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Procedura Civile Luiso Processo esecutivo, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Processo esecutivo

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 03/11/2015

Angela_61
Angela_61 🇮🇹

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Scarica Procedura Civile Luiso Processo esecutivo e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! IL PROCESSO ESECUTIVO L'ESECUZIONE FORZATA Quando siamo di fronte alla violazione di un dovere di comportamento, previsto a favore di un altro soggetto (inadempimento), non serve una tutela in via dichiarativa, occorre far si che l'avente diritto riceva quell'utilità che, secondo il diritto sostanziale, gli dovrebbe provenire dall'adempimento dell'obbligato. A fronte dell'inadempimento il titolare della situazione protetta, in caso di inattività dell'obbligato, può sul piano del diritto sostanziale fare qualcosa per procurarsi autonomamente quell'utilità che non gli è provenuta dal comportamento dell'obbligato; può far questo sia prima che dopo l'eventuale processo di cognizione che statuisce sul modo di essere dei rapporti tra le parti. Ma non sempre è possibile questa attività sostitutiva, a volte il diritto sostanziale è impotente e occorre uno strumento giurisdizionale che possa fornire all'avente diritto l'utilità che gli spetta e che non ha ricevuto: questo strumento è l'esecuzione forzata. Dobbiamo chiarire che la tutela dichiarativa non deve essere necessariamente antecedente alla tutela esecutiva, questa questione si rende necessaria solo quando non esista già un titolo esecutivo stragiudiziale e quindi il titolare del diritto debba procurarselo con il processo di cognizione; altrimenti può ricorrere immediatamente alla tutela esecutiva. ESECUZIONE DIRETTA E INDIRETTA Il diritto di azione e di difesa previsti e garantiti dall’art. 24 Cost., comprendono anche la tutela esecutiva: laddove ci si trovi di fronte ad obblighi di comportamento che rimangono disattesi e che sono funzionali alla soddisfazione del titolare dell’interesse protetto si avrà la tutela giurisdizionale nella forma di esecuzione forzata. All’inadempimento dell’obbligato si può reagire, in sede giurisdizionale esecutiva, con: • esecuzione diretta: si ha tutte le volte in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, il quale si attiva in luogo dell’inadempiente, compiendo ciò che quest’ultimo avrebbe dovuto fare, e facendo conseguire all’avente diritto l’utilità che gli spetta secondo il diritto sostanziale. Questa tecnica di tutela non è utilizzabile in presenza di obblighi infungibili, per cui per il titolare del diritto non è indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato, oppure da un terzo. L’esecuzione diretta deve diversamente strutturarsi a seconda del tipo di comportamento che deve sostituire → tre diverse tecniche di tutela esecutiva diretta: a) espropriazione forzata per i crediti di denaro b) esecuzione per consegna o rilascio, per il trasferimento del potere di fatto su beni mobili o immobili c) esecuzione per obblighi di fare o non fare, per tutti i comportamenti diversi da due precedenti e siano fungibili • esecuzione indiretta: si ha in presenza di obblighi infungibili per cui si deve indurre l’obbligato ad adempiere. Ciò si può ottenere prevedendo che l’obbligato inadempiente vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento, che possono essere civili o penali: • si ha esecuzione indiretta con misure coercitive civili quando sia previsto che a carico o dell’inadempiente, una volta verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, sorge l’obbligo di pagare una certa somma di denaro, stabilita dal legislatore, per ogni ulteriore periodo di inerzia o per ogni ulteriore violazione del dovere di astensione. Il beneficiario delle somme versate può essere lo Stato oppure la controparte. • si ha esecuzione indiretta con misure coercitive penali quando sia previsto che, verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, gli ulteriori inadempimenti dell’obbligato integrano un’ipotesi di reato. L'esecuzione indiretta rispetto a quella diretta garantisce meno il risultato voluto perchè ha degli inconvenienti: a)gli strumenti coattivi operano sulla volontà dell'obbligato e quindi possono essere inefficaci se l'obbligato è particolarmente determinato a non adempiere; b) lo strumento coattivo di natura penale appesantisce la giurisdizione che non riesce ad applicare questa sanzione; lo strumento coattivo di natura civile invece non ha effetti per chi non ha patrimonio con cui rispondere dell'obbligazione pecuniaria oppure ha un patrimonio talmente ampio da essere insensibile al pagamento della somma. Nel processo esecutivo non è rilevante accertare se esiste o meno il diritto: si presuppone che il diritto esista e che abbia bisogno di tutela esecutiva. Le caratteristiche peculiari dell’azione esecutiva sono: • unilateralità: non vi è contraddittorio • non esclusività: sullo stesso bene possono svolgersi molteplici azioni a parità di diritti • presupposto di un requisito formale: il titolo esecutivo I PRESUPPOSTI E IL CONTENUTO DELLE MISURE GIURISDIZIONALI ESECUTIVE dal punto di vista generale esiste una differenza fondamentale tra la tutela seguente effetto giuridico: il titolare della situazione sostanziale, descritta nel titolo esecutivo, ha il diritto di rivolgersi all’ufficio esecutivo e l’ufficio esecutivo ha il dovere di porre in essere la propria attività, di svolgere la propria funzione a tutela della situazione sostanziale indicata nel titolo. L’esistenza di questo effetto però non incide sulla liceità dell’esecuzione forzata sul piano del diritto sostanziale, ma è necessaria l’effettiva esistenza del diritto da tutelare: l’ufficio esecutivo non può rifiutare la propria attività dinanzi ad una richiesta di tutela esecutiva, anche quando si sta commettendo un illecito nei confronti della controparte, ma quanto l’ufficio compie costituisce un illecito di cui risponde chi ha chiesto all’ufficio di intervenire. Dobbiamo ora distinguere la nozione di titolo esecutivo in: • senso sostanziale: si intende la fattispecie da cui sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione sostanziale protetta, in presenza della quale il titolare ha diritto all’intervento degli organi giurisdizionali, che hanno l’obbligo di attivarsi. Il titolo esecutivo in senso sostanziale, nonostante il nome, costituisce quindi un istituto di diritto processuale e come tutte le fattispecie produttive di effetti giuridici è composta di elementi distinguibili in due settori: da un lato vi sono gli elementi costitutivi dell'effetto giuridico, l'effetto si produce nel momento in cui è completata la fattispecie costitutiva (nasce a favore del titolare del diritto il diritto processuale ad ottenere la tutela esecutiva ed il dovere dell'ufficio esecutivo di prestare la propria attività); dall'altro lato vi sono gli elementi impeditivi, modificativi, estintivi in presenza dei quali l'effetto giuridico, pur quando si sia completata la fattispecie esecutiva, o non sorge oppure, una volta sorto, si modifica o si estingue; • senso documentale: è un documento che rappresenta in modo non completa la fattispecie del diritto a procedere ad esecuzione forzata. Quando le norme parlano di titolo esecutivo dobbiamo distinguere a seconda che si riferisca al titolo esecutivo in senso sostanziale o documentale: nell'art 474 c.p.c il legislatore si riferisce al titolo esecutivo in senso sostanziale, quindi alla fattispecie del diritto di procedere ad esecuzione forzata, completa dei suoi elementi costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi; nell'art 475 c.p.c il legislatore, prescrivendo che il documento deve essere redatto secondo certe modalità e avere certi contenuti, si riferisce al pezzo di carta rappresentativo del diritto di procedere ad esecuzione forzata e non all'attuale esistenza o meno di tale diritto (titolo esecutivo in senso documentale). La funzione del titolo esecutivo in senso documentale è quella di semplificare le operazioni cognitive che l'ufficio esecutivo deve compiere per valutare se il soggetto che chiede la tutela esecutiva ha diritto o meno ad essa; infatti è il soggetto che richiede l'intervento dell'ufficio esecutivo a dover fornire la prova documentale dell'esistenza dei fatti costitutivi del diritto alla tutela esecutiva. Occorre distinguere: nel caso di scritture private autenticate e titoli di credito il titolo esecutivo documentale è costituito dall’originale, in caso di provvedimenti giudiziali e atti pubblici, essendo l’originale custodito dal pubblico ufficiale che lo ha formato, titolo esecutivo documentale è la copia di esso. Capiamo come in quest’ultimo caso c’è il rischio che circolino più copie: il problema si risolve col meccanismo dell’art. 475 c.p.c. della spedizione in forma esecutiva, che permette di identificare la copia dell’atto mediante l’apposizione della formula. La spedizione in forma esecutiva non ha alcuna incidenza sul diritto di procedere ad esecuzione forzata, se un atto ha efficacia esecutiva la mantiene anche se il titolo esecutivo in senso documentale manca della formula esecutiva. L'EFFICACIA DEL TITOLO ESECUTIVO VERSO TERZI Per quanto riguarda l’efficacia del titolo esecutivo verso terzi, occorre considerare che il titolo esecutivo segue un sistema di imputazione dei suoi effetti fondamentalmente diverso da quello di un atto normativo: in questo ultimo caso i soggetti cui tali comportamenti si riferiscono sono individuati non nominativamente, ma attraverso una fattispecie; i titoli esecutivi hanno il carattere della concretezza: essi individuano nominativamente i destinatari dei suoi effetti. Ci si deve chiedere se è possibile un processo esecutivo da e contro soggetti diversi da quelli individuati nominativamente dal titolo esecutivo: sicuramente non si può fondare l’efficacia del titolo esecutivo verso i terzi sulle norme che prevedono genericamente l’efficacia dell’atto verso i terzi, ma bisogna ricorrere alle norme che prevedono specificamente l’efficacia del titolo esecutivo nei confronti di determinati terzi, cercando di trarne poi un principio generale da applicare ai casi in cui non è prevista espressamente tale efficacia esecutiva: • art. 475 II comma c.p.c.: la spedizione del titolo in forma esecutiva è possibile anche a favore di soggetti, non individuati nel titolo stesso come creditori, che siano successori dell’avente diritto. Si presuppone quindi l’efficacia del titolo esecutivo a favore dei successori, dato che si dispone che il successore può farsi rilasciare il titolo esecutivo in senso documentale. La successione nel diritto porta alla nascita a favore dell'avente causa di un diritto diverso oggettivamente e soggettivamente da quello del dante causa, ma a questo connesso per pregiudizialità dipendenza; sul piano sostanziale di verifica il seguente fenomeno: esiste il diritto pregiudiziale del dante causa, viene in essere una successione, un diritto diverso ma dipendente sorge in capo all'avente causa. Si ricava quindi che oltre alla successione nel diritto sostanziale, si ha successione anche nel diritto processuale alla tutela esecutiva, che spettava al dante causa. Poiché la successione è avvenuta dopo la formazione dell'atto-titolo esecutivo, l’atto ha, nei confronti del successore, e relativamente al modo di essere del diritto pregiudiziale, gli stessi effetti preclusivi che ha verso il dante causa. L'efficacia preclusiva riguarda il solo diritto pregiudiziale, non anche quello dipendente. Il successore non ha obbligo di dimostrare nemmeno documentalmente, al soggetto che deve spedire il titolo in forma esecutiva, la sua qualità di successore. L'efficacia a favore del successore del titolo esecutivo formatosi a favore del dante causa ha la funzione di evitare la necessità di instaurare un processo di cognizione nei confronti del debitore, al solo fine di accertare l'esistenza della successione, tale processo di cognizione diviene necessario solo se l'esecutato contesta l'esistenza della successione; • art. 477 c.p.c.: il titolo esecutivo contro il de cuius ha efficacia contro gli eredi. Sul piano sostanziale si ha una situazione analoga ma rovesciata rispetto a quella prevista dall'art 475: si ha la successione nell'obbligo; l'erede è titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità-dipendenza con l'obbligo del de cuius. L’art. 477 non impone al creditore di provare che l’esecutato è effettivamente l’erede, ma è sufficiente che colui che vuole procedere ad esecuzione forzata affermi che l’esecutato è l’erede di colui che risulta debitore secondo il titolo esecutivo. Eventuali false dichiarazioni del creditore sono fronteggiabili dall’esecutato con l’opposizione all’esecuzione e l’onere della prova della qualità di erede è a carico di chi procede ad esecuzione forzata. La funzione della norma è quella di evitare al creditore la necessità di instaurare un processo di cognizione per far accertare la qualità di erede dell'esecutato, si rende necessario solo se l'esecutato contesta la sua qualità di erede. Al contrario dell’art 475 c.p.c. che ricomprende qualsiasi ipotesi di successione, l’art. 477 prevede solo l’ipotesi della successione a titolo universale. È comunque estensibile analogicamente a tutte le altre ipotesi di successione; • art. 2909 c.c.: la sentenza passata in giudicato ha effetti tra le parti, gli eredi e gli aventi causa. Tale disposizione si applica quando è pronunziata sentenza di condanna ed il terzo, dopo il passaggio in giudicato della stessa, diviene titolare di un diritto o di un obbligo dipendenti da quello oggetto nella pronunzia stessa; • art. 111 c.p.c.: la sentenza emessa tra le parti originarie spiega i suoi opposizione che, se anche a distanza di tre o quattro anni l’opposizione viene rigettata, il creditore può iniziare l’esecuzione forzata senza bisogno di notificare un altro precetto. STRUTTURA GENERALE DEL PROCESSO ESECUTIVO Lo scopo dell'esecuzione forzata è di procurare la soddisfazione di diritti correlati ad obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti ed obblighi, sugli effetti delle misure giurisdizionali esecutive non può formarsi giudicato. L’ufficio esecutivo si muove accertando preventivamente la sussistenza dei presupposti per la propria attività, quindi sulla base di una specifica ricognizione basata sull’accertamento dei presupposti per la concessione della tutela stessa. Il processo esecutivo vede solo due possibili risposte alla domanda di emanazione della misura esecutiva: o l’emissione o il rifiuto della misura richiesta. Nel caso di rifiuto non si distingue un rifiuto per ragioni di merito ed uno per ragiono di rito, si ha un unitario rifiuto della tutela giurisdizionale, qualunque siano le ragioni, perchè nell'esecuzione forzata manca la funzione di accertamento. La forma delle misure giurisdizionali è diversa a seconda che la risposta dell’ufficio esecutivo sia positiva (emette la misura coercitiva con la forma prevista dalla legge: pignoramento, ordinanza di vendita ecc..) o negativa (si avrà un non provvedimento). Ricordiamo che nel processo dichiarativo la forma del provvedimento è sempre la sentenza. Nel caso in cui l’interessato lamenti del comportamento dell’ufficio esecutivo sostenendo l’illegittimità del rifiuto o concessione della misura coercitiva, la relativa controversia non potrà mai essere decisa in processo esecutivo come accade nel processo di cognizione, ma si aprirà un processo di cognizione incidentale. In quella sede si stabilirà se gli atti compiuti sono o meno conformi alla legge processuale. Presupposti processuali sono gli stessi del processo di cognizione: in mancanza dei quali la richiesta di tutela non può essere accolta perchè il processo è viziato, anche nel processo esecutivo si deve avere giurisdizione e competenza, le parti devono essere capaci, legittimate e rappresentate tecnicamente. In caso di carenza i vizi processuali possono essere rilevati fino alla prima udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione (in espropriazione forzata questa è l’udienza in cui si decide la vendita o l’assegnazione del bene; nell’esecuzione per obblighi di fare o non fare è l’udienza fissata a seguito del ricorso). Al di là dei casi espressamente previsti la carenza di un presupposto processuale può essere rilevato anche d’ufficio senza limiti di tempo. In conclusione, se un vizio del processo, consistente nella carenza di un presupposto processuale, è rilevato nei tempi e nei modi previsti, l'ufficio esecutivo deve rifiutare l'emanazione dell'atto che gli è stato richiesto. L’ufficio esecutivo esamina anche la nullità dei singoli atti del processo. La differenza fra la carenza di un presupposto processuale e la nullità dei singoli atti del processo sta in ciò: la carenza del presupposto processuale produce la nullità di tutti gli atti del processo, mentre alla nullità dei singoli atti occorre applicare gli artt. 156 ss. c.p.c. La nullità dei singoli atti è rilevabile dall'ufficio solo se lo prevede la legge, regola inversa a quella dei vizi dei presupposti processuali, rilevabili anche di ufficio. Nel processo esecutivo tale cognizione non ha natura decisoria, ma è strumentale a stabilire se emettere o meno la misura esecutiva. L'esito dell'esame è quindi o l'emanazione della misura esecutiva, se l'ufficio ritiene che la nullità non vi sia, o il rifiuto dell'emanazione della misura esecutiva se vi è nullità. Nel processo esecutivo le questioni non sono decise, ma delibate per orientare l’azione dell’ufficio esecutivo, senza che ciò costituisca attività decisoria, perchè il processo non ha strutture idonee a decidere (al contrario del processo dichiarativo). Occorre quindi uno strumento per decidere le contestazioni relative alla correttezza dell’operato dell’ufficio esecutivo, che l’ordinamento individua nell’opposizione agli atti del processo esecutivo, ovvero un processo di cognizione che ha come oggetto l’accertamento della validità dell’atto esecutivo e nel quale sono decise quelle stesse questioni che nel processo esecutivo sono state affrontate per stabilire se emettere o meno la misura esecutiva. Si apre così un processo dichiarativo dove si discute della validità dell’atto esecutivo e si decide la questione che è già stata delibata in via incidentale dall’ufficio esecutivo. Non avendo l’ufficio esecutivo mai il potere di valutare l’esistenza della situazione sostanziale di cui si chiede la tutela, l’esecutato non può sollevare all’interno del processo esecutivo, contestazioni circa l’esistenza di tale diritto, ma deve farlo al di fuori di tale processo proponendo opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. → nel processo esecutivo sono rilevanti solo le questioni relative a come tutelare la situazione sostanziale, attuando sempre e comunque il principio del contraddittorio e garantendo il diritto alla difesa. Nonostante una parte della dottrina sostenga che il contraddittorio non sia presente nel processo esecutivo, la parte maggioritaria sostiene la sua presenza, infatti ha senso perché i soggetti che verranno investiti degli effetti della misura giurisdizionale hanno il diritto di partecipare alla fase di cognizione di presupposti per stabilire la misura giurisdizionale richiesta deve essere emessa e che contenuto deve avere e così via, il principio del contraddittorio quindi ha senso quando le parti possono collaborare a raccogliere ciò che è rilevante per l'emanazione della misura giurisdizionale. Per ritenere rispettato il principio del contraddittorio è necessario che le parti possano interloquire su ciò che è rilevante per l’attività dell’ufficio esecutivo, cioè sulle attività da compiere per impartire la tutela. Ex artt. 485-487 c.p.c., che regolano le domande e le istanze che si propongono al giudice dell’esecuzione e i provvedimenti del giudice, l’ordinamento prevede che l’ufficio esecutivo debba sentire le parti prima di emettere la misura. L’audizione avviene mediante avviso di fissazione della relativa udienza da parte del giudice: se risulta che una delle parti avvertite non è comparsa per cause indipendenti dalla sua volontà, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che il provvedimento sia comunicato alla parte non comparsa. L’art. 486 c.p.c. dispone che le domande delle parti si propongono con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente nel verbale di udienza. L’art. 487 c.p.c. prevede che i provvedimenti del giudice dell’esecuzione abbiano forma di ordinanza, che può essere modificata e revocata fino a che non abbia avuto inizio l’esecuzione. Competenza (artt. 9-26 c.p.c.): • In senso verticale, per l’esecuzione forzata è competente sempre il tribunale • In senso orizzontale (inderogabile dalla volontà delle parti), territorialmente competente è: • Per espropriazione immobiliare o mobiliare è il giudice del luogo dove si trova il bene • Per l’espropriazione presso terzi è il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore • Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare è il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto • Per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio il giudice dove si trovano i beni L’incompetenza è rilevabile d’ufficio e dall’ufficiale giudiziario Composizione: uno o più giudici ai quali vengono attribuite le mansioni del giudice di esecuzione, e il cancelliere. Assume un ruolo importante nel processo esecutivo l'ufficiale giudiziario, che in alcune forme di esecuzione forzata è l'unico soggetto a svolgere l'attività. Le mansioni affidate al giudice dell'esecuzione e all'ufficiale giudiziario variano a seconda dei procedimenti. L'ESPROPRIAZIONE FORZATA se i beni pignorati divengono insufficienti per l’intervento di altri creditori. • Settimo comma: introduce un altro meccanismo per il reperimento dei beni pignorabili. Il creditore procedente può chiedere all’ufficiale giudiziario di effettuare ricerche presso l’anagrafe tributaria e le altre banche dati pubbliche. La richiesta è possibile anche per più esecuzioni. • ottavo comma: introduce una speciale forma di ispezione per gli imprenditori commerciali. Sempre su istanza del creditore procedente, ed a sue spese, l’ufficiale nomina un professionista che esamina le scritture contabili, e redige una relazione che il professionista trasmette all’ufficiale giudiziario ed al creditore istante: se dalla relazione risultano elementi attivi che il debitore non aveva dichiarato le spese sono a carico del debitore stesso. Analizziamo ora le tre forme di pignoramento: • Pignoramento mobiliare F0E0Ex artt. 513 e ss la richiesta di effettuare il pignoramento mobiliare è fatta dal creditore procedente all’ufficiale giudiziario in forma libera, che di solito è orale. Oggetto del pignoramento sono i diritti che sul bene appartengono al debitore esecutato: pignorabile è il diritto di proprietà e qualunque altro diritto reale minore che abbia il carattere della trasferibilità. Bisognerebbe dunque, prima del pignoramento, effettuare una ricognizione della consistenza del patrimonio mobiliare del debitore per individuare i beni mobili su cui il debitore ha la proprietà o altro diritto reali minore trasferibile, ma questo comporterebbe indagini assai complesse, quindi si ha una semplificazione: non si rende necessario accertare previamente che il debitore abbia la proprietà del bene, ma bisogna verificare l’appartenenza: la nozione di appartenenza si ricava dalla dislocazione spaziale dei beni mobili, dal fatto che essi si trovano collocati in beni immobili di cui il debitore esecutato abbia la disponibilità, questa relazione ha una funzione esclusivamente processuale. Tutte le volte in cui l’appartenenza non coincide con la proprietà del bene, diviene utilizzabile l’opposizione di terzo. Dobbiamo distinguere tra: • Oggetto dell’esecuzione, che è la titolarità in capo all’esecutato, di un diritto trasferibile sul bene pignorato • Oggetto del processo esecutivo, che è invece l’appartenenza del bene; l'ordinamento spera che tale situazione coincida, se non coincidono sono previste le adeguate contromisure L’art. 513 c.p.c. ci fornisce la definizione di appartenenza, e disciplina il pignoramento mobiliare diretto, per cui sono previste tre ipotesi: • Possono essere pignorati i beni mobili che si trovano in un bene immobile appartenente al debitore → si parla di disponibilità materiale del debitore di questi beni immobili, a prescindere da qualsiasi titolo che possa legittimare tale disponibilità: a queste condizioni scatta l’appartenenza. • Su ricorso del creditore, il giudice può autorizzare il pignoramento mobiliare anche in relazione a beni che non si trovano in immobili appartenenti al debitore, ma dei quali egli può direttamente disporre senza che colui a cui appartiene l’immobile in cui si trovano i beni mobili, possa rifiutare all’esecutato di disporre direttamente di tale bene mobile. • L’ufficiale giudiziario sottopone a pignoramento le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli: quindi il debitore non ha disponibilità materiale del bene mobile, in quanto è in possesso o detenzione di un terzo → due possibilità: 1. Il terzo riconosce volontariamente che il bene posseduto è di proprietà del debitore e ne consente il pignoramento 2. l terzo rifiuta il consenso al pignoramento diretto, e diviene necessario il pignoramento presso terzi. Gli artt. 514-515-516 c.p.c. indicano una serie di cose mobili per cui è assolutamente (art. 514: cose sacre e cose che servono all’esercizio del culto, anello nuziale, elettrodomestici, vestiti, biancheria indispensabili per debitori e suoi conviventi..commestibili e combustibili necessari per un mese al mantenimento del debitore, armi ed oggetto che il debitore ha obbligo di conservare per adempimento di un pubblico servizio, scritti di famiglia e manoscritti, salvo che formino parte di una collezione) o parzialmente (art.515: cose che il proprietario di un fondo vi tiene per il servizio e la coltivazione del fondo) escluso il pignoramento, oppure consentito a determinate condizioni (art. 516: frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, bachi di seta). Le questioni relative alla pignorabilità dei beni danno luogo ad opposizione all’esecuzione. Il pignoramento mobiliare si svolge attraverso la ricerca dei beni mobili nei luoghi previsti dall’art. 513 e coi limiti previsti dagli artt. 514-516, da parte dell’ufficiale giudiziario. Ex art.517 l’ufficiale deve preferire i beni di maggior valore e di più sicura realizzazione e, al di fuori di tali beni, deve scegliere le cose che possono essere liquidate più facilmente. La quantità di beni pignorati deve corrispondere ad un presumibile valore di realizzo pari all'entità del credito indicato nel precetto, aumentato della metà. Man mano che individua i beni, li descrive, mediante rappresentazione fotografica o altro strumento simile: trasmette poi copia del verbale di pignoramento al creditore e debitore che lo richiedono. Il creditore potrà riottenere un riesame delle valutazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento, ricorrendo al giudice. Qualora all’esito della vendita la somma ricavata non sia sufficiente, il giudice dell’esecuzione, su istanza di uno dei creditori, ordina l’integrazione del pignoramento. I beni così pignorati sono venduti senza ulteriore istanza di vendita. Dopo aver redatto il verbale di pignoramento, l’ufficiale giudiziario provvede ad asportare i beni per collocarli in un deposito. Ex art. 521 c.p.c. non può essere nominato custode il creditore o suo coniuge senza il consenso del debitore, né il debitore e i suoi familiari senza il consenso del creditore. • Pignoramento Immobiliare F0E0E’ disciplinato dagli artt. 555 e ss c.p.c. Oggetto dell’esecuzione forzata è anche qui il diritto del debitore esecutato sull’immobile, suscettibile di trasferibilità (proprietà, usufrutto, nuda proprietà, diritto di superficie, enfiteusi). Non possono essere oggetto di espropriazione il diritto d’uso e abitazione e le servitù. Verificare l’appartenenza è più semplice, in quanto per gli immobili vi sono i pubblici registri immobiliari e l’usucapione. Ex art. 170 disp. att. c.p.c. l’atto di pignoramento deve essere sottoscritto dal creditore pignorante. L’individuazione del diritto sul bene avviene ex art. 555 c.p.c.: la descrizione del bene è effettuata dal creditore con gli estremi richiesti dal c.c. per l’individuazione dell’immobile ipotecato, ovvero attraverso la tipologia del bene, il comune in cui si trova e gli estremi catastali. Il creditore chiede dunque all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento dell’immobile, individuato e descritto dal creditore in un atto scritto da lui sottoscritto. L’ufficiale aggiunge a tale atto la sua ingiunzione e notifica tutto al debitore esecutato; dopodiché si trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. Gli effetti verso il debitore decorrono dalla notifica e l'opponibilità del pignoramento ai terzi decorre dalla trascrizione. La disciplina della custodia del bene immobile pignorato è stata profondamente modificata dalla riforma del 2006: siccome il pignoramento immobiliare non presuppone una situazione di possesso del bene in capo al debitore, è possibile effettuare il pignoramento anche di beni di cui il debitore è proprietario ma non possiede. In tal caso non si applica la disciplina della custodia ex art. 559-560 c.p.c., perché essa presuppone che al momento del pignoramento, l’esecutato abbia il possesso del bene. Quindi fin dal momento della notificazione del pignoramento l’esecutato diviene ipso iure custode del bene. Però nel caso in cui sia un terzo ad avere la materiale disponibilità del bene oggetto di pignoramento, il giudice dovrà procedere alla sostituzione dell’esecutato nella custodia del bene. La custodia del debitore cessa comunque al debitore, ma da un certo grado di probabilità che lo siano, è comunque sempre possibile l'opposizione da parte del vero proprietario. c) per quanto riguarda l’appartenenza, nell’espropriazione dei crediti, il pignoramento si perfeziona sulla base della dichiarazione del terzo debitore, il cui accertamento è equivalente a quello che deriva dalla sentenza. Se manca la dichiarazione del terzo si deve procedere con l’accertamento giudiziale dell’effettiva esistenza del diritto pignorato. Ex art. 548 c.p.c., il giudice procede ad accertamento giudiziale non d’ufficio, ma su istanza di parte: la domanda di accertamento ha per oggetto il diritto di credito del debitore verso il terzo, o la proprietà in capo al debitore del bene mobile in possesso del terzo. Tale istanza è proposta dal creditore procedente o da eventuali altri creditori intervenuti nel processo e legittimati in quanto muniti di titolo esecutivo. Il debitore esecutato, che si vede contestata o non riconosciuta l’esistenza di un suo diritto da parte del terzo, non può proporre domanda in questa sede, ma può farlo separatamente in un processo autonomo. Il pignoramento individua e conserva il diritto pignorato per adibirlo alla tutela del creditore procedente. Se oggetto dell’accertamento è l’esistenza del diritto di credito con riferimento alla data del pignoramento, spetta al creditore dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del credito e al terzo debitore l’esistenza dei fatti modificativi, impeditivi ed estintivi del proprio debito, e se tali fatti dipendono da atti di disposizione o pagamenti, devono essere anteriori alla data di pignoramento. Siccome da quella data il diritto si è autonomizzato, rispetto a tali atti dispositivi il creditore pignorante è terzo, quindi per dimostrare l’esistenza di tali fatti attraverso scritture private, il terzo deve dimostrare che tali atti hanno data certa anteriore alla notifica di pignoramento. Lo stesso vale per la quietanza. La sentenza che accerta l’esistenza del diritto pignorato ha tale oggetto: il creditore pignorante ha validamente costituito oggetto del processo di espropriazione la situazione creditoria tra debitore esecutato e terzo debitore, la pronuncia non disciplina la situazione sostanziale fra il debitore esecutato e il terzo debitore. Tale sentenza non accerta, con efficacia anche nei rapporti tra il debitore esecutato ed il terzo debitore, l’esistenza del diritto di credito: il fatto estintivo è inopponibile al creditore, ma è pienamente efficace verso il debitore esecutato. Se dopo la sentenza di accertamento, per una qualunque ragione il credito pignorato non viene liquidato, l’ex esecutato non può chiedere al suo debitore l’adempimento, fondandosi sulla sentenza che ha accertato l’esistenza del credito, perché quel fatto estintivo, che il giudice non ha potuto considerare nel processo in quanto in opponibile al creditore, è pienamente opponibile al debitore: la sentenza quindi non forma giudicato tra debitore esecutato e terzo debitore. Se si ammette che, all'interno del processo instaurato ex art. 548 c.p.c dal creditore, si possa proporre anche una domanda diretta all'accertamento dei rapporti tra debitore esecutato e terzo debitore, avremo un processo con un duplice oggetto: l'oggetto dell'art. 548 con riguardo al creditore procedente e l'oggetto ordinario fra le parti della situazione controversa, quindi si arriverà ad una sentenza con un duplice oggetto. GLI EFFETTI CONSERVATIVI DEL PIGNORAMENTO Ci sarà inevitabilmente un certo intervallo di tempo fra il pignoramento e la vendita forzata, intervallo in cui si possono verificare eventi capaci di pregiudicare la tutela esecutiva richiesta. I pericoli che egli corre sono 2: da un lato vi sono le modificazioni della realtà materiale che riguarda il bene su cui cade il diritto pignorato, a questo si fa fronte mediante la custodia; dall'altro vi sono le modificazioni attinenti alla titolarità del diritto pignorato attraverso atti di disposizione idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito. L'ordinamento fa fronte a questo pericolo prevedendo una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato dopo il pignoramento, occorre seguire il principio del minimo mezzo: l'alterazione delle regole ordinarie deve essere contenuta nei limiti strettamente indispensabili al raggiungimento dello scopo. Il pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che effettua il pignoramento. I suoi effetti sono disciplinati dai seguenti articoli del c.c.: • Ex art. 2912 c.c. il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato: i frutti maturati dopo il pignoramento vengono acquisiti all’esecuzione. Sappiamo però che nel pignoramento dei beni immobili è possibile che il pignoramento cada su beni di cui l’esecutato non abbia il possesso, dato che il pignoramento immobiliare non presuppone che il bene immobile sia posseduto dall’esecutato: in tal caso non è applicabile l’art. 2912 e gli eventuali frutti continuano ad essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione. Quindi se il bene immobile pignorato è in possesso dell’esecutato, si applicano le norme sulla custodia: il debitore diviene custode del bene coi relativi obblighi dell’art. 2912, e i frutti maturati dopo il pignoramento sono percepiti solo materialmente dall’esecutato che non può farli propri ma conservali nell’interesse dell’esecuzione. Se il bene pignorato è posseduto da terzi al momento del pignoramento, allora il debitore esecutato non può diventare custode, perché non ne ha originariamente il possesso, e i frutti non possono essere da lui percepiti in quanto non possessore. Il debitore esecutato, possessore del bene al momento del pignoramento perde il possesso del bene: se ne mantiene la disponibilità materiale, ciò avviene a titolo di custodia. Il possesso, non viene acquisito dal creditore procedente, ne dall'esecuzione, questo si congela, l'esecutato lo perde ma nessuno lo acquista. Il possesso rimane in una sorta di limbo, fino a che, effettuata la vendita forzata, il bene non sarà consegnato all'aggiudicatario che acquisterà il nuovo possesso corrispondente al diritto acquistato in sede di vendita forzata. • Ex art. 2913 c.c., gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengano nell’esecuzione. Vi è però un’eccezione: il possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. Il debitore esecutato può far nascere a favore di un terzo, a titolo orinario, un diritto sul bene pignorato sulla base della regola del 1153 c.c. (acquisto in buona fede di beni mobili). Il terzo acquirente del bene mobile pignorato che riceve il possesso in buona fede, acquista un diritto che è opponibile anche al creditore procedente, e che travolge gli effetti del pignoramento.per il pignoramento dei beni mobili il legislatore ha posto una particolare attenzione alla custodia del bene, in quanto il custode dei beni mobili pignorati, avendone la materiale disponibilità, ha sempre la possibilità di sottrarre il bene all'esecuzione, consegnandolo ad un terzo di buona fede. Il custode è l'unico soggetto che può consegnarlo all'acquirente facendo scattare il meccanismo dell'art. 1153 e sottraendolo così all'esecuzione. Al di fuori di questa ipotesi, l'atto di alienazioni non ha effetti in pregiudizio del creditore pignorante. É evidente che il pregiudizio si verifica perchè intercorre necessariamente un certo lasso di tempo fra il pignoramento e la vendita; gli strumenti astrattamente a disposizione dell'ordinamento per evitare il pregiudizio sono svariati. In primo luogo si potrebbe qualificare nullo l'atto di alienazione del bene pignorato: se l'atto è nullo non produce alcuno effetto e l'acquirente del bene pignorato non ne diviene proprietario; tale meccanismo è però esagerato, raggiunge si lo scopo ma in modo devastante, contrasta con il principio del minimo mezzo, infatti questo strumento non è diretto solo a raggiungere lo scopo. Un secondo meccanismo potrebbe consistere nell'affermare l'inefficacia relativa sul piano sostanziale dell'atto di alienazione: l'atto di trasferimento del bene pignorato trasferisce la proprietà sia tra le parti del negozio giuridico sia nei confronti dei terzi, ma non nei confronti del creditore procedente, per il quale la proprietà rimane del debitore esecutato. È questa la soluzione Analizziamo ora una serie di istituti che si collocano tra il pignoramento e la vendita forzata. • Pignoramento Congiunto: ex. Art. 493 I comma c.p.c. ci può essere un’unica istanza di pignoramento e un solo atto di pignoramento a tutela di più creditori, anche sulla base di titoli esecutivi diversi. L'unicità del pignoramento comporta che le eventuali nullità inerenti alla fase del pignoramento si verificano per tutti, perchè essendo unico l'atto, la nullità che lo colpisce riguarda tutti quanti i creditori. • Unione di Pignoramenti: ex art. 523 c.p.c. si ha unione quando più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente ad effettuare un pignoramento mobiliare. Si ha la stessa disciplina del pignoramento congiunto • Pignoramento Successivo: ex art. 493 II comma c.p.c. (per espropriazione mobiliare), art. 550 (per espropriazione di crediti), art. 561 (per espropriazione immobiliare). Si può avere in tutti i casi in cui l’atto di pignoramento è caducato per vizio proprio, o per carenza originaria di titolo esecutivo, o se il titolo esecutivo su cui è stato fatto il pignoramento venga meno con efficacia ex tunc. Nel caso in cui abbiamo un atto di pignoramento da parte del creditore Caio, seguito da intervento nell’esecuzione di Sempronio e poi dalla vendita del bene pignorato da parte di Tizio, e il pignoramento sia caducato perché dichiarato nullo, oppure perché Caio non era munito di idoneo titolo esecutivo, il processo esecutivo non può andare avanti, e Sempronio dovrà riniziare l’esecuzione, notificando titolo esecutivo e precetto e facendo un nuovo pignoramento, ritardando quindi la sua soddisfazione. Se il debitore esecutato pone in essere un’alienazione in pendenza del processo esecutivo, a seguito di caducazione dell’atto di pignoramento per vizio proprio o per carenza originaria di titolo esecutivo, l’atto di pignoramento originariamente inopponibile a creditore procedente e creditore intervenuto, diventa efficace: Sempronio, che si era limitato ad intervenire nell’esecuzione, non potrà quindi instaurare un nuovo processo esecutivo sullo stesso bene, in quanto esso è stato alienato. Nel caso in cui, invece, Sempronio, anziché un semplice intervento, abbia fatto un successivo pignoramento e Tizio, debitore esecutato, propone le sue opposizioni al giudice dell’esecuzione che decide di caducare l’esecuzione instaurata da Caio, tale caducazione non pregiudica Sempronio, perché ci sono gli effetti del secondo pignoramento da lui effettuato, e quindi egli può proseguire l’esecuzione fondandola sul pignoramento. Il secondo pignoramento non apre un altro processo esecutivo, ma viene unito a quello già in corso, e vale come intervento. • Litispendenza Esecutiva: si possono avere più processi esecutivi contro lo stesso soggetto per lo stesso credito su beni diversi, e più creditori intorno allo stesso bene all’interno di un unico processo esecutivo. Non ci possono invece essere più processi esecutivi per lo stesso bene nei confronti dello stesso esecutato perché non si possono avere più trasferimenti dello stesso bene. Se per errore vengono portati avanti più processi esecutivi per lo stesso bene nei confronti dello stesso esecutato, e venissero quini effettuate più vendite forzate, nel caso di beni mobili prevale la vendita effettuata per prima perchè la consegna del bene all'aggiudicatario impedisce le vendite successive; per i beni immobili, universalità di mobili e crediti prevale il pignoramento anteriore. Il principio che impedisce che due processi esecutivi abbiano luogo quando pignorato è lo stesso diritto nei confronti dello stesso debitore è il ne bis in idem: principio che si trova anche nel processo di cognizione perchè non è possibile avere due sentenze aventi lo stesso oggetto, così nel processo esecutivo non è possibile che lo stesso diritto possa essere oggetto di più atti di trasferimento. • Cumulo dei Mezzi di Espropriazione: il creditore, avendo un titolo esecutivo, può chiedere cumulativamente la tutela dello stesso credito con le varie forme di espropriazione, oppure possono essere fatte più esecuzioni dello stesso tipo su beni diversi. Il cumulo però trova il limite dell’art. 2911 c.c., in base al quale il creditore che ha ipoteca, pegno o privilegio sui beni del debitore non può pignorare altri beni dello stesso debitore se non sottopone ad esecuzione anche i beni gravati da prelazione a suo favore. • Pignoramento nelle mani dell’ufficiale giudiziario (art. 494 c.p.c. I comma): il debitore esecutato può adempiere nelle mani dell’ufficiale giudiziario, e quindi non si ha esecuzione forzata perché il credito si estingue, infatti l'art 494 stabilisce che in tal modo si evita il pignoramento. L’ufficiale giudiziario, invece di effettuare il pignoramento, riceve la somma che consegna al creditore. Per diritto sostanziale il pagamento va fatto al creditore o ad un suo rappresentante altrimenti non è liberatorio; l'art 494 c.p.c consente di effettuare il pagamento con effetto liberatorio anche ad un soggetto diverso da quelli a cui il pagamento dovrebbe essere fatto secondo il diritto sostanziale. • Denaro Oggetto di Pignoramento (art. 494 III comma c.p.c.): nel casso disciplinato dal terzo comma le conseguenze giuridiche sono diverse anche se il comportamento del debitore coincide materialmente con quello previsto dal primo comma; in entrambi i casi l'ufficiale giudiziario vuole effettuare il pignoramento e il debitore gli da del denaro. Nell'ipotesi disciplinata nel primo comma il denaro è dato come adempimento e quindi evita il pignoramento; nell'ipotesi disciplinata dal terzo comma il debitore dà all’ufficiale giudiziario una somma di denaro maggiore del 20% rispetto a quella prevista nel primo comma, che viene percepita dall’ufficiale giudiziario come oggetto di pignoramento. In questo caso la somma non sarà data al creditore, ma versata dall’ufficiale giudiziario nelle casse dell’esecuzione: l’ufficiale deposita quindi il verbale di pignoramento insieme al denaro, il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione e si apre il processo di espropriazione. • Conversione del Pignoramento (art. 495): si ha una sostituzione dell’oggetto del pignoramento. Originariamente sono stati pignorati beni del debitore e successivamente il debitore sostituisce i beni pignorati con una somma di denaro (si realizza quindi ex post il meccanismo dell’art. 494 III comma). Bisogna tenere conto che se ci sono stati interventi di altri creditori, la somma da versare non è calcolata solo sulla base del credito del creditore procedente, ma anche dei crediti dei creditori intervenuti. La conversione può essere fatta da un qualunque soggetto. Il procedimento si svolge in due fasi: istanza di conversione del debitore e una prima ordinanza del giudice che determina la somma definitiva da versare e da un termine al debitore per il versamento del saldo. Viene poi fissata un'udienza successiva al termine in questione per verificare se la somma è stata effettivamente versata: se il versamento è stato effettuato con una seconda ordinanza il giudice dispone la liberazione dal pignoramento dei beni altrimenti dispone che il processo esecutivo vada avanti. • Riduzione del Pignoramento (art. 496 c.p.c.): su istanza del debitore o d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti, il giudice, sentiti i creditori può disporre la riduzione del pignoramento. Devono essere stati pignorati più beni. Con la riduzione, alcuni beni vengono liberati dal pignoramento e tornano in libera disponibilità del debitore esecutato. • Cessazione dell’efficacia del pignoramento (art. 497 c.p.c.): all’avvenuto pignoramento deve seguire in un termine minimo di dieci e massimo di novanta giorni, la richiesta di liquidazione del bene. In caso di espropriazione immobiliare, se il pignoramento perde efficacia ai sensi dell’art. 497, bisogna procedere anche alla cancellazione della trascrizione del pignoramento ex art. 562 c.p.c., che si effettua trascrivendo un altro atto in cui si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace. Un’altra disciplina inerente alla cessazione dell’efficacia, è quella degli artt. 2668 bis-ter c.c. che estende alla trascrizione del pignoramento la disciplina della trascrizione delle domande giudiziali (ha efficacia per vent’anni, dall’art. 499 VI comma e, pur partecipando all’espropriazione, non ha il potere di compiere gli atti necessari per farla procedere verso la liquidazione del bene pignorato. • gli artt. 526-564 stabiliscono che i creditori intervenuti partecipano all’espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provocarne i singoli atti (di cui il più importante è l’istanza di vendita, che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10 gg e non superiori a 90 gg dal pignoramento, in mancanza della quale il processo esecutivo si estingue). La distinzione tra creditori con e senza titolo esecutivo vale finchè non sia effettuata la vendita: dal momento in cui il bene è trasformato in denaro, si perde tale distinzione, questo per due motivi: • la fase di distribuzione avviene d’ufficio senza atti di impulso di parte • l’art. 629 c.p.c., disciplinando la rinuncia agli atti del processo esecutivo, stabilisce che la rinuncia, se ha luogo prima della chiusura della fase di liquidazione, deve provenire da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, mentre se la rinuncia ha luogo dopo la vendita, deve provenire da tutti i creditori intervenuti. Una particolare disciplina riguarda i creditori muniti di ragione di prelazione. L’art. 498 c.p.c. stabilisce che i creditori le cui ragioni di prelazione risultano da pubblici registri, devono essere necessariamente avvertiti della pendenza del processo esecutivo: il creditore procedente deve loro notificare un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede e del titolo; in mancanza di tale notifica il giudice deve rifiutarsi di emettere l’ordinanza di vendita. Il creditore procedente deve allegare all’istanza di vendita i certificati delle trascrizioni ed iscrizioni e farsi lasciare dalla conservatoria dei registri immobiliari un certificato in cui si attesta se vi sono e quali sono le iscrizioni di diritti reali di garanzia sul bene. L’intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo: tale distinzione è fatta in relazione ai creditori chirografi, ovvero non muniti di diritto di prelazione. Il termine ultimo per l’intervento è comunque per tutti i creditori quello in cui si effettua la distribuzione del ricavato. Quindi possiamo dire che abbiamo tre tipi di creditori: • creditori muniti di diritto di prelazione: in qualsiasi momento del processo esecutivo intervengono, sono soddisfatti secondo l’ordine delle prelazioni previsto dal codice civile • creditori chirografari tempestivi: dopo i creditori con prelazione, sono soddisfatti in ragione percentuale del loro credito • creditori chirografari tardivi: dopo i creditori chirografari tempestivi, sono soddisfatti sul residuo che eventualmente avanza. Il momento che determina la tempestività dell’intervento è la prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione o di vendita, cioè l’udienza che apre la fase di liquidazione; per quanto riguarda invece l’espropriazione dei crediti, rilevante è l’udienza di comparizione delle parti, fissata con ricorso dal creditore pignorante, in tale udienza, qualora il terzo renda o abbia reso una dichiarazione conforme, ha luogo anche l'assegnazione del credito e il processo esecutivo si chiude. Ex art. 499 IV comma c.p.c., ai creditori intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, all’udienza o con atto notificato, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. Il creditore procedente ha ovviamente pignorato certi beni con riferimento al valore del suo credito. Tali beni, che sono sufficienti per il creditore procedente, diventano insufficienti quando intervengono altri creditori. Se i beni pignorati sono tutto quanto c'è di attivo nel patrimonio del debitore, si verifica una situazione di incapienza del patrimonio. Si applicano quindi le regole del diritto sostanziale: si fa una lista di creditori da soddisfare, mettendo prima i creditori con prelazione e poi quelli chirografari. Ma se la quantità dei beni pignorati deriva da una doverosa scelta del creditorie procedente, che ha limitato il pignoramento in relazione all'entità del suo credito, e nel patrimonio vi sono altri beni utilmente pignorabili è chiaro che il meccanismo della soddisfazione proporzionale non funziona più perchè non siamo in una situazione di incapienza. Il creditore procedente può allora indicare agli intervenuti l'esistenza di altri beni ed invitarli ad estendere il pignoramento (se hanno titolo esecutivo), oppure (se non hanno il titolo) ad anticipare a lui le spese per effettuate l'estensione con il proprio titolo. LA VENDITA E L'ASSEGNAZIONE Seconda Fase: Trasformazione del diritto pignorato: l’elemento attivo deve essere liquidato, e quindi trasformato in una somma di denaro Il diritto pignorato viene liquidato, cioè trasformato in una somma di denaro, in modo da poter soddisfare il creditore procedente ed i creditori eventualmente intervenuti. La liquidazione non è necessaria: • se il bene pignorato consiste in una somma di denaro • quando il debitore ha consegnato una somma di denaro come oggetto del pignoramento • quando vi è stata conversione del pignoramento Ex art. 501 c.p.c., è previsto un termine minimo dilatorio di dieci gg dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita (se il pignoramento perde i suoi effetti decorsi 90 gg dal giorno in cui è compiuto senza che sia chiesta assegnazione o vendita, effettuato il pignoramento, ci sono 80 gg utili per proporre l’istanza di vendita). Tale termine ha due funzioni: • consente al debitore di reagire al pignoramento con richiesta di conversione, istanza di riduzione, opposizioni ecc.. • dà agli altri creditori un minimo di tempo per intervenire tempestivamente nell’esecuzione L’art. 529 c.p.c. stabilisce che decorso il termine dilatorio, il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. Per proporre istanza di vendita occorre essere muniti di titolo esecutivo, e questa può essere proposta dal creditore procedente o da qualsiasi altro creditore. Mancando l’istanza il pignoramento perde efficacia. I creditori senza titolo esecutivo attenderanno un eventuale nuovo pignoramento in cui potranno intervenire. I modi per procedere alla liquidazione sono: vendita e assegnazione. Dal punto di vista degli effetti sostanziali in entrambi i casi il diritto pignorato si trasferisce ad un altro soggetto, la differenza è processuale: nella vendita il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell'esecutato può essere qualunque soggetto tranne il debitore esecutato; mentre nell'assegnazione il diritto viene trasferito ad una dei due creditori, procedente o intervenuto. • assegnazione F0E0 il diritto pignorato viene trasferito ad uno dei creditori (procedente o intervenuti). L’assegnazione può assumere due diverse forme: • assegnazione satisfattiva: il creditore si rende assegnatario soddisfacendosi in tutto o in parte del proprio credito attraverso l’attribuzione del diritto pignorato. Si ha quindi, con un unico atto, un duplice effetto: effetto traslativo del diritto pignorato dal debitore al creditore; effetto estintivo, totale o parziale, del credito dell’assegnatario verso il debitore • assegnazione-vendita: il creditore assegnatario, per rendersi tale, paga una somma di denaro. Non si soddisfa quindi il suo credito, perché il corrispettivo del trasferimento del diritto non viene da lui trattenuto ad estinzione del suo credito, ma è da lui versato e poi sarà oggetto di distribuzione come se il bene pignorato fosse stato venduto. I rapporti tra assegnazione e vendita sono i seguenti: • vi sono beni che devono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita, cioè i beni pignorati scaduti o che scadono entro 90 gg → • vendita a mezzo commissionario: è disciplinata dagli artt. 532-533 c.p.c. Consiste nell’affidare la vendita del bene mobile, previamente stimato da un esperto, per un prezzo minimo stabilito dal giudice, ad un soggetto il quale lo vende a trattativa privata, attraverso un contratto che egli stipula con l’acquirente. L’incarico è normalmente conferito all’istituto vendite giudiziarie, con un'unica eccezione del caso in cui si tratti di beni con caratteristiche peculiari, che consigliano di rivolgersi ad un commerciante specializzato nel settore. Il commissionario ha diritto ad un compenso che stabilisce il giudice stesso, deve documentare la vendita e versare la somma che ha ricavato nelle casse dell’esecuzione. • vendita all’incanto: è disciplinata dagli artt. 534-537 c.p.c. La vendita può essere affidata al cancelliere o all’ufficiale giudiziario, o ad un istituto all’uopo autorizzato; di solito viene affidata agli istituti vendite giudiziarie. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto, viene fissata la data dell’incanto, e nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca a ritirare i beni mobili dal custode, in quanto la vendita all’incanto dei beni mobili avviene in presenza del bene. L’aggiudicazione è fatta al maggior offerente, il trasferimento della proprietà avviene al momento di pagamento del prezzo. Può darsi che la vendita del bene non abbia luogo in queste due forme, perché non si trova nessuno che offra il prezzo minimo di stima. Si ha così la vendita fallita, cioè la vendita non effettuata per mancanza di offerenti. L’art. 538 c.p.c. prevede due possibilità: • si ha assegnazione del bene, su richiesta di uno o più creditori, per il valore di stima che il giudice ha determinato prima di procedere alla vendita dello stesso; • se nessuno chiede l’assegnazione, l’incaricato effettua una seconda vendita all’incanto ad un prezzo base inferiore del 20% rispetto al precedente (non può essere fatta per oggetti d’oro e d’argento, i quali, se invenduti, devono essere coattivamente assegnati per il loro valore intrinseco). In caso di beni mobili registrati (autoveicoli, navi, aereomobili etc.), gli art. 534 bis-ter c.p.c., prevedono che il giudice può delegare le operazioni di vendita, con incanto o senza incanto, all’istituto di vendite giudiziarie o ad un professionista (notaio, avvocato, commercialista) iscritto nell’apposito elenco presso il tribunale. Si ha la stessa disciplina della vendita su delega degli immobili (art. 591 bis). • Liquidazione dei Crediti F0E0 come sappiamo, per la perfezione del pignoramento, sono necessarie o una dichiarazione conforme del terzo, oppure una sentenza che accerta l’esistenza del credito pignorato. Perfezionato il pignoramento, si può procedere alla liquidazione del credito, che avviene attraverso il trasferimento del credito dal debitore esecutato che ne è titolare, ad un soggetto diverso, che poi compirà l’attività necessaria per la riscossione. Il trasferimento del credito costituisce, dal punto di vista del diritto sostanziale, una cessione del credito: l’assegnatario è un cessionario che diventa il nuovo titolare del credito; il terzo debitore diventa a sua volta debitore dell’assegnatario, e si applicano tutte le regole della cessione circa l’opponibilità al cessionario delle eccezioni da parte del debitore ceduto. Occorre però tenere presente una differenza: al contrario della cessione di diritto comune, che può aver luogo senza alcun previo accertamento di esistenza del credito, qui abbiamo o una sentenza che accerti l'esistenza del credito o una dichiarazione di natura confessoria del terzo debitore, dichiarazione o sentenza alle quali il terzo debitore è vincolato. Quindi le eccezioni opponibili dal terzo debitore all’assegnatario non possono contrastare con il contenuto vincolante della dichiarazione o della sentenza. Inoltre il terzo debitore non può opporre all’assegnatario o all’acquirente del credito le eccezioni che non può opporre al creditore procedente. Se il credito pignorato è già scaduto o scade entro 90 gg, l’assegnazione è coattiva, cioè non è necessaria la richiesta dell'assegnazione. L’art. 553 c.p.c. afferma che l’assegnazione ha luogo “salvo esazione”, cioè pro solvendo: al momento dell’assegnazione non avviene l’estinzione del diritto del creditore assegnatario verso il debitore esecutato, ma tutti e due i diritti rimangono coesistenti fino al momento del pagamento. Nel momento in cui il terzo debitore assegnato paga il suo debito al creditore assegnatario, automaticamente si estingue anche, per la quantità corrispondente, il credito che l’assegnatario vanta nei confronti del debitore esecutato. In caso di credito che scadono oltre i 90 gg, l’art. 553 II comma c.p.c. dispone che i crediti che scadono oltre i 90 gg possono essere assegnati, se i creditori ne fanno domanda, o venduti se nessuno dei creditori chiede l’assegnazione. In questo caso la cessione avviene pro soluto: l’acquirente del credito paga subito, e successivamente va a riscuotere potendo anche trovare che il terzo debitore è insolvente. Nel caso di assegnazione in caso di crediti che scadono oltre 90 giorni abbiamo una assegnazione pro soluto, su domanda dei creditori (a differenza di quella dei crediti già scaduti o che scadono entro 90 giorni). L’assegnatario si trova nella posizione di chi deve curare la riscossione del credito di cui è divenuto titolare: • in caso di assegnazione pro solvendo, curare la riscossione è un onere del creditore assegnatario, il quale non può rendersi inattivo, omettendo di compiere quanto necessario per riscuotere il credito dal terzo assegnato e pretendere poi di mantenere il suo credito nei confronti del debitore esecutato • in caso di assegnazione pro soluto e di vendita, il credito nei confronti del debitore esecutato si è già estinto nel momento dell’assegnazione, per la somma corrispondente al valore dell’assegnazione stessa, quindi è interesse esclusivo dell’assegnatario procedere alla riscossione In entrambi i casi nasce un problema: se il debitore non paga, l’assegnatario deve provvedere alla tutela giurisdizionale del suo diritto di credito, e per poter procedere all’esecuzione forzata nei confronti del terzo debitore, l’assegnatario deve avere un titolo esecutivo. Quindi: • se il debitore esecutato era già munito di titolo esecutivo nei confronti del terzo debitore, l’assegnatario subentra nella possibilità di utilizzare tale titolo esecutivo in qualità di successore del creditore originario • se il debitore esecutato non aveva titolo esecutivo, col pignoramento si ottiene un titolo esecutivo spendibile nei confronti del terzo assegnato; infatti il pignoramento si perfeziona o con una dichiarazione confessoria o con una sentenza: nel secondo caso non si creano problemi perchè le sentenze sono titolo esecutivi, ma anche nel caso di pignoramento perfezionato tramite dichiarazione si può giungere a ritenere formato un titolo esecutivo, infatti il verbale dell'udienza in cui è recepita la dichiarazione è un atto pubblico. • Vendita Immobiliare F0E0 l'udienza in cui si stabiliscono le modalità per la vendita dell'immobile si svolge in modo analogo. Occorre anzitutto premettere che all’istanza di vendita, che il creditore procedente o altro creditore con titolo esecutivo deve depositare entro 90 gg dal pignoramento, deve essere allegata la documentazione prevista dall’art. 567 c.cp.c. (estratto del catasto, certificati di iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei vent’anni anteriori alla trascrizione del pignoramento). A seguito della presentazione dell’istanza, il giudice incarica un esperto della stima del bene, e fissa l’udienza, nella quale dispone la vendita del bene e ne fissa le modalità. Le modalità di liquidazione del bene sono: • vendita senza incanto: consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, che rimane sconosciuta fino all’apertura delle buste. Possono partecipare tutti gli interessati tranne il debitore esecutato, perchè non ha senso un acquisto da se stesso. Una forma che il diritto sostanziale e processuale pongono a sua disposizione (rivendicazione o restituzione). Ex art. 588 c.p.c. ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene immobile, per la somma maggiore tra il valore del bene secondo stima da un lato, e dall’altro i crediti e le spese di giustizia aventi prelazione anteriore al richiedente. L’istanza di assegnazione deve essere avanzata dal creditore almeno 10 gg prima della data fissata per l’incanto, per l’ipotesi in cui esso fallisca. Se non si provvede all’assegnazione, il giudice può provvedere in due modi: • dispone una nuova vendita all’incanto: il giudice può stabilire nuove condizione di vendita, oppure fissare un prezzo base inferiore del 25% al precedente. Non si procede direttamente ad un nuovo incanto, ma si ripercorre tutto l’iter. • dispone l’amministrazione giudiziaria del bene immobile, che è utile in due direzioni: 1. quando il bene produce dei frutti tali da poter soddisfare i creditori: il bene viene affidato al custode, il quale lo gestisce, ne prende i frutti, e se con essi si soddisfano tutti i creditori, l’amministrazione giudiziaria cessa e il bene viene restituito al debitore, altrimenti entro 3 anni bisogna procedere ad ulteriore vendita del bene; 2. se nel mercato è un momento in cui le offerte di acquisto sono scarse, il giudice può decidere di aspettare che il mercato si rialzi. Alcune attività del processo esecutivo possono essere delegate a professionisti: vendita dei beni immobili o beni mobili registrati. In questi casi le attività previste dall'art. 591 bis 2° comma c.p.c non vengono più svolte presso l'ufficio esecutivo, ma presso lo studio del professionista o in altro luogo dallo stesso professionista indicato. Il professionista determina il prezzo della vendita, ne da pubblicità, effettua la vendita senza incanto ed eventualmente quella successiva all'incanto, aggiudica il bene, riceve il pagamento del prezzo, etc. Egli predispone anche il decreto di trasferimento, che peraltro resta, anche in caso di delega, atto del giudice dell'esecuzione. Le parti possono proporre reclamo al giudice dell'esecuzione avverso gli atti del professionista, tale reclamo è deciso con ordinanza. EFFETTI SOSTANZIALI VENDITA E DELL'SSEGNAZIONE La vendita è un procedimento giurisdizionale che però, siccome il processo si muove sempre in vista del diritto sostanziale, naturalmente ha effetti di diritto sostanziale. Di questi effetti se ne occupano gli artt. 2919 e 2929 c.c.: Ex art. 2919 c.c., la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettano a colui che ha subito l’espropriazione. Si ha un acquisto a titolo derivativo: la misura dell’acquisto è determinata dalla misura del diritto sul dante causa (nell'acquisto a titolo derivativo il diritto acquistato è dipendente, sul piano sostanziale, dal diritto di colui che ha subito l'espropriazione, a differenza dell'acquisto a titolo originario, dove il diritto acquistato è autonomo, sul piano sostanziale, dal diritto di colui che ha subito l'espropriazione). Pertanto se colui che ha subito l'espropriazione non era effettivamente titolare del diritto pignorato, l'acquirente in vendita forzata non acquista niente in pregiudizio del terzo estraneo, effettivo titolare del diritto sul bene pignorato. L'ultima parte dell'art. 2919 c.c. Stabilisce che non sono opponibili all'acquirente in vendita forzata i diritti dei terzi che non sono opponibili al creditore pignorante: ciò significa che l'acquisto in vendita forzata è si un acquisto a titolo derivativo, però ciò che acquista l'aggiudicatario è quello che colui che ha subito l'espropriazione aveva non al momento della vendita, ma al momento del pignoramento. Gli effetti del pignoramento hanno la funzione di conservare il diritto in vista della vendita forzata, hanno cioè la funzione di rendere inopponibili gli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento. L'ultimo comma dell'articolo non si riferisce solo al creditore pignorante, ma anche ai creditori intervenuti nell'esecuzione: dobbiamo cercare un meccanismo di protezione del creditore intervenuto che gli rende inopponibili gli atti di disposizione dell'esecutato in misura diversa e maggiore di quanto faccia il pignoramento, altrimenti sarebbe inutile il riferimento ai creditori intervenuti, contenuto nella parte finale dell'art. 2919 c.c.. A tal proposito, l’art. 2812 c.c., in relazione al creditore ipotecario, distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: 1. titolari di servitù, usufrutto, uso e abitazione: i diritti appartenenti a questi terzi non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. Quindi tali soggetti non divengono soggetti espropriati, e non assumono la qualità di esecutato. I titolari dei diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione non divengono esecutati perché non sono titolari di un diritto suscettibile di trasferimento: il loro diritto con la vendita forzata si estingue per incompatibilità, e si trasforma in una somma di denaro che è l’equivalente del diritto estinto. Tali soggetti diverranno creditori privilegiati (hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografari) e iscritti (il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. Essendo la loro posizione destinata a trasformarsi in un diritto di credito avente ragione di prelazione, risultante dai pubblici registri, essi devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo, in cui potranno intervenire come creditori potenziali per effetto della vendita, e far valere le loro ragioni sul ricavato. 2. titolari di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà: il creditore ipotecario può espropriare il bene anche contro il terzo acquirente. Quindi il creditore ipotecario può e deve agire esecutivamente contro i terzi; può espropriare il bene, ma deve notificare il titolo esecutivo e il precetto a terzo acquirente, e deve effettuare il pignoramento contro il terzo che assume il ruolo di esecutato: la vendita forzata viene fatta contro il terzo acquirente, e l’aggiudicatario acquista un titolo contro il terzo acquirente. L'inciso contenuto nell'art. 2919 c.c. “salvi gli effetti del possesso di buona fede” lo abbiamo trovato anche nell’art. 2913 c.c., il quale disciplinando gli effetti conservativi del pignoramento, stabilisce che gli atti di disposizione del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. La fattispecie dell'art. 2913 c.c. Fa riferimento ad un atto di disposizione che compia il debitore esecutato o più in generale il custode del bene mobile pignorato, il quale, creando un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto e consegnando il bene mobile di cui egli ha la materiale disponibilità all'acquirente, purchè quest'ultimo sia in buona fede (cioè non sappia che il bene è pignorato) al momento della consegna, fa realizzare un acquisto a titolo originario a favore dell'acquirente, titolo che è prevalente rispetto a quello del creditore procedente e quindi idoneo a sottrarre il bene dall'espropriazione. Nell'art. 2919 c.c. Invece acquirente di buona fede non è il terzo al quale il custode aliena il bene mobile pignorato, ma è l'aggiudicatario; qui la buona fede consiste nel non sapere che il bene non appartiene all'esecutato, va valutata volta per volta con riferimento all'elemento carente che impedisce l'acquisto a domino. Nel momento in cui nasce il diritto acquistato a titolo originario dall'acquirente in vendita forzata, si crea una situazione di incompatibilità con quella del terzo proprietario del bene. La nascita di un diritto incompatibile in capo all'aggiudicatario produce necessariamente l'estinzione del diritto del terzo proprietario. Nell'ipotesi in cui l'esecutato non fosse titolare del diritto pignorato e trasferito il conflitto fra il terzo, proprietario del bene, e l'acquirente in vendita forzata, si risolve normalmente a favore del terzo (perchè la vendita forzata per regola generale da luogo ad un acquisto a titolo derivativo) ed eccezionalmente (quando da luogo ad un acquisto a titolo originario) a favore l’acquirente abbia colluso col creditore procedente, approfittando della nullità per rendersi acquirente; l'esecutato deve essere venuto a conoscenza della collusione dopo la chiusura del processo esecutivo, perchè altrimenti doveva proporre l'opposizione agli atti esecutivi. La contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata da parte del debitore si fa valere con l'opposizione all'esecuzione, che da luogo ad una sospensione facoltativa del processo esecutivo. Non c'è un momento di raccordo come quello previsto dagli art. 530 e 569 c.p.c, che impongono al giudice di risolvere le questioni, attinenti alla sussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, prima di procedere alla vendita; non esiste alcune pregiudizialità fra il diritto di procedere ad esecuzione forzata ed i risultati dell'esecuzione stessa. Le nullità del processo esecutivo sono più gravi della mancanza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, perchè quest'ultima mancanza non impedisce al processo esecutivo di operare una corretta trasformazione del diritto sul bene in una somma di denaro: la trasformazione magari è ingiusta, ma è certamente attendibile perchè operata da un processo valido. Invece le nullità del processo esecutivo fanno si che la trasformazione sia inattendibile, perchè la trasformazione è operata da un meccanismo (il processo esecutivo) viziato. Ecco perchè l'art. 2929 c.c. Non fa riferimento alla carenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, perchè la sussistenza di tale diritto non è presupposto per il corretto operare del processo esecutivo. DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO a) Terza Fase: Distribuzione del ricavato: il diritto del debitore, oggetto del pignoramento, è liquidato Tale fase non ha luogo quando non sia stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando è stato assegnato a un creditore senza che costui abbia versato un conguaglio. E’ disciplinata dagli artt. 509-512 c.p.c., e più precisamente dagli artt. 541-542 per l'espropriazione mobiliare e 596-598 per l'espropriazione immobiliare; fra tali norme non ci sono grandi differenze, la distribuzione del ricavato avviene all'incirca nella stessa maniera. L’art. 509 stabilisce che la somma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate, multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario. Il primo e più rilevante problema nella distribuzione del ricavato è l’ordine o graduazione dei crediti, che è il seguente: 1. senza possibilità di deroga, anche in presenza di diritti di prelazione, al primo posto ci sono le spese della procedura: esse hanno la precedenza perché costituiscono il corrispondente di ciò che è stato necessario fare per poter ottenere la somma da distribuire. Sono quelle del pignoramento, della vendita, della custodia del bene, ed eventuali spese delle opposizioni infondatamente proposte dal debitore esecutato; 2. creditori con diritto di prelazione: se due creditori hanno lo stesso grado di prelazione concorrono proporzionalmente tra loro; 3. creditori chirografari tempestivi: ove la somma non sia sufficiente per tutti si opera una ripartizione proporzionale; tra i creditori chirografari tempestivi si crea una prelazione di natura processuale interna al processo; 4. creditori chirografari tardivi: quelli intervenuti dopo l'udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione o, nel caso di piccola espropriazione mobiliare, quelli intervenuti dopo il deposito dell'istanza con cui il creditore procedente chiede la fissazione dell'udienza per determinare le modalità di vendita o di assegnazione; anche qui può aversi una ripartizione proporzionale; 5. esecutato, per l'eventuale residuo. Quando si rende necessaria una ripartizione proporzionale del ricavato si sommano tutti i crediti che concorrono nella ripartizione e, fatto 100 il totale, si ricava la percentuale di ciascun credito rispetto al totale; questa percentuale è quella che spetta a ciascun credito nella ripartizione. Dal punto di vista processuale occorre distinguere a seconda che vi siano o non vi siano creditori intervenuti: se vi è un solo creditore da soddisfare il giudice dell'esecuzione convoca le parti e dispone il pagamento a favore del creditore di quanto gli è dovuto; se invece vi sono più creditori da soddisfare occorre procedere alla formazione di un piano di riparto. Per quanto riguarda la formazione del piano di riparto occorre distinguere: • in caso di espropriazione mobiliare, i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato tra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti i creditori: in tal caso il giudice dell’esecuzione provvede in conformità, se non c’è opposizione del debitore; se c’è opposizione, l’accordo dei creditori è vincolante e il giudice non può discostarsi. Se manca l’accordo dei creditori, ogni creditore può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata: il giudice prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti che possono approvarlo; se non lo approvano si procede ex art. 512 c.p.c. per risolvere le contestazioni (il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza impugnabile); • in caso di espropriazione immobiliare, il giudice provvede d’ufficio, senza bisogno di istanza di parte o di un piano concordato. Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un’udienza; il cancelliere avvisa i creditori intervenuti ed il debitore dell’avvenuto deposito e dell’udienza fissata e le parti hanno 10 gg per consultare il piano di riparto. Se non compaiono all’udienza o comparendo non si oppongono, il piano di riparto è approvato; se si trovano in accordo per modificarlo, il giudice deve prenderne atto e modificare il piano; se il piano è contestato si procede ex art. 512 c.p.c. Nel caso di creditori, il cui credito è stato contestato dal debitore, e che non hanno tempestivamente instaurato il processo di cognizione volto ad ottenere un titolo esecutivo, il loro intervento ha perso effetti. Se invece hanno proposto la domanda tempestivamente, l’art. 510 II-III comma c.p.c. prevede che il giudice dell’esecuzione disponga l’accantonamento delle somme ad essi eventualmente spettanti: la somma accantonata verrà poi distribuita una volta decorso il termine fissato dal giudice, su istanza di parte o anche d’ufficio, oppure prima del termine fissato quando tutti i creditori che ne avevano bisogno hanno ottenuto il titolo esecutivo. In ogni caso decorsi massimo 3 anni, la somma accantonata è distribuita, e laddove il creditore non abbia fatto in tempo ad ottenere il titolo esecutivo, la somma accantonata è assegnata al creditore successivo. Approvato il piano di riparto e risolte le contestazioni, il processo esecutivo si chiude con l’emissione dei mandati di pagamento da parte del cancelliere. L'art. 511 c.p.c disciplina la domanda di sostituzione nel processo esecutivo. I creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione possono domandare di essere a lui sostituiti proponendo domanda ex art. 499 II comma c.p.c. Questa non è una domanda di intervento, l'art. 511 quando dice “proponendo domanda a norma dell'art. 499” si riferisce alla domanda di sostituzione, a quella tra sostituente e sostituito. Al momento della distribuzione del ricavato il giudice provvede ad assegnare al sostituente le somme che spettano al sostituito: nel caso di contestazioni tra sostituente e sostituito si procede comunque con il riparto, e poi si valuta a chi spetta la somma. Per quanto riguarda gli effetti della distribuzione del ricavato, il provvedimento con cui il giudice distribuisce il ricavato è un atto del processo esecutivo e come tale ha la stabilità degli atti del processo esecutivo: la nullità deve essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi. Di fronte all'inattività di colui che è obbligato secondo il titolo esecutivo contestante, di eventuali atti di diritto sostanziale o processuale, che esistono tra il creditore contestato e il debitore, in ordine alla sussistenza e all'ammontare del credito. Normalmente i creditori sono vincolati agli atti di diritto sostanziale e alle pronunce giurisdizionali fra debitore e creditore che accertano l'esistenza e l'ammontare del credito contestato. Un creditore può opporre, relativamente all'esistenza e all'ammontare del credito del creditore concorrente , le stesse difese che potrebbe fare il debitore ; se il debitore non contesta la sussistenza o l'ammontare di un credito vantato nei suoi confronti, al suo posto, con gli stessi strumenti e negli stessi limiti, lo può fare il creditore, in virtù del principio da cui scaturisce l'azione surrogatoria. Le parti necessarie nel processo ex art. 512, sono tutti i soggetti che, se la contestazione è accolta, vedono modificato nei loro confronti il piano di riparto. In pendenza del processo di cognizione con oggetto la contestazione, il processo esecutivo può essere totalmente (quando la contestazione riguarda tutta la distribuzione, e quindi viene modificato il piano di riparto di tutti i creditori) o parzialmente (quando vi sia una somma non controversa) sospeso. Il giudice dell'esecuzione apporta al piano di distribuzione le modifiche conseguenti a quanto stabilito con l'ordinanza, con la quale ha risolto la contestazione. Quindi se il credito è dichiarato inesistente, esso viene cancellato dal piano di riparto e la somma resasi libera è ridistribuita agli altri creditori secondo l'ordine loro proprio; se invece è riconosciuta una prelazione, sono disposte le necessarie modifiche al piano; e così via. L'ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI In due ipotesi il processo esecutivo è in parte modificato in conseguenza della particolarità del caso concreto: espropriazione dei beni indivisi e contro il terzo proprietario. Espropriazione dei beni indivisi F0E0 il problema nasce dal fatto che tra gli elementi attivi del patrimonio con cui il debitore risponde delle obbligazioni, esiste la contitolarità di un diritto reale espropriabile: proprietà, nuda proprietà, enfiteusi, superficie, usufrutto. La peculiarità si verifica quando non esiste un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto; se esiste un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto, oppure quando non vi è unico titolo esecutivo, ma si ha assoggettabilità all’espropriazione di tutti i contitolari, il processo di espropriazione si svolge nei modi ordinari, con la sola particolarità di avere più soggetti esecutati e non uno solo. Quando non tutti contitolari del diritto sono assoggettabili all’espropriazione, cioè quando non esiste un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto, la quota del soggetto nei cui confronti sussiste il titolo esecutivo può essere sottoposta ad espropriazione, perchè anche una quota garantisce i creditori → espropriazione della quota. In questo caso titolo esecutivo e precetto si notificano al solo debitore contitolare del diritto assoggettabile all’espropriazione. Si effettua poi il pignoramento nelle forme ordinarie nei confronti del debitore esecutato: il creditore pignorante però deve dare avviso agli altri contitolari, dell’avvenuto pignoramento, così i contitolari sono considerati parti del processo esecutivo. Il pignoramento e l'avviso bloccano la situazione di fatto e di diritto della contitolarità così com'è nel momento in cui in contitolari ricevono l'avviso. I contitolari, divenuti parti del processo esecutivo, sono convocati dal giudice insieme al debitore e al creditore. Ex art. 600 c.p.c. il giudice provvede, se i creditori o i contitolari lo chiedono e quando è possibile, alla separazione in natura della quota spettante al debitore, ove il bene sia fungibile: con un bene fungibile diventa possibile la divisione dello stesso attraverso operazioni materiali, che vengono compiute all'interno del processo esecutivo; dopo la separazione in natura ciascun comproprietario si prende la parte che gli spetta e la parte dell'esecutato viene liquidata. Se il bene è infungibile, e quindi non si può avere separazione in natura, il giudice se ritiene più fruttuosa la vendita della quota indivisa, dispone la vendita nelle varie forme previste a seconda che si tratti di mobili o immobili, e l’aggiudicatario subentra al posto dell’esecutato nella contitolarità del diritto; oppure se ritiene che la vendita sia infruttuosa può disporre la divisione giudiziale del bene, che si opera con processo di cognizione, nel litisconsorzio necessario di tutti i condividenti e del creditore pignorante. L'art. 114 c.c. Stabilisce che la divisione si opera preferibilmente in natura: ciascuno dei contitolari ha diritto se possibile ad avere una parte del bene in proprietà esclusiva. Occorre quindi tener ben presente la distinzione tra divisione in natura e separazione in natura: • la separazione in natura è tipica dei beni fungibili ed indica quella particolare modalità di realizzazione della divisione, consistente in operazioni di misurazione e di separazione materiale del bene in tante parti corrispondenti alle quote. • La divisione in natura invece è pur sempre una divisione che avviene attraverso operazioni non materiali, ma giuridiche: individuazione e stima dei beni, formazione di lotti che debbono essere omogenei. Se invece un bene è indivisibile e un condividente ne chiede l'assegnazione, il bene è assegnato a chi l'ha richiesto; se più ne richiedono l'assegnazione si procede all'estrazione a sorte di colui al quale sarà attribuito l'intero bene; n ogni caso l'assegnatario paga agli altri condividenti il controvalore delle loro quote. Se nessuno ne chiede l'assegnazione il bene è venduto all'asta e il ricavato è diviso secondo le rispettive quote. Durante il processo di divisione del bene, il processo esecutivo è sospeso automaticamente dal momento in cui è proposta la domanda di divisione fino al momento in cui non sia intervenuto un accordo fra le parti oppure venga emessa una sentenza di primo grado passata in giudicato oppure una sentenza di appello. ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO Espropriazione contro il terzo proprietario F0E0 è prevista dall’art. 602 c.p.c. per due ipotesi: • quando il bene è gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui. Tale ipotesi può verificarsi per due fattispecie previste dall’art. 2808: • il debitore concede ipoteca o pegno su un bene che fa parte del suo patrimonio, e successivamente lo aliena ad un terzo → l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriazione anche nei confronti del terzo che acquista i beni vincolati a garanzia del suo credito (diritto di sequela); • ipotesi del terzo datore di pegno o di ipoteca → l’ipoteca può essere concessa ad un terzo a garanzia di un debito altrui. Nella prima ipotesi inizialmente non c'è scissione tra debito e responsabilità, solo in un momento successivo, con l'alienazione del bene, si viene a creare la scissione. Nella seconda ipotesi la scissione sussiste fin dall'inizio, essendo fin dall'inizio il terzo datore un soggetto che, sul piano sostanziale, non è obbligato. In entrambi i casi, il terzo datore e il terzo acquirente non sono personalmente obbligati: non sono tenuti ad adempiere, ma semplicemente a sopportare che l’espropriazione si svolga sul loro bene. • Quando si tratta di un bene la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode. Il riferimento è l’azione revocatoria e tutte le altre ipotesi simili. In tutti questi casi si ha una situazione simile a quella che si ha in seguito all’alienazione del bene oggetto di pegno o ipoteca: il terzo acquirente in base all’atto revocato continua ad essere proprietario del bene nei confronti di tutti, anche nei confronti del creditore, ma è soggetto al potere espropriativo di costui. Il terzo acquirente in virtù di un atto revocato a tutti gli effetti non è debitore, perché non deve nulla al creditore, ma deve solo subire l’espropriazione che va ad incidere sul suo fondare un'esecuzione in forma specifica. Determinante per stabilire il tipo di tutela esecutiva è la struttura dell'obbligo che rimane inadempiuto e non quella del diritto a tale obbligo contrapposto; poiché l'ufficio esecutivo deve sostituire con il proprio comportamento l'inattività dell'obbligato, è evidentemente il contenuto dell'obbligo e non il contenuto del diritto ad esso correlato, che determina il diverso tipo di tutela esecutiva. Dobbiamo precisare però che sono diverse le condizioni di esistenza e di persistenza dei diritti assoluti e dei diritti relativi; ma fintanto che il diritto esiste non c'è alcuna differenza di struttura fra le due situazioni sostanziali, infatti anche i diritti relativi che hanno ad oggetto beni individuati possono essere sottoposti ad esecuzione in forma specifica, avendo la stessa struttura dei diritti assoluti. Pertanto tutti gli obblighi aventi per oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte; la differenza fra le varie situazioni sostanziali può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste, ma una volta stabilito che il diritto esiste non si può escluderne una tutela in forma specifica per ragioni strutturali. In relazione ai diritti su quantità di cose indeterminate occorre distinguere: a) se oggetto di un contratto è una quantità di cose fungibili il trasferimento della proprietà avviene al momento del consenso: l'esecuzione in forma specifica è giuridicamente possibile in quanto i beni di cui l'acquirente ottiene la consegna sono già di sua proprietà e l'obbligato ne ha solo la detenzione materiale, quindi la tutela esecutiva serve per sottrargli la materiale disponibilità e non per ottenere la proprietà del bene che egli ha già perso al momento dello scambio del consenso. b) Se il contratto ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere il trasferimento della proprietà avviene non al momento del consenso, ma con la specificazione, quando si separa dalla massa del genus la parte oggetto del contratto. L'esecuzione in forma specifica è ostacolata dal principio della par condicio creditorum. Un altro problema relativo all'esecuzione in forma specifica riguarda la necessità di ricorrere alla tutela esecutiva per la soddisfazione del diritto. L'obbligo inadempiuto che fonda l'esecuzione in forma specifica può essere correlato al diritto di cui si chiede la tutela attraverso l'esecuzione stessa in due modi diversi: • l'avente diritto può sostituire all'attività dell'obbligato inadempiente l'attività di un altro soggetto, attraverso l'esercizio di poteri di natura sostanziale; • l'esecuzione sostanziale diventa necessaria solo quando il titolare del diritto non può autonomamente procurarsi, attraverso l'esercizio dei propri poteri sostanziali, l'utilità che doveva procurargli l'obbligato inadempiente; occorre quindi l'intervento dell'ufficio esecutivo. Accanto all'esecuzione diretta, volta ad ottenere dall'ufficio esecutivo la stessa utilità che si sarebbe ricevuta dall'adempimento spontaneo, esiste la figura dell'esecuzione indiretta, in cui si cerca di ottenere l'adempimento dall'obbligato stesso, attraverso l'irrogazione di sanzioni. Tale strumento coercitivo si rende necessario se il comportamento dell'obbligato è infungibile; l'infungibilità può derivare dal fatto che l'obbligo assunto è intuitu personae (cioè l'avente diritto voleva proprio la prestazione personale da quel certo soggetto), oppure dal fatto che l'obbligato si trovi in una situazione di monopolio e quindi la prestazione potrebbe in astratto essere fornita da chiunque ma in concreto può essere data solo da un certo soggetto. È previsto talora l'obbligo di sopportare che l'avente diritto compia una certa attività nella sfera giuridica dell'obbligato. Si parla di obbligo di pati da tenere distinto dall'obbligo di non fare perchè comporta lo svolgimento dell'attività protetta nella sfera giuridica dell'obbligato. L'obbligo di non fare vieta all'obbligato di tenere un certo comportamento, ma non da al titolare dell'interesse protetto il potere di invadere la sfera giuridica dell'obbligato; l'obbligo di pati, al contrario, è correlato ad un diritto altrui di invadere la sfera giuridica dell'obbligato il quale deve appunto sopportare tale invasione. ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO Sono due i tipi di esecuzione in forma specifica previsti dal Codice: 5) Esecuzione per consegna o rilascio 6) Esecuzione per obblighi di fare ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO F0E0 Ex art. 2930 c.c., ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere di fatto a colui che ha diritto di esercitarlo: si ha quindi il trasferimento della detenzione materiale del bene da colui che ha lo ius possesionis a colui che ha lo ius possidendi. Tale trasferimento non opera alcuna modificazione della situazione sostanziale, che ha come oggetto il bene rispetto al quale si opera il trasferimento: viene modificato solo il potere di fatto sul bene. La qualificazione in termini possessori della situazione che si viene a creare attraverso l'acquisizione del potere di fatto sul bene non dipende dall'esecuzione forzata, ma dalla situazione sostanziale a tutela della quale è stato svolto il processo esecutivo. L'avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stata riconosciuta l'esistenza di un diritto reale; acquista la detenzione, se sul bene gli è stata riconosciuta l'esistenza di un diritto personale di godimento. I titoli esecutivi che formano questo tipo di esecuzione, ex art. 474 3° comma c.p.c., sono: • sentenze, provvedimenti e gli altri atti a cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (tra cui anche il verbale di conciliazione giudiziale); • atti pubblici. L’ordine di rilascio ha efficacia erga omnes: il titolo esecutivo ha efficacia contro chiunque, nel momento in cui l’esecuzione si svolge, si trovi ad esercitare il potere di fatto sul bene. Tutte le volte in cui l’ufficiale giudiziario trova il bene nella materiale disponibilità di un soggetto diverso da colui che è obbligato alla consegna o rilascio secondo il titolo, l’esecuzione deve ugualmente avere luogo, anche in pregiudizio del terzo, salve le difese di quest’ultimo nelle sedi opportune. Fra espropriazione ed esecuzione in forma specifica vi è una differenza fondamentale: mentre la direzione degli effetti dell'espropriazione è soggettiva, perchè dipende dall'individuazione dell'esecutato da parte del procedente e gli effetti si verificano solo nella sfera giuridica del soggetto che il creditore procedente individua come esecutato, nell'esecuzione in forma specifica la direzione degli effetti dell'esecuzione è oggettiva, gli effetti si producono non secondo la scelta del creditore, ma secondo l'effettiva situazione esistente. Nell'espropriazione il creditore deve individuare come parte esecutata il soggetto verso cui effettivamente si producono gli effetti dell’esecuzione, ed è quindi garantito il rispetto del diritto di difesa dei terzi, perchè gli effetti non si possono produrre nella sfera giuridica di soggetti diversi da quello prescelto dal creditore come esecutato. Al contrario nell'esecuzione in forma specifica gli effetti si producono oggettivamente e il creditore deve individuare come parte esecutata il soggetto verso cui effettivamente si producono gli effetti dell'esecuzione. Se chi ha potere di fatto sul bene è esecutabile, l’esecuzione è processualmente lecita; se colui, verso cui l’esecuzione produrrà i suoi effetti, non è soggetto all’efficacia del titolo esecutivo, l’esecuzione può essere da costui efficacemente ostacolata con opposizione all’esecuzione, in conseguenza dell’accoglimento della quale, occorrerà che il creditore si procuri un titolo esecutivo contro tale soggetto. Nell'espropriazione l'assunzione della qualità di destinatari degli effetti dei provvedimenti giurisdizionali è a posteriori rispetto all'assunzione della qualità di parte, assunzione che avviene tramite la domanda della parte opportune in sede di contenzioso amministrativo; se poi la pubblica amministrazione rifiuta definitivamente e legittimamente i necessari permessi, il diritto del procedente si trasforma in risarcimento del danno. ESECUZIONE INDIRETTA L’esecuzione indiretta è lo strumento necessario per tutelare in via esecutiva diritti correlati ad obblighi infungibili. Per lungo tempo il nostro ordinamento è stato lacunoso in questo settore, in quanto singole fattispecie di esecuzione indiretta erano previste qua e là da leggi speciali, ma mancava una previsione generale per tutte le ipotesi di obblighi infungibili. Questa lacuna è stata colmata con la riforma del 2009, che ha introdotto l’art. 614 bis c.p.c., il quale adotta la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l’avente diritto. Detta norma stabilisce che “il giudice, con la sentenza di condanna fissa la somma di denaro dovuto dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento” → il legislatore affida al giudice della cognizione la concessione della misura esecutiva, e quindi l’avente diritto, beneficiario di un titolo esecutivo stragiudiziale per un obbligo infungibile, sarà costretto a proporre una domanda in sede dichiarativa per ottenere la determinazione della sanzione pecuniaria. Il provvedimento con cui è disposta la misura coercitiva è e rimane un provvedimento a contenuto processuale impartita dal giudice del processo dichiarativo e non diviene una pronuncia di merito per il solo fatto di essere contenuta nello stesso provvedimento nel quale è contenuta una pronuncia di merito; dunque quella parte di sentenza con la quale si determina la misura esecutiva è un provvedimento di rito. Trattandosi di una misura processuale, la necessaria istanza della parte non costituisce una vera e propria domanda che si aggiunge alla domanda di condanna e il provvedimento con cui il giudice fissa la sanzione pecuniaria non è un provvedimento di merito che si cumula a quello che decide della domanda principale: pertanto l'istanza può essere proposta in qualunque momento del processo e non va in contro alle preclusioni che attengono alle nuove domande. Le somme che l'avente diritto percepirà si cumulano e non si sostituiscono al risarcimento dei danni che spettano all'avente diritto. La determinazione della somma avviene: • per ogni violazione o inosservanza successiva • per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento Una volta avanzata la richiesta della sanzione non può non essere accolta, salve alcune eccezioni. Il giudice deve verificare che la condanna abbia ad oggetto un’astensione o un obbligo di fare infungibile. Le ipotesi in cui l’esecuzione indiretta è esclusa sono due, ex art. 614 bis I comma c.p.c: • in materia di lavoro subordinato e parasubordinato • quando la misura esecutiva è manifestamente iniqua per quanto riguarda i controlli a cui è sottoponibile la misura esecutiva il controllo è preventivo rispetto alla concessione della stessa, quindi le eventuali censure contro il provvedimento con cui si concede o si nega la misura coercitiva devono essere fatte valere attraverso i mezzi di impugnazione. Ex art. 614 bis I comma “il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute”: non vi è quindi necessità di una preventiva verifica dell’effettiva esistenza dell’illecito, e il creditore potrà intimare precetto, unilateralmente affermando che sono venuti ad esistenza i presupposti della nascita dell’obbligo di corrispondere le somme. Il precetto può essere contrastato con opposizione all’esecuzione. Ove la pronuncia di condanna fosse modificata in sede di impugnazione, le somme eventualmente pagate devono essere restituite, con gli interessi legali dalla data dell’avvenuto pagamento. L'OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE Ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Il diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere contestato per: • mancanza del diritto alla tutela: si intende la mancanza del titolo esecutivo in senso sostanziale. L’opponente può negare il diritto a procedere ad esecuzione sostenendo che la parte istante non ha diritto alla tutela esecutiva perché il titolo esecutivo in senso sostanziale non è mai esistito o è venuto meno, quindi può contestare per inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo. Sappiamo che l’efficacia esecutiva deve sussistere per tutto il corso dell’esecuzione: se l’esecuzione è iniziata in carenza di un titolo esecutivo, che sopravviene poi nel corso del processo, ciò non vale a sanare la situazione di illegittimità dovuta al compimento di atti esecutivi in un momento in cui era carente il titolo esecutivo. Problemi particolari sorgono quando si nega l’esistenza del titolo esecutivo, allegando la nullità dell’atto in cui il titolo esecutivo consiste: • per i titoli esecutivi stragiudiziale non vi sono problemi, in quanto ogni nullità rilevante dell’atto può essere fatta valere in sede di opposizione dell’esecuzione; • per i titoli giudiziali, ex art. 161 I comma c.p.c., si applica il principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione → la nullità del titolo esecutivo giudiziale non può essere fatta valere in sede di opposizione all’esecuzione, con l’eccezione del provvedimento carente della sottoscrizione del giudice, nel qual caso si parla di inesistenza dell’atto, perché difetta di uno dei suoi requisiti essenziali. In caso di inesistenza dell’atto, quindi, si può proporre opposizione all’esecuzione quando il provvedimento è usato come titolo esecutivo. In riferimento ai provvedimenti giurisdizionali dobbiamo approfondire un’altra questione. L’efficacia esecutiva può essere disposta: • ex lege → disposta dalla legge. Siccome l’efficacia esecutiva discende immediatamente dall’esistenza di presupposti previsti dalla legge, in sede di opposizione all’esecuzione si può affermare che tali presupposti non esistono; • ope iudicis → disposta dal provvedimento del giudice. Essendo rilevante la valutazione del giudice che ha accertato l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge, sono precluse tutte le contestazioni relative all’effettiva sussistenza dei presupposti in questione: non si potranno quindi contestare in sede di opposizione all’esecuzione, la giustizia e la fondatezza del provvedimento con cui il giudice ha dato o negato l’esecutività a quel determinato atto. • mancanza del diritto da tutelare: si contesta il diritto sostanziale oggetto della tutela esecutiva. In sede di opposizione all’esecuzione possono essere fatte valere le stesse contestazioni che sarebbero ammissibili nel caso in cui l’atto-titolo esecutivo fosse utilizzato dal creditore come prova dell’esistenza del suo diritto in un ordinario processo di cognizione (es. se il creditore procedente è il primo prenditore della cambiale, gli si possono opporre tutte le eccezioni cartolari ed anche quelle relative al rapporto sottostante, se invece è giratario, gli si possono opporre solo le eccezioni cartolari, e quelle derivanti da un eventuale rapporto sottostante tra giratario e debitore come una compensazione). Con l’opposizione all’esecuzione si può far valere, ex art. 615 2° comma c.p.c., anche l’impignorabilità dei beni: non si utilizza l’opposizione agli atti esecutivi, perché il bene impignorabile fuoriesce dal diritto di procedere ad esecuzione forzata, ex art. 2740 c.p.c. Nell’opposizione all’esecuzione si discute l’an dell’esecuzione, quindi del se (l’opposizione agli atti esecutivi discute del quomodo dell’esecuzione, quindi del come): si dice quindi che è di merito (mentre l’opposizione agli atti esecutivi è di rito). Vediamo ora come si svolge il processo di opposizione all’esecuzione. Bisogna innanzitutto stabilire se l’esecuzione forzata è iniziata: esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’esecuzione, perché il titolo esecutivo deve sussistere dall’inizio alla fine dell’esecuzione, ed il nuovo titolo si forma solo al momento dell’accoglimento della domanda riconvenzionale e l’esecuzione in corso è caducata. La sentenza che rigetta l’opposizione, afferma l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata; la sentenza che accoglie l’opposizione nega l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata. L’accoglimento dell’opposizione impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e caduca gli effetti degli atti già compiuti ed ha inoltre un effetto preclusivo, di accertamento, in relazione al quale è determinante il motivo per cui l’opposizione è stata accolta: • se è dichiarata l’impignorabilità del bene, la pronuncia libera il bene dal vincolo del pignoramento, ma non impedisce la prosecuzione del processo di espropriazione per gli altri beni, eventualmente sottoposti ad esecuzione; • se è dichiarata l’inefficacia del titolo esecutivo, l’esecuzione è caducata, ma il creditore potrà instaurare un nuovo processo esecutivo, a tutela dello stesso diritto sostanziale; • se è dichiarata inesistente la situazione sostanziale, di cui si è richiesta tutela esecutiva, la sentenza ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI E’ lo strumento col quale si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che li disciplinano. Si contesta il “come” (quomodo) dell’esecuzione. E’ un processo di cognizione incidentale al processo esecutivo. L'opposizione agli atti esecutivi costituisce l'unico strumento per operare il controllo, che anche nel processo esecutivo deve essere assicurato, sulla conformità degli atti del processo alle prescrizioni normative che li riguardano. Per individuare l'oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi bisogna far riferimento alla disciplina della nullità degli atti: le nullità formali che riguardano i singoli atti del processo e le nullità extraformali che riguardano le condizioni per l'emanazione del provvedimento di merito, ovvero i presupposti processuali. La nullità del singolo atto si ripercuote sugli atti successivi dipendenti. Al contrario, un vizio attinente ad un presupposto processuale inficia automaticamente tutti gli atti del processo. Ex art. 617 II comma c.p.c., l’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta entro 20 gg dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato. Dobbiamo però distinguere tra: • nullità formali: danno luogo ad un vizio dell’atto, rilevabile solo dalla parte interessata, e dal giudice solo nei casi previsti dalla legge. La mancata proposizione dell’opposizione agli atti nel termine previsto determina la sanatoria del vizio dell’atto processuale conseguentemente gli atti successivi dipendenti non ne sono più contagiati. • nullità extraformali: sono rilevabili d’ufficio. Tutti gli atti del processo sono viziati autonomamente: nascono inficiati da un vizio originario, in quanto posti in essere in carenza di un presupposto processuale. Non si ha quindi la sanatoria prevista per le nullità formali. • Nullità rilevabili d'ufficio: sono tutte le nullità extraformali e di quelle formali che siano espressamente qualificate dal legislatore come rilevabili di ufficio. Si deve distinguere tra la posizione dell'ufficio e la posizione dell parte interessata. L’ufficio se rileva una nullità, deve rifiutare di emettere il provvedimento che gli viene richiesto. La parte interessata, di fronte alla nullità rilevabile ma non in concreta rilevata d’ufficio, può proporre opposizione agli atti esecutivi, oppure fare un’istanza al giudice perché modifichi o revochi il provvedimento che ha emesso: l’istanza non è più possibile quando il provvedimento ha avuto esecuzione. E’ possibile proporre opposizione agli atti esecutivi, nei confronti di ciascun atto successivo del processo esecutivo, finquando il vizio è rilevabile. Legittimati a proporre opposizione agli atti, sono tutti coloro parti del processo, con esclusione di colui che ha compiuto l’atto e la parte che vi ha rinunciato La nullità può essere fatta valere dalla parte che non vi ha dato causa e che non vi ha rinunciato solo se essa lede in concreto la sua posizione giuridica. Vediamo il procedimento. L’opposizione è proposta, prima dell’inizio dell’esecuzione, con citazione, dinanzi al tribunale, che è sempre competente per materia, che ha sede nel comune ove l’istante ha eletto il domicilio, o, in mancanza di elezione del domicilio, al tribunale del luogo dove è stato notificato il precetto. L’opposizione è proposta, dopo l’inizio dell’esecuzione, con ricorso depositato nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, che fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé e dà un termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. In caso di urgenza, il giudice dà i “provvedimenti indilazionabili”, e può anche sospendere il processo esecutivo: quando l'opposizione è proposta per una nullità formale e questa è sanabile il giudice dell'esecuzione può disporre che l'atto sia rinnovato o la nullità sanata; ove sia proposta opposizione per una nullità extraformale e il vizio del presupposto processuale sia sanabile, il giudice può disporre la sanatoria; ove sia insanabile dispone la sospensione del processo esecutivo. Una volta pronunciati tali provvedimenti, l’opposizione si autonomizza dal processo esecutivo: il giudice dell’esecuzione fissa un termine per l’introduzione del giudizio di merito. A seguito dell’iscrizione della causa a ruolo, il presidente del tribunale provvede alla nomina di un giudice istruttore, che non sia giudice di esecuzione. La sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è impugnabile ex art. 618 c.p.c. con ricorso per Cassazione. Per quanto riguarda gli effetti della sentenza: • la sentenza di rigetto accerta la validità dell’atto esecutivo e ne produce la stabilità, e nelle ipotesi di nullità extraformali, la sentenza forma giudicato anche sul motivo posto a fondamento della nullità dell’atto e che è stato ritenuto insussistente da parte del giudice dell’opposizione. • la sentenza di accoglimento dichiara l’invalidità dell’atto opposto, ed accerta la sussistenza del motivo dell’invalidità di tale atto, e se tale invalidità colpisce tutti gli atti successivi, il processo esecutivo si chiude. Le nullità del processo esecutivo non possono essere fatte valere al di fuori del processo stesso proprio perchè esiste l'opposizione agli atti che è un istituto generale idoneo a controllare tutte le nullità del processo. OPPOSIZIONE DI TERZO Trova applicazione quando il bene è legittimamente acquisito al processo esecutivo, ma gli effetti sostanziali non possono operare in relazione al bene pignorato, perché colui che subisce l’esecuzione non ha sul bene alcun diritto alienabile. La funzione specifica di tale opposizione (artt. 619-622 c.p.c) è quella di far valere l'eventuale, possibili discrasie fra la situazione a rilevanza processuale (l'appartenenza) che fonda l'oggetto del processo esecutivo, e la realtà sostanziale (la titolarità del diritto pignorato) che fonda l'oggetto dell'esecuzione. Il terzo in questione è colui che non è esecutato e che come tale non risente degli effetti dell’espropriazione forzata, che si producono nei confronti di colui che il debitore individua come esecutato. Il diritto del terzo, per essere opponibile al creditore procedente, può trovare la sua fattispecie costitutiva in: • titolo d’acquisto originario (es. usucapione) • titolo d’acquisto derivato da un soggetto diverso dal debitore Occorre distinguere quando la vendita forzata determina un acquisto a titolo derivativo o originario: • quando la vendita forzata determina un acquisto a titolo derivativo, l'aggiudicatario non è investito di diritti maggiori di quelli che spettavano all'esecutato. In questi casi la vendita forzata ha, nei confronti del terzo, gli stessi effetti della vendita di diritto comune. Tuttavia le azioni di restituzione che possono fondare l'opposizione di terzo non possono essere fatte valere nei confronti dell'aggiudicatario: infatti l'azione di restituzione che, prima della vendita, può essere fatta valere con l'opposizione di terzo, viene meno una volta che il possesso del bene è acquisito dall'aggiudicatario, ciò costringe il terzo ad un'azione di rivendicazione contro l'aggiudicatario, con i connessi e più gravosi oneri probatori. Quindi, a fronte di un acquisto a titolo derivativo, l'opposizione di terzo ha due funzioni: • generica e costante funzione preventiva: il terzo vuole che non si proceda alla vendita di un diritto che appartiene a lui e non al debitore esecutato; • specifica ed eventuale funzione di consentire l'uso della più semplice e comoda azione di restituzione, piuttosto che l'azione reale che si renderebbe necessaria nei confronti dell'acquirente in vendita forzata. • Quando la vendita forzata ha natura di acquisto a titolo originario, l'acquirente in vendita forzata acquista anche i diritti che non spettavano all'esecutato: nel momento stesso in cui si verifica l'acquisto a titolo originario a favore dell'aggiudicatario, per le regole di incompatibilità la proprietà del bene mobile in capo al terzo si estingue. In tal caso l'interesse a proporre l'opposizione di terzo è radicale, perchè, o il terzo impedisce la vendita, oppure perde definitivamente la proprietà del bene. L'unica possibilità per recuperare il bene per il terzo, è di dimostrare che l'acquirente in vendita forzata era in mala fede, ma ciò è molto difficile. Con l'opposizione ex art. 619 c.p.c il terzo non vuole impedire l'esecuzione, ma sottrarre ad essa i beni sui quali vanta un diritto incompatibile con è esecuzione stessa. Una tale situazione si può ben difficilmente verificare nell'esecuzione in forma specifica, perchè in questa non ci sono due diritti in gioco, ma uno solo, quindi il terzo non può portarsi via il bene e far continuare l'esecuzione, perchè senza di esso l'esecuzione non è possibile. Nell'esecuzione in forma specifica il terzo che avanza pretese sul bene oggetto dell'esecuzione in realtà contesta il diritto del creditore istante a procedere ad esecuzione forzata. Il pregiudizio del terzo nell'esecuzione in forma specifica non nasce dall'esecuzione, ma nasce a monte, dal titolo esecutivo: se esso è un titolo esecutivo giudiziale o un lodo arbitrale, il terzo deve attaccarlo con gli strumenti che sono offerti ai terzi per attaccare il contenuto delle pronunce giurisdizionali altrui, cioè l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c, e non 619 c.p.c. In realtà, però, nel caso in cui titolo esecutivo sia un titolo esecutivo giudiziale è applicabile anche l'opposizione ex art. 619 c.p.c. Vediamo il procedimento L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione, ed è quindi successiva al pignoramento, prima del quale il terzo non può lamentare alcun pregiudizio. Presentato il ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti ed il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto. Parti necessarie sono il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo, per le stesse ragioni dell’opposizione all’esecuzione. All’udienza dinanzi al giudice dell'esecuzione a seguito del deposito del ricorso, le parti possono raggiungere un accordo, che potrà prevedere o la prosecuzione dell’espropriazione, o la cessazione della stessa. Se l’accordo non viene raggiunto, si ha lo stesso svolgimento dell’udienza in sede di opposizione all’esecuzione: il giudice si pone i problemi di competenza, se l’ufficio è competente in senso verticale con riferimento al valore dei beni controversi, il giudice dell’esecuzione istruisce la causa, altrimenti la rimette al giudice di pace competente; territorialmente è competente sempre il giudice del luogo dell’esecuzione. Il processo di opposizione di terzo è un ordinario processo di cognizione e si conclude con un'ordinaria sentenza soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione. Il momento finale per proporre l’opposizione è la vendita forzata, perchè successivamente ad essa il terzo deve vedersela direttamente con l'acquirente in vendita forzata; con l’eccezione prevista per i beni mobili dall’art.620, per cui può essere proposta opposizione anche dopo la vendita. Una volta effettuata la vendita il terzo ha due strade: se intende recuperare il bene presso l'acquirente, in quanto pensa di poter dimostrare la malafede di questo, deve proporre la domanda direttamente nei confronti dell'acquirente in ordinario processo di cognizione, fuori dal processo esecutivo; se invece il terzo ritiene di non avere possibilità di recuperare il bene dall'aggiudicatario e quindi di doversi accontentare del ricavato della vendita, deve proporre l'opposizione di terzo, cioè deve inserirsi all'interno del processo esecutivo. Se l’opposizione del terzo è proposta tempestivamente, e la vendita ha ugualmente luogo perché il giudice non sospende l’esecuzione, il processo di opposizione prosegue con effetti anche verso l’aggiudicatario. Per quanto riguarda l’onere della prova, dobbiamo distinguere: • per i beni immobili, ove l’opponente faccia valere un diritto reale sugli stessi, si applicano le regole ordinarie delle azioni di rivendicazione e di mero accertamento della proprietà, nonché delle azioni restitutorie: se possessore del bene immobile pignorato è l’esecutato, l’onere del terzo è quello della rivendicazione; se invece possessore dell’immobile è l’opponente, è sufficiente la prova di possedere secondo un titolo valido • per i beni mobili, se il bene è stato pignorato nei luoghi appartenenti al debitore, l’onere di dimostrare la proprietà spetta all’opponente che non ne è possessore. Se il bene è stato pignorato illegittimamente al di fuori dei luoghi appartenenti al debitore, una volta che il terzo ha dimostrato che il bene si trovava nel possesso suo e non in quello del debitore esecutato, spetta al creditore procedente dimostrare che il bene mobile tuttavia è di proprietà dell'esecutato. L’art. 621 c.p.c. limita l’uso della prova testimoniale: il terzo opponente, quando il bene mobile sia stato pignorato nella casa o azienda del debitore, deve dimostrare non solo la titolarità del suo diritto sul bene, ma anche fornire la prova dell’affidamento, dimostrando a quale titolo i suoi beni si trovavano presso il debitore. Effetti della sentenza: • la sentenza che decide l’opposizione di terzo non fa stato nei rapporti interni tra debitore esecutato e terzo opponente • la sentenza che nega al terzo il diritto sul bene non è vincolante nei rapporti interni tra terzo e debitore esecutato, ma lo è solo nei rapporti tra terzo opponente e creditore procedente. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO Consiste in un arresto del processo esecutivo. Ex art. 623 c.p.c., la sospensione può essere disposta: • dalla legge: quando il processo di cognizione incidentale riguarda l’oggetto del processo esecutivo e non l’oggetto dell’esecuzione forzata. Si tratta dei casi previsti dagli artt. 548 e 601 c.p.c.: a)quando il giudice ritiene opportuno alienare la quota spettante all’esecutato sul bene indiviso, ed è quindi necessario procedere alla divisione: allora il processo esecutivo resta sospeso in attesa della conclusione del processo di cognizione; b)in caso di espropriazione dei crediti, in quanto il processo di cognizione ha lo scopo di accertare il credito pignorato che è necessario per il perfezionarsi del pignoramento e la conseguente prosecuzione del processo esecutivo. Quando il processo di cognizione incide sulla determinazione dell'oggetto del processo esecutivo la sospensione è • nelle altre due categorie di sospensione, che hanno luogo nell’interesse dell’opponente, l’estinzione del processo di cognizione incidentale può essere richiesta con istanza dell’opponente La riassunzione si effettua con ricorso al giudice dell’esecuzione che, convocate le parti e constata la cessazione della causa di sospensione, o compie lui l’atto successivo, o consente al creditore di compierlo. Se il termine perentorio di riassunzione non è rispettato, il processo esecutivo si estingue. L’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO E’ disciplinata dagli artt. 629-632 c.p.c. Si ha nelle seguenti ipotesi: • rinuncia agli atti del processo esecutivo. La rinuncia proviene sempre e necessariamente dal creditore procedente. Non è necessario che essa sia accettata dal debitore esecutato, mentre per quanto riguarda i creditori dobbiamo distinguere: • fino a quando non viene emesso il decreto di trasferimento, la rinuncia agli atti deve essere accettata solo dagli altri creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, che potrebbero sostituirsi al creditore procedente inattivo nel compiere gli atti necessari per il processo di espropriazione. Non c'è bisogno di accettazione della rinuncia da parte dei creditori intervenuti senza titolo esecutivo perchè essi non possono procedere ad espropriazione nell'inerzia del creditore procedente. Il creditore senza titolo esecutivo non può compiere atti del processo esecutivo nell'inerzia del creditore procedente e quindi il creditore procedente è sempre in grado di fa estinguere il processo restando inerte. • dopo la vendita è necessaria l’accettazione di tutti i creditori anche senza titolo esecutivo, e tutti i creditori sono parificati e hanno diritto di soddisfarsi sul ricavato. • inattività delle parti. Due ipotesi: • mancata, tempestiva prosecuzione o riassunzione del processo esecutivo: l’estinzione opera di diritto ed è retroattiva al momento in cui l’estinzione si è verificata. Può essere eccepita dalla parte o dichiarata d’ufficio dal giudice, ma non oltre la prima udienza successiva al verificarsi dell’esistenza stessa • mancata comparizione all’udienza; le parti che devono comparire, se le udienze sono antecedenti al perfezionamento della vendita, sono i creditori muniti di titolo esecutivo. La diserzione di due udienze consecutive porta all'estinzione del processo, che è dichiarata anche d'ufficio. Esclusa l’udienza di vendita, che ha luogo anche se in tale udienza non è presente un creditore munito di titolo esecutivo • documentazione nella vendita immobiliare. Ex. art. 567 III comma c.p.c., entro 120 gg dal deposito dell’istanza di vendita, il creditore procedente o un creditore munito di titolo esecutivo devono depositare la documentazione necessaria alla vendita stessa: ove ciò non accada, il giudice dell’esecuzione dichiara anche d’ufficio, estinto il processo esecutivo • sospensione. Ex art. 624 III comma c.p.c., se a seguito di proposizione di opposizione all’esecuzione, agli atti o di terzo, il processo esecutivo è sospeso e nessuno coltiva la causa di opposizione, il giudice, anche d’ufficio, dichiara estinto il processo. L’estinzione del processo esecutivo è sempre dichiarata con ordinanza del giudice dell’esecuzione, contro la quale è previsto il reclamo al collegio, su cui il collegio decide in camera di consiglio con sentenza soggetta ad appello, anch’esso deciso in camera di consiglio. Gli effetti dell’estinzione sono regolati dall’art. 632 c.p.c.: • se l’estinzione si verifica prima della vendita => tutti gli atti del processo diventano inefficaci • se l’estinzione si verifica dopo la vendita => il trasferimento all’aggiudicatario non è toccato e il ricavato della vendita è consegnato al debitore esecutato.
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