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PROCEDURA CIVILE II da stampare, Appunti di Diritto Processuale Civile

appunti della professoressa d'alessandro

Tipologia: Appunti

2013/2014

Caricato il 22/04/2014

giulia.gozio.7521
giulia.gozio.7521 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica PROCEDURA CIVILE II da stampare e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCEDURA CIVILE II PROFESSORESSA ELENA D’ALESSANDRO LEZIONE N. 1 (1-10-2012) GLI ESONERI La professoressa ha intenzione di fare 2 esoneri scritti. Il primo esonerò sui procedimenti sommari. Il secondo esonero invece verso il 10 dicembre sul processo esecutivo. INTRODUZIONE In questo corso noi tratteremo dei procedimenti sommari cautelari e non cautelari e del processo esecutivo. Inizieremo dall’esame dei procedimenti sommari e in particolare dai procedimenti sommari non cautelari. Per inquadrare la categoria dei procedimenti sommari non cautelari, la Professoressa ci richiama alcune nozioni che noi abbiamo acquisito in diritto processuale civile I: noi abbiamo studiato la tutela dichiarativa cioè abbiamo studiato che questa è impartita nell’ambito di un processo a cognizione piena ed esauriente disciplinato dagli articoli 163 e seguenti del cpc. Poi noi abbiamo studiato che esiste un rito speciale a cognizione piena ed esauriente, che è quello del processo del lavoro: tutte le volte in cui sorge una controversia di lavoro, la parte, l’istante, agisce non già ai sensi dell’art 163 cpc, ma deve applicare le norme del processo del lavoro quindi presentare un ricorso ai sensi degli articoli 409 e ss del cpc. Nota Bene: la scelta del processo del lavoro non è alternativa, non è che l’istante di una controversia di lavoro può scegliere se instaurare la causa ai sensi dell’articolo 163 e ss o ai sensi dell’articolo 409 e ss; non può fare così perché se la controversia è di lavoro, si applica il rito del lavoro e tutti questi sono riti a cognizione piena ed esauriente. Vediamo le caratteristiche del processo a cognizione piena ed esauriente, che è il così detto giusto processo, ai sensi degli articoli 111 della Costituzione e articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le caratteristiche del giusto processo sono le seguenti: • Il giusto processo è un processo che si svolge sempre nel contraddittorio delle parti, davanti ad un giudice terzo e imparziale • L’istruttoria è piena ed è regolata dalla legge • Più in generale, come dice l’Articolo 111 della Costituzione, il giusto processo è quello regolato dalla legge, cioè quello in cui il legislatore, nel cpc, delinea quali sono i poteri delle parti e quali sono i tempi entro i quali le parti possono esercitare questi poteri. Quest’ultima è una caratteristica importantissima perché solo quando il legislatore delinea quali sono i poteri processuali delle parti e quali sono i tempi entro i quali la parte può esercitare i suoi poteri, in caso di violazione da parte del Giudice di queste regole si ha un error in procedendo che dà la possibilità di effettuare il ricorso per Cassazione. Nei procedimenti sommari manca una di queste caratteristiche e vedremo volta per volta qual’ è la caratteristica che manca. I PROCEDIMENTI SOMMARI NON CAUTELARI I procedimenti sommari non cautelari, quelli di cui noi ora ci occuperemo, si distinguono in due grandi categorie; • la prima categoria noi la conosciamo, sono procedimenti sommari non cautelari a carattere anticipatorio che sono pronunciati nel corso del giudizio di cognizione e quali sono questi procedimenti? Sono le ordinanze anticipatorie ex articolo 186 bis, ter e quater. Questi sono procedimenti sommari emanati nel corso di un giudizio di cognizione già pendente. • Viceversa noi ci occuperemo, in questa sede, dei procedimenti sommari di cognizione che sono autonomi rispetto all’ordinario processo di cognizione. Il legislatore talvolta dà la possibilità all’istante di scegliere tra instaurare il giudizio nelle forme della cognizione piena ed esauriente, Libro II del cpc (riti che abbiamo conosciuto già a Diritto processuale civile I) oppure secondo le forme del procedimento sommario non cautelare. In particolare questi due procedimenti sommari non cautelari di cui noi tratteremo sono: - IL PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE - L’ORDINANZA O LICENZA DI CONVALIDA DI SFRATTO Quindi l’istante ha la possibilità di scegliere fra la tutela a cognizione piena e la tutela sommaria. Perché questi procedimenti sommari sono conformi alla Costituzione? Abbiamo detto che nei procedimenti sommari manca almeno uno dei requisiti della cognizione piena ed esauriente; per esempio nel procedimento per decreto ingiuntivo, che è il primo che andremo ad esaminare, vedremo che questo procedimento è emanato inaudita altera parte,cioè a contraddittorio non integro, ed è un procedimento dove l’istruttoria è superficiale. Addirittura nel procedimento monitorio puro non c’è neanche bisogno di fornire la prova del diritto di cui ci si afferma titolari,nel procedimento monitorio spurio,che poi vedremo, basta che l’istante alleghi una prova scritta dei fatti costitutivi del proprio diritto. E come è possibile dunque che questo procedimento sia considerato conforme ai principi del giusto processo? E possibile perché la caratteristica dei procedimenti sommari è la seguente: basta che vi sia l’opposizione del soggetto destinatario del provvedimento sommario, cioè colui contro cui il provvedimento è chiesto, perché il procedimento, da sommario, si trasformi in giudizio a cognizione piena. Vedremo nel decreto ingiuntivo: colui che ottiene il decreto ingiuntivo, cioè il creditore che ottiene il decreto ingiuntivo inaudita altera parte, quindi senza che il debitore sia convocato, talvolta senza che vi sia neppure bisogno di provare l’esistenza del credito, ma basta che il debitore proponga opposizione affinché il giudizio da sommario si trasformi in giudizio a cognizione piena e sia ripristinata la garanzia del giusto processo e vi sia la conformità alla Costituzione. Perché il legislatore prevede questi procedimenti sommari? Per ragioni di economia processuale perché si dice non è necessario utilizzare le forme della cognizione piena ed esauriente e quindi sprecare energie e tempi processuali della cognizione piena ed esauriente tutte le volte in cui sì, c’è una lesione di un diritto, sì un credito non è stato pagato, però non c’è contestazione. Se il credito non è stato pagato, ma il debitore non contesta di essere debitore, non c’è ragione di spendere tempo ed energie e attivare un giudizio a cognizione piena ed esauriente, in questi casi è sufficiente, per ripristinare la lesione del diritto di credito, utilizzare le forme della cognizione sommaria. Se poi, invece la lesione del diritto è posta in contestazione, cioè se il creditore dice: “Il debitore non ha adempiuto all’obbligazione pecuniaria” e il debitore invece dice di aver adempiuto e di avere la quietanza di pagamento, allora in questi casi ,quando la lesione del diritto è posta in contestazione, si ritorna ad utilizzare le forme della cognizione piena ed esauriente. Ma laddove è possibile risparmiare in temimi di attività processuale il legislatore cerca di fare utilizzare all’istante le forme della cognizione sommaria. Ed infatti il procedimento per ingiunzione è uno dei procedimenti più usati nella pratica. un contratto siglato fra cliente ed avvocato, con un Decreto Ministeriale del 20 luglio 2012 numero 140,si è stabilito che sia il Giudice a liquidare il compenso spettante all’avvocato su una base di determinati parametri. Questa circostanza, ossia il fatto che, in mancanza di un accordo contrattuale siglato tra cliente e avvocato, sia il Giudice e non il Consiglio dell’ordine, a liquidare la somma spettante all’avvocato, ha fatto sorgere, negli operatori pratici, il seguente dubbio: ma posto che il 633n3 del cpc non è più utilizzato (cioè ripeto la norma che fa riferimento alle tariffe legalmente approvate) si potrebbe utilizzare il procedimento monitorio puro da parte dell’avvocato avvalendosi del 633 numero 2 cioè avvalendosi del procedimento monitorio se il credito, dice la norma, riguarda: onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari? Cioè si dice, visto che il 633 ormai è fuori gioco, si potrebbe utilizzare il 63 numero 2 che fa comunque riferimento all’avvocato? Qui la questione è aperta e c’è un dibattito grossissimo che si sta svolgendo in Dottrina e anche in Giurisprudenza, intendendo per Giurisprudenza solo tra (i singoli) Giudici perché ancora pronunce non ci sono, c’è un blog (civil neck) dove fra Magistrati e Avvocati ci si accapiglia sull’interpretazione da dare a questa disposizione, perché il problema qual è? Il problema è che nelle ipotesi di cui all’Articolo 633 numero 2 ci dice l’Articolo 636 cpc: l’istante deve accompagnare la propria richiesta da una parcella che deve essere corredata dal parere della competente associazione professionale. Quindi nel caso dell’avvocato se si applicasse questa norma ci vorrebbe comunque il parere del Consiglio dell’ordine; non c’è più la tariffa, l’avvocato redige la parcella sulla base di quanto lui ritiene che gli spetti , però se si applicasse questa norma, ci vorrebbe comunque il parere del consiglio dell’ordine, perché lo prevede l’articolo 636. Alcuni dicono che è possibile e che si può procedere in questo modo, e lo si dice per agevolare l’avvocato, perché il procedimento monitorio puro dura poco tempo; altri dicono: no, non è possibile perché il Decreto Ministeriale del 20 luglio 2012 n 140 è chiaro nel dire che in mancanza di accordo fra le parti è SOLO il Giudice e non il Consiglio dell’ordine che non ha più alcun potere in proposito, a poter liquidare i compensi spettanti all’avvocato. Queste sono due soluzioni che si sono affacciate per adesso in Dottrina, la Professoressa non ha opinioni da offrirci, ma ci prospetta solo le opinioni che si sono scontrate fino adesso in dottrina. Bisogna fare attenzione quando leggeremo i manuali perché non saranno aggiornati e ci troveremo ancora a quando esistevano le tariffe professionali. È da notare che se prevarrà l’interpretazione restrittiva da luglio in poi i casi di procedimento monitorio puro saranno notevolmente ridotti rispetto a quelli che erano in passato ; resta ferma l’ipotesi di poter utilizzare l’articolo 633 numero 2 per cancellieri e ufficiali giudiziari, ma sono casi marginali. Noi abbiamo visto che accanto alle ipotesi di procedimento monitorio puro ci sono quelli di procedimento monitorio SPURIO cioè quelli in cui, come detto, il creditore deve fornire la prova scritta del proprio credito. LA PROVA SCRITTA (art 634) La nozione di prova scritta del credito è una nozione che diverge da quella a cui noi siamo abituati nello studio del diritto processuale perché qui la nozione di prova scritta è intesa in termini più ampi rispetto a quella del processo a cognizione piena ed esauriente. Se leggiamo l’Articolo 634 del cpc che è quello che ci indica la nozione di prova scritta troveremo che costituiscono prova scritta le scritture private a prescindere dall’accertamento della loro provenienza. Dai nostri studi di diritto processuale civile I ricorderemo che la scrittura privata con sottoscrizione non autenticata fa prova della provenienza delle dichiarazioni da parte di colui che l’ha sottoscritta se colui contro il quale è prodotta riconosce la sottoscrizione alla prima udienza nella quale il documento è presentato senza contestarne l’autenticità. Quindi se la scrittura privata ha una sottoscrizione che non è autenticata, es Tizio la produce in giudizio, se Caio quando è prodotta nulla dice, allora questa sottoscrizione fa piena prova, si ha come riconosciuta. Ora questo meccanismo , come capiamo, non può funzionare nel procedimento sommario, perché il procedimento per decreto ingiuntivo, abbiamo detto ora, è un procedimento che si svolge inaudita altera parte; il convenuto non c’ é, c’ é solo l’ istante che propone la domanda di decreto ingiuntivo. Quindi se non ci fosse l’ articolo 634 capiremmo bene che la scrittura privata potrebbe fare chiara prova solo quando la sottoscrizione é autenticata, perché gli Articoli 214 e 215 del cpc, cioè quelli che riguardano l’ipotesi della scrittura privata con sottoscrizione non autenticata, non potrebbero mai operare, perché qui il convenuto non c é; siamo infatti in un processo che vede un solo protagonista che é l’istante. Per evitare questo, il legislatore dice: la scrittura privata fa prova a prescindere dall’ accertamento del loro provenienza. Quindi fa sempre prova la scrittura privata, vuoi che la sottoscrizione sia autenticata, vuoi che non lo sia; in deroga alle norme di cui agli Articoli 214 e 215 CPC. Stesso discorso per le scritture contabili , che nel procedimento per decreto ingiuntivo, fanno piena prova anche nei rapporti fra imprenditore e non imprenditore. Mentre, come ricorderemo dai nostri studi di diritto processuale civile, che le scritture contabili di regola, nel processo a cognizione piena ed esauriente, fanno prova solo nei rapporti tra imprenditore ed imprenditore e non nelle controversie che si svolgono tra imprenditore e non imprenditore; questo nel processo a cognizione piena non é così. Ora queste sono le più grosse eccezioni previste dall’ art 634. Interpretazione dell’Articolo 634 L art 634 nelle intenzioni del legislatore doveva essere una norma tassativa; cioè le ipotesi di prova scritta indicate all’ art 634, proprio perché derogano alle regole di cui al libro II del CPC dovevano essere casi tassativi. In realtà la giurisprudenza ha interpretato questa disposizione in maniera largheggiante ed ha ritenuto che siano prove scritte idonee a giustificare la concessione di un procedimento di un decreto ingiuntivo anche la fattura e la bolla di consegna; quindi prove scritte non menzionate dall’Articolo 634 CPC. COME SI PROPONE IL RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO? Il procedimento, come già detto, si svolge inaudita altera parte e la domanda si propone con ricorso e questa é la prima novità per noi perché noi siamo abituati al processo di cognizione che si instaura con la citazione; noi il ricorso lo conosciamo solo nel processo del lavoro Quali sono le differenze fra citazione e ricorso? - La citazione viene notificata prima alla parte e poi depositata in cancelleria invece il ricorso viene prima depositato in cancelleria e poi notificato alla parte. - Altra differenza: la data del udienza nella citazione la stabilisce l’ attore, mentre nel ricorso é fissata dal Giudice. Nel caso di specie, non sarebbe stato possibile utilizzare la forma della citazione perché questo é un procedimento che si svolge inaudita altera parte, quindi l'unica forma possibile per la proposizione dell’ atto introduttivo del giudizio é il ricorso che viene depositato nella Cancelleria del Giudice che sarebbe competente per la causa di merito, quindi le regole di competenza sono le stesse della causa di merito, c’è solo la regola particolare nell’ ipotesi del procedimento monitorio puro, quindi quello per crediti derivanti dallo svolgimento di un processo, in quel caso la domanda può essere proposta davanti al Giudice dinnanzi al quale si è svolto il processo. Dice la norma: per i crediti previsti del numero 2 dell’Articolo 633, è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa la quale il credito si riferisce. Se siamo curiosi di vedere come è fisicamente redatto il ricorso per ingiunzione prendiamo il materiale che troviamo sul sito e lo visioniamo così vediamo come si formula un decreto per ingiunzione. Quindi se, come abbiamo detto, i criteri per individuare il Giudice competente sono quelli che noi conosciamo cioè quelli del libro II del cpc, ne deriva che, cosa importante (perché per i provvedimenti cautelari non è cosi) anche il Giudice di pace può pronunciare un decreto ingiuntivo. Al ricorso, se si tratta di un procedimento monitorio spurio, l’istante deve avere cura di allegare la prova scritta, dopodiché la parola passa al Giudice. Ci ha già detto che essendo questo un procedimento che si svolge inaudita altera parte, la cognizione del Giudice non può essere che parziale e superficiale; in questa prima fase essendo presente solo l'istante, così detto ricorrente (non si parla qui di attore, ma di ricorrente) il Giudice cosa potrà verificare? Il Giudice potrà verificare tendenzialmente, di regola nella maggior parte dei casi, la verifica del Giudice sarà limitata alla valutazione della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto di credito per il quale si chiede tutela. Poi rispetto alla cognizione piena ed esauriente c'è una differenza rispetto al tipo di prove utilizzabili perché si dice questa é un'istruttoria superficiale perché l'unico mezzo di prova ammesso é la prova scritta di cui all’Articolo 634 CPC. Quindi siamo arrivati al punto del ricorso depositato alla cancelleria del Giudice e il Giudice che esamina il ricorso. Parentesi simpatica: in alcuni uffici giudiziari, a Roma e a Milano, sulla scia di esperienze positive di altri ordinamenti europei, per esempio la Germania, é possibile effettuare la richiesta di pronuncia di un decreto ingiuntivo in via telematica; quindi facendo la richiesta e allegando la prova scritta via pdf. La professoressa per curiosità ci ha messo fra i materiali e troveremo tutte le indicazioni dei Giudici romani del Tribunale di Roma per il deposito del ricorso per ingiunzione via telematica. Queste ovviamente sono tutte informazioni supplementari che se vogliamo per curiosità possiamo consultare nei materiali; questo per farci toccare con mano quanto nella pratica questo ricorso sia utilizzato molto spesso dagli avvocati che consente guadagni di tempo rispetto alla cognizione piena ed esauriente. Rapporti tra rito e merito Ma comunque vuoi in via telematica o tradizionale noi siamo arrivati al punto della richiesta di decreto ingiuntivo avanzata al Giudice. Abbiamo detto qual è il tipo di verifica che deve compiere il Giudice, resta da fare una grossa precisazione perché, anche in questo procedimento che è sommario e si svolge inaudita altera parte, vale la regola classica del processo civile, che è la regola dei rapporti tra rito e merito. Noi ricorderemo dai nostri studi di diritto processuale civile che il Giudice prima di andare ad esaminare il merito di una controversia deve verificare se i requisiti di rito, cioè se i presupposti processuali ci sono e sono integrati. In particolare, ci ricorderemo, che esistono dei presupposti processuali - positivi cioè che ci devono essere sempre affinché il Giudice esamini la causa nel merito che sono giurisdizione e competenza, legittimazione ed interesse ad agire - e negativi che non ci devono essere affinché il Giudice esamini la causa nel merito e sono litispendenza ed esistenza di un precedente giudicato. La regola della preliminarità di rito e merito vale anche nel procedimento per decreto ingiuntivo. il Giudice deve valutare prima se sono soddisfatti i requisiti di rito, solo quando i requisiti di rito, vuoi quelli generali che conosciamo già, vuoi, attenzione, quelli speciali, del procedimento per decreto ingiuntivo e cioè che si tratti di un credito, che si tratti di un credito riguardante somme di Ma il testo di Luiso va ancora oltre e l’interpretazione che dà Luiso è discutibile perché dice : non solo il Giudice può rilevare d’ufficio la mancanza di un presupposto processuale che sarebbe riservato alla sola parte, ma può rilevare d’ufficio anche le eccezioni di merito che nel processo a cognizione piena ed esauriente sarebbero riservate alla sola parte convenuta. L’esempio che si fa, tenendo presente che qui c’è la sola prova scritta che fornisce l’istante, quindi l’unica ipotesi di eccezione di merito che verosimilmente il Giudice d’ufficio può rilevare è l’eccezione di prescrizione. Noi sappiamo che nel processo a cognizione piena ed esauriente l’eccezione di prescrizione è un’ eccezione di merito riservata alla sola parte; o la eccepisce il convenuto o il Giudice d’ufficio non può dichiarare la prescrizione del diritto. Secondo la ricostruzione di Luiso, che enfatizza al massimo la portata della pronuncia della Corte costituzionale del 2005, il Giudice potrebbe rilevare d’ufficio anche le eccezioni di merito che nel processo a cognizione piena ed esauriente sono riservate alla parte. Questo sempre per evitare al debitore di proporre opposizione semplicemente per dire che il diritto di credito è prescritto. DOMANDA DI UNO STUDENTE: L’attore non può scegliere in nessun modo il Giudice presso il quale rivolgersi? Perché se il Giudice d’ufficio potrebbe contestare la competenza significa togliere questa libertà RISPOSTA: No, l’attore può scegliere il Giudice, ma nel rispetto delle norme del cpc cioè la domanda per decreto ingiuntivo si propone al Giudice che sarebbe competente per la decisione della causa di merito instaurata ai sensi del Libro II cpc; quindi per es al giudice del luogo dove il convenuto ha il domicilio o la residenza. Se ci sono dei fori facoltativi l’attore può scegliere fra proporre la causa dinnanzi al foro generale o dinnanzi ai fori facoltativi. Quello che l’attore non può fare è proporre la domanda dinnanzi a un Giudice che sarebbe incompetente e l’esempio che abbiamo fatto,se Ragusa non ha nessun collegamento con la causa, supponiamo che Ragusa sia il luogo della residenza dell’attore e la residenza dell’attore è un criterio che viene in gioco nel processo soltanto marginalmente quando cioè siano sconosciuti il domicilio e la residenza del convenuto. Se l’istante ha la possibilità di scegliere fra il foro generale e il foro speciale, ma se l’istante sceglie di proporre la domanda davanti ad un giudice che non sarebbe competente e lo fa solo per ragioni di opportunità allora il Giudice a quel punto rileva l’incompetenza. IL RAGAZZO CHIEDE POI: Però non sarebbe una esagerazione estendere questa regola anche nella cognizione piena? RISPOSTA DELLA PROF: nella cognizione piena NON si estende mica perché si dice che il convenuto è citato in giudizio ed è diverso dall’ipotesi del procedimento per ingiunzione perché in quest’ultimo il convenuto non c’è, c’è solo una parte, mentre nel procedimento a cognizione piena il convenuto è a conoscenza della pendenza del processo, è già chiamato in gioco a quel punto perché ha ricevuto la citazione e se ha interesse sarà lui che eccepisce il difetto di incompetenza e se non lo fa (es nel caso della competenza territoriale derogabile) significa accettazione di quel Giudice. A quel punto quel Giudice che non era originariamente competente lo diventa parchè le parti hanno accettato e lo hanno voluto come Giudice. Ma questo procedimento non può funzionare nel procedimento per decreto ingiuntivo perché c’è solo un protagonista del gioco che è l’istante. PARENTESI Questa concezione ampia che troviamo nel teso di Luiso, che può essere condivisibile come non, ha però ricevuto un consenso recentemente da una pronuncia della Corte di giustizia che riguarda un caso di un consumatore ( la Professoressa non ci cita questa pronuncia della Corte di giustizia perché ne tratterà per chi vorrà al diritto processuale dell’unione europea) però dobbiamo sapere che questa ottica di protezione del soggetto debole che non è presente nel processo è un’ottica che piace a livello europeo. IL MERITO DEL RICORSO PER INGIUNZIONE Siamo nel momento in cui la domanda proposta davanti al Giudice e supponiamo che il Giudice abbia fatto questa verifica ufficiosa della sussistenza dei requisiti di rito, che abbia riscontrato che è tutto in ordine, che esiste la giurisdizione del Giudice adito e la competenza del Giudice adito e che quindi si tratta di valutare adesso il merito del ricorso per ingiunzione. Cosa può succedere? Che il Giudice letto il ricorso si rende conto che la domanda è incompleta per esempio che manca, es nel procedimento monitorio spurio, la prova scritta. In questo caso dice l’Articolo 640 prima di rigettare la domanda il Giudice contatta l’istante e lo invita a integrare la richiesta e quindi a fornire la prova scritta. Se ovviamente l’istante non ottempera alla richiesta allora questa sarà rigettata con decreto motivato. Però il rigetto della domanda per ingiunzione ha una portata praticamente nulla, non ha una portata preclusiva perché ci dice l’Articolo 640 ultimo comma: il rigetto della domanda per ingiunzione “non pregiudica la riproposizione della domanda, anche in via ordinaria”. Quindi il rigetto della richiesta di un provvedimento ingiuntivo non porta conseguenza negativa alcuna per il ricorrente, perché, se anche la richiesta è rigettata, il soggetto è libero di riproporre l’istanza, vuoi scegliendo le forme del procedimento d’ingiunzione, vuoi scegliendo le forme del procedimento del Libro II del cpc. È da notare che in virtù di questa disposizione non si distingue tra richieste in rito e richieste in merito della domanda perché tanto le conseguenze sono le stesse cioè la portata preclusiva è pari a zero, è nulla. Parentesi: ci ricorderemo che nel procedimento di cognizione di cui al libro II c’è una grossa differenza fra rigetto in rito e rigetto in merito perchè se la domanda nel processo ordinario di cognizione è rigettata in rito, quella pronuncia di rito non ha valenza preclusiva alcuna, ed è possibile riproporre la domanda. Se invece la domanda è rigettata nel merito, la valenza preclusiva c’è, eccome, e non è possibile riproporre la domanda. Tutto questo non accade nel procedimento per decreto ingiuntivo. LA PRONUNCIA DEL DECRETO INGIUNTIVO Se invece il Giudice valuta la domanda, si rende conto e verifica tutti i presupposti processuali di rito, la prova scritta è fornita e rientra nella nozione di prova scritta di cui all’art 634, allora pronuncerà un decreto ingiuntivo con il quale ACCOGLIE la domanda dell’istante. La può accogliere totalmente o parzialmente (ma questo a noi non interessa; cioè l’istanza può essere fatta per 1000 euro e il Giudice la può accogliere per 1000 euro o la può accogliere per 300). Art. 641 Se il Giudice accoglie l’istanza pronuncia un decreto con il quale ingiunge all’altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste nel termine di quaranta giorni. E poi cosa deve aggiungere? (Controlliamola negli atti on line perché interessante) Il Giudice pronuncia il decreto, intima all’ingiunto di pagare la somma nel termine di 40 giorni; questi 40 giorni diventano 50 se il convenuto risiede in un altro Stato dell’Unione europea e NOTARE che fino al 2002 la caratteristica del decreto ingiuntivo era che non poteva essere notificato al di fuori dell’Italia. Poi questo vecchio retaggio nel 2002 è stato eliminato e ad oggi, giustamente il decreto ingiuntivo può essere notificato anche in un qualsiasi altro Stato membro dell’unione europea però in questo caso, siccome l’ingiunto sta più lontano il termine per proporre opposizione è elevato da 40 a 50 giorni. Quindi si avverte l’ingiunto che nel termine di 50 giorni può fare opposizione, cioè può chiedere che il processo si trasformi in un giudizio a cognizione piena ed esauriente, e che in mancanza di opposizione si procederà ad esecuzione forzata. Anticipiamo che se l’ingiunto NON PAGA, non adempie all’ingiunzione e non fa opposizione nel termine indicato dal Giudice, il decreto ingiuntivo diviene, senza dubbio, titolo esecutivo che è uno strumento che è ciò che consente di instaurare un processo esecutivo, cioè di chiedere all’ufficio esecutivo di attivarsi per far sì che il diritto di credito sia adempiuto coattivamente. Il regolamento istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati L’art 641 che ci ha letto, prende in considerazione l’ipotesi del decreto ingiuntivo non opposto che diventa titolo esecutivo in Italia, che consente quindi di instaurare un processo esecutivo in Italia. Ora è bene che noi sappiamo che il decreto ingiuntivo non opposto, fortunatamente, ad oggi, grazie ad un regolamento, che si chiama regolamento istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, Regolamento 805/2004, (molto utile da conoscere se vorremo fare gli avvocati) che consente al decreto ingiuntivo non opposto di essere titolo esecutivo non solo in Italia, ma anche negli altri Stati membri dell’Unione europea, tranne la Danimarca. Storicamente con una sentenza di condanna italiana noi se vogliamo instaurare un processo esecutivo in Germania o in Francia dobbiamo attivarci per chiedere l’esecutività della sentenza italiana in Francia o in Germania con un procedimento che si chiama di exequatur Con questo regolamento istitutivo europeo non c’è bisogno perché il Tribunale di Torino che emette il decreto ingiuntivo rilascia la certificazione di titolo esecutivo europeo e con questa certificazione e con il nostro decreto ingiuntivo italiano noi possiamo istaurare un processo esecutivo, senza bisogno di far altro, in un qualsiasi Stato membro dell’Unione europea. Questo anche è argomento del diritto processuale dell’Unione europea, ma la Professoressa ci fa notare che per ottenere questo bellissimo risultato c’è bisogno di una accortezza aggiuntiva. Cioè c’è bisogno che si avverta il debitore non soltanto che può fare opposizione nel termine di 40 giorni • ma bisogna anche dirgli davanti a quale Giudice può fare opposizione • E che deve essere assistito da un avvocato Sono 2 requisiti semplicissimi che ci fa conoscere perché, solitamente, sebbene l’Articolo 641 ci dica che il Giudice che ingiunge di pagare entro 40 giorni avverte il debitore che se non paga deve fare opposizione e che ha 40 giorni di tempo per farlo, nella prassi, come possiamo visionare dagli atti che abbiamo nel materiale, è l’avvocato che redige il ricorso per decreto ingiuntivo e per agevolare l’opera del Giudice gli prepara già il reticolato. Cioè gli prepara anche la formula, il Tribunale accoglie il ricorso e ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni avvisandolo che se non farà opposizione entro tale termine il decreto diverrà esecutivo. Noi quando saremo avvocati se avremo l’accortezza di non riprodurre pedissequamente sempre il testo dell’articolo 641, ma di indicare anche al debitore qual è il tribunale dinnanzi al quale fare opposizione e che deve essere assistito da un avvocato avremo la possibilità di ottenere oltre a un titolo esecutivo interno anche un titolo esecutivo europeo. Proprio il tribunale di Torino, facendo notare questa mancanza, si è rifiutato di dare la certificazione come titolo esecutivo europeo a decreti ingiuntivi italiani nei quali mancava l’indicazione del Tribunale davanti al quale proporre opposizione e del fatto che era necessario avere un legale. NOTIFICA Il creditore, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, ha • 60 giorni di tempo per notificarlo al destinatario • 90 se deve essere notificato all’estero decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo? E’ evidente se la prova scritta già di per sé è un titolo esecutivo poco senso avrebbe pronunciare un decreto ingiuntivo privo di efficacia esecutiva se quel decreto è pronunciato sulla base di una prova scritta che già di per sé è titolo esecutivo. Se io creditore chiedo un decreto ingiuntivo allego una cambiale, un assegno come prova scritta, cioè atti che sono già titolo esecutivo, avrebbe poco senso dire da parte del legislatore che il decreto non ha efficacia esecutiva perché già il creditore è in grado di instaurare un processo esecutivo perché il titolo esecutivo lo ha già ed è la cambiale, ed è l’assegno. Allora voi vi chiederete perché il creditore se ha già in mano un titolo esecutivo costituito dalla cambiale o in regola con il bollo perché fa notare proprio il pensare che la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo si può concedere se la prova scritta è costituita da una cambiale, però perché la cambiale sia titolo esecutivo occorre che sia in regola con il bollo che ci sia la marca da bollo sopra. Perché il creditore può avere interesse ad instaurare un procedimento per decreto ingiuntivo quando ha già un titolo esecutivo. Questa è una domanda classica da esame di diritto processuale civile II per due ragioni: • la prima è che soltanto il decreto ingiuntivo consente l’iscrizione all’ ipoteca giudiziale; l’ ipoteca giudiziale non si può scrivere sulla base di un titolo esecutivo stra-giudiziale; • la seconda ragione e’ una ragione di resistenza in sede di processo esecutivo (cerca di spiegarsi poi avremo meglio il quadro quando parleremo del processo esecutivo). In questi giorni ci ha detto che basta un titolo esecutivo per poter instaurare un processo esecutivo, cioè colui che ha in mano un titolo esecutivo può perciò solo legittimamente instaurare un processo esecutivo e guardate che se voi leggete l’art. 474 leggete la lista dei titoli esecutivi, specie quelli stra-giudiziali vi accorgerete che il legislatore non richiede con certezza l’esistenza del diritto quando attribuisce il cartellino di titolo esecutivo stra-giudiziale, cioè basta che la cambiale sia in regola con il bollo ed è titolo esecutivo non si richiede, la cambiale in regola con il bollo non vi da certezza dell’esistenza effettiva del diritto di credito perché la cambiale potrebbe essere stata alterata, firmata fittiziamente da un soggetto facendo finta che sia stata sottoscritta da altro soggetto. Per tutte queste ragioni il legislatore fornisce uno strumento che è nel processo esecutivo che si chiama opposizione all’esecuzione, uno strumento che consente a colui che subisce un’esecuzione forzata ingiusta: legittima perché instaurata sulla base di un titolo esecutivo, ma ingiusta perché non esiste il diritto di credito per il quale si chiede la tutela in via esecutiva di proporre a questo strumento opposizione all’esecuzione facendo valere l’inesistenza del diritto di credito per cui si procede, per cui se il creditore instaura un processo esecutivo sulla base di un assegno o di una cambiale può correre il rischio che l’esecutato si avvalga dello strumento di opposizione all’esecuzione per dire il credito non esiste perche è vero che c’è la cambiale, ma io ho pagato, oppure il credito non esiste perchè la cambiale c’è ed è in regola con il bollo, ma io non sono colui che l’ha sottoscritta, possono essere anche affermazioni pretestuose, ma ciò non toglie che se così fosse il creditore sarebbe comunque costretto a subire il giudizio di opposizione all’ esecuzione. Se invece il creditore ottiene un decreto ingiuntivo noi vedremo oggi che il decreto ingiuntivo non opposto ha la stessa efficacia di una sentenza passata in giudicato. Quindi il credito risultante dal decreto ingiuntivo non può più essere contestato con l’opposizione all’esecuzione dicendo: A_il credito non esiste B_ io ho pagato durante il corso del procedimento per ingiunzione. Tutte queste censure non possono più essere fatte perché, una volta che è intervenuto il giudicato, questo ultimo accerta in maniera inconvertibile l’esistenza di un diritto e l’esistenza di quel diritto non può più essere rimessa in discussione se non facendo valere i fatti sopravvenuti. Quindi non è possibile se voi utilizzate un titolo esecutivo, una sentenza di condanna passata in giudicato o un decreto ingiuntivo non opposto (che vedremo ha la stessa valenza) l’esecutato non potrà dire che la sentenza è ingiusta e che il giudice ha sbagliato, non ha valutato una prova. Sono censure che l’interessato doveva far valere nel processo di cognizione, non l’ha fatto si è formato il giudicato pazienza quell’accertamento ormai è incontrovertibile e neppure poteva dire che ha pagato durante il corso del giudizio di appello però non ho allegato in giudizio la prova dell’avvenuto pagamento pazienza, imputet sibi al debitore. Sono tutte censure che non possono più essere fatte valere una volta che si è formato il giudicato quindi capite bene che per un creditore è meglio avere un decreto ingiuntivo da usare come titolo esecutivo piuttosto che un titolo esecutivo stra-giudiziale ecco perché il legislatore dà al creditore da la possibilità di chiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo anche se già munito di una prova scritta che di per sé varrebbe come titolo esecutivo. Quindi guardate di questo atteggiamento il legislatore c’è prova all’articolo 641 ultimo comma del codice di procedura civile. Questo articolo 641 ultimo comma nella sua versione originaria diceva che nel pronunciare il decreto ingiuntivo il giudice liquida le spese e le competenze. Aggiungeva la norma: “nel decreto, eccetto il decreto ingiuntivo emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni”. Cioè la versione originaria del 42 diceva che il giudice, quando pronuncia il decreto ingiuntivo, liquida le spese giudiziali tranne per i casi in cui il decreto ingiuntivo è emesso sulla base di una prova scritta che già costituisce titolo esecutivo. Questa era una disposizione di sfavore per il creditore precedente, tanto è vero che sarà dichiarata incostituzionale. Con sentenza numero 303 del 31 dicembre 1986 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo questo articolo 641 terzo comma proprio nella parte in cui non consente la liquidazione delle spese e delle competenze all’istante che abbia già a proprio favore un titolo esecutivo e con questa pronuncia la Corte Costituzionale ha espressamente riconosciuto che anche il creditore che è già munito di un titolo esecutivo stra-giudiziale può avere interesse ed utilità a chiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo e per questo deve essere tenuto indenne dal pagamento delle spese giudiziali. Quindi in questi casi l'esecuzione provvisoria è obbligatoria, il giudice non ha margini di discrezionalità. • ESECUTIVITA’ PROVVISORIA FACOLTATIVA F 0E 0 la seconda fattispecie è quella disciplinata dal secondo comma dell'articolo 642: “l'esecuzione provvisoria può essere concessa anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere; il giudice può imporre al ricorrente una cauzione. In tali casi il giudice può anche autorizzare l'esecuzione senza l'osservanza del termine di cui all'art. 482.” Riguarda ipotesi residuali, cioè i casi di decreto ingiuntivo pronunciato su una prova scritta che non sia di per sè il titolo esecutivo stragiudiziale e l'ipotesi di procedimento monitorio spurio, quindi l'ipotesi in cui il decreto può essere pronunciato senza necessità, che sia allegato ad una prova scritta. In questi casi, vi dice il legislatore: l'esecuzione provvisoria può essere concessa anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazioni ulteriori,sotto ipotesi, o se il ricorrente presenta documentazioni sottoscritte dal debitore, comprovante il diritto fatto valere. Allora, io mi vorrei soffermare con voi sulla prima ipotesi, cioè l'esecuzione provvisoria può essere concessa anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo. Domanda della prof:Vi ricorda qualche istituto a voi noto l' espressione "se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo?" studenti: "in campo penale" la prof risponde:"esatto" La scelta del legislatore del 42 è quasi cautelare, cioè la valutazione che fa il giudice che pronuncia il decreto ingiuntivo, quando decide se concedere o meno la provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo, in queste fattispecie è quasi cautelare, cioè deve valutare se il periodo necessario, se l'attesa del periodo della scadenza per proporre opposizione potrebbe pregiudicare le ragioni del creditore. Qui ovviamente, anche in questo caso, è necessario che vi sia l'istanza di parte affinchè il giudice pronunci/dichiari la provvisoria esecutività, istanza di parte che sarà 99% posta in essere nel momento in cui è presentato il ricorso introduttivo. Ora noi supponiamo che abbiamo un decreto ingiuntivo, non ci interessa se è stato dichiarato provvisoriamente esecutivo oppure no, ci interessa invece di vedere cosa accade alla scadenza del termine fissato all'ingiunto per proporre opposizione; Si possono verificare 3 ipotesi: 1. quella più felice, l'ingiunto adempie spontaneamente: paga quanto dovuto e il discorso si chiude; il diritto di credito è soddisfatto e non c'è bisogno di procedere oltre; 2. l'ingiunto non propone opposizione nei termini; 3. l'ingiunto propone opposizione; Se l'ingiunto non propone opposizione nel termine, che abbiamo visto essere di 40 giorni se il decreto ingiuntivo deve essere notificato in Italia, 50 giorni se in uno Stato membro dell'Unione Europea, 60 giorni in uno Stato terzo; se l'ingiunto non propone opposizione, l'art. 467 dice: "il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza, anche verbale, del creditore cioè del ricorrente, dichiara il decreto ingiuntivo esecutivo"; prima di far ciò (prima di dichiarare il decreto ingiuntivo esecutivo) si deve sincerare che la mancata opposizione del convenuto sia, come dire, volontaria e non sia dovuta al fatto che magari l'ingiunto non sia venuto a conoscenza del decreto ingiuntivo per un vizio di notifica, infatti la norma ci dice: "il giudice deve rinnovare la notificazione quando gli risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto". Se al giudice sembra che il silenzio dell'intimato sia dovuto non alla sua volontà, diciamo, di non contestare il credito a tutela del quale è stato concesso il decreto, ma semplicemente, a mancata conoscenza del decreto ordinerà la rinnovazione della notifica, se, invece, gli risulta essere tutto regolare, se c’è istanza del ricorrente, cioè del creditore, dice la norma:dichiara esecutivo il decreto. Ora non c’è dubbio quindi, perché lo dice il legislatore che una volta scaduto invano il termine per proporre opposizione al decreto ingiuntivo il decreto acquista efficacia; anche se non era stato dichiarato provvisoriamente esecutivo acquista per la prima volta efficacia esecutiva; se era stato dichiarato provvisoriamente esecutivo questa efficacia provvisoria si consolida, diventa definitiva. Questa preclusione pro iudicato in che consiste? Innanzitutto scordatevi che produca effetti sui diritti dipendenti, quindi questa preclusione non tocca i diritti dipendenti, non coinvolge l’antecedente logico necessario, questi due effetti , che Luiso chiama a monte e a valle, sono esclusi. La preclusione pro iudicato impedisce al debitore soltanto di proporre un’azione di natura restitutoria. La preclusione pro iudicato serve solo per dire: il destinatario del decreto ingiuntivo non può pagare, adempiere al decreto ingiuntivo e poi chiedere al creditore la restituzione di quanto pagato. Questa è la preclusione pro iudicato: impedisce al debitore la sola azione di natura restitutoria che tende a privare il creditore della somma o del bene che gli è stato attribuito, nulla di più. Per farvi un esempio: se il decreto ingiuntivo l’avevo chiesto io, per ottenere la somma che mi spettava a titolo del lavoro,la tredicesima che il datore di lavoro non mi aveva corrisposto, seconda la tesi delle preclusione pro iudicato, se il datore di lavoro non propone opposizione al decreto ingiuntivo, quel decreto ingiuntivo non opposto certamente non accerta con efficacia in giudicato e la valida esistenza del rapporto di lavoro, serve solo per dire se il datore di lavoro mi corrisponde quanto dovuto poi non può proporre un processo per dire: “io ho dato 1000 euro a titolo di tredicesima alla professoressa D’alessandro non gli erano dovuti, li rivoglio.” Questa è la preclusione pro iudicato, serve solo a garantire al creditore di mantenere ciò che ha tenuto. Nessuna efficacia di accertamento a monte o a valle. Questa soluzione, però, ormai è stata superata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Ormai si dice: no, anche il decreto ingiuntivo non opposto ha esattamente gli stessi effetti di una sentenza passata in giudicato, quindi fa stato sull’esistenza del diritto di credito per il quale il decreto ingiuntivo fu chiesto e ottenuto, questo accertamento si estende ad eventuali diritti dipendenti ed eventualmente accetta anche l’antecedente logico necessario. E perché? Come è possibile questo se il decreto ingiuntivo è emesso all’esito di un procedimento sommario inaudita altera parte? si dice che: • le garanzie del giusto processo sono rispettate comunque perché l’ingiunto se avesse voluto, poteva fare opposizione e con l’opposizione avrebbe ottenuto tutte le garanzie della cognizione piena ed esauriente, • se non l’ha fatto, (imputet sibi), il legislatore la possibilità di giovarsi della garanzia di cognizione piena ed esauriente gliel’ha date e quindi c’erano tutti i meccanismi per evitare che si formasse il giudicato all’esito di una fase sommaria; se questi meccanismi non si sono utilizzati pazienza, il provvedimento avrà efficacia di giudicato. Questo è l’argomento classico che la dottrina e la giurisprudenza,trovate su qualsiasi manuale a sostegno di questa tesi, che è quella attualmente prevalente, cioè non c’è contrasto con i principi del giusto processo perchè basta semplicemente che l’ingiunto si opponga e le garanzie del giusto processo sono ripristinate alla cognizione piena ed esauriente e tutto quanto ne segue. Chi di voi studia sul testo di Luiso, vedrà che il manuale aggiunge un ulteriore argomento a sostegno di questa tesi, un argomento recente che richiama l’art.702 quater del codice di procedura civile (vi ricorderete questo articolo al procedimento sommario di cognizione). L’art.702 quater afferma che l’ordinanza emessa all’esito di un giudizio sommario di cognizione, se non è violata, produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato. Si richiama infatti l’art. 2909 del codice di procedura civile e quindi, sostiene Luiso nel manuale, l’art.702 quater è un’ulteriore dimostrazione. Se ve ne fosse bisogno, poi ne abbiamo un’altra di carattere testuale, la terza, ma ora vediamo questa, del fatto che ben può formarsi un giudicato all’esito di un giudizio sommario; e poi io direi che c’è una prova schiacciante che va contro la tesi di Redenti e della preclusione pro iudicato, difficilmente confutabile,che è l’art.656 del codice di procedura civile e sono le impugnazioni (ora sospendo ma finisco il discorso altrimenti rimaniamo a metà) verso il decreto ingiuntivo non opposto. Allora, verso il decreto ingiuntivo non opposto, vi dice l’art.656, si può proporre la revocazione e, cosa che a noi interessa, l’opposizione di terzo nei casi previsti dall’art. 404 2 comma del codice di procedura civile. Cioè si può proporre l’opposizione di terzo revocatoria. Ora voi vi ricorderete che l’opposizione di terzi revocatoria quando può essere proposta? (Vi leggo la norma) Chi la può proporre? Gli aventi causa e i creditori di una delle parti; però signori scusate, se gli aventi causa può proporre opposizione di terzi verso il decreto ingiuntivo, vuol dire che la cosiddetta efficacia a valle, l’efficacia riflessa,l’efficacia nei confronti degli aventi causa c’è l’ha anche il decreto ingiuntivo perché altrimenti che bisogno c’era di prevedere la possibilità di proporre opposizione di terzo revocatoria ,ed è questo dato testuale, oltre agli altri due, ma soprattutto a questo, che rende veramente debolissima e infatti è stata superata la tesi di Redenti a memoria della preclusione proiudicato, che però io vi ho richiamato perché in alcuni manuali, se vi capiterà in alcuni studi futuri di consultare qualche altro manuale, viene adottata, (ma sono manuali di nicchia, diciamo così),questa tesi di Redenti, che però, vi ripeto, è sconfessata dal legislatore. C’è la pausa e alcune domande degli studenti che però non si sentono bene. -chi non ha ancora fatto procedura civile 1 può comunque fare l’esonero? Risposta: a vostra discrezione, qui ci sono dei concetti base che dovreste già sapere dallo studio precedente. Per me non ci sono problemi. -per i cambi corso? Fino a 50 posso prenderne, io non ho problemi a prenderne anche di più ma il problema è della segreteria, provate a sentire voi cosa vi dicono in segreteria. Capite che se siete in 40-50-60 va bene ma se siete più di 100 diventa un problema..proviamo a mandare una mail con i nomi di quelli che effettivamente vorrebbero chiedere il cambio. -lei riceve il martedì dalle 10 alle 12 in dipartimento? Si, io pensavo al limite di poter ricevere anche il giovedì ma non si può, al massimo facciamo un ricevimento collettivo cerco di chiedere l’auletta e 1’ora. -potrebbe fare poi un foglio con tutti gli argomenti fatti a lezione cosi possiamo utilizzarlo per il ripasso? Si. Fin qui c’è il giudicato,presupposto processuale,giurisdizione, competenza,la giurisprudenza,le successioni nel diritto,processione del diritto controverso è fatto molto bene nel Luiso, potrei ance portarvi le fotocopie solo di questo. Possiamo metterli anche sul materiale del corso. Ecco la successione del diritto controverso ve la metterei volentieri. -i manuali del Luiso? Procedimenti di procedura civile il volume 3processo esecutivo e 4procedimenti sommari.(libro della Giuffrè con la copertina giallo canarino). - il primo esonero non vincola il secondo Questo è quello che sono riuscita a sentire. Precisazione: mi è stato chiesto di inserire sui materiali disponibili un elenco degli argomenti di diritto processuale civile I da ripassare. oltre a questo (che farò tra oggi e domani)uno degli argomenti da ripassare la successione nel diritto controverso: vi metterò le pagine del libro di Luiso. Ci eravamo lasciati prima dell’intervallo illustrandovi le 3 alternative a fronte di un decreto ingiuntivo ricevuto: adempimento, silenzio, opposizione. Avevamo esaminato i primi due casi ci resta da vedere cosa succede nelle ipotesi in cui l’ingiunto decide di proporre opposizione al decreto ingiuntivo. Già ci siamo detti che nel momento in cui propone opposizione al decreto ingiuntivo l’ingiunto fa sì che il processo si trasformi e da processo a cognizione sommaria diventi un giudizio a cognizione piena ed esauriente. L’art 645 ultimo comma del codice di procedura civile che si occupa proprio dell’opposizione al decreto ingiuntivo vi dice che se è proposta opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, cioè secondo le norme della cognizione piena ed esauriente. Sempre dai vostri studi diritto processuale sapete che esistono due forme di giudizio pieno ed esauriente: • il rito ordinario articoli 163 e seguenti del codice di procedura civile; • il rito del lavoro articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile. L'opposizione a decreto ingiuntivo che rito segue? Dipende se il credito per il quale è stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo è un credito che deriva da una controversia di lavoro (esempio il diritto alla tredicesima) in quel caso il giudizio di opposizione si svolgerà nelle forme del rito del lavoro cioè riprendono vigore le regole ordinarie, se il diritto è un diritto che va soggetto al rito del lavoro l'opposizione si svolgerà nelle forme del rito del lavoro. Se invece è un diritto che va soggetto al rito ordinario di cui al libro secondo, art 163 e seguenti l’opposizione si proporrà e proseguirà nelle forme degli art. 163 e seguenti del codice di procedura civile. Quindi quando leggete l’art 654 primo comma fate attenzione perché la norma dice che l’opposizione si propone con atto di citazione, e potreste ad una lettura superficiale essere portati a dire che l’opposizione al decreto ingiuntivo si propone sempre con atto di citazione ma non è corretto perché se il credito per il quale è stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo è un credito derivante da uno dei rapporti di cui art 409 e seguenti o 447 e seguenti, l’opposizione si propone non con citazione ma con ricorso. quindi dovete correggere con l’interpretazione il testo dell’art 645 1 comma del codice di procedura civile, con il secondo comma dell’art. 645 dovete correggere il portato del primo comma. Che tipo di giudizio è il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo? Non è un giudizio di impugnazione, l'oggetto del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo non è un esame degli eventuali vizi del decreto ingiuntivo ma è viceversa una fase a cognizione piena ed esauriente nella quale si va accertare se il diritto a tutela del quale è stato pronunciato il decreto ingiuntivo esiste o non esiste. Quindi è un giudizio a cognizione piena ed esauriente che ha ad oggetto l'accertamento dell'esistenza di un diritto. Soltanto che la circostanza che questa fase di opposizione segua alla pronuncia del decreto ingiuntivo fa sì che questo giudizio che ha un ordinario giudizio di cognizione, abbia una struttura impugnatoria: non è un'impugnazione ma partecipa di alcune caratteristiche tipiche delle impugnazioni, in particolare ve ne segnalo due: a) la prima: come l'appello e il ricorso in cassazione l'opponente deve allegare il decreto ingiuntivo che gli è stato notificato: questa è una caratteristica tipica delle impugnazioni. b) la seconda caratteristica del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo frutto della sua struttura impugnatoria è che se l'opposizione non è proposta nei termini oppure se è proposta nel termine cioè 40 giorni e tuttavia il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo si estingue (per rinuncia agli atti o inattività delle parti) il decreto ingiuntivo opposto consolida i suoi effetti. Queste sono le due caratteristiche peculiari del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. Di solito se c'è un ordinario giudizio di cognizione se il giudizio di cognizione si estingue si potrà Ma qui chi la propone allora? Nel caso di opposizione al decreto ingiuntivo l’opponente è sì chi propone la domanda ma non è il titolare del diritto per il quale occorre tutela giudiziale. Allora è l’opponente che ha l’obbligo di proporre il tentativo obbligatorio di mediazione o l’opposto? Colui che è onerato nel proporre il tentativo obbligatorio di mediazione è l’opponente, sebbene l’opponente non sia il titolare del diritto oggetto di quel processo, perché se poniamo a carico dell’opposto l’obbligo di instaurare il tentativo di mediazione lui avrebbe gioco facile nel non instaurarlo con ciò causando l’improcedibilità del giudizio di opposizione e con ciò determinando la chiusura in rito del giudizio di opposizione e il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo. Nei casi che ho messo sul sito trovate una sentenza (del tribunale di Varese) e l’estensore segue una tesi diversa dalla sua. La sua è una delle due proposte. Io vi ho messo il caso e la sentenza che aiuta a risolvere il caso e nel provvedimento che vi ho messo il giudice arriva a una diversa soluzione, dice: la domanda di mediazione deve essere proposta dall’opposto perché è lui il titolare del diritto in giudizio; se non lo fa la conseguenza non è la chiusura in rito della sola fase di opposizione, è l’improcedibilità di tutto il giudizio, cioè cade anche il decreto ingiuntivo. LEZIONE 3 (8/10/2012) La settimana passata avevamo analizzato il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e ci siamo detti che il diritto di opposizione al decreto ingiuntivo è un giudizio dove l’iniziativa processuale è rovesciata perché l’opposto,diversamente da quanto accade di regola nel processo di cognizione, - l’opposto è: colui che ha interesse a dimostrare che il diritto per il quale viene ottenuto un decreto ingiuntivo esiste e quindi sarà colui che ha l’onere di allegare e trovare i fatti costitutivi del diritto a tutela del quale è stato concesso il decreto ingiuntivo, mentre - l’opponente è: colui che vuol dimostrare che quel diritto non esiste, dunque sarà colui che ha l’onere di allegare e provare in giudizio i fatti costitutivi , modificativi o impeditivi del diritto a tutela del quale era stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo. Ci siamo? Poi va detto che questo è un giudizio in opposizione a decreto ingiuntivo è un giudizio a cognizione piena ed esauriente che ha ad oggetto l’accertamento dell’esistenza del diritto a tutela del quale era stato pronunciato il decreto ingiuntivo e ci siamo detti ancora che è un giudizio a cognizione piena ed esauriente che non è una impugnazione del decreto ingiuntivo , però vi ricordate, avevamo detto che è un giudizio che ha una struttura impugnatoria e avevamo visto quali sono le caratteristiche di questa struttura impugnatoria , per esempio deve essere allegato il decreto ingiuntivo, per esempio, avevamo visto, che se il giudizio di opposizione si estingue, il decreto ingiuntivo diventa esecutivo. La stessa cosa succede, lo vediamo oggi, cioè il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo se l’opponente non si costituisce oppure si costituisce tardivamente. Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, oltre ad accertare se esiste il diritto a tutela del quale il giudizio ingiuntivo era stato concesso, nel contesto di un giudizio a cognizione piena ed esauriente, è possibile effettuare 2 attività e si effettuano nelle battute iniziali del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, ovvero sia, se il decreto ingiuntivo era stato dichiarato provvisoriamente esecutivo(vi ricordate che avevamo detto che il decreto ingiuntivo di per se, quando viene pronunciato, non è esecutivo però l’istante può chiedere la declaratoria di provvisoria esecutività) ,nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ovviamente l’opponente potrà chiedere che il decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo veda sospesa la sua efficacia esecutiva, prevede quindi la sospensione dell’esecuzione provvisoria conferita al decreto ingiuntivo;per contro, quindi così come l’opponente può chiedere la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, per contro l’opposto potrà chiedere che il decreto ingiuntivo, che in precedenza non ne era munito, si è dichiarato provvisoriamente esecutivo, quindi in questo secondo caso noi abbiamo un decreto ingiuntivo che nella fase sommaria non era stato dichiarato provvisoriamente esecutivo, evidentemente non ricorrevano i presupposti di cui all’art.642 del codice di procedura civile e in questa fase, cioè nella fase di opposizione, può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo. Quand’è che può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo? Vi leggo l’art.648 (la cui formulazione non è proprio chiarissima):il giudice istruttore, se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione può concedere l’esecuzione provvisoria del decreto qualora non sia già stata concessa. Il giudice può anche concedere l’esecuzione provvisoria e parziale, ma a noi interessa stabilire che cosa significa il giudice istruttore, se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione? Allora, la regola per capire quale giudice può concedere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo che in precedenza non ne sia munito è sempre la seguente, se avete presente questa regola vi ricordate anche l’art.648: il giudice può concedere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo tutte le volte in cui il giudizio a cognizione piena, cioè a quello di opposizione, va a beneficio dell’opponente, quindi tutte le volte in cui, ora faccio l’esempio, l’opponente beneficia della durata di questo giudizio a cognizione piena ed esauriente, cioè vedete che il legislatore si trova sempre a bilanciare due interessi contrapposti: -da un lato, c’è l’esigenza dell’opponente di vedere accertata in sede di cognizione piena ed esauriente l’inesistenza del diritto a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto un giudizio ingiuntivo -dall’altro lato, c’è l’opposto , colui che si afferma titolare del diritto di credito, il quale non deve vedere pregiudicate le due sue ragioni per il tempo che serve al giudizio a cognizione piena ed esauriente per arrivare alla conclusione. Quindi il legislatore dice:” se della durata del processo di cognizione beneficia in prima battuta, essenzialmente(anzi direi) l’opponente allora è possibile la concessione della provvisoria esecutività del decreto”, perché la norma dice:se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, ciò significa che l’opponente propone opposizione quindi contesta l’esistenza del diritto per il quale è stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo, come la contesterà? Ipotesi: 1-contesta l’esistenza dei fatti costitutivi allegati dal creditore (dice :non esiste il fatto costitutivo del diritto di credito) Oppure 2- allegherà fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto di credito a tutela del quale è stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo Ma non basta, come voi sapete, allegare in giudizio i fatti per vincere il processo, bisogna provarli e in questo caso preso in considerazione dall’art.648 l’opponente non ha una prova scritta o di pronta soluzione ,di pronta soluzione vuol dire che è una prova costituenda che si può acquisire nell’ambito della stessa udienza, questa è la definizione che da qualche autore in dottrina, ma diciamo, di pronta soluzione, quindi una prova costituenda che può essere esperita li seduta stante (casi direi, se vi ricordate i vostri studi di diritto processuale civile, casi essenzialmente, direi, quasi inesistenti, mi spingerei a dire, tanto è vero che se voi studiate sul manuale di Luiso e mi pare anche sul Mandrioli, non la danno questa definizione di pronta soluzione, soltanto un manuale (14.45) che appunto da questa definizione di pronta soluzione, cioè prove costituende che possono essere acquisite hic et nunc, in quella stessa udienza). A voi basta ricordare la regola generale: se l’opponente non ha,a suo favore, delle prove scritte,quindi, delle prove che si formano fuori dal processo, che non rubano e che non fanno spendere attività processuali , le prove che si formano fuori dal processo devono semplicemente essere allegate, in questi casi l’opponente avrà bisogno di effettuare richieste istruttorie, dovrà mettere in moto il meccanismo dell’istruttoria del processo a cognizione piena ed esauriente, quindi è l’opponente che beneficia della durata del processo e dunque il giudice può, per bilanciare contrapposti interessi, se lo ritiene opportuno,dichiarare il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Domanda di uno studente: “Professoressa scusi ma non ho capito una cosa:in che modo la provvisoria ?(15.58) può essere a favore dell’opponente?” Professoressa:”no del….” Studente:”no perché lei ha parlato di opponente o almeno io ho capito cosi” Professoressa:”scusate io ho detto opponente?” decreto ingiuntivo si consolida, diciamo così,quindi, non soltanto il decreto ingiuntivo diventa esecutivo, ma acquista anche la stessa efficacia di accertamento di una sentenza passata in giudicato. Completamente diversa e opposta è l’ipotesi dell’accoglimento in rito dell’opposizione al decreto ingiuntivo perché in questo caso, se il giudice accoglie il rito dell’opposizione al decreto ingiuntivo,vuol dire che ha verificato che manca un presupposto processuale positivo, ma non della fase di opposizione al decreto ingiuntivo, un presupposto processuale generale , la giurisdizione del giudice italiano, la competenza del giudice adito oppure accerta che esiste un presupposto processuale negativo, c’era già un precedente giudicato che aveva sancito l’inesistenza del diritto di credito a tutela del quale è stato chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo; in questi casi quindi, quando manca un presupposto processuale generale,quindi che riguarda non solo la parte dell’opposizione ma anche la pregressa fase sommaria, il decreto ingiuntivo non può rimanere in piedi perché mancava un presupposto processuale generale e positivo, non c’era la giurisdizione del giudice italiano, non c’era la competenza del giudice che ha pronunciato il decreto ingiuntivo, esisteva un precedente giudicato e quindi, in questo caso, il giudice accoglie il rito d’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo precedentemente emesso. Terza ipotesi, il giudice esamina nel merito l’opposizione a decreto ingiuntivo e in questi casi, se passa all’esame del merito,significa (lei della seconda fila che ha fatto la domanda)che esiste il presupposto processuale positivo, quindi, a differenza dell’accoglimento del rito, qui, se il giudice passa l’esame nel merito, vuol dire che i presupposti processuali positivi li ha ritenuti tutti esistenti e ha ritenuto,che manchino quelli negativi. Quello che l’aveva indotto in prima battuta in errore è il fatto che ,essendo un giudizio ad iniziativa processuale invertita,l’accoglimento in rito significa che manca il presupposto processuale. Posso procedere o c’è qualche dubbio? Il giudice, in questi casi, riscontrato che esistono tutti i presupposti processuali positivi, mancano quelli negativi, passa all’esame nel merito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con una eccezione , c’è una ipotesi in cui il giudice ritiene che non possa,anche se esistono tutti i presupposti processuali positivi e mancano quelli negativi, non possa comunque scendere all’esame nel merito del giudizio di opposizione, cioè andare a verificare se esiste il diritto ,a tutela del quale,era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. Qual è questo caso? È il seguente: quando avevamo parlato del decreto ingiuntivo, vi avevo detto che se il decreto ingiuntivo non è notificato entro il termine di 90 giorni perde efficacia e poi avevo detto che , se però il decreto ingiuntivo è notificato o comunque all’ingiunto, dopo il termine di 90 giorni, quindi tardivamente,la giurisprudenza ritiene che non sia possibile agire per farle dichiarare inefficaci, ma sia necessario proporre opposizione al decreto ingiuntivo per contestare il fatto che il decreto ingiuntivo è stato notificato fuori termine (vi ricordate che ne avevamo parlato). Quindi secondo la giurisprudenza se il decreto ingiuntivo è notificato fuori termine lo strumento che si utilizza per far valere questo vizio è, che si deve utilizzare per valere questo vizio è l’opposizione a decreto ingiuntivo. In questo caso però il giudice non passa mai all’esame del merito del giudizio, non valuta mai se esiste il diritto a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, si limiterà come dire a caducare il decreto ingiuntivo constatando che la notifica è avvenuta fuori termine e perché non passa mai ad esaminare se esiste il diritto a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. Domanda di una ragazza: Sarebbe superfluo? Risposta professoressa: Sarebbe un vantaggio ulteriore per i creditori, per colui che ha ottenuto il decreto ingiuntivo, perché per legge mi si dice che se tu non lo notifichi entro 90 giorni perde efficacia, lo notifico oltre i 90 giorni costringo l’ingiunto a proporre opposizione per dire guardate che qui c’ è un vizio procedurale, perché questo decreto è stato notificato fuori termine e doveva essere dichiarato inefficace. Se si consentisse al giudice di procedere all’esame nel merito ad accertare se esiste in sede di condizione piena ed esauriente quel diritto, si tratterebbe il decreto ingiuntivo notificato fuori termine come quello notificato in termine, ci sarebbe una sorta di sanatoria e questo il legislatore non lo vuole, vuole semplicemente che il decreto ingiuntivo notificato fuori termine ultimo, fuori tempo massimo, sia caducato; ma non vuole che si vada ad accertare in condizione piena ed esauriente se, questo non lo vuole il nostro ordinamento, la giurisprudenza è chiarissima a questo proposito, perché se così fosse sarebbe parificata l’efficacia del decreto ingiuntivo pronunciato e notificato in termine con quella del decreto ingiuntivo pronunciato e notificato invece fuori termine e dunque da considerare inefficace. Fuori però dell’ ipotesi, questa ipotesi peculiare del decreto ingiuntivo notificato fuori termine il giudice se riscontra l’esistenza di tutti i presupposti processuali positivi e la mancanza di quelli negativi va ad accertare se esiste o meno il diritto di credito a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. Che ipotesi possono verificarsi? Prima ipotesi l’opposizione è accolta, seconda ipotesi l’opposizione è rigettata. Se l’opposizione è accolta significa che il giudice ha già accertato, se l’opposizione è accolta nel merito, significa che il giudice ha accertato che non esiste il diritto a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. A quel punto quindi l’efficacia del decreto ingiuntivo ovviamente caducato, perché il provvedimento giurisdizionale che, passato tra le due parti, è ovviamente da quel momento la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, la sentenza che dichiara che il diritto di credito a tutela del quale è stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo non esiste. Quindi questa è un’ipotesi abbastanza semplice da comprendere. Un po’ più difficile è un’ipotesi in cui invece l’opposizione sia rigettata nel merito, se l’opposizione è rigettata nel merito significa ovviamente che il giudice ha ritenuto esistente a letto di una valutazione compiuta in sede di giudizi a condizione piena ed esauriente, il giudice ha ritenuto esistente il diritto a tutela del quale era stato chiesto ed ottenuto il provvedimento sommario. Ora l’art.653 del codice di procedura civile dice che se l’opposizione viene rigettata con sentenza passata in giudicato provvisoriamente esecutiva, il decreto che non ne sia già ammonito acquista efficacia esecutiva; quindi non c’è dubbio perché ce lo dice il legislatore che se l’opposizione è rigettata nel merito, quindi se si accerta che il diritto a tutela del quale era stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo effettivamente esiste come titolo esecutivo si utilizzerà il decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo che non ne sia già ammonito acquista efficacia esecutiva, se l’opposizione al decreto ingiuntivo è rigettata totalmente nel merito; se invece l’opposizione è rigettata parzialmente o accolta parzialmente, dipende da come volete vedere la situazione da un punto di vista o dall’altro ( cioè se il decreto ingiuntivo era stato concesso per 1000 e il giudice a letto di condizione piena ed esauriente si è convinto che il credito esiste, ma non è di 1000, ma 500 allora in quel caso il titolo esecutivo che è di rigetto, di accoglimento parziale chiamatela così, in quel caso il titolo esecutivo è costituito dalla sentenza e non più dal decreto ingiuntivo). Ma se invece come ho fatto l’esempio prima il rigetto dell’opposizione è totale il giudice accerta che il credito esiste effettivamente per la somma di 1000, quella è la somma per cui era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, ecco in questo caso ci dice l’art.653 che il titolo esecutivo è costituito dal decreto, ma il titolo esecutivo è sicuramente costituito dal decreto e non c’è dubbio; ma l’accertamento incontrovertibile dell’esistenza del diritto di credito è quello costituito nella sentenza o quello nel decreto? è quello contenuto nella sentenza. L’art.653 ci dice soltanto qual’è il provvedimento che vale come titolo esecutivo, ma l’accertamento incontrovertibile dell’esistenza del diritto di credito è quello contenuto nella sentenza, che differenza c’è tra i due casi? C’è una differenza pratica perché voi sapete che esistono dei limiti cronologici del giudicato, che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, quindi tutti i fatti che potevano essere spesi nella sede della condizione piena ed esauriente e non lo sono stati, non potranno più essere spesi in un altro giudizio a condizione piena ed esauriente. Cioè per capirsi che differenza c’è nel dire “ l’accertamento si forma sul decreto ingiuntivo o si forma sulla sentenza conclusiva del giudizio di opposizione?” La seguente differenza :il decreto ingiuntivo è stato pronunciato 1 maggio 2012 , l’opposizione 1 maggio 2013, se io che sono il debitore pago il 1 gennaio 2013, quindi quando ancora in corso il giudizio di opposizione e siccome sono un debitore distratto mi dimentico di allegare e provare di allegare e provare la circostanza in un giudizio. Se l’accertamento si forma facendo riferimento ai limiti cronologici della sentenza conclusiva del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo io quell’avvenuto pagamento non lo posso più fare valere e neppure con lo strumento che conoscerete poi dell’opposizione al decreto ingiuntivo perché il legislatore mi dice “ esiste la preclusione del dedotto e del deducibile”; tu se volevi potevi, avevi la possibilità di allegare quel pagamento in sede d’opposizione al decreto ingiuntivo ,non l’hai fatto? le conseguenze sono tutte tue. Se invece l’ accertamento si forma sul decreto ingiuntivo capite bene che questo pagamento avvenuto al 1 gennaio 2013 restava fuori dai limiti cronologici di efficacia del decreto ingiuntivo; però la soluzione prevalente e universalmente adottata è che mentre il titolo esecutivo è costituito dal decreto ingiuntivo, l’accertamento è quello contenuto nella sentenza conclusiva del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, è anche logico che sia così proprio per la ragione che ci siamo detti perché in sede di opposizione al decreto ingiuntivo c’è ancora spazio per allegare e provare eventuali fatti impeditivi,ostativi ed estensivi del diritto di credito. Quindi tenete a mente questa lettura correttiva dell’artt.653 primo comma c.p.c. Se l’opposizione al decreto ingiuntivo è rigettata, il titolo esecutivo è il decreto ma l’accertamento dell’esistenza del diritto di credito è fissato nel momento in cui si chiude il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e suppongo per facilità vostra che il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo si chiuda in primo grado senza eventuali appelli o ricorsi per Cassazione .Come sapete: se c’è l’appello si posticipa ancora più aventi, per capire quali sono i limiti cronologici della decisione bisogna far riferimento per le sopravvenienze in fatto non più alle sentenze di conclusione di primo grado, ma al giudizio di appello (vi ricordate le regole dei limiti cronologici del giudicato? Ma a noi non interessa ripassarle, perché quello che ci viene chiesto è ricordare che l’accertamento è fissato dalla sentenza conclusiva del giudizio di opposizione, quindi valgono i limiti cronologici di efficacia di quella sentenza conclusiva. Restano da vedere quali sono gli altri mezzi per aggredire il decreto ingiuntivo non opposto. Se l’opposizione al decreto ingiuntivo è rigettata totalmente la norma dice che l’art.653 che il titolo esecutivo (cioè lo strumento che si utilizza per instaurare un processo esecutivo) è il decreto ingiuntivo, però a noi interessa oltre a quello oltre a sapere qual’ è il titolo esecutivo, lo strumento, il documento che va presentato all’ufficio esecutivo per instaurare un processo esecutivo, A noi interessa anche sapere qual’ è il momento temporale a cui far riferimento, l’accertamento incontrovertibile dell’esistenza del diritto fatto oggetto del giudizio di opposizione, perché esiste una regola nel diritto processuale civile che è la preclusione del dedotto e del deducibile; quindi tutti i fatti finalizzati a dimostrare che non esiste o che è venuto meno il diritto di credito se si sono verificati entro la cerchia dei limiti cronologici dell’accertamento o sono stati allegati nel processo oppure non possono più essere fatti valere in altra sede per dimostrare l’inesistenza del diritto di credito, quindi per noi è rilevante sapere l’accertamento dell’esistenza del diritto di credito a quale data, alla data in cui fu pronunciato il decreto ingiuntivo o alla data in cui si è chiuso il giudizio di opposizione? Ci interessa saperlo per capire che sorte hanno per esempio eventuali fatti estintivi del diritto di credito, come ad esempio l’avvenuto pagamento, intercorsi per esempio durante il corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Perché se risulta che l’accertamento dell’esistenza del diritto di credito è fissato alla data in cui si è pronunciato il decreto ingiuntivo, eventuali pagamenti posti in essere dopo tale data durante la pendenza del giudizio di opposizione potrebbero sempre essere fatti valere per evitare un’esecuzione, anche se quei fatti non sono stati allegati nel giudizio di opposizione. L'interpretazione prescelta è invece quella di dire: l'accertamento si forma con riferimento alla data di conclusione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, che fa riferimento nel momento in cui l'opposizione si è conclusa (vi ho detto, per praticità supponiamo quell'opposizione di primo grado si concluda e non siano proposte altre impugnazioni) quindi quella sentenza avrà accertato che il diritto di credito esiste alla data, per quanto riguarda gli elementi di fatto, dell'udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, per cui eventuali pagamenti posti in essere dal debitore durante la pendenza del giudizio di opposizione ma per sbadataggine non allegati in quel giudizio non potranno più essere fatti valere in nessun'altra sede, nemmeno sede di opposizione all'esecuzione per dire 'il diritto di credito esisteva ma io avevo pagato'. E questo in virtù della regola per cui il giudicato preclude non solo il dedotto, non solo i fatti che sono stati dedotti in quel processo ma si occupa di dirvi quando succede nell’ipotesi in cui il giudizio di rinvio si estingue. Vi dà la soluzione: Luiso fa riassunto di una pronuncia della Corte di Cassazione nel darvi la soluzione. La trovate nei casi, i casi sono formulati così: trovate uno due o tre casi e se scorrete oltre, trovate la prima sentenza che vi serve per risolvere il primo caso e poi la seconda, corte suprema di cassazione, che fa riferimento all’ipotesi di estinzione del giudizio di rinvio cioè Fa riferimento al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo va avanti fino alla sentenza conclusiva, c’è l’appello, c’è il ricorso in cassazione e si estingue il sede di giudizio di rinvio. Nel Luiso trovate la sentenza riassunta in 3-4 righe, sul Mandrioli la trovate per esteso. Tutti i casi sono fatti così, trovate sempre la sentenza che chiarisce il problema. Il secondo caso, è un’ipotesi che si verifica molte volte nella pratica. (si verifica anche nel contenzioso transnazionale) : In data 5-01-2012 Tizio ottiene dal tribunale di Torino un decreto ingiuntivo che condanna il debitore al pagamento della somma di 100.000 euro. Caio a sua volta in data 10-01-2012 propone davanti al tribunale di Firenze un’azione di accertamento negativo, per sentir dichiarare che non è debitore della somma di 100.000 euro. Il 15-01-2012 il decreto ingiuntivo è notificato al debitore. Caio, il debitore, propone opposizione al decreto ingiuntivo e dice ma qui c’è la continenza di cause con la causa pendente davanti al tribunale di Firenze. Primo punto: non c’è dubbio che le due cause sono in rapporto di continenza, l’esempio tipico della continenza è l’azione di accertamento negativo è la causa con l’oggetto più piccolo e quella di condanna è quello con l’oggetto più grande. Qual è la regola? L’art.39 cosa dice: la causa prosegue davanti al giudice adito per primo se è competente anche per la causa con l’oggetto più ampio; e diventa rilevante in questo caso capire qual è il giudice adito per primo: il tribunale di Torino o quello di Firenze. Sulla litispendenza vi ho letto una norma e vi ho detto di tenerla a mente: la norma è l’art.643 ultimo comma che dice la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Quindi il tribunale è quello di Firenze. Però vi avevo anche detto ricordate la norma che dice: la notificazione determina la pendenza della lite, però la giurisprudenza della corte di Cassazione ha dato di questa norma un’interpretazione più ampia: perché ha detto la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite, però gli effetti retroagiscono al momento del deposito del ricorso introduttivo del procedimento sommario. E quindi quale delle due cause è instaurata per prima stando a questa regola della corte di cassazione? Torino. Se capitasse un caso di questo tipo si ragiona, si dice così: ‘le due cause sono in rapporto di continenza, l’art.39 prevede che il giudizio prosegua davanti al giudice adito per primo e l’art 643 stabilisce che la pendenza è determinata dalla notificazione ma la corte di cassazione ha dato un’interpretazione correttiva e ha detto: sì, la notifica determina la pendenza della lite, ma gli effetti retroagiscono al momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo. Quindi in questo caso la causa instaurata per prima è quella di procedimento di ingiunzione proposta davanti al tribunale di Torino. Vorrei spiegarvi perché la corte di cassazione è intervenuta con questa interpretazione correttiva: i debitori scaltri utilizzavano la formulazione letterale dell’art 643 ultimo comma e instauravano, avuta conoscenza o ipotizzando che contro di loro poteva essere pronunciato un decreto ingiuntivo, instauravano un giudizio di accertamento negativo. Prima che la corte di cassazione desse quest’interpretazione ampia, si diceva l’art 643 prevede che la notificazione determina la pendenza della lite, quindi il processo instaurato per primo è quello davanti al tribunale di Firenze; risultava essere instaurato per primo quello di accertamento negativo, e quindi succedeva che il debitore proponeva opposizione a decreto ingiuntivo e diceva ‘esiste la contenenza con la causa pendente davanti al tribunale di firenze’ e sosteneva che in applicazione dell’art. 39 2°comma il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo era incompetente. Quindi veniva in ipotesi l’accoglimento in rito, che accadeva (?) non solo opposizione, ma anche il decreto ingiuntivo; per evitare questo escamotage la giurisprudenza ha dato la lettura correttiva dell’art 643 ultimo comma: la notificazione determina la pendenza della lite ma gli effetti retroagiscono al momento del deposito del ricorso per ingiunzione. (anche qui c’è la sentenza della corte di cassazione). Abbiamo concluso il procedimento per ingiunzione. Resta da vedere l’altro procedimento sommario non cautelare che è la convalida di licenza di sfratto. Anche il procedimento di convalida di licenza di sfratto è un procedimento sommario, che su istanza della controparte, cioè del destinatario.. stavolta nella convalida di sfratto il destinatario dell’atto introduttivo del giudizio. Non abbiamo, a differenza dal decreto ingiuntivo, la sequenza provvedimento sommario>opposizione al provvedimento>passaggio alla fase a cognizione piena. Nella convalida di sfratto abbiamo: atto introduttivo del giudizio sommario>opposizione del destinatario dell’atto introduttivo> proseguimento del giudizio nelle forme della cognizione piena ed esauriente, senza che medio tempore sia pronunciato un provvedimento sommario. Aldilà di questa differenza riscontriamo nella convalida della licenza di sfratto le stesse caratteristiche che abbiamo visto esserci nel procedimento per ingiunzione: cioè è alternativo rispetto al giudizio ordinario di cognizione, la fase a cognizione piena ed esauriente ha luogo solo se c’è la manifestazione di volontà dell’interessato, la funziona è la stessa di quella per il procedimento per ingiunzione, di economia processuale. La regola è quella per cui davanti alla lesione di un diritto talvolta il legislatore dice: se la lesione del diritto è avvenuta ma non è contestata è inutile utilizzare le forme della cognizione piena ed esauriente bastano le forme del procedimento sommario. Ultima caratteristica: il procedimento di convalida di licenza di sfratto è sempre un procedimento monitorio puro, non esiste lo spurio qua. Il provvedimento, se è emesso, se non c’è la manifestazione di volontà del destinatario dell’atto introduttivo del giudizio di proseguire nelle forme di cognizione piena ed esauriente, è emesso un provvedimento sommario sulla base delle mere affermazioni del richiedente, senza necessità di fornire una prova scritta. LEZIONE 4 (9/10/2012) PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE: LA CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO. Ieri ci siamo lasciati introducendo il tema della convalida di licenza o di sfratto. Ci siamo detti che si tratta di un procedimento sommario di cognizione; abbiamo visto quali sono le caratteristiche e abbiamo visto anche le prime differenze rispetto al procedimento per ingiunzione. Ci resta da vedere però tutto quanto il procedimento; iniziando in particolare dall’esaminare le situazioni per le quali questo procedimento sommario può essere utilizzato. Avevo detto alla prima lezione che, mentre il processo ordinario di cognizione può essere utilizzato per qualsiasi tipologia di domanda (infatti l’art 24 della Costituzione vi dice: tutti possono agire in giudizio), il procedimento sommario no. Il legislatore stabilisce volta per volta quali sono i requisiti in presenza dei quali è possibile utilizzare il procedimento sommario. Abbiamo visto nelle prime lezioni quali sono le situazioni giuridiche soggettive che possono essere attivate mediante procedimento per ingiunzione; vediamo adesso quali sono le situazioni giuridiche soggettive che possono essere tutelate con procedimento di convalida di licenza o sfratto. La norma in esame che ci interessa verificare è l’articolo 657 cpc il quale recita: “ il locatore o il concedente può intimare al conduttore, all’affittuario coltivatore diretto, al mezzadro, o al colono licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida , rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali”. Quindi le categorie dei soggetti che possono utilizzare questo procedimento sommario sono esattamente quelle indicate dall’articolo 657 cpc. Nessun soggetto in più, nessun soggetto in meno. Si tratta di un procedimento sommario che serve per attivare diritti alla restituzione di beni immobili. Questo procedimento può essere utilizzato dal locatore; da colui che ha concesso fondi in affitto, ecc. L’indicazione di cui all’articolo 657 è tassativa. Vi viene in mente un soggetto che può essere titolare di un’ obbligazione di una restituzione di una cosa immobile che non è menzionato all’articolo 657 ? cioè di un contratto che può avere ad oggetto l’uso gratuito di beni immobili ? Il comodato!! Il comodante, - colui che concede un bene immobile in comodato – non può utilizzare questo procedimento perché non è contemplato tra i soggetti indicati nell’articolo 657 1° comma. E dunque (il comodante) dovrà utilizzare le forme della cognizione piena ed esauriente. Quali saranno queste forme della cognizione piena ed esauriente che utilizzerà il comodatario? Rito ordinario a cognizione piena ed esauriente oppure un rito speciale sempre a cognizione piena ed esauriente? (vedi diritto processuale civile 1). Nella prima lezione quando abbiamo parlato della cognizione piena ed esauriente, abbiamo detto che la cognizione piena ed esauriente può essere impartita nelle forme del rito ordinario e nelle forme del rito del lavoro. Poi ho anche precisato: le disposizioni del rito del lavoro si applicano anche alle controversie in materia di locazione. Se leggete l’articolo 447 bis che è proprio rubricato norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato, e di affitto vedete che si richiamano talune disposizioni del rito del lavoro. [L’articolo 447 bis così recita: “Le controversie di cui all'articolo 8, secondo comma, numero 3), sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441, in quanto applicabili. Per le controversie relative ai rapporti di cui all'articolo 8, secondo comma, numero 3), è competente il giudice del luogo dove si trova la cosa. Sono nulle le clausole di deroga alla competenza. Il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti. Quindi in questo caso la pronuncia per l’ingiunzione di pagamento spetta alla competenza del tribunale per ragioni di materia; anche se per ipotesi, quel decreto ingiuntivo è chiesto per una somma che spetterebbe la competenza per valore del giudice di pace. Vi ricordate quando abbiamo parlato del decreto ingiuntivo e ci siamo detti: il decreto ingiuntivo si chiede al giudice che sarebbe competente per un normale procedimento di cognizione. Quindi se il valore del credito è inferiore alla somma di 5.000 € e non entrano in gioco le regole di competenza per materia, il decreto ingiuntivo può essere chiesto ed ottenuto presentando istanza all’ufficio del giudice di pace. In questo caso c’è una connessione tra le due domande: la connessione consente di chiedere in uno stesso atto lo sfratto per morosità e l’ingiunzione di pagamento. Pertanto attribuisce in questi casi (quando si fa la richiesta congiunta) la competenza a pronunciare l’ingiunzione di pagamento sempre al tribunale che è competente a pronunciare lo sfratto per morosità. Quindi se il canone rimasto inadempiuto son due mensilità, sono ad esempio 800 €, non chiederete il decreto ingiuntivo al giudice di pace; ma effettuerete la richiesta della pronuncia dello sfratto per morosità davanti al tribunale del luogo in cui si trova l’immobile e al tribunale chiederete contestualmente la pronuncia di un decreto ingiuntivo che ingiunga al conduttore di pagare la somma di 800 € a nulla rilevando la circostanza per cui si tratta di valore che spetterebbe alla competenza del giudice di pace. La caratteristica di questo procedimento (una delle caratteristiche di questo procedimento) è l’atto introduttivo di questo giudizio sommario perché l’atto introduttivo di questo giudizio sommario ha una natura duplice (è un atto complesso l’atto introduttivo del procedimento sommario): • In parte in natura SOSTANZIALE • In parte in natura PROCESSUALE Questo atto complesso che si compone di una parte di natura sostanziale e di una parte di natura processuale è un atto complesso, ma i due componenti vivono di vita autonoma. Di modo che, se la parte processuale è viziata, la parte di natura sostanziale resta comunque in piedi e produce validamente i propri effetti. La componente di NATURA SOSTANZIALE di questo atto introduttivo del giudizio consiste nella manifestazione di volontà posta in essere dal locatore : • Manifestazione di volontà di non rinnovare il contratto quando il rapporto andrà a scadenza (licenza per finita locazione art 657 1° comma) • Manifestazione di volontà di non proseguire nel rapporto di locazione (sfratto per finita locazione articolo 657 2° comma) • Manifestazione di volontà di ottenere la risoluzione del contratto (sfratto per morosità articolo 658 1°comma cpc). La prima parte è quindi una manifestazione di volontà posta in essere dal locatore che produce effetti di diritto sostanziale. Prendendo l’ipotesi dello sfratto per morosità, con questo atto di natura sostanziale, si manifesta la volontà di ottenere la risoluzione del contratto. E la si può ottenere perché l’art 658 lo consente, anche se l’inadempimento del conduttore è di scarsa importanza. Perché questa è una previsione speciale rispetto a quella dell’articolo 1455 “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Accanto a questa componente di natura sostanziale, c’è poi la parte di NATURA PROCESSUALE dell’atto introduttivo del procedimento di convalida di sfratto. Consiste nella citazione del conduttore per la convalida. Si tratta di una citazione posta in essere che contiene tutti i requisiti dell’articolo 125 cpc [ “Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale. Il difensore deve, altresì, indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine e il proprio numero di fax. La procura al difensore dell'attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata. La disposizione del comma precedente non si applica quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale”.] e che anziché contenere l’avvertimento di cui all’articolo 163 3° comma n.7 del cpc, ne contiene un altro. Vi ricordate che avvertimenti contiene l’articolo 163 n. 7 cpc ? [articolo 163 3° comma n. 7 cpc: “ l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168 bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167. L’atto di citazione, sottoscritto a norma dell’articolo 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all’ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli articoli 137 ss.”] Nell’atto di citazione l’attore stabilisce la data dell’udienza e indica il giorno dell’udienza e invita il convenuto a comparire e costituirsi in giudizio venti giorni prima di tale udienza, avvertendolo che se non compare e non si costituisce tempestivamente, incorre nelle decadenze di cui agli articoli 38 e 167. Queste decadenze quali sono? L’attore quando propone l’atto di citazione come da articolo 163, avverte in convenuto che se non si costituisce tempestivamente, cioè depositando la comparsa di costituzione di risposta, venti giorni prima della data dell’udienza, incorre in decadenze: in particolare non potrà più fare domande riconvenzionali, eccezioni rilevabili solo dalla parte e la chiamata in causa di terzi . Questo avvertimento in questo caso non c’è. E’ sostituito da un altro avvertimento: “si invita quindi il destinatario della citazione a comparire, e lo si avverte che se non compare, o comparendo non si oppone, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto.” Si avverte quindi il convenuto (conduttore) che se non compare in giudizio, oppure se compare e non si oppone, il giudice pronuncerà un provvedimento sommario. Notate bene che la ratio che sottende a questo procedimento sommario è la seguente: se il destinatario della citazione è moroso (quindi ha leso il diritto del locatore) ma non contesta il fatto di essere moroso (quindi decide di non comparire) non ha senso spendere attività processuali per le forme della cognizione piena ed esauriente. Però se compare, basta che si opponga e ha diritto alle garanzie della cognizione piena ed esauriente. Proprio perché questa è la ratio della disposizione, è sufficiente per evitare la pronuncia del provvedimento sommario, che il conduttore compaia personalmente, ossia che l’intimato - nella maggior parte dei casi il conduttore – compaia personalmente. Non è necessario che sia assistito da un legale. Basta che l’intimato compaia personalmente per evitare la pronuncia di un provvedimento sommario. Considerate che se questa è la ratio della disposizione, capite bene che assume un significato particolare il contegno tenuto dall’intimato. E il legislatore vuole sincerarsi quanto più è possibile che l’eventuale inerzia dell’intimato sia un inerzia consapevole. È la stessa ratio che sottende alla disciplina del procedimento per ingiunzione che abbiamo visto nei giorni scorsi. Infatti l’ultimo comma dell’articolo 660 cpc dice che [“se l’intimazione non è stata notificata in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve spedire avviso all’intimato dell’effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione”.]se questo atto completo, (costituito dall’atto di natura sostanziale più citazione della convalida), non è stata notificata in mani proprie (cioè se l’ufficiale giudiziario non l’ha consegnata a mani all’intimato) quest’ultimo (cioè l’ufficiale giudiziario) deve spedire avviso all’intimato dell’effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione. Vedete quante cautele prende il nostro legislatore per sincerarsi che il silenzio dell’intimato sia un silenzio consapevole e che veramente significhi volontà di rinunciare alle garanzie della cognizione piena ed esauriente. A chi si propone? Qual è il giudice competente per questo procedimento sommario? Competente per materia è il tribunale. Quindi è fuori gioco la competenza del giudice di pace. Si tratta di una competenza per materia che spetta al tribunale. Territorialmente competente è il tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata. Si tratta di una competenza territoriale derogabile. Questa citazione oltre a non contenere l’avvertimento di cui all’articolo 163 3° comma n. 7, prevede che i termini che devono intercorrere tra l’udienza e il momento in cui l’intimato ha ricevuto la notificazione di questo atto complesso; sono termini inferiori rispetto a quelli contemplati dall’art 163 bis il quale dice che tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparire, debbono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero. [“tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparire, debbono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero. Nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su ha l’onere di allegare alcun che, nemmeno il contratto di locazione. È un procedimento monitorio puro, questo. Non si richiede che debba provare l’esistenza del suo diritto. Oppure è possibile ci siano state altre tipologie di vizi. La pratica è ricca di casistica. Ma quello che a noi del corso istituzionale interessa conoscere è che il giudice se ha il sentore che ci può essere qualcosa di irregolare, ordina l’innovazione della citazione.Altrimenti pronuncia la ordinanza di convalida. Domanda di studente: se non si è indicata la data dell’udienza? Risposta della prof: è una cosa che potrebbe stupire, però nella pratica, un 163 senza la data dell’udienza l’ho visto personalmente. Per cui ci si stupisce da studenti, ma nella pratica vi assicuro che sono fattispecie che si verificano. • Solo nel caso in cui sia stato chiesto lo sfratto per morosità, il giudice oltre a fare queste verifiche sulla citazione della notifica della citazione, può pronunciare l’ordinanza soltanto se il locatore dichiara all’udienza che la morosità persiste. Se manca questa dichiarazione il provvedimento sommario non è pronunciato. Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata alla citazione in giudizio del locatore o del suo procuratore per la morosità che persiste. Quindi nell’ipotesi di sfratto per morosità il giudice pronuncia l’ordinanza di sfratto dopo aver verificato che sia la citazione, sia la notifica della citazione siano stati regolari, e dopo che il locatore ha dichiarato in udienza che la morosità persiste. Se il locatore aveva chiesto anche una pronuncia di un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti, il giudice stende il decreto in calce ad una copia dell’atto di intimazione e quel decreto sarà immediatamente esecutivo. Tuttavia dovete tener presente che l’articolo 663 cpc cioè quello che indica le ipotesi in cui il giudice può pronunciare l’ordinanza di sfratto, deve essere coordinato con l’articolo 55 della L. 392/1978 sul cosiddetta sull’equo canone (legge sulle locazioni ad uso abitativo). L’articolo 55 della L. 392/1978 [ “La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'art. 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà. Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto.”] prevede che il conduttore possa sanare in udienza la morosità per non più di 3 volte nel corso di un quadriennio. E se il convenuto ha particolari difficoltà economiche nell’adempiere, il giudice può assegnargli un termine non superiore a 3 mesi per effettuare il pagamento dei canoni scaduti. Quindi coordinando l’articolo 663 con l’articolo 55 della L. 392/1978 in materia di locazione, ne viene fuori che nell’ipotesi di sfratto per morosità, se il locatore dichiara che la morosità persiste e il conduttore è comparso in udienza, il giudice può, se in udienza il conduttore paga lì in udienza il dovuto, non pronuncerà ovviamente l’ordinanza di convalida di sfratto. Allo stesso modo, se il conduttore compare in udienza, non si oppone, naturalmente, però fa presente che ha difficoltà economiche nell’adempiere, il giudice gli può assegnare un termine non superiore a 3 mesi (o più ampio se ci sono particolari difficoltà, come ad es. se la difficoltà ad adempiere è dovuta a malattia). In questo caso il giudice assegna il termine per effettuare il pagamento e ci sarà una nuova udienza - di solito nella pratica, per lo meno in Toscana – dopo tale termine. Se ovviamente entro tale termine il conduttore ha sanato la morosità, l’ordinanza non è pronunciata. Domanda di studente: quando dice “nel termine di 3 mesi”, in quei 3 mesi si intendono anche le mensilità dovute in quei 3 mesi (in aggiunta alla somma della morosità)? Risposta della prof: il termine dovrebbe porre fine ai problemi e riequilibrare la situazione di morosità. Domanda di studente: ma in questo modo non si costringe il proprietario a rincorrere il proprio inquilino? Risposta della prof: no, allora: a volte (nella prassi) il conduttore può darsi che sia rimasto per un periodo senza lavoro, per esempio, e quindi nell’arco di questo periodo riesce a sanare la morosità. E il problema si risolve. Se il problema non si risolve, c’è sempre la possibilità di ottenere in un secondo momento il provvedimento sommario più opportuno. Purtroppo il problema delle locazioni ad uso abitativo nello sfratto per morosità non è tanto questo termine di grazia, quanto purtroppo il fatto che anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza di sfratto per morosità è pronunciata, sono lunghissimi i tempi per ottenere l’esecuzione di questa ordinanza. Perché se anche lo sfratto per morosità è convalidato (se l’ordinanza è pronunciata, e sarà titolo esecutivo) però può darsi che il conduttore non lo rilasci spontaneamente l’immobile; e allora bisogna instaurare il processo esecutivo (bisogna aspettare che arrivi la forza pubblica cioè l’ufficiale giudiziario per ottenere la liberazione dell’immobile). È la tempistica della fase esecutiva che rende difficili queste ipotesi, e le ricadute quando il sistema giustizia civile (del processo civile) funziona male ci sono ricadute anche sul piano del diritto sostanziale; perché ci sono meno immobili dati in locazione. E questo è dovuto al fatto che il locatore sa che per recuperare il possesso del suo immobile concesso in locazione al conduttore, pur avendo ragione, avrà necessità di attendere parecchio tempo. I tempi lunghi son dovuti non tanto all’impiego del termine di grazia di cui all’articolo 55 L. 392/1978 ma purtroppo alla fase esecutiva. Il diritto processuale civile serve a porre rimedio a una situazione di crisi del diritto sostanziale. Ma quando il diritto processuale civile non è un diritto che pone rimedio a tale violazione in termini ragionevoli, allora il locatore tende a non stipulare un contratto di locazione perché ha paura di attendere questi tempi processuali lunghi. Abbiamo fino adesso le ipotesi in cui il giudice può pronunciare l’ordinanza con cui convalida la licenza o lo sfratto. Che efficacia ha questa ordinanza? L’ordinanza a differenza del decreto ingiuntivo ha sempre efficacia esecutiva. Da dove lo si ricava che l’ordinanza è sempre esecutiva? Dal tenore dell’articolo 663 il quale dice: “il giudice quando convalida la licenza o lo sfratto dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva”. Quindi a differenza del decreto ingiuntivo che avevamo visto e che non quando è pronunciato ha efficacia esecutiva (ha efficacia esecutiva solo quando è dichiarato provvisoriamente esecutivo), l’ordinanza di convalida di sfratto ha sempre efficacia esecutiva. C’è una particolarità: la formula esecutiva è apposta sulla citazione e non sull’atto di parte. E’ una particolarità tipica di questo provvedimento. La formula esecutiva è apposta non sul provvedimento del giudice ma sulla citazione, sull’atto di parte. Che efficacia avrà (oltre ad avere efficacia esecutiva) quest’ordinanza con la quale si convalida la licenza o lo sfratto? Avrà la stessa efficacia di una sentenza passata in giudicato. E perché ha la stessa efficienza di una sentenza passata in giudicato sebbene sia stata pronunciata all’esito di un procedimento sommario e addirittura un sommario puro? Perché vale la stessa argomentazione che abbiamo utilizzato per il procedimento di ingiunzione: l’intimato ha ricevuto la notifica della citazione. Se voleva utilizzare le garanzie della cognizione piena ed esauriente, poteva comparire in udienza e proporre opposizione. Non l’ha fatto. Le conseguenze di questa mancata attivazione sono a lui tutte imputabili. C’è solo una particolarità: è giusto dire che l’ordinanza di convalida ha non solo efficacia esecutiva, ma anche la stessa efficacia di accertamento prodotta da una sentenza passata in giudicato, sebbene sia stata pronunciata all’esito di un procedimento che di accertamento ha in sostanza nulla. Ciò significa che non si potrà più mettere in discussione l’esistenza della morosità, l’esistenza del credito. Ma ha una caratteristica particolare che riguarda la convalida di licenza per finita locazione. Infatti è vero che in questo caso l’ordinanza che convalida la licenza per finita locazione (che è una condanna in futuro) ha gli stessi effetti della pronuncia della sentenza passata in giudicato, ma non resiste allo ius superveniens retroattivo. Vi ricorderete dagli studi di diritto processuale civile1 che una delle caratteristiche del giudicato, in particolare dei limiti cronologici del giudicato, è che il giudicato resiste allo ius superveniens retroattivo: se sopravviene una norma che ha valenza retroattiva, questa norma torna indietro e disciplina tutte le situazioni sostanziali già formatasi; incontra il giudicato e lì si ferma. L’ordinanza di convalida di sfratto o licenza per finita locazione invece non resiste allo ius superveniens retroattivo. Questa mancata resistenza (lo trovate indicato nel manuale di Luiso) dell’ordinanza di convalida di licenza per finita locazione allo ius superveniens retroattivo è dovuta non al fatto che è un ordinanza pronunciata all’esito di un procedimento sommario, non è cioè una resistenza a deteriori da imputare al fatto che il provvedimento è stato emesso in un giudizio sommario; ma è l’oggetto di quel provvedimento che determina la mancata resistenza allo ius superveniens retroattivo. Perché ci siamo detti: la licenza per finita locazione è una condanna in futuro. È l’accertamento di una situazione futura. Per cui se intervengono delle norme medio tempore, se ne tiene conto. comparso in udienza, il locatore ha attestato che la morosità persiste. Io mi son presentato in udienza con i soldi, ho pagato, ho sanato la morosità in udienza (lo consente l’art 55 L. 329/1978 sull’equo canone) e il giudice ha pronunciato l’ordinanza di convalida?” Qui c’è un ipotesi di vuoto normativo del legislatore. Non prevede esplicitamente uno strumento per reagire a questi errori del giudice. Di fronte al silenzio del legislatore, dottrina e giurisprudenza han cercato di trovare dei rimedi. Ma il problema è che non son giunti a una soluzione univoca. E c’è proprio la dimostrazione, perché? • Perché chi ha acquistato il testo di Luiso se va a leggere la parte relativa a questo problema troverà che la soluzione prospettata dal testo di Luiso è la seguente: in questi casi il giudice ha sbagliato perché ha pronunciato un ordinanza, ma in realtà avrebbe dovuto proseguire il giudizio nelle forme della cognizione piena ed esauriente e pronunciare una sentenza. E allora lo strumento da utilizzare in questi casi è l’appello, perché il giudice ha pronunciato un ordinanza, ma l’ha fatto erroneamente perché avrebbe dovuto proseguire il giudizio nelle forme di cognizione piena ed esauriente, e pronunciare una sentenza. Significa che lo strumento di reazione è l’appello. • Sul testo di Mandrioli trovate invece un'altra ricostruzione perché questi non condivide l’idea per cui si debba valorizzare il dato secondo cui il giudice pronuncia un ordinanza, ma quell’ordinanza avrebbe dovuto essere una sentenza. Questa ricostruzione Mandrioli non la condivide. E sostiene che siamo in presenza di un diritto di difesa del conduttore per cui non c’è uno strumento di reazione previsto dal legislatore, dunque il rimedio non può che essere ricorso straordinario per Cassazione (articolo 111 7° comma della Costituzione) perché si tratta di un provvedimento che incide sui diritti soggettivi e verso il quale non è previsto uno strumento di reazione di impugnazione dal legislatore. Il vostro collega diceva: io utilizzerei – di fronte l’ipotesi di un errore di percezione di fatto del giudice (perché di errore di percezione si tratta) – lo strumento della revocazione, in particolare lei utilizzerebbe la revocazione ordinaria di cui all’articolo 395 n.4 [ “se la sentenza e' l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi e' questo errore quando la decisione e' fondata sulla supposizione di un fatto la cui verita' e' incontrastabilmente esclusa, oppure quando e' supposta l'inesistenza di un fatto la cui verita' e' positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costitui' un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.] Per arrivare ad ammettere la possibilità di utilizzare la revocazione ordinaria (articolo 395 n. 4), in questa tipologia di procedimenti c’è stato bisogno di un intervento della Corte Costituzionale perché in questo tipo di procedimenti, a differenza di quanto abbiamo visto accadere nel procedimento per ingiunzione, il legislatore del ’42 non aveva fatto alcuna espressa menzione alla utilizzabilità dello strumento della revocazione ,dell’opposizione di terzo. Per cui c’è stato bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale, la quale con sentenza del 20 dicembre 1989 (quindi neanche recentissima perché il codice è del ’42) ha dichiarato incostituzionale l’articolo 395 n.4 nella parte in cui non ammette la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto o licenza per finita locazione o di sfratto per morosità emessi in assenza per mancato opposizione dell’intimato. Ha ammesso la Corte Costituzionale, la possibilità di impugnare per revocazione anche questi provvedimenti sommari, facendo leva sulla considerazione per cui è vero che si tratta di provvedimenti emessi in forma di ordinanza (mentre l’art 395 parla di sentenze impugnabili con la revocazione) ma si tratta di provvedimenti che sebbene aventi la forma dell’ordinanza hanno il contenuto della sentenza. E quindi la Corte Costituzionale ha ammesso la possibilità di utilizzare la revocazione ordinaria. E anche l’ipotesi di revocazione straordinaria di cui all’articolo 395 n. 1. Quella del 395 n. 1 è motivo di revocazione straordinaria il quale prevede che il provvedimento può essere impugnato per revocazione se per dolo di una delle parti si verifica il danno dell’altra. Il caso che ha dato origine alla sentenza della Corte Costituzionale, che è la sentenza 20 febbraio 1995 n. 51, era una fattispecie in cui il locatore aveva dichiarato che la morosità persisteva, quando invece il conduttore era tornato perfettamente in regola con il pagamento dei canoni. Quindi la situazione è estremamente fluida. Quindi in sede di esame (specialmente orale) qualsiasi soluzione riusciate a dare di questo problema, purché sia argomentato come la regolamentazione per errore di fatto a me va bene però la dovete argomentare. Cioè dovete dire: si può utilizzare questo strumento per queste ragioni, oppure quest’altro per queste ragioni. Anche per arrivare a stabilire che avverso le ordinanze sommarie in questione, è possibile proporre l’opposizione di terzo c’è voluta un ulteriore sentenza della Corte Costituzionale. Quindi qui siamo in una situazione diversa rispetto il procedimento per il decreto ingiuntivo perché mentre nel procedimento per decreto ingiuntivo c’è una norma che abbiamo utilizzato, la quale prevede che il decreto ingiuntivo non opposto sia impugnabile per opposizione di terzo revocatoria e per alcuni motivi di revocazione, non esisteva un’ analoga disposizione per l’ordinanza di convalida di sfratto o di licenza. Ha dovuto intervenire la Corte Costituzionale: è intervenuta con riferimento all’articolo 395, ed è intervenuta con riferimento all’articolo 404. La Corte Costituzionale con riferimento all’articolo 404 il 7 giugno 1984 n. 167, poi Corte Costituzionale 22 ottobre 1985 n. 237, poi Corte Costituzionale 26 maggio 1995 n. 192. Tutte pronunce finalizzate ad ammettere l’esperibilità dell’opposizione di terzo nei confronti delle ordinanze di convalida di licenza per finita locazione o di convalida di sfratto. Se addirittura la Corte Costituzionale è intervenuta per ammettere la possibilità di proporre opposizione di terzo nei confronti di questi provvedimenti sommari, quale sarà la conseguenza? Che non c’è dubbio che queste ordinanze non opposte abbiano esattamente la stessa efficacia di accertamento di una sentenza passata in giudicato, cioè ai sensi dell’art 2209 fanno stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa. Infatti se questi provvedimenti non facessero stato tra gli eredi, i successori e gli aventi causa non ci sarebbe stata la necessità di utilizzare lo strumento dell’opposizione di terzo. Ci sarebbe da intraprendere un discorso nuovo sull’articolo 665,ma si sospende qui e vi rinvio alla prossima settimana. LEZIONE 5 (15/10/2012) di opporsi per farse in modo che il giudizio prosegua nelle forme della cognizione piena ed esauriente e il giudizio proseguirà nelle forme della cognizione piena ed esauriente e le parti assumeranno ognuno la propria posizione processuale. Colui che aveva chiesto tutela per il proprio diritto e che aveva proposto l’atto di citazione ex art. 657c.p.c era e sarà colui che si afferma titolare di un diritto leso, colui che si oppone e quindi l’intimato che si oppone era ed è colui che afferma l’inesistenza di quel diritto. Non c’è nessuna inversione dell’iniziativa processuale, chi si oppone è colui che vuol far dimostrare nella sede di cognizione piena ed esauriente che il diritto invocato in giudizio dall’istante, con la citazione che apriva il procedimento sommario, non esiste. Quindi la situazione, da questo punto di vista, è più semplice rispetto all’ipotesi dell’opposizione a decreto ingiuntivo e ci siamo detti la volta scorsa che questo giudizio quindi prosegue senza particolarità alcuna da menzionare perché non è un giudizio a cognizione piena, a struttura impugnatoria fino alla pronuncia del provvedimento finale. C’è una norma che c’interessa e che è significativa da esaminare e questa norma che riguarda lo svolgimento della cosiddetta, io la chiamo la chiama “fase di opposizione”, però in realtà è una prosecuzione del giudizio nelle forme della cognizione piena ed esauriente ed è l’art. 665c.p.c. Quindi l’ipotesi che prende in considerazione l’art.665c.p.c, ripeto, è l’ipotesi in cui l’intimante sia comparso all’udienza e si sia opposto con ciò determinando la prosecuzione del giudizio nelle forme della cognizione piena ed esauriente. La norma dice: “se l’intimato compare ed oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il giudice su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto”. Questa norma ricorda, ma in parte si differenzia, la norma riguardante “la concessione della provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo” però con alcune differenze perché nel decreto ingiuntivo il provvedimento c’era già, si trattava di renderlo esecutivo in sede di opposizione qualora non fosse già ammonito, vi ricorderete, della provvisoria esecutività. Qui, se l’intimato è comparso e si è opposto, un provvedimento sommario ancora non è stato emesso quindi si tratta qui di emettere un’ordinanza all’esito di un accertamento sommario e di renderla titolo esecutivo. In questo caso, nell’ipotesi dell’art 665c.p.c, l’ordinanza dichiarata è immediatamente esecutiva ma è pronunciata soltanto se l’intimato compare, si oppone e solleva eccezioni non fondate su prova scritta. La ratio (guardate, ci sono queste differenze rispetto al procedimento di ingiunzione cioè nell’ingiunzione il provvedimento c’era già e si trattava di renderlo esecutivo, qui si tratta di pronunciare un provvedimento sommario e di renderlo titolo esecutivo) però la ratio è esattamente la stessa. Quand’è che il giudice concede, pronuncia un’ordinanza che è immediatamente esecutiva? Quando l’intimato si oppone e solleva eccezioni non fondate su prova scritta. Qual è la ratio? Vi ricordate qual è la ratio in base alla quale il giudice dichiarava provvisoriamente esecutivo il decreto in sede di opposizione al decreto ingiuntivo? La norma diceva, quella del decreto ingiuntivo, se l’opposizione non si basa su prova scritta o di pronta soluzione. E qual era quindi la ragion d’essere della disposizione? Che il creditore aveva la prova del suo credito e il debitore non ha la prova dei fatti ed era lui che beneficiava della durata del processo di cognizione, qui siamo esattamente nella stessa situazione, qui l’ordinanza è pronunciata solo se colui che si oppone solleva eccezioni non fondate su prova scritta, quindi se l’opponente non ha a disposizione una prova scritta e quindi quando è lui l’unico soggetto che beneficia della durata del processo di cognizione. E quand’ è che è lui l’unico soggetto che beneficia della durata del processo di cognizione? Quando il locatore ha una prova scritta a disposizione, e vi ricordate 5’ minuti fa ho detto: non è necessario che nell’atto di citazione il locatore alleghi la prova scritta, però nel 99% dei casi lo farà, non è necessario perché se l’intimato non si oppone il giudice pronuncia l’ordinanza di convalida, anche se la prova scritta non è allegata, però se l’intimato si oppone il processo prosegue nelle forme della cognizione piena ed esauriente a quel punto se il locatore aveva allegato la prova scritta ecco che lui ha la prova scritta del diritto per il quale chiede tutela, mentre l’opponente nel caso che prende in considerazione l’art 665 questa prova non ce l’ha. Quindi i fatti costitutivi del diritto per il quale si chiede tutela sono provati, c’è la prova scritta, i fatti impeditivi, modificativi, estintivi che vanta l’opponente non sono assistiti da prova scritta, il legislatore in questi casi come sempre, come nell’ipotesi della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo in fatto di opposizione fa un contemperamento dei due interessi, da un lato l’interesse del locatore ad ottenere un titolo esecutivo dall’altro lato la necessità dell’opponente di utilizzare la fase a cognizione piena ed esauriente per formarsi la prova scritta. Questo contemperamento avviene in questo modo intanto si pronuncia un ordinanza che ha immediatamente titolo esecutivo poi nel corso del procedimento di cognizione l’opponente avrà la possibilità, se vorrà per vincere la causa, di provare il suo diritto mediante prove ovviamente non scritte perché se avesse la prova scritta l’avrebbe allegata subito e non ci sarebbe stata la pronuncia di un’ordinanza per titolo esecutivo, può darsi però che nel corso del processo di cognizione l’opponente riesca attraverso prove costituende, che si formano durante il processo, a dimostrare che effettivamente esiste un fatto impeditivo o estintivo del diritto per il quale il locatore aveva chiesto tutela. Intanto il giudice se i fatti impeditivi, modificavi, estintivi non sono assistiti da prova scritta e i fatti costitutivi si pronuncia l’ordinanza che ha titolo esecutivo poi nel corso del processo l’opponente avrà la possibilità se ci riuscirà, se vorrà vincere quella causa attraverso prove costituende, attraverso la testimonianza per esempio, di dimostrare che esistono i fatti impeditivi, modificavi, estintivi. Voi mi direte “già e se alla fine del processo di cognizione, supponiamo che il giudice ha pronunciato l’ordinanza che ha titolo esecutivo ex art.665, se alla fine del processo di cognizione l’opponente tramite testimonianza riesce a provare un fatto impeditivo, modificativo, estintivo del diritto di credito, che fine fa quell’ordinanza interinale che era stata pronunciata?” Cade! Viene sostituita dalla sentenza conclusiva del giudizio con la conseguenza che se l’attore aveva ricevuto in base a quell’ordinanza una somma di denaro, perché magari per evitare l’instaurarsi di un processo di esecuzione l’intimato aveva pagato, ecco che l’attore è tenuto a restituire la somma che ha ricevuto e, voi questo ancora non credo che lo sappiate a meno che non abbiate studiato diritto processuale civile 1, ma comunque lo ribadisco, se per caso il locatore aveva portato ad esecuzione quell’ordinanza interinale che era a titolo esecutivo succede che è integrata la fattispecie di cui all’art.96 secondo comma del c.p.c. che ora vi leggo: “Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per il quale è stato eseguito un provvedimento, condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente che abbia agito senza la normale prudenza”. Quindi se il locatore inizia subito un processo esecutivo contro il conduttore pur sapendo che il suo diritto non esiste, perché magari l’obbligazione pecuniale non esiste più lo sfratto per morosità perché il conduttore ha pagato una volta che il diritto di cognizione si chiude con il rigetto della domanda dell’attore perché l’opponente, il conduttore è riuscito a provare, attraverso testimoni, che il diritto del locatore non esiste più, se l’ordinanza interinale era stata portata ad esecuzione ci sono anche le conseguenze, non solo quell’ordinanza interinale perde efficacia ma se l’attore medio tempore l’aveva portata ad esecuzione sarà suscettibile di essere condannato al risarcimento dei danni ex art. 96c.p.c. secondo comma ove risultino integrati gli estremi di quell’articolo. Se invece il processo di cognizione arriva a conclusione e effettivamente il giudice accerta che il diritto del locatore esiste, quindi l’opposizione si rivela senza chance di essere accolta, se quindi il giudizio si chiude con l’accoglimento della domanda dell’attore, il titolo esecutivo rimane questa ordinanza, quella ex art 665c.p.c., ma il giudicato cioè l’accertamento incontrovertibile dell’esistenza del diritto del locatore a quale momento lo fissiamo? Al momento della pronuncia della sentenza, quindi è lo stesso discorso che abbiamo visto per l’opposizione al decreto ingiuntivo, il titolo esecutivo rimane quello dell’art 665c.p.c. ma l’accertamento incontrovertibile dell’esistenza del diritto del locatore è contenuto nella sentenza, quindi i limiti temporali di efficacia di quell’accertamento sono contenuti nella sentenza, con la conseguenza di scuola che se, per esempio, dopo la pronuncia di questa ordinanza il conduttore che era moroso paga e quindi non esiste più il diritto del locatore ma si dimentica, sono esempi di scuola nella pratica non si verificano ma per farvi capire la differenza che passa tra i due casi, il suo legale si dimentica di allegare in giudizio il fatto estintivo del diritto del locatore non potrà più essere fatto valere in nessuna altra sede, perché secondo il diritto processuale uno ricorderete che il giudicato preclude il dedotto e il deducibile. Se il conduttore per inerzia, per ingenuità, perché si è affidato ad un legale poco competente ha pagato ma si è dimenticato di allegare in giudizio, di provare il fatto estintivo del diritto del locatore sono affari suoi, sarà lui che ne patirà le conseguenze perché il giudicato si forma, con riferimento: qual è il momento temporale ultimo per l’allegazione di nuovi fatti? E’ l’udienza di conclusione del giudizio conclusivo di questa opposizione, se si è dimenticato di allegare questi fatti l’accertamento non potrà più essere messo in discussione. Fino adesso abbiamo visto delle ipotesi diciamo abbastanza lineari, grosse difficoltà mi pare non ce ne siano, un pochino più complicata però è la conclusione dell’argomento ed è la terza ipotesi che può accadere, noi abbiamo fino adesso pronunciata l’ordinanza interinale e poi il momento del giudizio di cognizione la domanda dell’attore è rigettata - la domanda dell’attore è accolta, caso che abbiamo visto adesso, rigettata nel merito-accolta nel merito. Terza eventualità che può verificarsi il giudizio si estingue dopo che è stata pronunciata quest’ordinanza interinale, ex art. 665 c.p.c. qui ci si interroga sull’efficacia che quest’ordinanza quando il processo si estingue, il quesito è il seguente: ma se il locatore ha ottenuto la pronuncia di quest’ordinanza che il titolo è esecutivo nel corso del giudizio, chiamiamolo cosi, che proseguito nella forma da cognizione piena ed esauriente in seguito all’opposizione dell’intimato se poi il giudizio a cognizione piena ed esauriente si estingue che valore ha quell’ordinanza interinale rimane in piedi, cade, rimane in piedi con efficacia esecutiva, rimane in piedi con efficacia in giudicato? La dottrina si è distinta su due posizioni, e voi le avete entrambi presenti, una accolta dal manuale di Luiso l’altra accolta dal manuale di Mandrioli, ora faccio una precisazione, mi sembra di aver già detto questa cosa ma la ribadisco, al fine dell’esonero e al fine dell’esame io rispetto la vostra scelta di studio, quindi per me è indifferente che optiate per una tesi piuttosto che per l’altra, se le sapete tutte e due tanto meglio ma altrimenti va bene o l’una o l’altra, quello che è richiesto però in sede di esame ma anche nella vita, sia che farete i magistrati sia gli avvocati, è l’argomentazione della tesi, quindi voi scegliete pure una di queste due tesi a seconda del testo su cui studiate però quello che vi verrà chiesto sia in sede d’esame che in sede d’esonero è di argomentare la tesi perché è quello che a me interessa e che vedrete essere più importante nel vostro lavoro futuro è l’argomentazione. La prima tesi è quella che trovate illustrata nel testo di Mandrioli ed è l’idea per cui questa ordinanza interinale ha, secondo Mandrioli, una funzione in un certo senso cautelare e quindi Mandrioli dice che questo provvedimento, a funzione cautelare, era stato pronunciato a funzione cautelare nel corso di un giudizio a cognizione piena, se il giudizio si estingue questo provvedimento perde efficacia. Questa è una tesi (perché voi la comprendiate devo fare una premessa) elaborata da Mandrioli che ab origine eliminato sotto la vigenza di quella che era la Quindi bisogna prevedere uno strumento di tutela che serva a neutralizzare il tempo che serve all’ordinamento per impartire la tutela dichiarativa, poiché nel nostro ordinamento questo problema è particolarmente sentito perché ci vuole tanto tempo per ottenere la tutela dichiarativa, in altri ordinamenti, per esempio penso all’ordinamento tedesco, dove il processo ha una durata molto più veloce rispetto ai nostri, ecco che ciononostante anche in quegli ordinamenti si ricorrerà meno spesso alla tutela cautelare però comunque un sistema di tutela cautelare tutti gli ordinamenti lo devono prevedere, è una tutela costituzionalmente necessaria e vi ricorderete sempre dai vostri studi ma lo ripetiamo adesso che ci sono altri istituti contemplati dal diritto sostanziale che servono a garantire che la durata del processo non vada a danno della parte che ha ragione, il diritto processuale da il suo contributo con la tutela cautelare, il diritto civile e mi riferisco in particolare alle norme del codice civile ad un istituto del diritto civile prevede un istituto che ha la stessa funzione. Quando avete studiato la domanda giudiziale nel diritto processuale civile 1 avete studiato che il processo si introduce con la domanda giudiziale che la proposizione della domanda giudiziale apre la lisipendenza e avete contestualmente studiato che la domanda giudiziale produce anche degli effetti sostanziali, tra i quali effetti sostanziali c’è anche l’effetto interruttivo e sospensivo del termine di prescrizione del diritto dedotto in giudizio. Avrete studiato che dal diritto civile o privato/civile, non so com’è la ripartizione in questa università, voi sapete che ogni diritto, tranne quelli di proprietà, è soggetto ad un termine di prescrizione e che il termine di prescrizione di un diritto si interrompe, si sospende. Tra le cause interruttive del termine di prescrizione di un diritto [c’è la domanda giudiziale, la proposizione della domanda giudiziale 1.41 il termine di prescrizione di un diritto vi ricorderete che può essere interrotto, è tra gli atti che interrompono- ELIMINARE ]c’è anche la proposizione della domanda giudiziale, così l’art.2043 del c.p.c. è la norma sulla responsabilità extracontrattuale, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale è un termine di prescrizione breve che dura 5 anni, normalmente il nostro ordinamento prevede che il termine di prescrizione del diritto sia decennale, in alcuni casi ci sono delle ipotesi di prescrizione breve l’art. 2043c.p.c. è uno di questi casi, il termine di prescrizione ex art.2043c.p.c. si prescrive in 5 anni. Supponiamo che io voglia agire in giudizio per chiedere la tutela del risarcimento dei danni extracontrattuali e mi attivo soltanto dopo che sono passati 3 anni dal giorno in cui l’evento dannoso si è verificato cosa succede? Il termine si prescrive in 5 anni ed io dopo 3 anni mi attivo, nel momento in cui propongo la domanda giudiziale il termine di prescrizione del diritto è sospeso, quindi se io agisco oggi in giudizio, oggi notifico la domanda giudiziale quel termine di prescrizione del diritto è interrotto a 3 anni si ferma ma vi è di più perché il termine di prescrizione del diritto non è soltanto interrotto (nei miei studi di diritto privato che l’interruzione della prescrizione opera come un punto a capo ricomincia a decorrere un nuovo termine di prescrizione ). Ecco la domanda giudiziale non solo interrompe il termine di prescrizione del diritto ma lo sospende, ecco che c’è un nuovo termine di prescrizione del diritto e non ricomincia a decorrere da domani mattina, se io oggi ho notificato la domanda giudiziale; un nuovo termine di prescrizione del diritto inizierà a decorrere dal giorno successivo alla formazione del giudicato, quindi si aspetta che il processo si concluda con la sentenza passata in giudicato. Che altra funzione ha questo istituto se non quella di fare in modo che la durata del processo non vada a danno della parte che ha ragione? Esattamente la stessa funzione della tutela cautelare, il legislatore dice: tu hai agito in giudizio oggi, sono passati 3 anni da quando è avvenuto il fatto dannoso, supponiamo che ho agito di fronte al tribunale di Palermo, ci mette 5 anni per fornirmi una sentenza di 1° grado che passi in giudicato diciamo dopo che è spirato il termine per proporre un’impugnazione, benissimo tu attore devi essere tenuto indenne per quel tempo che è stato necessario al sistema giurisdizionale civile per darti la sentenza di 1° grado, il nuovo termine di prescrizione del diritto inizierà a decorrere il giorno dopo che si è formato il giudicato ed è la stessa funzione della tutela cautelare, evitare che la durata del processo vada a danno della parte che ha ragione, stessa ratio. Solo che qui entrano in gioco i meccanismi anzi diciamo che l’obiettivo è quello di fare in modo che la durata del processo non vada a danno della parte che ha ragione, ecco che l’obiettivo si persegue con gli strumenti del diritto privato: interruzione e sospensione del termine di prescrizione del diritto, nella tutela cautelare lo perseguiamo con strumenti di mero diritto processuale civile, ma lo scopo è sempre lo stesso. Dai vostri studi di diritto processuale civile 1 vi ricorderete, oltre alla funzione della tutela cautelare, le caratteristiche dell’azione della tutela o azione cautelare, la nomenclatura non è importante, l’importante è ricordarsi che le caratteristiche dell’istituto sono 2: provvisoria e strumentale, L’azione cautelare o tutela cautelare non esiste mai, di per se, ma è sempre strumentale alla richiesta di tutela dichiarativa. Ci siamo detti or ora che la funzione della tutela cautelare è quella di evitare che la durata del processo e il tempo necessario per ottenere la tutela dichiarativa vada a danno della parte che ha ragione, e la tutela cautelare in effetti è sempre provvisoria e strumentale, nel senso che il provvedimento cautelare (attenzione che c’è una precisazione da fare e la faremo tra un attimo) ma la regola generale è che la tutela cautelare è sempre strumentale rispetto alla tutela dichiarativa è sempre destinata ad avere carattere servente rispetto alla tutela dichiarativa, nasce come destinata ad essere sostituita da un provvedimento dichiarativo. Questo è evidente in una determinata tipologia di provvedimenti cautelari meno evidente in un’altra tipologia di provvedimenti cautelari, fermo restando che la tutela è sempre provvisoria e strumentale rispetto alla tutela dichiarativa. Non so se lo ricordate perché non sono sicura che lo abbiate studiato ma ci sono 2 grosse categorie di provvedimenti cautelari: anticipatori e conservatori. In dottrina si è sempre distinto nell’ambito dei provvedimenti cautelari tra i provvedimenti conservativi e anticipatori, questa distinzione per un certo periodo storico ha avuto solo una valenza dottrinale, cioè solo la dottrina distingueva, da un determinato periodo di tempo in poi è diventata anche una distinzione importante per l’operatore pratico e per lo studente anche perché è diversa la tipologia dei 2 provvedimenti. I provvedimenti cautelari conservativi servono ad annichilire il rischio da infruttuosità, servono ad evitare che quando arriva la tutela dichiarativa non si trova più niente. L’esempio tipico che si porta è il seguente: il creditore vanta nei confronti del debitore un credito di 100.000 euro, il debitore ha un unico bene ed è uno yacht ancorato al porto di Savona, capite bene che se si instaura un processo contro un debitore, il quale si vede notificato l’atto di citazione dove gli si chiede il pagamento di 100.000 euro lui è anche a conoscenza che il Tribunale di Torino, che pure è celere, almeno 8/6 mesi per un processo di 1° grado li mette tutti prima di arrivare alla pronuncia della sentenza, in questi 6/8 mesi basta una settimana e il debitore che può per prima cosa spostare lo yacht dal porto di Savona al porto di Nizza quanto meno è in Francia e poi magari se ci riesce lo aliena (vende) anche ad altri soggetti. Ecco che in un caso del genere si può chiedere un provvedimento cautelare conservativo con il quale si può sequestrare lo yacht in modo da annichilire il rischio d’infruttuosità, da far rimanere la situazione di diritto così com’è congelata al momento in cui si ottiene il provvedimento cautelare, in modo tale che poi quando si arriverà alla sentenza di condanna e il creditore avrà il titolo esecutivo potrà essere sicuro di trovare dei beni del debitore su cui soddisfarsi. I presupposti che il giudice deve verificare per valutare se concedere o meno il provvedimento cautelare sono: il periculum in mora e il fumus boni iuris. L’altra categoria di provvedimenti cautelari è quella dei provvedimenti cautelari anticipatori, sui provvedimenti cautelari conservativi è evidentissima l’esistenza dei rapporti di strumentalità, ce ne accorgeremo quando li studieremo tra tutela cautelare e tutela dichiarativa perché vedremo a breve che se il provvedimento cautelare è chiesto prima di instaurare un giudizio dichiarativo e il giudizio dichiarativo non è poi instaurato il provvedimento cautelare perde efficacia proprio perché la tutela cautelare è sempre provvisoria e strumentale rispetto alla tutela dichiarativa, se il giudizio dichiarativo non è instaurato il provvedimento cautelare conservativo perde efficacia. Nell’altra categoria, quella dei provvedimenti cautelari anticipatori, il nesso di strumentalità s’individua con un po’ più di fatica ma s’individua comunque. Quali sono i provvedimenti cautelari anticipatori? Sono quelli che servono a neutralizzare un rischio da tardività. Nei provvedimenti cautelari anticipatori, a differenza di quelli conservativi, non si congela la situazione di fatto e di diritto così com’è nel momento in cui si chiede ed ottiene il provvedimento cautelare, si vuole ottenere l’anticipazione di un risultato che è quello contenuto nell’eventuale sentenza di condanna. Faccio un esempio: supponete che io sia minorenne, nullatenente, priva di un lavoro per problemi fisici e voi sapete che in situazioni del genere, dai vostri studi di diritto civile, vi ricorderete che il minore o anche se volete il maggiorenne che versa in una situazione di bisogno incolpevole ha diritto a che il genitore gli corrisponda gli alimenti. Supponiamo che ambedue i genitori nel caso di specie gli alimenti non li vogliano pagare. Voi mi direte: “benissimo, è un obbligo di legge vorrà dire che il soggetto in questione instaurerà un processo dinanzi al Tribunale di Torino, citerà in giudizio i genitori chiedendo che gli sia corrisposto quanto dovuto a titolo di alimenti peccato solo che nella migliore delle ipotesi, guardate mettiamoci anche 5 mesi per emettere la sentenza però in 5 mesi bisogna vivere e quindi che strumenti fornisce il legislatore all’avente diritto per poter vivere in questi 5mesi? Gli fornisce la possibilità di chiedere un provvedimento cautelare che vedete non è conservativo, non annichilisce il rischi d’infruttuosità, è anticipatorio perché anticipa gli effetti di un futuro provvedimento di condanna, di quello che sarà il futuro provvedimento condannatorio, la sentenza del Tribunale di Torino con il quale mio padre sarà condannato a corrispondermi la cifra di 500 euro mensili a titolo di alimenti. Quindi in questo consiste il provvedimento cautelare anticipatorio: anticipa gli effetti di una futura sentenza di condanna, annichilisce e annienta il rischio da tardività e neutralizza il pericolo che la tutela dichiarativa arrivi troppo tardi quando, per esempio, l’avente diritto è ormai in punto di morte per mancanza di mezzi necessari (si tratta sempre di ipotesi portate all’estremo!). I provvedimenti cautelari anticipatori per scelta del legislatore, se sono chiesti come nell’esempio che abbiamo fatto prima dell’instaurazione della causa di merito o anche nel corso del giudizio di merito, restano in vita cioè continuano a produrre i loro effetti se sono chiesti prima dell’instaurazione del processo dichiarativo anche se la causa di merito non è stata instaurata. Se sono chiesti ed ottenuti nel corso della causa di merito mantengono i loro effetti anche se il giudizio dichiarativo si estingue. E allora voi mi direte: “allora ci ha detto una bugia! Cioè ci ha detto che il provvedimento cautelare è sempre strumentale rispetto alla tutela dichiarativa è un’affermazione non veritiera perché ora ci dice che i provvedimenti cautelari anticipatori mantengono i loro effetti anche se il giudizio dichiarativo non è instaurato. Attenti!! A dispetto di quanto potrebbe all’apparenza sembrare anche nei provvedimenti cautelari anticipatori esiste il nesso di strumentalità tra cautela e tutela dichiarativa. È solo allentato questo nesso ma esiste sempre e ve lo dimostro nella prossima lezione. x” (dunque c’è un espresso riferimento fatto dal legislatore all’ammissibilità della richiesta di una tutela di mero accertamento in via cautelare). Questo è un argomento forte per la tesi del Mandrioli.Tale norma è sfruttata spesso in materia di brevetti per accertare, anche se non in maniera incontrovertibile, chi ne è proprietario verosimilmente. -E’ ammissibile un provvedimento cautelare che anticipi il contenuto,gli effetti di una futura sentenza di costitutiva? ( NB ENTRAMBI I TESTI – LUISO E MANDRIOLI- A RIGUARDO NON CONVINCONO LA PROF) Noi sappiamo che la tutela cautelare è una tutela sussidiaria - strumentale rispetto a quella dichiarativa e questo vuol dire che la prima è destinata ad avvicendarsi con la seconda: la tutela cautelare dunque non può mai dare di più di quanto sia in grado di dare la tutela dichiarativa, proprio perché quella cautelare è in un nesso di strumentalità, è servente, rispetto alla tutela dichiarativa. Per questo nessun problema si pone per la tutela di condanna e da questo punto di vista nemmeno per quella di accertamento, perché la sentenza di condanna è innanzitutto prima di accertamento e poi di condanna: quando il giudice pronuncia una sentenza di accertamento, infatti, egli dichiara chi è il proprietario di una determinata cosa, quindi guarda al passato (es. rispetto alle norme del cpc Tizio era dall’anno x… proprietario del codice di procedura civile, da domani in poi tu, Caio, ricordati che sulla base di questa sentenza passata in giudicato sei tenuto a rispettare il diritto di proprietà di Tizio sul codice) e detta le regole di condotta, tant’è vero che gli effetti della sentenza di accertamento retroagiscono al momento della proposizione della domanda giudiziaria, quindi nessun problema si pone nei rapporti con la tutela cautelare. Il problema grosso si pone invece con la tutela costitutiva poichè le caratteristiche della sentenza costitutiva sono: 1- il giudice nel pronunciare la sentenza costitutiva modifica la realtà sostanziale (perché ad es. costituisce una servitù, pronuncia una sentenza ex art.2932 cc che tiene luogo del contratto definitivo quando una delle parti si sia rifiutata di stipulare il preliminare, pronuncia una sentenza di divorzio tra le parti e questo è un caso di tutela costitutiva necessaria…) e inoltre 2- le sentenze costitutive producono effetti di modificazione giuridica ex nunc, cioè dal momento in cui essa passa in giudicato (non retroagiscono!). Dunque se combiniamo questa seconda caratteristica e il fatto che i provvedimenti cautelari non possano mai dare un di più di quanto dia il diritto sostanziale, il problema è: se io ad es. ho un contratto preliminare rimasto inadempiuto posso chiedere un provvedimento cautelare al giudice che tenga luogo del contratto definitivo? La risposta della maggior parte della dottrina, della giurisprudenza e con la quale la professoressa è concorde è che non sia possibile poiché se il giudice del cautelare potesse concedere un provvedimento cautelare con il quale pronuncia un provvedimento che tenga luogo del contratto definitivo scardinerebbe, anticiperebbe e modificherebbe surrettiziamente le regole valevoli in materia di sentenze costitutive, ossia che la modifica della realtà sostanziale si produce solo quando passa in giudicato la sentenza costitutiva pronunciata dal giudice della tutela dichiarativa. Proviamo a capire meglio questo concetto: quando noi chiediamo la tutela di accertamento o di condanna, noi siamo titolari di un diritto leso per il quale, appunto, chiediamo tutela; quando invece chiediamo la tutela costitutiva, siamo titolari di un diritto potestativo, cioè di un diritto di ottenere dal giudice una pronuncia che modifichi la realtà di diritto sostanziale (es. io ho stipulato il contratto preliminare ed ho diritto a che il giudice mi pronunci una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo, se la controparte si rifiuta di venire a stipulare il definitivo), ma il nostro ordinamento vuole ,esige,che tale modifica non si produca quando il giudice di I grado pronunci la sentenza di I grado, ma quando quella sentenza dichiarativa passa in giudicato, solo allora si produce la modifica della realtà di diritto sostanziale. Quindi con un provvedimento cautelare non è possibile anticipare il dies, il giorno in cui la modifica della realtà sostanziale si deve produrre: questa è la ragione per la quale si nega la possibilità di avere un provvedimento cautelare che anticipi i contenuti di una sentenza costitutiva. L’esempio fatto è proprio quello del giudice cautelare che dovrebbe pronunciare un provvedimento cautelare che produca gli stessi effetti dell’art.2932 cc (contratto preliminare rimasto inadempiuto - ripreso dal caso), ora però siccome in dottrina e in giurisprudenza si comprende che a volte l’esigenza cautelare sia sentita anche a fronte di un provvedimento costitutivo, si è cercato un escamotage. Pensiamo, infatti, a un altro esempio ossia quello della sentenza con la quale si costituisce una servitù coattiva (es. io sono proprietario di un fondo che non ha accesso alla pubblica via, il mio vicino non vuole stilare un contratto per costituire la servitù, perciò l’ordinamento mi dà la possibilità di chiedere e ottenere dal giudice una sentenza che costituisca la servitù tra i due fondi; quella sentenza sarà una sentenza costitutiva e i suoi effetti si produrranno dal momento in cui la sentenza costitutiva della servitù passa in giudicato). Il legislatore non ha dato regole in proposito, la giurisprudenza è restia ad ammettere provvedimenti cautelari che anticipino il contenuto delle sentenze costitutive, la dottrina però si rende conto che il povero proprietario del fondo intercluso una soluzione la deve pur trovare per poter avere l’accesso alla pubblica via per il tempo necessario per ottenere la sentenza costitutiva, dunque l’escamotage trovato dalla dottrina è il seguente: al giudice cautelare si può chiedere non un provvedimento che abbia gli stessi effetti della sentenza costitutiva (nel caso della servitù coattiva sarebbero stabilire un rapporto di servitù tra fondi), ma semmai di fissare un obbligo per il proprietario di quello che diverrà il fondo servente di far passare colui che non ha l’accesso alla pubblica via. Quindi non gli si chiede di anticipare gli effetti di una sentenza costitutiva, il che sarebbe improprio e impossibile, ma gli si chiede di fissare un obbligo in capo al proprietario: la differenza è sottile e più che altro argomentativa e il risultato che si ottiene essenzialmente è lo stesso (si passa dal fondo), ma mentre la sentenza costitutiva pone un rapporto tra fondi perché costituisce la servitù, il provvedimento cautelare è rivolto alla persona del proprietario del fondo (e non al fondo) e obbliga quest’ultimo a far passare dal cancello colui che invece ha il fondo intercluso e privo di accesso alla pubblica via; è un escamotage che coordina due esigenze: da un lato di garantire, in casi di questi tipo, l’esigenza cautelare, dall’altro di non scardinare le regole valevoli in materia di sentenze costitutive. CASO IN MATERIA di PROCEDIMENTO CAUTELARE (CASO N.5) – provvedimento cautelare finalizzato ad anticipare gli effetti di una sentenza costitutiva: In data 01.01.2012 Tizio stipula con Caio un preliminare di compravendita mediante il quale Tizio si obbliga a trasferire a Caio, entro un mese, la piena proprietà dell’immobile sito in Torino, Via Sant’Ottavio 20. Nel mese di marzo 2012, passati cioè due mesi, dopo ripetuti solleciti rimasti disattesi, Caio la piena proprietà non se la vede ancora trasferita perché Tizio si rifiuta di andare dal notaio. A questo punto Caio deposita un ricorso ex art.700 cpc chiedendo al Tribunale di Torino un provvedimento d’urgenza che abbia gli stessi effetti (che tenga luogo) del contratto definitivo di compravendita che avrebbe dovuto essere concluso tra le parti, ossia richiede un provvedimento che abbia gli effetti espressi dall’art. 2932 del cc (= sentenza costitutiva che tiene luogo del definitivo che le parti avrebbero dovuto stipulare). Si può pronunciare un provvedimento del genere? Nel compito chi si troverà un caso del genere avrà la consegna di assumere le difese di una delle due parti, dunque chi si trova convocato nel procedimento cautelare, dovrà argomentare se sia possibile pronunciare un provvedimento che anticipi gli effetti della sentenza ex art.2932 cc spiegandone i motivi. Nei materiali didattici si trova la sentenza che aiuta a risolvere il caso, infatti c’è una ordinanza del Tribunale di Bari che ha rigettato la richiesta di provvedimento cautelare ex art.2932 cc (da leggere a casa), poiché le sentenze costitutive non sono suscettibili di tutela urgente proprio perché quest’ultima tutela eserciterebbe una funzione strutturalmente anticipatoria che produrrebbe subito quella stessa costituzione del rapporto giuridico che invece per legge si deve produrre solo nel momento in cui la sentenza costitutiva passa in giudicato. Questa tesi, ossia che non è possibile anticipare gli effetti di una sentenza costitutiva, è confermata dalla pronuncia di una sentenza della Corte di Cassazione (sent.4059/2010), la quale ha chiarito che l’effetto traslativo della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 2932 cc si produce effettivamente al momento del passaggio in giudicato della sentenza costitutiva pronunciata ai sensi dell’art.2932 cc. Ma non è mai possibile che anche nel caso dell’art.2932 cc, come si è fatto nell’ipotesi della servitù coattiva, si chieda al giudice un provvedimento d’urgenza non che anticipi gli effetti della sentenza costitutiva ex art.2932, ma una sorta di escamotage, ossia un provvedimento che arrivi ad ottenere lo stesso risultato, senza essere un provvedimento cautelare che anticipi gli effetti di un provvedimento costitutivo? In particolare, per es, si potrebbe chiedere al giudice il provvedimento d’urgenza di stabilire che Tizio si debba recare dal notaio a stipulare il contratto altrimenti magari dovrà pagare una certa somma di denaro. Questo è per es. il sistema che utilizza l’ordinamento francese: qui non esiste, se la parte è inadempiente e non stipula il contratto definitivo dopo aver siglato il preliminare, la possibilità di stilare una sentenza costitutiva che tenga luogo degli effetti del contratto definitivo non siglato, piuttosto ci si rivolge al giudice e si chiede la condanna della controparte a prestare il consenso. Il giudice stabilirà che per ogni giorno per cui la controparte rimane inerte e non si reca dal notaio a stipulare il definitivo, dovrà pagare la somma di tot euro. In questo modo, condanna a prestare il consenso, più il pagamento di tot euro per ogni giorno in cui non si reca dal notaio, il risultato che si ottiene è lo stesso che si ottiene in Italia con il provvedimento ex art.2932. Ora, in via cautelare, chiedere un provvedimento di questo tipo in Italia, obbligando attraverso il giudice con un provvedimento d’urgenza la controparte ad andare dal notaio, creerebbe comunque un problema nel momento in cui la controparte dal notaio non ci vada e si resterebbe con un nulla di fatto. Non è, cioè, sicuro nel nostro ordinamento che il giudice del provvedimento cautelare (lo vedremo meglio quando studieremo il processo esecutivo) possa dire che ogni giorno in cui Tizio non si reca dal notaio, debba pagare la somma di tot euro (non è così certo che il giudice cautelare possa disporre di questa condanna!). Serve, dunque, uno strumento che imponga a colui che deve tenere un certo comportamento di farlo e non è sicuro, per ragioni di una norma che è contenuta nel cpc che vedremo quando parleremo del processo esecutivo, che il giudice del cautelare possa pronunciare la condanna al pagamento di una somma di denaro per ogni tot giorni di ritardo. Domanda di uno studente: Ma quindi la differenza tra l’escamotage che la dottrina ha trovato per il caso della servitù coattiva e in questo caso in cui non è possibile è l’obbligo di fare e non fare? Sì, è che l’obbligo di prestare il consenso lo può fare solo l’interessato, non può qualcun altro sostituirsi e andare a stipulare il contratto definitivo, mentre se colui che è tenuto da un provvedimento d’urgenza ad aprirle in cancello della sua proprietà perché l’altro deve passare e avere accesso alla pubblica via, si tratta di un obbligazione fungibile, nel senso che se l’interessato non ottempera al provvedimento cautelare, similmente a quanto accade nel processo esecutivo, anche il provvedimento cautelare può essere non eseguito, ma attuato coattivamente, quindi se il proprietario del fondo, ossia colui che è il destinatario del provvedimento d’urgenza, che è tenuto ad aprire il cancello ogniqualvolta l’altro soggetto ne faccia richiesta per accedere alla pubblica via, se non glielo apre può chiedere l’attuazione coattiva del provvedimento cautelare e qui si può fare perché è un’obbligazione fungibile quella di aprire il cancello, che poi lo apra il proprietario o l’ufficiale giudiziario, all’altro che vuole passare, poco cambia, basta che il cancello sia aperto. Il problema è che il consenso alla stipula del contratto validamente lo può dare solo chi si era obbligato con il preliminare, titolare del diritto. (avremo il quadro completo col processo esecutivo) Domanda di uno studente: Ma alla fine chi ha stipulato questo contratto preliminare non può ottenere cautelare per ottenere il contratto definitivo? La risposta è che deve attendere la tutela dichiarativa. Ma cosa succede se colui che si era impegnato a stipulare il contratto definitivo aliena il bene a terzi? Questo problema Caio lo risolverà non con il provvedimento cautelare, ma con la trascrizione. La giurisprudenza non ammette che si possa in via cautelare anticipare gli effetti della sentenza che tiene luogo del contratto. In questo caso appena visto non si dà tutela cautelare, ma si risolve comunque il problema dell’eventuale alienazione nei confronti di terzi tramite la trascrizione del contratto preliminare. -L’ultimo problema relativo ai provvedimenti cautelari è trattato solo nel Luiso ed è il seguente: se è chiesto un provvedimento cautelare e il giudice che deve decidere su tale richiesta pensa che una delle norme che deve applicare per decidere se esiste il fumus boni iuris sia incostituzionale, come si deve comportare? deporre la risoluzione di una controversia a dei soggetti privati, cioè degli arbitri. Il potere degli arbitri di decidere la controversia si fonda sull’ accordo delle parti; ed è per questa ragione che all’ arbitrato si possano rivolgere soltanto controversie riguardanti diritti disponibili, cioè quelli per i quali ci può essere l’ accordo fra le parti. Un divorzio non potrà mai essere pronunciato da arbitri perché è materia indisponibile, il nostro ordinamento non permette che le parti si accordino per devolvere ad arbitri la risoluzione di una controversia riguardante diritti indisponibili. L’ arbitro, quindi, quando pronuncia un provvedimento, che si chiama lodo, impartisce tutela dichiarativa. Il nostro ordinamento ammette che la tutela dichiarativa possa essere impartita da un soggetto diverso dal giudice statale, ma non la tutela cautelare. La tutela cautelare, l’ arbitro non la può pronunciare (stesso discorso del giudice di pace). C’è una ragione ontologica, c’è una ragione razionale/giuridica? No, non esiste, è una scelta del nostro legislatore. Se guardiamo le norme, anche quelle in materia di arbitrato troviamo una norma, la quale dice che gli arbitri non possono pronunciare provvedimenti cautelari. Altri ordinamenti hanno fatto una scelta diversa: ad esempio, se voi controllate la normativa francese o quella tedesca vedrete che gli arbitri possono pronunciare provvedimenti cautelari, ma è una scelta del legislatore. Il nostro legislatore ha deciso che i provvedimenti cautelari possono essere pronunciati soltanto dal giudice statale, ed in particolare soltanto dal tribunale. Per cui, se per la causa di merito le parti avevano stipulato la convenzione di arbitrato, la domanda cautelare la si chiederà al giudice statale, al tribunale che sarebbe stato competente se non vi fosse stato l’ accordo arbitrale. Quindi si guardano le norme del cpc concernenti la competenza vuoi orizzontale vuoi verticale e si individua qual è il primo tribunale competente. Ultima ipotesi che ci interessa è quella del caso in cui per la causa di merito avrebbe giurisdizione un giudice straniero. La norma è la seguente: 669 ter, terzo comma: “Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o per valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.” Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito: che significa? Significa che il giudice italiano non ha giurisdizione per la causa di merito; ma questa norma, da sola, manca di qualcosa. Questa è una norma sulla competenza, perché ci dice che se non c’è la giurisdizione italiana per la causa di merito, il giudice che ha la competenza per pronunciare il provvedimento cautelare è quello che sarebbe competente per materia e per valore con riferimento alla competenza territoriale di si guarda al luogo in cui dev’essere eseguito il provvedimento cautelare. C’è bisogno che a monte ci sia una norma sulla giurisdizione, una norma che dice “anche quando il giudice italiano non ha la giurisdizione per impartire la tutela dichiarativa ha comunque la giurisdizione cautelare”; cioè il provvedimento cautelare lo può concedere anche se non ha giurisdizione per impartire la tutela dichiarativa. Queste norme sulla giurisdizione vengono prima dell’ art 669 ter, terzo comma; le troviamo in due norme sulla giurisdizione: la prima norma sulla giurisdizione è la norma del regolamento 44/2001: è un regolamento importantissimo, il regolamento cardine del sistema giudiziario europeo perché è il regolamento che detta le norme in materia di giurisdizione, sulla litispendenza internazionale, che disciplina le regole sui riconoscimenti della sentenza straniera, e che detta anche la norma che ci interessa oggi, che è l’ art. 31 del regolamento 44/01. L’ art. 31 del regolamento 44/2001 ci dice: i provvedimenti cautelari previsti dalla legge di uno stato membro possono essere richiesti al giudice di detto stato anche se, in base al regolamento 44/01, quello stato non ha giurisdizione a decidere la causa nel merito. E’ contenuta non nell’ art. 669 ter, terzo comma. (questo regolamento sta per essere modificato, e le modifiche riguarderanno non solo gli stati membri ma anche gli stati terzi, la novità generalizzerà il sistema, l’imperatività della sentenza di condanna sarà riconosciuta in tutti gli altri stati membri) Un’ altra norma analoga la trovate all’ art. 10 della legge 218/1995. “In materia cautelare la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento dev’essere eseguito in Italia, anche se il giudice italiano non ha giurisdizione per impartire la tutela dichiarativa” Noterete che nel nostro sistema di diritto processuale civile esiste una discrasia tra giurisdizione per impartire la tutela dichiarativa e giurisdizione cautelare. La giurisdizione cautelare ha una portata più ampia rispetto alla giurisdizione che consente di impartire tutela dichiarativa. Quindi, anche quando il giudice italiano non ha giurisdizione per impartire tutela dichiarativa, ha giurisdizione per impartire tutela cautelare se in Italia dev’ essere attuato il provvedimento cautelare. Questo per quanto riguarda l’ ipotesi di competenza a pronunciare il provvedimento cautelare prima dell’ instaurazione della causa di merito. Se voi guardate la norma successiva, cioè l’ art. 669 quater vi indica come si fa ad individuare il giudice competente a pronunciare il provvedimento cautelare quando la causa di merito è già instaurata. ( la prof si soffermerà poco, perché c’è poco da ragionare) La regola è: se la causa di merito è già pendente la domanda cautelare la proponete al giudice della causa di merito; se, ovviamente, la causa di merito è pendente davanti agli arbitri la domanda la si chiederà al tribunale che sarebbe stato competente, per materia, valore o territorio, se non ci fosse stata la convenzione di arbitrato. Se competente per il merito è il giudice di pace, siccome il giudice di pace non può pronunciare provvedimenti cautelari, la richiesta la si fa al tribunale. Se la causa di merito è pendente davanti al tribunale italiano è a lui che verrà chiesto il provvedimento cautelare. E se la causa di merito è pendente davanti al giudice straniero? Stesso discorso di prima, la richiesta di provvedimento cautelare, anche se la causa di merito è pendente in Germania davanti al giudice tedesco, può essere chiesto in Italia se in Italia dev’ essere attuata la misura cautelare. Esempio: la causa di merito su chi è proprietario di una yatch ancorato al porto di Savona è pendente in Germania, perché in Germania è stato concluso il contratto che riguarda la compravendita dello yatch, una delle parti che ha interesse a richiedere un sequestro conservativo, questo verrà attuato al porto di Savona, perché è lì che lo yatch si trova. Quindi, esiste la giurisdizione cautelare italiana. Quindi anche se la causa di merito è pendente davanti al giudice di Berlino, anche se esiste la giurisdizione nel merito per la tutela dichiarativa tedesca, la richiesta di provvedimento cautelare può essere effettuata in Italia perché esiste la giurisdizione italiana ed in particolare la richiesta sarà effettuata al tribunale nel cui circondario in cui il sequestro dev’essere eseguito. C’è un solo aspetto dell’ art. 669 quater che merita di essere puntualizzato, il primo comma: “Quando vi è causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa”. Noi ci siamo detti, giustamente, che se è pendente una causa di merito allora la domanda cautelare la chiederò al tribunale dinnanzi al quale la causa di merito è pendente. Noi abbiamo fatto questa affermazione in buona fede, cioè supponendo che l’ attore sia una persona diligente e porti la causa di merito davanti al giudice che effettivamente risulta essere competente sulla base delle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano la competenza vuoi in senso orizzontale vuoi in senso verticale. Che problema si è posto in giurisprudenza? Si è posto il seguente problema: quando il legislatore ha detto “se vi è causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa” ha voluto prendere in considerazione solo le ipotesi fisiologiche, cioè le ipotesi in cui la causa di merito è proposta dinnanzi al giudice che è effettivamente competente? oppure ha voluto dire che se l’ attore di Torino instaura la causa di merito davanti al tribunale di Torino, ben sapendo che il convenuto è residente a Ragusa, (però furbescamente instaura la causa davanti al tribunale di Torino) e quindi risulterebbe esserci incompetenza per territorio, e chiede un provvedimento cautelare; il quesito che ci si è posti è: l’ art. 669 quater quando dice: “Quando vi è causa pendente per il merito la domanda cautelare deve essere proposta al giudice della stessa” ci vuol dire che basta che ci sia una causa di merito pendente e perciò solo il giudice della causa di merito diventa competente a pronunciare il provvedimento cautelare oppure il 669 quater ha voluto dire: la causa di merito deve essere pendente al giudice che è effettivamente competente? La soluzione più ragionevole è la seconda. Questo è un problema che si è posto molto nella prassi. LE MODALITA’ CON CUI SI SVOLGE IL PROCEDIMENTO CAUTELARE UNIFORME. Il procedimento cautelare uniforme è un procedimento sommario, ciò significa che il legislatore non disciplina in maniera compiuta quali sono i poteri delle parti e quali sono i tempi entro i quali le parti possono esercitare i loro poteri. Non potrebbe essere che così perché il procedimento cautelare dev’ essere un procedimento celere. E’ comunque un procedimento che si svolge di regola a contraddittorio integro. Vedete la norma come si differenzia dalle disposizioni del libro II del codice di procedura civile, cioè quelle sul processo a cognizione piena ed esauriente. La norma è la 669 sexies: “Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda”. Non solo le modalità con cui si procede non sono predeterminate dal legislatore, ma anche l’ istruttoria è un’ istruttoria sommaria, cioè il giudice può procedere anche senza osservare rigidamente le modalità sullo svolgimento dell’ istruttoria previste nel libro II del cpc, e si ritiene che l’ istruttoria sommaria significhi che il giudice possa ammettere anche prove atipiche oppure prove tipiche assunte in maniera atipica. Il provvedimento finale, quello che conclude il procedimento cautelare, non è una sentenza ma un’ ordinanza. Questo è lo svolgimento fisiologico del procedimento cautelare, in cui si procede a contraddittorio integro: ci sarà l’ udienza, e nel contraddittorio fra le parti il giudice verificherà se esistono i presupposti per l’ accoglimento della misura cautelare. Ci sono però dei casi in cui il provvedimento cautelare può essere pronunciato inaudita altera parte, cioè senza l’ instaurazione preventiva del contraddittorio. La norma dice: quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento cautelare. In questi casi ci sono due esigenze contrapposte da bilanciare: • da un lato c’è l’ esigenza di garantire il rispetto del principio del contraddittorio, un principio cardine; • dall’ altra c’è la necessità di garantire l’ effettività della tutela cautelare. Ci sono dei casi in cui non è possibile instaurare il contraddittorio, perché se si instaurasse sarebbe pregiudicata l’ attuazione del provvedimento cautelare. Quali sono questi casi? Sono due: 1. ci sono ragioni urgentissime che non consentono neppure di aspettare quei 10-15 giorni per l’ instaurazione del contraddittorio. Quando Ci possono essere eccezionali ragioni d’ urgenza? Pensate all’ ipotesi di strada di montagna nella quale un masso sta per franare, un masso sito nel terreno del signor X che è pericolante, e rischia di franare sulla strada creando danni alle vetture e forse anche alle persone, bisogna agire tempestivamente; se si aspettasse di instaurare il contraddittorio, in questo lasso di tempo, il masso pericolante previsto espressamente dal legislatore, cui il rigetto per ragioni cautelari non ha portata preclusiva alcuna. L’ ultima cosa: il provvedimento cautelare se era di rigetto, e se era stato chiesto ante causam, in ogni caso, sia che sia stato chiesto un provvedimento cautelare conservativo sia che sia stato chiesto un provvedimento anticipatorio, contiene la liquidazione delle spese da parte del giudice. Se la richiesta di provvedimento cautelare è rigettata è sicuro che il gioco si chiude in quel momento, non ci sarà l’ instaurazione di un processo dichiarativo. Allora è necessario liquidare le spese processuali. Questa è l’ ipotesi negativa, di rigetto di una richiesta di provvedimento cautelare. 2. il giudice accoglie la richiesta di provvedimento cautelare. La domanda è accolta con ordinanza, già un requisito di questa ordinanza che accoglie la misura cautelare noi lo conosciamo: la norma che disciplina gli effetti del provvedimento di accoglimento della misura cautelare è l’ art. 669 octies. L’ ultimo comma di questo articolo prevede che il provvedimento cautelare di accoglimento non produce mai un’ efficacia di accertamento incontrovertibile, tale è quella della sentenza di accertamento. “l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo”, cioè il provvedimento cautelare anche se è di accoglimento non produce mai un’efficacia di accertamento extraprocessuale, spendibile in altri processi. Se il provvedimento cautelare è di accoglimento bisogna distinguere due ipotesi, ovvero il caso in cui sia chiesto ed ottenuto un provvedimento cautelare ante causam o anticipatorio, dall’ ipotesi in cui sia chiesto ed ottenuto un provvedimento cautelare conservativo. Vi rimando alla lettura del codice i dettagli numerici circa i termini e le modalità con cui si deve instaurare la causa di merito, quello che mi interessa è che abbiate chiaro il diverso iter che si può presentare a seguito di un provvedimento di accoglimento di una misura cautelare. Se è stato chiesto ed ottenuto un provvedimento cautelare conservativo ante causam c’è l’ obbligo di instaurare la causa di merito. E se è stato ottenuto in corso di causa c’è l’ onere di tener viva la causa di merito. Cosa succede se il procedimento dichiarativo non è instaurato? Il provvedimento cautelare conservativo perde efficacia. Quando il giudice accoglie la domanda con la quale era stato richiesto il provvedimento cautelare conservativo, indica un termine per l’ instaurazione della causa di merito (se il provvedimento era stato chiesto ante causam). Se entro tale termine la causa di merito non è instaurata il provvedimento cautelare conservativo perde efficacia. Se il provvedimento cautelare conservativo era stato chiesto ed ottenuto durante la pendenza della causa di merito è ovvio che la causa di merito è già pendente e non c’è bisogno di iniziarne un’ altra. C’è però l’ onere di tener vivo quel giudizio di merito, perché se il giudizio di merito si estingue il provvedimento cautelare egualmente perde efficacia. Perché ciò si verifica? Per la strumentalità che esiste tra tutela cautelare e tutela dichiarativa. Se, invece, il provvedimento cautelare chiesto ed ottenuto, è un provvedimento cautelare anticipatorio allora non c’è l’ obbligo di instaurare la causa di merito perché il provvedimento cautelare anticipatorio mantiene i suoi effetti anche se è stato chiesto ed ottenuto ante causam e non è successivamente instaurata la causa di merito. In tal caso è possibile che chi subisce il provvedimento cautelare anticipatorio instauri lui la causa di merito. Se la instaura vale egualmente la regola della strumentalità. Ma chi è che stabilisce se io ho chiesto il provvedimento cautelare conservativo o anticipatorio? Il giudice al quale è chiesto di dichiarare l’ efficacia del provvedimento cautelare; la norma è l’ art 669 novies, il quale dice: “Se il procedimento di merito non e' iniziato nel termine perentorio fissato dal giudice, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia.” La norma prosegue e dice: “In entrambi i casi, il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara, se non c'e' contestazione, che il provvedimento e' divenuto inefficace.” In caso di contestazione, l’ ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva se il provvedimento cautelare ha perso efficacia oppure no. Quindi, la parola ultima nello stabilire se il provvedimento che è stato ottenuto ha natura anticipatoria o conservativa spetta al giudice di cui all’ art. 669 novies. Ovvio che se io chiedo un sequestro conservativo dubbi non ce ne sono sulla natura del provvedimento; il problema è che esistono non solo provvedimenti cautelari tipici, cioè provvedimenti cautelari non solo contemplati dal legislatore ma dove il legislatore dice anche quale è il contenuto della misura cautelare; esiste anche un provvedimento cautelare atipico detto comunemente, ex art. 700 del cpc, il quale, proprio perché atipico, è caratterizzato dal fatto che il legislatore non indica preventivamente quali saranno gli effetti che avrà la misura cautelare, li stabilisce il giudice. Dovessero sorgere delle controversie la parola ultima spetta al giudice ex art. 669 novies. DUE POSSIBILITA’ DI REAZIONE AVVERSO LA MISURA CAUTELARE Ci sono due possibilità per reagire ad una misura cautelare. La prima ipotesi è la revoca alla modifica del provvedimento cautelare; la seconda ipotesi è il reclamo avverso il provvedimento cautelare. Il reclamo cautelare è stata la più grossa novità della riforma del ’90, è stata la possibilità di proporre reclamo avverso misure cautelari, possibilità prevista dall’ art. 669 decies del cpc. Questo reclamo è un’ impugnazione spendibile nei confronti della misura cautelare. Mandrioli parla di impugnazione, Luiso parla di appello in senso atecnico avverso l’ordinanza con il quale si è deciso sulla richiesta di una domanda cautelare. La caratteristica del giudizio di reclamo è la possibilità che si dà alla parte interessata di ottenere da un giudice diverso la possibilità di verificare nuovamente, senza che ci sia la necessità di allegare nulla di nuovo, se esistevano gli estremi per la concessione della misura cautelare. L’ organo che decide il reclamo non prevede mai la partecipazione del soggetto che, in prima battuta, si pronunciò sulla richiesta di misura cautelare. Se, sulla domanda di tutela cautelare, si è pronunciato il tribunale in composizione monocratica, il reclamo lo si fa al collegio e il legislatore all’ art. 669 terdecies ci dice: del collegio non può far parte il giudice monocratico che si occupò, in prima battuta, della richiesta di tutela cautelare. Se il provvedimento cautelare è emesso dalla Corte d’ Appello, il reclamo lo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla Corte d’ Appello più vicina. Non c’è possibilità neanche teorica che la stessa corte d’appello di occupi anche del reclamo. Ci sembra completa questa norma? Il legislatore non ha preso in considerazione l’ ipotesi del provvedimento cautelare emesso dal tribunale in composizione collegiale. Qui, sia in dottrina che in giurisprudenza, ci sono state prospettate tutte le soluzioni possibili. Per cui, comunque rispondiate la risposta è giusta. Quindi, o ad altra sezione del collegio o alla corte d’ appello. Il reclamo cautelare ex art. 669 terdecies si comporta esattamente come un appello. Quale è la caratteristica dell’ appello? Due caratteristiche da ricordare per l’ appello: 1. l’ appello è un mezzo di gravame perché la sentenza conclusiva del giudizio di appello sostituisce quella del giudizio di primo grado. Nel reclamo cautelare è esattamente la stessa cosa: l’ oggetto del giudizio di reclamo cautelare potenzialmente coincide con l’ oggetto del giudizio cautelare svoltosi davanti al tribunale di prima battuta, e l’ ordinanza conclusiva del reclamo sostituisce l’ ordinanza cautelare che è stata reclamata. LEZIONE 8 (24/10/2012) La Professoressa fa passare il foglio delle firme, poi fa delle comunicazioni. “Volevo fare qualche precisazione sugli esoneri perché me le state chiedendo: i due esoneri sono indipendenti, quindi potete partecipare al primo e non partecipare al secondo o viceversa, anche perché, come vedete, raccolgo le firme (questa è la terza volta che raccolgo e le raccoglierò ancora per due settimane) e mi sembra una scelta coerente quella di dire che chi ha almeno tre firme su cinque...almeno tre firme su cinque ci vogliono per venire a fare l'esonero. Perché due settimane potete essere assenti...ci sono diversi di voi che hanno dei problemi a seguire il mercoledì o il giovedì, ma li ho tutti presenti perché mi hanno scritto. Quindi, due settimane di assenza va bene, però, almeno tre volte dovete essere venuti. A quel punto come farò? Prenderò la lista dei registrati, verificherò chi è in regola, chi ha almeno queste tre firme e manderò una mail a tutti quanti con l'indicazione di chi, purtroppo, non ha raggiunto il numero di firme e poi metterò sul sito. Quando venite alla mattina dell'esonero, noi avremo la lista, voi portate il libretto dal quale risulta che siete del corso O, io ho la lista, vi segniamo e venite a far l'esonero. Finito il primo esonero si riparte daccapo, cioè chi vuole fare il secondo esonero...vale la registrazione più, essendo una prova per frequentanti, mi sembra corretto...due settimane è possibile essere assenti per ragioni vostre, poi chi ha avuto problemi personali mi ha scritto ed ho presente la situazione. Il secondo esonero riparte con modalità autonome; quindi, chi di voi desidera farli tutti e due – è una scelta vostra – li fa tutti e due; se non è soddisfatto del voto del primo e vuole tenersi per buono solo il secondo o viceversa. Sulla data del secondo esonero devo vedere: perché se siete in pochi lo possiamo fare durante le ore di lezione il mercoledì 12, se invece siamo un po' più di persone come al primo esonero, molto probabilmente andiamo a sabato 15. Perché al sabato mattina? Perché è l'unica mattina in cui la palazzina Einaudi ha le aule grandi libere e funzionerà così se non lo facciamo il 12: io metterò l'appello di dicembre e questa figurerà come coda d'appello destinata però solo ai frequentanti con con prova scritta ed è l'unico modo con cui mi consentono di fare la prova scritta per voi, però assolutamente non cambia niente, è solo una veste formale. Una comunicazione: il 13 novembre, come vi ho già detto, ci sarà la lezione sul giudizio di merito possessorio tenuta dai Professori Chiarloni e Luiso e si terrà il martedì alle ore 18, Aula magna del campus Einaudi; mi rendo conto che l'orario non è dei migliori però avevamo dei problemi di aule, non ci è stato possibile farlo dalla 14 alle 16 perché l'aula magna non era libera. Io vi consiglio di venire perché sia il Professor Chiarloni che il Professor Luiso sono due grandi esperti del giudizio possessorio e tutti e due (ciascuno ha la sua personalità) sono molto affascinati quando parlano, per cui capirete cosa vi siete persi (purtroppo per voi sono già in pensione quindi a voi toccano i giovani (!)). Il 28 novembre probabilmente non ci sarà lezione, ora vedo se trovo una sostituzione oppure non la facciamo, però segnatevelo perché io avevo un impegno precedente a Roma, devo andare a Roma per una conferenza, quindi il 28 novembre molto probabilmente non ci sarà lezione, però ne darò avviso. Il 29 invece tutto regolare. Dovrei arrivare alle 12, se Trenitalia facesse ritardo io vi mando una mail. Ho un'ultima comunicazione da farvi: siccome forse qualcuno di voi, specie chi di voi ha studiato il giudizio di mediazione, il procedimento di mediazione a diritto processuale civile I, sa che ieri si è svolta presso la Corte costituzionale un'udienza abbastanza importante perché la questione dell'obbligatorietà del tentativo, del procedimento di mediazione (ne abbiamo parlato quando abbiamo affrontato il procedimento monitorio) è stata sottoposta all'attenzione della Corte costituzionale perché – ora a noi non interessa sapere bene i termini della questione – si dubita della conformità a Costituzione dell'obbligatorietà del tentativo di mediazione per determinate tipologie di controversie. Noi ne abbiamo già parlato, quando abbiamo parlato del procedimento monitorio: vi avevo detto in quell'occasione che, fra le controversie per le quali è prevista l'obbligatorietà del tentativo di mediazione stragiudiziale ci sono quelle in materia di locazione. semplicemente per chiedere ad un giudice di grado superiore di valutare se effettivamente esistevano o non esistevano i presupposti per la concessione della misura cautelare, senza necessità di allegare alcunché di nuovo. Quindi, ci possiamo immaginare perché il primo comma dell'art. 669 terdecies è stato dichiarato incostituzionale: perché quando abbiamo studiato l'ordinanza di rigetto della misura cautelare, abbiamo detto che l'ordinanza di rigetto della misura cautelare per ragioni diverse dalla competenza non preclude la proposizione di una nuova domanda a condizione che la nuova domanda sia sorretta da mutamenti nelle circostanze o da nuove ragioni di fatto o di diritto. Quindi si diceva: è vero che, in caso di provvedimento di rigetto c'è la possibilità di riproporre una nuova istanza cautelare, ma la nuova istanza cautelare, se il precedente provvedimento era stato di rigetto per ragioni diverse dalla competenza, deve essere supportato da nuove ragioni di fatto o di diritto e da nuovi mutamenti delle circostanze. Quindi si verificava una situazione di discrasia perché se il provvedimento era di accoglimento c'era la possibilità di fare reclamo senza necessità di allegare alcunché di nuovo; se era di rigetto, non si poteva chiedere ad un giudice superiore di valutare se effettivamente esistevano o no i presupposti per la concessione della misura cautelare, si doveva riproporre di nuovo l'istanza e si era obbligati ad allegare nuove ragioni di fatto e di diritto o nuovi mutamenti delle circostanze. E, la Corte costituzionale ha giustamente dichiarato questa situazione contraria all'art. 3 della Costituzione; c'era, secondo la Corte costituzionale una disparità di trattamento. Quindi, dal 1994 fino al 2005, il reclamo era sempre e comunque ammesso contro le ordinanze cautelari di accoglimento o di rigetto, solo che non lo trovavamo scritto, i provvedimenti di rigetto non erano menzionati all'art. 669 terdecies. Nel 2005, quando si è riscritto il primo comma perché si è modificato il termine per la proposizione del reclamo – che è un termine di quindici giorni – [la Professoressa dice che inutile che ce lo spieghi perché lo controlliamo tranquillamente sul codice e sul Mandrioli], con l'occasione, si è riformulato il primo comma tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale e si è precisato che il reclamo è ammesso contro le ordinanze che accolgono o che negano la richiesta di tutela cautelare. La Professoressa fa una domanda che a volte si fa in sede di esame. Noi ricordiamo, ne abbiamo parlato la volta scorsa, la Professoressa ci ha detto che in casi di particolare urgenza il provvedimento cautelare può esser concesso anche inaudita altera parte con decreto e il giudice, con il decreto, fissa la data dell'udienza, nella quale udienza confermerà, modificherà o revocherà il precedente provvedimento cautelare emesso inaudita altera parte. Ora, la domanda è questa: posto che il primo comma dell'art. 669 terdecies parla di ordinanze avverso le quali è ammesso reclamo, quel decreto emesso inaudita altera parte è reclamabile oppure no? No; no perché? Oltre questo appiglio testuale, perché il decreto non è reclamabile? Quel decreto non è reclamabile perché quando il provvedimento cautelare è emesso inaudita altera parte con decreto, è un provvedimento provvisorio che alla successiva udienza è suscettibile di essere modificato, revocato o confermato dallo stesso giudice che ha emesso il decreto. Eventualmente il reclamo si proporrà non avverso il decreto che è il provvedimento provvisorio, ma semmai, avverso quell'ordinanza che conferma, modifica o revoca il provvedimento emesso con decreto. Quindi, è sempre avverso le ordinanze che è proponibile il reclamo cautelare. Questo è il primo dato che alla Professoressa importava sottolineare; sui termini e le modalità con cui si propone reclamo, la Professoressa invita alla lettura del testo, perché non c'è alcunché di teorico o su cui riflettere, c'è solo da ricordare alcuni dati a memoria, appunto il termine di quindici giorni. Un altro dato che invece preme sottolineare alla Professoressa, che è importante con riferimento al giudizio di reclamo riguarda i rapporti tra il reclamo e la possibilità di chiedere la revoca o modifica del provvedimento cautelare. Anche questo è un problema che è stato risolto dal legislatore del 2005 che – come la Professoressa ci ha detto poc'anzi – è intervenuto sul testo dell'art. 669 terdecies. Ora, la revoca o la modifica del provvedimento cautelare è un istituto a noi ignoto, perché noi, avendo studiato il processo di cognizione, abbiamo studiato sicuramente che il provvedimento conclusivo del giudizio di cognizione di primo grado è una sentenza e che la sentenza non può mai essere modificata o revocata dal giudice che l'ha emessa, perché il giudice quando pronuncia sentenza si spoglia del proprio potere decisionale. Quindi, se quella sentenza contiene degli errori di fatto o di diritto, quegli errori saranno emendati non dal giudice che ha emesso la sentenza tramite modifica o revoca di quella sentenza, ma semmai da un giudice superiore tramite lo strumento dei mezzi di impugnazione. Sappiamo, invece, che le ordinanze e i decreti emessi dal giudice ma con valenza endoprocessuale, cioè quando non sono provvedimenti conclusivi del giudizio, sono sempre modificabili o revocabili dal giudice che lo ha emesso. Qui, invece, in materia cautelare siamo in presenza di un provvedimento conclusivo del procedimento cautelare che ha la forma dell'ordinanza e che è modificabile o revocabile. Da chi è modificabile o revocabile il provvedimento cautelare? Dipende. Perché? La norma che ci interessa è l'art. 669 decies il quale ci dice che se è proposta la causa di merito, “il giudice istruttore della causa di merito può su istanza di parte modificare o revocare il provvedimento cautelare”. Quando? Ora vediamo quando, però prima interessa alla Professoressa che noi capiamo la ratio. Perché è il giudice della causa di merito che modifica o revoca il provvedimento cautelare? La ragione è la strumentalità che abbiamo visto sussistere fra la tutela cautelare e la tutela dichiarativa: ci siamo detti che la tutela cautelare è sempre servente, ha sempre carattere ancillare rispetto alla tutela dichiarativa. Il giudice della causa di merito può modificare o revocare il provvedimento cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze – quindi sopravvenienze in fatto e in diritto – o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. Quindi, se durante lo svolgimento della causa di merito si verificano mutamenti nelle circostanze che rendono, come dire, ormai inattuale il provvedimento cautelare, oppure se si è acquisita conoscenza dopo la pronuncia del provvedimento cautelare di fatti verificatisi anteriormente alla pronuncia del provvedimento cautelare, ma di cui si è avuta conoscenza dopo che ormai il provvedimento era stato pronunciato, questo provvedimento può essere revocato o modificato dal giudice di merito. È il giudice della causa di merito, colui che dovrà rendere la sentenza dichiarativa che ha il compito, come dire, di adeguare il provvedimento ed eventualmente di caducarlo rendendolo coerente con la nuova realtà dei fatti. Se per esempio, se io avevo chiesto un sequestro conservativo ante causam, chiesto e concesso; si instaura la causa di merito ed il debitore paga, non c'è più ragione di tenere in vita il provvedimento cautelare di sequestro. Quindi, si può chiedere la revoca al giudice della causa di merito. Stessa ragione che esiste per poter chiedere la revoca o la modifica del provvedimento è se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. Io sono debitrice della somma di diecimila euro; il mio creditore ha chiesto il sequestro conservativo perché io non avevo adempiuto all'obbligazione; ottiene il sequestro, viene instaurata la causa di merito e vengo a sapere che mia zia, prima della concessione del sequestro, per evitare l'onta del veder sequestrare un mio bene, aveva pagato il crebitore, a mia insaputa. Io non lo sapevo, quindi si tratta di un fatto che si è verificato anteriormente alla concessione del provvedimento cautelare, di cui io però io sono venuto a conoscenza dopo che è stato concesso il provvedimento cautelare. In questi casi, è possibile per il giudice di merito revocare o modificare il provvedimento cautelare. Quindi vediamo che, a differenza di quanto abbiamo imparato con riferimento al giudizio di cognizione – dove la preclusione valeva per il dedotto e per il deducibile –, nel procedimento cautelare vale solo la regola della preclusione del dedotto perché il legislatore dà rilevanza, consente di chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare anche sulla base di fatti che si sono verificati prima della chiusura del procedimento cautelare, se di quei fatti l'interessato ha avuto conoscenza dopo la chiusura del procedimento cautelare. Quindi dà rilevanza ad un elemento soggettivo, cioè al fatto che l'interessato non era a conoscenza di quei fatti durante lo svolgimento del procedimento cautelare; circostanza questa – diciamo così – che è dubbia ed anzi si nega con riferimento al giudizio di cognizione. Una parte della dottrina (e c'è anche giurisprudenza in proposito) dice che è possibile che il giudice della causa di merito, proprio in considerazione del nesso di strumentalità che esiste tra la tutela cautelare e quella dichiarativa, che il giudice del processo dichiarativo possa modificare o revocare il provvedimento cautelare anche se si tratta di fatti che erano stati già allegati nel procedimento cautelare (ma come vedremo, nel procedimento cautelare l'istruttoria è sommaria, mentre nel giudizio dichiarativo l'istruttoria è piena, si utilizzano tutti i mezzi probatori che noi già conosciamo dai nostri studi di diritto processuale civile I). Quindi si dice che se lo stesso fatto è stato allegato nel procedimento cautelare ed anche nel giudizio di cognizione, ma le risultanze istruttorie sono discordanti, il giudice può modificare o revocare il provvedimento cautelare. L'esempio che si fa è il seguente: quando abbiam parlato dei provvedimenti cautelari anticipatori la Professoressa ci ha detto: se il maggiorenne nullatenente che versa in uno stato di bisogno, che chiede che il giudice ponga provvisoriamente a carico del padre un assegno di tot euro mensili per poter sopravvivere, supponiamo che questo figlio ottenga il provvedimento cautelare anticipatorio sulla base del presupposto che il Sig. Tizio è il padre naturale del figlio Mario Rossi. Tizio instaura la causa di merito perché sostiene che Mario Rossi non è suo figlio naturale; nella causa di merito si fa il test del DNA e risulta che effettivamente Mario Rossi non è figlio di Tizio. Il giudice della causa di merito può revocare – secondo questa ricostruzione – il provvedimento cautelare che era stato emesso sulla base di una cognizione e di un'istruttoria sommaria (non c'era il tempo per effettuare la prova del DNA, non si poteva dare luogo ad un'istruttoria piena in sede di procedimento cautelare perché altrimenti, come già ci siamo detti, le esigenze cautelari sarebbero state frustrate). Se invece appunto, il giudizio di merito non è iniziato (e, ormai noi lo sappiamo quando può accadere questo: quando il provvedimento cautelare è un provvedimento cautelare anticipatorio, questo è ben possibile, o se è stato dichiarato estinto) la richiesta di modifica o revoca del provvedimento cautelare è effettuata al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. Quindi, se c'è il giudizio di merito in corso, la revoca o la modifica spettano al giudice del processo dichiarativo; se il giudizio di merito, il processo dichiarativo non è stato instaurato oppure è stato instaurato e si è estinto (e sappiamo bene che ciò è possibile), la revoca o la modifica sono poste in essere direttamente dal giudice che emise il provvedimento cautelare. Quindi, vediamo che il provvedimento cautelare è sempre modificabile in talune situazioni, quindi quando non è instaurato il giudizio di merito, è modificabile o revocabile dal giudice che lo ha emesso. Quindi, non è vero che il giudice cautelare quando emette l'ordinanza con la quale provvede sulla domanda cautelare si spoglia sempre il potere di decidere su quella domanda, perché se non è instaurata la causa di merito può sempre ritornare sui suoi passi e modificare o revocare il precedente provvedimento cautelare. I presupposti della modifica o della revoca sono sempre i medesimi, quelli che abbiamo visto or ora valgono anche per l'ipotesi in cui la causa di merito non è stata instaurata. Ora, il problema grosso che si poneva prima 2005 era il seguente: bene, ma se si verifica un mutamento nelle circostanze dopo che è stato concesso il provvedimento cautelare, io interessato a far valere questo mutamento nelle circostanze, che strada devo percorrere? Quella del reclamo cautelare, quello della richiesta di revoca o modifica del provvedimento cautelare? Ce n'è una preferibile? Le posso percorrere tutte e due? È a mia discrezione, posso scegliere se far valere i mutamenti nelle circostanze in sede di reclamo piuttosto che in sede di revoca o modifica? Era un problema che si era posto nella prassi perché il legislatore nulla ci diceva, non ci diceva come si doveva comportare l'interessato in caso di mutamenti delle circostanze. Quindi, siccome il legislatore nulla diceva, si sosteneva in dottrina che l'interessato aveva facoltà di scelta, poteva scegliere di percorrere la via della revoca o della modifica richiesti allo stesso giudice che aveva pronunciato il provvedimento cautelare oppure al giudice della tutela dichiarativa, oppure poteva scegliere di far valere queste sopravvenienze o queste nuove circostanze in sede di reclamo. Perché – la Professoressa ci ricorda – in sede cautelare si possono far valere sia le sopravvenienze, sia fatti già verificatesi, ma in precedenza non allegati nel procedimento cautelare. Il legislatore nel 2005, opportunamente, ha fatto una scelta e ha privilegiato la via del reclamo e infatti [per questo la Professoressa ci ha detto che dobbiamo studiare assolutamente su un codice di procedura civile aggiornato], se noi leggiamo il quarto comma dell'articolo 669 terdecies, ci troviamo scritto: “ Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo devono essere proposti nel relativo procedimento”. Quindi, se si tratta di circostanze sopravvenute, di mutamenti nelle circostanze verificatesi dopo la pronuncia del provvedimento cautelare e durante la pendenza del termine per proporre reclamo, devono essere fatti valere solo in sede di reclamo. Non si può c.c. che la Professoressa si è segnata e ci legge, così recita: “Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista ugualmente la proprietà mediante il possesso”, cioè 1153 c.c.: bene mobile, regola del possesso vale titolo. Chi acquista un bene mobile da parte di chi non ne è proprietario e ne ottiene anche il possesso in buona fede, diventa proprietario di quel bene. La norma dice: “Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso purché sia in buona fede al momento della consegna e d esista un titolo di acquisto idoneo”. La stessa regola, ci dice l'art. 1153, vale per l'acquisto del diritto di usufrutto e di uso e di pegno. Quindi, qual è il pericolo che si tende ad evitare chiedendo ed ottenendo un sequestro giudiziario? Che operi, che si perfezioni la fattispecie di cui all'art. 1153 c.c. Esempio: tra la Professoressa e la Signorina in prima fila sorge una controversia su chi sia proprietario di questo i-Pad. La professoressa dice che è la proprietaria e la Signorina dice che è lei proprietaria. Supponiamo che sia la Professoressa effettivamente la proprietaria. Cosa può succedere? Sorge la controversia fra le due, ancora non è stato instaurato il processo dichiarativo. La Signorina prende alla Professoressa l'i-Pad durante l'intervallo e lo aliena al Signore in terza fila, il quale convinto di aver acquistato la cosa mobile sulla base di un titolo idoneo (lui e la Signorina fanno un contratto di vendita tutto regolare); acquista l'i-Pad, lo paga, lo ottiene ed ecco che si perfeziona la fattispecie dell'art. 1153 c.c. A che cosa serve il sequestro giudiziario? Il sequestro giudiziario (lo vedremo a breve), serve a privare la Signorina del possesso del bene, perché tutte le volte in cui si ottiene il sequestro giudiziario, viene nominato un custode che in genere è una persona diversa dai due contendenti e quindi, privando la Signorina del bene, privando i due contendenti del possesso, della materiale disponibilità del bene, si evita che si perfezioni la fattispecie dell'art. 1153 c.c. che riguarda soltanto i beni mobili. Chi di noi si ricorda di diritto processuale civile I dirà alla Professoressa: eh, ma se per caso fosse già stato instaurato un processo dichiarativo, non è che si può utilizzare l'art. 111 c.p.c.? Se per caso, fra la Professoressa e la Signorina fosse sorta una controversia e la Professoressa avesse instaurato un processo dichiarativo non è che lo stesso risultato si può ottenere tramite l'art. 111 c.p.c.? È proprio necessario il sequestro giudiziario? Sì, è proprio necessario perché se noi leggiamo l'art. 111 c.p.c. successione nel diritto controverso, [una norma che la Professoressa ci aveva suggerito di ripassare e ci ha messo anche il pdf delle pagine di Luiso fra i materiali] l'ultimo comma dice che è fatta salva l'operatività delle norme sull'acquisto in buona fede di beni mobili. È vero che la sentenza emessa fra la Professoressa e la Signorina avrà effetto anche nei confronti del successore nel diritto controverso, però questo meccanismo non opera, si ferma davanti all'art. 1153 c.c. perché noi abbiamo studiato in diritto processuale civile I che la successione nel diritto controverso prevede che la sentenza emessa fra le parti originarie abbia effetto anche nei confronti dei successori, di chi succede nel diritto controverso. Ma questo si verifica tutte le volte in cui si è in presenza di un acquisto a titolo derivativo. Il meccanismo si ferma di fronte all'art. 1153 c.c. perché è una fattispecie di acquisto a titolo originario del diritto di proprietà. Si ferma la catena, infatti l'art. 1153 c.c. ci dice che il bene si acquista anche se lo acquista da chi non è proprietario, non è un acquisto a titolo derivativo quello del 1153 c.c., è un acquisto a titolo originario. Il Signore in terza fila acquista l'i-Pad dalla Signorina anche se non era proprietaria. Ecco perché l'art. 111 c.p.c. non funziona di fronte alle ipotesi dell'art. 1153 c.c.. L'unico modo per bloccare l'operatività dell'art. 1153 c.c. è togliere la materiale disponibilità della cosa mobile ai due contendenti e questo lo si può fare solo con il sequestro giudiziario. Terza ipotesi (questa è più complicata) in cui è opportuno provvedere alla custodia della cosa, quindi esiste il periculum in mora per ottenere il sequestro giudiziario, è un'ipotesi che è sempre legata ad una lettura dell'art. 111 del c.p.c., quindi torna in gioco di nuovo l'art. 111 c.p.c. (che, non a caso, la Professoressa ci aveva invitato a ripassare). La Professoressa non sa come noi abbiamo studiato la successione nel diritto controverso; spera che abbiamo studiato che ai sensi dell'art. 111 c.p.c. la sentenza emessa fra le parti originarie produce effetti anche nei confronti dei successori nel diritto controverso. Quali effetti produce questa sentenza? Sicuramente quelli di accertamento, costitutivi e di condanna, su questo non c'è dubbio. Il problema, è che secondo alcuni, l'art. 111 c.p.c. nella parte in cui prevede che la sentenza emessa fra le parti originarie produce effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare nel diritto controverso, riguarda solo l'efficacia di accertamento, di condanna o costitutiva della sentenza; non riguarda la sua efficacia esecutiva. Se aderiamo a questa posizione non abbiamo bisogno del sequestro giudiziario. Se noi abbiamo studiato (questa è la tesi di Luiso che la Professoressa, a suo tempo, aveva studiato) che l'art. 111 c.p.c. prevede che la sentenza emessa fra le parti originarie ha effetti anche nei confronti dei successori del titolo controverso, tutti gli effetti, non solo quello di accertamento, ma anche quelli esecutivi. Quindi, il titolo esecutivo, la sentenza di condanna emessa fra Tizio e Caio vale come titolo esecutivo anche nei confronti di Sempronio successore a titolo particolare nel diritto controverso, anche se nella sentenza c'è scritto “emessa fra Tizio e Caio”, la posso spendere anche nei confronti di Sempronio. Se aderiamo a questa impostazione, del sequestro giudiziario non abbiamo bisogno: va bene perché chi ha vinto il processo ha già il titolo esecutivo anche nei confronti del successore a titolo particolare nel diritto controverso. Purtroppo c'è un'opinione secondo la quale la sentenza emessa nel processo ha effetti nei confronti del successore a titolo particolare del diritto controverso, ha soli effetti dichiarativi cioè di accertamento, costitutivo e di condanna, non vale come titolo esecutivo nei confronti del successore nel diritto controverso. Per cui, se la sentenza è stata emessa tra Tizio e Caio ed il successore nel diritto controverso è Sempronio, il titolo esecutivo (Tizio che vince) ce l'ha solo nei confronti di Caio e non nei confronti di Sempronio e allora si trova nella necessità di doversi precostituire un titolo esecutivo nei confronti di Sempronio, ma per far ciò ha bisogno di tempo e quindi in questo lasso di tempo può aver bisogno di chiedere un sequestro giudiziario. Questa necessità non c'è se in maniera molto più semplice si ritiene che la sentenza emessa fra le parti originarie produce tutti i suoi effetti, non solo quelli di accertamento, ma anche quelli esecutivi nei confronti del successore a titolo particolare nel diritto controverso. (La Professoressa invita a guardarci a casa, vuoi sul Mandrioli, vuoi sul Luiso – abbiamo il pdf online – questa parte sulla successione nel diritto controverso che ci terrà compagnia, che serve per il sequestro giudiziario). Domanda di una studentessa: “Potrebbe ripetere la differenza...?” Risposta della Professoressa: “La differenza è che se lei ritiene che la sentenza pronunciata nei confronti delle parti originarie ha effetti anche nei confronti del successore nel diritto controverso, ha già il titolo esecutivo anche nei confronti di colui che non partecipò al processo e magari ha la materiale disponibilità della cosa. Se lei, invece, il titolo esecutivo non ce l'ha nei confronti di Sempronio (successore a titolo particolare nel diritto controverso che a quel processo non partecipò), ha bisogno di tempo per procurarselo e durante quel tempo ci può essere la necessità di conservare la cosa e chiedere ed ottenere un sequestro giudiziario”. Il sequestro giudiziario funziona in che modo? Quando si chiede e si ottiene un sequestro giudiziario viene nominato un custode: il custode normalmente è un soggetto diverso dai contendenti, un terzo: in questo modo, affidando la cosa mobile o immobile ad un custode si evita – soprattutto la questione è importante con riferimento ai beni mobili –, e si evita che ciascuno dei due contendenti abbia la materiale disponibilità della cosa. Dato importantissimo: se la cosa contesa è un bene mobile, perché si evita che possa operare l'art. 1153 c.c. Talvolta, quando il sequestro riguarda beni immobili, può essere che il custode sia uno dei due contendenti e capiamo che di fronte ad un bene immobile c'è minore...non si può perfezionare la fattispecie del 1153 c.c.: in quel caso il custode diventa un detentore processuale della res con degli obblighi. La cosa che alla Professoressa serve chiarire con riferimento a questa prima fattispecie di sequestro giudiziario è che il sequestro giudiziario serve, sempre nelle ipotesi dell'art. 670 n. 1, a conservare il bene mobile o il bene immobile e a tutelarsi contro atti di disposizione materiale del bene, cioè ad evitare perfezionamento della fattispecie di cui all'1153 cc. Disposizione materiale significa che ho il possesso del bene mobile e lo alieno a terze persone (bene mobile). Dunque il sequestro giudiziario serve solo a conservare il bene ed evitare, per i beni mobili, che si perfezioni la fattispecie del 1153 c.c.. Serve il sequestro giudiziario a render inopponibile ad uno dei due contraenti gli eventuali atti di disposizione di quel bene? No, perché qual è l'istituto che serve a rendere inopponibili gli atti? La trascrizione della domanda giudiziale e poi quale altro istituto? Ciò che serve a rendere inopponibile ai due contraenti gli atti di disposizione del bene, dice giustamente una nostra collega, è la trascrizione della domanda giudiziale nell'ipotesi in cui si tratti di beni immobili e non è mai prevista (nota bene, non ci confondiamo!) la trascrizione della domanda di sequestro giudiziale. Qual è l'altro istituto che serve a rendere inopponibili gli atti di disposizione del bene ai contraenti originari? Salva l'ipotesi dell'art. 1153 c.c., se è pendente un processo dichiarativo e durante il processo uno dei due contraenti, il convenuto in particolare, aliena il bene controverso a terze persone, qual è l'istituto che preserva le parti originarie dai pericoli derivanti da questa alienazione? Il sequestro conservativo no, perché riguarda crediti. Nell'esempio in cui abbiamo fatto prima: si discute su chi sia proprietario dell'immobile si via Sant'Ottavio 20 tra la Professoressa e la Signorina in prima fila; nel corso del processo la Signorina aliena l'immobile al Signore; qual è l'istituto che tutela il vero proprietario dell'immobile di via Sant'Ottavio 20? La trascrizione della domanda giudiziale più l'art. 111 del c.p.c.. Se io sono attore, agisco in giudizio e trascrivo la domanda giudiziale, la sentenza che verrà emessa nel corso del processo tra la Professoressa e la Signorina, ha effetto anche nei confronti del Signore, del successore a titolo particolare nel diritto controverso, se il Signore ha acquistato l'immobile dopo che la Professoressa ha trascritto la sua domanda giudiziale. Quindi il sequestro giudiziario non c'entra niente in questo caso, non è il sequestro giudiziario che protegge l'effettivo titolare del diritto di proprietà sul bene immobile da atti di disposizione. Chi lo protegge, in questo caso, è l'art. 111 c.p.c. più la trascrizione della domanda giudiziale. Quindi se, almeno nel caso in cui l'oggetto della controversia sia un bene immobile, non c'è dubbio che quello che tutela l'effettivo proprietario, lo mette al riparo dagli atti di disposizione compiuti nel corso del processo, non è il sequestro giudiziario, ma è invece l'art. 111 c.p.c. più l'istituto della trascrizione della domanda giudiziale. Questo dobbiamo tenerlo a mente. 2. Seconda ipotesi Ci restano cinque minuti per introdurre e poi ne tratteremo domani, la seconda ipotesi di sequestro giudiziario che è un'ipotesi di sequestro probatorio. Si può chiedere ed ottenere il sequestro giudiziario dice l'art. 670 c.p.c. per “libri, registri, documenti, modelli, campioni ed ogni altra cosa da cui si pretende di desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea”. Di questa ipotesi di sequestro giudiziario parleremo domani. Invece, la Professoressa si raccomanda e ribadisce ancora una volta che il sequestro conservativo deve essere trattato, così come le modalità di attuazione dei provvedimenti cautelari (epurati di tutti i riferimenti al processo esecutivo specifici che noi non siamo tenuti a conoscere) devono essere trattati da noi autonomamente, se poi ci sono dei problemi andiamo a ricevimento e la Professoressa ce li spiega volentieri. LEZIONE 9 (25/10/2012) Prima di iniziare c’è una comunicazione: ieri vi ho parlato della mediazione obbligatoria e vi ho detto che il testo di Luiso non vi parlava di mediazione obbligatoria nell’ipotesi in cui l’intimato si opponeva alla convalida, mentre Mandrioli faceva riferimento alla necessità di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione. Vi ho detto che la questione era pendente dinnanzi alla Corte Costituzionale: essa ha emesso un comunicato (ancora non c’è la sentenza) in cui si dice che la mediazione obbligatoria del decr. lgs n.28 del 2010, che prevede l’ipotesi di mediazione obbligatoria, è stato dichiarato incostituzionale. Mai in nessun caso il nostro ordinamento prevede che ci sia la possibilità di ottenere coattivamente quel documento: o il soggetto destinatario dell’ordine volontariamente acconsente (e quindi produce il documento o acconsente all’ispezione). Coattivamente ciò non può avvenire . Quanto visto a diritto processuale civile I non è in conflitto con quanto diciamo adesso a proposito del sequestro probatorio perchè il sequestro probatorio si pone un attimo prima dell’instaurazione del processo di cognizione, serve a conservare quei documenti che poi, in un eventuale processo di cognizione che si instaurerà secondo le regole consuete (questo è un provvedimento cautelare conservativo quindi, se chiesto ante causam, c’è necessità di instaurare il giudizio dichiarativo), saranno fatti oggetto di ordine di esibizione. Le uniche cose che mi preme sottolineare rispetto al sequestro probatorio sono due cose: 1. la prima che, anche con riferimento al sequestro giudiziario quindi 670 n1 e 670 n2, è possibile l’attuazione come sequestro giudiziario, come ogni provvedimento cautelare se non è spontaneamente adempiuto può essere oggetto di attuazione coattiva. Vedrete che le modalità di attuazione del sequestro giudiziario richiamano le modalità con cui si svolge l’esecuzione di consegna o rilascio. Ragion per cui, siccome voi l’esecuzione per consegna o rilascio non la conoscete, per adesso a fine esonero vi basta sapere che è possibile l’attuazione coattiva. Le modalità concrete con cui questa attuazione coattiva avviene le pretenderò da chi verrà a sostenere l’esame orale quando avremo trattato del processo esecutivo 2. l’ultima cosa che vi segnalo è che nel sequestro giudiziario c’è una ragione ulteriore di perdita di efficacia del provvedimento, il sequestro giudiziario, oltre a perdere efficacia nei casi già esaminati cioè art.669 nonies, perde efficacia anche nell’ulteriore caso di cui all’ art.675 cpc, cioè se non è eseguito nel termine di 30 gg dalla pronuncia, cioè se chi ottiene il sequestro non si attiva per attuare questo provvedimento nel termine di 30 gg. Vedrete che le modalità con cui il sequestro giudiziario può essere eseguito sono le stesse del processo esecutivo, ma a voi basta sapere in cosa consiste l’istituto del sequestro giudiziario e questa ulteriore causa di perdita di efficacia. Del sequestro conservativo non tratterò quindi lo affronterete autonomamente. Mi soffermerò sui provvedimenti di istruzione preventiva. Abbiamo visto sia ieri che oggi quali sono i provvedimenti cautelari tipici che il nostro ordinamento contempla: ieri abbiamo visto il sequestro giudiziario e oggi ci soffermiamo sull’istruzione preventiva che è disciplinata agli art.692 cpc e ss. ISTRUZIONE PREVENTIVA È un provvedimento cautelare particolare: fino ad adesso, a parte l’ipotesi di sequestro probatorio, abbiamo sempre fatto riferimento a dei provvedimenti cautelari che tutelano un diritto sostanziale, dopo essere stato leso da un comportamento altrui, per il tempo necessario ad ottenere la tutela dichiarativa. L’istruzione preventiva è un provvedimento cautelare peculiare (sui generis) che, anziché tutelare un diritto sostanziale, tutela il diritto alla prova. Art.669 quaterdecies: “le disposizioni della presente sezione si applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo, nonché, in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal Codice civile e dalle leggi speciali . L'articolo 669septies si applica altresì ai provvedimenti di istruzione preventiva previsti dalla sezione IV di questo capo” La particolarità dell’istruzione preventiva si nota leggendo le norme sul procedimento cautelare uniforme: vi avevo detto, parlando dell’art.669 quaterdecies (norma di chiusura del procedimento cautelare uniforme) che esso stabilisce che le disposizioni dell’art.669 bis e seguenti del cpc si applicano ai provvedimenti cautelari disciplinati dal cpc ed a quelli previsti dal codice civile, salvo che non sia diversamente disposto. Il rinvio contenuto nell’art 669 quaterdecies menziona anche l’istruzione preventiva, però in proposito il 669 quaterdecies dice che solo l’art. 669 septies (quindi non tutte le norme del procedimento cautelare uniforme) si applica ai provvedimenti di istruzione preventiva. Art.669 quaterdecies: “le disposizioni della presente sezione (cioè quelle sul procedimento cautelare uniforme) si applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni 2,3 e 4 di questo capo, nonché in quanto compatibili agli altri provvedimenti cautelari previsti dal cod civ e dalle leggi speciali”.L’art.669 septies si applica altresì ai provvedimenti di istruzione preventiva previsti dalla sezione quarta di questo capo”. Nell’intenzione del legislatore del ’90, non tutte le norme sul procedimento cautelare uniforme ma solo l’art.669 septies che è quello riguardante la valenza del provvedimento negativo, la portata del provvedimento negativo, si applica all’istruzione preventiva. Notate che tra le norme che risultavano non applicabili all’istruzione preventiva c’è anche il reclamo cautelare, e nemmeno le norme sulla competenza cautelare (sono applicabili), solo l’art. 669 septies (è applicabile). Questo, ripeto, in considerazione della particolarità dell’istruzione preventiva. In che senso l’istruzione preventiva tutela il diritto alla prova? Supponiamo un sinistro stradale: Tizio passa con l’autovettura ad un semaforo rosso e cagiona un sinistro stradale (cioè tampona l’auto di Sempronio che passava correttamente con semaforo verde); l’unico testimone é un signore di 95 anni in cagionevole stato di salute. Capite bene che in situazioni di questo tipo l’unico modo che ha il danneggiato per poter provare i fatti costitutivi del suo diritto è chiamare il signor Mario Rossi (il pedone che attraversava la strada, unico testimone oculare che ha visto l’auto che ha causato il sinistro passare con il semaforo rosso). Ora potrebbe accadere che l’unico signore che ha visto l’incidente sia in stato cagionevole di salute e quindi ci sia necessità di sentirlo prima che sia instaurato il processo dichiarativo, per evitare che poi non possa più essere sentito nel processo dichiarativo. Quindi prima ipotesi: con l’istruzione preventiva si chiede l’assunzione di una testimonianza, caso disciplinato dall’art. 692: Art.692 cpc: chi ha fondato motivo di temere che stiano per mancare uno o più testimoni le cui deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre, può chiedere che ne sia ordinata l'audizione a futura memoria Ai sensi dell’art.693 cpc, “la richiesta la si propone con ricorso al giudice che sarebbe competente per la causa di merito”; a proposito di competenza, continua l’art. 694:”il presidente del tribunale o giudice di pace fissa con decreto l’udienza di comparizione e stabilisce il termine perentorio per la notificazione del decreto”. Qua cosa c’è? Cosa vi suona strano? Che viene menzionato il giudice di pace! Ciò significa che nell’istruzione preventiva la prova (es: assunzione di una testimonianza a futura memoria) può essere posta in essere anche dinanzi al giudice di pace mentre, vi ricordate, le norme sul procedimento cautelare uniforme stabiliscono che il giudice di pace non può pronunciare provvedimenti cautelari finalizzati a tutelare un diritto sostanziale. Quindi la prima ipotesi che stiamo vedendo è quella della testimonianza assunta a futura memoria. Vi dico: non pensate al caso del processo che ancora deve essere instaurato, perché non è l’unico caso in cui può essere chiesta l’assunzione di una testimonianza cosiddetta futura memoria perché ci sono altri casi in cui questa esigenza può sorgere. Per es.: può accadere che il processo dichiarativo sia già stato instaurato, però possono verificarsi degli eventi che determinano l’impossibilità di compiere atti in quel procedimento, tra cui anche l’assunzione dei mezzi di prova: tali eventi sono eventi patologici che determinano una quiescenza del processo civile di cognizione e questi eventi sono: • morte di una delle parti; • interruzione; • sospensione Infatti, se voi leggete l’art. 699 cpc: “l’istanza di istruzione preventiva può essere proposta anche quando il processo dichiarativo è già pendente e tuttavia è interrotto o sospeso” Ed è evidente la ragione di ciò: quando un processo è interrotto o sospeso, non si può compiere nessun atto di quel procedimento (neppure l’assunzione di prova testimoniale). Seconda ipotesi: un altro caso in cui può essere chiesta l’istruzione preventiva, sempre vuoi ante causam, vuoi in corso di causa, è non per chiedere l’assunzione di una prova testimoniale ma per chiedere o un’ispezione giudiziale o un accertamento tecnico. La norma in questione è l’art.669 quaterdecies è incostituzionale nella parte in cui non prevede la possibilità di proporre reclamo SOLO contro i provvedimenti di rigetto dell’istanza di istruzione preventiva (quindi, non verso tutti i provvedimenti relativi all’istruzione preventiva ma solo quelli di rigetto dell’istanza). Quindi il reclamo, ad oggi, è proponibile solo avverso l’ordinanza con la quale è rigettata la richiesta di istruzione preventiva. Capite bene che questa era una lacuna che opportunamente la Corte Costituzionale ha colmato. A fronte di una richiesta di istruzione preventiva rigettata (se il giudice che ha rigettato la richiesta è incorso in errore) sono gravi le conseguenze per colui che vuole vedere tutelato il suo diritto alla prova. Quindi è opportuno che ci sia (ricordate le regole sul reclamo) un giudice diverso che verifichi se effettivamente esistevano o meno i presupposti per accogliere la richiesta di istruzione preventiva. Per contro, il reclamo non è ammesso contro i provvedimenti che accolgono la richiesta di istruzione preventiva. Perché questo? Per capire perché la sentenza della Corte Costituzionale sia limitata ai soli provvedimenti di rigetto della richiesta di istruzione preventiva, bisogna pensare alla particolarità dell’istruzione preventiva stessa. Devo aggiungere un pezzetto mancante: se la richiesta di istruzione preventiva è accolta, il giudice (tribunale o giudice di pace) cosa fa? Assume la testimonianza, oppure nomina un consulente che effettua l’accertamento tecnico, oppure si procede con l’ispezione. Che cosa ci si fa col verbale della testimonianza o con questo accertamento posto in essere dal consulente? Ce lo dice l’art.698 cpc. Art. 698 cpc: Assunzione ed efficacia delle prove preventive Nell'assunzione preventiva dei mezzi di prova si applicano, in quanto possibile, gli articoli 191 e seguenti. L'assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito. I processi verbali delle prove non possono essere prodotti, né richiamati, né riprodotti in copia nel giudizio di merito, prima che i mezzi di prova siano stati dichiarati ammissibili nel giudizio stesso Art.698, II° comma: “l’assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito” Quindi, (nell’istruzione preventiva) intanto ci si assicura quel mezzo di prova: si sente il testimone o si fa l’accertamento tecnico. Però non è detto che quei verbali di testimonianza o che la relazione del consulente tecnico siano utilizzati certamente nel processo dichiarativo che, notate bene, può essere instaurato sine die: qui non è richiamata la norma 669 nonies, non c’è un termine per l’instaurazione del processo dichiarativo (si può instaurare anche dopo 8 mesi, un anno, ecc). Quando si instaura quel processo dichiarativo, bisogna vedere intanto se il giudice del merito ritiene quella testimonianza ammissibile e rilevante: se non la ritiene ammissibile e rilevante, il verbale della testimonianza assunta in sede di istruzione preventiva, nel giudizio dichiarativo non è prodotto ai sensi dell’art.698, III comma che sancisce che : ”i processi verbali delle prove non possono essere prodotti,ne’richiamati, ne’ prodotti in copia nel giudizio di merito, prima che i mezzi di prova siano stati dichiarati ammissibili nel giudizio stesso”. Il tutto è da leggere in questo senso: il fatto che si sia utilizzato il procedimento d’istruzione preventiva non può in alcun modo condizionare il giudice del processo dichiarativo. Il giudice del processo dichiarativo valuterà se il mezzo di prova richiesto è ammissibile o rilevante: • Se è ammissibile o rilevante F 0E 0 si produrranno i verbali e le relazioni del consulente posti in essere nel procedimento di istruzione preventiva • Se il mezzo di prova è ritenuto inammissibile o irrilevante F 0E 0 nulla di quanto compiuto in sede di istruzione preventiva sarà utilizzabile nel giudizio dichiarativo. Se le cose stanno così, adesso possiamo capire bene perché non è reclamabile il provvedimento che accoglie la richiesta di istruzione preventiva: perché nulla è pregiudicato. Se io, ad esempio, ritengo che il testimone 95enne sia tutto sommato un testimone superfluo perché c’era la telecamera sopra il semaforo (e basta quella!) che ha ripreso l’incidente, nulla è perduto: perché se in sede di processo dichiarativo il giudice reputerà la prova testimoniale irrilevante, il verbale di testimonianza assunto in sede di istruzione preventiva non sarà prodotto nel giudizio dichiarativo. Allo stesso modo per l’accertamento tecnico: se ritengo che l’accertamento tecnico sia superfluo, nulla sarà perduto, anche se il giudice dispone l’accertamento tecnico, perché non è detto che il relativo verbale sarà prodotto nel processo dichiarativo. NB: art.698, II° comma dice che il fatto che si sia utilizzato il giudizio di istruzione preventiva, non impedisce la rinnovazione (ove sia possibile) di quel mezzo di prova nel giudizio di merito dinnanzi al giudice del processo dichiarativo. Quindi questa è la prima conseguenza da cui si capisce il perché non fosse così necessario concedere il reclamo avverso i provvedimenti di accoglimento dell’istruzione preventiva. Seconda conseguenza: se il procedimento di istruzione preventiva funziona così, ne deriva che il fumus boni iuris ed il periculum in mora scemano fortemente perché si tratta di un provvedimento che, anche se viene concesso, in realtà non pregiudica né modifica alcuna posizione di diritto sostanziale e neanche di diritto processuale, perché non intacca la libertà del giudice del processo dichiarativo di valutare liberamente le prove e di stabilire, secondo il suo apprezzamento, quali prove sono rilevanti e quali ammissibili. Ecco perché si trova scritto che il fumus e il pericolo sono valutati con scarso rigore. CHIARIMENTI SU COME SARA’ STRUTTURATO L’ESONERO: saranno 2 domande aperte. Non saranno domande specifiche del tipo “chi è competente a pronunciare i provvedimenti cautelari””, ma saranno domande generali, esempio: “il procedimento cautelare uniforme” (ovviamente la domanda non sarà “il procedimento cautelare uniforme” perché é troppo ampia…era solo per farvi capire) Un vostro collega mi ha chiesto un chiarimento: perché non è stato necessario prevedere il reclamo contro i provvedimenti che concedono l’istruzione preventiva? Perché se la richiesta di istruzione preventiva è accolta e quindi se si procede all’assunzione della testimonianza futura memoria o se si procede all’accertamento tecnico con l’ispezione, questa non produce conseguenze irreparabili nei confronti della controparte, perché (quando e se verrà instaurato il giudizio di merito) c’è sempre il vaglio del giudice di merito: egli dovrà valutare, nella causa di merito, se il mezzo di prova richiesto è ammissibile e rilevante. Nel caso in cui il mezzo di prova sia ammissibile e rilevante e se la controparte non chiede che sia rinnovata l’assunzione della prova, i verbali formatisi a seguito del procedimento di istruzione preventiva saranno prodotti dinnanzi al giudice del processo dichiarativo. LA CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA (ART.696 BIS) Nel 2005 (l.80/2005) il legislatore è intervenuto sulle disposizioni che riguardano l’istruzione preventiva (art.696 cpc). E’ intervenuto sia modificando il II° comma, inserendo un periodo nell’art. 696 cpc a proposito dell’accertamento tecnico, e sia inserendo ex novo nel cpc l’art.696 bis. Art.696 bis cpc: Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite I. L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. II. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. III. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. IV. Il processo verbale è esente dall'imposta di registro. V. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. VI. Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili. Perché è stato introdotto nel 2005 l’art.696 bis cpc? Perché accadeva spesso che le parti instaurassero un processo non tanto perché fossero desiderose di ottenere una sentenza, ma perché volevano ottenere una consulenza tecnica, la quale diventava la base su cui le parti cominciavano poi a pensare al raggiungimento di un accordo bonario. Per esempio: si verifica un sinistro stradale, il danneggiante ed il danneggiato non si trovano d’accordo sull’entità dei danni ed instaurano un processo, non tanto per ottenere una sentenza ma per ottenere una consulenza tecnica da un perito che valutasse i danni, sulla base della quale avrebbero poi, attraverso una serie di incontri, iniziato a verificare se non si potesse raggiungere una composizione bonaria della lite. Allora il legislatore ha recepito questa prassi ed ha previsto che anziché utilizzare le forme del processo dichiarativo, le parti possano (con una richiesta ex art.696 bis) chiedere una consulenza tecnica in via preventiva ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione delle obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Quindi, si può utilizzare lo strumento di cui all’art.696 bis per avere una consulenza tecnica preventiva e per cercare una conciliazione. Infatti l’art.696 bis ci dice che il consulente tecnico, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta (dove è possibile) la conciliazione tra le parti e se le parti si sono conciliate si forma il processo verbale della conciliazione. Se invece non si giunge alla conciliazione tra le parti, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del giudice di merito, nell’ambito del giudizio di merito che sarà eventualmente instaurato. Vi domando: questo istituto è accomunabile all’accertamento tecnico o all’assunzione della
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