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Procedura Civile II -Luiso Volume 3 - Il processo esecutivo, Appunti di Diritto Processuale

Giurisprudenza - Diritto processuale civile Volume III: Il processo esecutivo. Luiso Francesco P. (edizione 2019)

Tipologia: Appunti

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Caricato il 28/02/2022

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Scarica Procedura Civile II -Luiso Volume 3 - Il processo esecutivo e più Appunti in PDF di Diritto Processuale solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE II (Libro III) Il Processo Esecutivo 1 - L’ESECUZIONE FORZATA NEL QUADRO DELL’ORDINAMENTO L’ordinamento prevede alcuni comportamenti come doverosi in quanto funzionali alla realizzazione di un interesse altrui; una situazione sostanziale protetta altrui dunque. Si deve però fare una distinzione tra situazioni sostanziali: a) Situazioni Sostanziali Finali: si fornisce al titolare il potere di comportamento in relazione al determinato bene e si prevede per gli altri l’obbligo di non intromettersi tra il bene garantito e il titolare del diritto. Ad esempio pensiamo alla Proprietà. b) Situazioni Sostanziali Strumentali: qua l’interesse che costituisce la situazione sostanziale protetta è garantito dal comportamento attivo di un altro soggetto. Occorre perciò un comportamento attivo e non una mera astensione (il credito ad esempio). Ma abbiamo ancora un’altra distinzione importante da fare tra i doveri di comportamento: a) Doveri di Comportamento Primari: attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale; è previsto come obbligo primario tenere quel comportamento attivo. b) Doveri di Comportamento Secondari: sono doveri che nascono da un illecito; da un altro dovere a monte che non è stato rispettato. Hanno sopratutto funzione ripristinatoria. Ad esempio l’art 2043 CC stabilisce in primis di non ledere i diritti altrui; se poi il diritto viene violato allora nasce un obbligo secondario, di natura risarcitoria. Ma cosa accade quando chi dovrebbe tenere quel comportamento prescritto dalla norma non lo tiene, contravvenendo all’obbligo che l’ordinamento gli impone? Si realizza un illecito. Quando ci troviamo di fronte alla violazione di un dovere di comportamento previsto a favore di un altro soggetto la tutela dichiarativa (quella tutela che statuisce sui rispettivi diritti e obblighi delle parti) non serve. Occorre far sì che l’avente diritto riceva quell’utilità che gli sarebbe dovuta pervenire sul piano del diritto sostanziale dall’adempimento dell’obbligato.
 La tutela dichiarativa potrà anche stabilire che Tizio abbia sottratto a Caio un bene ma niente esclude che tale inadempimento permanga anche dopo la pronuncia dichiarativa. Talvolta l’avente causa può sostituirsi direttamente all’obbligato, tenendo il comportamento che quest’ultimo avrebbe dovuto tenere e ottenere il risultato utile che l’ordinamento prevede. Tizio appalta a Caio la costruzione di un’edificio, Caio non adempie: Tizio potrà ben far costruire l’edificio a Sempronio, procurandosi quell’utilità che non gli è stata fornita da Caio. Ciò può accadere sia prima che si sia instaurato un processo di cognizione, per vedere se esiste l’obbligo di Caio a costruire l’edificio, sia dopo che si sia accertato l’obbligo in questione. Non sempre però l’avente diritto può sostituirsi all’obbligato, procurandosi autonomamente l’utilità garantita dall’ordinamento; se Tizio deve avere 1000€ da Caio e Caio non paga Tizio non può fare niente sul piano del diritto sostanziale per procurarsi quanto gli è dovuto e soddisfare così il suo diritto. Occorre perciò uno strumento ad hoc; questo strumento ad hoc è l’Esecuzione Forzata. Dobbiamo però sempre tenere a mente che la tutela esecutiva non è un’attuazione di quanto previsto in sede dichiarativa: l’oggetto dell’esecuzione non è per forza l’atto di accertamento. La tutela dichiarativa non è un Prius logico e cronologico rispetto alla tutela esecutiva. Nel diritto civile, per avere Esecuzione Forzata non è strettamente necessario avere un’atto volto a impartire tutela dichiarativa: ci sono anche altri atti che non impartiscono tutela dichiarativa ma che fanno scattare l’Esecuzione Forzata (atti di notaio, titoli di credito etc). E’ possibile dunque avere un Titolo Giudiziale ma anche un Titolo Stragiudiziale per avere accesso alla Tutela Esecutiva.
 1 Ad esempio se Tizio stipula con atto pubblico un contratto di mutuo di un anno con Caio, scaduto l’anno può ottenere immediatamente la Tutela Esecutiva, senza dover prima passare dalla tutela dichiarativa.
 Il previo accertamento del diritto da tutelare dunque non è un presupposto logico e indispensabile della tutela esecutiva: tutela esecutiva e dichiarativa si pongono su piani diversi e non necessariamente in consecuzione cronologica. Nella tutela esecutiva si può ben dare per scontato che l’obbligo esista (ovviamente esistono poi strumenti per chi subisce l’esecuzione per dimostrare l’inesistenza del diritto sostanziale che tutela l’esecuzione forzata). 2 - ESECUZIONE DIRETTA E ESECUZIONE INDIRETTA La Tutela Esecutiva è una ramificazione dei diritti di Azione e Difesa previsti dall’art 24 Cost che mirano a garantire la soddisfazione dei vari diritti: quando ci si trova davanti a obblighi di comportamento rimasti disattesi e che sono funzionali alla soddisfazione del titolare dell’interesse protetto occorre l’Esecuzione Forzata. La corte costituzionale ha addirittura e in diverse occasioni, dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che impedivano la tutela esecutiva. All’inadempimento dell’obbligato, in sede giurisdizionale, si può reagire con: a) Esecuzione Diretta: l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo. L’ufficio esecutivo esercita i poteri e le facoltà che ha l’obbligato per far conseguire all’avente diritto l'utilità che gli spetta. L’avente diritto ottiene quello che avrebbe ottenuto dall’adempimento spontaneo dell’obbligato, né di più né di meno. Deve ovviamente esserci omogeneità tra il comportamento sostitutivo dell’ufficio esecutivo e il comportamento sostituito; se l’obbligato deve consegnare un bene l’ufficio esecutivo deve consegnare quel bene, non può venderlo e dare all’avente diritto il ricavato.
 Quindi l’obbligo deve essere fungibile, deve essere indifferente per l’avente diritto che la prestazione avvenga per mano dell’obbligato o di un terzo: se Tizio è creditore di 1000€ per lui è indifferente che gli arrivino da Caio o da un terzo. Se l’obbligo è infungibile ciò non funziona perché l’adempimento non è sostituibile dal comportamento di un altro soggetto. Se ad esempio ho commissionato un quadro a un famoso pittore non è la stessa cosa se ad adempiere è l’ufficiale giudiziario o il giudice dell’esecuzione. Sono dunque infungibili quegli obblighi in cui l’adempimento personale da parte dell’obbligato è determinante o a causa del contenuto personale della prestazione (artistica, professionale etc) o semplicemente perché si tratta di obblighi di astensione (ad esempio Tizio non deve commercializzare certi prodotti in virtù della normativa sulla concorrenza sleale).
 Nel nostro ordinamento abbiamo tre diverse tecniche di tutela esecutiva:
 - Espropriazione Forzata (crediti di danaro)
 - Esecuzione per Consegna e Rilascio (trasferimento del potere di fatto sui beni)
 - Esecuzione per Obblighi di Fare (altri comportamenti) b) Esecuzione Indiretta: quando siamo in presenza di Obblighi Infungibili, si rende quindi necessaria l’Esecuzione Indiretta. In questi casi si prevede per l’obbligato il verificarsi di conseguenze a lui negative e più onerose dell’adempimento. Queste conseguenze possono essere civili o penali. Sono Civili quando sorge l’obbligo di pagare una certa somma di denaro per ogni ulteriore periodo di inerzia o per ogni ulteriore violazione del dovere di astensione. Sono invece Penali quando gli ulteriori inadempimenti dell’obbligato integrano un’ipotesi di reato.
 Al di là delle ipotesi di Esecuzione Indiretta per tutte le prestazioni infungibili il legislatore prevede altre ipotesi specifiche (a volte con tecnica civilistica e a volte penalistica). 2 Più incerta è la disciplina della rivalutazione (quando ad esempio si condanna al pagamento di un capitale più rivalutazione e interessi), che è certamente calcolabile matematicamente (capitale per tasso di inflazione). Resta il problema che il tasso di inflazione di solito non risulta dal titolo esecutivo. c) Diritto Esigibile: il diritto esigibile non è sottoposto a termine o condizione sospensiva; il dato dell’esigibilità non è riferito al momento della formazione del titolo esecutivo ma al momento dell’esecuzione forzata.
 Un’ipotesi di non esigibilità è quella dell’art 478 CPC dove si subordina l’efficacia del titolo esecutivo alla prestazione di una cauzione; in questi casi finché il creditore non presta la cauzione non si può iniziare l’esecuzione forzata. La cauzione non è un requisito per l’emanazione del provvedimento ma un presupposto dell’efficacia esecutiva dello stesso. All’art 474, comma 2, CPC si elencano i titoli esecutivi suddividendoli in tre categorie: a) Titoli Esecutivi Giudiziali: sono le Sentenze di Condanna, quelle con cui si condanna l’obbligato a tenere un certo comportamento (e non anche le sentenze di mero accertamento). Sono titoli esecutivi giudiziali anche le ordinanze (ordinanza di convalida licenza etc) e decreti (decreti ingiuntivi etc). Dal 2006 è titolo esecutivo giudiziario anche la Conciliazione Giudiziale (quel modo di chiusura del processo che si ha quando le parti si trovano d’accordo per una risoluzione consensuale della controversia). Il verbale di conciliazione non è certamente un provvedimento ma la riforma del 2006 ha equiparato il verbale di conciliazione ai titoli esecutivi giudiziari (sarebbe assurdo mandare avanti il processo affinché il giudice recepisca con la sentenza l’accordo delle parti, si avrebbe uno spreco di attività processuale). b) Scritture Private Autenticate & Titoli di Credito: Le Scritture Private Autenticate costituisco titolo esecutivo solo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute e non magari in relazione a tutti gli altri obblighi. Ad esempio il contratto di compravendita stipulato con Scrittura Privata Autenticata è titolo esecutivo per l’obbligo di pagare il prezzo ma non è titolo esecutivo valido per la consegna del bene.
 Riguardo ai Titoli di Credito parliamo di assegni, cambiali e altri titoli ai quali la legge attribuisce espressamente tale efficacia; devono essere in regola con il bollo fin dal momento della loro emissione (altrimenti varranno sempre come titoli di credito ma non avranno efficacia esecutiva). c) Atti Pubblici: l’Atto Pubblico costituisce titolo esecutivo anche in relazione all’esecuzione per consegna e rilascio. Quindi lo stesso contratto di compravendita dell’esempio di prima se stipulato per Atto Pubblico è titolo esecutivo sia per il pagamento del prezzo sia per la consegna del bene. d) Altri Titoli Esecutivi: ci si riferisce alle migliaia di titoli esecutivi sparsi qua e là nelle leggi speciali. L’efficacia di titolo esecutivo deve essere espressamente prevista e non è applicabile in via analogica. Ora tra le varie fattispecie di titolo esecutivo se ne devono segnalare alcune che presentano un particolare interesse: a) Conciliazione Stragiudiziale: procedimento volto a favorire una soluzione negoziale della controversia. Il legislatore per invogliare le parti a questa soluzione ne equipara la tutela fornita a quella di una sentenza. Il legislatore dunque fornisce, dal 2006, alla Conciliazione Stragiudiziale l’efficacia di un pieno titolo esecutivo. b) D.lgs 23/2004: si prevede che, ove il personale delle direzioni provinciali del lavoro verifichi l’inosservanza di disposizioni da parte del datore di lavoro che fanno scaturire la sussistenza di crediti per il lavoratore, diffidi il datore di lavoro stesso a corrispondere quanto dovuto. Tale diffida acquista efficacia di titolo esecutivo per il lavoratore. La particolarità è che un atto amministrativo della Pubblica Amministrazione costituisca titolo esecutivo a favore di un terzo e non della Pubblica Amministrazione. 5 Ma come mai il legislatore attribuisce l’efficacia di titolo esecutivo a certi atti e non ad altri? L’opinione prevalente in dottrina è che certi atti, piuttosto che altri, garantiscono la certezza del diritto da tutelare. Si dice che, poiché il diritto da tutelare deve esistere, è essenziale per avere diritto alla tutela esecutiva un accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare. Tale accertamento scaturisce dagli atti elencati all’art 474 CPC. Gli atti a cui il legislatore nega l’efficacia di titolo esecutivo non forniscono sufficiente certezza relativamente all’esistenza del diritto sostanziale da tutelare. Questa impostazione non convince; in realtà ciò che conta è che il legislatore ritenga meritevole di tutela esecutiva una certa situazione sostanziale; una situazione sostanziale può essere meritevole di tutela esecutiva per varie ragioni, una sola delle quali è la certezza dell’esistenza del diritto. Pensiamo a una scrittura privata autenticata che è titolo esecutivo per il pagamento ma non per la consegna del bene; non si fornisce titolo esecutivo a tutte le parti nonostante la scrittura privata autenticata sia la stessa. Quindi a fondamento dell’efficacia esecutiva attribuita a determinati atti non sta la certezza relativa all’esistenza (anche se è, indubbiamente, importante) del diritto ma bensì altre ragioni, disomogenee. Il legislatore attribuisce efficacia esecutiva all’atto quando ritiene che il diritto in esso contenuto sia meritevole di tutela e i fattori che il legislatore prende in considerazione in questo giudizio di meritevolezza sono variabili. Per accedere alla tutela esecutiva dunque si deve necessariamente avere un Titolo Esecutivo e se l’interessato non ne ha uno stragiudiziale, se ne dovrà procurare uno attraverso il processo di cognizione (un titolo esecutivo giudiziale, una sentenza).
 In questo caso all’attore non interessa ricevere dal processo di cognizione le regole di condotta tra lui e la controparte ma gli interessa solo avere il titolo esecutivo che gli permetterà di accedere alla tutela esecutiva. Ecco perché il legislatore fa proliferare i titoli esecutivi stragiudiziali: così facendo alleggerisce il carico dei processi di cognizione da tutte quelle domande volte soltanto a ottenere un titolo esecutivo. NB: Con il Titolo Esecutivo Stragiudiziale si può iniziare solo l’Espropriazione e non anche l’Esecuzione in Forma Specifica. I Titoli Esecutivi Giudiziali per l’Espropriazione e per l’Esecuzione in Forma Specifica (gli atti ricevuti da notaio per l’espropriazione e per l’esecuzione e consegna e rilascio, non però per gli obblighi per fare/non fare). 5 - TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE E IN SENSO DOCUMENTALE Si deve subito chiarire però che l’oggetto della tutela esecutiva non è il Titolo Esecutivo ma bensì il diritto sostanziale da tutelare. L’esecuzione forzata è l’attuazione della situazione sostanziale protetta e non del provvedimento del giudice. In sede penale o amministrativa l’esecuzione presuppone sempre un provvedimento giurisdizionale mentre in sede civile non è obbligatorio, in quanto esistono anche titoli esecutivi stragiudiziali (non avrebbe senso parlare di ‘esecuzione della cambiale’ o di ‘esecuzione della scrittura privata’; il termine esecuzione si riferisce al diritto sostanziale e non al provvedimento giurisdizionale). In ambito civilistico si potrà al più parlare di esecuzione in base alla sentenza ma non di esecuzione della sentenza. Il titolo esecutivo è dunque la fattispecie che consente lo svolgimento dell’esecuzione forzata, è un presupposto processuale specifico dell’esecuzione forzata.
 La tutela esecutiva viene consentita dal titolo esecutivo, non misurata su di esso. E’ naturale dunque che la struttura del processo esecutivo si adatti al tipo di diritto che si vuole tutelare e non al provvedimento che né è il presupposto: occorre volgere lo sguardo alla situazione sostanziale per stabilire come deve atteggiarsi la tutela esecutiva. 6 Anche se dovesse cambiare il presupposto (il titolo esecutivo), qualora il diritto da tutelare resti immutato, l’esecuzione forzata rimarrebbe sempre la stessa. Ad esempio se Tizio ha un credito di 1000€, la tutela sarà sempre uguale, sia che il titolo esecutivo sia una cambiale oppure una sentenza.
 Al contrario se il presupposto non cambia, ma cambia invece il diritto da tutelare l’esecuzione forzata è diversa. Ad esempio Tizio, locatore, ottiene una sentenza che condanna il conduttore a rilasciare il bene e a pagare i canoni arretrati: il titolo esecutivo sarà sempre la sentenza ma la tutela esecutiva si svilupperà in due modi; uno a tutela del credito e l’altro al rilascio del bene. LEGITTIMITA’ PROCESSUALE: Quanto finora detto ci porta ad un’altra considerazione: l’esistenza del titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva. Il titolare della situazione sostanziale descritta nel titolo esecutivo ha il diritto di rivolgersi all’ufficio esecutivo che ha il dovere di porre in essere la propria attività e svolgere la propria funziona a tutela della situazione sostanziale indicata nel titolo. In sostanza, chi ha a suo favore il titolo esecutivo ha diritto a pretendere l’intervento giurisdizionale. LICEITA’ SOSTANZIALE: Tuttavia la presenza di questo effetto processuale (il diritto all’intervento che scaturisce dal solo titolo esecutivo) non incide sulla liceità dell’esecuzione forzata sul piano del diritto sostanziale. Affinchè l’attività esecutiva sia lecita sul piano sostanziale occorre l’effettiva esistenza del diritto da tutelare.
 L’aver diritto alla tutela significa che colui che la richiede deve ottenerla, anche se nei confronti della controparte sta commettendo un illecito; l’ufficio esecutivo non può rifiutare la propria attività. Quindi a questo punto sarò l’ufficio esecutivo a compiere un illecito ma ne risponderà chi ha chiesto all’ufficio di intervenire (art 96 CPC).
 Si può dunque fruire della tutela esecutiva e essere obbligati al risarcimento dei danni, se non esiste il diritto di cui si è chiesta la tutela esecutiva. Emerge dunque una possibile utilizzazione illecita della tutela esecutiva: chi la utilizza per produrre un effetto contrario al diritto sostanziale commette un illecito dal punto di vista sostanziale. Il diritto alla tutela è un diritto processuale verso lo stato mentre il diritto da tutelare è un diritto sostanziale verso la controparte e deve esistere sul piano sostanziale.
 L’esistenza del primo può prescindere dall’esistenza del secondo: ha diritto alla tutela anche chi non ha un diritto da tutelare (ne risponderà poi sul piano sostanziale). La tutela esecutiva è un’arma che lo stato fornisce: chi la usa male ne risponde poi sul piano del diritto sostanziale. TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE: si intende la fattispecie da cui sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione sostanziale protetta. Il titolare di questa situazione ha diritto all’intervento degli organi giurisdizionali che hanno l’obbligo di attivarsi. Il titolo esecutivo in senso sostanziale, nonostante il nome, è un istituto di diritto processuale; è costituito dal complesso degli elementi da cui sorge sia il diritto dell’istante (colui che chiede la tutela esecutiva) ad ottenere la tutela esecutiva sia il dovere dell’ufficio esecutivo di attivarsi per fornire tutela.
 Nel rapporto istante-organi esecutivi l’esistenza di un titolo esecutivo in senso sostanziale fa si che vi sia una pretesa fondata dell’istante e che vi sia l’obbligo dell’organo esecutivo ad attivarsi. Nel rapporto di diritto sostanziale tra istante e esecutato invece il titolo esecutivo non è affatto idoneo a modificare la situazione di diritto sostanziale: non si rende lecito un intervento esecutivo illecito sul piano sostanziale, per quanto doveroso sul piano processuale.
 7 sentenza e usarla contro Caio tale titolo esecutivo, anche se individua Tizio come creditore.
 Sul piano sostanziale si ha una successione nel diritto: il diritto dell’avente causa sarà un diritto diverso (sia oggettivamente che soggettivamente) ma connesso a quello del dante causa per rapporto di pregiudizialità-dipendenza. 
 Stando all’art 475 CPC anche sul piano processuale si avrà successione nel diritto alla tutela esecutiva; spettava al dante causa e ora spetta all’avente causa: la situazione sostanziale dipendente mantiene integre le caratteristiche che aveva la situazione pregiudiziale. La situazione del successore è sì diversa da quella del dante causa, ma è ad essa connessa per pregiudizialità-dipendenza, perciò acquista la tutelabilità esecutiva che aveva la situazione pregiudiziale.
 L’atto-titolo esecutivo avrà nei confronti del successore gli stessi effetti preclusivi che ha verso il dante causa. L’efficacia preclusiva però riguarda il solo diritto pregiudiziale e non anche il diritto dipendente: ciò non tanto perché il successore non è indicato come creditore ma tanto per il fatto che il diritto del successore (che sarebbe l’oggetto dell’esecuzione) è diverso da quello del dante causa (l’oggetto del titolo esecutivo).
 Il titolo esecutivo verrebbe usato per la tutela di un diritto oggettivamente diverso da quello individuato dal titolo stesso.
 In sostanza: l’art 475 CPC dice che il titolo esecutivo a favore di Tizio per il diritto X è utilizzabile da Sempronio per il diritto Y quando tra X e Y corre un rapporto di pregiudizialità-dipendenza. Inoltre l’esistenza del diritto X deve essere accertata dall’atto-titolo esecutivo con efficacia preclusiva nei confronti di Sempronio identica a quella che l’atto ha nei confronti di Tizio.
 
 Il successore non ha obbligo di dimostrare la sua qualità di successore. In caso di falsi successori, che ottengono copie esecutive che non gli spettano, chi si vede minacciato da un falso successore potrà proporre opposizione all’esecuzione.
 L’efficacia del titolo esecutivo a favore del successore ha l’utilità di evitare l’instaurazione di un processo di cognizione volto ad accertare unicamente l’esistenza della successione. Il processo si farà solo se l’esecutato contesta l’esistenza della successione. Se si negasse l’efficacia del titolo esecutivo per il successore si dovrebbe instaurare un nuovo processo di cognizione tra debitore (il debitore originario del dante causa) e successore (avente causa) al solo scopo di ottenere un nuovo titolo esecutivo valido tra di loro.
 L’altra faccia della medaglia è che, se non si accerta la successione, si rende concreto il rischio che l’esecuzione venga iniziata da chi non è effettivamente successore.
 Il nostro ordinamento sceglie di correre il rischio che il titolo esecutivo sia utilizzato da chi non è effettivamente successore rimettendo l’iniziativa dell’accertamento della qualità di successore all’eventuale contestazione dell’esecutato.
 Se viene contestata l’esistenza della successione spetta al presunto successore dimostrare quanto da lui affermato quando ha chiesto la spedizione del titolo esecutivo. b) Efficacia contro gli Eredi (art 477 CPC): l’art 477 CPC dice che il titolo esecutivo ha efficacia contro gli eredi. E’ una situazione analoga ma rovesciata rispetto a quella dell’art 475 CPC. Si ha una successione nell’obbligo: l’erede è titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità-dipendenza con l’obbligo del de cuius.
 Ad esempio Tizio sottoscrive una cambiale a Sempronio e poi muore. Caio, successore di Tizio, succede nell’obbligo cambiario e quindi è anche soggetto all’efficacia esecutiva della cambiale (titolo esecutivo). L’oggetto dell’esecuzione è l’obbligo di Caio (successore) che è diverso da quello di Tizio (de cuius), che era oggetto del titolo esecutivo, ma ad esso collegato da vincolo di pregiudizialità-dipendenza.
 Caio potrà rifiutarsi o perché non è erede o perché in realtà Tizio non era obbligato contestando l’obbligo negli stessi limiti in cui avrebbe potuto contestarlo il de cuius.
 10 Anche qua non si impone al creditore di provare che l’esecutato sia effettivamente l’erede; basta che colui che vuole procedere a esecuzione forzata affermi che l’esecutato è l’erede di colui che risulta debitore dal titolo esecutivo.
 Anche qua l’esecutato si può opporre a eventuali false dichiarazione del creditore, su cui ricadrà l’onere della prova.
 Anche qua la funzione della norma è quella di evitare un processo di cognizione necessario solo per accertare la qualità di erede dell’esecutato: un accertamento preventivo costituirebbe solo una perdita di tempo e attività processuale.
 L’art 477 CPC però, a differenza dell’art 475 CPC, non contempla tutte le ipotesi in cui si crea un nesso di dipendenza tra obbligo oggetto del titolo esecutivo e obbligo, oggetto dell’esecuzione, di cui è titolare il terzo contro il quale viene utilizzato il titolo esecutivo; contempla invece la sola ipotesi della Successione a Titolo Universale.
 In realtà la previsione dell’art 477 CPC è estendibile analogicamente a tutte le altre ipotesi di successione, dato che sussiste la stessa ratio.
 Infatti la relazione tra obbligo pregiudiziale (contenuta nel titolo esecutivo) e obbligo dipendente (del terzo) è identica sia nelle ipotesi successione a titolo universale sia nelle ipotesi di successione a titolo particolare (negli obblighi). Soffermando l’attenzione sul singolo obbligo vediamo come non ci sia differenza tra una successione a titolo universale (che trasferisce tutto un insieme di rapporti, tra cui anche quello contenuto nel titolo esecutivo) e qualunque altra successione.
 In ogni caso l’erede succede nell’obbligo oggetto contenuto nel titolo esecutivo; obbligo su cui è concentrata la nostra attenzione.
 Rispetto al singolo obbligo il nesso che sussiste tra la situazione pregiudiziale e la situazione dipendente è lo stesso, sia che la successione dell’obbligo sia avvenuta a titolo universale o particolare.
 Ad esempio, ottengo una sentenza che riconosce il mio diritto alla servitù su un fondo di Caio che viene condannato a sopportare la mia presenza sul suo fondo. Caio muore e il fondo diviene di proprietà del successore a titolo universale o particolare (oppure Caio aliena il fondo). Tutti i nuovi proprietari, indipendentemente dal titolo di acquisto, sono ugualmente obbligati a sopportare l’invasione del fondo da parte mia.
 La parte originariamente vittoriosa (e i suoi successori) può usare il titolo esecutivo contro l’erede a titolo universale, il legatario (erede a titolo particolare) e l’acquirente.
 
 Ricapitolando: il titolo esecutivo è utilizzabile da o contro un terzo quando costui è titolare di un diritto o di un obbligo dipendente dall’obbligo contenuto nel titolo esecutivo. Inoltre l’atto che funge da titolo esecutivo deve avere nei confronti del titolare della situazione dipendente gli stessi effetti che ha nei confronti del dante causa.
 Quindi recuperando le norme scartate all’inizio vediamo come l’art 2909 CC (l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o i loro aventi causa) si applichi quando viene pronunciata una sentenza di condanna e il terzo diviene titolare, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di un diritto o di un obbligo dipendenti dal diritto oggetto della sentenza stessa. Ad esempio vediamo come in virtù dell’art 1595 CC la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore abbia effetti anche contro il subconduttore (data la dipendenza tra i due diritti).
 L’art 111 CPC (Successione nel Diritto Controverso) si occupa dello stesso tipo di successione che avviene però nel corso del processo. L’Efficacia del titolo esecutivo a favore e contro i terzi costituisce un ulteriore ipotesi di non coincidenza tra titolo esecutivo in senso sostanziale e titolo esecutivo in senso documentale. Se l’esecuzione contro terzi è consentita dal titolo esecutivo in senso 11 documentale non risulta che il terzo sia effettivamente successore e non risulta neppure l’esistenza del diritto che si vuol vedere tutelato. Usare contro terzi un titolo esecutivo non costituisce una lesione del principio del contraddittorio come avviene per l’estensione dell’efficacia della sentenza verso terzi (che non avendo partecipato al processo non hanno potuto esercitare il loro diritto di difesa). Nell’efficacia verso terzi del titolo esecutivo ciò non avviene; c’è la possibilità che un soggetto estraneo al procedimento di formazione del titolo esecutivo possa usare (o possa essere usato contro di lui) tale titolo. Ciò non incide sul diritto di difesa: l’esecutato ha gli strumenti idonei per contestare l’efficacia ultra partes del titolo esecutivo con onere della prova a carico di chi afferma la sussistenza di tale efficacia. Il legislatore dunque è libero di creare ipotesi di efficacia del titolo esecutivo contro terzi (mentre non è libero di creare ipotesi di estensione della sentenza verso terzi, dato che viene frenato dal diritto di difesa e dal principio del contraddittorio ex art 24 Cost). L’estensione del titolo esecutivo verso terzi non è vincolato da alcun principio costituzionale. 7 - LA NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO & DEL PRECETTO L’art 479 CPC prevede che il titolo esecutivo in senso documentale debba essere notificato prima dell’inizio dell’esecuzione forzata. Deve inoltre essere notificato, contestualmente o successivamente, anche il Precetto. Ma cos’è il Precetto? 
 Il Precetto è l’intimazione ad adempiere all’obbligo risultate dal titolo esecutivo in un termine non inferiore a 10 giorni; si intima all’esecutato di adempiere entro un certo termine (una specie di ‘ultimatum’ che si da al debitore) avvertendo che in mancanza dell’adempimento si procederà a esecuzione forzata.
 Nel precetto si devono necessariamente indicare le parti (che possono, come visto, anche non coincidere con quelle indicate dal titolo esecutivo in senso documentale). Le parti indicate nel precetto devono essere quelle contro cui si svolgerà il processo esecutivo; ad esempio il precetto non è intimabile a un morto, andrà intimato all’erede anche se il titolo esecutivo porta il nome del de cuius. Se ci sono delle divergenze tra titolo esecutivo in senso documentale e realtà sostanziale devono essere esplicitate nel precetto. L’intimazione contenuta nel precetto deve riguardare obblighi risultanti dal titolo esecutivo. E’ però possibile che il titolo esecutivo in senso documentale debba essere integrato da elementi estranei a esso, ad esempio si è già visto come nel titolo esecutivo in senso documentale non debbano necessariamente essere effettuate le operazioni che determinano la somma dovuta; tali operazioni possono essere sviluppate nel precetto. Ad esempio, ancora, se c’è stato adempimento parziale il precetto deve essere fatto per la differenza. Per quanto riguarda l’Individuazione dei Beni occorre distinguere tra: a) Esecuzione per Consegna/Rilascio o Obblighi di Fare: il bene è già individuato nel titolo esecutivo b) Espropriazione: occorre individuare il credito tutelato ma non i beni che saranno pignorati per soddisfarlo. Nel Precetto, se indicato separatamente, deve essere indicata la data di notificazione del titolo esecutivo. Il precetto deve contenere anche la dichiarazione di residenza o domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Infine è necessaria la sottoscrizione della parte; non è ancora previsto in questa fase l’obbligo di difesa tecnica (che scatta con l’inizio dell’esecuzione forzata). C’è però un eccezione all’obbligo di notificare il titolo esecutivo, con conseguente modificazione del contenuto del Precetto, per quei titoli esecutivi che vengono utilizzati in originale e non in copia esecutiva. Nei casi di Titoli di Credito e Scritture Private 12 Ma per quanto riguarda la nullità dei singoli atti del processo? Si applicano gli art 156 CPC e seguenti (che non essendo espressamente riservati al processo di cognizione vengono applicati anche al processo esecutivo). La nullità dei singoli atti è rilevabile anche d’ufficio solo se lo prevede la legge (la regola inversa alla nullità dei presupposti processuali per cui c’è sempre la rilevabilità d’ufficio a meno che la legge non preveda altrimenti). Nel processo di cognizione, vista la sua struttura decisoria, se viene sollevata una questione relativa alla nullità di un atto si decide con lo stesso provvedimento con cui si decide la controversia. Nel processo esecutivo invece la cognizione dell’ufficio esecutivo non ha funzione decisoria: la ricognizione circa la nullità di un atto è solo strumentale a decidere se emettere o meno la tutela esecutiva; non decide assolutamente la questione. Se l’ufficio ritiene che vi sia la nullità non emette la tutela esecutiva richiesta; se ritiene che nullità non vi sia allora emette la tutela esecutiva richiesta. Opposizione agli Atti Esecutivi: nel processo dichiarativo le questioni di rito vengono decise; nel processo esecutivo invece vengono delibate per orientare l’azione dell’ufficio esecutivo senza che ciò costituisca attività decisoria (dato che il processo esecutivo non ha una struttura idonea a decidere). Occorre perciò uno strumento per decidere le contestazioni relative alla correttezza dell’operato dell’ufficio esecutivo; questo strumento è un processo di cognizione che ha come oggetto l’accertamento della validità dell’atto esecutivo. La delibazione dell’Ufficio Esecutivo infatti sbocca in un atto che o pone in essere la misura esecutiva oppure la rifiuta; tale atto può essere contestato dalle parti attraverso l’Opposizione agli Atti Esecutivi.
 L’esecutato non può sollevare, all’interno del processo esecutivo, contestazioni circa la situazione sostanziale; lo dovrà fare fuori dal processo esecutivo attraverso l’Opposizione agli Atti Esecutivi ex art 615 CPC (ciò perché l’ufficio esecutivo tutela il diritto presupposto come esistente, non valuta l’esistenza della situazione sostanziale). Ma l’Ufficio Esecutivo deve accertare la sussistenza di un titolo esecutivo in senso sostanziale?La corrente principale sostiene che l’ufficio esecutivo, fuori dai casi previsti dalla legge, debba valutare solo il titolo esecutivo in senso documentale. Non avrebbe dunque il potere di rilevare d’ufficio l’inesistenza del titolo in senso sostanziale; non sono rilevabili d’ufficio i fatti modificativi ed estintivi dell’efficacia esecutiva del titolo.
 Infatti uno dei principali motivi di Opposizione agli Atti Esecutivi è appunto l’inesistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale; tale opposizione può essere proposta solo dall’esecutato e non dalle altre parti del processo esecutivo. In sostanza, di fronte alla richiesta del procedente, l’ufficio esecutivo deve procedere anche se il titolo esecutivo in senso sostanziale è inesistente; sarà poi l’esecutato a proporre Opposizione all’Esecuzione (instaurando il processo di cognizione idoneo a decidere sull’esistenza o meno del titolo esecutivo in senso sostanziale). Se invece ritenessimo rilevabile d’ufficio la carenza del titolo esecutivo in senso sostanziale vedremmo l’ufficio esecutivo rifiutare di procedere oltre qualora ritenesse che il titolo esecutivo in senso sostanziale è venuto meno. Il creditore procedente, in questo caso, dovrebbe contestare la decisione dell’ufficio esecutivo con l’Opposizione agli Atti Esecutivi. Ma se così fosse la stessa questione sarebbe oggetto di due processi di cognizione tra loro diversi a seconda che l’ufficio esecutivo ritenga esistente o non esistente il diritto di procedere ad esecuzione forzata (il titolo esecutivo in senso sostanziale).
 Si avrebbe, a seconda che l’ufficio esecutiva ritenga il: a) Diritto a procedere a esecuzione forzata Esistente: si emette la misura esecutiva. L’esecutato propone Opposizione all’Esecuzione. b) Diritto a procedere a esecuzione forzata Inesistente: non si emette la misura esecutiva. Il procedente propone Opposizione agli Atti Esecutivi. 15 Quindi, come detto, si possono avere due modi di affrontare tale questione: a) Se si ritiene che l’ufficio esecutivo non possa rilevare d’ufficio l’inesistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale esso dovrà sempre e comunque procedere di fronte alla richiesta del procedente, fermo restando per l’esecutato la possibilità di proporre Opposizione all’Esecuzione (instaurando un processo di cognizione idoneo a decidere sulla questione dell’esistenza del titolo esecutivo). b) Se invece si ritiene che l’ufficio esecutivo possa rilevare d’ufficio l’inesistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale: in questo caso lo strumento per contestare la correttezza dell’operato dell’ufficio esecutivo sarebbe l’Opposizione agli Atti Esecutivi, proponibile alternativamente dal creditore, se l’ufficio rifiuta di compere l’atto, e dall’esecutato, se l’ufficio compie l’atto. La seconda soluzione sembrerebbe la più corretta anche dal punto di vista sistematico ma tuttavia non è accettata dalla giurisprudenza che si infila in un ginepraio. Ciò perchè ritiene sì rilevabile d’ufficio la carenza di titolo esecutivo ma si ha una contraddizione insanabile in quanto la carenza di titolo esecutivo è ora motivo di Opposizione all’Esecuzione ora motivo di Opposizione agli Atti Esecutivi. Infatti abbiamo due casi: a) il giudice dell’esecuzione, ritenendo inesistente il titolo esecutivo in senso sostanziale, può ‘fermare’ il processo esecutivo. Contro tale provvedimento il creditore procedente può proporre Opposizione agli Atti Esecutivi. b) il giudice, ritenendo esistente il titolo esecutivo in senso sostanziale, non ferma il processo esecutivo e concede il provvedimento esecutivo. Contro tale provvedimento l’esecutato può solo proporre Opposizione all’Esecuzione. La carenza di titolo esecutivo non può essere, a seconda di chi prende l’iniziativa di proporre opposizione, motivo di Opposizione agli Atti Esecutivi (creditore procedente) o motivo di Opposizione all’Esecuzione (esecutato). PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO: nel processo esecutivo rilevano solo le questioni relative a come tutelare la situazione sostanziale la cui esistenza è data per scontata. Questo non significa che non si attui all’interno del processo esecutivo il principio del contraddittorio (art 111 Cost) e non si rispetti il diritto di difesa (art 24 Cost).
 Parte della dottrina però nega che nel processo esecutivo si debba rispettare il principio del contraddittorio, essendo totalmente estranee tutte le questioni attinenti alla situazione sostanziale; altri invece sostengono che il principio del contraddittorio vada rispettato ogni volta che sorga una controversia.
 In realtà gli art 24 e 111 Cost vanno applicati a tutti gli interventi giurisdizionali, anche a quelli che non hanno funzione dichiarativa: i soggetti devono poter partecipare in condizione di parità all’attività con la quale l’organo giurisdizionale raccoglie il materiale per stabilire cosa fare; così da convincere chi deciderà della bontà delle proprie affermazione in modo da far assumere alla decisione un contenuto piuttosto che un altro.
 Insomma il principio del contraddittorio ha senso quando le parti sono in grado di collaborare a raccogliere ciò che è rilevante per l’emanazione della misura giurisdizionale. Ciò che serve per l’emanazione della misura giurisdizionale dipende dal tipo di intervento richiesto; anche nel processo esecutivo vi è una ‘cognizione’, dove viene raccolto tutto ciò che serve per decidere se emettere o meno la misura giurisdizionale e quale contenuto dargli. Nel processo esecutivo quindi il principio del contraddittorio si esplica per consentire alle parti di contribuire alla raccolta di ciò che è rilevante per l’emanazione della misura esecutiva. Per ritenere rispettato il principio del contraddittorio nel processo esecutivo le parti devono discutere di ciò che è rilevante per l’attività dell’ufficio esecutivo stesso (e non ad esempio dell’esistenza del diritto da tutelare, che l’ufficio da per scontata). Il Principio del Contraddittorio garantisce il diritto di difesa rispetto a ciò che serve in vista dell’emanazione del provvedimento giurisdizionale, non rispetto a ciò che non serve. Le parti nel processo esecutivo discutono di tutto ciò che rileva ai fini 16 dell’emanazione della tutela esecutiva; non discutono dell’esistenza del diritto sostanziale di cui si chiede la tutela, che è data per scontata dall’ufficio esecutivo (ed è quindi irrilevante per l’emanazione della misura esecutiva). Non si può perciò negare il principio del contraddittorio nel processo esecutivo. Quindi all’interno del processo si vedrà quali sono le attività da compiere per impartire la tutela, poi in relazione a tali attività occorrerà garantire alle parti il diritto di interloquire davanti al giudice. Stando agli art 485 e 487 CPC il giudice deve sentire le parti prima di emettere la misura giurisdizionale. Quindi ciascuna delle parti può cercare di convincere il giudice a emettere/non emettere una misura esecutiva oppure cercare di dargli un contenuto invece che un altro. Il giudice fissa un’udienza per sentire le parti e gliela notifica (se una delle parti non si presenta per una causa a lei non imputabile viene fissata una nuova udienza di comparizione che viene notificata alle parti). Sussistono dunque tutti gli elementi per il rispetto del contraddittorio. All’udienza poi, ciascuna delle parti potrà fornire al giudice tutti gli elementi necessari per convincerlo della bontà delle proprie affermazioni. Qualcuno ritiene che il creditore vanti una posizione preminente rispetto al debitore dato che la tutela esecutiva è a senso unico. Ma qua non siamo in un processo di cognizione, dove la sentenza di merito può essere favorevole sia al convenuto sia all’attore. Il processo esecutivo quando ha luogo produce effetti a favore di una sola delle parti ma per quanto riguarda gli elementi rilevanti per il suo svolgimento non troviamo che il creditore abbia più poteri del debitore: quando si tratta di convincere il giudice la parola del creditore non è più attendibile di quella del debitore. Per quanto riguarda le Domande delle Parti l’art 486 CPC prevede che si propongano con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente nel verbale d’udienza. Per quanto riguarda i Provvedimenti del Giudice l’art 487 CPC invece prevede che essi abbiano la forma dell’ordinanza, che può essere modificata/revocata fino a che non abbia avuto esecuzione; da quel momento in poi non è più modificabile. COMPETENZA: analizziamo ora la composizione dell’Ufficio Esecutivo. In senso verticale per l’Esecuzione Forzata è sempre competente il Tribunale. In senso orizzontale per la Competenza Territoriale (art 9 e 26 CPC) è competente: a) Espropriazione Mobiliare/Immobiliare: è competente il giudice del luogo dove si trova il bene. b) Espropriazione verso Terzi: è competente il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza. c) Esecuzione Forzata Obblighi di Fare/Non Fare: è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. d) Esecuzione Forzata Rilascio/Consegna Beni: è competente il giudice del luogo dove si trovano i beni. Le parti non possono, neanche di comune accordo, derogare alla competenza territoriale. L’incompetenza è rilevabile anche d’ufficio (e anche dall’ufficiale giudiziario, non solo dal giudice). La competenza per l’esecuzione, di cui si parla agli art 9 e 26 CPC, non va confusa con la competenza per le cause di cognizione incidentali (che sono disciplinati dalla competenza per valore/territoriale, ex art 17-27 CPC, dato che sono veri e propri processi di cognizione). Dal 1990 tutti i processi incidentali di cognizione sono monocratici. Per quanto riguarda la Composizione dell’Ufficio Esecutivo dobbiamo dire che non è composto solo dal tribunale nel suo complesso ma bensì da uno o più giudici ai quali vengono attribuite le mansioni di giudice dell’esecuzione. Ha molta importanza anche l’Ufficiale Giudiziario che in talune occasioni è l’unico soggetto a svolgere attività. Le mansioni del giudice e dell’ufficiale giudiziario variano a seconda del provvedimento. 17 ispezione per gli Imprenditori Commerciali: viene nominato un professionista dall’ufficiale giudiziario per esaminare le scritture contabili per controllare eventuali attivi non dichiarati. PIGNORAMENTO MOBILIARE (art 513 CPC): la richiesta viene effettuata dal creditore all’ufficiale giudiziario in forma libera che, di solito, è orale. L’oggetto del pignoramento sono i diritti sul bene mobile che appartengono al debitore esecutato. Pignorabile è il diritto di proprietà e qualunque altro diritto reale minore che abbia il carattere della trasferibilità. Quindi prima del pignoramento si dovrebbe effettuare una ricognizione della consistenza del patrimonio mobiliare del debitore così da individuare i beni mobili pignorabili; solo che tale indagine sarebbe molto complessa e lunga.
 Occorre perciò una semplificazione, per evitare una previa indagine sugli elementi e condizioni che rendono il debitore proprietario del bene mobile.
 Non c’è bisogno di accertare la proprietà del bene in maniera preventiva, basta un elemento processuale (rilevante nel processo esecutivo) particolare: l’Appartenenza.
 Si ha appartenenza quando il debitore esecutato ha la disponibilità dei beni mobili dislocati in beni immobili. Tale relazione ha una portata esclusivamente processuale, serve solo a determinare quali beni siano pignorabili. Tale semplificazione non rende irrilevante il fatto che il debitore sia veramente proprietario: se si pignora un bene non di proprietà del debitore il vero proprietario può intervenire facendo valere il suo diritto di proprietà.
 Ogni volta che all’appartenenza non corrisponde la proprietà, cioè che al diritto processuale non corrisponde il diritto sostanziale, diviene utilizzabile l’Opposizione di Terzo (in cui il terzo, ovviamente, è l’effettivo proprietario).
 Infatti l’oggetto dell’esecuzione è la titolarità dell’esecutato di un diritto sostanziale trasferibile sul bene pignorato, mentre l’oggetto del processo esecutivo è l’appartenenza del bene. In sostanza l’ordinamento spera che le due situazioni coincidano e se non lo fanno sono previste adeguate contromisure.
 L’art 513 CPC fornisce la nozione fondamentale di appartenenza: a) Possono essere pignorati beni mobili che si trovano in un bene immobile appartenente al debitore (non si parla di proprietà dell’immobile ma della mera disponibilità materiale di esso da parte del debitore). b) Su ricorso del creditore, il giudice può autorizzare il pignoramento mobiliare anche in relazioni a beni che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore ma dei quali egli può disporre direttamente senza che colui a cui appartiene l’immobile possa opporsi (ad esempio per la barca nella rimessa). c) Altra possibilità di pignoramento mobiliare diretto si ha quando l’ufficiale giudiziario sottopone a pignoramento le cose che il terzo possessore consente di esibirgli. La cosa mobile del debitore in questi casi si trova presso un terzo: o il terzo riconosce volontariamente che tale bene è di proprietà del debitore oppure, se rifiuta, si rende necessario ricorrere al pignoramento presso terzi (occorre accertare la proprietà del bene mobile nel contraddittorio del terzo detentore o possessore). L’art 514-515-516 CPC indicano una serie di cose mobili per le quali la pignorabilità è assolutamente o parzialmente esclusa o consentita in particolari condizioni di tempo (sono norme che riguardano beni di prima necessità o di scarso valore economico).
 Il pignoramento mobiliare quindi avviene da parte dell’ufficiale giudiziario sui beni indicati dall’art 513 CPC e nei limiti degli art 514-515-516 CPC.
 E’ irrilevante qualsiasi affermazione del debitore circa la non corrispondenza tra appartenenza e proprietà; spetterà poi a chi si afferma proprietario dei beni pignorati tutelare il suo diritto con l’Opposizione di Terzo. L’ufficiale giudiziario deve preferire beni di maggior valore e di più facile liquidazione; la quantità dei beni pignorati (e il relativo presumibile valore di realizzo) deve corrispondere all’incirca all’entità del credito indicato nel precetto aumentato per la metà. L’ufficiale giudiziario man mano che individua i beni li descrive (descrizione fotografica) con l’assistenza di uno stimatore; sulla base dei risultati 20 della stima poi l’ufficiale giudiziario procede al pignoramento definitivo.
 Il verbale del pignoramento, se richiesto, viene dato al debitore e al creditore: se il creditore lo ritiene errato può domandare al giudice un riesame delle valutazioni fatte in sede di pignoramento. Anche l’art 540 Bis CPC prevede che, se in seguito alla vendita, la somma ricavata non è sufficiente, si possa procedere all’integrazione del pignoramento su istanza del creditore.
 Dopo aver redatto il verbale del pignoramento, l’ufficiale giudiziario asporta i beni e li colloca in un deposito (così da evitare che si possa sottrarre il bene all’esecuzione). Non può esser nominato custode il creditore o il suo coniuge (a meno che non ci sia il consenso del debitore) né il debitore o i suoi parenti (a meno che non ci sia il consenso del creditore). Occorre che il bene sia custodito da una persona ‘fidata’ perché altrimenti colui che ha la materiale disponibilità del bene potrebbe trasferirlo a titolo originario ex art 1153 CC (consegnando il bene all’acquirente in buona fede in base a un titolo astrattamente idoneo); in questo caso il diritto di costui sarebbe prevalente su quello del creditore. PIGNORAMENTO IMMOBILIARE (art 555 CPC): l’oggetto dell’esecuzione forzata è il diritto trasferibile che il debitore esecutato ha sull’immobile (ad esempio Uso e Abitazione non sono diritti trasferibili e quindi non possono essere oggetto di esecuzione forzata).
 La titolarità del diritto sul bene immobile è di più facile accertamento di quella sul bene mobile (esistono registri immobiliari e usucapione): ci si basa sulla pura e semplice affermazione del creditore che il debitore ha un diritto su quell’immobile. Il creditore ovviamente si assume la responsabilità della sua affermazione e sottoscrive l’atto di pignoramento. Spetta al creditore ed è nel suo interesse, effettuare gli opportuni accertamenti. La descrizione del bene è effettuato dal creditore con gli stessi estremi individuati dal Codice Civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato (tipologia del bene, comune in cui si trova e estremi catastali).
 L’atto redatto e sottoscritto dal creditore vede aggiungersi l’ingiunzione dell’Ufficiale Giudiziario e poi viene notificato al debitore esecutato. Si trascrive nel registro immobiliare l’atto di pignoramento (notifica e trascrizione sono termini per la decorrenza degli effetti del pignoramento; dalla notifica nascono effetti per il debitore, dalla trascrizione c’è l’opponibilità del pignoramento ai terzi).
 Un’aspetto importante, in tema di pignoramento immobiliare, è la Custodia del bene.
 Si presuppone che al momento del pignoramento il bene immobile pignorato sia nel possesso dell’esecutato, ma tuttavia non è sempre così. Inoltre la disciplina della custodia del bene è stata profondamente rinnovata nel 2006. Oggi è possibile anche il pignoramento di beni immobili di cui il debitore è proprietario ma che non possiede (a differenza dei beni mobili dove basta l’appartenenza). La custodia del bene infatti varia a seconda che l’esecutato possedesse o meno il bene immobile: a) Se al momento del pignoramento l’esecutato possedeva il bene si applica l’art 559 comma 1 CPC, cioè egli diviene dal momento della notifica del pignoramento custode del bene. Comunque sia la custodia dell’esecutato cessa al momento in cui viene disposta la vendita ai sensi degli art 569-571 CPC. Al posto dell’esecutato viene nominato custode il soggetto incaricato della vendita o l’istituto vendite giudiziarie. A ciò si fa eccezione quando il giudice ritiene inutile la sostituzione per la particolare natura dei beni. Ma quando la sostituzione è inutile? Per rispondere dobbiamo chiederci perchè il legislatore ritiene opportuno, al momento in cui inizia il subprocedimento di vendita, che i beni occupati dall’esecutato/custode passino nella custodia di un terzo. La ratio di tale norma è che i soggetti interessati all’acquisto possano in questo modo contare su un custode estraneo all’esecutato, più affidabile.
 Infatti i casi in cui la sostituzione dell’esecutato/custode è inutile sono tutti quei casi in cui l’esame dei beni da parte dei potenziali acquirenti può tranquillamente avvenire 21 anche senza la collaborazione del custode (pensiamo a un terreno non recintato confinante con una strada pubblica, facilmente accessibile). b) Se invece al momento del pignoramento l’esecutato non possedeva il bene la faccenda cambia e si applica l’art 559 comma 2 CPC: sarà il Giudice dell’esecuzione a sostituire l’esecutato nella custodia del bene se questo non è da lui ‘occupato’.
 La ratio di tale necessaria sostituzione consiste nell’opportunità che i rapporti con il terzo possessore che occupa il bene siano tenuti da un soggetto che dia maggiori garanzie del debitore esecutato: è opportuno che la gestione del bene non occupato direttamente dall’esecutato sia tenuta da un estraneo.
 Con l’art 560 CPC si è risposto alle esigenze emerse con il tempo di avere, per le espropriazioni immobiliari, una figura simile al curatore delle espropriazioni concorsuali: infatti oggi il custode del bene immobile pignorato è una sorta di ‘mini-curatore’. Infatti si prevede che il Custode provveda in ogni caso all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato e che possa esercitare le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.
 Sempre all’art 560 CPC si prevede che sia il giudice a prevedere le modalità con cui gli acquirenti possano esaminare il bene (in questa fase l’esecutato, di norma, non è più custode); quando poi si avrà il provvedimento di aggiudicazione o assegnazione ci sarà la contestuale revoca dell’autorizzazione ad abitare l’immobile (tale ordinanza costituirà titolo esecutivo nei confronti dell’esecutato contro il quale il custode può ottenere la disponibilità del bene).
 Quindi l’acquirente, almeno in teoria, dovrebbe essere sollevato dall’obbligo di ottenere dall’esecutato la materiale disponibilità del bene, che gli sarà consegnato dal custode. PIGNORAMENTO DI CREDITI: affinché si possa procedere al pignoramento dei crediti il legislatore istituisce un variegato meccanismo che, dopo la riforma del 2012, può avere una disciplina diversificata.
 Il pignoramento di crediti, se il terzo debitore è solvibile, è la forma più sicura e meno dispendiosa di espropriazione forzata, cui si ricorre con preferenza. Vi sono però dei limiti alla pignorabilità dei crediti.
 Comunque sia il pignoramento di crediti, si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo suo debitore (dell’esecutato) un atto che deve contenere ex art 543 CPC: a) indicazione del Credito per il quale si procede b) Titolo Esecutivo e Precetto c) indicazione anche generica, delle Somme/Cose dovute dal terzo debitore al terzo esecutato. Nell’Atto di Pignoramento si fissa un Udienza dinanzi al tribunale del luogo di residenza del terzo debitore e si indica l’indirizzo di posta elettronica certificato del creditore procedente (il creditore dell’esecutato). Questi tratti sono comuni a tutti gli atti di pignoramento di crediti, poi la disciplina può cambiare a seconda che il credito del debitore verso il terzo derivi da un rapporto di lavoro dipendente.
 Si devono in sostanza distinguere l’ipotesi in cui il terzo è il datore di lavoro (il terzo debitore deve comparire all’udienza fissata per rendere la dichiarazione prevista) dall’ipotesi in cui il terzo non è il datore di lavoro (il terzo debitore è invitato a rendere tale dichiarazione mediante la lettera raccomandata da inviare al creditore entro 10 giorni dal termine del pignoramento).
 Con la notifica di tale atto si producono tutti gli effetti del pignoramento (cosa provvisoria e temporanea, condizionata dal completamento del procedimento che andiamo a vedere). La posizione del terzo debitore dal momento in cui gli viene notificato il pignoramento è quella del custode: egli non deve più adempiere nei confronti del debitore esecutato. Vi è tuttavia un limite agli effetti del pignoramento: il credito dell’esecutato è pignorato massimo per il 150% della somma oggetto del pignoramento (se il credito pignorato supera tale 22 11 - EFFETTI CONSERVATIVI DEL PIGNORAMENTO La disciplina degli effetti conservativi del Pignoramento è contenuta nel Codice Civile. Bisogna, per comprendere meglio la disciplina, aver presenti i pericoli che il creditore corre per il fatto che la tutela esecutiva richiesta non gli venga concessa subito. Non si può accordare al creditore la tutela richiesta nel momento esatto in cui la chiede; ci sarà necessariamente un intervallo tempo tra il pignoramento e la vendita forzata. In questo intervallo possono verificarsi eventi capaci di pregiudicare la tutela esecutiva richiesta.
 I pericoli che corre sono essenzialmente due: a) Modificazioni della Realtà Materiale che riguarda il bene su cui cade il diritto pignorato (ad esempio il deterioramento). A questo pericolo si fa fronte mediante la custodia. b) Modificazioni attinenti alla Titolarità del diritto pignorato, attraverso atti di disposizione idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito. L’ordinamento infatti prevede una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato dopo il pignoramento. Nell’individuare questa disciplina si deve seguire il Principio del Minimo Mezzo, ovvero l’alterazione delle regole ordinarie deve essere contenuta nei limiti strettamente indispensabili al raggiungimento dello scopo (tra tutte le possibilità si deve scegliere quella che è sufficiente a raggiungere la tutela del creditore e che allo stesso tempo altera meno possibile la disciplina di diritto comune). Il Pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che pignorante. Stando all’art 2912 CC il pignoramento comprende anche le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato. I frutti maturati dopo il pignoramento vengono acquisiti all’esecuzione (dal momento del pignoramento il bene è affidato in custodia a un soggetto che deve amministrarlo nell’interesse dell’esecuzione). I frutti sono percepiti dal possessore, col pignoramento il debitore pignorato perde il possesso che è adesso esercitato dal custode; il custode è perciò obbligato al termine dell’espropriazione al rendiconto (perchè esercita un’attività nell’interesse altrui). Abbiamo però visto come, riguardo a un bene immobile, non è detto che il debitore esecutato abbia il possesso del bene su cui cade il pignoramento. Il pignoramento immobiliare, al contrario di quello mobiliare, non presuppone che il bene immobile sia nel possesso (nell’appartenenza, per essere precisi) dell’esecutato. In questo caso l’art 2912 CC non può operare perché gli eventuali frutti continuano a essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione. Se il bene immobile è in possesso dell’esecutato si applica l’art 2912 CC, ovvero l’esecutato diventa custode del bene e percepisce i frutti ma non può farli propri, deve conservarli nell’interesse dell’esecuzione. Il debitore esecutato perde il possesso dunque, se mantiene la materiale disponibilità del bene è solo a titolo di custodia.
 Il possesso a questo punto si ‘congela’: l’esecutato lo perde ma nessuno acquista sul bene il possesso civilistico (neanche il creditore procedente che acquista un mero diritto processuale, inidoneo a far sorgere il possesso che presuppone un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto reale). Il possesso rimane in sospeso fino al momento in cui verrà trasferito in capo all’aggiudicatario che acquista il bene in seguito alla vendita forzata. Se invece il bene immobile pignorato è posseduto da terzi il debitore esecutato non ne può divenire il custode e non può percepire i frutti dato che non li percepiva neanche prima (dato che non ne era possessore); i frutti continuano a essere percepiti dal possessore del bene stesso (che potrà anche, a differenza dell’esecutato in possesso del bene, farli propri). 25 INOPPONIBILITA’ ATTI DI DISPOSIZIONE: ex art 2913 CC, gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengono nell’esecuzione. C’è un’eccezione però riguardo il possesso in buona fede per i beni mobili. Il debitore esecutato può far sorgere a favore di un terzo a titolo originario, un diritto sul bene pignorato sulla base dell’art 1153 CC (acquisto in buona fede di beni mobili). L’art 1153 CC vale sia quando chi dispone non è titolare (da chi non è proprietario; acquisto a non domino) sia quando chi dispone è proprietario ma non può disporre del diritto in questione. Il custode dei beni pignorati è l’unico soggetto che può consegnare il bene all’acquirente facendo scattare il meccanismo dell’art 1153 CC, sottraendolo all’esecuzione. Fuori da quest’ipotesi l’atto di alienazione non ha effetti in pregiudizio del creditore pignorante. Il pregiudizio, quando si verifica, si verifica perché intercorre un certo lasso di tempo tra pignoramento e vendita (la situazione è simile alla successione nel diritto controverso nel processo di cognizione). L’applicazione di norme di diritto comune ad eventi che si verificano durante il processo così come la durata del processo non deve danneggiare chi ha diritto alla tutela. Si devono perciò applicare, sempre con un occhio volto al rispetto del principio del minimo mezzo, norme speciali a tali eventi (non norme di diritto comune, che vanno applicate a eventi che si verificano al di fuori del processo). Per evitare il pregiudizio appena indicato, l’Ordinamento ha a disposizione molti strumenti: a) Nullità: si rende l’atto di alienazione del bene pignorato nullo; tale meccanismo è esagerato: l’atto non produrrebbe effetti neppure tra le parti e tale nullità investirebbe anche terzi non interessati all’esecuzione (la nullità opera erga omnes). Cozza con il principio del minimo mezzo. b) Inefficacia Relativa Sostanziale: l’atto di trasferimento del bene pignorato trasferisce la proprietà sia nei confronti delle parti (debitore esecutato-acquirente del bene pignorato) sia nei confronti di terzi ma non nei confronti del creditore procedente; per lui la proprietà rimane del debitore esecutato. Anche questa soluzione, pur essendo la più seguita in dottrina, si rivela eccessiva perché l’atto di disposizione può benissimo avere effetti, sul piano del diritto sostanziale, anche nei confronti del creditore; l’importante è che non abbia effetti sul piano processuale, ovvero all’interno del processo esecutivo (specialmente in un eventuale processo che l’acquirente del bene pignorato proponga per chiedere la liberazione del bene acquistato dal pignoramento).
 Ad esempio Caio pignora a Tizio un auto; Tizio vende l’auto pignorata a Sempronio. L’auto poi produce un danno a Caio sul piano del diritto sostanziale (lo investe sulle strisce): dato che per Caio sul piano sostanziale il proprietario dell’auto è ancora Tizio dovrebbe chiedere a lui il risarcimento del danno, e non a Sempronio che è l’effettivo proprietario dell’auto che lo ha investito. Ciò è assurdo.
 L’importante è impedire che Sempronio possa fondare la sua Opposizione di Terzo sull’acquisto del bene pignorato, nulla più di questo. c) Inefficacia Relativa Processuale: è quindi questa la regola da seguire: l’atto di alienazione trasferisce la proprietà sul piano sostanziale con efficacia erga omnes (anche nei confronti del creditore procedente). Tale trasferimento però non è idoneo a fondare l’Opposizione ex art 619 CPC (cioè l’opposizione che il terzo, che pretende di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, può fare prima che essi vengano venduti/assegnati).
 In sostanza se l’acquirente del bene pignorato fonda la sua opposizione su un atto di disposizione, inefficace ex art 2913 CC rispetto al creditore, l’opposizione verrà rigettata. Quindi l’atto di disposizione del bene pignorato non ha effetti verso il creditore (anche quelli intervenuti) sul piano processuale (mentre sul piano sostanziale si). Inoltre lo stesso art 2913 CC estende l’inopponibilità degli atti di disposizione del bene pignorato anche ai creditori che intervengono nell’esecuzione. 
 Ad esempio Caio pignora il bene di Tizio il 10 Marzo, Tizio il 14 lo vende a Sempronio e 26 il 18 interviene Mevio, creditore. Nei confronti di Caio, creditore procedente, l’atto di alienazione non sarà efficace, perché il pignoramento è antecedente all’atto di disposizione; ma anche nei confronti di Mevio l’atto non sarà efficace anche se il suo intervento è successivo all’alienazione del bene pignorato.
 Quindi gli effetti del pignoramento vanno a vantaggio di tutti i creditori che intervengono nel processo esecutivo, anche dopo che il bene è stato alienato. Questa è una differenza rispetto alla successione nel diritto controverso ex art 111 CPC: in quel caso gli effetti della domanda giudiziale si verificano solo a favore di colui che la propone e non di altri soggetti che intervengono nel processo. I soggetti che propongono ulteriori domande non sono protetti dalla domanda giudiziale originaria mentre i creditori che intervengo nell’esecuzione sono protetti dal pignoramento originario. Tale differenza è che nel caso dell’art 111 CPC si amplia con l’intervento l’oggetto del processo (e gli effetti non vengono trasferiti al diverso oggetto); con l’intervento del creditore nel processo di espropriazione non si amplia l’oggetto del processo. OGGETTO DELL’ESECUZIONE DOPO L’ATTO DI DISPOSIZIONE: Ma l’alienazione del bene pignorato muta l’oggetto dell’espropriazione? L’oggetto dell’espropriazione era e rimane il diritto del debitore esecutato sul bene oppure oggetto dell’espropriazione diviene il diritto che ha sul bene l’acquirente del debitore esecutato? In sostanza, quando il bene pignorato è alienato chi subisce l’espropriazione: il debitore o il terzo acquirente? L’art 2919 CC ci dice che chi acquista il bene pignorato acquista i diritti sul bene che aveva colui che ha subito l’espropriazione (il debitore esecutato). Oggetto dell’espropriazione rimane il diritto del debitore esecutato e non quello del terzo acquirente del bene pignorato. E’ l’art 2914 CC, applicazione concreta dell’art 2913 CC, che risolve il conflitto tra creditore procedente e avente causa del debitore esecutato (chi acquista diritti sul bene pignorato): a) se l’atto di pignoramento è anteriore all’atto di alienazione si verifica l’inefficacia ex art 2913 CC. Gli atti di disposizione del bene pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti. b) se invece è l’atto di alienazione è anteriore all’atto di pignoramento allora l’acquirente prevale sul creditore procedente. L’art 2914 CC prevede quattro fattispecie per risolvere il conflitto tra creditore procedente e terzo acquirente del debitore esecutato (sono gli stessi criteri che si usano quando ci sono due aventi causa dello stesso dante causa). Il caso è questo: Caio pignora un bene a Tizio; Sempronio vanta diritti sul bene in quanto afferma di averli derivati da Tizio. Chi prevale? Il conflitto tra Caio e Sempronio si risolve come il conflitto tra due aventi causa dello stesso dante causa. Si equipara la posizione di Caio a quella di un avente causa del debitore esecutato; il diritto processuale-strumentale di Caio viene equiparato a un diritto reale, nel conflitto con Sempronio. Quindi relativamente a: a) Beni Immobili: prevale colui che ha trascritto per primo l’atto (di pignoramento o l’atto di acquisto). Secondo l’art 2644 CC infatti nel caso di doppio atto di disposizione prevale chi ha trascritto prima nel tempo il proprio atto: l’art 2914 CC ricopia la stessa regola. b) Credito: il conflitto tra creditore pignorante (che vuole sottoporre all’espropriazione forzata il credito del suo debitore) e cessionario (terzo che ha acquistato il credito dal debitore esecutato) si risolve sulla base della priorità tra il pignoramento e la notificazione della cessione al debitore ceduto, o l’accettazione della cessione con atto di data certa. L’atto di pignoramento, in quanto redatto da un Pubblico Ufficiale ha sempre data certa. Così come l’art 1265 CC dice che tra i due creditori prevale quello che ha notificato per primo la cessione (o che si è visto accettare per primo la cessione), l’art 2914 CC dice che nel caso di pignoramento la priorità della notifica della cessione (o dell’accettazione) rispetto alla notifica del pignoramento da al 27 debitore esecutato) ha acquistato in virtù della trascrizione del pignoramento una posizione sul piano sostanziale prevalente su quella dell’attore le cose sono diverse: l’attore non potrà più attaccare tale posizione e se proponesse Opposizione di Terzo ex art 619 CPC, questa verrebbe sicuramente rigettata (Esempio #3), proprio in virtù della trascrizione anteriore del pignoramento.
 Esempio #1: Il 17 Febbraio si trascrive la domanda di rivendicazione di Tizio contro Caio; il 18 febbraio viene trascritto il pignoramento di Sempronio: la sentenza tra Tizio e Caio avrà efficacia anche contro Sempronio (e contro l’aggiudicatario).
 Esempio #2: Il 17 Febbraio si trascrive il pignoramento di Sempronio contro Caio; il 18 Febbraio viene trascritta la domanda di Tizio contro Caio: la sentenza che accerterà che Tizio è proprietario non avrà efficacia nei confronti di Sempronio. Ma Tizio, sapendo che tale sentenza non sarà opponibile a Sempronio, può proporre domanda di rivendicazione nelle forme dell’Opposizione ex art 619 CPC, all’interno del processo di esecuzione di Sempronio e Caio. Così facendo Tizio integra il contraddittorio con Caio e Sempronio, dimostra in questa sede di essere proprietario e ottiene una sentenza efficace anche verso Sempronio (e verso l’aggiudicatario).
 Esempio #3: Il 17 Febbraio viene trascritto il pignoramento di Sempronio contro Caio e il 18 Febbraio viene trascritta la domanda di risoluzione del contratto con cui Tizio ha venduto a Caio il bene che poi è stato pignorato da Sempronio. Sul piano sostanziale la posizione di Sempronio è divenuta intangibile da parte di Tizio. Tizio non potrà soddisfarsi sottraendo il bene all’esecuzione (non può assolutamente toglierlo a Sempronio); avrà soltanto il diritto al risarcimento nei confronti nei confronti di Caio.
 Se anche Tizio proponesse opposizione ex art 619 CPC questa verrebbe rigettata, dato che Sempronio ha trascritto il pignoramento prima della domanda di risoluzione.
 Il creditore pignorante (Sempronio) ha la stessa posizione sostanziale di intangibilità di un’avente causa del debitore esecutato: il pignoramento da al creditore la stessa tutela che l’atto di acquisto da ad un avente causa del convenuto.
 Talvolta possono essere richiesti altri elementi previsti dall’art 2652 CC (buona fede, titolo oneroso etc) oltre che all’anteriorità della trascrizione: la sussistenza di tali elementi andrà valutata volta volta con riferimento al creditore pignorante. RAGIONI DI PRELAZIONE: dall’art 2916 CC si ricavano due principi: a) Il pignoramento congela le ragioni di prelazione dei vari creditori: quando si distribuirà il ricavato si terrà conto solo delle ragioni di prelazione esistenti alla data del pignoramento, quelle sorte dopo quella data del pignoramento non sono opponibili alla massa dei creditori. b) Il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all’interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento. Il credito sorto dopo il pignoramento legittima l’intervento del suo titolare nell’espropriazione.
 Questa è una delle differenze principali tra espropriazione singolare e espropriazione concorsuale: nell’espropriazione concorsuale infatti non si possono fare valere i crediti sorti dopo la dichiarazione di insolvenza.
 Se il credito sorto dopo il pignoramento è privilegiato la ragione di prelazione non ha però alcuna efficacia. PIGNORAMENTO DI CREDITI: il discorso qua è più complesso, siamo all’art 2917 CC. Gli effetti del pignoramento del credito sono l’inopponibilità all’esecuzione forzata degli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento dal titolare del diritto di credito pignorato. Il pignoramento rende, in capo al debitore esecutato, indisponibile il credito; addirittura anche gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato dopo la notifica dell’atto previsto dall’art 543 CPC (pignoramento del credito che deve essere notificato al terzo, debitore dell’esecutato) sono processualmente inefficaci contro il creditore procedente e 30 intervenuti. Nei confronti del debitore esecutato, gli effetti del pignoramento di credito sono analoghi a quelli del pignoramento di altri beni. Quando oggetto del pignoramento è un credito il terzo debitore è obbligato a non adempiere nei confronti del debitore esecutato; il terzo diventa custode (se il terzo adempie si libera solo sul piano sostanziale; tale adempimento è inopponibile al creditore procedente sul piano processuale ex art 2917 CC, il terzo debitore deve corrispondere di nuovo la somma all’esecuzione forzata).
 Il pignoramento congela il credito così com’è al momento in cui tale credito è pignorato e tutti gli atti di disposizione del credito non saranno opponibili al creditore procedente. I fatti estintivi del credito prodotti anteriormente al pignoramento o che non dipendono da atti di disposizioni dell’esecutato o da comportamenti volontari del terzo sono opponibili. Ad esempio il 19 Febbraio Tizio pignora un credito che ha Caio nei confronti di Sempronio: se in data anteriore al 19 febbraio erano maturati i presupposti per la compensazione (magari era divenuto esigibile un controcredito di Sempronio nei confronti di Caio) Sempronio può ben far valere la compensazione nei confronti di Tizio. 12 - VICENDE ANOMALE RELATIVE AL PIGNORAMENTO Esaminiamo ora una serie di istituti che si collocano tra il Pignoramento e la Vendita Forzata (istituti che dimostrano che nel processo esecutivo si rispetta il principio del contraddittorio e che la posizione tra debitore esecutato e creditore procedente sono paritarie). Vediamo adesso tali istituti: a) Pignoramento Congiunto (art 493 CPC): ci può essere un’unica istanza di pignoramento (e un solo atto di pignoramento) a tutela di più creditori, anche sulla base di titoli esecutivi diversi. Eventuali nullità relative alla fase di pignoramento si verificano per tutti (essendo unico l’atto la nullità che lo colpisce riguarderà tutti i creditori). b) Unione di Pignoramenti (art 523 CPC): più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente a effettuare un pignoramento mobiliare. E’ un’ipotesi molto rara; a differenza del pignoramento congiunto qua non c’è una sola istanza di pignoramento ma per il resto vale la stessa disciplina. c) Pignoramento Successivo (art 493 CPC): ad esempio il creditore Caio pignora un bene di Tizio; dopo Sempronio, altro creditore di Tizio, munito di titolo esecutivo deve scegliere se limitarsi a intervenire nel processo esecutivo (attività semplice e poco costosa) o se effettuare un pignoramento successivo dello stesso bene (attività impegnativa e dispendiosa). Con il semplice intervento abbiamo Tizio che pignora il 13 Gennaio; Sempronio che entra nell’esecuzione il 31 Gennaio e Caio, debitore esecutato, che vende il bene pignorato a Mevio il 15 Febbraio. 
 Se l’esecuzione che ha iniziato Caio, e nella quale è intervenuto Sempronio, va in porto senza che Tizio lamenti eventuali vizi o la mancanza del titolo esecutivo di Caio l’alienazione del bene pignorato non pregiudica Sempronio; egli parteciperà alla distribuzione del ricavato della vendita forzata del bene pignorato.
 Se invece il pignoramento effettuato da Tizio venisse caducato perché dichiarato nullo (magari Tizio non aveva titolo esecutivo) Sempronio, intervenuto nel processo esecutivo, subirebbe la stessa sorte di Tizio. Ecco un primo pregiudizio per Sempronio, un pregiudizio di natura processuale. Sempronio dovrà iniziare di nuovo l’espropriazione notificando titolo esecutivo e precetto, facendo un nuovo pignoramento e ritardando così la propria soddisfazione.
 Ma non è finita qua: se come nell’esempio Tizio ha, in pendenza di processo, alienato il bene allora Sempronio subirà anche un pregiudizio di natura sostanziale. L’atto di alienazione, una volta caducato il pignoramento espande i suoi effetti: Sempronio non potrà infatti instaurare un nuovo processo esecutivo perchè impedito dall’alienazione 31 fatta il 15 Febbraio a Mevio.
 Immaginiamo ora che Sempronio, invece di un semplice intervento, abbia fatto, in data 31 Gennaio, un Pignoramento Successivo. Tizio debitore esecutato propone le sue opposizioni e il giudice dell’esecuzione, accogliendo tali opposizioni, caduca il pignoramento del creditore procedente Caio: ciò non pregiudica affatto il pignoramento successivo fatto da Sempronio, che prosegue la propria esecuzione fondandola sul pignoramento da lui effettuato. Sempronio non subirà alcun pregiudizio dal punto di vista processuale e sarà protetto dagli atti di disposizione successivi al 31 Gennaio, data in cui ha fatto il successivo pignoramento (non è invece protetto dagli atti intercorsi tra il 13 Gennaio, data del pignoramento di Caio, e il 31 Gennaio). Il Pignoramento Successivo vale sia come pignoramento che come intervento nel processo esecutivo aperto da Caio.
 Quindi Sempronio deve valutare la situazione e poi decidere se intervenire nel processo (si fida, evidentemente, del pignoramento di Caio) oppure fare un pignoramento successivo (più scomodo ma più sicuro davanti a un pignoramento poco affidabile di Caio).
 E’ dubbia l’applicazione di questa disciplina ai casi in cui il pignoramento di Caio viene caducato non per un vizio o per mancanza di titolo esecutivo ma bensì per inesistenza di diritto sostanziale di Tizio (in questo caso il processo esecutivo non è viziato ma ingiusto). LITISPENDENZA ESECUTIVA: Parlare di Pignoramento Successivo ha messo in luce un principio fondamentale: non si possono avere processi esecutivi diversi per lo stesso bene pignorato nei confronti dello stesso debitore. Non si possono avere più processi esecutivi perché uno non può vendere più volte lo stesso bene per ricavare i soldi da dividere poi tra i creditori. Nei trasferimenti successivi al primo dello stesso bene l’acquirente non comprerebbe nulla. Anche se gli effetti di ciascun pignoramento sono autonomi, il processo esecutivo è unico. Se, per errore, venissero portati avanti più processi esecutivi per lo stesso bene nei confronti dello stesso esecutato, l’opinione comune dice che dovrebbe prevalere la vendita effettuata per prima; ma ciò è vero solo per i beni mobili dato che la consegna del bene all’aggiudicatario impedisce le vendite successive. Per i beni immobili, universalità di beni mobili e per i crediti prevale il trasferimento effettuato nel processo esecutivo che ha il pignoramento di data anteriore. I problemi che si pongono sono diversi, quando sono pignorati diritti incompatibili che hanno ad oggetto lo stesso bene, però nei confronti di debitori diversi. Solo un diritto può esistere in questi casi. Il diritto del debitore esecutato Tizio sul bene X è diverso dal diritto del debitore esecutato Caio sullo stesso bene X. Ad esempio avremmo Caio che instaura un processo di espropriazione e pignora il bene X di Tizio e Sempronio che pignora lo stesso bene X in un processo di espropriazione contro Mevio. Entrambi i processi possono andare avanti, dato che i diritti che ne sono oggetto sono diversi. Ci saranno due vendite, una contro Tizio e una contro Mevio e vi saranno anche due acquirenti in vendita forzata ma solo uno acquisterà il diritto. Nel primo processo si trasferisce il diritto di Tizio, nel secondo quello di Mevio. L’art 2919 CC stabilisce che la vendita forzata trasferisce i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. Ciascuno degli acquirenti ha un titolo di acquisto derivante da un processo diverso: si tratta di vedere quale dei due prevale. Il contrasto tra i due viene risolto in un processo di cognizione che stabilirà se il diritto spettava a Tizio o a Mevio (e il relativo acquirente vincerà); non ha alcuna importanza la data della trascrizione del pignoramento dato che sono effettuati contro soggetti diversi (Tizio e Mevio). Ovviamente si può risolvere il problema anche in via preventiva attraverso l’Opposizione di Terzo ex art 619 CPC: in questo caso Caio interviene nel processo esecutivo instaurato da 32 CESSAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PIGNORAMENTO: siamo all’art 497 CPC che dice che all’avvenuto pignoramento deve seguire in un termine minimo di 10 giorni e un termine massimo di 90 giorni, la richiesta di liquidazione del bene (ovvero la richiesta del creditore di passare alla fase successiva dell’espropriazione). Tale fase non ha luogo quando oggetto dell’espropriazione è un qualcosa che non deve essere liquidato (ad esempio una somma di denaro); in quel caso si passa direttamente alla distribuzione del ricavato. Se scade il termine il pignoramento decade e, se pignorato era un bene immobile, si ha la cancellazione della trascrizione del pignoramento: ciò grazie all’art 562 CPC (fosse per l’art 497 CPC il pignoramento sarebbe inefficace ma rimarrebbe sui registri immobiliari). Si cancella la trascrizione del pignoramento trascrivendo un altro atto dove si dichiara che tale pignoramento è divenuto inefficace. Dobbiamo anche dire che l’art 2668 Ter CC estende alla trascrizione del pignoramento la disciplina della trascrizione delle domande; quindi tale trascrizione sarà efficace per 20 anni, al termine dei quali deve essere rinnovata (se l’esecuzione forzata dura più di 20 anni deve essere rinnovata altrimenti la trascrizione del pignoramento perde effetti). Infatti può accadere che un processo si estingua senza che ci sia un’ordinanza di cancellazione del pignoramento: quindi grazie all’art 2668 Ter CC in sostanza si può non tenere conto di trascrizione di pignoramenti effettuati oltre 20 anni prima. PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO: ovviamente colui che subisce l’esecuzione non è una statua di sale per l’ordinamento. Egli non subisce solo gli effetti, ha un’ampia gamma di strumenti da spendere all’interno del processo di esecuzione; strumenti che non mettono mai in discussione se l’esecuzione si farà, ma che fanno andare avanti il processo esecutivo nella maniera più corretta possibile. Il diritto a procedere a esecuzione forzata viene presupposto come sussistente. Per contestare il ‘se’ dell’esecuzione si deve ricorrere a un processo di cognizione, incidentale al processo di esecuzione, nel quale si accerterà la sussistenza delle condizioni necessarie per poter procedere all’esecuzione forzata. Per contestare il ‘se’ dell’esecuzione forzata si hanno strumenti esterni al processo di esecuzione (all’interno dell’esecuzione si parte dal presupposto che ci sia il diritto da tutelare e si adegua il processo di conseguenza, senza eccedere nell’espropriazione). ENTITA’ DEL CREDITO & VALORE DEI BENI PIGNORATI: il pignoramento, come abbiamo visto, è valido anche quando è eccessivo: gli strumenti del debitore non portano mai alla dichiarazione di invalidità del pignoramento ma alla liberazione dei beni pignorati. Ancora, le contestazioni del debitore circa l’entità del credito non conducono mai alla caducazione del processo esecutivo. Il processo è valido anche se il credito è inferiore a quello vantato nel precetto. Affinché il creditore abbia diritto a procedere a esecuzione forzata è necessario che il credito vi sia, non che abbia una determinata entità. Di conseguenza le contestazioni del debitore sull’entità del credito del creditore procedente non possono essere fatte valere con l’opposizione all’esecuzione al fine di ottenere la caducazione del processo esecutivo: il debitore può usare altri strumenti (riduzione, cumulo, conversione, controversia in sede di riparto ex art 512 CPC) e per ottenere altri effetti. 35 13 - L’INTERVENTO DEI CREDITORI Il fondamento dell’intervento dei creditori nell’espropriazione si ricava dalla lettura congiunta dell’art 2740 CC (il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri) e dell’art 2741 CC (i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione come pegno, ipoteca, privilegi). I ‘privilegi’ però valgono finché il bene rimane nel patrimonio del debitore, non lo seguono una volta uscito. Invece pegno e ipoteca, che sono diritti reali di garanzia seguono il bene, ossia hanno sequela nei confronti del patrimonio di altri soggetti. Un bene gravato da ipoteca resta gravato da ipoteca, anche se il soggetto lo vende (pertanto il creditore può perseguire il bene anche quando è di proprietà di un soggetto diverso dal debitore, con l’Espropriazione contro il Terzo Proprietario). Nel nostro sistema non esistono ipoteche generali (che hanno ad oggetto tutti i beni di un soggetto) o occulte (che non possono essere conosciute): l’ipoteca risulta sempre dal registro pubblico. Dunque dalla lettura congiunta degli art 2740-2741 CC si ricava che le ragioni di prelazione sono l’unico meccanismo che incide sul principio della par condicio dei creditori: il processo deve rispettare le cause di prelazione che nascono sulla base del diritto sostanziale (nel processo esecutivo si rispetta la condizione che hanno i creditori nel diritto sostanziale). E’ infatti sul piano del diritto processuale, sul piano della tutela giurisdizionale, che vale il principio della par condicio dei creditori. In sostanza la tutela esecutiva dei creditori deve essere strutturata in modo tale da attuare le prescrizioni del diritto sostanziale. Fino al 2006 tutti i creditori potevano intervenire nell’esecuzione per chiedere la soddisfazione del proprio diritto sulla base delle regole previste dal diritto sostanziale; adesso la nuova -ed infelice- disciplina presenta profili di incostituzionalità. L’art 499 CPC del 2006 limita l’intervento nel processo esecutivo a: - chi ha titolo esecutivo (anche successivo al pignoramento). - chi, al momento del pignoramento, ha un credito garantito (da pegno, prelazione scritta o sequestro). - chi, al momento del pignoramento, è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili previste all’art 2214 CC. Il creditore che vuole intervenire deposita nella cancelleria del giudice dell’esecuzione un ricorso, contenente l’indicazione del credito e del suo titolo (la sua fattispecie costitutiva) e la domanda per partecipare ala distribuzione della somma ricavata. Tale articolo, prevedendo un intervento prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, sembrerebbe escludere l’intervento tardivo ma, come vedremo, non è così: l’intervento tardivo dei creditori è ammesso. Il creditore che non è munito di titolo esecutivo ma che può intervenire nell’esecuzione (dato che appartiene a una delle categorie previste dal primo comma) deve notificare al debitore l’atto di intervento (e se l’intervento ha luogo in virtù di scritture contabili, ne deve notificare una loro copia). Sempre all’art 499 comma 5-6 CPC, si istituisce un procedimento di Verificazione dei Crediti per i soli creditori legittimati a intervenire che non hanno un titolo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione fissa con ordinanza (che viene notificata da una delle parti) un udienza per la comparizione del debitore e dei creditori non muniti di titolo esecutivo. Se all’udienza il debitore riconosce l’esistenza del credito, in tutto o in parte, questo acquisisce il diritto di essere soddisfatto (lo stesso avviene se il debitore non si presenta). Se invece il debitore contesta il credito, in tutto o in parte, il creditore ha l’onere di proporre entro 30 giorni una domanda idonea a munirlo di titolo esecutivo (se il processo volto a ottenere il titolo esecutivo è già pendente il creditore non ha nessun onere). La riforma del 2006 mirava a eliminare tutti i processi di cognizione strumentali unicamente alla tutela esecutiva; quindi questo intervento che ristruttura l’intervento dei 36 creditori è controtendenza (si rende necessario instaurare un processo di cognizione al solo fine di ottenere la soddisfazione del proprio credito in un’espropriazione già in corso). E’ inoltre criticabile la scelta di consentire l’intervento nell’espropriazione solo ai creditori: - muniti di titolo esecutivo - titolari di un credito garantito da pegno, prelazione scritta o sequestro - titolari di un credito risultante da scritture contabili I creditori che non rientrano in queste categorie non hanno possibilità di soddisfarsi (a meno che, di fronte al pericolo di pregiudizio imminente e irreparabile, ricorrano alla Tutela di Urgenza ex art 700 CPC). Questa scelta del legislatore tradisce il principio della Par Condicio dei Debitori, che non è un optional rimesso alle scelte del legislatore ma l’attuazione di un principio costituzionale (il processo deve essere strumento di attuazione del diritto sostanziale, non di distorsione). Se il legislatore sostanziale ha previsto che certi crediti vadano soddisfatti prima di altri non può il legislatore processuale costruire un sistema di tutela esecutiva che impedisce a quei creditori di intervenire e favorire altri creditori. Se il legislatore sostanziale dispone che il credito di Tizio debba essere soddisfatto prima di quello di Sempronio non può una scelta del legislatore processuale consentire l’intervento a Sempronio e non a Tizio; altrimenti la scelta del legislatore sostanziale rimane disattesa. Quindi la riforma del 2006 è anche incostituzionale perché viola uno dei canoni fondamentali tra diritto sostanziale e processo: la Par Condicio dei Creditori. Si consideri però che se il debitore è sottoposto a una procedura concorsuale la situazione cambia radicalmente. Niente impedisce al legislatore di restringere l’intervento nell’espropriazione a talune categorie di creditori a patto però che consenta loro di munirsi di un titolo di legittimazione a partecipare alla distribuzione del ricavato (ottenendo così l’accantonamento delle somme a lui potenzialmente spettanti). Oppure il legislatore può prevedere un processo concorsuale generalizzato per tutti i debitori che abbiano un patrimonio insufficiente a soddisfare i creditori. Al di fuori di queste due ipotesi la riforma del 2006 realizza una palese violazione dei principio costituzionali. EFFETTI DELL’INTERVENTO: gli effetti dell’intervento sono previsti dall’art 500 CPC (più l’art 526 CPC per i beni mobili e l’art 564 CPC per i beni immobili). All’art 500 CPC si fa riferimento a due conseguenze dell’intervento: a) Diritto di prendere parte alla distribuzione del ricavato b) Diritto di partecipare attivamente al processo esecutivo Queste due conseguenze vengono assicurate in modo incondizionato solo ai creditori che intervengono muniti di titolo esecutivo. Chi invece interviene senza titolo esecutivo può prendere parte alla distribuzione del ricavato solo se si verificano le condizioni previste dall’art 499 comma 6 CPC (Verificazione dei Crediti) e, pur partecipando all’espropriazione, non può comunque compiere gli atti necessari per far procedere verso il suo esito finale, ovvero la liquidazione del bene pignorato. Il creditore munito di titolo esecutivo invece può scegliere se intervenire semplicemente nel processo esecutivo oppure se effettuare un pignoramento successivo (attività più costosa e gravosa). Se il creditore munito di titolo esecutivo opta per l’intervento può, ex art 500 CPC, sostituirsi al creditore procedente e e compiere gli atti necessari alla prosecuzione del processo. I creditori intervenuti, se muniti di titolo esecutivo, possono provocare i singoli atti del processo esecutivo: hanno diritto di partecipare all’espropriazione, diventano parte del processo a tutti gli effetti. Se il creditore intervenuto e munito di titolo esecutivo può compiere i singoli atti dell’espropriazione egli potrà anche compiere l’Istanza di Vendita, in mancanza della quale il processo esecutivo si estinguerebbe. Inoltre, fino al momento della vendita, occorre che sia presente alle udienze un creditore munito di titolo esecutivo, altrimenti il processo esecutivo si estingue: il creditore 37 INTERVENTO TEMPESTIVO & TARDIVO: l’intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo. All’art 528 CPC (espropriazione mobiliare), all’art 551 CPC (espropriazione crediti) e all’art 565 CPC (espropriazione immobiliare) si distinguono i creditori intervenuti tempestivamente da quelli intervenuti tardivamente con riferimento ai creditori non muniti di diritto di prelazione; i creditori chirografi, cioè quei creditori che non sono muniti di Titolo Esecutivo (dato che chi ha prelazione viene soddisfatto secondo l’ordine delle prelazione previsto dal codice civile). Ovviamente l’intervento per i creditori (sia chirografi che muniti di prelazione) è possibile entro la distribuzione del ricavato e non oltre. I creditori chirografi tempestivi vengono soddisfatti dopo i creditori con diritto di prelazione in ragione percentuale del loro credito. I creditori chirografi tardivi invece si soddisfano sul residuo che, eventualmente, avanza dopo la soddisfazione dei creditori chirografi tempestivi. Il momento per stabilire se si è tempestivi o tardivi è l’udienza che apre la fase di liquidazione, ovvero la prima udienza fissata per stabilire le modalità della vendita o dell’assegnazione. Se l’intervento è effettuato entro tale udienza è tempestivo, se viene effettuato dopo allora è tardivo. Nel caso dell’art 525 comma 3 CPC (Piccola Espropriazione Mobiliare) la tempestività dell’intervento invece si misura sull’istanza con cui il creditore pignorante chiede che sia fissata l’udienza per determinare le modalità di liquidazione (una tardività anticipata rispetto all’espropriazione ordinaria). Nel caso invece dell’Espropriazione dei Crediti per stabilire la tardività dell’intervento è rilevante l’udienza di comparizione delle parti, fissata dal creditore pignorante ex art 543 CPC dato che in questa udienza, come vedremo, il processo esecutivo può chiudersi. Infatti in tale udienza qualora il terzo renda o abbia reso una dichiarazione conforme ha luogo anche l’assegnazione del credito e il processo esecutivo si chiude. Ecco perchè un intervento tardivo nell’espropriazione dei crediti è possibile solo se la dichiarazione è omessa oppure contestata: solo in questo caso il creditore avrà la possibilità materiale di intervenire sia pur tardivamente. Se invece il pignoramento si conclude con la conforme dichiarazione del terzo pignorato, il termine per l’intervento coincide con il momento in cui si chiude il processo. Ma perché il legislatore distingue tra creditori tempestivi e creditori tardivi? L’ordinamento, attraverso tutta una serie di istituti, consente al creditore di muoversi liberamente nella scelta delle varie forme di espropriazione e nell’individuazione dei beni da espropriare. Se poi il creditore esagera nell’attività di espropriazione abbiamo dei mezzi per correggere l’errore (riduzione del pignoramento, cumulo dei mezzi di espropriazione). Tutti questi meccanismi funzionano solo nella fase anteriore alla vendita però; poi ci si deve fermare altrimenti il processo esecutivo non arriverebbe mai alla fine, ci sarebbe un continuo ampliarsi o ridursi dell’entità dei beni pignorati a seconda dei creditori che intervengono e del valore dei beni. Un creditore che intervenisse successivamente alla fase di liquidazione scombinerebbe tutti i calcoli fatti fino a quel momento, con il rischio che i beni di cui è ormai stata disposta la liquidazione risultino insufficienti per soddisfare tutti i creditori. Ecco perché l’intervento dopo un po’ è tardivo e il creditore tardivo si soddisfa dopo i creditori tempestivi, se ci sono, e dopo il creditore procedente in ogni caso. Questa regola non ha senso per i creditori privilegiati: essi hanno diritto alla soddisfazione prima dei chirografi, anche se questi sono intervenuti tempestivamente. Sempre all’art 499 CPC si parla di Estensione del Pignoramento. Il creditore pignorante può indicare ai creditori tempestivi ulteriori beni del debitore utilmente pignorabili; il creditore procedente ovviamente pignora dei beni con riferimento al valore del suo credito quindi i beni da lui pignorati non sono sufficienti qualora intervengano altri creditori. 40 Se i beni pignorati dal creditore procedente sono tutto il patrimonio del debitore allora c’è una situazione di incapienza: si farà una lista dei creditori da soddisfare nell’ordine e si soddisferanno in modo proporzionale rispetto ai loro rispettivi crediti. Se invece la quantità di beni pignorati deriva da una scelta del creditore procedente e nel patrimonio del debitore vi sono altri beni pignorabili allora gli altri creditori, intervenuti nell’esecuzione per loro scelta, possono estendere il pignoramento su tali beni. Sarà il creditore procedente a indicare agli intervenuti l’esistenza di altri beni e ad invitarli ad estendere il pignoramento (se hanno titolo esecutivo) o ad anticipare lui le spese (se non hanno titolo esecutivo) per effettuare l’estensione col proprio titolo. Se i creditori intervenuti non rispondono all’invito di estensione del pignoramento diventano postergati al creditore procedente al momento della distribuzione. Ecco dunque una seconda ipotesi di prelazione di natura processuale. Quindi abbiamo due ipotesi di prelazione di natura processuale: a) tardività dell’intervento dei creditori chirografi. b) creditori intervenuti che non rispondono all’invito di estensione del pignoramento fatto dal creditore procedente (che diventano Postergati). 14 - LA VENDITA & L’ASSEGNAZIONE IN GENERALE Siamo nella seconda fase del processo di espropriazione, il diritto pignorato viene ora liquidato (trasformato in una somma denaro) per soddisfare il creditore procedente e i creditori eventualmente intervenuti. La liquidazione ovviamente non è necessaria quando oggetto del pignoramento è una somma di denaro. L’art 501 CPC è fondamentale nel passaggio dalla fase della fase del pignoramento a quella della liquidazione; prevede un termine dilatatorio minimo di dieci giorni dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita. Il termine dell’art 510 CPC ha due funzioni: innanzitutto consente al debitore di reagire al pignoramento e inoltre da un minimo di tempo agli altri creditori per intervenire tempestivamente. Ricordando che l’art 497 CPC prevede che il pignoramento perda effetti trascorsi 90 giorni dal suo compimento se non viene richiesta l’assegnazione o la vendita, vediamo che ci sono 80 giorni utili per proporre l’istanza di vendita. Va anche detto che il termine dilatatorio dell’art 501 CPC non si applica alle cose deteriorabili, per cui la liquidazione può essere immediata. Decorso il termine dilatatorio interviene l’art 529 CPC che stabilisce che il creditore procedente (e i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivi) può chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. Da questa norma ricaviamo che, per proporre istanza di vendita o assegnazione, un creditore, deve essere munito di titolo esecutivo. Se manca l’istanza di vendita o assegnazione il pignoramento perde efficacia; i creditori senza titolo esecutivo dovranno o procurarsene uno o aspettare un altro pignoramento, così da poter intervenire nella successiva espropriazione. ASSEGNAZIONE: i modi per procedere alla liquidazione del bene pignorato sono o la Vendita o l’Assegnazione. L’Assegnazione è l'attribuzione diretta del bene pignorato al creditore procedente sulla base di un determinato valore.
 Non ci sono differenze dal punto di vista degli effetti sostanziali: in ogni caso il diritto pignorato si trasferisce a un altro soggetto. La differenza è meramente processuale: nella Vendita il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell’esecutato può essere chiunque tranne il debitore esecutato; nell’Assegnazione invece il diritto viene trasferito a uno dei creditori, procedente o intervenuto (un affare di famiglia con i creditori già parte del processo esecutivo). Esistono infatti limiti e condizioni così da garantire che l’assegnazione non abbia luogo per una somma non corrispondente al valore del bene. 41 L’assegnazione può assumere due diverse configurazioni: - Assegnazione Satisfattiva: il creditore vede soddisfatto, in tutto o in parte, il proprio credito, mediante l'assegnazione del diritto pignorato: si ha dunque un duplice effetto, il primo traslativo – il diritto passa dal debitore al creditore – ed uno estintivo – il credito infatti si estingue. Nell’assegnazione satisfattiva quindi si produce anche l’estinzione del credito (nelle altre ipotesi il provvedimento liquidativo ha solo effetto traslativo). E’ il corrispondente della datio in solutum del piano sostanziale sul piano processuale. - Assegnazione-Vendita: si ha quando il creditore assegnatario, per rendersi tale, paga una somma di denaro. Il creditore paga una somma di denaro per poter diventare assegnatario del diritto pignorato e quindi non soddisfa il proprio credito, poiché il corrispettivo del trasferimento è un vero e proprio 'prezzo' che paga e la somma finisce nel ricavato totale da distribuire tra gli altri creditori, proprio come se il bene fosse stato venduto e non assegnato.
 La fase della distribuzione si ha solo nell’Assegnazione-Vendita; non si ha nell’assegnazione satisfattiva dove il procedimento si chiude con il provvedimento di assegnazione. Ad esempio il creditore procedente ha un credito di 10.000€ e il bene pignorato ne vale 8.000€. Il creditore si rende assegnatario e, sul piano del diritto sostanziale, diventa proprietario del bene. A questo punto il credito si è estinto parzialmente (si è ridotto a 2.000€). La distribuzione non ci sarà perché il processo si chiude con l’assegnazione dato che non c’è niente da distribuire.
 Nel caso dell’assegnazione-vendita invece la situazione è ben diversa: il creditore si rende assegnatario e paga una somma che poi viene distribuita nelle forme normali. Ma che senso ha un istituto del genere? Serve ad evitare che, dopo una prima vendita fallimentare, il bene che il creditore intende 'acquistare' possa essere nuovamente sottoposto a vendita ad un prezzo inferiore, diminuendo così le possibilità di una piena soddisfazione del proprio credito. RAPPORTI TRA ASSEGNAZIONE E VENDITA: tali rapporti sono i seguenti: a) ci sono beni che debbono essere assegnati senza previo tentativo di vendita; parliamo dei beni ex art 553 CPC, ovvero i crediti pignorati scaduti o che scadano entro 90 giorni. E’ un’Assegnazione Coattiva, che prescinde dalla domanda dei creditori. b) ci sono beni che possono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita; parliamo dei beni ex art 529 CPC, ovvero i titoli di credito e altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o dal mercato. Anche se si procedesse alla vendita non si realizzerebbe un valore maggiore di quello previsto dal listino. E’ un’Assegnazione Volontaria, ovvero ha luogo su istanza del creditore. c) ci sono beni che debbono essere assegnati dopo un tentativo di vendita (evidentemente fallito); parliamo dei beni ex art 539 CPC ovvero gli oggetti d’oro o argento che non possono essere venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco. Se restano invenduti sono assegnati, per tale valore, ai creditori. E’ un’Assegnazione Coattiva, prescinde dalla domanda dei creditori. d) tutti gli altri beni possono essere assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito. Ciò significa che nel tentativo di vendita non si è raggiunto il prezzo di stima del bene. E’ un’Assegnazione Volontaria, ovvero ha luogo su istanza del creditore.
 Per evitare che l’assegnazione avvenga, in base a un accordo tra creditori, ad un prezzo di favore viene stabilito un valore minimo di assegnazione. Con questi meccanismi si ha la garanzia che l’assegnazione del bene non avvenga in pregiudizio del debitore o degli altri creditori.
 L'assegnazione infatti, come prevede l'art. 506 c.p.c., viene fatta soltanto per un valore minimo stabilito: cioè il Valore di Assegnazione è il maggiore tra il valore di stima e la somma di spese di esecuzione e crediti con prelazione (collocati anteriormente al creditore offerente).
 42 proposito); inoltre la pregiudizialità tra rito e merito deve essere mantenuta fino a quando la parte ha diritto di far controllare la sentenza che decide dell’opposizione con l’impugnazione (come prevede l’art 111 Cost). Il legislatore ha imposto la preventiva decisione delle questioni di rito per evitare che si procedesse alla vendita quando è ancora incerta la validità del processo esecutivo e quindi una successiva dichiarazione di invalidità comportasse poi la caducazione della vendita stessa. Non si vuole una vendita condizionata dall’accertamento della validità del processo esecutivo (ecco perché non è possibile una vendita forzata compiuta in pendenza del ricorso per cassazione contro la sentenza che ha rigettato l’Opposizione agli Atti Esecutivi). Appena invece si sarà formato il giudicato si potrà procedere nei modi previsti dagli art 530 e 569 CPC.
 In sostanza si deve prima giungere ad una decisione, con sentenza definitiva, dell'Opposizione agli Atti Esecutivi e solo successivamente il giudice dell'esecuzione, con ordinanza, potrà disporre la vendita o l’assegnazione (anzi, si dovrà aspettare che siano scaduti i termini per impugnare la sentenza che decide dell’opposizione). Se, al contrario, in sede di opposizione si accerta che la stessa è fondata, non si potrà procedere alla vendita, a meno che la nullità rilevata non sia sanabile con una rinnovazione. STIMA DEL BENE: siamo arrivati adesso ad un punto in cui di opposizioni agli atti non ce ne sono, oppure si è raggiunto un accordo, o la sentenza che rigetta le opposizioni è ormai passata in giudicato. Il giudice ora dispone, con ordinanza, la vendita forzata (o l’assegnazione nei casi in cui è possibile). Disporre la vendita forzata vuol dire assegnare un valore al bene che è stato pignorato. Ciò non è mai avvenuto in alcun modo fino a questo momento (tutte le attribuzioni di valore finora fatte indicavano un valore provvisorio). Le valutazioni fatte dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento non sono vincolanti per quanto riguarda la vendita. In questa sede si dovrà procedere alla valutazione del bene ad opera di un soggetto competente, ovvero uno Stimatore. A questo punto però le strade si dividono e bisogna seguire le varie forme di espropriazione nelle loro singole specificità, perché i vari tipi di beni sono assoggettati a modalità diverse di liquidazione. 15 - SINGOLE FORME DI VENDITA FORZATA 1 - VENDITA MOBILIARE: la disciplina, nell’espropriazione mobiliare, è unitaria sia per l’Espropriazione Diretta sia per quella dei beni che il debitore ha presso terzi. I modi di liquidazione del bene sono essenzialmente due: a) Vendita a Mezzo Commissionario: siamo all’art 532 CPC. Si affida la vendita del bene mobile, preventivamente stimato da un esperto, per un prezzo minimo stabilito dal giudice, a un soggetto che lo vende a trattativa privata (mediante un contratto che egli stipula con l’acquirente). Di solito le vendite sono fatte dall’Istituto Vendite Giudiziarie (solo davanti a particolarità dell’oggetto vengono fatte da altri soggetti, ad esempio per la vendita di un quadro è opportuno rivolgersi a un gallerista).
 L’atto traslativo non avviene all’interno del processo esecutivo ma è delegato a un terzo. Il processo poi recepirà solo gli effetti dell’atto compiuto tra il commissionario e acquirente in vendita forzata. Il commissionario ha diritto a un compenso che viene stabilito dal giudice. b) Vendita all’Incanto: siamo all’art 534 CPC. La vendita all’incanto può essere affidata al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o ad un istituto all’uopo autorizzato. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto e una data; nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca a ritirare i beni dal custode perché al vendita all’incanto avviene alla presenza del bene. L’aggiudicazione del bene è fatta al miglior offerente; egli paga il prezzo e si porta via il bene. Il soggetto incaricato della vendita versa all’esecuzione il ricavato 45 (trattenendosi il compenso che gli spetta per legge). Il trasferimento della proprietà avviene al momento del pagamento del prezzo. Vediamo come non si applica il principio consensualistico come per i contratti: ulteriore conferma che all’analogia degli effetti tra vendita comune e vendita forzata non corrisponde un’analogia nel regime dei rispettivi atti; atti con natura e disciplina diversa producono gli stessi effetti. Può darsi però che la vendita del bene mobile non avvenga in nessuno dei due modi sopraelencati perché non si trova nessuno che offra il prezzo minimo. E’ l’ipotesi della Vendita Fallita (non effettuata per mancanza di offerenti). A questo punto l’art 583 CPC prevede due diverse soluzioni: a) si ha l’assegnazione, su richiesta di uno o più creditori, per il valore di stima determinato dal giudice prima di procedere alla vendita. b) se nessuno chiede l’assegnazione l’incaricato effettua una seconda vendita all’incanto abbassando del 20% il prezzo del bene (ciò non può avvenire per oro e argento, che devono essere assegnati per il loro valore estrinseco) Gli art 534 Bis e Ter CPC disciplinano la Vendita di Beni Mobili Registrati. Il giudice può delegare la vendita (con o senza incanto) all’istituto vendite giudiziarie o ad un professionista iscritto nell’apposito elenco tenuto presso il tribunale. La vendita dei beni mobili registrati su delega ha la stessa disciplina della vendita su delega dei beni immobili. 2 - LIQUIDAZIONE DEI CREDITI: perfezionato il pignoramento si procede alla liquidazione che avviene attraverso il trasferimento del credito dal debitore esecutato, che ne è titolare, ad un soggetto diverso. Si trasferisce il credito a un altro soggetto che poi compirà l’attività necessaria per la riscossione. Si ha dal punto di vista sostanziale, una Cessione del Credito: l’assegnatario è un cessionario che diventa nuovo titolare del credito; il terzo debitore diventa invece debitore dell’assegnatario. Si applicano poi tutte le regole della cessione circa l’opponibilità al cessionario delle eccezioni opponibili al debitore ceduto: il debitore ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che può opporre a un cessionario divenuto tale in virtù di un atto di diritto sostanziale. C’è però una differenza con la cessione di diritto comune: essa può aver luogo senza alcun previo accertamento di esistenza del credito; la cessione di credito di cui stiamo parlando ora invece può essere preceduta da una dichiarazione resa dal terzo debitore ceduto (dichiarazione alla quale egli è vincolato). Le eccezioni opponibili dal terzo debitore dunque non potranno contrastare con tale dichiarazione. Inoltre va detto che il terzo debitore non può opporre all’assegnatario o all’acquirente del credito le eccezioni che non può opporre al creditore procedente. Ad esempio Tizio, debitore di Caio, paga a Caio dopo aver ricevuto la notificazione del pignoramento di Sempronio, creditore di Caio. Il credito viene assegnato a Sempronio: Tizio non può opporre a Sempronio il pagamento; tale fatto estintivo è efficace nei confronti di Caio ma non certo di Sempronio (creditore procedente). Credito Scaduto: se il credito è scaduto (o scade entro 90 giorni) l’assegnazione è coattiva; non è necessaria la richiesta dell’assegnazione. In sostanza, come prevede l’art 2928 CC, il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato. Si tratta di una Cessione Pro Solvendo (in cui il creditore cedente risponde dell'eventuale inadempienza del debitore). Infatti al momento dell’assegnazione non si ha l’estinzione del diritto del creditore assegnatario verso il debitore esecutato: tutti e due i diritti di credito rimangono coesistenti. Il creditore assegnatario mantiene sia il dritto verso il debitore esecutato, sia il diritto verso il terzo debitore assegnato fino al momento del pagamento. Quando il terzo debitore assegnato paga al creditore assegnatario si estingue automaticamente, per la quantità corrispondente, anche il credito che il creditore assegnatario vanta nei confronti del debitore esecutato. Di conseguenza, se il terzo (debitore ceduto) è insolvente il creditore mantiene intatto anche il diritto nei confronti del debitore originario (il debitore esecutato). 46 In sostanza si ha assegnazione pro solvendo nel caso in cui, se il terzo debitore assegnato (ceduto quindi) è inadempiente, il creditore assegnatario può rivolgere le proprie pretese di nuovo al debitore esecutato. Crediti che scadono oltre i 90 giorni: la disciplina è più incerta, l’art 533 CPC dice che i crediti che scadono entro 90 giorni possono essere assegnati (su richiesta di uno o più creditori) o venduti (se nessun creditore ne chiede l’assegnazione). 
 Se il credito è venduto significa che si è trovato un soggetto che si rende cessionario del credito pagando una somma (ovviamente inferiore al valore nominale del credito, dato che l’acquirente del credito deve scontare il ritardo nella riscossione e la solvibilità del terzo ceduto). L’acquirente del credito in questo caso paga subito e un domani che va a riscuotere può anche trovare il terzo debitore insolvente. La somma per cui è venduto il credito dunque è minore o maggiore a seconda di tutte le variabili sopra esposte. Qua però abbiamo una Cessione Pro Soluto (che si ha quando il cedente non deve rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore; garantisce solamente dell'esistenza del credito). Se invece della vendita i creditori chiedono l’Assegnazione però nascono dei problemi. Abbiamo visto come per i crediti scaduti o che scadono entro 90 giorni l’assegnazione sia coattiva ed avviene pro solvendo. Qua invece l’assegnazione ha luogo su domanda dei creditori. Ma come avviene questa assegnazione, pro solvendo o pro soluto? Avviene Pro Soluto, ma vediamo perchè.
 La tradizione del vecchio codice è che l’assegnazione a domanda dei crediti da scadere avvenga pro soluto. D’altro canto però l’art 2928 CC dice solo ‘se oggetto dell’assegnazione è un credito’ sembrando voler ricomprendere tutte le ipotesi di assegnazione del credito nella disciplina dell’assegnazione pro solvendo. Ma se ci pensiamo bene nell’art 553 CPC c’è un’importante elemento che ci permette di risolvere la questione: l’equiparazione della vendita del credito all’assegnazione su domanda. La vendita avviene sicuramente pro soluto, quindi si deve pensare che anche l’assegnazione avvenga pro soluto. Si deve quindi tener conto che il valore del credito non è più il valore nominale ma un valore scontato (si deve togliere il rischio dell’inadempimento del terzo debitore assegnato e il tempo che trascorrerà prima di incassare la somma). Quando il credito viene venduto il terzo acquirente versa una somma di denaro, che poi sarà oggetto di distribuzione nei modi ordinari. Quando invece il credito viene assegnato il processo esecutivo si chiude; non c’è altro da fare, non c’è bisogno di passare alla fase di distribuzione del ricavato. RISCOSSIONE DEL CREDITO ASSEGNATO: l’assegnatario si trova nella posizione di chi deve curare la riscossione del credito di cui è divenuto titolare. Si deve distinguere tra: a) Assegnazione Pro Solvendo: curare la riscossione è un onere del creditore assegnatario; egli non può rendersi inattivo e pretendere di mantenere il suo credito nei confronti del debitore esecutato. Se si vuole mantenere tale diritto di credito, si deve fare tutto ciò che è necessario per riscuotere dall’assegnato. b) Assegnazione Pro Soluto: il credito nei confronti del debitore esecutato si è estinto nel momento dell’assegnazione (così come avviene anche nel caso della vendita) per la somma corrispondente al valore dell’assegnazione stessa. E’ interesse esclusivo dell’assegnatario procedere alla riscossione. Comunque sia in ambedue i casi se il terzo debitore assegnato non paga, l’assegnatario deve provvedere alla tutela giurisdizionale del suo diritto di credito. Per poter accedere all’esecuzione forzata nei confronti del terzo debitore assegnato l’assegnatario ha però bisogno di un titolo esecutivo. Se il debitore esecutato aveva un titolo esecutivo nei confronti del terzo debitore allora non c’è problema: l’assegnatario subentra nella possibilità di utilizzare tale titolo. Se invece il debitore esecutato non aveva un titolo esecutivo l’opinione prevalente dice che l’assegnatario può utilizzare come titolo esecutivo 47 professionista. Anche la vendita non ha luogo in pubblica udienza e pertanto non è più necessaria la presenza di un creditore munito di titolo esecutivo. Il professionista provvede a determinare il prezzo, pubblicizzare la vendita, effettuare la vendita senza incanto e eventualmente quella con incanto; poi aggiudica il bene, riceve il pagamento del prezzo etc. Egli predispone anche il decreto di trasferimento. Se nel corso delle operazioni affidate al professionista sorgono difficoltà egli può rivolgersi al giudice dell’esecuzione che provvede con decreto. Le parti possono proporre reclamo al giudice dell’esecuzione contro tale decreto e contro gli atti del professionista. Tali reclami vengono decisi con ordinanza contro la quale si può proporre Opposizione agli Atti Esecutivi. 16 - EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA E DELL’ASSEGNAZIONE Dopo mille disquisizioni in dottrina, oggi si ritiene che la vendita forzata sia un fenomeno essenzialmente processuale; quindi anche gli atti che compie l’acquirente sono atti del processo esecutivo. La vendita è dunque un procedimento giurisdizionale, ma dato che il processo si muove sempre in vista del diritto sostanziale ha effetti di diritto sostanziale. Di tali effetti si occupano gli art da 2919 a 2929 CC.
 Gli effetti sostanziali della vendita forzata sono disciplinati dagli art 2919 ss. CC e dall’art 586 CPC. Ai sensi dell’art 2919 CC. la vendita forzata determina a favore dell’aggiudicatario un acquisto a titolo derivativo e non a titolo originario. Ciò significa che l’aggiudicatario diviene proprietario del bene in quanto il debitore fosse proprietario del bene stesso all’atto del pignoramento. La derivatività dell’acquisto dell’aggiudicatario è affiancata da alcune particolarità. In primo luogo all’aggiudicatario non sono opponibili “i diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione”. In secondo luogo, come si desume dall’art 586 CPC., la vendita forzata determina l’estinzione dei diritti di prelazione, anche con diritto di seguito, che gravavano sul bene pignorato: si tratta del cosiddetto effetto purgativo della vendita forzata (che giustifica la piena soddisfazione dei creditori tardivi dotati di prelazione). Questa disciplina fa sorgere un duplice problema: a) la tutela del terzo proprietario del bene mobile acquistato a titolo originario dall’aggiudicatario in forza dell’art 1153 CC b) la tutela dell’aggiudicatario che, avendo acquistato a titolo derivativo, abbia eventualmente acquistato male e subito di conseguenza l’evizione (un terzo fa valere il suo diritto di proprietà sulla cosa venduta e la sottrae a colui che l'ha comprata). ACQUISTI A TITOLO DERIVATO (ART 2919 CC): tale norma afferma che la vendita forzata trasferisce sull’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. Diciamo già da ora, inoltre, che gli effetti sostanziali della vendita forzata sono gli stessi dell’assegnazione forzata (tranne per alcune particolarità che vedremo). L’art 2919 CC parla non di debitore ma di ‘colui che ha subito l’espropriazione’ e questo perché non sempre chi subisce l’espropriazione è debitore (può essere anche un terzo). Possiamo dire che la Vendita Forzata da luogo a un acquisto a titolo derivativo dato che la misura del diritto è determinata sulla misura del diritto del dante causa. In passato, identificando l’acquisto a titolo derivativo con acquisto consensuale, questa impostazione faceva storcere il naso: sotto tale profilo, ovviamente, la Vendita Forzata non è un acquisto a titolo derivativo.
 50 Parlando di acquisto a titolo derivativo relativamente alla vendita forzata il termine ‘derivativo’ e ‘originario’ connotano un’altro fenomeno. Oggi si intendono come: a) Acquisto a Titolo Originario: acquisto che avviene anche se in capo a un eventuale dante causa non esiste un diritto uguale o maggiore di quello acquistato. In sostanza il diritto acquistato è autonomo sul piano sostanziale dal diritto di colui che subisce l’espropriazione. b) Acquisto a Titolo Derivativo: acquisto che postula la sussistenza in capo al dante causa di una situazione uguale o maggiore di quella acquistata. In sostanza il diritto acquistato è dipendente sul piano sostanziale dal diritto di colui che subisce l’espropriazione. La regola generale della Vendita Forzata infatti è che sia un acquisto a titolo derivativo, che non pregiudica il terzo vero proprietario nel caso colui che subisce l’espropriazione non sia effettivamente titolare del diritto pignorato.
 Ciò proprio perché la vendita forzata fa acquistare all’aggiudicatario i diritti che spettavano a colui che ha subito l’espropriazione; se tali diritti spettavano in realtà a un terzo l’aggiudicatario non acquista niente (e la vendita non toglie niente al terzo).
 L’ultima parte dell’art 2919 CC stabilisce che non sono opponibili all’acquirente in vendita forzata i diritti dei terzi, che non sono opponibili al creditore pignorante.
 Ciò significa che l’aggiudicatario acquista a titolo derivativo non ciò che colui che subisce l’espropriazione aveva al momento della vendita ma bensì al momento del pignoramento: dunque la vendita forzata è un acquisto a titolo derivativo dove è rilevante la situazione di diritto sostanziale sussistente in capo all’esecutato nel momento in cui viene effettuato il pignoramento (tanto gli effetti del pignoramento sono appunto quelli di conservare il diritto in vista della vendita forzata; rendono inopponibili gli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento).
 Creditori Intervenuti: l’ultimo comma dell’art 2919 CPC infatti richiama le regole che determinano l’inopponibilità dei diritti dei terzi al creditore pignorante; parla però anche dei creditori intervenuti nell’esecuzione (abbiamo visto come i creditori intervenuti beneficino degli effetti utili del pignoramento). Si estendono gli effetti conservativi del pignoramento ai creditori intervenuti: ciò è una peculiarità del pignoramento (ciò che non ci permette di equiparare la res pignorata alla res litigiosa).
 Con il richiamo ai creditori intervenuti dunque si vuole dire qualcosa di diverso, cioè che, in alcuni casi alcuni diritti di terzi, opponibili al creditore pignorante, sono invece inopponibili ad altri creditori intervenuti nell’esecuzione (altrimenti non avrebbe senso che l’art 2919 CC vi facesse esplicito riferimento). Deve esserci, in sostanza, qualcosa che da più protezione del pignoramento ai creditori intervenuti; una protezione maggiore che il creditore può trasferire all’acquirente in vendita forzata, qualora egli intervenga nell’esecuzione.
 Se non esistesse un meccanismo di tutela che rende inopponibili al creditore intervenuto gli atti dispositivi dell’esecutato in maniera diversa e maggiore rispetto a quanto avviene per il creditore procedente il riferimento dell’art 2919 CC non avrebbe senso.
 Ecco, allora dobbiamo cercare una categoria di creditori nei cui confronti gli atti dell’esecutato siano inopponibili in misura maggiore di quanto lo siano rispetto al creditore pignorante. Questo diverso meccanismo esiste ed è previsto per il Creditore Ipotecario. Il fenomeno ipotizzato dall’art 2812 CC è il seguente: si iscrive ipoteca sul bene e successivamente un terzo viene investito di un diritto appartenente alla prima o seconda delle seguenti categorie: a) Titolari di Diritti Reali Maggiori (Superficie, Enfiteusi, Nuda o Piena Proprietà): in questo caso si osservano le disposizioni relative ai terzi acquirenti. Si da al creditore ipotecario il potere di espropriare il bene anche contro il terzo acquirente (e non solo quindi nei confronti di colui che gli ha concesso l’ipoteca, ma anche nei confronti di colui che ha 51 acquistato un diritto reale maggiore su tale bene). Quando sul bene ipotecato gravano diritti reali maggiori il processo di espropriazione assume alcune caratteristiche particolari che danno luogo all’espropriazione contro il terzo proprietario.
 Se, dopo l’iscrizione dell’ipoteca, il proprietario costituisce a favore di terzi un diritto reale maggiore, il creditore ipotecario può espropriare il bene certo ma notificherà titolo esecutivo e precetto al terzo acquirente, effettuerà il pignoramento e la vendita forzata contro il terzo acquirente (che diventa esecutato) e l’aggiudicatario di tale vendita forzata acquisterà un titolo contro il terzo acquirente.
 Il passaggio del bene ipotecato non pregiudica il creditore ipotecario, dato che può sempre colpire il bene presso l’attuale proprietario/enfiteuta/superficiario che diventa soggetto esecutato. L’acquirente in vendita forzata acquista dal terzo proprietario e non dal debitore; sul piano del diritto sostanziale la proprietà passa da chi ha concesso l’ipoteca a un terzo e magari da lui a un altro soggetto e così via.
 Quindi il creditore ipotecario agisce contro l’ultimo acquirente; contro questi si crea il titolo di trasferimento a favore dell’aggiudicatario, che viene così a essere l’ultimo avente causa di tutta la catena di trasferimenti b) Titolari di Diritti Reali Minori (Servitù, Usufrutto, Uso, Abitazione): per i diritti reali minori il meccanismo è diverso; i diritti reali minori non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. L’art 2812 CC stabilisce che al creditore ipotecario non sono opponibili i diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione il cui titolo sia stato trascritto dopo l’iscrizione dell’ipoteca: il creditore ipotecario può vendere quel bene come libero. Il creditore ipotecario conserva il diritto di far vendere il bene come libero tanto quando assume il ruolo di procedente tanto quando interviene nel processo esecutivo iniziato da altri; non avrebbe senso che i favori dell’art 2812 CC valessero quando è creditore procedente e non quando è creditore intervenuto. Il legislatore in sostanza prevede che l’espropriazione si faccia contro i titolari dei diritti reali maggiori e prevede invece l’espropriazione ignorando i titolari dei diritti reali minori. Perché questa previsione? Ciò deriva dalla precedente impostazione della norma (che derivava dal codice civile francese); là si distingueva tra usufrutto-superficie-enfiteusi- proprietà e uso-abitazione-servitù, l’usufrutto prima era tra i diritti reali maggiori. L’espropriazione contro il titolare dei diritti appartenenti alla seconda categoria (uso abitazione e servitù) non è possibile, dato che tali diritti non sono trasferibili sul piano del diritto sostanziale non si può formare un titolo di trasferimento tra acquirente in vendita forzata e titolare del diritto di uso, abitazione o servitù. Per il titolare di diritti appartenenti alla prima categoria (usufrutto, superficie e enfiteusi) invece l’espropriazione è possibile perché tali diritti possono essere trasferiti sul piano del diritto sostanziale. Tale distinzione quindi aveva un senso nella originaria versione della norma, un senso che oggi non ha più; semplicemente leggendo l’art 2812 CC non se ne capisce la ratio. I titolari dei diritti indicati all’art 2812 CC non divengono esecutati perché (tranne l’usufruttuario) non sono titolari di un diritto suscettibile di essere trasferito. Il loro diritto con la vendita forzata si estingue per incompatibilità e si trasforma in una somma di denaro (che è l’equivalente del diritto estinto).
 I titolari dei diritti che si estinguono con l’espropriazione divengo quindi creditori privilegiati iscritti: privilegiati perché hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografi; iscritti perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. I creditori privilegiati iscritti, data la loro posizione destinata a trasformarsi in un diritto di credito con prelazione risultante dai pubblici registri, rientrano nelle revisioni dell’art 498 CPC e vanno avvertiti della pendenza del processo. 52 tutt’al più, come vedremo, chiedere la ripetizione dell’indebito sostenendo l’inesistenza del credito; ma parliamo di ragioni sostanziali e non processuali). Per quanto riguarda i rapporti tra esecutato e aggiudicatario acquirente la regola fondamentale è questa: la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’aggiudicatario. Le nullità del processo anteriori al procedimento di vendita non sono opponibili all’acquirente o all’assegnatario in vendita forzata. L’ultimo momento utile per far valere le nullità è nell’udienza fissata per determinare le modalità di vendita o di assegnazione; nel caso siano fatte valere il giudice non può disporre la vendita forzata finchè la relativa controversia non è risolta. Le nullità vanno fatte valere con lo speciale mezzo dell’Opposizione agli Atti Esecutivi. Se si verifica poi una nullità nel sub-procedimento di vendita, essa sarà opponibile all’aggiudicatario ma non fuori del processo: essa deve essere fatta valere all’interno del processo esecutivo con l’Opposizione agli Atti Esecutivi. Se ad esempio l’aggiudicatario versa il prezzo oltre il termine perentorio tale nullità non sarà un motivo idoneo per far si che il debitore esecutato, una volta concluso il processo esecutivo, chieda la restituzione del bene: avrebbe dovuto far valere la nullità all’interno del processo esecutivo con l’Opposizione agli Atti Esecutivi. A tale regola si fa però eccezione nel caso l’acquirente abbia colluso con il creditore procedente e l’esecutato abbia avuto notizia di tale collusione solo dopo la chiusura del processo esecutivo. L’art 2929 CC però parla della nullità degli atti esecutivi e non della mancanza del diritto di procedere a esecuzione: la contestazione del diritto a procedere da parte del debitore esecutato si fa valere con l’opposizione all’esecuzione che da luogo a una sospensione facoltativa del processo. Non c’è una norma che imponga al giudice di esaminare prima le questioni sulla sussistenza del diritto a procedere e poi di andare avanti con la vendita. E’ naturale che sia così dato che non esiste una vera pregiudizialità tra diritto a procedere e esecuzione forzata con i suoi relativi effetti. Consideriamo infatti che il risultato dell’esecuzione forzata è trasformare il diritto in una somma di denaro. Inoltre come vedremo la distribuzione del ricavato non impedisce al debitore di contestare, dopo la chiusura del processo esecutivo, la sussistenza dei crediti soddisfatti. Egli ha la possibilità di farsi consegnare il ricavato uguale al valore del bene dai creditori, non ha motivo di chiedere all’aggiudicatario il bene. Sostanzialmente sono più gravi le nullità del processo esecutivo che la mancanza del diritto di procedere a esecuzione forzata (la mancanza di questo non impedisce di trasformare il bene in denaro; magari sarà una trasformazione ingiusta ma certamente sarà attendibile perché operata da un processo valido). Le nullità invece rendono la trasformazione inattendibile, non vi è corrispondenza tra bene e ricavato per via dell’utilizzo di un meccanismo viziato. Ecco perché l’art 2929 CC non fa riferimento alla carenza di diritto di procedere a esecuzione forzata: tale diritto non è presupposto per il corretto funzionamento del processor esecutivo. 17 - LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO Siamo al terzo momento dell’espropriazione forzata, la Fase Distributiva. La distribuzione del ricavato viene disciplinata dagli art 509-512 CPC in generale e dagli art 541 e542 CPC per l’espropriazione mobiliare e dagli art 596-598 CPC per l’espropriazione immobiliare. Non ci sono molte differenze tra le norme in questione: la distribuzione del ricavato avviene all’incirca alla solita maniera. L’art 509 stabilisce che la somma, oggetto della distribuzione, è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio, rendita o provento di cose da pignorare (ad esempio i frutti del bene pignorato), multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario. 55 ORDINE DELLA DISTRIBUZIONE: il più rilevante problema nella distribuzione del ricavato è l’ordine di graduazione dei crediti, che è il seguente. a) Spese della Procedura: anche in presenza di diritti di prelazione al primo posto si collocano le spese. Le spese sono ciò che è stato necessario per ottenere la somma da distribuire; ad esempio le spese del pignoramento, della vendita, della custodia del bene etc. b) Creditori con Diritto di Prelazione: l’ordine delle prelazioni è stabilito all’art 2777 CC; se due crediti hanno lo stesso grado di prelazione concorro proporzionalmente tra loro. Naturalmente ogni creditore è collocato in via privilegiata sul ricavato del bene sul quale ha la prelazione. c) Creditori Chirografari Tempestivi: se la somma non è sufficiente per tutti si opera una ripartizione proporzionale. All’interno dei creditori chirografari ci può essere un ulteriore distinzione in virtù dell’art 499 CPC (il creditore procedente da indicazione degli altri beni pignorabili dell’esecutato): se l’intervenuto non segue l’invito del creditore procedente a pignorare questi ulteriori beni, il creditore procedente si soddisferà con preferenza rispetto al creditore intervenuto.
 Se si crea la situazione all’art 499 CPC i creditori chirografari tempestivi avranno una prelazione di natura processuale (interna al processo): verrà soddisfatto il creditore pignorante per primo e poi i creditori che, seppur intervenuti tempestivamente, non hanno pignorato gli ulteriori beni pignorabili indicati dal creditore procedente. d) Creditori Chirografi Tardivi: sono i creditori intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o assegnazione. Anche qui può aversi una ripartizione proporzionale. e) Esecutato: a lui viene destinato l’eventuale residuo. Abbiamo parlato di una ripartizione proporzionale del ricavato: i questi i casi si sommano tutti i crediti che concorrono nella ripartizione e, fatto il totale, si ricava la percentuale di ciascun credito rispetto ad esso. Questa percentuale è quella che spetta a ciascun credito nella ripartizione. FORMAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO: il piano di riparto è, in sostanza, la ripartizione del ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore tra tutti i creditori i quali hanno pari diritto di soddisfare i loro crediti salvo le cause legittime di prelazione. Se vi è un solo creditore non ci sono problemi, il giudice dell’esecuzione convoca le parti e dispone il pagamento al creditore di quanto gli è dovuto. Se invece ci sono più creditori (che sono intervenuti nell’esecuzione) occorre procedere alla formazione di un piano di riparto.
 Nella Formazione del piano di Riparto ci sono alcune differenze tra espropriazione immobiliare e espropriazione mobiliare: a) Espropriazione Mobiliare: i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato tra loro, già predisposto e sottoscritto. Se non c’è opposizione del debitore esecutato allora il giudice è vincolato all’accordo dei creditori (anche se l’art 542 CPC prevede che il giudice possa non approvare l’accordo, ma la cosa non avviene mai).
 Se invece c’è opposizione del debitore all’accordo dei creditori si procede ai sensi dell’art 542 CPC.
 Se manca un piano di riparto concordato ogni creditore (anche quelli intervenuti senza titolo esecutivo) può chiedere che si proceda a alla distribuzione della somma ricavata. Il giudice poi prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti che possono approvarlo o non approvarlo: se lo approvano non c’è nessun problema; se non lo approvano si procede ai sensi dell’art 542 CPC per risolvere le contestazioni. b) Espropriazione Immobiliare: le modalità di formazione del riparto sono diverse; il giudice procede d’ufficio senza bisogno dell’istanza di parte o di un piano concordato.
 Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita il cancelleria e fissa un’udienza; 56 il cancelliere avverte i creditori e il debitore dell’udienza fissata. Le parti hanno 10 giorni per consultare il piano di riparto. Se all’udienza le parti non compaiono oppure compaiono ma non si oppongono il piano di riparto è approvato. Sempre nell’udienza è possibile che le parti modifichino il piano di comune accordo; in tal caso il giudice non può far niente se non adeguare il piano all’accordo tra creditori e debitore appena sorto. Se invece il piano viene contestato si procede ai sensi dell’art 542 CPC.
 La posizione più delicata è quella del creditore che si è visto contestato il credito dal debitore ex art 499 CPC e che abbia in corso il processo di cognizione volto ad ottenere un titolo esecutivo. La posizione degli altri creditori non da problemi: se hanno un titolo esecutivo o non sono stati contestati dal debitore partecipano immediatamente alla distribuzione del ricavato. Se invece sono stati contestati e non hanno tempestivamente instaurato un processo di cognizione per ottenere un titolo esecutivo il loro intervento ha perso effetto.
 A favore dei creditori contestati che hanno tempestivamente proposto domanda per ottenere un titolo esecutivo l’art 510 CPC prevede che il giudice dell’esecuzione disponga l’Accantonamento delle somme ad essi, eventualmente, spettanti. In sostanza si dispone il piano di riparto tenendo conto anche di questi creditori, dopo di che le somme che ad essi spetterebbero sono accantonate per il tempo necessario affinché tali creditori si muniscano di un titolo esecutivo (e per un massimo di tre anni).
 L’accantonamento presuppone comunque l’utile collocazione nel piano di riparto.
 La somma accantonata viene poi distribuita una volta decorso il termine fissato dal giudice o quando tutti i creditori che ne avevano bisogno si sono muniti di titolo esecutivo (in ogni caso al massimo 3 anni). Se il creditore non ha fatto in tempo a munirsi di titolo esecutivo la somma accantonata è assegnata al creditore successivo.
 Questa disposizione però presenta dei profili di incostituzionalità dato che la durata del processo non deve essere di pregiudizio a chi ha ragione ex art 24 Cost.
 E’ incostituzionale che il creditore privilegiato che sta ancora aspettando il titolo esecutivo rimanga insoddisfatto decorso il triennio; è incostituzionale anche che al posto suo venga soddisfatto il creditore posteriore in base alle scelte del legislatore sostanziale (alla fine il legislatore processuale ha favorito l’altro creditore, che rimarrà insoddisfatto). Non è certo colpa del creditore se il processo di cognizione volto a fornirgli un titolo esecutivo dura troppo a lungo, egli vede leso il suo diritto costituzionale alla ragionevole durata del processo e rimane anche insoddisfatto. DOMANDA DI SOSTITUZIONE: siamo all’art 511 CPC che disciplina, nel processo esecutivo, la domanda di sostituzione: i creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione, possono chiedere di essere a lui sostituiti proponendo domanda a norma dell’art 499 CPC. E’ un istituto che si inquadra nella stessa logica dell’Azione Surrogatoria; si ritiene infatti che la domanda di sostituzione possa essere avanzata non soltanto nei confronti di un creditore intervenuto ma addirittura il creditore sostituente possa effettuare lui stesso la domanda di intervento per il suo debitore (in sostanza propone intervento in nome e per conto del suo debitore, creditore dell’esecutato). La domanda di sostituzione, anche se si effettua nelle forme dell’art 499 CPC, non è una domanda di intervento. Al momento della distribuzione del ricavato il giudice provvede ad assegnare al sostituente le somme che spettano al sostituito; eventuali contestazioni sorte tra sostituente e sostituito non possono però ritardare la distruzione agli altri concorrenti: prima si effettua il riparto stabilendo la somma che spetta al sostituito. Poi si dirime la controversia tra sostituente e sostituito stabilendo a chi deve andare la somma. 57 Nei conforti dei Creditori invece la riforma ha prodotto una sostanziale de-giuridicizzazione dei loro rapporti. Abbiamo visto come al di fuori del processo esecutivo il diritto sostanziale non dia rilevanza all’ordine di soddisfazione dei creditori (un creditore insoddisfatto con prelazione superiore, non può pretendere alcunché da un creditore soddisfatto con prelazione inferiore). Il rango dei crediti può essere oggetto di una controversia solo al momento della distribuzione. Nel sistema previgente, per risolvere queste controversie, si instaurava un processo dichiarativo. Oggi questa possibilità è scomparsa: non c’è una sede in cui la controversia sul rango dei crediti possa divenire oggetto di un processo di cognizione. Va però tenuto conto del fatto che molti dei principi che si applicavano alla risoluzione di tali controversie in un processo di cognizione oggi valgono anche quando esse vengono risolte in sede esecutiva. Innanzitutto, la regola dell’Interesse ad Agire si applica anche all’esecuzione forzata: la contestazione sollevata deve essere utile per il contestante (se vince la contestazione non deve essere nella stessa situazione in cui si trovava prima della contestazione). a) Contestazioni del Debitore: possono riguardare la sussistenza e l’ammontare dei crediti di tutti i creditori. Il debitore ha diritto a estinguere i debiti effettivamente esistenti e non quelli inesistenti. Ha quindi interesse ad agire anche se dall’accoglimento della sua contestazione non verrà fuori un residuo da consegnare al debitore stesso; non è necessario che il debitore raggiunga un’utilità monetaria concreta.
 Il debitore non può però contestare l’esistenza delle Ragioni di Prelazione. Inutile che il debitore contesti che Tizio è creditore ipotecario e non chirografario: andrà ugualmente soddisfatto. Inoltre le ragioni di prelazione non sono cosa che riguarda il debitore dato che egli è obbligato tanto nei confronti di chi ha ragioni di prelazione, tanto nei confronti di chi ne è privo (le ragioni di prelazione regolano i rapporti tra creditori e non tra debitore e creditori). b) Contestazioni del Creditore: possono riguardare le Cause di Prelazione (dato che operano nei loro rapporti). I creditori possono inoltre contestare l’ammontare dei crediti degli altri creditori e l’esistenza di essi; anche qua viene applicata la regola dell’interesse ad agire, l’accoglimento della contestazione deve essere utile per il contestante (a differenza dell’interesse ad agire del convenuto qua deve derivare per il creditore un vantaggio concreto dall’accoglimento della contestazione). Nelle controversie ex art 512 CPC il creditore contestato assume il ruolo di colui che afferma l’esistenza del proprio diritto mentre chi contesta nega tale esistenza. Tale precisazione serve per capire come applicare l’Onere della Prova: spetta al creditore contestato provare i fatti costitutivi del diritto vantato mentre il contestante (sia debitore o creditore) deve provare i fatti modificativi, impeditivi o estintivi di tale diritto.
 Per il creditore contestato l’onere della prova è quasi una formalità; egli avrà sicuramente o un Titolo Esecutivo o un Riconoscimento del Credito ex art 499 CPC. Invece per il contestante la prova non è scontata; dovrà provare che il credito non è attendibile oppure che è venuto ad esistenza un fatto modificativo, estintivo o modificativo. A seconda del tipo di atto che il creditore contestato usa per provare l’esistenza del suo credito, cambiano i motivi che consento la contestazione del diritto a cui tale atto si riferisce (ad esempio se il credito è provato con una cambiale il debitore può limitarsi a disconoscerne la sottoscrizione; se invece c’è un atto notarile il debitore dovrà smontare tale atto con uno strumento ad hoc, la Querela di Falso). Se un creditore contesta un altro creditore che effetto hanno sulla controversia gli atti che esistono tra il debitore e il creditore contestato? Se il creditore contestato produce un atto dal quale deriva l’esistenza e l’ammontare del suo credito, gli altri creditori contestanti sono in qualche modo vincolati a tale atto? I creditori concorrenti sono terzi riguardo a tali atti; normalmente i creditori sono vincolati agli atti di diritto sostanziale tra debitore e creditore e che dimostrano l’esistenza e l’ammontare del credito contestato. I creditori fanno parte di quella categoria di terzi che 60 debbono riconoscere e che subiscono gli effetti delle attività di natura sostanziale e processuale poste in essere dal proprio debitore (che può compiere atti che sono in linea di principio vincolanti per il creditore, sia che tali atti aumentino la massa attiva sia che la diminuiscano). Quindi, detto questo e tornando alle controversie ex art 512 CPC, occorrerà distinguere. In primo luogo un creditore può proporre relativamente all’esistenza e ammontare del creditore concorrente, le stesse difese che potrebbe utilizzare il debitore. Se il debitore rimane inerte e non contesta la sussistenza/ammontare di un credito vantato nei suoi confronti, allora con gli stessi strumenti e negli stessi limiti lo può fare il creditore (in virtù del principio da cui scaturisce l’azione surrogatoria); in questo caso si devono rispettare le attività pregresse, sia sostanziali che processuali, compiute del debitore. Se invece si tratta di far valere frode, nullità o simulazione il creditore può agire ipso iure (ed è svincolato dagli atti compiuti dal debitore). Per quanto riguarda il Litisconsorzio le parti che debbono essere sentite dal giudice sono tutte quelle che, se la contestazione venisse accolta, vedrebbero modificarsi nei loro confronti il piano di riparto. Si deve vedere chi è interessato alla controversia e chi invece non lo è (chi può ricevere un pregiudizio dall’accoglimento della contestazione è parte necessaria del processo). Mentre si aspetta l’esito della controversia il processo esecutivo può essere sospeso totalmente (se la controversia riguarda tutta la distribuzione) o parzialmente (quando vi è una somma non controversa che può essere distribuita). La sospensione è obbligatoria ma non automatica, deve avvenire con provvedimento del Giudice (alla quale può essere opposto reclamo). Il giudice poi apporta al piano di distribuzione le modifiche conseguenti a quanto stabilito con l’ordinanza con la quale ha risolto la contestazione. 18 - L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI Ci sono due casi in cui il processo esecutivo viene modificato, in parte, per la particolarità del caso: parliamo dell’Espropriazione di Beni Indivisi e dell’Espropriazione contro il Terzo Proprietario. Vediamo il primo caso: ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI: tra gli elementi attivi del patrimonio con cui il debitore risponde delle obbligazioni esiste la contitolarità con altri soggetti di un diritto reale espropriabile (proprietà, nuda proprietà, enfiteusi, superficie e usufrutto).
 La particolarità si ha quando non tutti i contitolari del diritto sono soggetti all’espropriazione (non esiste dunque un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto; se esistesse avremmo un processo che si svolge nei modi ordinari ma con più soggetti esecutati). Un processo esecutivo unitario è possibile anche se non vi è un unico titolo esecutivo ma l’assoggettabilità proviene da titoli esecutivi diversi, magari anche a favore di creditori diversi.
 L’art 599 CPC afferma che possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i componenti sono obbligati verso il creditore; in realtà è più corretto dire che si possono pignorare i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono sottoponibili a esecuzione forzata (alla lettera la norma sembrerebbe dire che se tutti sono debitori ma il titolo esecutivo esiste nei confronti di uno solo si può procedere all’espropriazione dell’intero bene). Invece ciò che conta è che tutti i contitolari possono essere esecutivamente aggrediti.
 Il problema nasce quando i contitolari non sono tutti assoggettabili ad espropriazione (vuoi perché non sono tutti debitori o vuoi perché anche se sono tutti debitori manca un titolo esecutivo contro alcuni di essi). Sia nell’uno che nell’altro caso la quota del soggetto nei cui confronti sussiste il titolo esecutivo può essere sottoposta a espropriazione; al tempo stesso bisogna però tenere conto del fatto che ci sono anche i contitolari del diritto non 61 assoggettabili all’espropriazione. Occorrerà adattare il processo alla particolarità del fatto che l’oggetto del pignoramento e poi alla vendita non è un diritto esclusivo su un bene ma la contitolarità sul bene stesso.
 In questi casi si notifica titolo esecutivo e precetto al debitore contitolare del diritto assoggettabile all’espropriazione e si effettua il pignoramento nelle forme ordinarie nei confronti del debitore esecutato; il creditore procedente però in questi casi deve dare avviso, ex art 599 CPC, agli altri contitolari dell’avvenuto pignoramento, ciò ha lo scopo di avvertire gli altri contitolari che è stata pignorata la quota del loro contitolare. I contitolari divengono così parti non esecutate del processo esecutivo; in quanto titolari di poteri e doveri processuali possono compiere atti all’interno del processo esecutivo. Con tale avviso i contitolari che sono anche possessori del bene e sono considerati custodi del bene. Il pignoramento e l’avviso bloccano la situazione di fatto e di diritto della contitolarità così com’è nel momento in cui i contitolari ricevono l’avviso.
 I contitolari vengono convocati insieme al creditore e al debitore, dato che ormai sono parti del processo esecutivo: quando è possibile e quando i contitolari la richiedono il giudice procede alla separazione in natura della quota spettante al debitore. La separazione è possibile quando oggetto della quota sono beni fungibili (ad esempio una somma di denaro); si procede poi con la separazione in base all’unità di misura dei rispetti beni secondo la quota che spetta ai singoli soggetti.
 Dopo la separazione in natura ciascun comproprietario si prende la parte che gli spetta, e la parte dell’esecutato viene liquidata (tutte attività che vengono svolte all’interno del processo esecutivo).
 Quando invece la separazione non è possibile (la con titolarità non ha ad oggetto beni fungibili) oppure nessuno la chiede al giudice si impone una scelta: il giudice deve disporre che si proceda alla divisione del bene o alla vendita della quota indivisa (qualora la vendita sia più fruttuosa). Se viene disposta la vendita l’aggiudicatario subentra al posto dell’esecutato nella contitolarità del diritto. Se invece il giudice ritiene che la vendita non darà esito soddisfacente dispone la divisione giudiziale del bene per cui è competente lo stesso giudice dell’esecuzione ex art 181 CPC.
 La Divisione Giudiziale si opera con un processo di cognizione nel litisconsorzio necessario di tutti i condividenti e del creditore pignorante; tale accordo può anche essere sostituito da un accordo negoziale (al quale deve partecipare anche il creditore pignorante però). E’ divisibile il bene che, una volta separato in quote reali,non perde la funzione al quale è destinato (non è divisibile un auto ad esempio; perderebbe la funzione del bene intero). Quando è possibile va operata preferibilmente la divisione in natura.
 Occorre distinguere la Separazione in Natura dalla Divisione in Natura: a) Separazione in Natura: tipica dei beni fungibili, indica quelle modalità di separazione materiale del bene in parti corrispondenti alle quote. b) Divisione in Natura: è una divisione che avviene attraverso operazioni giuridiche e non attraverso operazioni materiali. Si individuano e stimano i beni formando dei lotti che debbono essere omogenei. Ad esempio tre comproprietari di uno stabile contenente tre appartamenti avranno un appartamento a testa (se non sono di uguale valore chi si prende quello di maggior valore verserà un conguaglio agli altri). Se il bene non è divisibile e un comproprietario ne chiede l’assegnazione allora gli viene assegnato (se lo richiedono in più viene estratto a sorte colui a cui sarà attribuito l’intero bene): ovviamente dovrà poi corrispondere agli altri il controvalore delle loro quote.
 Se nessuno ne chiede l’assegnazione allora il bene viene venduto all’asta e il ricavato viene diviso secondo le quote.
 Con queste modalità la divisione viene sciolta: la quota pignorata viene trasformata o in proprietà esclusiva di una parte (se il bene è divisibile) o in una somma di denaro corrispondente alla quota del debitore (se il bene è indivisibile). Nel primo caso il processo esecutivo prosegue con la liquidazione della parte di bene assegnata al debitore, nel 62 distribuzione diverso da quello ordinario. I creditori che possono intervenire nell’espropriazione non sono i creditori del debitore ma bensì i creditori del terzo proprietario e ciò perché il bene ormai è uscito dal patrimonio del debitore e fa parte invece di quello del terzo. In sede di riparto avremo il seguente ordine: a) creditore ipotecario o il creditore che ha avuto la revoca dell’atto b) creditori del terzo (prima i privilegiati, poi i chirografari tempestivi e poi i chirografari tardivi) c) solo se avanza un residuo questo va consegnato al terzo e non, ovviamente al debitore. Il bene è a tutti gli effetti del terzo quindi i suoi creditori (e solo questi) possono intervenire e a lui va (al terzo, esecutato ma non debitore) il residuo. DIFESE DEL TERZO: il terzo può con l’Opposizione all’Esecuzione contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata. Dato che il terzo è processualmente paragonato al debitore (ed è esecutato) ha a disposizione tutti i suoi strumenti di difesa.
 L’aggressione esecutiva del terzo è lecita quando ricorrono due elementi: a) deve esistere un titolo esecutivo contro il debitore (il creditore può dunque procedere all’esecuzione forzata nei confronti del debitore). b) devono esistere i presupposti particolari che consentono l’espropriazione di un bene che non fa parte del patrimonio del debitore (ipoteca o pegno; sentenza che accoglie l’azione revocatoria). Il terzo può contestare che sussistano i presupposti particolari ovvero può contestare qualsiasi profilo della sua assoggettabilità all’espropriazione per debito altrui.
 In realtà, affinché il terzo sia legittimamente espropriato, deve anche sussistere il credito che l’ipoteca vuole garantire (altrimenti non esiste il potere di procedere all’esecuzione forzata). Il terzo dunque può contestare anche la sussistenza dell’obbligo garantito.
 Se la domanda diretta a ottenere la condanna del debitore è anteriore alla trascrizione dell’atto d’acquisto il terzo può opporre al creditore, in sede di opposizione, solo le difese che ancora spettano al debitore dopo la condanna.
 Se la trascrizione dell’atto di acquisto è anteriore alla proposizione della domanda di condanna del debitore il terzo non sarà vincolato al contenuto della pronuncia e potrà fondare la sua opposizione all’esecuzione anche su difese che la sentenza preclude al debitore. La sentenza non formerà giudicato nei confronti del terzo; il terzo in questo caso si troverà in una posizione diversa da quella del debitore condannato. E’ solo l’applicazione della regola generale per cui, chi non è stato parte del processo (come non lo è stato il terzo) non può essere vincolato alla sentenza. La sentenza contro il debitore sarà titolo esecutivo contro il terzo proprietario ma non sarà per lui vincolante: se il terzo contesta l’esistenza del credito il creditore non potrà utilizzare la sentenza, dovrà dimostrare l’esistenza del suo diritto di credito ex novo. Si tenga conto che si valuta il momento di proposizione della domanda e non la trascrizione (dato che la domanda diretta alla condanna al pagamento non viene trascritta).
 Per evitare questo inconveniente il creditore, all’interno del processo con cui chiede la condanna del debitore, può chiedere l’accertamento della soggezione del terzo proprietario all’azione esecutiva. Il terzo diverrà parte del processo (la regola generale viene rispettata) e dovrà spendere in quella sede tutte le sue difese.
 Per procedere all’esecuzione nei confronti del terzo proprietario non è necessario un titolo diretto contro di lui, basta un titolo esecutivo nei confronti del debitore: quindi lo scopo della domanda contro il terzo non serve né ad ottenere un titolo esecutivo contro di lui né a condannarlo all’adempimento (cosa impossibile dato che non vi è obbligato perché non è debitore). L’unica cosa che la sentenza accerta è l’assoggettabilità del terzo all’esecuzione, una situazione di natura processuale.
 Si destina questa disciplina al caso in cui il creditore abbia trascritto anteriormente il suo 65 titolo d’acquisto alla proposizione della domanda perché solo in questo caso il creditore è in grado di conoscere l’esistenza del terzo e farlo divenire parte del processo. TERZO DATORE DI IPOTECA: il terzo datore di ipoteca è colui che concede ipoteca su un proprio bene a garanzia di un debito altrui. Egli non è mai vincolato alla sentenza se non è chiamato a partecipare al processo di condanna del debitore. Il terzo datore è sempre stato proprietario, quindi la sua situazione è equiparata a quella del terzo proprietario che ha trascritto il suo titolo d’acquisto prima della proposizione della domanda di condanna contro il debitore. TITOLO ESECUTIVO STRAGIUDIZIALE: le ipotesi fin qui viste comprendono l’utilizzo di un titolo esecutivo contro il debitore ma può anche accadere che si utilizzi contro il terzo proprietario un titolo esecutivo stragiudiziale (come lo sono ad esempio una cambiale ipotecaria o un atto notarile). In questi casi, nell’opposizione all’esecuzione proposta dal terzo proprietario, l’atto ha efficacia preclusiva sua propria, secondo le regole di diritto sostanziale. 20 - L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA Si parla di esecuzione forzata in Forma Specifica (termine che compare nel Codice Civile, mai nel Codice di Procedura) in due occasioni: a) Esecuzione per Consegna: per quanto riguarda i beni mobili b) Esecuzione per Rilascio: per quanto riguarda i beni immobili Non si deve confondere l’esecuzione in forma specifica con la tutela in forma specifica: la Tutela in Forma Specifica pone un problema esclusivamente sostanziale e si contrappone alla tutela per equivalente. Per distinguerle ci si deve domandare se, posto un illecito, tale illecito estingue il diritto leso (facendo nascere in sua sostituzione un credito avente per oggetto il risarcimento del danno subito); in questo caso avremmo una Tutela per Equivalente. Se invece l’illecito non estingue il diritto leso fa sorgere obblighi strumentali a eliminare la lesione ripristinando il diritto leso nel suo status quo; avremmo in questo caso la Tutela in Forma Specifica. La scelta tra l’una e l’altra tutela spetta al legislatore sostanziale. A volte si tratta di una scelta obbligata, ovvero nei casi in cui il bene garantito dalla situazione sostanziale protetta è definitivamente distrutto o compromesso: in questi casi ovviamente la tutela in forma specifica non è possibile. Se il bene è distrutto la proprietà è persa; inutile riconoscere a Tizio la proprietà di un bene che non esiste più.
 Altre volte però il legislatore sceglie l’una o l’altra tutela in base a valutazioni di opportunità, nel rispetto delle norme costituzionali.
 La distinzione tra tutela in forma specifica o tutela per equivalente appartiene al piano dei diritto sostanziale e viene puramente recepita nel processo. Per il processo esecutivo l’unica cosa che conta è il tipo di obbligo inadempiuto, è irrilevante che il credito inadempiuto abbia natura risarcitoria o meno. ESPROPRIAZIONE & ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA: nell’Espropriazione i diritti in gioco sono due: il diritto di credito (di colui che chiede la tutela esecutiva) e il diritto patrimoniale del debitore (oggetto del pignoramento e della vendita); l’espropriazione si fonda sul fatto che il credito prevale sulla proprietà del debitore.
 Nell’Esecuzione in Forma Specifica invece c’è soltanto un diritto in gioco: quello individuato nel titolo esecutivo e del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva.
 La differenza tra Espropriazione ed Esecuzione in Forma Specifica sta nell’unicità o nella duplicità delle situazioni sostanziali coinvolte nell’esecuzione. Ad esempio c’è un titolo esecutivo che obbliga Tizio, possessore del bene X, a restituirlo a Caio proprietario del bene X. Si procede dunque all’esecuzione per rilascio/consegna: ora 66 il diritto di Caio è soddisfatto, il possesso è passato da Tizio a Caio. L’esecuzione ha sempre lavorato su un’unica situazione sostanziale: il diritto di proprietà di Caio. Un altro problema da affrontare è vedere quali sono i diritti sostanziali tutelabili attraverso l’esecuzione in forma specifica: secondo parte della dottrina vi rientrano gli obblighi correlati a diritti assoluti; le obbligazioni in senso tecnico restano escluse. I diritti relativi, secondo questa parte della dottrina hanno natura obbligatoria e danno luogo al risarcimento del danno in caso di inadempimento, non a un’esecuzione in forma specifica.
 La dottrina in esame opera una contrapposizione tra: a) Situazioni Strumentali: è il diritto (ad esempio il credito) il cui titolare è soddisfatto quando gli obblighi correlati a tale situazione vengono adempiuti dal soggetto obbligato. Ciò che è utile al titolare del diritto è l’adempimento, che estingue la situazione strumentale. b) Situazioni Finali: è il diritto (ad esempio la proprietà) il cui titolare è soddisfatto attraverso l’esercizio dei poteri che l’ordinamento gli da; la collettività deve astenersi dal turbare l’attività del titolare del diritto. Una situazione finale è utile fintanto che esiste, una volta estinta viene meno l’utilità concreta che l’ordinamento gli garantisce. Per risolvere il problema e vedere quale tipo di tutela esecutiva adottare ciò che conta è la struttura dell’obbligo e non la struttura del diritto a tale obbligo contrapposto.
 Per l’opinione di questa dottrina una differenziazione sotto il profilo del diritto è irrilevante; l’ufficio esecutivo deve sostituire con il proprio comportamento l’inattività dell’obbligato, ciò che conta è dunque il contenuto dell’obbligo.
 Però tale ipotesi non regge perchè l’elemento che distingue i diritti assoluti dai diritti relativi non è la struttura degli stessi ma le vicende costitutive e estintive di tali diritti (nonché l’opponibilità a terzi): fin tanto che il diritto esiste non c’è alcuna differenza di struttura tra le due situazioni sostanziali che ci permetta di distinguerle per quanto attiene alla tutelabilità. Infatti l’inadempimento non trasforma tutte le situazioni strumentali in crediti pecuniari.
 Pertanto tutti gli obblighi aventi per oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte. La differenza tra le varie situazioni strumentali può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste; una volta appurato che il diritto esiste non si può escludere la tutela in forma specifica per ragioni strutturali. DIRITTI SU QUANTITA’ DI COSE INDETERMINATE: altro problema da affrontare è quello degli obblighi relativi a quantità di cose indeterminate: sono suscettibili di tutela con l’esecuzione in forma specifica i diritti che abbiano ad oggetto un genus? 
 Una quantità di cose può diventare oggetto del contratto in due modi diversi: a) se oggetto del contratto è una quantità di cose fungibili individuate non rileva che queste cose debbano essere misurate: il trasferimento della proprietà avviene comunque al momento del consenso; si applica l’art 1377 CC. b) se oggetto del contratto è il trasferimento di cose determinate solo nel genere (1000 litri di petrolio al mese) si applica invece l’art 1378 CC. Il trasferimento non avviene al momento del consenso ma quando si separa dalla massa del genus la parte oggetto del contratto (il momento della specificazione). Immaginiamo ci sia un contratto con cui si acquista tutto il petrolio su una petroliera: il trasferimento della proprietà avviene con il consenso ex art 1377 CC. All’inadempimento del venditore si può ottenere una sentenza di condanna alla consegna del bene (Esecuzione in Forma Specifica): è possibile perché l’obbligo di consegna nasce dal contratto inquadrabile nell’art 1377 CC. I beni appartengono già all’acquirente, il venditore ne ha solo la materiale disponibilità: la tutela esecutiva serve solo per far ottenere la disponibilità all’acquirente non per fargli ottenere la proprietà del bene (il venditore non subisce un depauperamento del proprio patrimonio con la consegna, il bene ormai non è più suo). La tutela esecutiva in forma specifica serve per fargli ottener la materiale 67 L’avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto reale; acquista la detenzione se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto personale di godimento e così via.
 Quindi la situazione possessoria che si crea in capo all’avente diritto che riceve il bene si differenzia in base al tipo di diritto del quale si è avuta l’esecuzione e non con riferimento alle modalità dell’esecuzione stessa. Infatti l’obbligo di consegna e rilascio viene attuato sempre nel solito modo (con le forme degli art 605 ss CPC) qualunque sia il diritto riconosciuto, qualunque sia il titolo esecutivo e qualunque sia la situazione possessoria che si viene a creare a seguito dell’esecuzione. TITOLO ESECUTIVO: i titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono quelli previsti dai numeri 1 e 3 dell’art 474 CPC. Lo sono gli Atti Pubblici (ma non le scritture private autenticate e i titoli di credito che abbiano ad oggetto beni individuati). Ma ancora sono titoli esecutivi per consegna e rilascio il Verbale di Conciliazione Giudiziale e il giudice spesso dà efficacia di titolo esecutivo anche alle Conciliazioni Stragiudiziali.
 Per quanto riguarda invece la posizione dei terzi abbiamo visto che il titolo esecutivo è utilizzabile a certe condizioni da o contro un soggetto diverso da colui, che è individuato nominativamente nel titolo stesso, rispettivamente come creditore o debitore.
 Per lungo tempo si è pensato che l’Ordine di Rilascio avesse Efficacia Erga Omnes, così da evitare di frustrare la tutela esecutiva facendo trovare sul posto un terzo compiacente che si oppone all’esecuzione eccependo la sua estraneità al titolo esecutivo. 
 Per evitare tale inconveniente tutte le volte che l’ufficiale giudiziario trova un soggetto diverso da colui che è obbligato alla consegna o al rilascio l’esecuzione deve aver comunque luogo, anche in pregiudizio del terzo. Dobbiamo però soffermarci su alcune peculiarità che l’esecuzione in forma specifica presenta.
 Uno degli effetti dell’espropriazione è la creazione di un Titolo di Acquisto tra esecutato e aggiudicatario. Abbiamo visto che nell’espropriazione se il bene è di proprietà di chi non è esecutato non subisce alcun effetto dell’espropriazione perchè il titolo si forma contro colui al quale il creditore ha fatto acquisire la qualità di esecutato, dirigendo nei suoi confronti l’azione esecutiva. Nell’esecuzione per consegna e rilascio invece si verifica un fenomeno diverso: se il bene era nella materiale disponibilità di un terzo, l’esecuzione produce effetti nei confronti di costui e non nei confronti di colui al quale il creditore ha fatto acquisire la qualità di esecutato. Il terzo subisce al posto dell’esecutato gli effetti tipici dell’esecuzione (aveva la materiale disponibilità del bene e la perde).
 Quindi nell’espropriazione la direzione degli Effetti dell’Espropriazione è soggettiva, visto che dipende dall’individuazione dell’esecutato da parte del procedente: gli effetti si verificano solo nella sfera giuridica del soggetto individuato come esecutato. Nell’espropriazione il creditore individua come esecutato il soggetto verso cui vuole che si producano gli effetti dell’esecuzione e gli effetti non si possono produrre nella sfera giuridica di soggetti diversi da quello individuato come esecutato dal creditore.
 Invece nell’Esecuzione in Forma Specifica la direzione degli effetti è oggettiva; gli effetti si producono non secondo la scelta del creditore procedente ma secondo l’effettiva situazione esistente. Nell’esecuzione in forma specifica il creditore deve individuare come esecutato il soggetto verso cui oggettivamente si producono gli effetti dell’esecuzione. Il creditore dovrà intimare il precetto di consegna e rilascio nei confronti di colui che, in quel momento, ha la detenzione corpore del bene: se egli poi non è assoggettabile al titolo esecutivo può ostacolare l’esecuzione con l’Opposizione all’Esecuzione (se l’opposizione viene accolta il creditore dovrà procurarsi un nuovo titolo esecutivo).
 In sostanza nell’espropriazione l’iter logico è il seguente: chi assume la qualità di parte (esecutato) diviene destinatario degli effetti della misura giurisdizionale.
 Invece nell’esecuzione in forma specifica il fenomeno è rovesciato: prima bisogna stabilire chi subirà in concreto gli effetti dell’esecuzione e poi lo si fa diventare parte esecutata.
 70 Essere destinatari degli effetti delle misure giurisdizionali è un prius rispetto all’assunzione della qualità di parte nell’esecuzione in forma specifica mentre nell’espropriazione (e anche nel processo di cognizione) per esser destinatario degli effetti un soggetto deve prima assumere la qualità di parte. PROCEDIMENTO: il precetto deve contenere la descrizione dei beni (descrizione già contenuta nel titolo esecutivo). L’unico soggetto dell’ufficio esecutivo necessariamente presente nell’esecuzione per consegna e rilascio è l’Ufficiale Giudiziario; il giudice dell’esecuzione resta inattivo finchè non è chiamato a intervenire.
 La consegna della cosa avviene ex art 606 CPC; l’ufficiale giudiziario ricerca il bene dove si trova; l’art 513 CPC gli da il potere di aprire porte, vincere la resistenza dell’esecutato e di terzi etc. Il rilascio del bene immobile invece avviene ex art 608 CPC: dopo la notificazione del precetto l’istante ha 90 giorni per iniziare l’esecuzione. L’immissione nel possesso può anche essere simbolica per i luoghi aperti (per i luoghi chiusi abbiamo la consegna delle chiavi): l’ufficiale giudiziario ingiunge all’esecutato di astenersi dall’esercitare il potere di fatto e immette nel possesso del bene l’avente diritto.
 L’ultima parte dell’art 608 CPC (ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore) presuppone che la detenzione corpore non sia dell’esecutato ma di detentori che esercitano il potere di fatto in nome dell’esecutato. Si presuppone anche che il creditore procedente non voglia la detenzione corpore del bene, incompatibile con quella dei detentori.
 Se l’avente diritto vuole la detenzione corpore del bene, ovvero una situazione incompatibile con i terzi conduttori, egli deve estromettere i detentori, agendo esecutivamente contro di loro; in questi casi non si applica l’art 608 CPC ultima parte.
 Si applica dunque l’ultima parte dell’art 608 CPC quando il bene è in parte nella detenzione corpore dell’esecutato e in parte nella detenzione di terzi. Si avrà un’esecuzione per il rilascio per la parte di bene sulla quale l’obbligato ha potere di fatto e un ingiunzione ai detentori di riconoscere il nuovo possessore per la parte di cui l’obbligato ha solo possesso formale (quella parte di bene che è di terzi).
 Il giudice dell’esecuzione, che di solito rimane sullo sfondo dato che il più del lavoro viene svolto dall’ufficiale giudiziario, compare grazie all’art 610 CPC che da alle parti il potere di interpellare il giudice dell’esecuzione per farlo intervenire nella determinazione di ciò che l’ufficiale giudiziario deve fare per proseguire l’esecuzione forzata.
 Le spese dell’esecuzione sono anticipate dall’istante e sono a carico dall’esecutato; tra le spese rientra anche il compenso dell’avvocato del creditore (dalla riforma del 2006).
 Le spese vengono liquidate con decreto che è anche titolo esecutivo con cui si da al procedente la possibilità di espropriazione forzata sui beni dell’esecutato, per recuperare le spese dell’esecuzione per consegna o rilascio. 22 - L’ESECUZIONE PER OBBLIGHI DI FARE Siamo agli art 2931 e 2933 CC. Il titolo esecutivo che contiene la condanna alla distribuzione del bene ha già superato l’ostacolo contenuto nell’art 2933 CC (la distruzione della cosa non deve essere in pregiudizio all’economia nazionale); spetta infatti al giudice di cognizione stabilire se la distruzione del bene reca pregiudizio all’economia nazionale.
 L’obbligo originario o derivato è sempre di fare: o non si è adempiuto un obbligo di fare o non si è adempiuto un obbligo di disfare ciò che non si doveva fare ma si è fatto.
 L’attuazione della tutela esecutiva non modifica le situazioni sostanziali esistenti sul bene: la titolarità e il contenuto dei diritti e degli obblighi sono identiche prima e dopo l’esecuzione. Nel 2009 oltretutto si è introdotto uno strumento generale di tutela esecutiva indiretta: l’art 614 Bis CPC (prima si forzava l’interpretazione dell’art 612 CPC che trattava 71 di compimento dell’opera non eseguita o distruzione di quella compiuta).
 La distruzione o costruzione di un’opera costituisce quindi il vero oggetto dell’esecuzione per obblighi di fare e non fare (= obblighi di disfare). L’art 612 CPC invece parla di esecuzione forzata di una sentenza di condanna, un’imprecisione terminologica dato che oggetto dell’esecuzione forzata è un diritto e non il provvedimento. Gli art 612 e 614 Bis CPC sono le uniche norme che riferiscono l’esecuzione forzata alla sentenza: sembrerebbero esigere una sentenza come titolo esecutivo per gli obblighi di fare e non fare, ma ciò è assurdo. Ad esempio davanti a un verbale di conciliazione non avremmo un titolo esecutivo e, nonostante l’accordo delle parti, il giudice dovrebbe comunque emettere una sentenza (in cui trascrive l’accordo) solo perché al verbale di conciliazione non è data efficacia esecutiva dagli art 612 e 614 CPC.
 E’ quindi da ritenere idoneo all’esecuzione per obblighi di fare anche il Verbale di Conciliazione (vale come titolo esecutivo a tutti gli effetti); ciò è confermato anche dalla dizione dell’art 474 CPC che oltre che di sentenze parla di ‘altri atti giudiziali’.
 Inoltre vi sono anche delle leggi speciali che prevedono dei titoli esecutivi stragiudiziali idonei a fondare un’esecuzione in forma specifica, e quindi anche un’esecuzione per obblighi di fare.
 L’esecutato viene individuato sulla base degli effetti concreti che produrrà l’esecuzione: titolo esecutivo e precetto infatti devono essere notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario (se egli è soggetto diverso dal procedente o dall’esecutato). La costruzione o demolizione dell’opera, infatti, incide oltre che nella sfera giuridica del detentore corpore, anche nella sfera giuridica del proprietario.
 Dopo 10 giorni dalla notificazione del precetto il creditore ricorre al giudice dell’esecuzione affinchè determini le modalità dell’esecuzione: il giudice convoca l’esecutato, stabilisce le modalità dell’esecuzione e nomina l’ufficiale giudiziario che sovrintenderà chi compirà l’opera. Il Titolo Esecutivo individua il risultato che si deve raggiungere con l’esecuzione e l’Ordinanza ex art 612 CPC stabilisce ‘come’ si deve raggiungere questo risultato. Le modalità dell’esecuzione sono stabilite soprattutto nell’interesse dell’esecutato, poiché l’interesse del creditore è teso al risultato e quindi è concentrato nel titolo esecutivo.
 Le spese dell’esecuzione sono a carico dell’esecutato: si deve scegliere le modalità di esecuzione che garantiscano il risultato ma che non siano onerose più del necessario per l’esecutato. Può darsi che l’opera da costruire necessiti di Autorizzazioni Amministrative: l’ufficio esecutivo in virtù del titolo esecutivo può richiedere tutte quelle autorizzazioni e concessioni che l’esecutato poteva e doveva chiedere e non ha richiesto (se l’esecutato le aveva richieste e gli erano state rifiutate l’ufficio esecutivo proporrà le impugnazioni).
 Se la PA rifiuta in maniera definitiva e legittima i necessari permessi il diritto del procedente si trasforma in risarcimento del danno. 23 - L’ESECUZIONE INDIRETTA (OBBLIGHI INFUNGIBILI & OBBLIGHI DI NON FARE) Abbiamo più volte parlato dell’esecuzione indiretta, strumento per tutelare in via esecutiva diritti correlati a obblighi infungibili. Per molto tempo non c’era una previsione generale per tutte le ipotesi di obblighi infungibili ma previsione sparse qua e là in leggi speciali. Il legislatore era stato confusionario, prevedendo ora sanzioni civili (dove il beneficiario della sanzione poteva essere l’avente diritto o la pubblica amministrazione) oppure sanzioni penali. Queste lacune sono state colmate nel 2009 che adotta, con l’art 614 Bis CPC, la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l’avente diritto. L’art 614 Bis CPC, rubricato come ‘Attuazione degli Obblighi di Fare Infungibile e di Non Fare’, stabilisce che il giudice con la sentenza di condanna fissi la somma dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Qua però nasce un piccolo problema testuale: la rubrica parla di obblighi infungibili ma tale limitazione non viene ripetuta nel testo della norma. Qualcuno ha allora 72 VERIFICA DELLA INFUNGIBILITA’: il giudice deve verificare che la condanna abbia ad oggetto un’astensione o un facere infungibile. L’infungibilità deve essere valutata secondo criteri oggettivi e non secondo quanto afferma l’avente diritto. Il giudice rifiuterà di determinare la sanzione quando ritiene fungibile il facere: oltretutto se il giudice della cognizione ritiene fungibile il facere il giudice dell’esecuzione, a cui viene proposto ricorso ex art 612 CPC, non potrà rifiutare tale determinazione dicendo che il facere è infungibile.
 Può infatti accadere che, qualora il giudice di cognizione sbagliasse, il giudice dell’esecuzione si trovi in difficoltà. Ad esempio Tizio chiede a Caio di non impedire la servitù collocando ostacoli mobili sulla strada e il giudice della cognizione, errando, nega la sanzione pecuniaria. Tizio si rivolgerà al giudice dell’esecuzione che dovrà stabilire, come potrà, le modalità di esecuzione. E’ un inconveniente certo, ma sempre un inconveniente minore rispetto alla libertà per il giudice dell’esecuzione di dissentire dal collega che ha pronunciato la sentenza di condanna.
 Ci sono due ipotesi in cui l’esecuzione indiretta è esclusa anche se si parla di un fare infungibile o di un non fare: a) Materia di Lavoro Subordinato e Parasubordinato (art 614 Bis CPC): è un’esclusione che presenta dei tratti di incostituzionalità, negare l’esecuzione indiretta indiscriminatamente per tutta una serie di rapporti vuol dire negare la tutela giurisdizionale e il diritto d’azione garantiti dall’art 24 Costituzione. b) Manifestamente Iniquo (art 614 Bis CPC): si esclude la determinazione della misura esecutiva ove ciò sia manifestamente iniquo. Ancora una volta siamo davanti a una norma vuota che rischia di alterare i rapporti tra diritto sostanziale e processo, laddove nega la tutela esecutiva nei confronti di un obbligo inadempiuto, come tale previsto dal diritto sostanziale. CONTROLLI: a quali controlli è sottoponibile la misura esecutiva? Dato che tale misura esecutiva è frutto dell’esercizio di un potere giurisdizionale dichiarativo, le eventuali censure contro il provvedimento che concede o nega la misura coercitiva saranno fatte valere con gli ordinari mezzi di impugnazione. Come abbiamo visto solo il processo dichiarativo può far ottenere una misura coercitiva; quindi i mezzi di impugnazione sono l’unico strumento di controllo.
 Si pone però un problema nell’ipotesi in cui la misura coercitiva venga concessa dal giudice cautelare: in tal caso sono ovviamente utilizzabili i rimedi propri dei provvedimenti cautelari (revoca, modifica e reclamo). Tali rimedi però partecipano alla funzione non dichiarativa del processo cautelare e non possono sostituire il controllo dichiarativo (costituzionalmente necessario). Le contestazioni contro i provvedimenti cautelari sono riservate al giudizio di merito e non possono essere proposte incidentalmente in un’altra sede. Solo in sede di merito si potrà controllare la conformità a diritto delle misure esecutive concesse con il provvedimento cautelare. RISCOSSIONE DELLE SOMME: una volta determinata la sanzione resta da vedere cosa succede ove vengano ad esistenza i presupposti per la sua applicazione; ovvero vi sia un ritardo nel facere o la violazione dall’obbligo di astensione. L’art 614 Bis CPC stabilisce che il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute. A questo punto il creditore potrà intimare precetto affermando unilateralmente che sono venuti ad esistenza i presupposti della nascita dell’obbligo di corrispondere le somme dovute. Ad esempio Tizio, a cui favore il giudice ha determinato una somma di 100€ per ogni volta che Caio suona la tromba di notte, intima a Caio di pagargli 1.000€ sostenendo che ha suonato la tromba di notte 10 volte.
 Non vi è necessità di una verifica preventiva dell’esistenza dell’illecito; ovviamente Caio potrà negare che quanto affermato da Tizio corrisponda a verità, proponendo Opposizione all’Esecuzione: in quella sede poi si adotteranno le normali regole sull’onere della prova 75 (Tizio dovrà dimostrare che Caio ha suonato 10 volte la tromba). In questi casi vale il principio della vicinanza della prova; l’onere della prova è a carico della persona per cui è meno gravoso.
 Se la pronuncia che condanna al facere infungibile o al non facere è modificata nelle sedi a ciò deputate le somme eventualmente pagate devono essere restituite. Ciò può accadere attraverso i mezzi di impugnazione per le misure concesse nel Processo Dichiarativo e attraverso il reclamo e il processo di merito per quelle concesse in sede Cautelare. Quando la misura coercitiva viene modificata (sia direttamente che indirettamente) si ha la sua caducazione retroattiva.
 Chi non aveva ottemperato al provvedimento autoritativo poi dichiarato inefficace nelle competenti sedi non potrà inoltre subire conseguenze negative.
 Per quando riguarda invece l’ipotesi della sospensione vediamo come sia in sede di appello sia in sede di reclamo possa essere chiesta la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado o della misura cautelare. Nel caso il provvedimento impugnato/ reclamato venga riformato vale quanto detto prima, ma nel caso venga confermato l’avente diritto può pretendere il pagamento delle somme maturate durante la sospensione dell’esecutività? La risposta è negativa dato che la sospensione rende inoperante la sanzione pecuniaria. Ciò non impedisce però che continuino a prodursi le conseguenze di diritto sostanziale derivanti dal perdurare dell’inadempimento: ma qua parliamo di conseguenze che trovano radice nel diritto sostanziale e non nel diritto processuale. 24 - L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE Siamo agli art 615-616 CPC dove si vede che l’Opposizione all’Esecuzione ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata. Si tratta della situazione processuale che da la possibilità al titolare di una certa situazione sostanziale di richiedere la tutela esecutiva. Tale situazione processuale ha due profili: a) Diritto da Tutelare: quello della sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela in via esecutiva b) Diritto alla Tutela: quello del titolo esecutivo in senso sostanziale. Se manca uno di questi due profili non si ha diritto a procedere a esecuzione forzata. Quindi il diritto a procedere a esecuzione forzata può essere contestato per la carenza del diritto da tutelare o del diritto alla tutela. MANCANZA DEL DIRITTO ALLA TUTELA: manca il titolo esecutivo in senso sostanziale (il titolo esecutivo in senso documentale che è un atto del processo esecutivo si fronteggia con l’Opposizione agli Atti Esecutivi). L’opponente nega che la parte istante abbia diritto alla tutela esecutiva perché il suo titolo esecutivo in senso sostanziale non è mai esistito (inefficacia originaria) o è venuto meno (inefficacia sopravvenuta). Affinchè l’esecuzione forzata sia legittima deve fondarsi un valido e efficace titolo esecutivo, che deve sussistere per tutto il corso dell’esecuzione (se l’esecuzione inizia senza titolo esecutivo sostanziale che poi viene ad esistenza nel corso dell’esecuzione non avremo un’ipotesi di sanatoria).
 Sorgono problemi particolari invece quando si nega l’esistenza del Titolo Esecutivo allegando la nullità dell’atto in cui esso consiste: le contestazioni relative alla nullità del titolo esecutivo riguardano l’atto in sé (ad esempio una sentenza emessa da un giudice incompetente etc). La nullità dell’atto incide su tutti gli effetti dell’atto stesso, fra cui anche quelli esecutivi, con la conseguente inesistenza del diritto alla tutela esecutiva.
 Per i titoli esecutivi stragiudiziali non ci sono problemi invece: ogni nullità rilevante dell’atto può essere fatta valere in sede di opposizione dell’esecuzione.
 Ai titoli esecutivi giudiziali si applica il Principio della Conversione di Nullità in Motivi di Impugnazione; la perdita della possibilità di usare il mezzo di impugnazione sana i vizi 76 dell’atto giudiziale (li rende irrilevanti dato che l’unico strumento per far valere tali vizi è venuto meno).
 Quindi i casi sono due: o si usa lo strumento di impugnazione nei modi e nei termini previsti oppure i vizi non sono rilevabili in sede diversa e non possono esser fatti valere neppure in sede di opposizione all’esecuzione (ad esempio i vizi di un reclamo devono esser fatti valere con lo strumento del Reclamo e non altrimenti).
 In sostanza il principio di conversione della nullità dell’atto processuale in motivo di impugnazione impedisce di far valere la nullità del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione all’esecuzione. Tale principio non si applica però quando siamo davanti al caso di Inesistenza del Titolo Esecutivo Giudiziale (quando cioè manca la sottoscrizione del giudice sul provvedimento). L’inesistenza infatti può esser fatta valere anche con strumenti diversi dai mezzi di impugnazione (che sono uno strumento facoltativo); uno dei luoghi in cui far valere l’inesistenza del provvedimento, quando questo è usato come titolo esecutivo, è l’Opposizione all’Esecuzione. Quindi l’inesistenza dell’atto può essere dedotta in sede di opposizione all’esecuzione, mentre invece la nullità deve essere fatta valere con il mezzo prescritto (non si può fondare su di essa un’opposizione all’esecuzione, si userà il mezzo di impugnazione prescritto, dato che la nullità viene considerato motivo di impugnazione ex art 161 CPC).
 L’efficacia esecutiva di un provvedimento giurisdizionale talvolta è disposta dalla legge (ex lege), talvolta nasce da un provvedimento del giudice (ope iudicis).
 Con tale classificazione si vuole differenziare il caso in cui la fattispecie è immediatamente rilevante e quando invece è mediata da una valutazione del giudice.
 L’efficacia è comunque sempre ex lege (è la legge che prevede i presupposti in presenza dei quali un atto è titolo esecutivo). Nel caso in cui l’efficacia esecutiva derivi da un provvedimento del giudice è perché l’ordinamento indica alcune circostanze in termini elastici e il giudice deve valutarle, verificando la presenza di certi presupposti previsti dalla legge per l’efficacia del provvedimento (nell’efficacia ex lege invece non c’è il giudice che fa da tramite).
 Le due ipotesi hanno una disciplina differenziata in sede di Opposizione all’Esecuzione: a) Ope Iudicis: sono precluse tutte le contestazioni relative all’effetiva esistenza dei presupposti in questione, dato che sono stati accertati dal giudice. Non è possibile contestare in sede di Opposizione all’Esecuzione la giustizia e fondatezza del provvedimento con il quale il giudice da o nega l’esecutività a quell’atto. b) Ex Lege: l’efficacia esecutiva discende immediatamente dall’esistenza dei presupposti previsti dalla legge quindi in sede di Opposizione all’Esecuzione si può affermare che tali presupposti non esistono. Se il giudice nell’emettere il provvedimento esterna la propria opinione circa l’efficacia esecutiva del provvedimento tale parere è irrilevante perché il giudice non ha il potere di interferire sull’esecutività del proprio provvedimento. MANCANZA DEL DIRITTO DA TUTELARE: è l’altro profilo che può fondare l’opposizione all’esecuzione, ovvero l’inesistenza del diritto sostanziale che si vuole tutelare con l’esecuzione. L’esistenza del diritto sostanziale contestato con l’opposizione all’esecuzione emerge sempre dall’atto che funge da titolo esecutivo. La regola è la seguente: in sede di opposizione all’esecuzione possono esser fatte valere le stesse contestazioni che sarebbero ammissibili nel caso in cui l’atto-titolo esecutivo fosse usato dal creditore come prova dell’esistenza del suo diritto in un ordinario processo di cognizione.
 Sostanzialmente si ipotizza che ci sia un processo di cognizione in cui il creditore procedente è l’attore e l’esecutato il convenuto; l’oggetto di tale processo è un diritto, lo stesso diritto per cui si chiede la tutela esecutiva. L’attore produce un atto come prova di esistenza del diritto, lo stesso atto che in sede esecutiva sta spendendo come titolo esecutivo. Le difese che l’esecutato ha in sede di opposizione all’esecuzione sono le 77 b) la Legittimazione Passiva spetta senza dubbio al creditore procedente, la controparte dell’opposizione all’esecuzione (è il suo diritto a procedere a esecuzione forzata che l’opponente contesta). Per quanto riguarda i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo sono litisconsorti necessari nell’opposizione all’esecuzione. Ciò perché il creditore procedente non può con un proprio atto di volontà danneggiare un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo; infatti se il creditore procedente, ad esempio rinunciasse all’esecuzione, il creditore intervenuto potrebbe benissimo portarla avanti da solo.
 Una sentenza che accogliesse l’opposizione all’esecuzione nei soli confronti del creditore procedente non sarebbe idonea a fermare l’esecuzione che potrebbe andare avanti su impulso di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo.
 Il creditore che interviene ma non è munito di titolo esecutivo invece non ha poteri da spendere finché non c’è la distribuzione del ricavato (egli fa, in sintesi, solo una prenotazione sulla distribuzione del ricavato; è solo uno spettatore passivo); se il creditore procedente non compie gli atti per arrivare alla vendita non può farli il creditore intervenuto che non ha titolo esecutivo. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo però potranno partecipare al processo di opposizione in via di Intervento Volontario dato che l’eventuale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione pregiudica anche i creditori intervenuti poiché causa la chiusura del processo espropriativo anche nei loro confronti. INVERSIONE DELL’INIZIATIVA PROCESSUALE: il processo di opposizione all’esecuzione è un ordinario processo di cognizione in cui però si realizza un’inversione dell’iniziativa processuale: qua colui che afferma l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata è il creditore opposto mentre l’opponente è il debitore esecutato che nega l’esistenza di tale diritto. Questa inversione implica anche che dal punto di vista dell’Onere della Prova sia il creditore procedente (convenuto opposto) a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto e il debitore esecutato (attore opponente), dovrà dimostrare i fatti impeditivi, estintivi e modificativi del diritto del creditore.
 Il creditore opposto può proporre anche una Domanda Riconvenzionale avente ad oggetto anche lo stesso diritto o un diritto connesso con quello di cui era stata chiesta la tutela esecutiva. Se il creditore vincesse sulla riconvenzionale ma soccombesse sull’opposizione all’esecuzione dovrebbe ricominciare da capo l’esecuzione: ciò perché, pur avendo un nuovo titolo esecutivo (quello della domanda riconvenzionale) il vecchio, quello con cui aveva iniziato l’esecuzione e a cui l’esecutato si era opposto, adesso non c’è più e l’esecuzione in corso è caducata (il titolo esecutivo infatti deve sussistere dall’inizio alla fine dell’esecuzione). EFFETTI DELLA SENTENZA: la sentenza che rigetta l’opposizione all’esecuzione afferma l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata (in coerenza con l’inversione dell’iniziativa processuale equivale all’accoglimento della domanda).
 La sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione nega l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata (equivale al rigetto della domanda). Si impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e gli atti già compiuti perdono effetti.
 Per quanto riguarda gli Effetti Preclusivi dell’accoglimento dell’opposizione rileva il motivo per cui tale opposizione è stata accolta (si misura su ciò la portata preclusiva), si dichiara: a) Impignorabilità del Bene: libera il bene dal pignoramento ma il processo di espropriazione per altri beni, eventualmente sottoposti a esecuzione, va avanti. b) Inefficacia del Titolo Esecutivo: l’esecuzione è caducata ma si potrà instaurare un nuovo processo esecutivo a tutela dello stesso diritto sostanziale. c) Inesistente la Situazione Sostanziale: la sentenza ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. 80 Per quanto riguarda gli Effetti Preclusivi del rigetto dell’opposizione il discorso è analogo. 25 - L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI Con l’Opposizione agli Atti Esecutivi non si contesta che l’esecuzione si debba fare ma si rileva che si sta facendo nel modo sbagliato (uno o più atti del processo esecutivo sono nulli). E’ lo strumento con il quale si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti processuali alle prescrizioni normative che li disciplinano. L’eventuale svolgimento di un processo esecutivo a tutela di un diritto inesistente è un evento meno pericoloso delle nullità che si possono verificare all’interno del processo esecutivo stesso. Ciò perchè gli effetti di un processo esecutivo svolto senza che vi fossero le condizioni possono comunque essere rimossi (se ingiusti dal punto di vista sostanziale) anche con strumenti esterni al processo esecutivo. Il fatto che l’esecuzione sia stata svolta e che si sia giunti al risultato non impedisce affatto che ciò che il creditore ha ricevuto venga restituito, se non dovuto. Se invece l’esecuzione si è svolta male non si può rimediare a tale vizio al di fuori del processo (salvo eccezioni come ad esempio l’art 2929 CPC).
 Nel processo esecutivo nullo si verifica una distorsione degli effetti dell’esecuzione che non sono più quelli che vuole il sistema, a causa del vizio. Ecco perché da questo punto di vista i vizi del quomodo (il ‘come’ dell’esecuzione a cui si fa Opposizione agli Atti Esecutivi) sono più importanti dei vizi dell’an (il ‘se’ dell’esecuzione a cui si fa Opposizione all’Esecuzione). I vizi relativi al quomodo, proprio perché interni al processo, devono trovare una loro soluzione all’interno del processo esecutivo stesso.
 L’Opposizione agli Atti Esecutivi è l’unico strumento per operare il controllo sulla conformità degli atti del processo alle prescrizioni normative che li riguardano. Se pensiamo al ruolo che svolge il processo dichiarativo (decidere e accertare il modo di essere della realtà sostanziale) vediamo che esso è anche idoneo a decidere e accertare il modo di essere della realtà processuale.
 Se nel processo dichiarativo un soggetto introduce la questione di rito, così da farla decidere insieme a quella di merito, nel processo esecutivo non c’è un ambiente idoneo a decidere e quindi a risolvere le questioni di rito. Si deve dunque creare uno strumento funzionalmente e strutturalmente idoneo a decidere delle controversie relative alla validità del processo esecutivo. Tale strumento è, per l’appunto, l’Opposizione agli Atti Esecutivi, ovvero un Processo di Cognizione che ha eccezionalmente non un oggetto sostanziale ma un oggetto processuale (valutazione e decisione della conformità dei comportamenti dei soggetti del processo esecutivo alle previsioni normative). OGGETTO: per individuare l’oggetto dell’Opposizione agli Atti Esecutivi si deve far riferimento alla disciplina della nullità degli atti: le nullità formali (che riguardano i singoli atti del processo) e le nullità extraformali (che riguardano le condizioni per l’emanazione del provvedimento di merito o, per meglio dire, i presupposti processuali).
 La nullità del singolo atto si ripercuote, a caduta, sugli atti successivi dipendenti. Un vizio attinente ad un presupposto processuale inficia autonomamente tutti gli atti del processo (nel processo svolto davanti al giudice incompetente ogni atto è nullo in sé, non perché contagiato dalla nullità dell’atto precedente). Ovviamente anche la nullità del Titolo Esecutivo in Senso Documentale è oggetto di Opposizione agli Atti Esecutivi e non di Opposizione all’Esecuzione.
 L’Opposizione agli Atti Esecutivi deve essere proposta, ex art 617 CPC, entro un Termine di 20 giorni dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato. a) le Nullità Formali danno luogo a un vizio dell’atto, rilevabile di regola dalla sola parte interessata (e dal giudice nei casi in cui è espressamente prevista la rilevabilità d’ufficio). Se non si propone l’Opposizione agli Atti Esecutivi entro il termine previsto il 81 vizio dell’atto processuale viene sanato e non contagia più gli atti successivi (questa regola è la trasposizione dell’obbligo ex art 157 CPC di far valere la nullità nella prima istanza o difesa successiva alla notizia della stessa). b) le Nullità ExtraFormali sono invece rilevabili anche d’ufficio di solito. Inoltre dato che tutti gli atti del processo sono viziati autonomamente e non per ripercussione, non potrà funzionare il meccanismo di sanatoria consistente nella mancata, tempestiva rilevazione della nullità dell’atto precedente. Se, ad esempio, il giudice è incompetente non è solo nullo l’atto di pignoramento ma la nullità inficia pure l’atto di vendita e così via: fintanto che il vizio è rilevabile sarà possibile proporre l’Opposizione agli Atti Esecutivi nei confronti di ciascun atto successivo del processo esecutivo. Però se viene omessa l’opposizione agli atti nei confronti dell’ultimo atto del processo esecutivo il vizio diviene irrilevante (come diviene irrilevante il vizio del presupposto processuale se la sentenza del processo di cognizione non viene impugnata). Per quanto riguarda le Nullità Rilevabili d’Ufficio esse pongono problemi diversi: sono rilevabili di ufficio tutte le nullità extraformali e le nullità formali espressamente qualificate dal legislatore come rilevabili d’ufficio. Se l’ufficio rileva una nullità deve rifiutare di emettere il provvedimento che gli viene richiesto. La parte interessata, di fronte a una nullità rilevabile ma in concreto non rilevata d’ufficio, può proporre Opposizione agli Atti Esecutivi oppure può chiedere con istanza al giudice di modificare o revocare il provvedimento che ha emesso (ovviamente tale istanza non è più possibile quando il provvedimento ha avuto esecuzione).
 Per quanto riguarda la Legittimazione si deve dire che l’Opposizione agli Atti Esecutivi è uno strumento che può essere usato da tutti coloro che sono parti del processo. Con un occhio volto all’art 157 CPC vediamo però che non è legittimato a proporre Opposizione agli Atti Esecutivi colui che ha compiuto l’atto e, per le sole nullità non rilevabili d’ufficio, la parte che ha rinunciato all’opposizione. La parte che vuol proporre Opposizione inoltre deve avere interesse all’opposizione: la nullità deve ledere la parte in concreto. PROPOSIZIONE: quando l’Opposizione agli Atti Esecutivi è proposta prima dell’inizio dell’esecuzione con citazione (o ricorso se è prescritto un rito speciale per la tutela del diritto che si vuole tutelare esecutivamente). Per individuare il giudice al quale proporre la citazione dobbiamo far riferimento al principio contenuto nell’art 617 CPC: la competenza per materia spetta al giudice dell’esecuzione (d’altronde si decide una questione di rito del processo esecutivo). Inoltre dato che per l’esecuzione forzata è sempre competente il tribunale, l’opposizione agli atti esecutivi va sempre proposta al tribunale che ha sede nel comune dov’è l’istante ha eletto il domicilio (o, se non lo ha fatto, ha notificato il precetto). Se invece si propone l’Opposizione agli Atti Esecutivi dopo l’inizio dell’esecuzione lo si fa con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice dell’opposizione.
 Poi il giudice dell’esecuzione fissa, con decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e da un termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. L’udienza fissata a seguito del deposito del ricorso contenente l’Opposizione agli Atti Esecutivi si svolge come l’udienza di Opposizione all’Esecuzione. Nei casi urgenti il giudice da i provvedimenti indilazionabili e può anche sospendere il processo esecutivo 
 Quando l’opposizione è proposta per una Nullità Formale e questa è sanabile il giudice dell’esecuzione può, ex art 162 CPC, anche anticipare i probabili risultati e disporre che l’atto sia rinnovato oppure la nullità sanata, ferma rimanendo la pendenza del processo di Opposizione agli Atti Esecutivi.
 Analogamente, quando è proposta Opposizione per Nullità Extraformale ed il vizio del presupposto processuale è sanabile il giudice può disporre la sanatoria.
 Diversamente, ove sia proposta Opposizione per Nullità Extraformale, il vizio del presupposto processuale sia insanabile e l’opposizione sia ritenuta fondata il giudice 82 EFFETTI DEL PIGNORAMENTO: quando viene proposta l’opposizione di terzo dobbiamo tenere conto degli effetti del pignoramento, dato che l’opposizione non può essere fondata con prospettive di successo su diritti derivanti da atti inopponibili al creditore. Ad esempio Mevio che ha acquistato la proprietà del bene dall’esecutato Caio dopo la trascrizione del pignoramento non potrà opporre il suo diritto al creditore procedente Tizio.
 In sostanza c’è perfetta coincidenza tra l’art 2919 CC e l’art 619 CPC: il diritto del terzo può fondare una vittoriosa opposizione di terzo (e essere opponibile anche all’aggiudicatario a vendita avvenuta) se è opponibile al creditore.
 All’Opposizione di Terzo vanno ricondotte anche le ipotesi di conflitto tra la trascrizione di una domanda e la trascrizione di un pignoramento (regolate dall’art 2915 CC). La trascrizione della domanda ha sia Effetti Processuali che Effetti Sostanziali: a) Effetti Processuali: che influiscono sulla litispendenza e sull’efficacia della sentenza nei confronti degli aventi causa.
 L’art 2915 CC equipara il creditore pignorante, nel conflitto con gli altri soggetti, ad un avente causa del debitore esecutato. Se viene trascritta prima la domanda (del terzo contro il debitore esecutato) del pignoramento (del creditore procedente sul bene dell’esecutato, che però è del terzo) allora il creditore pignorante assume il ruolo di successore nel diritto controverso (ex art 111 CPC); egli può intervenire nel processo e la sentenza sarà per lui, come per l’aggiudicatario, vincolante.
 Se invece la trascrizione del pignoramento è anteriore alla trascrizione della domanda il creditore procedente (così come l’aggiudicatario) non saranno vincolati alla sentenza.
 L’attore non ha tutela piena, sarà costretto a instaurare un secondo processo contro l’acquirente in vendita forzata, senza poter utilizzare la sentenza che gli ha dato ragione (che gli ha riconosciuto il diritto sul bene pignorato) nel contraddittorio del solo esecutato.
 Quindi l’attore che vuole vedere riconosciuto il suo diritto sia nei confronti del convenuto (debitore esecutato) sia del creditore procedente (e quindi anche dell’aggiudicatario) deve proporre Opposizione di Terzo. E’ l’unico modo per instaurare il contraddittorio nei confronti dell’esecuzione, e ciò è indispensabile per ottenere una sentenza efficace verso il creditore (e quindi anche verso l’aggiudicatario). b) Effetti Sostanziali: che influiscono sulla risoluzione del conflitto tra attore e aventi causa del convenuto. Abbiamo già visto come il creditore procedente che abbia trascritto il pignoramento prima della domanda del terzo contro il debitore esecutato, fa salvo il suo diritto sul piano sostanziale.
 Ciò avviene esattamente alle stesse condizioni in presenza delle quali un acquirente del convenuto farebbe salvo il suo diritto. Al verificarsi di certi presupposti (anteriorità della trascrizione sempre più, di volta in volta, buona fede, titolo oneroso, decorso del tempo etc) si produce una autonomizzazione della posizione dell’avente causa (chi ha acquistato dal convenuto) dalle vicende che attengo al titolo del suo dante causa.
 Si svincola la posizione dell’avente causa dalle vicende che attengono al titolo del suo dante causa: il verificarsi di una fattispecie di salvezza da all’acquirente un titolo preferenziale rispetto al terzo che reclama il bene dal convenuto che ha venduto il bene. Il terzo dovrà accontentarsi del risarcimento dei danni del convenuto, non potrà riottenere il bene dall’avente causa. 
 Alla stessa maniera il creditore pignorante che ha trascritto il pignoramento prima della trascrizione della domanda fa salvo il suo pignoramento: l’attore (terzo) non potrà recuperare il bene pignorato contro l’esecuzione; potrà avere solo il risarcimento dei danni dal debitore esecutato. 85 INSTAURAZIONE DEL CONTRADDITTORIO CON IL CREDITORE: facciamo un esempio. Tizio propone domanda di nullità nei confronti dell’acquirente del bene X Caio. Mentre trascrive la domanda si accorge che Sempronio, creditore di Caio, ha pignorato il bene X e ha già trascritto tale pignoramento. Tizio sa che, se il contratto è nullo, la posizione di Sempronio non è salva ma sa anche che la sentenza che otterrà contro Caio, per via dei limiti soggettivi dell’efficacia della sentenza, non sarà opponibile a Sempronio creditore pignorante. Sempronio infatti è terzo rispetto alla domanda di nullità tra Tizio e Caio e non sarà soggetto agli effetti della sentenza. La sentenza dunque è inopponibile a Sempronio e sarà inopponibile anche all’aggiudicatario del bene X, una volta che esso sarà venduto in vendita forzata. Tizio dovrà dimostrare di nuovo, nei confronti dell’aggiudicatario questa volta, ciò che la sentenza contro Caio aveva già accertato nella sentenza: il bene non era di Caio perchè da questi era stato acquistato in base a un titolo nullo, annullabile etc. Come può Tizio evitare tutto questo? Quando Tizio si accorge che era stata trascritta domanda di pignoramento sul bene X può estendere il contraddittorio a Sempronio, creditore procedente, che smetterà di essere terzo rispetto al processo di nullità e ne diverrà parte: in questo modo la sentenza farà stato anche nei confronti di Sempronio, creditore procedente. Si superano così i limiti soggettivi di efficacia della sentenza.
 Ma come si fa per estendere il contraddittorio?
 Nei confronti di un Avente Causa di diritto sostanziale il tutto è molto semplice: si realizza un litisconsorzio facoltativo passivo o si chiama in causa l'avente causa. Ma quando l’avente causa è un Creditore Procedente ciò non è possibile perchè l’esecuzione non è un soggetto di diritto, non esiste un soggetto che possa stare in giudizio in nome e per conto dell’esecuzione (non è come per il fallimento dove si può proporre domanda nei confronti del curatore, ottenendo una sentenza opponibile al fallimento e all’acquirente della vendita fallimentare). Occorrerà creare il contraddittorio all’interno del processo esecutivo utilizzando l’Opposizione di Terzo. Si proporrà dunque la domanda non con una Citazione da notificare al debitore ma bensì con un Ricorso al giudice dell’esecuzione: il contenuto sarà identico, cambierà solo la forma. Così facendo la sentenza che Tizio otterrà contro Caio farà stato anche nei confronti di Sempronio, creditore procedente, e all’aggiudicatario in vendita forzata. DIRITTI DI RESTITUZIONE: talvolta l’opponente non fa valere il diritto di proprietà ma una impugnativa negoziale; ma l’art 619 CPC prevede che l’opposizione deve essere fondata dal terzo sulla proprietà o su un altro diritto reale.
 Il problema è questo: il terzo deve in ogni caso dimostrare che è il titolare di un diritto reale o può in certi casi fondare l’opposizione su un diritto diverso? Il riferimento è ai diritti di restituzione che trovano la loro origine in due fattispecie diverse: a) Fattispecie Fisiologica: alcuni contratti sono fisiologicamente restitutori perché il godimento del bene, trasferito da una parte all’altra come adempimento di un obbligo contrattuale, è destinato a cessare (ad esempio il contratto di locazione). b) Fattispecie Patologica: sono obblighi di restituzione che si innestano su un titolo in sè non restitutorio ma che diviene tale in seguito a una vicenda patologica. Ad esempio Tizio vende un bene a Caio in base a un contratto che poi viene dichiarato nullo: Caio dovrà restituire il bene. I diritti di restituzione, in sintesi, sorgono sulla base della seguente fattispecie: la controparte ha avuto il bene in attuazione del rapporto, il rapporto è venuto meno per una causa fisiologica o patologica. Venuto meno il titolo che ha fondato l’attribuzione del bene nasce lo speculare obbligo di restituzione. Nei diritti di restituzione, per evitare la probatio 86 diabolica della proprietà a carico dell’attore, basta dimostrare i fatti che integrano la fattispecie sopra descritta. Le azioni di restituzione sono azioni personali: finché il bene è posseduto da colui che è obbligato alla restituzione si può ottenere la restituzione dimostrando semplicemente che il bene è stato consegnato in attuazione di un rapporto e che, adesso che tale rapporto è esaurito, il bene deve essere restituito.
 Se invece il possesso del bene è ormai passato a un terzo bisognerà ricorrere alla Domanda di Rivendicazione accollandosi il relativo onere della prova: il terzo non diviene successore nell’obbligo di restituzione. ESPERIBILITA’ DELLE AZIONI DI RESTITUZIONE: immaginando che il debitore esecutato sia colui che è obbligato alla restituzione e che chi fa opposizione di terzo sia colui ha ha consegnato il bene in attuazione del rapporto dobbiamo chiederci se per l’opponente è possibile limitarsi a dimostrare i presupposti dell’azione di restituzione; oppure se deve anche dimostrare che, al momento della consegna al debitore, egli era proprietario del bene.
 Il punto decisivo è questo: l’esecuzione forzata può essere equiparata a un terzo possessore del bene pignorato? Se equipariamo l’esecuzione forzata a un terzo possessore del bene, allora l’art 619 CPC deve essere interpretato alla lettera: il terzo opponente dovrà quindi dimostrare, sempre e comunque, di essere proprietario del bene, anche se vanta un diritto di restituzione nei confronti dell’esecutato (dato che il terzo, divenuto possessore, non succede negli obblighi di restituzione che vincolano solo le parti originarie del contratto).
 Se invece riteniamo che l’esecuzione forzata non sia equiparabile ad un terzo che possiede il bene pignorato, il terzo opponente, che ha un diritto di restituzione nei confronti dell’esecutato, potrà farlo valere anche nei confronti del creditore procedente e dell’esecuzione forzata in genere.
 Per risolvere la questione rivediamo gli effetti del pignoramento: il possesso, nel pignoramento rimane ‘congelato’. Se è vero che l’esecutato perde il possesso del bene quando questo viene pignorato è anche vero che il creditore procedente non acquista il possesso su tale bene rilevante dal punto di vista del diritto sostanziale. Quindi l’esecuzione non è un terzo divenuto possessore del bene: l’esecuzione conserva semplicemente il possesso del bene, così come si trovava in capo all’esecutato. Perciò se l’opponente poteva far valere un azione di restituzione nei confronti dell’esecutato egli potrà farla valere anche nei confronti del creditore e dell’esecuzione in genere.
 Non potrà però far valere l’azione di restituzione contro l’aggiudicatario perché egli è un terzo che è divenuto possessore del bene: nei suoi confronti si rende necessaria la rivendicazione con relativa prova della proprietà. Quindi: l’art 619 CPC non va interpretato alla lettera; non sono solo Proprietà o altro Diritto Reale idonei a fondare l’Opposizione di Terzo. Anzi è sufficiente far valere un Diritto di Restituzione perchè dal punto di vista sostanziale tale diritto non è in contrasto con gli effetti del pignoramento. Il possesso del bene è stato tolto dall’esecutato ed è ora ‘conservato’ dall’esecuzione. Non è ancora stato acquisito da nessun altro soggetto che potrebbe dire ‘possiedo quindi dimostrami di essere proprietario altrimenti non sono né contrattualmente né personalmente obbligato alla restituzione del bene nei tuoi confronti’. 87 All’udienza che si svolge davanti il giudice dell’esecuzione le parti (terzo opponente e creditore procedente, come detto) possono raggiungere un accordo che può prevedere sia la prosecuzione dell’espropriazione sia la cessazione della stessa. Il giudice, se le parti non hanno diversamente previsto nell’accordo, statuisce poi sulle spese.
 Qualora non si raggiungesse un accordo l’art 619 CPC rimanda a quanto previsto dall’art 616 CPC: come in sede di Opposizione all’Esecuzione il giudice deve porsi i problemi di competenza. Se l’ufficio è competente in senso verticale in relazione al valore del bene controverso il giudice istruisce la causa; altrimenti la rimette al giudice -di pace- competente. Per quanto riguarda la competenza territoriale invece è sempre competente il giudice del luogo dell’esecuzione.
 Il processo di opposizione è un ordinario processo di cognizione che si svolge secondo le regole del Codice di Procedura Civile e che termina con una sentenza assoggettabile ai normali mezzi di impugnazione.
 Il momento finale per proporre Opposizione è il momento della Vendita Forzata, una volta avvenuta la vendita l’opposizione di terzo non è più proponibile (dopo la vendita il terzo deve vedersela direttamente con l’acquirente; ormai il pregiudizio si è verificato).
 L’art 620 CPC, parlando di Espropriazione Mobiliare, però prevede che l’Opposizione possa essere proposta anche dopo la vendita: con la vendita forzata dei beni mobili il diritto del terzo, normalmente si estingue, e quindi non ha alcun diritto da far valere contro l’acquirente in vendita forzata.
 L’unico diritto che il terzo ha è quello di farsi consegnare il ricavato della vendita (salvo poter chiedere risarcimento dei danni al creditore procedente in mala fede).
 Quindi, secondo l’art 620 CPC, basta che l’opposizione sia proposta dopo la vendita o che l’esecuzione non sia sospesa dopo la proposizione dell’opposizione di terzo, perché il diritto del terzo sul bene si trasformi nel diritto alla somma ricavata dalla vendita.
 Infatti l’art 2920 CC recita ‘Se oggetto della vendita è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa, ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall'esecuzione, non possono farle valere nei confronti dell'acquirente di buona fede, né possono ripetere dai creditori la somma distribuita. Resta ferma la responsabilità del creditore procedente di mala fede per i danni e per le spese’.
 Quindi secondo l’art 2920 CC invece il terzo deve anche dimostrare la malafede dell’acquirente in vendita forzata; il suo diritto sul bene altrimenti non si trasforma nel diritto al ricavato della vendita. Sembrerebbe cozzare con la conversione automatica del ritardo nel proporre l’opposizione in soddisfazione sul ricavato. Le norme si coordinano così: una volta effettuata la vendita il terzo ha due strade: a) se il terzo pensa di poter dimostrare la malafede dell’acquirente e vuole recuperare il bene presso di lui può proporre, in un ordinario processo di cognizione, la domanda direttamente contro di lui. b) se il terzo ritiene di non avere la possibilità di recuperare il bene dall’aggiudicatario e di doversi dunque accontentare del ricavato della vendita dovrà proporre Opposizione di Terzo (in ritardo), inserendosi nel processo esecutivo. Il terzo può anche usare congiuntamente le possibilità che gli offre l’ordinamento.
 Negli altri casi, ovvero nei casi di Espropriazione Immobiliare, invece l’opposizione non è proponibile una volta avvenuta la vendita forzata. Se però il terzo propone tempestivamente l’opposizione ma il giudice non sospende l’esecuzione e si arriva comunque alla vendita allora il processo di opposizione prosegue con effetti anche verso l’aggiudicatario: in sostanza si applica l’art 111 CPC (Successione nel Diritto Controverso).
 Nell’Espropriazione Mobiliare, invece sono diversi il processo in cui si fa valere il diritto alla consegna del ricavato (opposizione di terzo) e il processo in cui si tenta di recuperare il bene dall’aggiudicatario cercando di dimostrarne la malafede (processo autonomo all’esecuzione). 90 Questa differenza deriva dalla diversa natura della vendita forzata che, salvo eccezioni, è a titolo originario per i beni mobili e a titolo derivativo per gli altri beni.
 L’Acquisto a Titolo Derivativo non è innovativo e quindi la vendita non influisce sulla decisione sull’opposizione già proposta: se l’opponente era proprietario prima della vendita lo resta anche dopo. L’Acquisto a Titolo Originario è invece innovativo e se anche l’opponente è (era) proprietario del bene una volta avvenuta la vendita non lo è più: una volta avvenuta la vendita del bene mobile non basta più dimostrare di essere il proprietario per recuperare il bene, deve anche dimostrare la malafede dell’acquirente in vendita forzata.
 Per avere il ricavato della vendita, invece, è sufficiente che l’opponente dimostri che è proprietario del bene mobile. ONERE DELLA PROVA: si deve subito distinguere l’espropriazione mobiliare da quella immobiliare. Per i Beni Immobili, qualora l’opponente faccia valere un diritto reale su di essi, si applicano le regole ordinarie delle Azioni di Rivendicazione e di mero accertamento della proprietà e delle azioni restitutorie. Se possessore è l’esecutato il terzo deve dimostrare di essere proprietario (onere della Rivendicazione); se è possessore il terzo opponente allora basta che dimostri di possedere secondo un titolo valido.
 Nel caso in cui l’opponente fondi la sua domanda su un diritto personale di restituzione con l’esecutato che è anche la controparte contrattuale allora l’opponente deve dimostrare che il bene pignorato è stato trasferito in base a un titolo nullo (o comunque divenuto inefficace).
 Per i Beni Mobili invece se il bene è stato pignorato presso i luoghi appartenenti al debitore (art 513 CPC), l’onere di dimostrare la proprietà spetta all’opponente (che non ne è possessore). Oltre che la prova della titolarità del diritto sul bene il terzo deve anche fornire la cosiddetta Prova dell’Affidamento, ovvero deve dimostrare a quale titolo i suoi beni si trovavano presso il debitore. La prova dell’affidamento può essere data con qualunque mezzo quando l’affidamento è reso verosimile dalla professione o commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Negli altri casi invece la prova dell’affidamento non può essere data per testimoni (art 621 CPC). Se invece il bene viene pignorato al di fuori dei luoghi previsti dall’art 513 CPC, il terzo deve solo dimostrare il suo possesso; spetterà al creditore procedente dimostrare che il bene è di proprietà dell’esecutato. In realtà se il bene viene pignorato non in luogo appartenente al debitore ma all’opponente, l’Opposizione di Terzo assume una configurazione particolare: infatti l’opposizione di terzo presume che il pignoramento sia processualmente legittimo. Se si fa valere l’illegittimità processuale del pignoramento l’opposizione di terzo assume il contenuto di un Opposizione agli Atti Esecutivi proposta da un terzo. EFFETTI DELLA SENTENZA: la sentenza che decide l’opposizione di terzo non fa stato nei rapporti interni tra debitore esecutato e terzo opponente perché si deve tener conto dell’opponibilità di certi atti al creditore procedente.
 La sentenza che nega il diritto sul bene al terzo non è vincolante nei rapporti tra debitore esecutato e terzo; lo è solo nei rapporti tra terzo opponente e creditore procedente.
 Oggetto della pronuncia non è l’effettiva titolarità del diritto sul bene ma è la titolarità del diritto in riferimento al creditore procedente (tant’è che i limiti alla prova testimoniale ex art 621 CPC possono essere giustificati solo in un processo che ha ad oggetto la sussistenza del diritto sul bene in riferimento alla posizione del creditore procedente, non avrebbero ragion d’essere nel processo che ha ad oggetti i rapporti tra opponente e esecutato).
 Ancora una volta si contraddice l’opinione giurisprudenziale secondo cui l’esecutato sarebbe litisconsorte necessario: la sentenza non ha (nè può avere) effetti nei suoi confronti, non si vede perché dovrebbe partecipare al processo. 91 27 - LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO Con il termine sospensione si indica un periodo in cui non si compiono atti, così da lasciare in processo in una situazione di stasi. La sospensione costituisce un’interferenza tra un processo di cognizione e un processo esecutivo: è un meccanismo che coordina il processo esecutivo con l’apertura di un processo di cognizione che incide nel processo esecutivo stesso.
 La sospensione, ex art 623 CPC, può essere disposta dalla legge, da un provvedimento del giudice davanti a cui è impugnato un titolo esecutivo o da un provvedimento del giudice dell’esecuzione. Il processo esecutivo poi dovrà essere riassunto ex art 627 CPC. a) Sospensione disposta dalla Legge: siamo nel caso in cui il processo incidentale riguarda l’oggetto del processo esecutivo (e non l’oggetto dell’esecuzione forzata). Siamo all’art 601 CPC: come abbiamo visto quando è pignorato un bene indiviso la scelta prioritaria del legislatore è la divisione del bene. In questo caso il processo esecutivo rimane sospeso in attesa della conclusione del processo di cognizione.
 Nel processo di cognizione si deve formare l’oggetto del processo esecutivo, dopodiché il processo esecutivo potrà andare avanti con l’oggetto plasmato dal processo di cognizione. Sostanzialmente quando il processo di cognizione incide sulla determinazione dell’oggetto del processo esecutivo la sospensione è necessaria e automatica (la sospensione consegue al mero verificarsi della fattispecie, senza bisogno di un provvedimento da parte del giudice). La sospensione opera nell’interesse del creditore, finché non c’è un oggetto, il processo esecutivo, non può comunque proseguire. b) Sospensione disposta dal Giudice dell’Impugnazione: siamo all’art 623 CPC dove il giudice davanti al quale si impugna il titolo esecutivo sospende l’efficacia esecutiva della pronuncia-titolo esecutivo. Dal 2006 la sospensione può essere disposta anche dal Giudice dell’Opposizione a Precetto ex art 615 CPC, una novità apprezzabile dato che prima si lasciava il debitore esecutato senza strumenti di tutela che potessero impedire il compimento di un atto pregiudiziale, come il pignoramento. La norma indica come presupposto per la sospensione i ‘gravi motivi’ così come fa anche l’art 624 CPC: in mancanza del pignoramento il rischio che il creditore corre a seguito della sospensione si alza quindi deve alzarsi anche il possibile risultato positivo della sua opposizione. La funzione latu sensu cautelare della sospensione non deve ingannare: non può in nessun modo essere ricondotta a una misura cautelare. c) Sospensione a seguito di Opposizione all’Esecuzione/Opposizione di Terzo: in questi casi il processo di cognizione incidentale riguarda il diritto a procedere a esecuzione forzata (in caso di opposizione all’esecuzione) oppure l’oggetto dell’esecuzione e non del processo esecutivo (in caso di opposizione di terzo).
 Se nella sospensione disposta dalla legge il processo di cognizione plasmava l’oggetto del processo esecutivo qua invece plasma l’oggetto dell’esecuzione (l’oggetto del processo esecutivo si determina col pignoramento e non ha bisogno di plasmarsi in sede cognitiva).
 In questi casi il processo esecutivo ha tutti i requisiti necessari per produrre i suoi effetti; la sospensione infatti va contro l’interesse del creditore procedente.
 Si è introdotto anche un meccanismo di tutela per il debitore esecutato o il terzo: si prevede che a certe condizioni il processo esecutivo venga sospeso in attesa dell’esito del processo di cognizione. Si passa in questi casi dalla valutazione di opportunità del giudice dell’esecuzione: nella sospensione conseguente all’opposizione all’esecuzione o di terzo il processo esecutivo non è nullo, ma nel caso l’opposizione fosse fondata ingiusto.
 La sospensione, in seguito all’opposizione di terzo o all’esecuzione, non è automatica: deve esserci un provvedimento del giudice che valuta la sussistenza di ‘gravi motivi’ e 92 un creditore intervenuto senza titolo esecutivo potrà però sostituirsi al creditore procedente.
 Dopo la vendita invece è necessaria l’accettazione di tutti i creditori concorrenti intervenuti, anche di quelli intervenuti senza titolo esecutivo (i Creditori Chirografari): dopo la vendita tutti i creditori sono parificati e hanno diritto di soddisfarsi sul ricavato; quindi tutti possono impedire l’estinzione per inattività (e di conseguenza tutti devono accettarla). INATTIVITA’: ex art 630 CPC vi è poi l’estinzione per inattività delle parti. La prima ipotesi di inattività che causa l’estinzione del processo esecutivo è la mancata, tempestiva prosecuzione o riassunzione del processo esecutivo. L’estinzione opera di diritto: dal momento che viene pronunciata dal giudice essa opera retroattivamente fino al momento in cui la fattispecie estintiva è maturata.
 L’estinzione può essere eccepita dalla parte o anche dichiarata d’ufficio ma deve essere dichiarata non oltre la prima udienza successiva al verificarsi dell’estinzione stessa.
 Il legislatore qui (al contrario dell’art 307 CPC) pone un limite alla rilevabilità dell’estinzione.
 Un’altra ipotesi di inattività che porta all’estinzione si ha per la mancata comparizione all’udienza (viene dichiarata l’estinzione d’ufficio): devono comparire nelle udienze precedenti al perfezionamento della vendita i creditori muniti di titolo esecutivo. 
 Dal 2006 però non si ha estinzione se non si presenta un creditore munito di titolo esecutivo all’udienza di vendita: per questa udienza non importa la comparizione.
 Un’altra ipotesi di estinzione è dettata dall’art 567 CPC che prevede che nel termine di 120 giorni dal deposito dell’istanza di vendita, il creditore procedente o un creditore intervenuto con titolo esecutivo debbano depositare la documentazione necessaria alla vendita stessa: se non lo fanno c’è estinzione, dichiarata anche d’ufficio.
 Un’ultima ipotesi di estinzione si ha qualora, a seguito della sospensione del processo esecutivo causata dalla proposizione di un’Opposizione (di terzo, all’esecuzione, agli atti esecutivi), nessuno coltivi la causa di opposizione: anche in questo caso il giudice dichiara estinto anche d’ufficio il processo. PROVVEDIMENTO: l’estinzione viene sempre dichiarata con Ordinanza dal giudice dell’esecuzione. Contro tale ordinanza non è proponibile Opposizione agli Atti Esecutivi: c’è un’apposito strumento chiamato Reclamo al Collegio. Il collegio decide sul reclamo in camera di consiglio con sentenza (che sarà poi assoggettabile ad appello).
 Gli Effetti dell’estinzione sono regolati dall’art 632 CPC che distingue a seconda che l’estinzione sia avvenuta prima o dopo la fase della vendita forzata. a) se si ha estinzione prima della vendita tutti gli atti del processo esecutivo diventano inefficaci (decadono perfino gli effetti del pignoramento: dato che non è più possibile giungere alla vendita, alla quale sono funzionali, non hanno più ragion d’essere). b) se l’estinzione si verifica dopo la vendita il trasferimento all’aggiudicatario non è toccato e il ricavato della vendita è consegnato al debitore esecutato. Per ‘vendita’ si deve intendere, ex art 187 Bis CPC, anche l’aggiudicazione provvisoria. 95 INDICE 1 - L’ESECUZIONE FORZATA NEL QUADRO DELL’ORDINAMENTO (PAG 1) 2 - L’ESECUZIONE DIRETTA & L’ESECUZIONE INDIRETTA (PAG 2) 3 - PRESUPPOSTI & IL CONTENUTO DELLE MISURE GIURISDIZIONALI ESECUTIVE (PAG 3) 4 - IL TITOLO ESECUTIVO (PAG 4) 5 - TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE E IN SENSO DOCUMENTALE (PAG 6) 6 - EFFICACIA DEL TITOLO ESECUTIVO VERSO TERZI (PAG 9) 7 - NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E PRECETTO (PAG 12) 8 - STRUTTURA GENERALE DEL PROCESSO ESECUTIVO (PAG 13) 9 - ESPROPRIAZIONE FORZATA (PAG 18) 10 - IL PIGNORAMENTO (PAG 19) 11 - GLI EFFETTI CONSERVATIVI DEL PIGNORAMENTO (PAG 25) 12 - LE VICENDE ANOMALE RELATIVE AL PIGNORAMENTO (PAG 31) 13 - L’INTERVENTO DEI CREDITORI (PAG 35) 14 - LA VENDITA & L’ASSEGNAZIONE IN GENERALE (PAG 40) 15 - LE SINGOLE FORME DI VENDITA FORZATA (PAG 45) 16 - EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA & DELL’ASSEGNAZIONE (PAG 49) 17 - LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO (PAG 55) 18 - L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI (PAG 56) 19 - L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO (PAG 61)
 20 - L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA (PAG 66) 21 - L’ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO (PAG 69) 22 - L’ESECUZIONE PER OBBLIGHI DI FARE (PAG 71) 23 - L’ESECUZIONE INDIRETTA (PAG 72) 96 24 - L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE (PAG 76) 25 - L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI (PAG 80) 26 - L’OPPOSIZIONE DI TERZO (PAG 84) 27 - SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO (PAG 91) 28 - ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO (PAG 93) 97
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