, il legislatore pensò che un sistema di preclusioni drastiche e precoci fosse indispensabile per assicurare la massima concentrazione (e dunque la minima durata) del nuovo processo: tutte le principali attività difensive, incluse l'offerta di mezzi di prova e la produzione di documenti, sono ancorate ai primi atti rispettivi delle parti, infatti le parti (sia ricorrente che convenuto) dovranno allegare già nell’atto introduttivo ogni mezzo di prova richiesto POTENDO successivamente introdurre nell’udienza di discussione SOLO i mezzi di prova che non abbiano potuto proporre prima. Mentre nel rito ordinario, le parti possono sia integrare richieste istruttorie e indicare nuovi mezzi di prove nella udienza di discussione, sia chiedere l’assegnazione del triplo termine perentorio per produrre memorie repliche. Tra l’altro l’attività difensiva consistente in mere difese (contrasta i fatti) o difese in diritto (allega fatti estintivi, modificativi impeditivi), è liberamente consentita (a differenza che nel rito del lavoro) senza specifica preclusione, ammettendosi quelli rilevabili d’ufficio, per tutto il corso del processo. La rigidità del sistema che ne deriva è particolarmente gravosa per l'attore (coincidente quasi sempre col lavoratore), il quale si vede costretto a scoprire fin dal primo momento tutte le proprie risorse istruttorie, indicando già nel ricorso ogni mezzo di prova e documento di cui dispone, senza poter attendere la costituzione dell'avversario e senza poter dunque contare sui fatti che quest'ultimo potrebbe ammettere o comunque non contestare. Il convenuto ha l'indubbio vantaggio di poter regolare la propria strategia difensiva su quanto il ricorrente ha indicato nell'atto introduttivo. Nell'ottica del legislatore, questa materiale disparità tra le parti trovava un importante fattore di riequilibrio nei poteri istruttorii autonomi conferiti al giudice del lavoro, virtualmente idonei a sopperire alle eventuali carenze probatorie delle parti. Vediamo le controversie a cui si applica il rito del lavoro: l’art. 409 parla di controversie relative a: 1. Rapporti di lavoro subordinato privato anche se non inerenti all’esercizio di un’impresa (come il lavoro domestico). Fanno eccezione le cause in materia di licenziamento nelle ipotesi dell’art.18 SdL, che hanno un rito speciale (il cd. Rito Fornero, 2012 – ce ne occuperemo dopo); 2. Contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie e quelli di conversione dei contratti associativi in affitto; 3. Rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata: pensiamo al lavoro parasubordinato dove vi è una dipendenza di carattere economico, nonostante la natura autonoma del prestatore di lavoro (rapporto asl e medici); 4. Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici economici, quegli enti che svolgono prevalentemente o in via esclusiva un’attività economica; 5. Rapporti di lavoro dei dipendenti degli altri enti pubblici non economici, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. Fino al 1998 aveva un ambito di applicazione ristretto perché al di fuori delle ipotesi di dipendenti di enti pubblici economici, tutti gli altri erano di competenza del giudice amministrativo poi però dal 1998 molte controversie di dipendenti di altri enti pubblici sono state attribuite al giudice ordinario, tranne 96 alcune che restano di competenza del giudice amministrativo (es. rapporti di lavoro di FFOO e FFAA, dei professori, assunzione dipendenti pubblici ecc). LE FASI DEL PROCESSO DEL LAVORO: Fase 1 à Tentativo di conciliazione Fase 2 à Ricorso introduttivo, fissazione data udienza con decreto Fase 3 à Costituzione del convenuto almeno 10gg prima dell’udienza Fase 4 à Prima Udienza di comparizione delle parti dove c’è trattazione, istruttoria, decisoria Fase 4.1 à Trattazione di causa Fase 4.2 à Fase istruttoria di assunzione dei mezzi di prova Fase 5 à Fase decisoria Fase 1: Tentativo di conciliazione L’art. 410 prevede che chi intende proporre in giudizio una domanda sui rapporti previsti dall’art. 409, può promuovere un previo tentativo di conciliazione. Questo tentativo di conciliazione fino al ’98 era facoltativo, dal ’98 fu reso obbligatorio, perché si temeva un grande sovraccarico del lavoro del giudice ordinario (dovuto allo spostamento del contenzioso sul pubblico impiego dal Giudice Amministrativo a quello ordinario) e l’idea era quella di filtrare queste cause. Poi chiaramente l’istituto della conciliazione non ha avuto un grande successo nel senso che la percentuale di controversie risolte in questa fase era molto bassa, quindi il legislatore nel 2010 è tornato a renderlo meramente facoltativo. In realtà questo tentativo di conciliazione funziona solo quando le parti voglio effettivamente trovare un accordo. Quando il ricorrente (normalmente il lavoratore), intravedere una possibilità di un accordo, lo utilizza, altrimenti è una perdita di tempo. Sostanzialmente chi vuole proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti ex art.409, può promuovere (anche avvalendosi di un’associazione sindacale cui aderisce o vuole dare mandato) un previo tentativo di conciliazione. Utilizzerà procedure predisposte dalla Contrattazione collettiva o rivolgendosi a commissioni di conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro: la richiesta dovrà essere consegnata a controparte (da questo momento sospensione e effetto interruttivo della prescrizione per tutta la durata della conciliazione e per i 20gg successivi). Qualora controparte voglia partecipare a questo tentativo, entro 20gg deve produrre le sue memorie con difese/eccezioni/domande riconvenzionali, dopodiché, se il deposito avviene, entro 10gg fissata data per il tentativo di conciliazione che deve avvenire entro 30gg. Se l’esito è positivo viene redatto processo verbale, sottoscritto dalle parti che ha valore di titolo esecutivo. Se la conciliazione fallisce, c’è da parte della commissione una bonaria definizione della controversia, che se non accettata, dev’essere sempre riassunta a verbale. Il rifiuto di tale proposta, se avviene senza giustificato motivo si riflette sulla ripartizione delle spese in giudizio. Inoltre, il giudice a processo avviato, potrà conoscere del verbale di conciliazione, memorie, documenti per dedurre dichiarazioni confessorie o altri elementi rilevanti sul piano probatorio. Fase 2: deposito del ricorso introduttivo Innanzitutto esaminiamo i criteri di competenza. La competenza nel processo del lavoro è attribuita rationae materiae (ex art.409) al giudice in composizione monocratica e devono seguirsi i criteri territoriali (questi ultimi inderogabili). 1- Criteri territoriali concorrenti per lavoro subordinato (la cui scelta spetta all’attore), le controversie sono di competenza: - del giudice del luogo dove è sorto il rapporto - del giudice dove ha sede l’azienda 97 - del giudice dove l’azienda ha una dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o comunque dove prestava la sua opera 2- Per le cause in merito ai rapporti ex art.409 n.3 per lavoro parasub. “rapporti di agenzia, rapp.commerciale, collaborazione opera coordinata e continuativa” presso il domicilio del lavoratore parasubordinato 3- Per le cause in merito a rapporti di lavoro alle dipendenze della PA, competenza in via esclusiva, del giudice del luogo dove ha sede l’ufficio del dipendente (regola foro erariale) 4- Criteri territoriali residuali: residenza, domicilio, dimora del convenuto. Ex art.428 (simile art.38) Incompetenza può essere eccepita dal convenuto (nel 1°atto difensivo) o dal giudice (d’ufficio non oltre la prima udienza di discussione) -> alla pari dell’incompetenza territoriale ex art.38. Tuttavia qualora il giudice rilevi la propria incompetenza, la causa dovrà essere riassunta dinnanzi il giudice a quem in 30gg (non 3 mesi). Il regime 428 coincide con l’art.38- Individuato il giudice, il ricorso dev’essere completato, sottoscritto e depositato in cancelleria del giudice ritenuto territorialmente competente. In questo momento si determina la litispendenza nonché ogni effetto sostanziale/processuale della domanda. Dopodiché entro 5gg dal deposito, il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa scegliendo una data che va da 30gg dalla data di notificazione di decreto e ricorso al convenuto e 60gg dal deposito del ricorso (il termine minimo è cogente, quello massimo, assieme agli altri termini, è ordinatorio, spesso non rispettato. Il termine minimo serve al convenuto per preparare le proprie difese e la violazione di questo termine sarebbe motivo di nullità). Ricorso + decreto, devono essere notificati dall’attore al convenuto entro 10gg dalla pronuncia del decreto, il convenuto dovrà costituirsi entro 10gg dalla data fissata dall’udienza. Per quanto riguarda il contenuto del ricorso, questo è del tutto simile a quello ex art.163 per l’atto di citazione nel rito ordinario, con differenze ovviamente soltanto per quanto riguarda la vocatio in ius (cioè non dev’esserci indicazione giorno d’udienza, indicazione del giudice.. elementi presenti del decreto). La parte relativa all’editio actionis è pressoché identica. Raffronto 163 e 414 “163:L'atto di citazione deve contenere: 1) l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3) la determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; 5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6) il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; 7) l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167. L'atto di citazione, sottoscritto a norma dell'articolo 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli articoli 137 e seguenti”. “414: La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere: 1) l'indicazione del giudice; 2) il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto del ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto 3) la determinazione dell'oggetto della domanda; 4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; 5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione La peculiarità del ricorso consiste però nel diverso rilievo che assume l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti che si offrono in comunicazione. Leggendo l’art.414 sembrerebbe che per l’indicazione dei mezzi di prova e documenti non ci sia alcuna preclusione, INVECE secondo la Corte cost*. non si dubita che il ricorrente come il convenuto debbano già allegare nell’atto introduttivo, a pena di decadenza, ogni mezzo di prova richiesto o documento prodotto. Conferma che si ha con l’art.420 co5 che dice che le parti potranno dedurre direttamente in udienza di discussione i soli mezzi di prova nuovi che non abbiano potuto proporre prima. Questo perché è previsto che l’ammissione dei mezzi di prova e anche l’assunzione debba avvenire, se possibile, già nella prima udienza.
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