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Procedura Civile II - G. Balena, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Segue il testo, paragrafo per paragrafo. Consiglio sempre l'utilizzo del codice di procedura civile

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 25/11/2021

Murphy1944
Murphy1944 🇮🇹

4.7

(7)

8 documenti

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Scarica Procedura Civile II - G. Balena e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! GIAMPIERO BALENA ISTITUZIONI DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE VOLUME Il INTRODUZIONE: IL PROCESSO DI COGNIZIONE DAL 1865 AD OGGI Il primo codice post-unitario, del 1865, disciplinava essenzialmente due modelli di processo: quello formale, considerato normale davanti ai tribunali e alle corti d'appello; e quello sommario, che trovava applicazione davanti ai conciliatori e ai pretori, e nei casi previsti dalla legge, anche davanti agli uffici giudiziari. || rito formale prevedeva l'assegnazione al convenuto di un breve termine per comparire (in realtà termine per la costituzione dei procuratori delle parti in cancelleria, con deposito dei rispettivi mandati); quindi scambio di comparse finalizzate a trattare ed approfondire tutte le questioni preliminari, processuali o di merito prima che la causa fosse portata davanti al giudice per essere discussa oralmente. Con l'iscrizione della causa a ruolo il giudice veniva concretamente investito della controversia. Nel rito sommario il convenuto veniva citato per comparire ad udienza fissa, direttamente davanti al giudice, e la causa veniva iscritta immediatamente a ruolo, prima ancora dell'udienza. La prassi preferì il processo sommario a quello formale, perché più semplice e perché consentiva un immediato contatto tra le parti e il giudice. Il codice del 1865 era di stampo liberale, orientato in senso garantistico e fondamentalmente ispirato al principio dell'iniziativa delle parti; il giudice era scarsamente coinvolto nella determinazione dei ritmi del giudizio. La comparizione delle parti avveniva in un primo momento davanti al solo presidente, all'occorrenza poteva proseguire nella stessa udienza davanti al collegio per la discussione orale delle questioni insorte. La causa arrivava all'udienza ad istruttoria ancora aperta. Nel primo decennio del '900, Chiovenda impostò una battaglia per la revisione globale del codice basata essenzialmente su tre principi: * oralità, intesa come netta preferenza della parola sullo scritto, trattazione della causa a viva voce all'udienza piuttosto che scambio di comparse; * immediatezza, consistente nella coincidenza tra il giudice-persona fisica che istruisce la causa ed assume le prove e quello che poi la decide; * concentrazione, che postula il processo di esaurisca, se non in un'udienza unica, in un ristrettissimo numero di udienze ravvicinate. Scopo fondamentale del processo non era la semplice composizione della controversia o la realizzazione del diritto di cui l'attore invocava la tutela, ma l'attuazione della volontà della legge, cioè del diritto oggettivo. Nel 1926 si ha un progetto originale ed organico ad opera di Carnelutti, che non avrà per seguito. Negli anni '30 si commissiona un nuovo progetto a Redenti. Tra il 1937 e il 1939 si hanno due versioni del progetto del Guardasigilli Solmi, che rappresentano una virata del processo in senso autoritario. Verso la fine del 1 1939 vengono chiamati a collaborare alla stesura definitiva del codice i tre più autorevoli processualisti dell'epoca, cioè Redenti, Carnelutti e Calamandrei. Questi si troveranno di fronte a soluzioni in gran parte preconfezionate ed a scelte di principio operate a livello politico. Nasce il codice del 1940, che si dice ispirato a Chiovenda per giustificare soluzioni che non erano chiovendiane, se non addirittura antitetiche rispetto ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione: viene creata la figura del giudice istruttore, che ha l'esclusiva direzione del procedimento nella fase della trattazione e dell'istruzione della causa, fino al momento in cui la riterrà matura per la decisione e la rimetterà al collegio, del quale fa parte egli stesso. Il processo viene così diviso in fasi ben distinte, estraniando il collegio dall'istruzione della causa e quindi contraddicendo il principio di immediatezza; viene introdotto un sistema tendenzialmente rigoroso di preclusioni, stabilendo che nuove eccezioni, nuove richieste istruttorie e nuovi documenti fossero consentiti, di regola, solamente entro la prima udienza davanti al giudice istruttore, e a condizione che il giudice li avesse ritenuti rispondenti ai fini di giustizia. Nel prosieguo del giudizio le nova potevano ammettersi solo in presenza di gravi motivi; * viene attribuita al giudice la competenza a provvedere con ordinanza sull'ammissione delle prove e su ogni altra questione che non fosse idonea a condurre un'immediata definizione del giudizio, escludendo ogni forma d'impugnazione del relativo provvedimento, negando l'impugnabilità immediata di tutte le sentenze non definitive, comprese quelle parziali di merito; e. vengono creati nuovi termini perentori più brevi, la cui inosservanza poteva condurre all'estinzione del processo, dichiarabile dallo stesso giudice d'ufficio. Tale codice è fortemente criticato da tutti gli operatori del diritto. Nonostante la caduta del fascismo e il malcontento generato dal nuovo processo, il codice, nelle sue linee portanti, sopravvisse, ma con |. 581/1950 ne furono emendati alcuni dei profili maggiormente e più aspramente criticati, in particolare: viene introdotto un reclamo immediato al collegio nei confronti delle sole ordinanze risolutive di questioni concernenti l'ammissibilità o la rilevanza di mezzi di prova, per mitigare l'assoluta autonomia dell'istruttore su tali delicate decisioni; * vengono eliminate delle preclusioni e l'incondizionata ammissione di nuove eccezioni, nuove richieste istruttorie e nuovi documenti nel corso del processo di primo grado e poi anche in appello, indirettamente sanzionata solamente sul piano delle spese processuali; * ritorna l'impugnabilità immediata di tutte le sentenze non definitive; * viene attenuta la concentrazione del processo attraverso un generale allungamento dei termini perentori stabiliti a pena d'estinzione nonché escludendo la rilevabilità d'ufficio dell'estinzione. relativo obbligo grava solidalmente sulle parti che hanno prestato adesione al procedimento, salvo il rimborso in caso di fallimento della mediazione. 3.Segue: la conclusione del procedimento e l'eventuale formulazione di una proposta conciliativa. Qualora le parti raggiungano un accordo amichevole, il mediatore è tenuto a redigere un processo verbale (allegando il testo dell'accordo), sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore, il quale certifica l'autografia delle sottoscrizioni delle parti oppure la loro impossibilità di sottoscrivere. Se però nell'accordo è contenuto un contratto o un diverso atto soggetto a trascrizione ex art 2643 c.c. sarà il pubblico ufficiale ad autenticare. Nel caso in cui l'accordo non venga raggiunto, il mediatore può formulare un'autonoma domanda di conciliazione, anzi è tenuto a farlo qualora le parti ne facciano concorde richiesta. Siffatta proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento. Una volta presentata la proposta per iscritto alle parti, queste hanno un termine di 7 giorni (non perentorio) per far pervenire al mediatore l'accettazione o il rifiuto della stessa. La conclusione del procedimento di mediazione dovrebbe comunque formalizzarsi con la redazione di un processo verbale, il quale a seconda dei casi si consacrerà in : e Accordo, qualora tutte le parti vi abbiamo aderito. e Mancata riuscita della conciliazione. In caso di fallimento della mediazione, il mediatore deve indicare l'eventuale proposta e dare atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento. Tornando all'ipotesi favorevole, in cui le parti abbiamo raggiunto un accordo, gli effetti sono diversi a seconda che le parti siano state assistite o meno da un avvocato. * In caso affermativo: l'avvocato è tenuto attestare e certificare la conformità dell'accordo alle norme imperative, ordine pubblico ed il verbale in cui l'accordo è consacrato costituisce titolo esecutivo aprendo la strada a qualunque forma di esecuzione forzata. Non va trascurato che l'accordo raggiunto dinanzi al mediatore potrebbe prevedere misure di esecuzione indiretta, ossia il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti nell'accordo. e In caso negativo: il verbale acquista efficacia attraverso l'omologazione, ad opera del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo di mediazione adito, il quale dovrà accertare la non contrarietà all'ordine pubblico o a norme imperative. 4.La mediazione obbligatoria per legge: ambito di applicazione e limiti Prescindendo dalle ipotesi in cui può dipendere da una clausola contenuta in un contratto oppure nello statuto di un ente, l'obbligo del previo esperimento della mediazione è previsto dall'art 5 co 1-bis d.lgs. 28/2010 in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione comodato affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa, contratti assicurativi, bancari e finanziari. In queste materie l'esperimento della mediazione è una condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, il che significa che l'eventuale sua mancanza non preclude la proposizione della domanda stessa ma impedisce al processo di proseguire fino a che il procedimento di mediazione non sia stato instaurato ed esaurito, o comunque fino a quando non sia decorso il termine di tre mesi che rappresenta la sua durata massima. Dall'obbligo del preventivo esperimento della mediazione sono esentati : A. Procedimenti per ingiunzione e il relativo giudizio di opposizione B. Procedimenti per convalida di licenza o sfratto C. Procedimenti di consulenza tecnica preventiva finalizzati alla composizione della controversia D. Procedimenti possessori E. Procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata F. Procedimenti in camera di consiglio G. L'azione civile esercitata nel processo penale C,E,F,G sono puramente sottratti all'applicazione della disciplina; A,B,D l’obbligo di dar vita al procedimento di mediazione diviene attuale nel corso del giudizio, nella fase della cognizione piena. Dubbi si pongono in relazione alle domande riconvenzionali o comunque nuove dal momento che ex art 5 co. 1-bis è sufficientemente generica da potersi attagliare anche ad esse. Tenuto conto del fatto che la procedura di mediazione ha poche chance di successo allorché riguardi una parte delle più domande oggetto della controversia, sembra preferibile un'interpretazione restrittiva dell'art 5, circoscritta alle sole domande originarie come ad es. che sia il convenuto ad eccepire l'improcedibilità della domanda dando per scontato il fatto che la domanda stessa proviene dall'attore. Altra soluzione , minimale, potrebbe essere quella di escludere l'obbligo della mediazione per tutte le domande riconvenzionali, caratterizzate dalla connessione oggettiva ex art 36 c.p.c. [quelle che dipendono dal titolo dedotto in_ giudizio dall'attore o a quello che appartiene alla causa come mezzo di eccezione], comprese quelle domande dirette ad ottenere l'accertamento con 6 efficacia di giudicato (ex art 34 c.p.c) di un rapporto pregiudiziale a quello oggetto della domanda originaria, limitando quelle domande che non presentino siffatto nesso. 5.Segue: le conseguenze del mancato esperimento. L'eventuale improcedibilità , derivante dal mancato esperimento della mediazione può essere eccepita esclusivamente dal convenuto o rilevata dal giudice d'ufficio [non oltre la prima udienza: da intendersi come trattazione effettiva della causa senza tener conto delle udienze di mero rinvio]. Potendo prospettarsi quindi due ipotesi: A. Che la mediazione non sia stata esperita ossia che il relativo procedimento non sia neppure iniziato. Il giudice in questo caso assegna alle parti un termine di 15 gg. per la presentazione della domanda di mediazione e rinvia la causa ad una successiva udienza alla scadenza del termine entro cui deve concludersi il relativo procedimento. Qualora alla nuova udienza non risulti avvenuta l'istaurazione del procedimento di mediazione , il processo dovrà definirsi con una declaratoria di improcedibilità della domanda rivestendo la forma di sentenza (tranne nel caso di un processo sommario che prevede la decisione con ordinanza ex art 702 c.p.c.). Se le parti documentano l'avvenuta conciliazione, la conclusione del processo andrà sancita con una pronuncia di cessazione della materia del contendere. B. Che la mediazione sia stata richiesta, ma il procedimento non è concluso ovvero non è stato redatto ancora il verbale di conciliazione o mancata conciliazione ex art 11 d.lgs. e che non siano nemmeno trascorsi i 3 mesi dalla domanda di mediazione. Il giudice fissa una nuova udienza successiva rispetto alla durata massima del procedimento di mediazione. Vi è poi una Terza Ipotesi , priva di una specifica disciplina che ricorre quando il procedimento di mediazione , pur essendo iniziano da meno di 3 mesi e non essendo ancora concluso, sia già pervenuto al primo incontro dinanzi al mediatore senza che le parti abbiamo raggiunto alcun tipo di accordo. In tal caso, poiché ex art 5 co. 2-bis d.lgs. prevede che la condizione di procedibilità si sia avverata deve ritenersi che il giudice possa provvedere come nell'ipotesi B , rinviando la causa ad altra udienza se le parti non si oppongono e documentando l'esito negativo della mediazione. 6.La mediazione obbligatoria per ordine del giudice L'originario art 5 co. 2 d.lgs. prevedeva che lo stesso giudice “valutata la causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti” potesse invitare le parti a procedere alla mediazione dinanzi ad uno degli organismi abilitanti. La nuova formulazione ex art 5 co. 2 d.lgs., ha inopportunamente trasformato l'invito in un ordine, stabilendo che il giudice possa disporre l'esperimento del procedimento di mediazione, purché il provvedimento sia stato adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero nei processi in cui tale 7 SEZIONE I: L'ATTO INTRODUTTIVO 10. La domanda giudiziale e i suoi effetti, processuali e sostanziali La domanda giudiziale è idonea a produrre importanti effetti sia sul piano processuale che su quello sostanziale. Gli effetti processuali ruotano intorno alla nozione di litispendenza. La proposizione della domanda, ad es., individua il momento a partire dal quale : = Nessun altro giudice, adito successivamente, potrà conoscere e decidere la medesima causa (art. 39); =» |mutamenti della legge o dello stato di fatto, incidenti sulla giurisdizione o sulla competenza del giudice adito, non potranno sottrarre la causa al giudice stesso (Perpetuatio lurisdictionis),; =» Il trasferimento del diritto controverso non farà venir meno la legittimazione, ad agire o a contraddire, del suo originario titolare (art 111 c.p.c). Si impediscono eventuali decadenze che operino sul terreno strettamente processuale, ad es. ai termini cui sono soggette le domande di impugnazione (ex art 325 e 327 c.p.c.)o la domanda di opposizione a decreto ingiuntivo (art 641 c.p.c.). Gli effetti sostanziali si distinguono tra quelli che la domanda produce “di per sé”, indipendentemente dall'esito del processo, e quelli che invece presuppongono che il soggetto arrivi ad una sentenza. Alla categoria degli effetti sostanziali “di per sé” appartiene l'effetto interruttivo della prescrizione: per l'art. 2943 c.c. la proposizione della domanda giudiziale, anche se rivolta a giudice incompetente o privo di giurisdizione, vale ad interrompere la prescrizione del diritto azionato; tale effetto è conservativo, mira a paralizzare le conseguenze negative che la durata del processo potrebbe determinare rispetto al diritto che si è fatto valere. La prescrizione, oltre ad essere interrotta, rimane sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, e solo da questo momento prende a decorrere un nuovo periodo di prescrizione. Rientrano tra tali effetti anche tutti quelli che la domanda produce accidentalmente, quando cioè costituisce il mezzo di attuazione di un potere che il suo autore avrebbe potuto esercitare anche al di fuori del processo. Gli effetti sostanziali attributivi, condizionati all'accoglimento della domanda, retroagiscono al giorno in cui la domanda sia stata proposta, una volta intervenuta la sentenza di accoglimento. Ad es. è dalla domanda che gli interessi scaduti producono a propria volta interessi (art. 1283 c.c.), o che il possessore in buona fede risponde nei confronti del rivendicante dei frutti percepiti o percepibili (art. 1148). La trascrizione nei pubblici registri immobiliari delle domande giudiziali ha, in genere, l'effetto di rendere inopponibili all'attore vittorioso i diritti acquistati da terzi con un atto trascritto o iscritto prima della sentenza ma dopo la trascrizione stessa. È possibile distinguere una terza categoria di effetti sostanziali intermedia, per i quali la 10 domanda giudiziale è condizione necessaria e sufficiente, e che sono destinati a caducarsi quando la pendenza del processo, per qualunque motivo, venga meno e non sia possibile arrivare ad una sentenza; ad es. le preclusioni previste dall'art. 1453 c.c. per cui, una volta proposta domanda di risoluzione, per un verso l'attore non può più optare per la domanda di adempimento, e per altro verso il debitore non può più adempiere. 2.1 modelli dell'atto introduttivo: la citazione e il ricorso Secondo l'art. 163 co 1°, “La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa". La domanda di citazione può essere per proposta anche con ricorso, ad esempio nel rito del lavoro. L'atto di citazione si dirige essenzialmente e direttamente nei confronti del convenuto, deve quindi contenere, oltre agli elementi che si concretano nella c.d. edictio actionis, cioè individuano le domande sottoposte al giudice (soggetti, petitum, causa petendi), quelli necessari per provocare e consentire la partecipazione del convenuto stesso al processo (la c.d. vocatio in ius), compresa l'indicazione dell'udienza in cui dovrà avvenire la prima comparizione delle parti. Il ricorso invece ha come naturale e immediato destinatario il giudice e mira, col deposito in cancelleria, ad investire della causa l'ufficio giudiziario, sicché esige esclusivamente la determinazione della domanda. La vocatio in ius e l'instaurazione del contraddittorio fra le parti conseguono ad una distinta e successiva attività dello stesso giudice, che fissa con decreto la data dell'udienza di comparizione o l'audizione delle parti, nonché ad un'ulteriore attività dell'attore, che deve poi provvedere alla notificazione dell'atto introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza. Il principio del contraddittorio esclude che l'introduzione della causa con ricorso possa rendere inutile l'instaurazione del contraddittorio, eccezion fatta per i casi in cui la decisione inaudita altera parte sia prevista dal legislatore. 12. Conseguenze dell'errore sulla forma dell’atto introduttivo ( e sul rito della causa) Nei casi in cui l'attore utilizzi un modello diverso da quello prescritto dalla legge, la giurisprudenza si mostra indulgente, ammettendo una certa equipollenza e fungibilità dei due modelli e dei diversi riti, ed escludendo che l'erronea adozione dell'uno in luogo dell'altro sia motivo di nullità o impedisca al processo di pervenire alla decisione di merito. Tale fungibilità trova un limite nel caso in cui l'instaurazione del giudizio fosse assoggettata ad un termine di decadenza, in questo caso la tempestività dell'atto introduttivo deve essere valutata non alla luce del modello erroneamente utilizzato, ma secondo quello che avrebbe dovuto correttamente impiegarsi. Se il processo doveva promuoversi con ricorso, la domanda formulata con citazione si considera proposta solo dal momento in cui la citazione stessa viene successivamente depositata nella cancelleria del giudice adito, e non dal giorno della notifica al convenuto; se è stato utilizzato ricorso in luogo della prescritta citazione, il giudizio si ha per iniziato dal momento in cui questo, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, viene notificato all'altra parte, e non dal giorno del deposito dell'atto introduttivo in cancelleria. L'atto compiuto in forma erronea è nullo ed il vizio sanabile solo ex nunc. Gli atti processuali compiuti nelle forme 11 proprie di un rito errato sono considerati di per sé pienamente validi, dopo che il giudice abbia disposto il mutamento di rito non devono essere rinnovati. L'errore iniziale, non rilevato ed emendato in primo grado, condiziona anche le forme dell'atto di impugnazione. Alla luce dell'art 59 |. 69/2009 anche la domanda proposta ad un giudice privo di giurisdizione è pienamente idonea a produrre i consueti effetti sostanziali e processuali. Alla luce di tali principi deve allora ritenersi, a differenza di quanto sostenuto dalla giurisprudenza dominante, che la tempestività della domanda debba valutarsi in base al modello effettivamente utilizzato. 13.Il contenuto dell’atto di citazione L'atto di citazione, ex art. 163 c.p.c., deve contenere: 1. 12 L'indicazione del tribunale al quale la domanda è proposta, elemento che mira alla vocatio in ius del convenuto, il quale non saprebbe dinanzi a quale ufficio costituirsi e/o comparire. Nome, cognome, codice fiscale e residenza dell'attore; nome, cognome, codice fiscale e residenza o domicilio o dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se sia parte una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, è richiesta la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ha la rappresentanza in giudizio; La determinazione della cosa oggetto della domanda, ossia il petitum, inteso come mediato (bene giuridico, il bene della vita come ad es. somma di denaro di cui si chiede il pagamento) ed immediato (si identifica col tipo di provvedimento chel'attore chiede al giudice); Esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. | fatti costituenti le ragioni della domanda, di regola, si identificano con i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio; Indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione. Sono consentite anche in un momento successivo del processo; Nome e cognome del difensore-procuratore ed indicazione della procura, quando questa sia già stata rilasciata. Il procuratore deve comunque sottoscrivere l'atto di citazione, e la procura può essere rilasciata anche dopo l'inizio del processo, purché anteriormente alla costituzione della parte; Indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166, ovvero di 10 giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis, con l'avvertimento che la effettiva dell'udienza. Questo termine fa scattare importanti preclusioni, una costituzione tardiva impedirebbe al convenuto alcune attività difensive non trascurabili. La costituzione del convenuto si attua mediante deposito del fascicolo di parte che dovrà contenere anche la copia della citazione notificata al convenuto e la comparsa di risposta. 18. Segue: il contenuto della comparsa di risposta Le attività che possono essere compiute dal convenuto solo con la comparsa di risposta sono ( ex art 167, 171 e 269c.p.c.): e. Proposizione di domande riconvenzionali, comprese quelle formulate nei confronti di un altro convenuto, le domande di accertamento incidentale con cui il convenuto chiede che una questione pregiudiziale venga decisa con efficacia di giudicato; e La proposizione di eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio; * La chiamata di un terzo, a norma art. 106. Il convenuto laddove voglia chiamare in causa un terzo , non è solo tenuto ad indicare le sue intenzioni ma deve anche chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione nel rispetto dei termini ex art 163-bis. Tale meccanismo serve ad evitare che l'udienza si risolva in un mero rinvio. Il convenuto nella sua comparsa di risposta ex art 167 co. 1 dovrebbe proporre, senza per subire preclusioni, tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. 19. Iscrizione della causa a ruolo Con l'iscrizione della causa a ruolo l'ufficio giudiziario adito prende formalmente in carico la controversia. Il cancelliere, su richiesta della parte che per prima si costituisce ( e tenuta al pagamento del contributo unificato per le spese giudiziarie), deve presentare un'apposita nota di iscrizione della causa nel ruolo generale, contenete l'indicazione delle parti, del procuratore che si costituisce, dell'oggetto della domanda, della data di notifica della citazione e dell'udienza fissata per la prima comparizione. Il ruolo generale è un registro in cui ogni singola causa viene annotata secondo un ordine cronologico, assumendo in questo modo un proprio numero di ruolo generale che servirà a contrassegnarla in modo univoco. Contemporaneamente all'iscrizione a ruolo, il cancelliere deve formare il fascicolo d'ufficio della causa, in cui verranno inseriti la nota d'iscrizione a ruolo, una copia di carta libera dell'atto di citazione e degli altri atti di parte, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze. Formato il fascicolo, il cancelliere deve presentarlo al presidente del tribunale affinché questi designi con decreto il 15 giudice istruttore. Questo deve avvenire entro il secondo giorno successivo alla costituzione della parte che ha chiesto l'iscrizione a ruolo. Il cancelliere, quindi, deve iscrivere la causa sul ruolo del giudice istruttore, cui viene trasmesso il fascicolo. Una volta noto il magistrato incaricato dell'istruzione della causa, si può determinare la data effettiva dell'udienza di prima comparizione. Le parti, per conoscere il giudice designato e la data reale dell'udienza di comparizione dovranno accedere alla cancelleria e leggerlo dal ruolo generale. 20.La costituzione “ritardata” delle parti e la contumacia L'art. 171 co 2° precede che, se una delle parti si è effettivamente costituita nel termine a lei assegnato, l'altra può costituirsi successivamente fino alla prima udienza. Se per il convenuto utilizza tale possibilità, restano ferme le decadenze ex art. 167, costituendosi oltre il termine indicato dall'art. 166 non potrà più proporre domande riconvenzionali o eccezioni in senso stretto, né chiamare in causa terzi. Si parla di contumacia quando la parte non si sia costituita in giudizio entro l'udienza di prima comparizione; in questo caso il giudice la dichiara all'udienza stessa con ordinanza. Nel processo ordinario la contumacia può riguardare sia il convenuto, sia lo stesso attore, non entrambe le parti perché in questo caso la causa non verrebbe neppure iscritta a ruolo e si applicherebbe l'art. 307. Quando sia l'attore a non costituirsi, l'art. 290 fa dipendere la prosecuzione del giudizio dalla volontà del convenuto, che potrebbe avere interesse alla sentenza di merito: se lo chiede, il giudice darà le disposizioni ex art. 187, iniziando a trattare la causa; altrimenti deve essere ordinata la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue immediatamente. L'avvocato che assuma la rappresentanza di una parte in giudizio che si svolge fuori dalla circoscrizione del tribunale cui è assegnato, è tenuto, al momento della propria costituzione, ad eleggere domicilio nel luogo in cui ha sede il giudice adito; in mancanza il domicilio si intende eletto presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario. Se la parte è costituita personalmente, le notificazioni e le comunicazioni ad essa dirette si faranno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto al momento della costituzione. 4. L'UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE E LE VERIFICHE PRELIMINARI 22. Le verifiche prescritte all’udienza di prima comparizione Fino alla riforma del 1990 l'udienza di prima comparizione coincideva, almeno potenzialmente, con l'inizio della trattazione della causa, cioè delle attività dirette alla definitiva fissazione dell'oggetto del giudizio e alla determinazione dei fatti da provare e all'ammissione dei relativi mezzi istruttori. Nella prassi il convenuto si costituiva in tale udienza, inducendo l'attore a chiedere un rinvio per poter prendere visione della comparsa di risposta e dei documenti allegati. La riforma 353/1990 stabilisce che la prima udienza serva esclusivamente alla comparizione delle parti e alla verifica della regolare instaurazione del 16 contraddittorio, e che alla seconda udienza inizi la trattazione della causa effettiva. La |. 80/2005 torna a far coincidere l'inizio della trattazione della causa con l'udienza di prima comparizione. Il giudice è tenuto a compiere delle verifiche preliminari all'udienza di prima comparizione: e l'art. 182 co 1° prevede genericamente che il giudice istruttore debba verificare d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, all'occorrenza, invitare queste a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi, tale strumento viene adoperato quando una delle parti ha omesso di produrre la procura già rilasciata e autenticata; e * l'art. 183 co 1° prende in considerazione le vere e proprie nullità che potrebbero essersi verificate nella fase introduttiva del processo, prevedendo che il giudice, alla prima udienza, debba verificare d'ufficio la regolarità del contraddittorio, e pronunciare all'occorrenza i provvedimenti previsti all'art. 102 2 co., 164 2,3,5 co. e 167 2,3 co. , 182, 291 1 co., per porre rimedio all'omessa citazione di un litisconsorte necessario, alle nullità dell'atto introduttivo o della domanda riconvenzionale, ai difetti di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, o ai vizi della notificazione della citazione. Tali vizi resterebbero rilevabili d'ufficio anche dopo la prima udienza; l'udienza di prima comparizione costituisce l'ultima occasione in cui può esser sollevata la questione concernente l'inosservanza delle disposizioni di ordinamento giudiziario relative alla ripartizione tra sede principale e sezioni distaccate, o tra diverse sezioni distaccate. 23. Il vizi concernenti l’istaurazione del contraddittorio: la nullità della notificazione della citazione Qualora il convenuto non si sia costituito entro la prima udienza, il giudice, prima di dichiararlo contumace, deve verificare che la citazione gli sia stata regolarmente notificata e, quando rilevi un vizio che implichi la mera nullità della notifica, deve ordinare all'attore la rinnovazione della notifica (tramite nuova citazione), fissando a tal fine un termine perentorio ed una nuova udienza (art 291). La rinnovazione sana la nullità con effetto retroattivo (ex tunc) ed impedisce ogni decadenza: il processo si considera pendente fin dal giorno della prima notificazione, e da questo momento decorreranno tutti gli effetti sostanziali della domanda di natura conservativa. Il convenuto è tenuto a costituirsi in cancelleria almeno 20 gg. prima della nuova udienza, e sarà dichiarato contumace se non si costituisca entro l'udienza stessa. Se l'ordine di rinnovazione non viene rispettato, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo ed il processo si estingue immediatamente, ex art. 307 co 3°. 24. L’invalidità della citazione: la fattispecie. 17 L'art. 167 co 2° prevede che la domanda riconvenzionale sia nulla allorché ne sia stato omesso o ne risulti assolutamente incerto l'oggetto o il titolo, ossia il petitum o la causa petendi. || giudice assegna al convenuto un termine per l'integrazione della domanda, che opera solo ex nunc, lasciando ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente. Tace circa l'ipotesi dell'inosservanza dell'ordine di integrazione, ma ne consegue l'insanabilità del vizio e la definizione della domanda riconvenzionale in mero rito. 4. LA TRATTAZIONE DELLA CAUSA E LE PRECLUSIONI 29. La tendenziale concentrazione della trattazione e l'eventuale interrogatorio libero delle parti In dottrina e giurisprudenza prevale l'idea che le disposizioni in materia di preclusioni rispondano ad esigenze di ordine pubblico e debbano trovare applicazione indipendentemente dalla volontà delle parti. La disciplina della prima udienza di trattazione è interamente contenuta nell'art. 183. Premesso che la trattazione della causa è, per principio, orale, anche se debba redigersene processo verbale, l'art. 183 dispone che la causa abbia inizio nell'udienza di prima comparizione e si concluda, in principio, in quella stessa udienza. Si ha, eccezionalmente, un differimento dell'inizio della trattazione ad una nuova udienza quando: e Il giudice, in seguito a verifiche preliminari, rilevi un vizio relativo alla costituzione delle parti o all'instaurazione del contraddittorio ed ordini le necessarie misure sananti; e Nonché quando debba procedersi a norma dell'art. 185, cioè quando il giudice, di propria iniziativa o su richiesta congiunta delle parti, disponga la comparizione personale di queste, al fine di interrogare liberamente ed eventualmente di tentarne la conciliazione. Sebbene l'art. 183 riferisca le attività relative alla trattazione della causa alla prima udienza, è da ritenere che si tratti di un'indicazione tendenziale, la cui rigidità deve fare i conti con esigenze obiettive del processo, legate al principio del contraddittorio, le quali possono rendere talvolta ineludibile il frazionamento delle già menzionate attività in più udienze, se non addirittura il differimento dell'inizio della trattazione. 30.Segue: le attività dirette a definire l'oggetto del giudizio e i mezzi di prova da assumere. Cenni sul possibile passaggio al rito sommario di cognizione Dopo le verifiche preliminari, concernenti la regolare instaurazione del processo e del contraddittorio, nonché dopo l'eventuale esperimento dell'interrogatorio libero e del tentativo infruttuoso di conciliazione, l'art. 183 prevede una serie di attività delle parti, talora sollecitabili dallo stesso giudice, dirette a pervenire ad una compiuta definizione dell'oggetto del giudizio e dei fatti sui quali, se del caso, dovranno poi assumersi prove. 20 21 . Il giudice chiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari: questa attività dovrebbe servire a far luce sulle rispettive posizioni difensive e a far emergere i fatti realmente controversi. . L'art 185-bis attribuisce al giudice il potere-dovere di formulare, “avendo riguardo della natura del giudizio” , una proposta transattiva o conciliativa. La prima ipotesi evoca la figura della transazione ex art 1965c.c., lasciando intendere che il giudice può proporre un accordo risolutivo della controversia che rappresenti un compromesso tra le contrastanti posizioni dei litiganti. La seconda ipotesi presuppone che il giudice ritenga di poter già intuire l'esito del giudizio, e dunque proponga alle parti una proposta conciliativa, rendendo superflua la decisione della causa. Lo stesso art 185-bis consente al giudice la formulazione di una siffatta proposta anche nel prosieguo del giudizio “ sino a quando è esaurita l'istruzione”. Il giudice deve quindi indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, al fine di tutelare l'effettività del contraddittorio e di impedire che il giudice stresso pronunci su una di tali questioni senza aver previamente sentito le parti. . L'attore può proporre nella prima udienza di trattazione le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Per quel che riguarda le domande, tale facoltà deroga al principio secondo cui l'oggetto del giudizio viene determinato dagli atti introduttivi e non può essere ampliato in corso di causa; per quel che riguarda le eccezioni, bisogna intendere le sole eccezioni in senso stretto, ossia non rilevabili d'ufficio, dell'attore (le eccezioni in senso stretto del convenuto decadono alla scadenza del termine di costituzione in cancelleria). Le eccezioni rilevabili d'ufficio restano consentite ad entrambe le parti anche nel prosieguo del giudizio. Lo stesso attore può chiedere al giudice, nella stessa prima udienza, l'autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo, a condizione che l'esigenza di tale chiamata sia sorta dalle difese del convenuto. . Entrambe le parti possono inoltre precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. La modifica (emendatio libelli) è consentita solo in questa prima udienza di trattazione, resta ben distinta dal vero e proprio mutamento della domanda (mutatio libelli), che è di regola sempre vietato, poiché inciderebbe in modo sostanziale sull'oggetto del giudizio. La precisazione rappresenta a sua volta un minus rispetto alla modifica della domanda, una specificazione o variazione di circostanze marginali relative ad un fatto già allegato, o la deduzione di un diverso effetto giuridico del fatto stesso. Nella stessa udienza le parti hanno la possibilità di integrare liberamente le iniziali richieste istruttorie, indicando nuovi mezzi di prova e producendo nuovi documenti. 31.Segue: l'eventuale “appendice” di trattazione scritta, la decisione sull’ammissione dei mezzi di prova e il cd. calendario del processo L'art. 183 co 6° prevede che le parti, anziché precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, e integrare liberamente le iniziali richieste istruttorie indicando i nuovi mezzi di prova e producendo nuovi documenti, direttamente in udienza, possano farlo successivamente, per iscritto, chiedendo al giudice l'assegnazione di un triplo termine perentorio: I. 30gg per il deposito in cancelleria di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; Il. 30 gg perreplicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, nonché per indicare nuovi mezzi di prova e produzioni documentali; Ill. 20 gg perle sole indicazioni di prova contraria. Quando le parti chiedano tali termini, il giudice, salvo che non reputi la causa già matura per la decisione senza la necessità di istruttoria, decide sull'ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova richiesti dalle parti, fissando l'udienza in cui le prove ammesse devono essere assunte; a tal fine provvede con ordinanza emanata fuori udienza, da pronunciarsi entro trenta giorni. L'art. 81-bis disp. att., introdotto con la riforma del 2009, prevede che il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, debba fissare il calendario del processo con l'indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati, sentite a tal proposito le parti e tenendo conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa. L'ordinanza con cui il giudice provvede sulle richieste istruttorie e fissa il calendario del processo, qualora sia resa fuori dell'udienza, deve essere comunicata dal cancelliere alle parti costituite entro i tre giorni successivi al deposito; e per tale comunicazione sono utilizzabili anche il telefax o la posta elettronica, nel rispetto delle prescrizioni normative circa la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici o teletrasmessi. L'esaurimento dell'udienza di trattazione, ovvero la scadenza dei termini perentori assegnati per le memorie, preclude alle parti la richiesta di nuovi mezzi di prova e la produzione di nuovi documenti, ma non esclude che il giudice stesso eserciti in un momento successivo i poteri istruttori officiosi che la legge gli attribuisce. A tutela delle parti, l'art. 183 co 8° prevede che quando vengano disposti d'ufficio dei mezzi di prova, il giudice debba contestualmente assegnare alle parti, col medesimo provvedimento, un ulteriore doppio termine perentorio: il primo per la richiesta dei nuovi mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a quelli disposti ex officio; il secondo per il deposito di un'eventuale memoria di replica. In questo caso lo stesso giudice, anziché fissare immediatamente l'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova già ammessi, attenderà lo spirare di tali termini e provvederà 22 di risposta, le proprie domande riconvenzionali ed eccezioni in senso stretto. Circa la sua eventuale richiesta di chiamare a propria volta in causa un altro soggetto, l'art. 271 esige che il terzo dichiari tale intenzione, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta e si faccia poi autorizzare dal giudice alla prima udienza. Se l'intervento si realizza a processo già da tempo iniziato si applicherà un'ampia rimessione in termini al terzo ma anche alle parti originarie, le quali avranno diritto di essere ammesse al compimento di ogni ulteriore attività, assertiva o probatoria, resa necessaria dalle deduzioni dell'interveniente. 6. IL GIUDICE ISTRUTTORE 37. L'origine della figura del giudice istruttore Secondo gli intenti del legislatore del '40, l'intera direzione e responsabilità della causa veniva affidata ad un organo monocratico, che rimaneva lo stesso per tutte la durata del processo, per far intervenire poi il collegio (del quale avesse fatto parte il medesimo giudice istruttore) solo quando la causa fosse ormai pronta per essere decisa. AI posto di rendere il processo più agile, ne provoca la divisione in due fasi nettamente distinte, quella istruttoria e quella decisoria, introducendo un diaframma tra le parti ed il giudice collegiale, unico titolare del potere di pronunciare sentenza, e attribuendo all'istruttore ampi poteri. La riforma degli anni '50 aveva cercato di attenuare questo potere del giudice istruttore, accordando alle parti il potere di provocare l'intervento del collegio già nel corso dell'istruttoria per un controllo anticipato sui provvedimenti che stabiliscono quali prove ammettere e su quali fatti. La riforma del '90 risolve trasformando il tribunale da giudice collegiale ad organo monocratico, con la conseguenza che il giudice istruttore, escluse le ipotesi all'art. 50-bis, cumula in sé anche i pieni poteri decisori. 38. Il potere di direzione del processo e l’immutabilità del giudice istruttore L'art. 175 attribuisce al giudice istruttore tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. È a lui che spetta fissare di volta in volta l'udienza successiva, con un intervallo, tra un'udienza e l'altra, che per l'art. 81 disp. att., non dovrebbe superare i quindici giorni, nonché gli eventuali termini ordinatori entro i quali le parti devono compiere determinati atti processuali. L'art. 187 gli riconosce il potere di dare ogni altra disposizione relativa al processo. L'art. 174 enuncia il principio per cui egli, designato immediatamente dopo l'iscrizione a ruolo, resta investito di tutta l'istruzione della causa e della relazione al collegio; si potrebbe procedere alla sua sostituzione soltanto in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio, con un provvedimento scritto dal presidente. 39. Le ordinanze del giudice istruttore Tutti i provvedimenti del giudice istruttore rivestono la forma dell'ordinanza e, se pronunciati direttamente in udienza, si ritengono conosciuti sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto comparirvi; se pronunciati fuori 25 dall'udienza, il cancelliere ne dà comunicazione (di regola solo alle parti costituite) entro i tre giorni successivi. AI giudice istruttore compete indeclinabilmente, ai sensi art. 183, l'ammissione e l'assunzione dei mezzi di prova, non solo quelli che le parti abbiano richiesto, ma anche quelli che lui stesso può disporre. Dovendo verificare se un determinato mezzo di prova è rilevante, si trova inevitabilmente ad affrontare in anticipo questioni di merito controverse, che saranno poi decise dal collegio. Si può quindi comprendere l'art. 177 secondo cui le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa, e dunque non possono in nessun caso costituire giudicato sulle questioni, di rito o di merito, in esse affrontate; né tantomeno possono vincolare il collegio, davanti al quale le stesse questioni potranno essere, di regola, liberamente riproposte allorché la causa gli verrà rimessa. Le ordinanze del giudice istruttore o del collegio sono liberamente revocabili e modificabili, tanto dal giudice che le ha pronunciate, quanto dal collegio, allorché siano state rese al giudice istruttore. Fanno eccezione, non essendo né revocabili né modificabili: * le ordinanze pronunciate sull'accordo delle parti, in materia della quale esse possono disporre, in questo caso anche la revoca o modifica presuppone vi sia accordo di tutte le parti; e le ordinanze che la legge dichiari espressamente non impugnabili; * le ordinanze per le quali la legge disponga uno speciale mezzo di reclamo, giacché tale reclamo è l'unico mezzo per ottenere la modifica del provvedimento; oggi l'unica ordinanza reclamabile al collegio è quella dichiarativa dell'estinzione del processo, cui viene assimilata l'ordinanza con cui il giudice decida sulla sola competenza, impugnabile tramite regolamento di competenza. 40. Le ordinande decisorie: rinvio. Il giudice istruttore può pronunciare anche delle ordinanze dal contenuto schiettamente decisorio, provvedimenti aventi un contenuto di un'efficacia analoghi a quelli di una sentenza di condanna e tuttavia soggetti al regime formale proprio delle ordinanze. Una prima fattispecie particolare è quella disciplina ex art 179: prevede che tali condanne siano rese con ordinanza e costituiscano titolo esecutivo. L'ordinanza non è impugnabile laddove sia stata pronunciata in udienza, in caso contrario a cura della cancelleria essa deve essere notificata nel termine di 3 gg al condannato. Questi potrà impugnarla con un reclamo allo stesso giudice istruttore, quale pronuncerà con ordinanza non impugnabile. 8. L'ISTRUZIONE PROBATORIA SEZIONE I: I PRINCIPI IN MATERIA DI PROVE 41.L'oggetto e la disponibilità della prova Tradizionalmente si è soliti schematizzare la decisione del giudice come il risultato di un'attività di sussunzione che, muovendo da una fattispecie concreta, mira a ricondurla ad una determinata fattispecie legale, ricavata dal diritto sostanziale, fino a dedurne le conseguenze giuridiche da dichiarare nel proprio provvedimento. 26 In tale attività il giudice è chiamato ad individuare ed accertare il complesso di fatti rilevanti per la corretta determinazione della fattispecie legale di riferimento, e ad individuare ed interpretare il complesso di norme che meglio si adattano alla fattispecie concreta. Il giudice deve sempre procedere autonomamente alla ricerca e all'interpretazione della norma applicabile al caso concreto, senza che le eventuali allegazioni provenienti dalle parti possano in tale direzione vincolarlo o limitarlo, anche quando la relativa individuazione possa risultare poco agevole; ad es. gli usi, il diritto straniero. Tale principio trova conferma nell'art. 14 |. 218/1995, a norma del quale l'accertamento della legge straniera è compito d'ufficio del giudice, che può avvalersi a tal fine, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite tramite il Ministero della giustizia, e può interpellare esperti o istituzioni specializzate. Rispetto alla norma giuridica quindi non può mai porsi un problema di prova in senso proprio. Per quanto riguarda invece la conoscenza dei fatti, non è possibile presumere che il giudice conosca direttamente i fatti rilevanti per la decisione, ma anzi, dovendo egli essere imparziale e dovendo l'iter logico, attraverso il quale egli perviene ad accertare i fatti stessi, essere verificabile, al giudice è vietata l'utilizzazione della sua c.d. scienza privata, cioè della diretta e personale conoscenza che egli abbia eventualmente di tali fatti. AI giudice è vietato anche ricevere private informazioni sulle cause pendenti davanti a sé (art. 97 disp. att.). L'unica eccezione è la possibilità di porre a fondamento della decisione, senza bisogno di prova, le ragioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115 co 2°), che include i fatti notori, cioè quei fatti che, nel tempo e nel luogo in cui si svolge il processo, possono considerarsi patrimonio di comune conoscenza da parte dell'uomo medio e quindi storicizzati, che rilevano come fatti secondari o come fatti principali. Salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione il risultato delle prove proposte dalle parti o da pubblico ministero. La prova dei fatti allegati si configura come un vero e proprio diritto di natura processuale, strumentale all'attuazione dei diritti di azione e di difesa garantiti dall'art. 24 Cost. Alla luce dell'art. 115, devono considerarsi eccezionali le ipotesi in cui il giudice è abilitato a disporre di propria iniziativa i mezzi di prova. Nel processo ordinario i poteri istruttorii esercitabili d'ufficio sono piuttosto limitati e riguardano, prescindendo dalla consulenza tecnica: l'ispezione giudiziale, la richiesta d'informazioni alla pubblica amministrazione, l'interrogatorio libero, il giuramento suppletorio, la prova testimoniale. Il principio all'art. 115 va coordinato col principio di acquisizione della prova, per cui questa, una volta che sia stata richiesta o comunque introdotta nel processo, esce dalla sfera di disponibilità della parte istante, così che tale parte non può rinunciare alla sua assunzione né può revocare la sua produzione se non vi sia il consenso delle altre parti e l'autorizzazione del giudice; e i risultati della prova potranno giovare ad una qualunque delle parti, non soltanto a quella che l'aveva richiesta. 42.La nozione di prova e le sue principali classificazioni. Il legislatore spesso parla di prova come sinonimo di mezzo di prova, per riferirsi cioè all'insieme di strumenti e procedimenti attraverso i quali il giudice deve formare il proprio convincimento circa l'esistenza o inesistenza di determinati fatti che egli debba utilizzare per la decisione. Altre volte il termine 27 dall'avversario. Niente sembra escludere che un fatto inizialmente pacifico divenga successivamente controverso in conseguenza del mutamento della posizione difensiva di taluna delle parti. La riforma del 2009 ha introdotto, all'art. 115, il principio per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione, oltre alle prove poste dalle parti o dal pubblico ministero, i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. Oggi, la circostanza che una parte ometta di prendere posizione circa i fatti allegati dall'avversario a sostegno della propria domanda o eccezione, o ometta di contestare specificatamente tali fatti, consentirà al giudice di reputare veri i fatti stessi senza bisogno di prova. Il principio è applicabile solamente rispetto alle parti costituite, è escluso che alla contumacia possa attribuirsi il valore di una generale non contestazione. L'omessa contestazione non implica in via automatica e necessaria la verità dei fatti non contestati, ma costituisce un comportamento processuale significativo e rilevante sul piano della prova dei fatti medesimi. Gli effetti dell'omessa contestazione devono essere gli stessi per i fatti principali e per quelli secondari. La contestazione richiesta dall'art. 115 deve essere specifica; non può risolversi nella mera negazione formale della verità dell'avversa allegazione, ma deve esplicitare, ove sia materialmente possibile, la diversa e contrapposta versione dei fatti della parte da cui proviene. L'effetto dell'omessa contestazione consiste nella relevatio ab onere probandi, ossia nell'esonero della parte, autrice dell'allegazione non contestata, dall'onere di dar prova del fatto allegato. può operare solamente rispetto all'allegazione dei fatti che spetterebbe alla parte allegante provare, mentre non avrebbe senso relativamente ai fatti che dovrebbero essere provati dall'avversario. L'aver escluso che l'omessa contestazione vincoli il giudice a reputare veri i fatti non contestati consente di ammetterne l'utilizzazione pure nei giudizi aventi ad oggetto diritti indisponibili. Avendo l'art. 115 ribadito che la contumacia non equivale a non contestazione, deve escludersi che la contestazione, cioè l'allegazione di segno negativo, sia soggetta ad una vera e propria preclusione. In teoria, non è escluso che la contestazione possa utilmente intervenire, seppure col dovuto rispetto del principio del contraddittorio, nel corso del processo di primo grado e finanche in appello, facendo conseguentemente sorgere nell'altra parte l'onere di dar prova del fatto allegato, pur quando tale prova non sarebbe consentita per il verificarsi delle preclusioni istruttorie. SEZIONE Il: LE REGOLE GENERALI DELL'ISTRUZIONE PROBATORIA 48.Luogo e modalità di assunzione dei mezzi di prova: per delega o per rogatoria. Anche la fase istruttoria si snoda tra udienze, il cui intervallo, a norma art. 81 disp. att., non dovrebbe essere superiore a quindici giorni. Il giudice istruttore, quando dispone mezzi di prova (ci si riferisce alle prove costituende), salvo possa assumerli immediatamente, stabilisce il tempo, il luogo e il modo di assunzione, fissando solitamente un'udienza ad hoc, a meno che non si tratti di prova da assumere necessariamente fuori dall'udienza. In quest'ultimo caso, fermo restando che di regola è lo stesso giudice istruttore a dovervi provvedere, l'art. 203 prevede che, se l'assunzione deve avvenire fuori della circoscrizione del tribunale, venga delegato a procedervi il giudice istruttore del luogo, salvo che le parti chiedano concordemente e il presidente del tribunale lo consenta che vi si trasferisca lo stesso giudice procedente. 30 Quando ricorra tale delega, l'ordinanza che la dispone deve fissare il termine massimo entro cui la prova deve essere assunta e la successiva udienza alla quale le parti dovranno poi comparire per la prosecuzione del processo. Il giudice delegato procede all'assunzione del mezzo di prova su istanza della parte interessata e quindi, d'ufficio, ne rimette il relativo processo verbale al giudice delegante prima dell'udienza da questi fissata per la prosecuzione del giudizio, anche se l'assunzione non si è ancora esaurita. Per quanto riguarda l'acquisizione di prove tramite rogatoria internazionale, la materia è regolata, all'interno dell'Unione, nel regolamento 1206/2001 del Consiglio, in generale dalla Convenzione dell'Aja del 1970. La disciplina convenzionale dispone che ciascuno Stato contraente designi una Autorità centrale con lo specifico incarico di ricevere le richieste di rogatoria provenienti dall'autorità giudiziaria di un altro Stato contraente e di trasmetterle all'autorità interna competente per darvi esecuzione. Il regolamento comunitario consente invece la trasmissione diretta di richieste di assunzione di prove tra autorità giudiziarie di diversi Stati membri e, a talune condizioni, l'assunzione diretta della prova all'estero, da parte dell'autorità giudiziaria richiedente. 49.Le modalità di assunzione della prova e la sua chiusura. Il giudice che procede all'espletamento della prova, pur quando sia stato delegato a norma dell'art. 203, è competente a risolvere ogni questione che dovesse sorgere in tale sede (art. 205). Le parti possono assistere personalmente all'assunzione dei mezzi di prova, per la quale si redige un processo verbale sotto la direzione del giudice. Nel processo verbale le dichiarazioni delle parti e dei testimoni sono riportate in prima persona e devono essere lette al dichiarante e da lui sottoscritte. È previsto che il giudice, quando lo ritenga opportuno, possa far descrivere nel verbale il contegno di chi ha reso la dichiarazione, al fine di mantenere traccia di elementi che potranno essergli d'aiuto nel valutare l'attendibilità della dichiarazione stessa. L'art. 208 stabilisce una decadenza dal diritto di far assumere la prova quando la parte, su istanza della quale dovrebbe iniziarsi o proseguirsi la prova stessa, ometta di presentarsi. Tale decadenza deve essere dichiarata d'ufficio dal giudice, a meno che non sia l'altra parte, presente, a chiederne l'assunzione. La decadenza non opera rispetto ai mezzi di prova che siano stati disposti d'ufficio dal giudice, nonché quando nessuna delle parti sia comparsa all'udienza. Quando sia stata dichiarata la decadenza, la parte interessata può chiedere al giudice, nell'udienza successiva, la revoca del provvedimento, allorché la sua mancata comparizione sia stata provocata da causa ad essa non imputabile. La chiusura della fase di assunzione delle prove viene dichiarata dal giudice istruttore: a. Quando siano stati esauriti tutti i mezzi di prova ammessi; b. Quando, essendo le parti decadute dal diritto di assumerne taluno, non ve ne siano altre da esperire; c. Quando il giudice reputi superflua, per i risultati già raggiunti, l'assunzione di ulteriori prove originariamente ammesse 9. I SINGOLI MEZZI ISTRUTTORII 31 32 SEZIONE I: LA CONSULENZA TECNICA 50. Natura e funzione della consulenza tecnica. L'art. 61 consente al giudice, quando sia necessario, di farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica, che il codice ricomprende nella categoria degli ausiliari del giudice. A questo scopo, presso ciascun tribunale esiste un apposito albo dei consulenti tecnici, diviso in categorie a seconda delle specifiche competenze e disciplinato dagli artt. 13 ss. disp. att., cui il giudice è tenuto normalmente ad attingere per la scelta del consulente. Secondo l'idea del legislatore del '40, la consulenza tecnica non era un vero e proprio mezzo di prova, deputato all'accertamento dei fatti, ma serviva essenzialmente a fornire al giudice le nozioni del sapere tecnico-scientifico eventualmente occorrenti per valutare ed interpretare correttamente le risultanze delle prove; per questo è uno dei mezzi istruttorii di cui il giudice può avvalersi d'ufficio, pur non essendo obbligato a farlo. AI giudice spetta sempre l'ultima parola, non è mai vincolato alle conclusioni o alle indicazioni fornitegli dal consulente. Diversamente da quanto previsto nel '40, nella prassi la consulenza è spesso impiegata puramente e semplicemente per l'accertamento di fatti controversi, il consulente finisce con l'operare in sostituzione del magistrato, facendo acquisire al giudice, con la sua narrazione, la conoscenza di fatti che il giudice stesso non ha potuto percepire direttamente. La consulenza tecnica è quindi un vero e proprio mezzo di prova, soggetto, quanto all'efficacia probatoria, alla regola generale del prudente apprezzamento del giudice. 51.1 compiti e l’attività del consulente. La collaborazione dl consulente tecnico può assumere due diverse forme, a seconda che si limiti ad una mera assistenza al giudice e alle parti, nelle udienze cui è invitato a partecipare, oppure implichi lo svolgimento di vere e proprie indagini, con l'intervento dello stesso giudice o in Modo autonomo. Nel primo caso il suo compito consiste nel fornire in forma orale i chiarimenti richiesti, oppure, qualora il presidente del collegio lo ritenga opportuno, nell'esprimere il suo parere in camera di consiglio alla presenza delle parti. Nel secondo caso assume un ruolo attivo, soprattutto quando svolge le indagini da solo, in questo caso sarà tenuto a redigere relazione scritta in cui deve riassumere le operazioni eseguite ed i risultati ottenuti. 52.Lo svolgimento della consulenza tecnica e la liquidazione del relativo compenso. Con l'iscrizione volontaria all'albo il consulente tecnico assume l'obbligo, in caso di nomina, di prestare il proprio ufficio, cui può sottrarsi soltanto quando ricorra un giusto motivo di astensione oppure quando, nelle stesse ipotesi previste all'art. 51 per il giudice, siano le parti a ricusarlo. L'ordinanza di nomina del consulente tecnico deve già formulare i quesiti, cioè indicare l'oggetto specifico degli accertamenti e delle valutazioni che è chiamato a compiere, e deve essere a lui notificata, a cura del cancelliere, unitamente all'invito a comparire all'udienza fissata dal giudice. Con la stessa ordinanza di nomina, il giudice assegna alle parti un termine entro cui designare, con una dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico di parte che potrà assistere a tutte le operazioni Questo implica che si tratti di oggetti ben determinati o di documenti dal contenuto già noto, e che l'acquisizione non possa ottenersi in altro modo. L'esibizione non è ammessa quando determinerebbe un grave danno per la parte o per il terzo, oppure quando li costringerebbe a violare il segreto professionale d'ufficio o il segreto di Stato. L'esibizione presuppone l'istanza di parte e non può mai essere disposta d'ufficio, a meno che la legge stessa lo preveda espressamente. 56.Segue. Il provvedimento di esibizione e la sua concreta efficacia. L'ordinanza con cui viene disposta l'esibizione deve indicare il tempo, il luogo e il modo dell'esibizione; quando l'ordine sia rivolto ad una parte contumace o ad un terzo, l'ordinanza deve indicare il termine per la notificazione della stessa e la parte che deve provvedervi; quando l'esibizione implichi una spesa, deve porne la relativa anticipazione a carico della parte che l'ha richiesta. Se l'ordine di esibizione è richiesto nei confronti di un terzo, il giudice deve sempre cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo; può disporre, prima di pronunciarsi, che il terzo sia citato in giudizio (al solo fine di poter contraddire, eventualmente, la richiesta di esibizione), a cura della parte istante e nel termine fissato dallo stesso giudice. Il terzo, anche se non sia stato citato, può sempre contestare l'ordine di esibizione, intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnatogli per esibire il documento o la cosa (art. 211). L'unica ipotesi in cui può riconoscersi al provvedimento di esibizione una certa coercibilità, anche se indiretta, è quella in cui, potendo la parte istante vantare un vero e proprio diritto sostanziale sul documento, sia possibile ricorrere ad un altro specifico strumento processuale, il sequestro giudiziario, previsto all'art. 670, per poi ottenere che all'esibizione provveda il custode designato dal giudice. 57. La richiesta di informazioni alla P.A. . Il giudice, fuori dai casi previsti negli artt. 210 e 211, quando cioè non sussistano i presupposti per un ordine di esibizione, può richiedere alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo. SEZIONE IV: GLI INTERROGATORI E LA CONFESSIONE 58.L’interrogatorio libero e il formale. In particolare, l’ambigua natura dell’interrogatorio libero. Il nostro ordinamento prevede due tipi di interrogatorio delle parti: l'interrogatorio formale e l'interrogatorio libero. L'interrogatorio formale è rimesso all'esclusiva disponibilità delle parti ed appartiene al novero dei mezzi di prova; l'interrogatorio libero, ai sensi dell'art. 117 è utilizzabile discrezionalmente dal giudice d'ufficio in qualunque stato e grado del processo. La stessa collocazione normativa dell'istituto (Titolo V, Libro I) lascia ombra alla sua funzione probatoria e dà ragione del perché una parte della dottrina lo consideri, uno strumento di chiarificazione delle rispettive posizioni difensive delle parti, diretto a far si che i contendenti precisino ed esplicitino le proprie versioni circa i fatti rilevanti per la decisione, contribuendo alla fissazione del cd. thema probandum. Per tale aspetto questo istituto rappresenterebbe una delle massime espressioni di collaborazione tra 35 giudice e parti. Altri autori, ritengono che ex art 116, 2 co prevalga la funzione probatoria, entro i limiti più ristretti che la prevalente dottrina attribuisce agli argomenti di prova. 59.La confessione (in generale) e le figure ad essa affini. Per l'art. 2730 c.c. “La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte"; una dichiarazione cui la legge attribuisce normalmente valore di prova legale, idonea a vincolare il convincimento del giudice. La confessione può essere giudiziale, quando si forma nel processo (ed è quindi prova costituenda), oppure stragiudiziale, quando preesiste o si realizza fuori da questo. In caso di confessione stragiudiziale la dichiarazione confessoria, se contestata, dovrà essere essa stessa, preliminarmente, oggetto di prova (documentale se sia contenuta in uno scritto, testimoniale se sia resa oralmente), affinché il giudice possa poi dedurne le conseguenze probatorie previste dalla legge. La confessione ha ad oggetto dei fatti, e può considerarsi una species del genus delle ammissioni, definibili come il riconoscimento, espresso o tacito, di fatti allegati dall'altra parte. L'ammissione tuttavia non opera (diversamente dalla confessione) sul piano probatorio, ma realizza un'allegazione concorde del fatto, con l'effetto di porre il fatto stesso al di fuori del thema probandum, rendendolo pacifico e vincolando il giudice a ritenerlo vero prescindendo dalla sua prova; sul piano delle conseguenze, la confessione può essere revocata solamente quando si provi che è stata determinata da errore di fatto (cioè l'erronea convinzione che i fatti dichiarati fossero veri) o da violenza, l'ammissione può essere ritrattata in ogni momento. Secondo l'opinione prevalente, è sufficiente che il dichiarante sia consapevole di dichiarare un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte, non serve un animus confitendi, la volontà di confessare. La dichiarazione contra se non può valere come una vera confessione se non proviene da persona capace di disporre del diritto, a cui i fatti confessati si riferiscono. Nell'ambito del giudizio la confessione può essere spontanea, quando sia la stessa parte, di propria iniziativa, a dichiarare fatti a sé sfavorevoli, oppure provocata mediante interrogatorio formale (art. 228). 60.La confessione giudiziale. La confessione spontanea può essere contenuta in qualunque atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell'art. 117, nel senso che le eventuali dichiarazioni “contra se” rese dalla parte in sede di interrogatorio libero, pur se racchiuse in un verbale sottoscritto dalla parte stessa, non possono considerarsi vera e propria confessione, ma mere ammissioni. Indipendentemente che sia intervenuta spontaneamente o nel corso dell'interrogatorio formale, la confessione giudiziale forma piena prova, di regola, contro colui che l'ha resa, ed è quindi idonea a vincolare il giudice circa la verità dei fatti confessati. A tale principio l'art 2733 c.c. deroga in due casi: e Quando fatti riguardano diritti non disponibili dalle parti; e Quando, ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario, la confessione proviene da alcuni soltanto dei litisconsorti; in questo caso la confessione 36 è liberamente apprezzato dal giudice, degradando da prova legale a prova libera nei confronti di tutti. Solitamente colui che confessa non si limita ad una confessione contra se, ma accompagna l'affermazione di altri fatti o circostanze a sé favorevoli tendenti ad infirmare l'efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti (art. 2734). Si parla di “confessione complessa" quando l'aggiunta sia rappresentata da un fatto del tutto distinto, idoneo a modificare o ad estinguere gli effetti del fatto sfavorevole al dichiarante; oppure “qualificata”, quando la dichiarazione pro se riguardi un fatto strettamente connesso a quello confessato, tale da reagire sulla qualificazione stessa della fattispecie. In entrambi i casi l'efficacia probatoria delle dichiarazioni, nel complesso, dipende dall'atteggiamento dell'altra parte: se questa non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, esse fanno piena prova, vincolando il giudice nella loro integrità, senza distinguere tra fatti sfavorevoli e fatti favorevoli al loro autore; se invece l'altra parte contesta, è rimesso al giudice apprezzare secondo le circostanze, l'efficacia probatoria delle dichiarazioni. Si parla a riguardo di inscindibilità della confessione. 61.La confessione stragiudiziale. Nel caso di confessione stragiudiziale, il legislatore esclude la prova per testi ogniqualvolta la confessione verta su fatti che, a loro volta, non potrebbero essere provati in tal modo. Bisogna anche distinguere se la dichiarazione confessoria è rivolta all'altra parte o ad un rappresentante di questa, essa avrà la stessa efficacia che compete alla confessione giudiziale (di regola prova legale); se invece è diretta ad un terzo oppure contenuta in un testamento, è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2735). 62.L’interrogatorio formale e il suo rapporto con la confessione. A norma dell'art. 230, la parte che intende far sottoporre l'avversario ad interrogatorio formale è tenuta a dedurre tale interrogatorio per articoli separati e specifici. L'interrogando deve essere messo in condizione di conoscere in anticipo i fatti su cui dovrà riferire. Le domande non potranno vertere su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli, a meno che non si tratti di domande sulle quali le parti concordano e che il giudice ritiene utili, rilevanti, e salvo il potere del giudice stesso di chiedere in ogni caso i chiarimenti opportuni sulle risposte date. La parte interrogata non ha alcun obbligo, giuridicamente sanzionabile, di dire la verità contro i propri interessi; ci non toglie che abbia il dovere di presentarsi a rendere l'interrogatorio e di rispondere personalmente alle relative domande, senza potersi servire di scritti preparati, ad eccezione delle note e degli appunti che il giudice le abbia consentito di utilizzare, quando deve fare riferimento a nomi o a cifre, o quando particolari esigenze lo consigliano (art. 231). La mancata comparizione, al pari del rifiuto a rispondere, produrrebbe come conseguenza, in assenza di un giustificato motivo, la possibilità valutato ogni elemento di prova, di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (art. 232). Il comportamento omissivo costituisce una prova libera, soggetta al prudente apprezzamento del giudice. Scopo dell'interrogatorio formale è ottenere la confessione della parte cui esso è deferito. Nella pratica per questo serve piuttosto a costringere la parte a dichiararsi, cioè ad assumere una specifica posizione circa i fatti 37 riconoscimento, espresso o tacito, ad opera di colui contro il quale è prodotta in giudizio. 68.II riconoscimento espresso o tacito e il disconoscimento della scrittura privata. Il riconoscimento, contemplato all'art. 2702 c.c. riguarda inequivocabilmente e specificamente la sola sottoscrizione della scrittura privata, non la scrittura nel suo complesso. Il riconoscimento espresso è contemplato dall'art. 2702. Il riconoscimento tacito si realizza invece in due ipotesi: 1. Quando la scrittura venga prodotta nei confronti di una parte contumace (che per potrà sempre far venir meno, in seguito, gli effetti, costituendosi nel corso del giudizio e disconoscendo le scritture contro di lei prodotte in precedenza); 2. Quando, essendo stata la scrittura prodotta contro una parte comparsa, questa non la disconosca nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione. Per impedire il riconoscimento tacito è quindi necessario il disconoscimento, cioè una dichiarazione con cui si nega formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione. 69.La verificazione. Quando una scrittura privata sia stata disconosciuta, questa sarà inutilizzabile come prova, salva la possibilità, per la parte che intenda egualmente valersene di chiederne la verificazione a norma dell'art. 216. L'istanza di verificazione introduce un procedimento incidentale, destinato a concludersi con una sentenza sull'autenticità della scrittura che, se affermativa, consentirà di ritenere il documento come legalmente riconosciuto, facendogli acquisire l'efficacia probatoria dell'art. 2702. La verificazione verterà sull'autenticità della sottoscrizione, tranne nei casi eccezionali in cui è da ritenere che possa avere ad oggetto la scrittura stessa dell'autore. Si tratta di una domanda incidentale di mero accertamento, che trae interesse dall'avvenuto disconoscimento del documento e si caratterizza per la peculiarità di vertere su un mero fatto. L'istanza di verificazione può proporsi anche in via principale e con citazione, in un autonomo giudizio, a condizione che l'attore dimostri di avervi interesse; in questo caso se il convenuto riconosce la scrittura, le spese processuali sono poste a carico dell'attore. Il giudizio di verificazione, mirando ad accertare l'autografia della sottoscrizione, deve ricorrere solitamente ad un consulente tecnico calligrafo, che a sua volta necessita delle scritture di comparazione, scritti autografi attribuibili alla persona indicata come autrice della scrittura. Il giudice, dopo aver disposto le cautele opportune per la custodia del documento ed aver fissato il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione, determina quali tra le scritture disponibili debbono essere utilizzate per la comparazione, dando la preferenza a quelle la cui provenienza dalla persona che si afferma autrice della scrittura è riconosciuta oppure accertata per sentenza di giudice o per atto pubblico (art. 217). Il giudice può anche ordinare al preteso autore del documento di scrivere sotto dettatura, anche alla presenza del consulente tecnico: se la parte non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può intendere per riconosciuta (art. 219). La sentenza che accoglie l'istanza di verificazione può anche condannare ad una modesta 40 pena pecuniaria la parte che aveva ingiustamente negato l'autenticità della scrittura (art. 220). 70.La querela di falso: natura ed oggetto. La querela di falso, attribuita alla competenza per materia del tribunale, ha come obiettivo di accertare che il documento è stato totalmente contraffatto, o materialmente alterato, oppure, quando investa un atto pubblico, che non corrispondano al vero i fatti in esso affermati (falso ideologico). Il legislatore consente di proporre querela di falso non soltanto in via incidentale, quando l'efficacia probatoria del documento sia stata già invocata in un processo, ma pure in via principale, in un giudizio ad hoc. Il giudizio civile di falso richiede l'obbligatoria partecipazione del pubblico ministero (art. 221). Riguardo alla scrittura privata sorgono due problemi, il primo riguarda l'abuso di biancosegno, ossia il riempimento abusivo di un foglio preventivamente firmato in bianco. Poiché la parte danneggiata non può non riconoscere la propria sottoscrizione, che è autentica, la querela di falso è diretta a dimostrare che il contenuto del documento non è a lei riferibile. La giurisprudenza distingue a seconda che voglia farsi valere la mancanza di una qualsiasi preventiva autorizzazione all'utilizzazione del biancosegno, oppure si intenda contestare la corrispondenza delle dichiarazioni a quanto le parti avevano effettivamente pattuito: nella prima ipotesi non potrebbe prescindersi dalla querela di falso; nel secondo caso la querela non sarebbe neppure ammissibile e si tratterebbe di fornire la prova delle difformità tra le dichiarazioni contenute nella scrittura e quelle che le parti avevano concordato, ossia la violazione del patto di riempimento. 71.Segue. La disciplina processuale. La querela di falso incidentale è proponibile in qualunque stato e grado del giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato (art. 221), è ammessa anche nei confronti di una scrittura che si abbia per riconosciuta in conseguenza del suo mancato disconoscimento entro il termine dell'art. 215. L'atto con cui si propone la querela, che può essere un atto di citazione o una dichiarazione da unirsi al relativo verbale d'udienza, deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove dell'asserita falsità; la querela deve essere proposta dalla parte personalmente o a mezzo di un suo procuratore speciale, non è sufficiente la procura conferita per il giudizio. Nel solo caso in cui la procura sia proposta in via incidentale, l'art. 222 impone al giudice istruttore una duplice verifica: 1. Deve chiedere alla parte che aveva prodotto il documento se intende ancora valersene, nonostante l'avvenuta proposizione della querela (c.d. interpello); 2. Se la risposta all'interpello è positiva, deve controllare che il documento sia realmente rilevante ai fini della decisione. Solo se ricorrono entrambi i presupposti, il giudice dà il via libera alla presentazione della querela, nella stessa udienza o in una successiva, ed ammette i mezzi istruttorii che ritiene idonei, disponendo modi e termini della loro assunzione. Tramite il deposito in cancelleria, con apposito processo verbale, il documento impugnato non può essere sottratto o materialmente 41 alterato durante le attività istruttorie che ne accerteranno la genuinità o la falsità (artt. 223 e 224). La pronuncia della sentenza compete sempre al collegio, ma è possibile che sia investito della sola decisione circa la querela, indipendentemente dal merito (rimessione parziale), e che, su istanza di parte, il giudice istruttore possa disporre la continuazione della causa davanti a sé limitatamente alle domande che possono essere eventualmente decise indipendentemente dal documento contestato. Se la querela sia proposta in un giudizio davanti al giudice di pace o alla corte d'appello, non potendosi derogare alla competenza per materia del tribunale, è necessario sospendere il processo principale in attesa della decisione sulla causa concernente la querela di falso. Il giudicato sulla querela ha valore assoluto, efficacia erga omnes, indipendentemente dalla circostanza che abbia ritenuto falso o genuino il documento impugnato ed anche quando sia stato reso nei confronti di alcuni soltanto dei soggetti legittimati. 72.L'efficacia probatoria delle copie. Le copie dell'atto pubblico, rilasciate nelle forme prescritte da pubblici depositari autorizzati, e le copie di scritture private depositate presso pubblici uffici e spedite da pubblici depositari autorizzati, hanno la stessa efficacia della scrittura originale da cui sono estratte (art. 2715), a meno che non presentino cancellature abrasioni, intercalazioni o altri difetti esteriori, nel qual caso il giudice può apprezzarne l'efficacia probatoria sulla base del suo prudente apprezzamento (art. 2716). L'art. 2719 dispone che la fotocopia ha la stessa efficacia di una copia autentica quando la sua conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente o non è espressamente disconosciuta. 73.Le riproduzioni fotografiche, cinematografiche e meccaniche in genere. L'art. 2712 c.c. prende in considerazione le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, stabilendo che esse costituiscono piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. L'elenco non è tassativo. Nei confronti di questi documenti non è possibile una verificazione analoga a quella della scrittura privata disconosciuta, pur non essendo escludibili accertamenti di natura tecnica. Il telegramma può essere sottoscritto dal mittente, limitatamente all'originale consegnato all'ufficio postale, e la relativa sottoscrizione potrebbe essere anche autenticata, in questo caso equivale in tutto e per tutto ad una scrittura privata autenticata. 74.II telegramma, il telex e il telefax. L'art. 2705 c.c. attribuisce al telegramma la stessa efficacia probatoria della scrittura privata, anche quando non sia stato sottoscritto dal mittente, ma sia stato consegnato o fatto consegnare dal mittente stesso. In questo modo per non può soddisfare il requisito della forma scritta, laddove questa sia essenziale per la validità dell'atto stesso. L'art. 2706 c.c. prevede una mera presunzione di conformità tra l'originale e la copia pervenuta al destinatario, superabile attraverso prova contraria. Il telefax ha il vantaggio di trasmettere un'immagine completa del documento originarle, compresa la sottoscrizione; quindi, la trasmissione di un documento a mezzo fax soddisfa il requisito di forma scritta, escludendo che 42 non fosse stato consacrato in un documento; tale limitazione non si applica quando la forma sia richiesta solo ad probationem; 4. Quando il giuramento mirerebbe a negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l'atto stesso. 79.Segue. deferimento e riferimento; prestazione e conseguenze della mancata prestazione. Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore, fino alla precisazione delle conclusioni, e, in deroga al divieto di nuovi mezzi di prova, in appello e nel giudizio di rinvio. può riguardare fatti già accertati attraverso altre prove anteriormente assunte, tenuto conto che prevale su ogni altra prova. Il deferimento (ed il riferimento) deve essere compiuto personalmente dalla parte, con atto scritto da essa sottoscritto o con dichiarazione resa all'udienza, oppure dal difensore munito di procura ad hoc con dichiarazione in udienza (art. 233). AI momento del deferimento il giuramento deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico. In caso di riferimento, tale formula verrà invertita, al fine di riprodurre la tesi difensiva della parte che aveva originariamente deferito il giuramento e che viene in tal modo chiamata essa stessa a giurare. Sia il deferimento che il riferimento sono di regola revocabili solo fino a quando l'avversario non si sia dichiarato pronto a prestare giuramento (o abbia a sua volta riferito); se per il giudice, nell'ammettere la prova, abbia modificato la formula indicata dalla parte, essi potranno essere revocati anche dopo tale momento, fino all'effettiva prestazione. Quando sorgano contestazioni circa l'ammissibilità del giuramento, la risoluzione spetta al collegio (art. 273), se si tratti di causa per la quale è prevista la decisione collegiale. L'ordinanza ammissiva del giuramento deve essere sempre notificata direttamente alla parte (non al procuratore costituito), anche quando sia contumace (art. 237). Il giuramento deve essere prestato personalmente davanti al giudice istruttore, che previamente ammonisce la parte sull'importanza morale dell'atto e circa le conseguenze penali delle dichiarazioni false. Se la parte delata non si presenta, senza giustificato motivo, all'udienza fissata per l'assunzione del mezzo istruttorio, o rifiuti di prestare giuramento o ne modifichi arbitrariamente e sostanzialmente la formula, tale parte rimane soccombente rispetto alla domanda o al punto relativamente al quale il giuramento è ammesso, a meno che il giudice, reputando giustificata la sua mancata comparizione, provveda a fissare una nuova udienza o disponga per l'assunzione del giuramento fuori dalla sede giudiziaria. 80.II giuramento suppletorio e il giuramento d’estimazione. || giuramento suppletorio è deferibile esclusivamente dal giudice, sul presupposto che una domanda o un'eccezione non sia pienamente provata ma neanche del tutto sfornita di prova. Non è utilizzabile prima dell'esaurimento dei mezzi istruttorii richiesti dalle parti. Il giudice gode di ampia discrezionalità sia nell'accertamento dei relativi presupposti, che nella scelta della parte cui deferirlo (che non può riferirlo). È escluso che il deferimento del giuramento, una volta prestato, possa essere revocato con una valutazione discrezionale. L'unica eccezione è che il relativo provvedimento di ammissione sia revocato sia dal giudice che l'aveva reso sia dal giudice d'appello, quando questi, sulla 45 base di una nuova e diversa valutazione del materiale istruttorio già raccolto, si convinca che non ne sussistevano i presupposti, perché mancava qualunque prova o all'opposto la parte aveva già assolto completamente il relativo onere probatorio. La particolarità del giuramento d'estimazione, deferibile d'ufficio, consiste nell'impossibilità di accertare in altro modo il valore della cosa domandata (art. 241). Per aversi tale giuramento è necessario che sia stata previamente raggiunta la certezza in ordine all'an debeatur e che rimanga da stabilire solamente il valore, non altrimenti determinabile, della cosa domandata. Il deferimento del giuramento è del tutto discrezionale per il giudice, che è per tenuto a determinare previamente la somma fino a concorrenza della quale il giuramento avrà efficacia. Se ne deduce che il legislatore ha riservato il giuramento estimatorio al solo creditore. 81.L’efficacia del giuramento. Il giuramento falso. La mancata prestazione del giuramento, deferito o riferito, decisorio o suppletorio, determina l'accertamento del fatto in senso sfavorevole al delato, la sua prestazione vincola il giudice a ritenere il fatto incontrovertibilmente accertato in senso favorevole al giurante, senza che l'altra parte abbia più alcuna possibilità di provare il contrario, e neppure di chiedere la revocazione della sentenza quando venga successivamente accertata, in sede penale, la falsità del giuramento. L'unica eccezione, all'art. 2738 c.c., si ha quando in caso di litisconsorzio necessario, il giuramento prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzabile dal giudice. Nel litisconsorzio necessario la dichiarazione giurata resa solo da alcuni dei litisconsorti varrà sempre come prova libera nei confronti di tutti e non potrà mai condurre ad accertamenti di fatto difformi rispetto a taluno di essi. In caso di litisconsorzio facoltativo, l'efficacia di prova legale opera solo a favore o contro il litisconsorte che ha prestato o ricusato il giuramento. Alla parte danneggiata da un giuramento falso viene accordata una tutela meramente risarcitoria, che presuppone sia la sussistenza del reato, compreso l'elemento soggettivo, sia che sia stata conseguentemente pronunciata una condanna penale per falso giuramento. L'unica ipotesi in cui si prescinde dalla condanna penale, potendo il giudice civile accertare l'esistenza del reato al solo fine del risarcimento, ricorre quando la condanna penale non possa essere pronunciata per estinzione del reato. SEZIONE VII: LA PROVA TESTIMONIALE 82.Generalità. La prova per testimoni consente al giudice di conoscere un determinato fatto attraverso la narrazione di un terzo che a sua volta l'abbia percepito direttamente o l'abbia appreso da altri (testimonianza de relato). Tale narrazione deve essere resa all'interno del processo, in forma orale, attraverso un esame diretto del teste, che mira essenzialmente a verificare, nel contraddittorio delle parti, l'attendibilità delle sue dichiarazioni. Il teste deve solennemente impegnarsi a dire la verità ed incorre in sanzioni penali in caso di testimonianza falsa o reticente. L'apprezzamento del giudice di tale prova deve essere prudente. L'art. 249 rinvia alle disposizioni del c.p.p., concernenti il segreto professionale, d'ufficio o di Stato, come ipotesi obbligatorie di astensione dal deporre. 46 83.I limiti soggettivi. Gli artt. 246- 248 prevedono limitazioni soggettive per la prova testimoniale: 1. l'incapacità di testimoniare per coloro che abbiano un interesse nella causa che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio; Il divieto di testimoniare per il coniuge, i parenti e gli affini in linea retta, ammessi a testimoniare nelle sole cause vertenti su questioni di stato, di separazione personale o relative a rapporti di famiglia (limite venuto meno per intervento Corte costituzionale); Il divieto di testimoniare per i minori di quattordici anni, che potrebbero essere sentiti solamente quando la loro audizione è resa necessaria da particolari circostanze (limite venuto meno per intervento Corte costituzionale). 84.1 limiti oggettivi. Le limitazioni oggettive della prova testimoniale fanno riferimento ai fatti sui quali la testimonianza è esclusa o è ammessa solo a certe condizioni. Tali limitazioni riguardano in particolare la prova per testi dei contratti: a. Ipotesi in cui, attraverso la testimonianza, dovrebbe provarsi l'esistenza di un contratto per la cui validità è richiesta la forma scritta: l'atto scritto è richiesto ad substantiam, per la validità stessa del rapporto, e l'unica eccezione all'esclusione della prova testimoniale è prevista per il caso in cui miri a dimostrare che il contratto è stato effettivamente stipulato per iscritto e che il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova (art. 2724 co 3°). Limite analogo quando l'atto scritto sia richiesto ad probationem; Gli art. 2722 e 2723 c.c. limitano la testimonianza che abbia ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, in particolare quando si assuma che la stipulazione di tali patti è stata anteriore o contemporanea rispetto alla formazione del documento, la prova testimoniale è esclusa. Quando invece si alleghi che i patti aggiunti o contrari siano stati stipulati dopo la formazione del documento, il giudice ha il potere di ammettere la prova per testi solamente se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali; L'art. 2721 c.c. prevede che la prova per testi non è ammessa quando il valore dell'oggetto sia superiore a 2,58 euro, e al co 2° consente al giudice di ammettere la testimonianza al di là del limite, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. In base all'art. 2724 c.c., la prova testimoniale è sempre ammessa, in deroga ai limiti visti, quando: 47 87.Le presunzioni legali. L'art. 2727 ss. c.c. definisce le presunzioni come le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato, e data la collocazione, se ne deduce che apparterrebbero al novero dei mezzi di prova. Tale classificazione è impropria in relazione alle presunzioni legali, che servono solo a ripartire l'onere della prova tra le parti in modo razionale. L'art. 2728 c.c. precisa che l'effetto delle presunzioni è dispensare da qualunque prova coloro in favore dei quali sono stabilite, sarà l'altra parte a dover provare il contrario, ossia l'inesistenza del fatto oggetto della presunzione legale (si discorre a riguardo di presunzioni legali relative perché ammettono prova contraria). Le presunzioni legali assolute escludono invece la possibilità di qualunque prova contraria, ma sono estranee al tema della prova, essendo una tecnica che il legislatore utilizza per meglio definir una fattispecie sul piano sostanziale. 88.Le presunzioni semplici. Le presunzioni semplici, quelle cioè lasciate alla prudenza del giudice (art. 2729 c.c.), più che un vero e proprio mezzo di prova, no un modo di ragionare, un procedimento logico che potrebbe definirsi induttivo, al quale il giudice è costretto a ricorrere frequentemente nella formazione del proprio convincimento circa i fatti rilevanti per la decisione e nella valutazione stessa delle prove. Il giudice, partendo da un fatto noto, risale al fatto ignoto da provare tramite l'applicazione delle massime d'esperienza, le quali indicano l'insieme delle regole e dei principi offerti dalla logica nonché dalle scienze naturali e sociali, o semplicemente desumibili dall'osservazione empirica dei comportamenti umani; regole che il giudice ricerca autonomamente e che devono avere valenza oggettiva, essendo generalmente riconosciute o percepibili e condivisibili dall'uomo di media cultura. La presunzione si riferisce alle ipotesi in cui l'applicazione della massima d'esperienza consente solamente di formulare un giudizio di probabilità circa l'esistenza del fatto da provare. Il giudice deve ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti; quindi, il convincimento del giudice deve sempre rispondere a criteri razionali e deve far ricorso solo a massime d'esperienza in grado di fornire risultati altamente attendibili. È escluso l'uso delle presunzioni quando debba provarsi un fatto per cui non sarebbe ammessa la prova per testimoni. 89.Prove atipiche e prove illecite. Le prove atipiche non sono comprese nel catalogo risultante dal Codice civile e dal Codice di procedura civile. Possono anche corrispondere a prove che pur trovandosi nei codici, siano state assunte con modalità diverse da quelle prescritte dalla legge. Le più frequenti sono la dichiarazione di scienza contenuta in uno scritto proveniente da un terzo; la perizia stragiudiziale; le prove raccolte o i fatti accertati dalla sentenza pronunciata in un diverso processo; le nuove prove create dal progresso delle scienze e della tecnologia quando non siano assimilabili alle prove tipiche. In dottrina prevale l'idea che la possibilità di far ricorso a mezzi di prova diversi da quelli tipici sia confermata, in via generale e indiretta, dall'art. 2729 c.c., da cui può desumersi la atipicità degli indizi utilizzabili per risalire da un fatto noto a un fatto ignoto. In base a tale premessa, l'utilizzazione della prova atipica incontra delle limitazioni: 50 Non sembra ammissibile che, invocando a sproposito il principio del libero convincimento del giudice, trovino ingresso nel processo prove che altrimenti risulterebbero in concreto sostitutive di quelle disciplinate dalla legge; Non è pensabile che il giudice fondi il proprio convincimento (valutandola come prova atipica) su una prova tipica che sia stata assunta irritualmente, ossia in violazione delle disposizioni ad essa relative; Deve sempre essere assicurato il rispetto del principio del contraddittorio, tanto nella fase di formazione della prova quanto nel momento della sua valutazione. Questo dovrebbe far dubitare dell'utilizzabilità delle prove costituende raccolte in altri processi riguardanti parti diverse. Le prove atipiche hanno un valore essenzialmente indiziario. Le prove illecite sono quelle assunte o acquisite al processo con modalità diverse da quelle prescritte, o in violazione dei limiti indicati dal legislatore, e le prove di cui la parte sia entrata in possesso contra legem. 9. LA CONCLUSIONE DEL PROCESSO CON DECISIONE SEZIONE I: LA FASE DECISORIA 90.Le cause nelle quali il tribunale decide in composizione collegiale. Di regola, il tribunale giudica quale organo monocratico, nella persona del giudice istruttore. Vi sono per materie in cui il tribunale decide in composizione collegiale, contemplate all'art. 50- bis: 1. 51 Cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero (art. 70), salvo sia altrimenti disposto; Cause in materia di procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare e dalle leggi speciali circa la liquidazione coatta amministrativa, limitatamente alle ipotesi di opposizione, impugnazione e revocazione previste, nonché alle cause conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti e a quelle di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo; Cause devolute alle sezioni specializzate; Cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio d'amministrazione, cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi; Cause d'impugnazione di testamenti e di riduzione per lesione di legittima; * cause relative la responsabilità civile dei magistrati; 6. Cause aventi ad oggetto azioni risarcitorie o restitutorie di classe promosse a tutela di consumatori o utenti; 7. Procedimenti in camera di consiglio, disciplinati dagli artt. 737 ss, salvo sia altrimenti disposto. In caso di connessione tra cause che dovrebbero essere decise dal tribunale in composizione monocratica e cause attribuite al collegio, l'art. 281-nonies stabilisce che il giudice istruttore deve disporre la riunione di più cause e, al termine dell'istruttoria, deve rimetterle tutte insieme al collegio, che le deciderà congiuntamente, salvo che non ritenga di disporne la separazione ai sensi dell'art. 279 co 2°, decidendone solo alcune e rimettendo le altre al giudice istruttore. 91.La rimessione totale della causa al collegio. Perché sia possibile la connessione deve essere qualificata, tale da poter implicare deroghe alla competenza e/o al rito di taluna delle cause, non la connessione meramente soggettiva o impropria. Il collegio viene investito della causa quando: a. La causa appaia matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova (art. 187 co 1°), ad esempio quando la causa verta esclusivamente su questioni giuridiche; b. Il giudice abbia esaurito o dichiarato chiusa l'assunzione dei mezzi di prova ammessi; c. Sorga una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altra pregiudiziale di rito, oppure una questione di merito avente carattere preliminare ed egualmente idonea a definire il giudizio; il giudice istruttore può scegliere se investire immediatamente della questione il collegio oppure completare l'istruttoria è far decidere la questione stessa alla fine, unitamente al merito. La rimessione è totale, il collegio viene investito di tutta la causa (art. 189 co 2°), così che, pur quando la rimessione fosse stata occasionata dal sorgere di una questione preliminare o pregiudiziale, il collegio potrebbe pronunciare sul merito della causa, qualora reputasse matura per la decisione senza bisogno di assumere delle prove. 92.La precisazione delle conclusioni e gli scritti difensivi finali. Quando il giudice istruttore decida di rimettere la causa al collegio, deve invitare le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi. La prassi riserva a tale incombenza un'udienza ad hoc, la c.d. udienza di precisazione delle conclusioni. La precisazione delle conclusioni ha una duplice utilità: fare il punto circa le eventuali modificazioni apportate alle conclusioni iniziali in sede di trattazione della causa, e procedere a qualche ulteriore aggiustamento, sia in senso riduttivo sia nel senso della precisazione di domande ed eccezioni anteriormente proposte. In concreto per si risolve in una mera formalità, le parti si limitano a richiamare genericamente tutte le conclusioni prospettate nei propri anteriori scritti difensivi. Dopo la precisazione delle conclusioni, la 52 questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide esclusivamente sulla competenza. 97.Segue. La sentenza di cessazione della materia del contendere. || giudice, in alcune situazioni, può dichiarare cessata la materia del contendere, dando atto che la controversia tra le parti è stata sostanzialmente composta, e pronunciare sulle spese in base al criterio della soccombenza meramente virtuale o potenziale, valutando quello che sarebbe stato l'esito del giudizio senza il sopravvenire di quel determinato fatto. 98.La formazione della sentenza-documento. Dopo la deliberazione si ha la stesura della motivazione, che consiste nell'esposizione concisa dei fatti rilevanti della causa e delle regioni giuridiche della decisione, eventualmente avvalendosi del riferimento a precedenti conformi (art. 118 disp. att.). Nel caso si tratti di un organo collegiale, la stesura delle motivazioni viene affidata, di regola, allo stesso relatore (cioè al giudice istruttore), a meno che il presidente non ritenga di stenderla egli stesso o affidarla ad altro giudice; questo diventa necessario quando il relatore abbia espresso voto contrario rispetto alla decisione. Una volta approntata la minuta della sentenza, l'estensore la consegna al presidente che, se lo ritenga opportuno, ne dà lettura all'interno del collegio. Successivamente il presidente sottoscrive la minuta insieme con l'estensore e la consegna al cancelliere, che ha la responsabilità di provvedere a far redigere il testo originale della sentenza, provvisto di tutti gli elementi di forma-contenuto richiesti dall'art. 132. Quando l'originale è pronto, il presidente e l'estensore, dopo averne verificato la corrispondenza rispetto alla minuta, vi appongono la propria firma, facendo risultare l'identità del giudice che ha steso la motivazione. Il deposito in cancelleria della sentenza serve a rendere pubblica la decisione e a conferirle esistenza giuridica, rendendola non più modificabile, se non attraverso gli appositi rimedi previsti dalla legge. Il cancelliere deve dare atto del deposito in calce alla sentenza, apponendovi data e firma (art. 133). 99.100. Nelle cause attribuite al tribunale in composizione monocratica la pronuncia della sentenza spetta allo stesso giudice monocratico. L'art. 281- quinques prevede la precisazione delle conclusioni e lo scambio di scritti conclusivi, ma il termine concesso al giudice per depositare la sentenza in cancelleria è di 30 giorni, anziché sessanta, decorrenti dalla scadenza del termine per le memorie di replica. L'udienza di discussione viene fissata solamente se una delle parti lo chiede espressamente al momento della precisazione delle conclusioni. L'art. 281-sexies prevede che il giudice, fatte precisare alle parti le conclusioni, possa ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza oppure, se taluna delle parti glielo chiede, in un'udienza successiva, senza assegnare i termini per lo scambio delle conclusionali e delle repliche. La decisione viene inserita nel verbale d'udienza, senza che siano richiesti gli elementi all'art. 132, e si intende pubblicata con la mera sottoscrizione, da parte del giudice, del verbale stesso. È escluso che possa sorgere un vero e proprio conflitto tra giudice istruttore e collegio circa la composizione dell'organo giudicante. A norma dell'art. 281-septies, se il giudice istruttore ritiene si tratti di una causa che spetta a lui decidere, le parti non hanno alcun modo per investire della questione il collegio; all'opposto, se 55 l'istruttore rimette la causa al collegio e questo ritiene non sussistano le ipotesi dell'art. 50-bis, il collegio restituisce la causa con ordinanza non impugnabile, al giudice istruttore, il quale non può più esimersi dall'avviare la fase decisoria davanti a sé. può succedere che il giudice istruttore, dopo aver già riservato la causa per la decisione davanti a sé, sia accorga che a decidere deve essere il collegio: in questo caso dovrà riavviare ex novo la fase decisoria, invitando le parti a precisare le proprie conclusioni e assegnandogli nuovi termini per il deposito degli scritti conclusivi (art. 281- octies). Le questioni sulla composizione del tribunale non sono assimilabili a quelle di competenza, perché non coinvolgono rapporti fra diversi uffici giudiziari, ma la costituzione dell'organo giudicante, che, secondo l'art. 50-quater, non si considerano attinenti alla costituzione del giudice. SEZIONE Il: L'EFFICACIA E L'ESECUTIVITA' DELLE SENTENZE 101.Rilievi introduttivi sull'efficacia delle sentenze. In base all'art. 2909 c.c. l'accertamento cui tende il processo di cognizione, e quindi l'idoneità della sentenza a fare stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, si consegue esclusivamente col passaggio in giudicato della sentenza stessa, cioè quando questa, non essendo più soggetta alle impugnazioni ordinarie, diviene relativamente incontrovertibile, potendo essere rimossa solo in seguito al vittorioso esperimento di un'impugnazione straordinaria. 102.L’efficacia esecutiva “provvisoria” e l’inibitoria. La riforma del 1990 ha reso anche la sentenza di primo grado, e non più solo quella d'appello, provvisoriamente esecutiva per legge, titolo esecutivo fin dal giorno della sua pubblicazione. L'art. 337 co 1° “L'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salvo le disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407”. L'art. 282, con specifico riferimento alla sentenza di primo grado, dispone che essa è provvisoriamente esecutiva tra le parti. Lo stesso principio si trova affermato dall'art. 431 per il rito del lavoro e 447-bis per le controversie in materia di locazione, comodato di immobili urbani o affitto di azienda. L'efficacia esecutiva della sentenza si produce sempre ipso iure e può essere congelata soltanto, in presenza di determinate condizioni, attraverso un esplicito e successivo provvedimento del giudice, l'inibitoria, che presuppone in ogni caso che la sentenza sia già stata impugnata. L'art. 283 prevede che il giudice d'appello, su istanza della parte impugnante, possa sospendere in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, quando sussistono gravi e fondati motivi, da valutarsi anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti. L'inibitoria può essere parziale, quando l'oggetto della condanna sia in qualche modo frazionabile o comprenda una pluralità di statuizioni. In relazione ai gravi e fondati motivi, si ritiene che riguardino, indifferentemente, tanto il merito dell'impugnazione, cioè l'esistenza di vizi o nullità della sentenza appellata che facciano apparire la sentenza manifestamente ingiusta, quanto il danno che l'esecuzione potrebbe arrecare al soggetto che la subisce, soprattutto quando essa produrrebbe una modificazione in tutto o in parte irreversibile oppure quando le condizioni economiche del creditore facciano temere una sua successiva insolvenza nel caso in cui la sentenza di condanna dovesse essere riformata dal giudice di secondo grado. Per la sospensione dell'efficacia esecutiva di 56 sentenze che non siano di primo grado, la norma di riferimento è l'art. 373 per il ricorso per cassazione, applicabile, in virtù dei richiami agli artt. 401 e 407, alla revocazione e all'opposizione di terzo. In questi casi, l'inibitoria può consistere nella sola sospensione della esecuzione. 103.L’efficacia di accertamento e costitutiva. La sentenza, quale che sia la sua natura, non può fare stato né può essere invocata in un diverso giudizio prima che sia passata in giudicato. Questo non esclude che, all'interno del processo in cui è stata pronunciata, sia di per sé idonea, sebbene non ancora passata in giudicato, a fondare ulteriori provvedimenti che trovino la propria ragion d'essere nel rapporto oggetto del mero accertamento oppure nella modificazione sostanziale recata dalla sentenza costitutiva. 104.La sentenza cd. condizionale. Per ragioni di economia processuale, la figura della sentenza condizionale (accertamento condizionato al verificarsi di un evento futuro ed incerto) ha trovato frequentemente riconoscimento nella giurisprudenza, particolarmente in relazione alle statuizioni di condanna, la cui efficacia si ammette che possa essere subordinata ad un evento futuro e incerto, oppure al sopravvenire di un termine o all'adempimento di una controprestazione; purché si tratti di una circostanza che non richieda ulteriori accertamenti giudiziali e sia invece verificabile, all'occorrenza, in sede di opposizione all'esecuzione. Presupposto è che la condanna, pur rimanendo subordinata ad un evento futuro, sia almeno compiutamente specificata nel quantum. La sentenza condizionale non sembra configurabile al di fuori della condanna. 10. LA CONCLUSIONE DEL PROCESSO SENZA DECISIONE SEZIONE I: LA CONCILIAZIONE 105.La conciliazione come autonoma modalità di definizione del processo. La conciliazione giudiziale presuppone un accordo, solitamente transattivo, diretto a porre fine alla controversia. Non accade per spesso che le parti, pur avendo raggiunto un tale accordo, lo formalizzino davanti al giudice per farlo inserire in un apposito verbale, soprattutto per conseguenze di ordine fiscale. Alla conciliazione si ricorre solamente quando le parti abbiano un preciso interesse a munirsi di un titolo esecutivo, giacché il verbale di conciliazione ha tale efficacia, oppure a rendere inoppugnabile l'accordo raggiunto sul piano sostanziale. Su richiesta congiunta delle parti o per iniziativa dello stesso giudice, solitamente all'inizio della trattazione, è esperibile il tentativo di conciliazione, che può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione (art. 185) e anche in appello (art. 350 co 3°). L'art. 88 disp. att. prevede che la conciliazione possa intervenire, a titolo provvisorio e precario, tra i procuratori delle parti che non siano stati espressamente autorizzati a conciliare: il giudice ne prende atto nel verbale di udienza e fissa un'udienza successiva, in cui potranno comparire le parti al fine di redigere il vero e proprio verbale di conciliazione. Sebbene la legge non lo precisi, è opinione diffusa che la redazione del verbale di conciliazione debba essere seguita da un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, che serve a sancire il definitivo esaurimento del giudizio e il conseguente venir meno della litispendenza. 57 111.Segue. ipotesi di estinzione conseguente alla cancellazione della causa al ruolo. La cancellazione della causa dal ruolo non fa venir meno la pendenza della causa stessa, ma rappresenta solo un presupposto della successiva estinzione. L'art. 307 fa espressamente salve alcune ipotesi in cui alla cancellazione della causa dal ruolo consegue l'estinzione immediata: * La contumacia dell'attore, allorché il convenuto non chiede che il processo vada avanti egualmente (art. 290); * Qualora l'attore, pur essendosi anteriormente costituito in cancelleria, non compaia alla prima udienza: in questo caso, se il convenuto non chiede che si proceda comunque, il giudice fissa una nuova udienza, di cui il cancelliere dà comunicazione all'attore, e poi, se questo non compare neanche alla nuova udienza ed il convenuto non chiede che si proceda egualmente, ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo (art. 181 co 2°); e In caso di mancata comparizione di tutte le parti all'udienza di prima comparizione, o una qualunque udienza successiva, il giudice fissa una nuova udienza, di cui il cancelliere deve dare comunicazione alle sole parti costituite, e se neppure alla nuova udienza alcuna delle parti compare, dispone la cancellazione della causa dal ruolo e la contestuale estinzione del processo. 112.Segue. le altre ipotesi di estinzione, conseguente al mancato compimento di atti d’impulso. Possono inoltre dar luogo direttamente all'estinzione le fattispecie derivanti dal mancato compimento di determinati atti d'impulso del processo nel termine perentorio stabilito dalla legge, oppure dallo stesso giudice. Tali atti possono consistere nella riassunzione, nella prosecuzione, nella integrazione del giudizio, nella rinnovazione della citazione o della notificazione della citazione che sia affetta da nullità. In alcune di queste fattispecie, che la dottrina chiama “inattività qualificata", l'estinzione consegue alla mancata o tardiva realizzazione di sanatorie di vizi concernenti l'instaurazione del contraddittorio, in particolare per le ipotesi in cui si debba estendere il giudizio ad un litisconsorte necessario pretermesso, oppure si debba rinnovare o integrare la citazione nulla, o reiterare la notificazione dell'atto introduttivo, o integrare la domanda riconvenzionale formulata in modo lacunoso. 113.IIl regime di pronuncia dell'estinzione. L'art. 307 stabilisce che l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio. La giurisprudenza prevalente ritiene che il maturare di una fattispecie estintiva possa essere accertato dal giudice di un diverso processo incidenter tantum, al solo scopo di valutare gli effetti che l'estinzione potrebbe determinare sul processo del quale egli è attualmente investito. 114.Segue. la forma del provvedimento e la relativa “competenza”. Per ciò che concerne la forma del provvedimento di estinzione gli artt. 307 e 308 si riferiscono alle sole cause attribuite alla decisione del tribunale in composizione 60 collegiale. È previsto che l'estinzione possa essere pronunciata sia dal giudice istruttore, quando la relativa eccezione sia stata sollevata dinanzi a lui, sia dal collegio, quando la questione sia sorta dopo che la causa gli è stata rimessa. La declaratoria di estinzione proveniente dal giudice istruttore assume la forma dell'ordinanza (non revocabile), contro cui è ammesso, entro dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento, se reso in udienza, o dalla sua comunicazione, uno specifico mezzo d'impugnazione, il “reclamo al collegio”, disciplinato dall'art. 178 co. 3 e 5. All'esito di tale impugnazione il collegio, decidendo in camera di consiglio, pronuncia un'ordinanza non impugnabile se accoglie il reclamo, ritenendo che l'estinzione non si è verificata e che il giudizio deve pertanto proseguire, oppure una sentenza, impugnabile attraverso le vie ordinarie, allorché rigetti il reclamo confermando l'estinzione. Nelle cause che invece spettano alla decisione del giudice istruttore in funzione di giudice unico la pronuncia di estinzione riveste la forma della sentenza, sia perché egli è qui investito di tutti i poteri del collegio, sia perché, trattandosi di un provvedimento definitivo del processo, alle parti deve esser dato il diritto di impugnarlo. 115.Gli effetti dell'estinzione: in particolare, la sopravvivenza dell’azione. L'art. 310 c.p.c. disciplina alcuni effetti dell'estinzione del giudizio di primo grado: 1. L'estinzione del processo non estingue l'azione, non osta alla riproposizione della stessa domanda in un nuovo processo, né può direttamente pregiudicare il diritto che era stato dedotto nel giudizio estinto; 2. La domanda giudiziale produce un effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione, che riprende a decorrere, di regola, dal momento in cui passa in giudicato la sentenza definitiva del giudizio. Se per il processo non arriva alla sentenza definitiva e si estingue prima, l'effetto sospensivo viene cancellato e sopravvive il solo effetto interruttivo: il nuovo periodo di prescrizione prende a decorrere dalla data in cui quell'effetto interruttivo si era verificato, dal giorno stesso della domanda giudiziale. Non è quindi escluso che l'estinzione del processo provochi, anche solo di riflesso, l'estinzione del diritto che vi era stato fatto valere; 3. La decadenza invece non può essere interrotta né sospesa, ma solamente impedita mediante il compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto. L'effetto impeditivo della decadenza, prodotto dalla domanda giudiziale, opera, in linea di principio, solo all'interno del processo in cui la domanda stessa è proposta, restando caducato ogni volta il processo si concluda senza una decisione di merito. Fanno eccezione le ipotesi in cui per evitare la decadenza non sia indispensabile una domanda giudiziale, ma sia sufficiente un atto stragiudiziale. 116.Segue. l’inefficacia degli atti del processo estinto. L'art. 310 co 2° prevede che le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza conservino l'efficacia, pur dopo l'estinzione. 61 117.Segue. la sorte delle prove già raccolte. AI co 3° stabilisce che l'efficacia delle prove raccolte nel processo estinto, qualora la domanda venga successivamente riproposta, è valutata dal giudice a norma dell'art. 116 co 2° (meri argomenti di prova), con allusione alle sole prove costituende, giacché quelle precostituite mantengono l'efficacia loro propria. Tale declassamento non riguarda la confessione. 11. LE ORDINANZE ANTICIPATORIE DI CONDANNA 118.La categoria dei provvedimenti sommari (non cautelari) anticipatori. | provvedimenti sommari non cautelari anticipatorii, secondo la dottrina, mirano ad anticipare gli effetti della sentenza di accoglimento della domanda in favore della parte che, nel corso del processo, risulti aver ragione sulla base degli elementi probatori fino a quel momento acquisiti. Le fattispecie più significative sono: * Le ordinanze agli arti 186-bis, 264 co 3°, 423 co 1° e 648 che presuppongono la parziale non contestazione del diritto di credito ad una somma di denaro; * L'ordinanza all'art. 423 co 2°, fondata sulla convinzione del giudice che ritenga accertato il diritto nell'an e già raggiunta la prova per una parte della somma richiesta; e L'ordinanza di ingiunzione ex art. 186-ter, fondata sull'esistenza di una prova scritta del credito; * l'ordinanza di rilascio dell'immobile locato, all'art. 665; e. L'ordinanza con cui il giudice, in caso di opposizione non fondata su prova scritta o di pronta soluzione, può concedere l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo ai sensi art. 648; e L'ordinanza di condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nel caso in cui il giudice, in qualunque momento del giudizio di merito, ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro; e L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione, all'art. 186-quater. 119.L’ordinanza di pagamento delle somme non contestate: i presupposti. L'art. 186- bis prevede che il giudice istruttore, su istanza di parte e fino al momento della precisazione delle conclusioni, possa disporre con ordinanza il pagamento di somme non contestate dalle parti costituite. Tale ordinanza vale come titolo esecutivo, è revocabile e modificabile sia dal giudice istruttore che dal collegio, conserva la propria efficacia anche in caso di estinzione del processo. È un provvedimento anticipatorio avente natura sommaria non cautelare, utilizzabile solamente quando, in relazione ad una domanda avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, il debitore si sia costituito in giudizio e non abbia contestato una parte dell'avversa pretesa. Essendo il provvedimento del 62 il giudice resta privato del potere-dovere di decidere, con l'eventuale sentenza successiva, la domanda di condanna a fronte della quale era stata pronunciata l'ordinanza in esame, quanto meno per la parte in cui tale domanda era stata accolta nel provvedimento anticipatorio. Il debitore ingiunto che abbia omesso di costituirsi nei venti giorni successivi alla notificazione dell'ordinanza, può proporre, entro dieci giorni dal compimento, da parte del creditore, del primo atto dell'esecuzione forzata, un'opposizione tardiva, instaurando all'occorrenza un nuovo e autonomo procedimento davanti al medesimo ufficio giudiziario, a condizione che provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell'ingiunzione per irregolarità della relativa notifica o per caso fortuito o forza maggiore, o comunque di non essersi potuto costituire per caso fortuito o forza maggiore. 125. L'ordinanza di condanna successiva alla chiusura dell'istruzione: rilievi introduttivi. L'art. 186-quater prevede che il giudice istruttore, una volta esaurita l'istruzione, possa, su istanza di parte, disporre con ordinanza il pagamento di somme oppure la consegna o il rilascio di beni, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova, provvedendo pure sulle spese processuali. L'ordinanza costituisce titolo esecutivo, è revocabile con sentenza che definisce il giudizio e si converte automaticamente in sentenza in due ipotesi: quando la parte intimata non manifesti, entro un breve termine, la volontà che sia pronunciata sentenza, nonché quando, successivamente alla pronuncia, il processo si estingua. È un provvedimento anticipatorio che, pur essendo normalmente provvisorio, ha in sé l'attitudine a divenire definitivo quando si verifichino i presupposti per la sua trasformazione in sentenza; per questo non dovrebbe essere un provvedimento sommario, essendo pronunciato al termine dell'istruzione, e dunque sulla base di una cognizione piena ed esauriente. 126.Segue. il possibile oggetto. L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione può esser pronunciata a fronte di una domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna di beni mobili o al rilascio di beni immobili. È competente il giudice istruttore, indipendentemente dal fatto che si tratti di una causa che debba essere decisa dal collegio, ai sensi dell'art. 50-bis, o dallo stesso giudice istruttore. Quando la domanda di condanna successiva alla chiusura dell'istruzione sia condizionata dall'accoglimento o dal rigetto di una diversa domanda che non potrebbe essere oggetto di analogo provvedimento anticipatorio, si esclude che sia applicabile l'art. 186-quater, in quanto non è pensabile che il giudice, sovvertendo l'ordine logico delle domande cumulate, pronunci su quella dipendente, con ordinanza, prima di decidere, con sentenza, su quella pregiudiziale; e per altro verso non è possibile ammettere che l'ordinanza decida, implicitamente o esplicitamente, sulla domanda latu sensu principale o pregiudiziale. Un orientamento più radicale sostiene che tale ordinanza può utilizzarsi solo quando, in presenza di un cumulo di cause, l'ordinanza sia potenzialmente idonea a definirle tutte. 127.Segue. i presupposti. Affinché si arrivi alla pronuncia di tale ordinanza è necessario, oltre all'istanza della parte che aveva proposto la domanda di condanna, che sia stata esaurita l'istruzione. Questo implica: 65 e Che il provvedimento non potrà aversi prima che il giudice istruttore abbia invitato le parti alla precisazione delle conclusioni; e Che esso non dovrebbe aver nessun aspetto di sommarietà. Si deve ritenere che il fatto per cui il pagamento o la consegna possano disporsi nei limiti per cui il giudice ritenga già raggiunta la prova, debba essere inteso nel senso che l'istruzione sia esaurita solo rispetto a taluna di più domande cumulate. Questa ordinanza non può chiedersi dopo la rimessione della causa al collegio o dopo che la stessa, al termine dell'udienza di precisazione delle conclusioni, sia passata nella fase decisoria, sia perché in tale fase non c'è spazio per ulteriori attività delle parti, sia perché questo non consentirebbe all'altra parte alcun contraddittorio. 128.Segue. l'efficacia e il regime di stabilità. In base all'art. 186-quater co 2°, l'ordinanza in esame costituisce titolo esecutivo ed è revocabile solo con la sentenza che definisce il giudizio. Successivamente alla pronuncia è possibile che l'ordinanza acquisti automaticamente l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza: viene integralmente assimilata, anche per quel che concerne l'idoneità al giudicato, ad una sentenza di accoglimento della domanda, e può quindi essere appellata, nei consueti termini, sia dall'intimato sia dallo stesso attore, la cui domanda sia stata in parte disattesa. Quando la parte intimata, entro i 30 giorni successivi alla pronuncia dell'ordinanza o alla relativa comunicazione, non manifesti espressamente, con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la propria volontà che il giudice pronunci sentenza, l'ordinanza verrà assimilata ad una sentenza. Tale conversione si ha anche nel caso in cui l'intimato abbia optato per la pronuncia della sentenza e successivamente il processo si sia estinto. 12. VICENDE PARTICOLARI DEL PROCESSO SEZIONE I: IL PROCESSO CONTUMACIALE 129. Le peculiarità del processo contumaciale. La contumacia di una delle parti non vale a rendere non contestati i fatti allegati dall'altra parte né altera la ripartizione degli oneri probatori dell'art. 2697 c.c. . La contumacia del convenuto non esclude che l'attore, per ottenere l'accoglimento della propria domanda, debba fornire la prova di tutti i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Le uniche particolarità riguardano le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento. Di regola, non è necessario che gli atti del processo vengano portati a conoscenza del contumace tramite notificazione o comunicazione. Fanno eccezione alcuni specifici atti per i quali è prevista la notificazione personale, entro un termine fissato dal giudice: a. L'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio formale; . L'ordinanza che ammetta il giuramento, decisorio o suppletorio; c. Le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, da chiunque proposte; d. Il verbale in cui si dia atto della produzione di una scrittura privata non indicata in altri atti già in precedenza notificati al contumace. 66 Anche per le sentenze è prescritta la notifica personale alla parte contumace, ma l'omissione della notifica avrà come unico effetto l'impossibilità di applicare il termine breve per l'impugnazione, che resterà conseguentemente esperibile entro 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. 130.La costituzione tardiva del contumace e l'eventuale sua rimessione in termini. La parte già dichiarata contumace può decidere di costituirsi, seppur tardivamente, in qualunque momento nel corso del processo, con modalità analoghe a quelle previste per la costituzione in termini: depositando in cancelleria la comparsa di risposta, la procura e i documenti offerti in comunicazione, oppure presentando tutto direttamente all'udienza. L'ex contumace deve accettare il giudizio nello stato in cui si trova, a meno che non sussistano elementi tale da far reputare involontaria e scusabile l'iniziale contumacia. L'art. 294 prevede che il contumace possa essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, oppure a svolgere, senza il consenso delle altre parti, attività difensive che ritarderebbero la definizione della causa già matura per la decisione rispetto alle altre parti, solo quando dimostri che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione tempestiva è stata impedita da causa a lui non imputabile. Ai fini della rimessione in termini, non basta addurre l'esistenza di un vizio all'atto introduttivo o della sua notifica, ma è necessario provare che da tale vizio è derivata l'impossibilità di avere effettiva conoscenza del processo. Quando ne sussistano i presupposti, la rimessione in termini è concessa dal giudice con ordinanza, previa ammissione, quando occorra, della prova dell'impedimento da cui è dipesa la mancata costituzione. È sempre assicurata al contumace, senza bisogno di essere rimesso in termini, la possibilità di disconoscere, nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice istruttore, le scritture private che erano state anteriormente prodotte contro di lui. Il contumace, una volta costituitosi, ha l'onere di contestare specificamente i fatti allegati dall'avversario, per evitare che questi si abbiano per provati, ai sensi dell'art. 115 co 1°. SEZIONE Il: LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO 131.II concetto e le species della sospensione. La sospensione è un evento anomalo che determina un arresto temporaneo del processo, facendolo entrare in una fase di quiescenza, durante la quale non può compiersi alcun atto del procedimento (art. 298), e da cui può uscirsi una volta che sia venuta meno la ragione che aveva determinato la sospensione, attraverso un nuovo atto di impulso ad opera della parte interessata. Dal punto di vista della fonte è possibile distinguere a seconda che la sospensione derivi direttamente dalla legge ed operi ipso iure, oppure, più spesso, discenda da un provvedimento del giudice. In questo caso potrà essere meramente discrezionale, in quanto rimesso a valutazioni di opportunità, oppure obbligatorio, allorché sia subordinato esclusivamente alla verifica dei presupposti indicati dal legislatore. Dal punto di vista della ratio, si possono distinguere più fattispecie di sospensione: 67 compiere atti del procedimento e la interruzione di tutti i termini processuali in corso, i quali riprendono a decorrere ab initio dal momento in cui il processo viene riattivato (art. 298). Con la sospensione il processo entra in una fase di quiescenza dalla quale può uscire, una volta che sia cessata la causa che l'aveva determinata, solamente attraverso un ulteriore atto d'impulso, la riassunzione, proveniente da una qualunque delle parti, a meno che il giudice, trattandosi di una sospensione per un tempo fin dal principio determinabile, non abbia fissato già col provvedimento di sospensione l'udienza di prosecuzione del giudizio. L'art. 297 prevede che ciascuna delle parti, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito la causa pregiudiziale, possa chiedere con ricorso al giudice istruttore la fissazione di una nuova udienza, provvedendo a notificare alle altre parti il ricorso stesso, insieme al conseguente decreto del giudice, entro il termine che il giudice stesso avrà stabilito. Tale disciplina deve ritenersi applicabile, in assenza di disposizioni ad hoc, a tutte le ipotesi di riassunzione conseguente a sospensione. SEZIONE Ill: L'INTERRUZIONE DEL PROCESSO 136.Ratio dell’interruzione ed eventi da cui può derivare. L'interruzione è un istituto preordinato a garantire l'effettività del contraddittorio, prevede che il processo si arresti temporaneamente, fino a quando il contraddittorio non venga ripristinato attraverso un nuovo atto d'impulso. Gli eventi da cui può derivare l'interruzione possono riguardare, a seconda dei casi, la parte, il suo legale rappresentate o il difensore con procura (artt. 299 e 301): a. La morte della parte, o la mera scomparsa del convenuto, che emerga nel corso del processo; b. Ogni ipotesi di estinzione di soggetti diversi dalla persona fisica; L c. a perdita di capacità di stare in giudizio di una delle parti, derivante ad es. da interdizione o inabilitazione ovvero da dichiarazione di fallimento; d. La morte o perdita della capacità processuale del rappresentante legale dell'incapace; e. La cessazione della rappresentanza legale; f. La morte, la radiazione o la sospensione del procuratore; non determinano invece interruzione la revoca della procura, proveniente dalla parte, né la rinuncia ad essa da parte del procuratore stesso. 137.Le condizioni per il verificarsi dell’interruzione. a. Se l'evento riguardante la parte o il suo rappresentante legale si verifica dopo l'inizio del processo, ma prima della costituzione della parte stessa e comunque anteriormente all'udienza di prima comparizione, si produce l'interruzione automatica del processo, indipendentemente dalla circostanza che il giudice l'abbia o no dichiarata, a meno che coloro ai 70 quali spetta di proseguirlo, cioè che subentrano alla parte originaria (ad es. gli eredi), non si costituiscano volontariamente entro la prima udienza, o l'altra parte non provveda a citarli in riassunzione osservando i termini minimi di comparizione dell'art. 163-bis. Quando uno degli eventi indicati (diverso dalla dichiarazione di fallimento) colpisce una parte già costituita a mezzo di procuratore, il legislatore fa dipendere l'interruzione del processo dalla volontà del procuratore. Se il procuratore dichiara l'evento interruttivo in udienza o lo notifica alle altre parti, il processo resta interrotto dal momento della dichiarazione o della notificazione, altrimenti il giudizio prosegue regolarmente, come se nulla fosse accaduto. Quando uno degli eventi indicati colpisce una parte già costituita personalmente, si torna alla regola per cui l'interruzione opera ipso iure, dal giorno stesso dell'evento (art. 300 co 3°). Quando uno dei fatti indicati, ad eccezione della dichiarazione di fallimento, si verifica in danno di una parte contumace, l'interruzione si produce solamente se e quando l'evento viene notificato alle altre parti da chi deve subentrare al contumace, ovvero è documentato dall'altra parte, oppure quando dovendosi notificare personalmente al contumace uno degli atti di cui all'art. 292, l'ufficiale giudiziario lo certifica nella relazione di notificazione. Quando non si verifichino tali condizioni il processo va avanti regolarmente. Gli eventi riguardanti il difensore con procura determinano sempre l'interruzione automatica, dal giorno stesso in cui si verificano (art. 301). Perché l'interruzione si produca, tali eventi devono avverarsi o essere notificati entro la chiusura della discussione davanti al collegio, e, qualora non sia stata chiesta la discussione orale, entro il termine per il deposito delle memorie di replica. In caso contrario l'interruzione potrebbe tornare ad operare solo nell'ipotesi di riapertura dell'istruzione. 138.Gli effetti dell’interruzione e la ripresa del processo, anche in relazione ai giudizi con una pluralità di parti. Gli effetti dell'interruzione sono, a norma dell'art. 304: 71 Il divieto di compiere atti del processo, pena la nullità degli atti stessi; L'interruzione dei termini processuali in corso, che riprendono a decorrere dal giorno della nuova udienza fissata in seguito alla ripresa del processo. Tali effetti si producono anche quando le parti dovessero essere all'oscuro dell'interruzione. La pausa determinata dall'interruzione è sempre temporanea, e la ripresa del processo può avvenire, a seconda dei casi, tramite la prosecuzione dello stesso, da parte di coloro cui spetti di subentrarvi in luogo della parte colpita dall'interruzione, oppure tramite riassunzione, ad opera di una delle altre parti. La prosecuzione può avvenire, a norma dell'art. 302, attraverso la costituzione in cancelleria o direttamente all'udienza, quando l'interruzione non sia stata ancora dichiarata o rilevata dal giudice. In caso contrario la parte deve proporre ricorso al giudice istruttore o al presidente del tribunale, provvedendo successivamente a notificare il ricorso stesso, insieme al decreto di fissazione dell'udienza, alle altre parti. La riassunzione si attua attraverso la richiesta di fissazione dell'udienza e a successiva notifica del ricorso e del decreto a coloro che devono proseguire in luogo della parte originaria, nonché alle altre parti. Il ricorso per riassunzione deve contenere il mero richiamo all'atto introduttivo. Se per l'interruzione è dipesa da morte della parte, dovrà contenere anche gli estremi della domanda, la notifica del ricorso e del decreto, entro un anno dalla morte, potrà esser fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto (art. 303). La ripresa del processo deve avvenire entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione (art. 305), ossia dal momento in cui l'interruzione ha prodotto i propri effetti, pena l'estinzione a norma dell'art. 307 co 3°. In seguito ad un duplice intervento della Corte costituzionale, l'art. 305 va inteso nel senso che, quando l'interruzione si produce automaticamente, il termine per la prosecuzione o la riassunzione decorre non dal momento dell'interruzione stessa, ma dal giorno in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza, intesa come conoscenza legale, risultante da una dichiarazione della parte stessa o da una comunicazione o notificazione ad essa diretta. 13. IL PROCESSO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE 139. 140. La costituzione. La fase introduttiva del processo dinanzi al giudice di pace presenta delle peculiarità con il processo ordinario, in quanto, per tutto ciò che non è disciplinato negli art. 312 ss o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili. La domanda deve proporsi con citazione a comparire ad udienza fissa, che può essere formulata anche verbalmente; nel qual caso lo stesso giudice di pace ne fa redigere processo verbale, che deve essere poi notificato al convenuto a cura dell'attore (art. 316 co 2°). Le parti possono farsi rappresentare davanti al giudice di pace da persona munita di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato (mandato che implica sempre il potere di transigere e di conciliare la controversia), salvo che il giudice ordini la comparizione personale (art. 317). Tale rappresentanza non è tecnica, non è l'obbligo di avvalersi del ministero o dell'assistenza di un avvocato, ma riguarda la rappresentanza processuale volontaria, e costituisce una deroga al principio secondo cui tale rappresentanza può essere conferita solo a chi sia pure investito del potere di rappresentanza sostanziale relativamente al rapporto oggetto del giudizio. L'art. 318 prevede che la citazione abbia un contenuto semplificato rispetto all'art. 163, richiedendo solamente l'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione dell'oggetto, nonché l'assegnazione di un termine libero a comparire, non inferiore a 45 giorni. Non è necessario avvertire il convenuto che la sua tardiva costituzione implicherebbe le decadenze di cui agli art. 38 e 167. L'omessa indicazione dei fatti costituenti le ragioni della domanda deve 72 potuto esservi fatti valere. Il risultato del processo, assistito dall'autorità della cosa giudicata, non può mai essere vanificato in un nuovo processo, direttamente o indirettamente, dall'allegazione di un fatto che, preesistendo alla formazione del giudicato, avrebbe potuto essere utilmente dedotto nel primo processo. Di regola, salvo diversa previsione di legge, la barriera del giudicato resiste anche allo ius superveniens, nonché alla pronuncia di illegittimità costituzionale, che incida, eventualmente, su taluna delle norme sostanziali poste a base della decisione. In un nuovo processo sono liberamente deducibili, senza trovare ostacolo nel giudicato, tutti i fatti nuovi (costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi) intervenuti in un momento in cui, sebbene non fosse stata ancora pronunciata la sentenza (poi passata in giudicato), i fatti stessi non avrebbero più potuto essere tempestivamente introdotti nel processo. 146.Segue... e come opera. L'eccezione di cosa giudicata. || giudicato produrrebbe, a seconda dei casi, un effetto negativo (o preclusivo), impedendo al giudice di tornare a decidere sullo stesso diritto di cui è già stata accertata l'esistenza o l'inesistenza (in applicazione del principio ne bis in idem), oppure un effetto positivo, di natura sostanziale, facendo solo obbligo al giudice di conformare la propria pronuncia all'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, la quale costituisce la nuova disciplina specifica del rapporto oggetto della decisione e opera come opererebbe una qualunque norma di legge incidente su tale rapporto. 147.1 limiti oggettivi. Oggi si ammette che la violazione del giudicato, la cui esistenza risulti dagli atti acquisiti al processo, costituisca un vizio della decisione, deducibile in ogni stato e grado della causa. Potendo l'accertamento giudiziale vertere esclusivamente su diritti o status, mai su meri fatti o sull'interpretazione di norme giuridiche, anche l'autorità del giudicato può riguardare solo l'esistenza, l'inesistenza o il modo di essere di un diritto o di uno status, non anche fatti oppure il significato e la portata di una norma di diritto. L'art. 34 sostiene che la decisione con efficacia di giudicato presuppone un'espressa domanda di taluna delle parti e non si estende alle questioni pregiudiziali che il giudice abbia dovuto eventualmente risolvere, esplicitamente o implicitamente, al solo fine di poter decidere sulla domanda. 148.Le tesi che ammettono un’estensione del giudicato. Bisogna distinguere tra pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico e quella meramente logica: la prima presuppone rapporti giuridici diversi ed è caratterizzata dalla circostanza che l'esistenza o l'inesistenza di un diritto o di uno status dipende, sul piano sostanziale, dall'esistenza o dall'inesistenza di un altro distinto rapporto giuridico; la seconda attiene invece alle ipotesi in cui non si tratta propriamente di rapporti diversi, ma delle relazioni tra un singolo diritto ed il rapporto giuridico complesso dal quale esso trae origine. La dottrina prevalente ritiene che il principio desumibile dall'art. 34 debba trovare applicazione in entrambe le situazioni e pertanto il giudicato investa, in linea di principio, esclusivamente il singolo diritto dedotto in giudizio con la domanda; senza estendersi, in caso di pregiudizialità logica, al rapporto sottostante. Alcuni autori, invece, circoscrivono l'art. 34 alla sola pregiudizialità tecnica e ne deducono che, nelle ipotesi di pregiudizialità logica, il giudicato copre anche 75 tutte le questioni concernenti l'esistenza, la validità e il modo stesso di essere del rapporto fondamentale, alla duplice condizione che tali questioni siano state effettivamente discusse nel giudizio in cui si è formato il giudicato, e la soluzione delle questioni stesse abbia concretamente costituito un elemento portante della decisione, ossia possa considerarsi in rapporto di causa-effetto rispetto a questa. 150.1 limiti soggettivi. L'art. 2909 c.c., secondo cui la cosa giudicata fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, non fornisce elementi univoci quanto ai soggetti che subiscono l'autorità della sentenza, discorrendo di parti non chiarisce se tale concetto viene adoperato in senso sostanziale, con riferimento ai soggetti titolari del rapporto oggetto della decisione, oppure in senso processuale, alludendo esclusivamente a coloro i quali abbiano partecipato al giudizio. Bisogna preliminarmente distinguere tra l'efficacia diretta della sentenza, che riguarda il diritto o status oggetto immediato della decisione, e l'efficacia riflessa, che invece investe tutti i diversi rapporti giuridici latu sensu dipendenti dal primo, sia quando riguardino le medesime parti, sia quando facciano capo a soggetti in tutto o in parte differenti. Il giudicato possiede un valore tendenzialmente assoluto, imponendosi a tutti come affermazione di obiettiva verità in ordine all'esistenza e al modo di essere del rapporto giuridico oggetto della decisione, anche se non può certamente operare a discapito di coloro che non abbiano partecipato al relativo giudizio. Il terzo contitolare del rapporto giuridico oggetto della decisione può avvantaggiarsi del giudicato intervenuto tra le parti, allorché tale giudicato investa il rapporto nel suo complesso. Hanno invece carattere eccezionale le ipotesi in cui l'efficacia della sentenza possa prodursi indiscriminatamente ultra-partes, vincolando soggetti che non siano stati parti del relativo giudizio, ad es. all'art. 111 co 4° riguardo al successore a titolo particolare in ogni caso assoggettato agli effetti della sentenza pronunciata nei confronti dell'alienante o del successore universale. 151.151.153.L'efficacia riflessa della sentenza, quando questa investa rapporti che riguardano terzi, può riguardare i soggetti che, in mancanza di un vero collegamento giuridico tra un diritto proprio e quello controverso tra le parti, possono essere interessati esclusivamente in via di fatto alla sentenza resa tra queste. In questo caso si ritiene che il terzo sia semplicemente tenuto a riconoscere il giudicato formatosi tra le parti, come se si trattasse di un qualunque atto giuridico di cui egli deve tenere conto e dal quale potrebbe derivargli un vantaggio o un pregiudizio in via di fatto. L'efficacia riflessa può riguardare anche i terzi che sono titolari di rapporti giuridici connessi a quello oggetto del giudicato. In questo caso esiste un vero e proprio collegamento giuridico tra un diritto del terzo e quello oggetto del giudicato, e si è soliti escludere che il terzo titolare di un diritto autonomo possa risentire alcun pregiudizio dal giudicato, si prospetterà un problema se tale collegamento giuridico sia una dipendenza, nel senso che l'esistenza o l'inesistenza del diritto del terzo annoveri tra i propri fatti costitutivi l'esistenza o l'inesistenza del diritto sul quale si è formato il giudicato tra le parti. La giurisprudenza difficilmente ammette che il giudicato possa vincolare terzi titolari di situazioni dipendenti, solitamente opta per una soluzione di compromesso, secondo cui la sentenza, non potendo vincolare i terzi per l'accertamento in essa contenuto, 76 sarebbe utilizzabile esclusivamente per il suo valore di prova (documentale ma liberamente valutabile) in ordine all'esistenza o meno del rapporto pregiudiziale inter alios. È possibile che accada che, non essendo stata dedotta nel processo l'esistenza di un anteriore giudicato, venga pronunciata una nuova decisione sul medesimo oggetto, che acquisti a sua volta la stabilità e l'autorità della cosa giudicata. In tale situazione il vizio della seconda decisione non è più rilevabile poiché non esistono impugnazioni straordinarie attraverso le quali sia possibile dedurre la violazione di un anteriore giudicato. L'art. 395 n. 5 configura tale vizio come possibile motivo di revocazione ordinaria, che può proporsi solamente fino a quando la sentenza non passi a sua volta in giudicato. può aversi tale revocazione quando: * Le due decisioni siano di contenuto identico; e La seconda decisione contrasta con quella precedentemente esclusivamente per una questione pregiudiziale che il secondo giudice ha risolto, in applicazione del principio all'art. 34, incidenter tantum: in tal caso il contrasto è meramente logico, in quanto la seconda sentenza ha un oggetto diverso dalla prima, e quindi può materialmente coesistere; * Le sentenze divergano sull'esistenza o inesistenza di un diritto sul quale entrambe hanno pronunciato con efficacia di giudicato: qui il contrasto riguarda lo stesso oggetto ed è dunque pratico, sicché non è possibile che le decisioni coesistano. Prevale in questo caso il giudicato posteriore. 15. LA CORREZIONE DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE 154.155.Sebbene i vizi della sentenza siano emendabili, di regola, solo attraverso le impugnazioni, vi sono casi in cui queste apparirebbero eccessive rispetto allo scopo; in tali casi il legislatore reputa sufficiente la correzione del provvedimento da parte dello stesso giudice a quo. L'art. 287 prevede che “Le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e le ordinanze non revocabili possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. Il vizio può riguardare sia un elemento formale sia lo stesso contenuto della decisione, in particolare per quel che attiene al dispositivo vero e proprio. Quando l'errore sia formale, perché possa parlarsi di omissione o errore materiale, deve trattarsi di una mera svista involontaria nella redazione del provvedimento, che sia riconoscibile con certezza dalla semplice lettura o dal raffronto con altri atti del procedimento. Quando invece il vizio investa il contenuto della decisione, dovrà trattarsi di un errore estraneo all'attività di giudizio e alla volontà del giudice, incidente esclusivamente sul modo in cui tale volontà si è concretamente manifestata, oppure riguardante, nel caso di errore di calcolo, le operazioni aritmetiche utilizzate dal giudice per pervenire ad un determinato risultato. 156. Il rimedio della correzione trova applicazione anche rispetto alle sentenze di secondo grado e ai decreti non revocabili, oltre che, per espressa previsione dell'art. 391-bis, nei confronti delle sentenze e delle ordinanze della Cassazione. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 287 per 77 le impugnazioni straordinarie, essendo consentite per vizi che potrebbero emergere in un momento successivo alla pubblicazione della sentenza, oppure a soggetti che sono estranei al processo, sono esperibili entro termini la cui decorrenza non è determinabile a priori, o senza alcun limite temporale. b. Impugnazione a critica libera e a critica vincolata. Sono impugnazione a critica libera l'appello, che può fondarsi su qualunque errore attribuito al primo giudice, il regolamento di competenza e l'opposizione di terzo dell'art. 404 co 1°. Sono impugnazioni a critica vincolata il ricorso per cassazione e la revocazione, nonché l'opposizione di terzo revocatoria, ammessa quando la sentenza è l'effetto di dolo o collusione delle parti a danno del terzo (art. 404 co 2°). c. Impugnazioni sostitutive o rescindenti. In teoria tutte le impugnazioni possono condurre alla sostituzione della sentenza impugnata con una nuova decisione che abbia il medesimo oggetto e dunque pronunci, entro i limiti dell'impugnazione, sulla stessa domanda che era stata formulata davanti al giudice a quo. Nella maggior parte dei casi per , la fase rescissoria, quella deputata alla pronuncia di una nuova decisione, presuppone che si sia positivamente conclusa una prima fase rescindente, destinata alla verifica dei vizi denunciati dall'impugnate e dunque all'annullamento o alla caducazione del provvedimento impugnato; tali impugnazioni si dicono rescindenti, perché hanno come primo obiettivo l'eliminazione del provvedimento impugnato. Solamente l'appello deroga a tale schema, in quando conduce sempre e comunque alla diretta sostituzione della decisione impugnata, anche quando si concluda col rigetto dell'impugnazione e la piena conferma della sentenza di primo grado, che viene anche in questo caso rimpiazzata da quella del giudice ad quem. L'appello appartiene al novero delle impugnazioni sostitutive. 159.La qualificazione del provvedimento al fine della sua impugnazione. Dal punto di vista dell'impugnazione, se il giudice pronuncia sentenza in luogo di un'ordinanza o di un decreto, o viceversa, prevale il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, secondo cui l'elemento determinante, anche in vista dell'individuazione dei rimedi appropriati, sia rappresentato dal contenuto effettivo del provvedimento. Se l'errore conduce alla pronuncia di una sentenza in luogo di un'ordinanza o di un decreto non sorgerà problema, in quanto la parte soccombente ha la possibilità di avvalersi delle impugnazioni tipiche delle sentenze. Se invece si verifica il caso opposto, l'errore potrebbe avere conseguenze più gravi, traducendosi in una espropriazione del diritto di impugnare. La giurisprudenza suole in tali casi invocare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (anche se poco pertinente), e su tale base ammettere che l'ordinanza emessa al di fuori di presupposti di legge o comunque viziata, equivalga a sentenza appellabile; oppure in altre occasioni, muovendo dal presupposto che si tratti di 80 provvedimenti sommari decisori, reputa esperibile il ricorso per cassazione straordinario, a norma dell'art. 111 co 7 Cost. 160. La legittimazione. Anche il diritto all'impugnazione è condizionato all'esistenza della legittimazione e dell'interesse ad impugnare. In linea di principio la legittimazione ad impugnare, e ad essere destinatari della domanda di impugnazione, deriva dalla partecipazione al procedimento in cui è stata resa la sentenza impugnata, e dunque presuppone che in quel processo si sia comunque assunta la qualità di parte, ancorché invalidamente o come conseguenza di un errore del giudice. In caso di rappresentanza volontaria, la legittimazione competerà tanto al rappresentante quanto allo stesso rappresentato. Fanno eccezione le opposizioni di terzo, ordinaria o revocatoria, e la revocazione del pubblico ministero, che presuppongono proprio la mancata partecipazione dell'impugnante al processo da cui è scaturita la sentenza; e la legittimazione riconosciuta al successore a titolo particolare, in quanto subisce in prima persona l'efficacia diretta della sentenza, pur formalmente resa nei confronti dell'alienante o dell'erede. pur in mancanza di un'espressa previsione, la legittimazione ad impugnare spetta agli eredi della parte, che subiscono gli effetti del giudicato (art. 2909) e allo stesso tempo subentrano ipso iure in tutti i diritti e i poteri, anche processuali, del loro dante causa. 161. L'interesse ad impugnare e la soccombenza. Per proporre un'impugnazione è necessario che sussista un interesse (art. 100) alla riforma o all'annullamento del provvedimento impugnato, affinché sia assicurata anche in questa fase del processo la concreta utilità della tutela giurisdizionale. Il requisito dell'interesse ad impugnare si ricollega direttamente alla soccombenza, alla circostanza che la parte si sia vista rigettare, totalmente o parzialmente, nel merito o anche solo per ragioni processuali, una propria domanda, oppure che abbia visto accogliere, totalmente o parzialmente, una domanda che un'altra parte aveva proposto nei suoi confronti. La soccombenza deve essere valutata esclusivamente in relazione alle domande che le parti avevano conclusivamente formulato nel processo in cui è stata resa la sentenza, essendo irrilevante la soluzione eventualmente sfavorevole cui il giudice sia pervenuto in ordine a taluna delle questioni sollevate dalla parte vittoriosa. L'interesse ad impugnare, pur mancando originariamente rispetto ad una sentenza che veda la parte totalmente vittoriosa nel merito, potrebbe sopravvenire quando la decisione di merito venisse da altri impugnata e dunque rimessa in discussione; in questo caso la parte stessa avrebbe interesse ad impugnare anche la sentenza che nonché l'opposizione di terzo revocatoria, ammessa quando la sentenza è l'effetto di dolo o collusione delle parti a danno del terzo (art. 404 co 2°). Impugnazioni sostitutive o rescindenti. In teoria tutte le impugnazioni possono condurre alla sostituzione della sentenza impugnata con una nuova decisione che abbia il medesimo oggetto e dunque pronunci, entro i limiti dell'impugnazione, sulla stessa domanda che era stata formulata davanti al giudice a quo. Nella maggior parte dei casi per, la fase rescissoria, quella deputata alla pronuncia di una nuova decisione, presuppone che si sia positivamente conclusa una prima fase rescindente, destinata alla verifica dei vizi denunciati dall'impugnate e dunque all'annullamento o alla caducazione del provvedimento impugnato; tali impugnazioni si dicono rescindenti, perché hanno come primo obiettivo 81 l'eliminazione del provvedimento impugnato. Solamente l'appello deroga a tale schema, in quando conduce sempre e comunque alla diretta sostituzione della decisione impugnata, anche quando si concluda col rigetto dell'impugnazione e la piena conferma della sentenza di primo grado, che viene anche in questo caso rimpiazzata da quella del giudice ad quem. L'appello appartiene al novero delle impugnazioni sostitutive. Dal punto di vista dell'impugnazione, se il giudice pronuncia sentenza in luogo di un'ordinanza o di un decreto, o viceversa, prevale il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, secondo cui l'elemento determinante, anche in vista dell'individuazione dei rimedi appropriati, sia rappresentato dal contenuto effettivo del provvedimento. Se l'errore conduce alla pronuncia di una sentenza in luogo di un'ordinanza o di un decreto non sorgerà problema, in quanto la parte soccombente ha la possibilità di avvalersi delle impugnazioni tipiche delle sentenze. Se invece si verifica il caso opposto, l'errore potrebbe avere conseguenze più gravi, traducendosi in una espropriazione del diritto di impugnare. La giurisprudenza suole in tali casi invocare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (anche se poco pertinente), e su tale base ammettere che l'ordinanza emessa al di fuori di presupposti di legge o comunque viziata, equivalga a sentenza appellabile; oppure in altre occasioni, muovendo dal presupposto che si tratti di provvedimenti sommari decisori, reputa esperibile il ricorso per cassazione straordinario, a norma dell'art. 111 co 7 Cost. Anche il diritto all'impugnazione è condizionato all'esistenza della legittimazione e dell'interesse ad impugnare. In linea di principio la legittimazione ad impugnare, e ad essere destinatari della domanda di impugnazione, deriva dalla partecipazione al procedimento in cui è stata resa la sentenza impugnata, e dunque presuppone che in quel processo si sia comunque assunta la qualità di parte, ancorché invalidamente o come conseguenza di un errore del giudice. In caso di rappresentanza volontaria, la legittimazione competerà tanto al rappresentante quanto allo stesso rappresentato. Fanno eccezione le opposizioni di terzo, ordinaria o revocatoria, e la revocazione del pubblico ministero, che presuppongono proprio la mancata partecipazione dell'impugnante al processo da cui è scaturita la sentenza; e la legittimazione riconosciuta al successore a titolo particolare, in quanto subisce in prima persona l'efficacia diretta della sentenza, pur formalmente resa nei confronti dell'alienante o dell'erede. pur in mancanza di un'espressa previsione, la legittimazione ad impugnare spetta agli eredi della parte, che subiscono gli effetti del giudicato (art. 2909) e allo stesso tempo subentrano ipso iure in tutti i diritti e i poteri, anche processuali, del loro dante causa. Per proporre un'impugnazione è necessario che sussista un interesse alla riforma o all'annullamento del provvedimento impugnato, affinché sia assicurata anche in questa fase del processo la concreta utilità della tutela giurisdizionale. Il requisito dell'interesse ad impugnare si ricollega direttamente alla soccombenza, alla circostanza che la parte si sia vista rigettare, totalmente o parzialmente, nel merito o anche solo per ragioni processuali, una propria domanda, oppure che abbia visto accogliere, totalmente o parzialmente, una domanda che un'altra parte aveva proposto nei suoi confronti. La soccombenza deve essere valutata esclusivamente in relazione alle domande che le parti avevano conclusivamente formulato nel processo in cui è stata resa la sentenza, essendo irrilevante la soluzione eventualmente sfavorevole cui il giudice sia pervenuto in ordine a taluna delle questioni sollevate dalla parte 82 giudizio di impugnazione. L'art. 332 prevede che se l'impugnazione, di cause scindibili, è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcuna di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre in confronto delle quali l'impugnazione non è preclusa o esclusa, fissando il termine entro il quale deve provvedersi alla notifica e, se necessario, l'udienza di comparizione. Rispetto all'art. 331, il giudice non ordina in nessun caso l'integrazione del contraddittorio, di estendere il giudizio alle parti che non erano state coinvolte dall'impugnazione, ma solo di notificare loro l'impugnazione, facendo si che la parte che la riceve, se voglia impugnare a propria volta la sentenza, debba farlo necessariamente nella forma dell'impugnazione incidentale, facendo salva l'esigenza di unitarietà del giudizio di gravame. Qualora l'ordine del giudice non venga rispettato si avrà la sospensione del processo d'impugnazione fino al momento in cui scadranno, per tutte le parti soccombenti, i termini di decadenza degli artt. 325 e 327, ossia fino a quando sarà definitivamente esclusa la possibilità di altre impugnazioni. L'art. 335 prevede che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d'ufficio, in un solo processo. 172.È definita causa inscindibile ogni fattispecie in cui alla pluralità di parti corrisponda un litisconsorzio necessario originario, a norma dell'art. 102, giacché in questi casi, pur quando si tratti, in realtà di più cause connesse, è lo stesso legislatore ad imporre un accertamento uniforme rispetto a tutti i litisconsorti, come fosse un'unica causa. La giurisprudenza suole estendere lo stesso principio alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che ricorrerebbe sia quando, nel corso del processo, la parte fosse morta e fossero subentrati, in suo luogo, più eredi, sia in tutti i casi in cui il giudice avesse disposto l'intervento coatto di un terzo, ex art. 107. Un limite per le cause inscindibili e per quelle tra loro dipendenti si può individuare nell'oggetto dell'impugnazione concretamente proposta: l'integrazione del contraddittorio si renderà necessaria, ex art. 331, solamente quando l'impugnazione, da chiunque proposta, verta sull'esistenza o sul modo di essere, rispettivamente, dell'unico rapporto dedotto in giudizio o del rapporto pregiudiziale; non anche quando essa investa esclusivamente la posizione di taluno dei litisconsorti oppure il solo rapporto dipendente. SEZIONE Ill: L'IMPUGNAZIONE INCIDENTALE 175.L'impugnazione può giovare esclusivamente a chi l'ha proposta, quindi, quando vi sono più parti soccombenti oppure ricorra una soccombenza parziale reciproca, non è possibile che l'impugnante veda riformare la sentenza in senso a sé sfavorevole (divieto di reformatio in peius), a meno che tale esito non derivi dall'accoglimento dell'impugnazione proposta da un'altra parte. L'impugnazione incidentale serve a far confluire in un unico processo tutte le impugnazioni proponibili contro la stessa sentenza. Il processo di impugnazione, come quello di primo grado, viene instaurato, a seconda dei casi, con citazione o con ricorso. La parte che impugna per prima deve rispettare le forme prescritte per l'impugnazione principale, che dà inizio al processo. 85 176. L'art. 333 prescrive invece che le parti che abbiano già ricevuto la notifica di tale impugnazione principale e vogliano a loro volta impugnare la sentenza, sul presupposto che siano a loro volta soccombenti, debbono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo, devono cioè rispettare per la loro impugnazione, successiva a quella principale, le forme specificamente previste per le impugnazioni incidentali. Le sorti dell'impugnazione incidentale e dell'impugnazione principale non sono in alcun modo legate. Un nesso tra le due impugnazioni potrebbe derivare semmai dalla volontà stessa dell'impugnante incidentale che subordini espressamente la sua impugnazione all'accoglimento o al rigetto dell'impugnazione principale. L'onere di utilizzare la forma dell'impugnazione incidentale sorge solo nel momento in cui si riceve la notifica dell'impugnazione principale, oppure dell'atto di integrazione del contraddittorio che sia stata ordinata dal giudice a norma dell'art. 331, oppure dalla litis denuntiatio disposta ex art. 332. può succedere che dopo una prima impugnazione principale ne venga legittimamente proposta un'altra, anche questa in forma principale, da una parte che non era stata coinvolta dalla prima impugnazione, o alla quale non era ancora stata notificata l'impugnazione. La stessa situazione si verifica quando in un giudizio tra due sole parti reciprocamente soccombenti, entrambe proponessero l'impugnazione simultaneamente, dando vita ad autonomi processi d'impugnazione aventi ad oggetto la stessa sentenza. In questi casi tutte le impugnazioni separatamente proposte sono obbligatoriamente riunite, anche d'ufficio, in un solo processo (art. 335). In tutti gli altri casi conseguirebbe la decadenza della parte dal diritto di impugnare, e dunque l'inammissibilità dell'impugnazione irritualmente proposta in forma principale. 177.La giurisprudenza, tuttavia, ammette che la seconda impugnazione possa convertirsi in un'impugnazione incidentale e possa poi ricondursi al primo giudizio attraverso un'applicazione estensiva dell'art. 335, tramite la riunione dei due processi, a condizione per che l'impugnazione proposta in forma erronea abbia almeno rispettato il termine entro cui avrebbe dovuto proporsi l'impugnazione incidentale. In linea di principio, tanto il termine breve, che decorre dalla notificazione della sentenza, quando quello semestrale, decorrente dalla pubblicazione, valgono anche per l'impugnazione incidentale e, quando dovessero scadere prima di quelli dettati per l'impugnazione incidentale, egualmente ne precluderebbero la proposizione. L'art. 334 apporta un'importante deroga in favore delle parti contro le quali è stata proposta impugnazione nonché di quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331, stabilendo che tali soggetti possono proporre impugnazione incidentale nonostante l'avvenuta scadenza del termine ordinario o l'intervenuta acquiescenza. L'impugnazione tardiva deve sempre rispettare i diversi termini specificamente previsti per l'impugnazione incidentale, si considera ex lege subordinata all'effettiva proponibilità dell'impugnazione principale da cui trae origine, se questa viene poi dichiarata inammissibile l'impugnazione incidentale tardiva non ha più ragione d'essere e perde ogni efficacia (art. 334 co 2°). Per ogni altro aspetto è invece autonoma, non risente ad es. dell'eventuale improcedibilità dell'impugnazione principale né, tanto meno, dell'esito di questa. L'unico limite risultante dall'art. 334 è di origine soggettiva: a poter usufruire dell'impugnazione tardiva è solo la parte contro la quale sia stata proposta un'altra anteriore impugnazione, nonché 86 quella nei cui confronti sia stato integrato il contraddittorio a norma dell'art. 331: la notifica dell'impugnazione, effettuata nelle cause scindibili al solo fine di provocare l'impugnazione incidentale dei soggetti non coinvolti dall'impugnazione principale, non consentirebbe a questi ultimi di impugnare dopo che fossero scaduti i termini ordinari. L'impugnazione incidentale tardiva non trova alcun ostacolo nell'eventuale acquiescenza anteriormente manifestata, ben potrebbe provenire dalla parte che aveva già proposto un'impugnazione parziale ed investire, in tali casi, uno dei capi della sentenza che, non essendo stati toccati dalla precedente impugnazione, erano stati oggetto di acquiescenza tacita ai sensi dell'art. 329 co 2°. SEZIONE IV: L'IMPUGNAZIONE DELLE SENTENZE NON DEFINITIVE 179.La riserva di impugnazione è ammessa nei confronti delle sentenze non definitive. Relativamente all'appello, l'art, 340 fa espressamente riferimento alle sentenze di primo grado previste dall'art. 278 e dall'art. 279 co 2° n. 4. La possibilità di scelta tra l'impugnazione immediata e la riserva è data sia per le sentenze di condanna generica o provvisionale, sia per tutte quelle con le quali il giudice abbia pronunciato su una questione oppure su una delle più domande cumulate nel processo, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa. Riguardo alle sentenze su domanda, per le quali non è ammessa l'impugnazione differita, l'art. 340 non richiama le sentenze con cui il giudice, avvalendosi delle facoltà previste dagli artt. 103 co 2° e 104 co 2°, abbia deciso alcune soltanto delle cause fino a quel momento riunite e, con distinti provvedimenti, abbia disposto la separazione e la prosecuzione dell'istruzione per le altre, provocando in tal modo la definitiva scissione del processo cumulato, fino a quel momento unico (art. 279 co 2°). Riguardo al ricorso per cassazione, l'art. 361 prende in considerazione, accanto alle sentenze previste all'art. 278 di condanna generica o provvisionale, solamente le sentenze che decidono alcune delle domande senza definire l'intero giudizio. L'art. 360 co 3° esclude che siano immediatamente ed autonomamente ricorribili le sentenze (di appello o di unico grado) che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. 180.181.La riserva d'impugnazione, necessaria ad evitare la decadenza che altrimenti deriverebbe dallo spirare dei termini ordinari, può essere formulata tanto direttamente all'udienza, attraverso una dichiarazione orale inserita nel relativo verbale oppure una dichiarazione scritta su foglio separato, da allegarsi al verbale stesso, quanto mediante atto autonomo, da notificare ai procuratori delle altre parti costituite oppure alle parti stesse personalmente, quando siano contumaci (art. 129 e 133 disp. att.). La riserva è ammessa fino alla prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza non definitiva. Devono per tenersi presenti anche i consueti termini previsti, rispettivamente, per l'appello e per il ricorso per cassazione, i quali, specificamente quando la sentenza fosse stata notificata, ben potrebbero scadere prima dell'udienza indicata e, implicando il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva, ne escluderebbero l'impugnazione. Se invece i termini per appellare o per ricorrere in cassazione scadessero dopo la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza, la conclusione di tale udienza impedirebbe la successiva formulazione della riserva di impugnazione differita, ma non 87 atti, a condizione che su di esse non vi sia un'espressa decisione del giudice a quo; * tutte le questioni di mero diritto (es. relative all'interpretazione di una norma di legge), per la quale vale il principio iura novit curia, purché riguardino dei punti della decisione che sono stati investiti, seppure per un diverso profilo, dalle censure dell'appellante. In entrambi i casi si ammette che il giudice d'appello, all'interno dei capi impugnati, possa esaminare tali questioni di propria iniziativa, indipendentemente dalla sollecitazione della parte che ha impugnato. L'art. 342 prevede un onere dell'appellante che, qualora voglia far riesaminare dal giudice di secondo grado una determinata questione già decisa dal primo giudice, è tenuto ad indicare nell'atto d'impugnazione le ragioni per le quali reputa erronea la soluzione cui è pervenuto il primo giudice. L'art. 346 fa onere alle parti di riproporre espressamente in appello le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, onde evitare che si intendano rinunciate. Riguardo alle domande deve intendersi solamente nel senso di “non decise”, poiché, quando si trattasse di domande respinte, la parte soccombente non potrebbe limitarsi a riproporle ma dovrebbe impugnare, in via principale o incidentale il relativo capo di sentenza, formulando le relative censure nello stesso atto d'appello, a norma dell'art. 342. Mentre per l'appellante l'art. 346 troverebbe applicazione solo rispetto alle eccezioni non decise (per quelle respinte varrebbe egualmente l'onere di impugnare il relativo capo di sentenza), per l'appellato la norma riguarderebbe anche le eccezioni rigettate, con la conseguenza che tali eccezioni potrebbero essere semplicemente riproposte al giudice ad quem. Si preferisce l'opinione, minoritaria, secondo cui anche per le eccezioni, e non soltanto per le domande, l'espressione “non accolte” può essere intesa esclusivamente nel senso di “non decise”, riconoscendo che se invece si tratta di eccezioni vere e proprie esplicitamente o implicitamente respinte, anche l'appellato vittorioso nel merito deve impugnare la relativa statuizione, ovviamente in via incidentale, per evitare che sulla questione scenda la barriera del giudicato. 187.Nel giudizio di appello l'intervento di terzi è ammesso in termini più ristretti che nel giudizio di primo grado. L'intervento coatto è in ogni caso escluso, anche quando, essendo stato chiesto al giudice di primo grado, questo l'avesse erroneamente negato. Per il solo intervento volontario, l'art. 334 prevede una deroga limitatamente ai terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell'art. 404, senza per distinguere tra opposizione di terzo ordinaria o revocatoria. La legittimazione all'intervento compete esclusivamente ai litisconsorti necessari pretermessi; a coloro i quali vantino un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello accertato nella sentenza; ai creditori e agli aventi causa si taluna delle parti. In tali ipotesi l'intervento mira, indipendentemente dall'esito del giudizio di primo grado, a prevenire la pronuncia di una sentenza viziata da parte del giudice d'appello, il quale dovrà comunque decidere nuovamente la causa nel merito. Fuori dalle previsioni dell'art. 344, è pacifico che in appello possa intervenire volontariamente il successore a titolo particolare nel diritto controverso, cui l'art. 111 conferisce il diritto di impugnare autonomamente la sentenza. Anche nel giudizio di secondo grado potranno aversi modificazioni delle parti originarie: 90 l'estromissione di taluna, a norma degli att. 108, 109 a 111; l'intervento dei successori universali di una parte; la sostituzione del rappresentato al rappresentante, in ogni ipotesi in cui la rappresentanza legale venga meno (ad es. con il raggiungimento della maggiore età), oppure la rappresentanza volontaria sia revocata dallo stesso rappresentante. 188.L'art. 345 co 1° esclude che nel giudizio di appello possano proporsi domande nuove e prevede, per il caso in cui il divieto sia violato, che le nuove domande siano dichiarate inammissibili anche d'ufficio. Rimarranno liberamente proponibili in un separato giudizio. Tale preclusione ammette deroghe solamente per la richiesta degli interessi, dei frutti e degli accessori maturati dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, nonché per la domanda di risarcimento dei danni posteriori alla sentenza stessa (sull'implicito che la domanda di risarcimento fosse già stata avanzata in primo grado). Più che domande nuove si tratta di un ampliamento quantitativo del petitum originario, giustificato da fatti sopravvenuti. Si sottrae al divieto di nuove domande, nonostante la mancanza di una disposizione ad hoc, la richiesta di restituzione di quanto sia stato eventualmente corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado. L'art. 345 mentre esclude la mutatio libelli, prevede implicitamente la modifica (emendatio) quanto, a fortiori, alla semplice precisazione delle domande formulate in primo grado, a tutte le variazioni che non incidano sull'identità delle domande stesse. Ad es. se a domanda riguardasse un diritto autodeterminato, non contrasterebbe col divieto di nuove domande la deduzione, in appello, di un fatto costitutivo diverso da quello originariamente prospettato in primo grado, poiché costituirebbe una mera emendatio della stessa domanda. 189.L'art. 345 co 2° esclude le nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio. Per le eccezioni processuali, fondate su questioni pregiudiziali di rito o su nullità di cui la legge, esplicitamente o implicitamente, ammette la rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, deve ritenersi che il potere-dovere del giudice d'appello di rilevare l'impedimento alla decisione di merito prescinda dall'iniziativa delle parti, rimanendo subordinato solo all'esistenza di un'impugnazione idonea ad investirlo del riesame della domanda. Per le eccezioni di merito è invece necessario ulteriormente distinguere, a seconda che la domanda sia stata rigettata o accolta: nel primo caso il giudice d'appello potrebbe sempre porre a base della decisione di conferma, indipendentemente dal rilievo della parte interessata, la questione, rilevabile d'ufficio, che nessuno aveva sollevato in primo grado, e conseguentemente le stesse parti potrebbero introdurre la nuova eccezione per tutto il corso del processo di secondo grado; se la domanda invece è stata accolta, la proposizione della nuova eccezione costituisce esercizio del potere d'impugnazione e quindi non può non essere compresa nei motivi d'appello, a norma dell'art. 342, sicché la sua proposizione dovrà avvenire contestualmente all'impugnazione, principale o incidentale. Le mere difese, pur quando si traducano nella contestazione di fatti allegati dall'avversario, sfuggono alla preclusione prevista per le eccezioni in senso stretto, e restano proponibili anche in appello. Questo è deducibile in base all'art. 115 co 1° secondo cui il giudice può porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati. 91 190.L'art. 345 co 3° prevede che di regola non siano ammessi in appello nuovi mezzi di prova, ma esclude da tale divieto: * il giuramento decisorio; e le prove che la parte dimostri di non aver potuto proporre in primo grado per una causa ad essa non imputabile; e i mezzi di prova che il giudice d'appello ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa (controverso in quanto l'art. 2697 c.c. impone al giudice di decidere comunque, anche in mancanza di qualsiasi prova). Le opzioni interpretative più plausibili sono due: ricollegare tale deroga alla prova dei fatti nuovi che le parti possono legittimamente introdurre per la prima volta in appello, la prova sarebbe indispensabile allorché avesse ad oggetto uno dei fatti sui quali si fonda una domanda nuova eccezionalmente consentita in appello dall'art.345 co 1°; un nuovo fatto costitutivo che determini una mera emendatio della domanda proposta in primo grado, oppure un fatto estintivo, impeditivo o modificativo rilevabile anche d'ufficio; ritenere che il concetto di indispensabilità non differisca qualitativamente da quello di rilevanza della prova, ma ne sia specificazione, ovvero un adattamento alla peculiarità del secondo grado: in quanto in appello non può prescindersi dall'accertamento dei fatti già compiuto dal giudice a quo, un nuovo mezzo di prova dovrebbe reputarsi indispensabile soltanto quando il giudice d'appello, muovendo dalla valutazione del materiale probatorio già acquisito nel precedente processo, ritenesse di poter attingere dal nuovo mezzo di prova elementi utili a consentirgli un più veritiero accertamento degli stessi fatti. Le Sezioni unite hanno affermato che il divieto dell'art. 345 co 3° non operando alcun distinguo, si riferirebbe sia alle prove costituende sia ai nuovi documenti, che di conseguenza sarebbero ammessi solo se indispensabili ai fini della decisione della causa oppure quando la loro tardiva produzione fosse dipesa da causa non imputabile alla parte. L'art. 345 si occupa esclusivamente dei mezzi di prova proponibili dalla parte, mentre lascia impregiudicata la possibilità che anche il giudice d'appello utilizzi i poteri istruttori officiosi che la legge gli attribuisce. 191. Le sentenze del giudice di pace secondo equità a norma dell'art. 113 co 2° sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione delle norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia (art 339 cpc). Si considerano rese secondo equità tutte le sentenze pronunciate in cause di valore non superiore a 1100 euro, ad eccezione di quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari. L'appello in questi casi si baserà: e quanto agli errori di diritto concernenti la disciplina sostanziale del rapporto, sulla violazione di norme di rango superiore (costituzionali o comunitarie) oppure dei principi regolatori della materia, da identificare con quelli desumibili dai tratti essenziali della disciplina 92 e distinto da quello concernente il merito dell'appello, e al giudice o al presidente, col medesimo decreto con cui fissa la comparizione delle parti in camera di consiglio, è consentito disporre provvisoriamente, quando ne sia stato richiesto e sussistano giusti motivi d'urgenza, la sospensione immediata dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza, fermo restando che all'udienza in camera di consiglio tale decreto dovrà essere confermato, modificato o revocato con ordinanza non impugnabile. Quando vengano eccezionalmente ammesse nuove prove, oppure sia disposta la rinnovazione totale o parziale dell'assunzione già avvenuta in primo grado, lo stesso collegio procede alla nuova fase istruttoria. Anche in appello è espressamente prevista l'applicabilità dell'art. 279 co 2°, ossia la possibilità di pronunciare sentenza non definitiva su domanda o su questione, nelle stesse ipotesi in cui è consentita al giudice di primo grado. 196.197.La decisione è regolata dall'art. 352: precisazione delle conclusioni, scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, eventuale fissazione dell'udienza per la discussione orale della causa quando una parte lo chieda. Il termine della decisione è sempre di 60 giorni, anche quando la decisione spetti al tribunale, rispettivamente decorrenti, a seconda dei casi, dalla scadenza del termine per le memorie di replica o dall'udienza di discussione. Fa eccezione l'ipotesi in cui oggetto dell'appello sia una sentenza che ha dichiarato l'estinzione del processo a norma dell'art. 308, ossia la sentenza del collegio che ha respinto il reclamo proposto contro l'ordinanza di estinzione resa dal giudice istruttore: l'art. 130 disp. att. prevede che l'appello sia deciso con sentenza in camera di consiglio, escludendo sia lo scambio di comparse conclusionali e delle repliche sia la fissazione di un'udienza di discussione, salva la possibilità che il collegio, quando è necessario, autorizzi le parti a presentare delle memorie, fissando i relativi termini. Se viene impugnata una sentenza definitiva, l'appello deve condurre, indipendentemente da quali siano i vizi della pronuncia impugnata, ad una nuova decisione definitiva del giudizio, di rito o di merito. Gli artt. 353 e 354 prevedono ipotesi in cui il giudice di secondo grado deve limitarsi a riformare o ad annullare, a seconda dei casi, la sentenza impugnata e a restituire la causa al giudice di prima istanza, affinché questi decida nuovamente. L'art. 353 e l'art. 354 co 2° considerano i casi in cui il giudice di primo grado abbia erroneamente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione oppure l'estinzione del processo a norma e nelle forme dell'art. 308, cioè con sentenza pronunciata a seguito di reclamo contro l'ordinanza di estinzione resa dal giudice istruttore. Il giudice d'appello non può, nel riformare l'erronea pronuncia processuale, decidere la causa nel merito, ma deve rimetterla al giudice a quo, davanti al quale le parti sono tenute a riassumerla entro 3 mesi dalla notificazione della sentenza, termine che viene interrotto quando la sentenza di appello sia a sua volta impugnata con ricorso per cassazione. 198.L'art. 354 co 1° contempla quattro ipotesi di nullità del processo: 1. Nullità della notificazione della citazione introduttiva: si presuppone che il vizio non sia stato sanato in primo grado, tramite la rinnovazione della notifica o spontanea costituzione del convenuto, e che, conseguentemente, tutti gli atti compiuti siano nulli. 95 2. Omessa integrazione del contraddittorio: il giudice omette di rilevare la violazione dell'art. 102, la mancata partecipazione al giudizio di alcuni litisconsorti necessari, e conseguentemente di ordinare la citazione di questi. La sentenza è da considerarsi nulla o inutiler data, e la causa deve tornare in primo grado affinché possa regolarizzarsi il contraddittorio in quella sede. Si ammette tuttavia che i litisconsorti pretermessi, pur non potendo essere costretti a partecipare al solo giudizio di appello, possano intervenire volontariamente, dichiarando di rinunciare all'annullamento della sentenza o ala rimessione della causa al giudice a quo. 3. Indebita estromissione di una parte. 4. Omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, sopravvive al passaggio in giudicato della sentenza. Tali fattispecie sono tassative, derogando al carattere normalmente sostitutivo dell'appello. Sono sorti dubbi relativamente all'ipotesi in cui sia nulla non la notifica della citazione, ma, ai sensi dell'art. 164, lo stesso atto introduttivo del giudizio di primo grado. La tesi prevalente distingue a seconda che si tratti di vizi della vocatio in ius o della editio actionis: nel primo caso il giudice ad quem può decidere a sua volta il merito della causa, previa rinnovazione degli atti istruttorii cui la nullità si estende e rimessione in termini del convenuto, affinché possa compiere in appello ci che avrebbe potuto fare in primo grado; nel secondo caso la soluzione è dubbia, il divieto di domande nuove in appello parrebbe impedire che la domanda originariamente viziata venga integrata direttamente davanti al giudice ad quem. Riguardo alle sentenze non definitive, relativamente alle quali il processo di primo grado non si è ancora esaurito, il giudice d'appello non può sovrapporsi all'istruttoria tuttora pendente in primo grado, e quindi non può disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni per cui il giudice a quo aveva disposto la prosecuzione dell'istruzione (art. 356 co 2°). 18. IL RICORSO PER CASSAZIONE SEZIONE I: LE CARATTERISTICHE DELL'IMPUGNAZIONE E IL RELATIVO PROCEDIMENTO 200.La Cassazione è giudice di legittimità, il suo compito resta quello di verificare la rispondenza della sentenza impugnata alle norme sostanziali e processuali, senza mai poter direttamente conoscere e valutare i fatti rilevanti per la decisione. L'art. 65 ord. giud attribuisce alla Corte il compito di assicurare, tra l'altro, l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, e molti ne deducono che la funzione essenziale e prevalente della Cassazione dovrebbe identificarsi con la c.d. nomofilachia, ossia con lo scopo di garantire l'esatta e fedele interpretazione ed applicazione del diritto da parte dei giudici di merito, sia nell'interesse del ricorrente che adduca un errore di merito, sia nell'interesse pubblico sotteso al valore esemplare e didattico che compete alle decisioni della Corte suprema. Tale interpretazione del ruolo della Corte appare tuttavia riduttivo rispetto ad altre indicazioni che pure emergono 9%6 dal diritto positivo, in particolare dalla Costituzione: l'art. 111 co. 7°, Cost. ha accordato un rilievo preminente alla prospettazione soggettiva, elevando il ricorso per cassazione ad un vero e proprio diritto del soccombente nei confronti delle sentenze non altrimenti impugnabili, esaltandone la funzione garantistica quale controllo di legalità del caso singolo. 201.202.203.A norma dell'art. 360 il ricorso per cassazione è ammesso contro tutte le sentenze rese in appello o in unico grado; con la sola eccezione delle sentenze non definitive su questioni che sono impugnabili unitamente alla sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. può essere proposta direttamente nei confronti della sentenza di primo grado allorché le parti siano tra loro d'accordo per omettere l'appello. L'art. 360 enuncia i motivi tassativi per i quali il ricorso è esperibile: 97 Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3). Si ha violazione quando il legislatore a quo omette di applicare la norma oppure ne fraintende il significato, interpretandola in maniera errata; si ha falsa applicazione quando una determinata norma, pur correttamente intesa, è utilizzata per una ipotesi ad essa estranea. Deve aversi riguardo sia alle leggi e agli altri atti normativi ad essa equiparati, sia a tutte le fonti del diritto, e dunque anche ai regolamenti e agli usi. Violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360 n. 3). Si tratta essenzialmente di ricostruire la volontà dei contraenti, rispetto ad essi il sindacato della Corte può essere solamente indiretto, rimanendo circoscritto alla congruenza della motivazione fornita dal giudice di merito. Motivi attinenti alla giurisdizione (art. 360 n. 1). Vi rientrano tutte e solo le questioni per le quali sarebbe anche esperibile, a norma dell'art. 41, il regolamento preventivo di giurisdizione; il ricorso è ammesso sia quando il giudice si sia occupato di una causa sulla quale era privo di giurisdizione, sia quando si sia dichiarato erroneamente privo di giurisdizione. Violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza (art. 360 n. 2). Il ricorso è consentito solamente quando il giudice ha deciso sulla competenza unitamente al merito, affermando la propria competenza; in caso contrario la decisione sulla competenza sarebbe resa in forma ordinaria e l'unica impugnazione possibile sarebbe il regolamento di competenza, che egualmente investe della questione la Cassazione, ma è soggetto ad una disciplina parzialmente diversa da quella del ricorso ordinario e può avere ad oggetto esclusivamente la questione di competenza. Nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 n. 4). Deve trattarsi di errores in procedendo, dai quali sia derivata la nullità della sentenza: per vizi propri oppure per estensione dell'invalidità formale degli atti del procedimento, oppure per il difetto di presupposti processuali, diversi dalla giurisdizione e dalla competenza.
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