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Procedura Civile - riassunti, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunti chiari ed esplicativi di tutti gli argomenti di procedura civile.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 19/01/2022

ladymarian24
ladymarian24 🇮🇹

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Scarica Procedura Civile - riassunti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! LA GIURISDIZIONE. All’attività giurisdizionale fanno riferimento due norme: l’art. 24 Cost. co. 1 sulla TUTELA DEI DIRITTI e l’art. 2907 cc. sulla tutela dei diritti con l’attività giurisdizionale ordinaria. L’attività giurisdizionale CIVILE si concentra sulla tutela dei diritti soggettivi come reazione all’eventuale violazione di questi. Sono due le caratteristiche dell’attività giurisdizionale: - STRUMENTALITÀ rispetto ai diritti da tutelare, nel caso non si sia attivata spontaneamente; - SOSTITUTIVITÀ che garantisce in via secondaria la tutela dei diritti sostanziali, rispetto a chi primariamente non lo ha fatto. L’attività giurisdizionale non interviene solo in caso di lesione di diritti, ma anche nei casi di: - GIURISDIZIONE COSTITUTIVA NECESSARIA, dove si sottraggono all’autonomia dei singoli, determinate situazioni giuridiche che necessitano della presenza del GIUDICE per realizzare gli effetti (es. INTERDIZIONE); questa giurisdizione ha per oggetto i DIRITTI POTESTATIVI NECESSARI (che consistono nell’attribuzione di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un suo interesse) che vengono attuati dall’autorità giurisdizionale. - GIURISDIZIONE COSTITUTIVA NON NECESSARIA, che può essere attuata in via secondaria dal giudice nel caso vi sia una modificazione giuridica (es. CONTRATTO PRELIMINARE ex art. 2932 cc. o diritto di RECESSO e DIMISSIONI) - GIURISDIZIONE DI MERO ACCERTAMENTO, strumento per determinare l’accertamento di un diritto, caratterizzato da una contestazione e un vanto di un determinato diritto (es. RIVENDICA). Tipologia di attività civile: - ATTIVITÀ DI COGNIZIONE/DICHIARATIVA (libro II), costituita da provvedimenti di CONDANNA, di MERO ACCERTAMENTO e COSTITUTIVI (modificano o estinguono un rapporto giuridico), che tramite un provvedimento del giudice, il cui accertamento sarà idoneo ad assumere l’INCONTROVERTIBILITÀ della COSA GIUDICATA, su cui nessun giudice si potrà nuovamente pronunciare (si ha COSA GIUDICATA FORMALE secondo l’art. 324 cpc quando sono processualmente esauriti i mezzi di impugnazione o è esperito il termine per impugnare, e conseguentemente si ha COSA GIUDICATA SOSTANZIALE, disciplinata nell’art. 2909 cc., dove l'accertamento passato in giudicato fa stato tra le parti ad ogni effetto, come legge in concreto). - ATTIVITÀ DI ESECUZIONE FORZATA (libro III), cui protagonista è l’ufficiale giudiziario, e volta a conseguire l’azione materiale in via coattiva e forzata, con l’utilizzo della P.A. - ATTIVITÀ CAUTELARE (libro IV), di funzione strumentale alle prime due attività, affinché si possa ovviare efficacemente ai pericoli che possono compromettere l'attività giurisdizionale. - GIURISDIZIONE VOLONTARIA (libro IV e disp. comune in Camera di Consiglio), esercizio svolto da organi imparziali che attuano provvedimenti idonei a cosa giudicata, la cui funzione è di integrare o realizzare una fattispecie costitutiva di diritti (es. ADOZIONE MAGGIORENNI; SEPARAZIONE CONSENSUALE), fattispecie costitutive di un potere, o di una persona giuridica, basandosi su modificazioni di generiche aspettative (es. interessi legittimi e non diritti potestativi). LA GIURISDIZIONE E IL REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE. La GIURISDIZIONE CIVILE è il potere del giudice giurisdizione civile e il potere del giudice di risolvere una controversia, mentre la COMPETENZA è la misura di questo potere. L’art.102co.1 Cost. stabilisce che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari sulle norme dell'ordinamento giudiziario, e l’art.1 cpc. precisa che la giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari, secondo le norme del presente codice. Gli artt.2907c.c. e 99c.p.c. stabiliscono che alla tutela dei diritti soggettivi provvede l'autorità giudiziaria ordinaria, su domanda di parte. Il giudice deve risolvere una serie di questioni, prime fra tutte le QUESTIONI DI GIURISDIZIONE che insorgono nel processo, ossia questioni sollevate dalle parti o d’ufficio che servono a constatare se il giudice adito sia fornito o meno di giurisdizione in ogni stato e grado del processo; si tratta di una questione pregiudiziale di rito, e pertanto deve essere decisa prima di ogni altra questione di rito o di merito; il giudice deve verificare se: 1. Se il convenuto gode dell'IMMUNITÀ dalla giurisdizione (es. NATO, AMBASCIATE); 2. Se la domanda può proporsi al giudice italiano, giudice europeo o giudice di altro Stato; 3. Se la domanda può proporsi al giudice ordinario o a quello amministrativo; La giurisdizione del giudice italiano presenta due tipi di LIMITI: - Un LIMITE ESTERNO, quando vi è un difetto di giurisdizione del giudice italiano, e la controversia è devoluta ad un giudice europeo o straniero. La disciplina del difetto di giurisdizione cambia a seconda della conversione della controversia:  GIUDICI ITALIANI e GIUDICI EUROPEI SOVRANAZIONALI: le cui componenti sono il sistema giurisdizionale di Lussemburgo cui è attribuita la funzione di interpretare norme dell'ordinamento europeo o di stabilire la validità di atti comunitari generali, e quello di Strasburgo (CEDU) la cui funzione ha carattere sussidiario e svolge la funzione di controllo delle sentenze nazionali di ultima istanza, ossia dopo aver esperito i mezzi di ricorso previsti all'interno del proprio ordinamento, ed eventualmente condannando lo stato ad un equo indennizzo.  GIUDICI ITALIANI e CORTI DI STATI EUROPEI: si fa riferimento ai criteri uniformi di attribuzione della giurisdizione ai giudici degli stati membri, fissati dal Regolamento Bruxelles I, Bruxelles II e Regolamento CE n.1346/2000 (con eventuale clausola di proroga del giudice in forma scritta adottata dalle parti) adottando come criterio di collegamento per definire i limiti il fatto oggettivo del domicilio o della residenza del convenuto nel territorio dello Stato.  GIUDICI ITALIANI e CORTI STRANIERE fuori U.E.: dove i criteri di riparto vengono desunti dalla l. n.218/1995 sul diritto intern. privato (art. 4), adottando come criterio di collegamento per definire i limiti il fatto oggettivo del domicilio o della residenza del convenuto nel territorio dello Stato. Può accadere che una causa sia pendente contemporaneamente davanti a giudici di stati diversi; questa è la LITISPENDENZA INTERNAZIONALE caratterizzata dall’uguaglianza di personae, petitum e causa petendi. Per quanto riguarda i soggetti, bisogna stabilire da chi o nei confronti di chi la domanda viene proposta; riguardo gli elementi oggettivi, si è in presenza della stessa causa se è identico ciò che si chiede ai due giudici (provvedimento richiesto come petitum immediato, e il bene perseguito come petitum mediato); occorre l'identità del titolo per mezzo del quale viene richiesto quel determinato provvedimento. Nell’ambito della litispendenza eurocomunitaria si Il REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE è uno strumento preventivo che consente alle parti di un processo civile di adire direttamente la Cassazione a Sezioni Unite, per pronunciarsi con una decisione incontrovertibile sulla giurisdizione, indicando quale sia il giudice che ha giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione non è un mezzo di impugnazione, perché non presuppone una decisione da contestare né implica soccombenza. Vi sono diversi tipi di regolamenti: - REGOLAMENTO ORDINARIO DI GIURISDIZIONE, art. 41 co. 1 cpc: Finché la causa non è decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può adire la Cassazione a Sezioni Unite, affinché risolvano la questione di giurisdizione ex art. 37 cpc. (DIFETTO DI GIURISDIZIONE che è rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento). L’ISTANZA va proposta dalla parte e la decisione sarà pronunciata con ordinanza, entro il TERMINE ultimo dalla pronuncia di una sentenza di merito, anche se non definitiva, oppure dalla pronuncia di una sentenza definitiva, anche se semplicemente processuale. o L'automatica sospensione del processo di primo grado ha dato luogo a facili abusi, così il legislatore ha trasformato la SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO, secondo quanto stabilito dall’art.367 cpc, a discrezione del giudice e solo se non ritiene l’ISTANZA MANIFESTAMENTE INAMMISSIBILE o la CONTESTAZIONE DELLA GIURISDIZIONE MANIFESTAMENTE INFONDATA; se il processo si sospende si aspetterà la decisione della Cassazione, ma se la sentenza di merito non viene sospesa, il giudizio prosegue parallelamente e la decisione diverrà o un CAPO INCONTROVERTIBILE DELLA SENTENZA, o se la sentenza di merito è passata in giudicato, la sentenza della Cassazione nel caso rilevi il difetto di giurisdizione, TRAVOLGERÀ la sentenza passata in giudicato e le parti dovranno riproporre la domanda ex novo entro 3 mesi, altrimenti la sentenza sarà nulla. o La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, si pronuncerà con un’ORDINANZA in camera di consiglio che può essere: di RIGETTO confermando il giudice adito precedentemente e le parti avranno 6 mesi per riassumere nuovamente il processo con un capo della sentenza incontrovertibile sulla giurisdizione per effetto della decisione panprocessuale della Cassazione; di ACCOGLIMENTO non confermando il giudice precedente e indicando il giudice adito, e le parti avranno 3 mesi per riassumere il processo. o La RIASSUNZIONE DEL PROCESSO va fatta tenendo sempre conto dell’art. 5 cpc sulla PERPETUATIO IURISDICTIONIS, ossia che la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, e utilizzando lo strumento della TRANSLATIO IUDICII nell’art. 59 l.69/2009m non istituendo un nuovo processo, ma il processo originario continua nella sua idonea sede, e se non vi è riassunzione si avrà l’estinzione del processo, non precludendo eventualmente la riproposizione ex novo della domanda e l’eventuale acquisizione delle prove precostituite da utilizzare come argomento di prova. - REGOLAMENTO SPECIALE DI GIURISDIZIONE, art. 41 co. 2 cpc: è un regolamento speciale per la P.A., che non sia parte in causa e può riguardare solo il difetto di giurisdizione. La relativa istanza può essere proposta in ogni stato e grado del processo, purché sul punto della giurisdizione non si sia formato il giudicato interno. Segue la disciplina dell'art. 368 cpc con un’istanza del prefetto che, con decreto motivato, mette in moto un meccanismo che porta alla necessaria sospensione del processo di merito. - REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE D’UFFICIO, art.59 co.3 L. 69/2009: l'art. 59 della l. 69/2009 regola la possibilità della continuazione del processo davanti al giudice indicato come provvisto di giurisdizione, a seguito di una sentenza del giudice nazionale che ha declinato la propria giurisdizione. In tale sentenza il giudice deve indicare il giudice munito di giurisdizione; se entro tre mesi dal giudicato della declinatoria di giurisdizione la domanda è riproposta al giudice indicato, si ha continuazione del processo. SE IL SECONDO GIUDICE SI CONSIDERA SPROVVISTO DI GIURISDIZIONE, PUÒ SOLLEVARE D’UFFICIO IL REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE davanti alle Sezioni Unite, fino alla prima udienza fissata per la trattazione nel merito. I presupposti del regolamento sono: richiedersi che esplicitamente sulla questione di giurisdizione non si siano già pronunciate le SS.UU. della Cassazione e che il giudice ad quem deve ritenersi privo di giurisdizione. Ci troviamo in presenza di un conflitto negativo in quanto entrambi i giudici ritengono di essere privi di giurisdizione, che rimane VIRTUALE poiché il conflitto viene sollevato con ordinanza, e il giudice dispone che il cancelliere rimetta il fascicolo d'ufficio alle SS.UU., che seguiranno il procedimento previsto per il regolamento ordinario di giurisdizione. Inoltre, il nuovo regolamento d'ufficio va coordinato con il co. 2 art. 362 cpc. che consente il ricorso in Cassazione in caso di conflitti di giurisdizione tra giudice speciali e giudici ordinari e stabilisce che possono essere denunciati in Cassazione i conflitti negativi di attribuzione fra P.A. e giudice ordinario. COMPETENZA Nel nostro sistema giurisdizionale, esistono molti organi decentrati nel territorio che hanno la qualifica di giudice ordinario; quindi, bisogna individuare il giudice ordinario che è investito della singola causa civile. La competenza è la misura della giurisdizione che spetta ad ogni organo giudiziario; il giudice deve essere individuato solo in base a parametri fissati per legge, eliminandosi ogni forma di discrezionalità nella determinazione di chi deve giudicare una determinata causa. I criteri in base ai quali viene individuato il giudice competente sono 3: due relativi al riparto in SENSO VERTICALE (competenza per materia e valore) e uno al riparto ORIZZONTALE (competenza per territorio). La COMPETENZA PER MATERIA riguarda la natura della controversia (ad es., in tema di misura e modalità d'uso dei servizi di condominio di case è competente il giudice di pace; in tema di opposizione alla stima nell’espropriazione di pubblica utilità è competente la Corte d’appello). La COMPETENZA PER VALORE riguarda il valore economico della controversia; se manca una specifica previsione riguardo la competenza per materia, le controversie si distribuiscono tra i giudici non specializzati di primo grado (giudici di pace e tribunale) in base al valore, secondo il limite che circoscrive la sfera di competenza del giudice minore al valore di € 2.582,28 (art.7co.1). Il criterio del valore è ESCLUSO tutte le volte in cui la controversia è affidata ad un dato il giudice; altre volte, nell'ambito di una stessa materia, le controversie sono attribuite all'uno o all'altro giudice in base ad una particolare soglia di valore. (ad es., le controversie di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli sono ripartite tra giudice di pace e tribunale a seconda che il valore sia inferiore o superiore ad € 15.493,71). La COMPETENZA PER TERRITORIO (derogabile e inderogabile) consiste nel fatto che, una volta stabilito che deve essere adito il giudice di pace o il tribunale, si deve scegliere quale tra i giudici di pace e tribunali dislocati sul territorio dello Stato dovrà essere adito. I criteri di competenza territoriale sono indicati dagli art.18ss. e da altre disposizioni speciali. In particolare, è previsto il FORO GENERALE (art.18c.p.c. e art.43c.c.), che è il luogo dove il convenuto ha la residenza (cioè la dimora abituale, art.43co.2c.c.) o il domicilio (cioè la sede principale dei suoi affari ed interessi, art.43co.1c.c.) e, se questi sono sconosciuti, la dimora (cioè il luogo di permanenza non momentaneo, ma diverso dalla residenza). Il FORO GENERALE DELLE PERSONE GIURIDICHE è il luogo in cui esse hanno la sede/stabilimento o rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Oltre al foro generale sono previsti dei FORI SPECIALI utilizzabili solo per cause che hanno determinati oggetti o soggetti: questi fori, a loro volta, si distinguono in: FORI SPECIALI FACOLTATIVI che concorrono con il foro generale (ad es., nelle cause in materia di obbligazioni, l'attore può scegliere fra il foro generale e 2 fori speciali facoltativi); FORI SPECIALI ESCLUSIVI che escludono il ricorso al foro generale e a qualsiasi altro foro speciale (ad es., nelle cause relative ai diritti reali su beni immobili è competente solo il foro del luogo in cui è posto l'immobile). Questi parametri sono utilizzati per la determinazione del giudice competente in primo grado, ma stabiliscono indirettamente anche i giudici competenti per i successivi gradi di merito (c.d. competenza per gradi). Secondo il principio generale della INDEROGABILITÀ CONVENZIONALE DELLA COMPETENZA, il giudice deve essere individuato applicando solo i parametri fissati dal legislatore; però, ferma l'inderogabilità della competenza per materia e per valore, le PARTI POSSONO DEROGARE LA COMPETENZA PER TERRITORIO con esclusione dei casi espressamente previsti dall’art. 28 cpc (le cause nelle quali è necessario l'intervento del P.M., quelle MODIFICAZIONI DELLA COMPETENZA PER RAGIONI DI LITISPENDENZA, CONTINENZA E CONNESSIONE. Per capire il concetto di litispendenza bisogna all’analizzare tre elementi costitutivi dell'azione che sono i soggetti, il petitum e la causa petendi. Quando vi è un rapporto di identità bisogna cercare di evitare il NE BIS IN IDEM ossia evitare che domande identiche siano decise. Gli strumenti per evitarlo sono 3: - COSA GIUDICATA per cui nel caso di domande identiche proposte in termini diversi, quando è passata in giudicato la prima davanti allo stesso giudice, o diversi, il giudice secondo, d'ufficio o su eccezione di parte, ammetterà di pronunciarsi con la cosa giudicata. - RIUNIONE DEI PROCEDIMENTI, nel caso di domande proposte contemporaneamente quando ancora la prima domanda è pendente davanti allo stesso giudice. - LITISPENDENZA ossia domande identiche contemporaneamente poste davanti a giudici diversi. Affinché si abbia litispendenza vi devono essere tre presupposti, ossia l'identità di domande, la contemporanea presenza delle cause, e la diversità dei giudici che appartengono alla stessa giurisdizione. La litispendenza è disciplinata dall’art. 39 co. 1 cpc. e funziona con il CRITERIO DELLA PREVENZIONE, per cui il giudice competente è il giudice adito per primo, mentre il secondo giudice in ogni stato e grado deve dichiarare la litispendenza con ordinanza e la seconda causa sarà cancellata. La prima causa è quella la cui citazione è notificata prima o il ricorso viene depositato prima. Secondo l'art. 42 cpc. si può proporre regolamento necessario di competenza con cui impugnare l'ordinanza. La CONTINENZA si caratterizza per la pendenza contemporanea delle cause ed è caratterizzata dalla diversità dei giudici, ma non sia una perfetta coincidenza delle domande, configurandosi una semplice identità di persona e di titolo e una diversità di petitum quantitativo. La soluzione per la continenza è dettata dall' art. 39 co. 2 dove si applica il CRITERIO DELLA PREVENZIONE in cui il giudice adito per primo è competente anche per la seconda domanda, ma se il primo non è competente per la seconda, sarà il primo giudice con ordinanza a disporre la continenza. La parte può impugnare con il Reg. di competenza l'ordinanza temperato nella competenza per valore. Nella CONNESSIONE via una comunanza parziale degli elementi costitutivi. Le causa non sono identiche, ma hanno solo un elemento in comune. Nell’ipotesi in cui la comunanza riguarda i SOGGETTI si parla di connessione soggettiva; Se vi riguarda l'oggetto e il titolo si parla di connessione OGGETTIVA. Il giudice delibera la connessione con ordinanza con un termine ed è impugnabile con il regolamento necessario di competenza. La connessione viene utilizzata per ragioni di opportunità. Le modificazioni di competenza sono 7: - CONNESSIONE SOGGETTIVA E CONSEGUENTE CUMULO GIURIDICO: l’art. 104 cpc afferma di porre queste domande tutte davanti allo stesso giudice, purché sia rispettata la regola di cui all'art. 10 co. 2 sulla competenza per valore in base alla sanatoria dei valori delle due cause. - CONNESSIONE OGGETTIVA NON QUALIFICATA e CUMULO SOGGETTIVO: nel caso in cui la connessione sia per l'elemento oggettivo, ma con soggetti diversi, l'art. 103 afferma che i soggetti diversi possono essere accomunati davanti allo stesso giudice anche se dovevano essere proposti davanti a giudici diversi e competenti per le varie cause, e se le parti non sono d'accordo, la parte può eccepire il simultaneus processus perciò l'art. 33 si applica nelle ipotesi non previste dagli articoli 31 e 36 cpc. - CONNESSIONE OGGETTIVA QUALIFICATA PER ACCESSORIETÀ: l’art. 31 cpc. parla di causa accessoria ossia quella domanda la cui decisione dipende dalla domanda principale e viceversa (causa satellite), che consente di proporre la domanda accessoria al giudice competente territoriale per la principale, affinché siano decise nello stesso processo secondo l'art. 10 cpc. - CONNESSIONE OGGETTIVA QUALIFICATA PER GARANZIA: l’art. 32 parla della domanda principale di garanzia proposta dal giudice territorialmente competente, salvo che ecceda dalla competenza per valore della principale, il quale rimette la causa al giudice superiore entro un termine. La Corte di Cassazione ha distinto la garanzia PROPRIA quando la causa principale e quella di garanzia si fondano sullo stesso titolo, e la garanzia IMPROPRIA come nel caso di vendita a catena. Vi sono diversi orientamenti, ma secondo la tesi prevista nel Picardi, l’art. 32 non fa differenza tra questi due tipi di garanzie. - CONNESSIONE OGGETTIVA PER PREDIGIUDIZIALITÀ: L’art.34, sotto la rubrica "ACCERTAMENTI INCIDENTALI", stabilisce che il giudice, nell'ipotesi in cui per legge o per esplicita domanda di una delle parti, deve decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene, per materia o valore, alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa al giudice superiore, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione davanti a lui. Riguardo al loro OGGETTO, le questioni pregiudiziali possono riguardare questioni processuali che sono capaci di impedire la prosecuzione del processo (c.d. questioni pregiudiziali di rito impedienti). Le questioni di merito, dette anche questioni preliminari, si ricollegano al fenomeno della relatività nella fattispecie. Infatti, sul piano sostanziale può avvenire che un diritto soggettivo o uno stato personale assuma valore, oltre che in sé, anche come fatto costitutivo di altro diritto. In questi casi, si ha una connessione per pregiudizialità-dipendenza. Altre volte, può avvenire che un diritto soggettivo o uno stato possono essere un fatto impeditivo, modificativo o istintivo di altro diritto. La pregiudiziale si può presentare o come punto, come questione o come causa. Si ha un PUNTO PREGIUDIZIALE nell'ipotesi in cui il problema pregiudiziale non è controverso. Si ha una QUESTIONE PREGIUDIZIALE tutte le volte in cui l'antecedente logico è controverso e il giudice adito, anche se non è competente a decidere su di esso, lo prende in esame incidenter tantum, ai soli fini della risoluzione della questione principale; in pratica, la sua decisione avrà solo efficacia interna al giudice in corso. Quindi, l'antecedente logico potrà essere messo in discussione in seguito in un autonomo processo. Si parla di CAUSA PREGIUDIZIALE tutte le volte in cui il giudice competente risolve, una volta per tutte, il problema pregiudiziale con una sentenza che può passare in giudicato e impedire che si possa riaprire il dibattito sulla pregiudiziale. Quindi, l'ipotesi della causa pregiudiziale è il caso in cui il giudice adito è chiamato, per legge o per esplicita domanda di una delle parti, a decidere la pregiudiziale con efficacia di giudicato. In questa ipotesi, l’art.34 stabilisce che, se il giudice è competente anche per la pregiudiziale, deciderà l'intera controversia; altrimenti, rimetterà il tutto al giudice superiore competente (c.d. translatio iudicii), assicurando così l'esame congiunto della causa pregiudiziale e della causa principale (simultaneus processus), entrambe assistite dall'autorità di giudicato. L'ambito di applicazione dell’art.34 riguarda solo le questioni pregiudiziali di merito e non quelle di rito. Inoltre, la disciplina dell’art.34 non è applicabile in tutte le ipotesi in cui l'ordinamento dispone diversamente e, in particolare, prevede la sospensione della causa pregiudicata in attesa della decisione della causa pregiudiziale; ci si riferisce ai casi in cui la condizione della pregiudiziale è devoluta ad altro giudice, ad es., alla Corte Costituzionale, riguardo la pregiudiziale costituzionale, alla Corte di Lussemburgo, riguardo la pregiudiziale comunitaria, al giudice amministrativo per le relative pregiudiziali. - CONNESSIONE QUALIFICATA PER COMPENSAZIONE: art. 35 in cui un processo viene eccepito un credito in compensazione che esorbiti la competenza per valore della principale per cui vi sono due ipotesi: se la domanda è fondata su un titolo non controverso e facilmente accettabile il giudice si tiene la principale e la seconda viene data al giudice superiore; se la causa non è accertabile si rimette tutta la causa al giudice superiore. - CONNESSIONE QUALIFICATA PER RICONVENZIONE: art. 36 la domanda riconvenzionale che esorbita dalla competenza per valore e per materia, il giudice deve rimettere tutta la causa al giudice superiore. Vi sono delle condizioni di ammissibilità per cui la domanda riconvenzionale deve essere collegata alla causa petendi della controversia principale. LE SPESE GIUDIZIALI Il processo è fonte di spese (ad es., per imposte, diritti di cancelleria, onorari di avvocati, consulenti tecnici, ecc.). A questo proposito, si pongono soprattutto 3 tipi di problemi: l'anticipazione, la ripartizione finale e la distrazione delle spese. 1) Riguardo all'ANTICIPAZIONE DELLE SPESE, l’art.8 D.P.R. n.115/2002 stabilisce che ogni parte provvede alle spese per gli atti processuali che compie o che richiede e anticipa le spese, quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal PM. Se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, le spese sono anticipate dall'erario o prenotate a debito dal cancelliere. 2) L'ONERE DI ANTICIPAZIONE delle spese è una misura provvisoria, necessaria al compimento degli atti durante la procedura. Con la sentenza che chiude il processo, invece, il giudice provvede alla RIPARTIZIONE FINALE DELLE SPESE (artt.91 e 92). L'orientamento classico e tuttora prevalente basa la norma sul fatto oggettivo della SOCCOMBENZA: chi perde paga e si accolla non solo le proprie spese, ma anche quelle di controparte. La condanna alle spese viene collegata al fatto oggettivo della soccombenza, non rappresenta una sanzione contro l'illecito; ha una funzione di semplice indennizzo, non quella di risarcimento del danno. Però, l’art.92 prevede una specificazione e 3 correttivi o deroghe alla regola. La specificazione è rappresentata dal potere di disporre la compensazione per soccombenza reciproca o parziale: il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti nell'ipotesi in cui entrambe risultino in tutto o in parte soccombenti. La prima deroga è rappresentata dalla compensazione per giusti motivi, rimessi alla valutazione discrezionale del giudice, per cui la legge pone il limite che il carico delle spese non gravi totalmente sulla parte risultata interamente vittoriosa; la seconda deroga è rappresentata dal potere riconosciuto al giudice di condannare al rimborso delle spese qualsiasi parte, anche se vittoriosa, che abbia violato i doveri di lealtà e probità previsti dall’art.88; la terza deroga consiste nel permettere al giudice di escludere la ripetizione delle spese eccessive o superflue. Un orientamento più recente propone, invece, che la condanna alle spese venga separata dal fatto oggettivo della soccombenza e legata ad altri valori, come la mancanza di lealtà. Nell'ottica di questo lo orientamento, il parametro della soccombenza viene declassato al ruolo di criterio essenzialmente sintomatico. I poteri discrezionali del giudice sono particolarmente ampi quando si tratta di compensare le spese sulla base di altri giusti motivi (art.92co.2). Il nuovo indirizzo sembra segnare il passaggio dalla soccombenza all'abuso del processo, attribuendo al giudice il potere di valutare il comportamento della parte, per stabilire se abbia gestito bene o male lo strumento processuale. 3) Il DIFENSORE ha diritto al compenso per la propria opera e al rimborso delle spese esclusivamente dal proprio cliente, che, a sua volta, può avere diritto al rimborso dalla controparte, se quest'ultima fosse condannata alle spese. Per maggiori garanzie, l’art.93 permette al difensore, munito di procura, di chiedere la distrazione delle spese, cioè chiedere che il giudice, nella stessa sentenza di condanna alle spese, "distragga", in favore suo e degli altri difensori, gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di aver anticipato. LA RESPONSABILITÀ PER LITE TEMERARIA Per altre ipotesi di abuso processuale, l’art.96 prevede un obbligo di risarcimento del danno: la responsabilità aggravata per lite temeraria. Il vincitore può chiedere al giudice della causa di merito non solo il rimborso delle spese, ma anche la condanna di controparte al risarcimento dei danni se egli ha agito o resistito in malafede o colpa grave (art.96co.1). In particolare, l’art.96co.2 richiede che: a) venga dichiarata non la semplice soccombenza, ma addirittura l'inesistenza del diritto per il quale è stata trascritta domanda giudiziale; b) l'attore o il creditore procedente abbiano agito senza la normale prudenza. In entrambi i casi, è necessaria l'istanza di parte che deve essere proposta nello stesso processo e decisa dallo stesso giudice investito della causa. La liquidazione dei danni può invece avvenire anche d'ufficio, sempre che la parte abbia provato la sussistenza del danno oppure che in atti risultino elementi capaci di accertarne l'esistenza e permetterne la liquidazione da parte del giudice, anche in via equitativa. Un caso particolare di responsabilità aggravata è previsto per il giudice di cassazione: se la parte ha proposto ricorso in cassazione o vi ha resistito con colpa grave, l’art.385co.4 prevede che la Corte, quando pronuncia sulle spese, condanni d'ufficio il soccombente al pagamento di una somma non superiore al doppio dei massimi della tariffa, determinata equitativamente. LITISCONSORZIO Il fenomeno processuale è rappresentato da due parti che sono attore e convenuto; ma vi sono delle forme complesse intese in LITISCONSORZIO IN SENSO AMPIO come comunanza di cause per più soggetti e si verifica o in maniera originaria o in maniera successiva. Nell’ipotesi di presenza di più parti dall’inizio si ha un LITISCONSORZIO ORIGINARIO con il processo che nasce sin dall’inizio abbiamo un litisconsorzio in senso stretto; nell’ipotesi di pluralità di parti che interviene successivamente in un processo si ha la fattispecie degli INTERVENTI. Il LITISCONSORZIO si può suddividere in due tipologie: - NECESSARIO art. 102 cpc: il primo comma afferma che “se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”. Posto che vi sono alcune ipotesi previste dalla legge di Litisconsorzio Necessario, vi sono alcuni PRESSUPOSTI per cui il processo deve vedere necessariamente la partecipazione di più parti: RAPPORTO GIURIDICO SOSTANZIALE DEDOTTO IN GIUDIZIO che deve presentare le caratteristiche della plurisoggettività (carattere necessario perché in mancanza di questa non vi sarebbe giustificazione della presenza di più soggetti e più parti, e non è sufficiente da solo) e natura concettualmente unitaria e inscindibile del rapporto giuridico sostanziale; UTILITÀ DELLA SENTENZA che non ha efficacia se non viene pronunciata davanti a tutte le parti interessate, e nel caso in cui fosse emessa in una o alcune parti la sentenza sarebbe inidonea al raggiungimento dello scopo (inutiliter data). SI POSSONO VERIFICARE TRE ORDINI DI EFFETTI: il giudizio si celebra con tutte le parti interessate e viene osservato l’onere di cui al 102 co.1; giudizio non è instaurato correttamente dall’inizio e si applica il co. 2 del 102 cpc, per cui “se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito” e se le parti non integrano il contraddittorio il processo di estingue secondo l’art. 307 co. 3 cpc; le parti non instaurano il processo con le parti necessarie sin dall’inizio, e nemmeno il giudice riscontra la necessarietà del litisconsorzio e la sentenza è inutiliter data, pertanto la sentenza sarà improduttiva di effetti per tutti e la sentenza non verrebbe nemmeno sanata con il passaggio in giudicato della sentenza (si ritiene che la sentenza emessa senza la presenza delle parti sia viziata da essere INESISTENTE). In determinati casi, la legge impone espressamente che il processo si svolga fra più parti. I casi espressamente previsti dal legislatore possono essere distinti in 3 categorie: 1) LITISCONSORZIO NECESSARIO BASATO SU UN UNICO RAPPORTO PULURISOGGETTIVO: es., nel giudizio volto al disconoscimento di figlio legittimo, l’art.247c.c. dispone la necessità del litisconsorzio fra il presunto padre, la madre ed il figlio; 2) LITISCONSORZIO NECESSARIO CONSEQUENZIALE ALL’ESERCIZIO DI AZIONE DA PARTE DI UN LEGITTIMATO STRAORDINARIO: ad es., l’art.2900c.c. stabilisce che il creditore che agisce in surrogatoria deve citare anche il debitore a cui intende surrogarsi; 3) LITISCONSORZIO PER RAGIONI DI MERA OPPORTUNITÀ: es., nel caso di un incidente stradale, è ammessa l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore per responsabilità civile, ma deve essere convenuto in giudizio anche l'assicurato (art.23 l. n.990/1969). Ci sono anche ipotesi di litisconsorzio necessario al di là dei casi espressamente previsti dalla legge. Bisogna analizzare le 3 categorie di casi per stabilire se, e a quali condizioni, ognuna di esse può essere estesa ad ipotesi non espressamente previste dalla legge. 1) La prima categoria di casi ha il suo fondamento nel fenomeno sostanziale dell'UNITARIETÀ DEL RAPPORTO GIURIDICO PLURISOGGETTIVO: in generale, si ritiene che vi sia situazione sostanziale del terzo interveniente e la situazione sostanziale dedotta in giudizio dalle parti originarie. - INTERVENTI COATTI:  INTERVENTO COATTO SU ISTANZA DI PARTE art. 106 cpc: il terzo non viene chiamato nel processo, ma su istanza di parte se afferma che vi sia comunanza di causa o che debba essere garantito dal terzo, questa previsione è rappresentata dalla chiamata in garanzia, con la quale il convenuto esercita anticipatamente, nei confronti del terzo, l'azione di regresso (art. 32 cpc).  INTERVENTO COATTO IUSSU IUDICIS art. 107 cpc: il DESTINATARIO dell’ordine di intervenire del processo sono le PARTI ordinate dal giudice di citare un terzo nel processo; pertanto, sorge un onere alle parti che se non rispettato porta alla cancellazione del processo; i PRESUPPOSTI sono la comunanza di cause per cui il giudice vuole che siano le parti a chiamare il terzo interessato. Questo intervento deve essere distinto dall'ordine del giudice di integrare il contraddittorio (art.102co.2), che presuppone, invece, un litisconsorzio necessario e consiste in un atto dovuto del giudice, cioè provocare il coinvolgimento nel processo di una parte necessaria, il litisconsorte pretermesso. Riguardo agli interventi volontari, l’interventore principale e quello litisconsortile propongono una propria domanda che avrebbero potuto far valere in un giudizio distinto. Essi, intervenendo nel giudizio, diventano parti ad ogni effetto e, quindi, vanno loro riconosciute tutte le posizioni processuali assegnate di regola alla parte. Anzi, l’interventore principale ha ulteriori poteri: quello di intervenire per la prima volta in appello (art.344) e quello di proporre opposizione di terzo (art.404) attraverso la sentenza che fosse stata emanata in una causa svoltasi fra altri. Invece, l’interventore adesivo, poiché partecipa ad un processo che verte su diritti sostanziali altrui, ha un'azione a contenuto ridotto, non avendo i poteri che di solito si collegano alla titolarità del diritto (es.: confessare, fare giuramento, ammettere l'esistenza dei fatti allegati, ecc.). Negli interventi coatti, si produce una situazione simile: se, a seguito della chiamata in giudizio, vengono proposte domande e coinvolgono direttamente anche il rapporto del terzo (chiamata innovativa), al terzo interventore andranno riconosciuti tutti i poteri e facoltà, doveri e oneri, e conseguenti diritti, propri delle parti. Se, invece, l'oggetto del giudizio resta limitato alla sua situazione sostanziale originaria e la partecipazione del sesso avviene solo in via adesiva (chiamata non innovativa), il chiamato avrà poteri ridotti. SUCCESSIONI Durante il processo si possono riscontrare, a carico delle parti, una serie di mutamenti soggettivi. In questi casi, la pluralità di parti è solo cronologica: ad un soggetto subentra successivamente un altro soggetto. Riguardo a fenomeni del genere, sono importanti due istituti: la SUCCESSIONE NEL PROCESSO (art. 110) e la SUCCESSIONE NEL DIRITTO CONTROVERSO (art.111). In questi due casi si parla di successione processuale, che indica che tutte le modifiche in esame si svolgono soprattutto sul piano del processo. SUCCESSIONE NEL PROCESSO: Se la parte viene meno per morte o per altra causa, l’art.110, sotto la rubrica successione nel processo, stabilisce che "il processo è proseguito dal SUCCESSORE UNIVERSALE o in suo confronto. Prima di tutto, si suppone che la parte sia venuta meno nel corso del processo. Se il soggetto si fosse estinto prima, il processo sarebbe nullo, perché iniziato nei confronti di un soggetto non più esistente. Inoltre, si deve trattare di una SUCCESSIONE UNIVERSALE ossia di un trasferimento di tutte le posizioni soggettive trasmissibili, che facevano capo al soggetto che è venuto meno. Inoltre, il venir meno della parte può essere determinato dalla morte, se si tratta di persona fisica, o da altra causa, se si tratta di persone giuridiche, sia private che pubbliche. (ad es., le società sono soggetti che non possono considerarsi estinti fino a quando sono pendenti rapporti con i terzi. Quindi, la società non viene meno nel caso di liquidazione, di cancellazione dal registro delle imprese o di fallimento, che sono fasi diverse della vita della società stessa). Il successore universale potrebbe subentrare anche nel rapporto sostanziale che è oggetto del processo, ma ciò non avviene necessariamente. (es.: rapporto non trasmissibile). Nel caso in cui vi è una pluralità di successori a titolo universale, venuta meno la parte per morte, la causa viene proseguita da o nei confronti di tutti gli eredi. L'eventuale sentenza pronunciata in assenza di uno degli eredi è, quindi, affetta da nullità assoluta. La nuova riassunzione o la ripresa spontanea del processo deve avvenire entro tre mesi poiché se non avviene il processo si estingue e vi è la cancellazione della causa. SUCCESSIONE PROCESSUALE A TITOLO PARTICOLARE: L’art.111, sotto la denominazione di successione nel diritto controverso, disciplina i mutamenti che si verificano durante l’iter del processo in occasione di successioni a titolo particolare. Questi mutamenti possono, a loro volta, avvenire a causa di morte o per atto fra vivi. L'art. 111 si apre disponendo al primo comma che, se in pendenza di giudizio si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie. La dottrina prevalente che si è occupata dell'argomento identifica il concetto di successione con quello di acquisto a titolo derivativo, ove l'avente causa è titolare di una situazione sostanziale dipendente dalla situazione sostanziale dell'autore della successione. Il mutamento di titolarità deve avvenire nel corso del processo, ovvero dopo il compimento del primo atto costitutivo dello stesso; qualora, invece, l'alienazione avvenisse antecedentemente, l'alienante si troverebbe ad essere privo della legittimazione ad agire, e pertanto dovrebbe essere l'acquirente ad assumere la veste di parte nel processo. Il diritto in contestazione può essere trasferito da un soggetto ad un altro anche   MORTIS CAUSA. È questa l’ipotesi regolata dal co. 2 art.111 il quale prevede che il processo prosegua ad opera del successore universale od in suo confronto. Si tratta del caso in cui il diritto sia oggetto di un legato e si afferma che è necessario che il legato abbia per oggetto la proprietà di una cosa determinata od un altro diritto di cui il testatore ritiene di essere il titolare. Diverso, infatti, è il caso in cui il legato comporti soltanto un obbligo per l'erede di trasferire al legatario il bene litigioso; in questo caso, non realizzandosi un passaggio immediato del diritto, dal testatore al legatario, va esclusa l'applicabilità della disposizione in esame. In forza del principio secondo cui il processo prosegue per opera dell'alienante o del successore universale, ne consegue che tali soggetti possono compiere tutti gli atti necessari per l'emanazione della sentenza (quali, a titolo esemplificativo, la presentazione al giudice di istanze, memorie e comparse, la precisazione delle conclusioni, ecc.). Il terzo comma dell’art. 111 attribuisce al successore a titolo particolare la facoltà di intervenire o di essere chiamato nel processo e, previo consenso di tutte le parti, la possibilità di estromettere l'alienante e il successore universale. Da ciò se ne deve far conseguire che egli non è litisconsorte necessario, assumendo tale qualità solo eventualmente ed in un momento successivo, laddove intervenga o sia chiamato nel processo, o ancora nel caso in cui eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa. Circa la qualificazione giuridica dell'ingresso in causa del successore particolare, la dottrina tradizionale ritiene che esso debba inquadrarsi nella categoria dell’intervento adesivo dipendente, e ciò sulla base della considerazione secondo cui il successore particolare non propone una domanda nuova, bensì pone in essere un'attività preordinata a sostenere la medesima pretesa fatta valere dall'alienante o dal successore universale. Altra tesi, invece, riconduce tale fattispecie alla categoria dell'intervento litisconsortile (o adesivo autonomo), poiché in capo al successore che intende proporre intervento sussiste una legittimazione assimilabile a quella delle parti principali. Sempre il terzo comma ammette la possibilità che, ove il successore particolare sia intervenuto, il dante causa od il successore universale siano estromessi dal giudizio. Il quarto comma prevede che, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie e che, anche quando non vi sia estromissione del convenuto, la sentenza avrà comunque effetto contro il successore a titolo particolare. La ratio di tale disposizione deve ricercarsi nell'esigenza di tutelare il soggetto che, non essendo coinvolto dal fenomeno successorio, rischia di ottenere una pronuncia inutiliter data, non opponibile al vero titolare del diritto controverso. Il quarto comma, inoltre, fa salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione; proprio da tale parte della norma se ne fa derivare che esula dall'ambito applicativo dell'art. 111 la fattispecie di acquisto del diritto controverso a titolo originario. Viene anche stabilito che la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, può essere impugnata dal successore particolare. Si ritiene che il successore, affermando la sua legittimazione ad avvalersi dei mezzi d'impugnazione che gli sono propri, quali l'appello, il ricorso in cassazione, la revocazione ed il regolamento di competenza. ESTROMISSIONE: L’estromissione indica un fenomeno di segno opposto all'intervento della parte nel processo. Manca una disciplina generale e il codice si limita a dettare alcune disposizioni specifiche. L’art.108 prevede l’estromissione del garantito, nel caso in cui il garante, intervenuto in giudizio, accetti di assumere la causa al posto del garantito e le altre parti non si oppongano. L’art.109 dà al giudice il potere di estromettere l’obbligato nell'ipotesi in cui questi si dichiari disposto ad eseguire la prestazione a favore di chi ne abbia diritto e, quindi, depositi la cosa o la somma dovuta. L’art.111co.3 consente l’estromissione dell’alienante o del successore universale, e le altre parti vi acconsentono. Inoltre, casi di estromissioni si possono registrare tutte le volte in cui un giudizio con pluralità di parti venga definito nei confronti di una o alcune soltanto di esse. Così può essere disposta l'estromissione dell’interventore nel caso in cui l'intervento venga ritenuto inammissibile, oppure l'estromissione di una delle parti se, nel decidere la controversia, viene separata la causa relativa a quella parte. INTRODUZIONE DELLA CAUSA Per attuare le attività giurisdizionale cognitiva l'ordinamento predispone due tipi di processi, ORDINARIO e PROCESSI SPECIALI. Il PROCESSO ORDINARIO costituisce il modello base di ogni tipo di processo e si articola in tre fasi quali l'introduzione, la trattazione e la decisione. La FASE INTRODUTTIVA della causa comprende gli atti con i quali si stabilisce il contatto tra le parti e il giudice, si individua il diritto sostanziale da tutelare e il tipo di tutela chiesto al giudice. Il d.lgs. 28/2010 ha reso obbligatorio in settori del contenzioso civile la mediazione, istituendo una forma di giurisdizione condizionata: la mediazione può essere concordata tra le parti, o può essere delegata dal giudice all’art. 185bis, cui può formulare una proposta conciliativa dalle parti. Nel caso in cui sia stato espletato senza successo il tentativo di mediazione, la fase introduttiva prende le mosse da un atto di parte; chi agisce viene denominato ATTORE ed è il titolare della posizione giuridica da tutelare (tranne nei casi in cui si agisce in rappresentanza del titolare o in sostituzione del titolare). L’ATTO di parte che instaura il processo nel rito ordinario è la CITAZIONE con cui l'attore propone la domanda giudiziale e chiede la tutela giurisdizionale; la citazione ha due destinatari che sono il CONVENUTO nei cui confronti viene chiesta la tutela, e il GIUDICE cui si richiede il provvedimento che realizzi la tutela. Il CONTENUTO della citazione deve possedere i requisiti presenti dall'art. 163, che oltre alla generalità, residenza e il codice fiscale delle parti e del difensore, deve contenere l’EDITIO ACTIONIS e la VOCATIO IN IUS: - EDITIO ACTIONIS: è una fase in cui viene circoscritto l'ambito del contendere, fissando gli elementi oggettivi della domanda proposta dall'attore nei confronti del convenuto. L’art. 163 co.3 stabilisce che la citazione deve contenere la determinazione della cosa oggetto della domanda, nonché l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della stessa domanda con le relative conclusioni. Si parla di PETITUM inteso come richiesta della parte e di CAUSA PETENDI ossia le ragioni giustificatrici della domanda; quanto al petitum si distingue quello immediato come il provvedimento chiesto al giudice, da quello mediato ossia il bene della vita; la causa petendi consiste nella ragione a fondamento del petitum. Ai fini dell'individuazione della domanda occorre distinguere tra DIRITTI AUTODETERMINATI o AUTOINDIVIDUATI per cui un soggetto ha un solo diritto in capo a sé, e non può averne diversi di uguale contenuto (es. diritti assoluti come la proprietà) e la causa petendi non concorre all'identificazione del diritto fatto valere rispetto agli altri diritti della stessa natura; e DIRITTI ETERODETERMINATI o ETEROINDIVIDUATI in cui più diritti sostanziali dello stesso tipo possono coesistere in capo allo stesso soggetto (es. le obbligazioni di genere, come  crediti pecuniari, il cui carattere distintivo consente di individuare il particolare diritto di cui si chiede la tutela). Nell’art. 163 co. 3 e 4, si chiede all’attore di mettere le carte in tavola, esponendo le ragioni poste a fondamento della domanda, affinché il convenuto sappia da cosa dovrà difendersi e possa prendere posizione dalla comparsa di risposta. Altri requisiti della citazione si limitano ad anticipare aspetti della vertenza per quali sono possibili ulteriori apporti, come i mezzi di prova (163 co. 3 n.5). - VOCATIO IN IUS: La convocazione in giudizio mira all’instaurazione del CONTRADDITTORIO tra le parti. Nella citazione è richiesta l'indicazione della data dell'udienza di comparizione davanti al giudice adito, nel rispetto dei termini volti a consentire la preparazione della difesa del convenuto (art. 163bis, non minori di 90g in Italia, non minori di 150g all'estero), nonché l'invito al convenuto di costituirsi, con l'avvertimento che in caso di mancata tempestiva costituzione, da svolgere nei termini stabiliti dall’art. 166 in 20g prima dell’udienza (o 10g in caso di abbreviazione), oltre i suddetti termini, vi saranno delle decadenze previste per l’art. 38 sull’eccezione di incompetenza, e all’art. 167 sulle difese alle argomentazioni dell’attore. Solo dopo la NOTIFICA DELLA CITAZIONE e la costituzione delle parti, la causa verrà iscritta nel ruolo del tribunale e si stabilirà il contatto tra le parti e il giudice. Nel RITO DEL LAVORO l'atto introduttivo è il RICORSO e si distingue dalla citazione perché quest'ultima comprende la vocatio in ius, mentre il ricorso è portato immediatamente a conoscenza del giudice adito col deposito, a seguito del quale l'ufficio fisserà all'udienza con provvedimento che integrerà il ricorso da notificare alla controparte. nell'introduzione della lite in forma di citazione il coinvolgimento del giudice è rimasta l'iniziativa dell'attore o del convenuto. L'art. 164 disciplina la NULLITÀ DELLA CITAZIONE a seconda che manchi o sia viziato l'uno o l’altro dei requisiti previsti agli artt. 163 e 163bis. L'atto di citazione va distinto dalla notifica dell'atto, e soprattutto non ogni irregolarità dà luogo a nullità e diversi tipi di sanatoria si ricollegano alle nullità inficianti. - VIZI DELL’EDITIO ACTIONIS: La nullità è ravvisabile nell'ipotesi di mancanza assoluta o incertezza del petitum o della causa petendi, requisiti previsti ai num. 3 e 4 dell'art. 163. Questa nullità si sana grazie alla rinnovazione della citazione emendata dai vizi, ordinata dal giudice d'ufficio quando il convenuto non si sia costituito, o grazie alla spontanea costituzione del convenuto a seguito dell'integrazione della domanda. La sanatoria non è retroattiva, per cui gli effetti processuali e sostanziali della citazione si producono dal momento della sanatoria e non dall'originaria notifica della citazione. In caso di omissione o intempestività della rinnovazione ordinata dal giudice si verificherà l'estinzione del processo. - VIZI DELLA VOCATIO IN IUS: La nullità consegue ad assoluta incertezza circa il giudice adito, l'individuazione delle parti, e la data della prima udienza con le collegate prescrizioni circa il rispetto del termine a comparire e l'avvertimento delle decadenze conseguenti la mancata citazione. Questa nullità si sana grazie alla costituzione del convenuto o a seguito di rinnovazione della citazione. La sanatoria è retroattiva, nel senso che la causa si intende iniziata dal giorno della prima notifica, e il convenuto può ottenere dal giudice la fissazione di una nuova udienza per non essere menomato nei suoi diritti di difesa. Qualora il convenuto intenda replicare alla citazione dell'attore, il suo atto prendere forma della COMPARSA DI RISPOSTA, da depositare 20g prima dell'udienza di comparizione. Il CONTENUTO della comparsa di risposta, anche se simile alla citazione, se ne distingue per la mancanza della vocatio in ius che si è già realizzata, depositandola presso il giudice adito. Il contenuto si basa su quello che formerà oggetto della trattazione della causa: nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue DIFESE prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, deve indicare le proprie generalità e  codice fiscale, e i mezzi di cui intende valersi, con i documenti  e le conclusioni; a pena di decadenza deve proporre le eventuali DOMANDE RICONVENZIONALI e le ECCEZIONI PROCESSUALI o di MERITO che non siano rilevabili d’ufficio che aumentano la materia del contendere, o chiamare in causa un terzo, provvedendo a farne dichiarazione nella comparsa di risposta e chiedendo al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini previsti dall'art. 163bis. La DIFESA DEL CONVENUTO può articolarsi diversamente: può svolgersi in rito rilevando vizi del processo nei termini prospettati dall'attore, e può svolgersi in merito nel senso di contestare puramente e semplicemente i fatti costitutivi della domanda proposta dall'attore o di allegare fatti impeditivi, modificativi o estintivi o nel senso di pretendere una rivalsa a carico dei terzi chiamati in causa. Il convenuto potrebbe non limitarsi alla mera difesa e potrebbe estendere la materia del contendere e l'oggetto della sentenza, proponendo la DOMANDA RICONVENZIONALE all’attore durante il processo, secondo l’art. 36 cpc che richiede espressamente che essa dipenda dallo stesso titolo dedotto in giudizio dall'attore, oppure dal titolo che il convenuto ha dedotto in giudizio, quale fondamento dell'eccezione (167 co.2); o in confronto di terzi, chiamandoli in causa con un intervento su istanza di parte, ex art. 106 cpc. (167 co. 3). Inoltre, ciascuna parte può chiedere che il giudice decida su una QUESTIONE PREGIUDIZIALE all’art. 34 con efficacia di giudicato. Nella comparsa di risposta, da depositare 20g prima dell'udienza, il convenuto, a pena di decadenza , deve proporre le eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni processuali o di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Le ECCEZIONI PROCESSUALI di rito sono quelle con le quali si deduce il difetto di un presupposto del provvedimento di rito o di merito, e sono eccezioni di merito quelle che consistono nella allegazione di un fatto impeditivo, estintivo o modificativo. Ai sensi dell'art. 167 co. 2 le eccezioni in senso stretto, che si riferiscono a tutti i casi in cui la deduzione del fatto è riservata alla parte, devono essere fatte valere a pena di decadenza nella comparsa di risposta, mentre le eccezioni in senso lato, che possono essere rilevate anche d'ufficio dal giudice, possono essere fatte valere dalla parte anche in sede d'Appello. Se è superato il termine per il deposito della comparsa, il convenuto non potrà più proporre la domanda riconvenzionale, le eccezioni o la chiamata in causa di un terzo. La COSTITUZIONE IN GIUDIZIO nella causa iniziata con l’atto di citazione, completa l’instaurazione del processo. Secondo l'art. 165 l'ATTORE deve costituirsi entro 10g dalla notificazione della citazione al convenuto (o entro 5g nel caso di abbreviazione dei termini) a mezzo del procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando in cancelleria la nota dell'iscrizione, il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, e documenti offerti. Il CONVENUTO deve costituirsi a mezzo del procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge, secondo quanto previsto dall'art. 166, almeno 20g prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione (o 10g prima nel caso di abbreviazione dei termini). Le parti e gli interventori sono tenuti al rispetto delle formalità predeterminate negli artt. 163, 167 e 267. TIPOLOGIA DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE A parte alcuni decreti, i provvedimenti emanati nel processo di cognizione assumono la forma dell'ordinanza o della sentenza. I provvedimenti del G.I. hanno la forma dell'ORDINANZA che possono essere anche emanate dal collegio dal giudice unico. Le ordinanze del giudice istruttore si distinguono in provvedimenti meramente ordinatori e istruttori o in provvedimenti anticipatori: i primi non possono mai pregiudicare la decisione della causa e possono essere sempre modificati o revocate dallo stesso giudice istruttore, salvo le eccezioni presenti all'art. 177 co. 3 (non sono modificabili/revocabili le ordinanze pronunciate sull'accordo delle parti nelle materie in cui possono disporre, le ordinanze espressamente non impugnabili dalla legge, e le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale e mezzo di reclamo, come reg. di competenza); quanto ai PROVVEDIMENTI ANTICIPATORI , le novelle hanno introdotto gli art. 186bis, 186ter e 186quater, con i quali è stato attribuito al giudice istruttore il potere di emanare provvedimenti che anticipano, in tutto o in parte, il contenuto della pronuncia definitiva. Si tratta in particolare dei seguenti provvedimenti: - ORDINANZA PER IL PAGAMENTO DI SOMME NON CONTESTATE che, modellata sull'istituto previsto nell'ambito del processo del lavoro, e su istanza di parte, il giudice istruttore può disporre, fino alla precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite in giudizio, e se l'istanza è proposta fuori udienza, il giudice istruttore dispone la comparizione delle parti. I PRESUPPOSTI di tale provvedimento sono costituiti da un lato, dall’istanza del creditore e dall'altro, dalla contestazione del debitore delle somme dovute, cioè del diritto di credito pecuniario vantato dalla controparte. L'ordinanza dell'art. 186bis pronunciate in contraddittorio, ha carattere provvisorio ed è soggetta a revoca/modifica per tutto il corso del giudizio oltre che con la sentenza finale. L'ordinanza costituisce TITOLO ESECUTIVO , anche se non consente l'iscrizione di ipoteca giudiziale. In caso di estinzione del processo tale ordinanza conserva la sua efficacia acquistando una stabilità non parificabile agli effetti del giudicato. - ORDINANZA DI INGIUNZIONE, costruita sulla falsariga del procedimento per decreto ingiuntivo previsto dall'art. 663 e consente al creditore di ottenere un provvedimento immediato di condanna che anticipi gli effetti della sentenza, e può essere emessa anche nonostante la contumacia della parte intimata. Il PRESUPPOSTO di tale ordinanza è l'istanza di parte del creditore di una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o da parte dell'avente diritto alla consegna di una cosa determinata; ulteriore presupposto è rappresentato dalla prova scritta del diritto fatto valere, che può trasformarsi anche nel corso del giudizio. Rispetto al decreto ingiuntivo, questa ordinanza ha un ambito di applicazione più limitato poiché non è applicabile per crediti onorari e né per rimborsi dei professionisti. L'ordinanza in esame può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva solo ove ricorrano particolari circostanze: se il diritto fatto valere sia fondato su cambiale o altri titoli di credito, se vi sia grave pregiudizio nel ritardo, se la resistenza di controparte non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione. Se il processo si estingue, l'ordinanza in esame acquista efficacia esecutiva e diviene definitiva ed immutabile. - ORDINANZA SUCCESSIVA ALLA CHIUSURA DELL’ISTRUZIONE PROBATORIA, disciplinata dall'art. 186quater attribuisce alle parti un'alternativa: seguire il lungo regime ordinario, o optare per un provvedimento anticipatorio del G.I fondato su una cognizione piena. PRESUPPOSTI dell'ordinanza, sono l'istanza della parte che abbia chiesto la condanna al pagamento di somme, la consegna o rilascio dei beni e, in secondo luogo, l'esaurimento dell'istruttoria che sia stata espletata (anche nel caso in cui tale attività non sia stata richiesta o il giudice non l'abbia ammessa). L'ordinanza pronunciata in contraddittorio ha per oggetto la condanna al pagamento di somme di denaro o alla consegna di beni immobili, o rilascio di beni immobili nei limiti in cui il giudice istruttore ritenga raggiunta la prova. L'ordinanza è TITOLO ESECUTIVO, e può essere revocata soltanto con la sentenza che definisce il giudizio. Emanata l'ordinanza, si possono ipotizzare due sviluppi: il processo giunge alla decisione finale di merito e pertanto la sentenza sostituisce il provvedimento in esame; l'ordinanza anticipatoria si converte in sentenza qualora l’intimato non notifichi il ricorso entro 30g, ed essendo l'unico mezzo di cui dispone per evitare l'esecuzione forzata, potrà richiedere di ottenere l'inibitoria nell’appello, paralizzando così l'esecutività dell'ordinanza anticipatoria. Infine, le ordinanze anticipatorie non costituiscono titolo esecutivo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. VICENDE ANOMALE NEL PROCESSO CONTUMACIA: parte del processo è l'attore, il convenuto è il chiamato in causa. Affinché la parte sia abilitata a compiere atti nel processo, è necessario che si costituisca, manifestando così li intendo di attivarsi nella difesa o nella proposizione di domande nel proprio interesse. Si dice contumace la parte che non è costituita, mentre è assente la parte che si è costituita e che ometta di presentarsi all'udienza. Il processo può svolgersi anche in contumacia, ma non in assenza di tutte le parti. Se dopo la notifica della citazione né l'attore né il convenuto si costituiscono, non si ha dichiarazione di contumacia e il processo resta quiescente, con la facoltà di ciascuna parte di riassumerò entro tre mesi. In difetto di riassunzione il processo si estingue. Se manca la Costituzione dell'attore, il convenuto costituito può optare per la prosecuzione del giudizio o l'estinzione; una volta costituitosi l'attore, può mancare la costituzione del convenuto o del chiamato in causa, e non può mancare la costituzione del interventore volontario in quanto con lo stesso atto di intervento, si realizza la costituzione in giudizio. Prima di procedere in contumacia di parte diversa dall'attore, il giudice istruttore dovrà accertare che la notifica dell'atto introduttivo non sa nulla, altrimenti ne dispone il rinnovo che impedisce ogni decadenza. Verificata la sussistenza dei presupposti, il giudice istruttore dichiara la contumacia. La mancata costituzione è considerata come un comportamento neutro, frutto della libera determinazione di non dimenticarsi nel processo e pertanto si ritiene che la contumacia del convenuto possa essere intesa come non contestazione, ma lascia inalterata all'esigenza dell'attore di offrire prova delle circostanze poste a fondamento della propria domanda. Se quest'ultimo non assolve all'onere della prova che su di lui grava, la sua domanda verrà rigettata nonostante la contumacia del convenuto; ne consegue che non viene pronunciata sentenza contumaciale e il processo in contumacia segue la disciplina ordinaria con alcune particolarità. La SANATORIA della contumacia può avvenire con la costituzione tardiva fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, ma non può compiere atti che nel momento in cui entra nel processo sarebbero preclusi. Tuttavia, egli può sempre disconoscere le scritture private prodotte contro di lui, e il giudice con ordinanza può rimetterlo in termini, consentendogli di compiere attività che ormai sarebbero precluse qualora dimostri di non aver potuto costituirsi tempestivamente per nullità della citazione o della sua notificazione, o per altra causa a lui non imputabile. ISTRUZIONE PROBATORIA IN GENERALE AMMISSIONE DELLE PROVE: Si pone un limite alle istanze istruttorie delle parti riguardo a prove e controprove da loro richieste (art.183co.6), ma il thema probandum permette un'integrazione. Infatti, il G. ISTRUTTORE, esaminate le allegazioni dei fatti e le istanze istruttorie delle parti, deve indicare le prove che intende disporre d'ufficio. In questo caso, egli deve permettere alle parti stesse di integrare le loro precedenti istanze. A questo scopo, vanno concessi 2 termini successivi: il primo per la deduzione dei messi di prova resi necessari in relazione a quelli disposti d'ufficio, e poi un altro termine per la replica di ogni parte alle istanze dell'avversario (art.183co.8). Infine, il G.I. provvederà con ordinanza sulle prove ritenute necessarie per l'istruzione della causa. Ma potrebbe anche rimettere le parti al collegio (art.187), quando ravvisa che la causa non richiede l'istruzione probatoria. Lo stesso potrebbe fare quando scorge una situazione pregiudiziale o preliminare che ne consiglia la soluzione immediata. Il thema probandum ammette integrazioni successive ai tempi stabiliti nell’art.183. Infatti, il g.i. può disporre la disposizione del c.d. teste da teste (art.257) e la parte può deferire il giuramento decisorio in sede d'appello o di giudizio di rinvio (art.345co.3 e art.394co.3). Quindi, l'istruzione probatoria può anche risolversi solo in produzioni documentali, anziché comprendere prove costituende in giudizio, o può addirittura essere omessa, con immediato passaggio alla fase decisoria. La prova è il cuore del processo con cui viene verificata l'attendibilità o meno di ipotesi formulate di fatto nel processo, per permettere al giudice di attingere la verità probabile (unica verità conseguibile, a causa dei limiti della conoscenza umana) e arrivare così ad un'applicazione giusta delle norme giuridiche alla fattispecie. Il termine PROVA è polivalente: si può distinguere fra mezzo o fonte di prova, con cui si indica il fatto rappresentativo (es. testimonianza) a cui il codice dà importanza, e procedimento di acquisizione probatoria, inteso come strumento attraverso il quale la prova viene acquisita al processo, che può essere chiamato istruzione probatoria. Però, l’istruzione probatoria è una fase processuale che può essere omessa: in particolare, quando l'attore richiama determinati fatti che assume come storicamente accaduti e il convenuto ammette la loro esistenza (c.d. fatti pacifici), oppure non li contesta (c.d. fatti non contestati), oppure ancora quando si tratta di fatti che sono provati per mezzo di documenti “prodotti” in giudizio (cioè depositati e inseriti nel proprio fascicolo). In questi casi, non si procede all'istruzione probatoria, la causa viene detta documentale e il giudice si limita ad applicare il diritto al fatto pacifico o non contestato o documentato. Non vanno nemmeno provati i c.d. fatti notori, cioè i fatti che rientrano nella "comune esperienza" (art.115co.2). ONERE DELLA PROVA: Una volta stabilito che spetta alle parti (e al P.M.), non solo l'allegazione dei fatti importanti a sostegno delle proprie pretese, ma anche la dimostrazione del loro fondamento, c’è il problema di ripartire tra le diverse parti in causa l'onere di provare i fatti allegati. A questo scopo vanno individuati prima di tutto i fatti principali, cioè i fatti propri della fattispecie normativa astratta, che sono capaci di produrre effetti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi. Poi, va dato all'attore l'onere di provare i fatti costitutivi e al convenuto i fatti impeditivi, modificativi o estintivi. A volte, vi sono eccezioni alle regole sull'onere della prova, in particolare quando si allegano dei fatti negativi. Quando si allega un fatto negativo indefinito, la prova è impossibile. Se, invece, si tratta di un fatto negativo definito, la prova di questa circostanza si converte nella prova di fatti positivi e, quindi, deve essere provata da colui che la allega. Lo stesso vale per la c.d. negativa di qualità. L’art.2698c.c. dà alle parti la possibilità di stipulare accordi per modificare, o addirittura per invertire, le regole di ripartizione dell'onere della prova, purché si tratti diritti del terzo (artt.210:211). Secondo il principio dell'acquisizione, una volta prodotto spontaneamente o esibito in esecuzione dell'ordine del G.I., il documento, come qualsiasi altra prova, può diventare elemento di convincimento a favore o in danno di ognuna delle parti. QUERELA DI FALSO: La querela di falso è l’unico mezzo di prova per contestare la piena prova dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, riconosciuta o verificata, nei limiti in cui l'ordinamento ricollega loro la pubblica fede. Comunque, si tratta di contestazione della falsità materiale o della falsità ideologica. Il giudizio riguardo la querela di falso presenta alcune caratteristiche. L'istanza, in via principale o incidentale, deve provenire personalmente dalla parte o da un suo procuratore speciale e deve contenere, a pena di nullità, gli elementi e le prove della falsità (art.221co.2). Se proposta in via incidentale, bisogna procedere all'interpello della controparte, cioè di chi ha prodotto il documento contestato: il giudice gli chiede se vuole avvalersene. Se la risposta è negativa, non si può utilizzare il documento nel processo; se la risposta è positiva, il giudice, che ritiene il documento importante, autorizza la presentazione della querela (art.222). La sentenza che accerta la falsità del documento può essere eseguita solo dopo il passaggio in giudicato (art.227) e deve contenere la dichiarazione della falsità del dispositivo, con conseguente ordine di cancellazione o ripristino o modifica dell'atto, nei limiti permessi dall'esigenza di tutela dei terzi rimasti estranei alla vertenza (art.537c.p.p.). Per quanto riguarda la querela di falso incidentale, il giudizio relativo comporta la sospensione impropria della causa principale. L'incidente si può avere in ogni stato e grado del processo. Invece, la denuncia di falsità materiale o ideologica dei verbali d'udienza nel processo non può dar luogo a querela di falso, perché questi documenti non sono nella disponibilità delle parti. PROVA TESTIMONIALE: La prova testimoniale consiste nella dichiarazione di conoscenza, riguardo a fatti relativi alla causa, presa da un soggetto che non è parte della causa stessa. È una prova rimessa al prudente apprezzamento del giudice (art.116) e, quindi, non è né una prova legale, che vincoli il giudice, né un semplice argomento di prova, da solo insufficiente a basare la decisione sul fatto. Nell'attuale fase storica, questa prova è circondata da sfiducia: il legislatore, da una parte, la limita successivamente stabilendo l'incapacità testimoniale della parte e di chi abbia un interesse che lo legittimerebbe a intervenire e che quindi ne minerebbe l'attendibilità; da un'altra parte, la limita oggettivamente, quando si tratta di provare contratti o pagamenti o remissioni di debiti. LIMITI SOGGETTIVI: I limiti soggettivi riguardano il fatto che il legislatore valuta l’inattendibilità della dichiarazione proveniente da chi, interessato come parte virtuale o potenziale, non abbia la qualità di terzo (art.246). Però, nel rito del lavoro il giudice può sentire anche chi si trova in questa condizione, ricavandone argomenti di prova, che soli non sono sufficienti a fondare la decisione. LIMITI OGGETTIVI: I limiti oggettivi riguardano la testimonianza con cui si pretende di provare contratti o pagamenti o remissione di debiti (artt.2721ss. c.c.): questi limiti sono ispirati dalla constatazione, di comune esperienza, che per questi atti gli interessati, di solito, ricorrono alla scrittura. Vige un particolare regime per i patti aggiunti o contrari al documento, quando si vuole provare con testimoni che si è concordato qualcosa di diverso da ciò che si è scritto. Se il patto è anteriore o contemporaneo alla firma dello scritto, la prova testimoniale è vietata (art.2722), perché sembra assurdo che si sia scritta cosa diversa da quella su cui si era d'accordo. Se il patto è successivo, questa prova può essere consentita dal giudice se ritiene verosimile che le parti, dopo aver scritto una cosa, si siano accordate per un'altra (art.2723). Però, riguardo a questi limiti oggettivi vi sono dei correttivi: infatti, una prova testimoniale può sempre essere ammessa in presenza di un principio di prova scritta (cioè qualsiasi altro scritto proveniente dalla controparte, o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto); o di impossibilità materiale o morale, per il contraente, di procurarsi la prova scritta; o di perdita incolpevole del documento (art.2724). DISCIPLINA PROCEDIMENTALE: L’acquisizione della prova testimoniale avviene in 3 momenti: 1) la deduzione, in articoli separati e specifici, con indicazione di testimoni chiamati a rispondere su ogni articolo, di solito ad opera della parte; 2) l'ammissione, con ordinanza del G.I.; 3) l'assunzione ad opera del giudice. Rendere testimonianza è un obbligo a cui il testimone non si può sottrarre, salvo che esista la facoltà di astenersi per segreto d'ufficio o professionale (art.249). La reticenza o la falsità della testimonianza comporta sanzioni penali (art.256c.p.c. e art.372c.p.). La scoperta della falsità di una prova testimoniale, risultata decisiva, può legittimare all'impugnazione della sentenza. Nel rito ordinario, il g.i. può disporre che siano sentiti come testimoni persone indicate dalla parte, anche se in seguito la parte stessa vi abbia rinunciato (art.245co.2). Una volta ammessa la testimonianza, il giudice può disporre d'ufficio il confronto dei testimoni che hanno reso deposizioni in contrasto tra loro (art.254). CONFESSIONE: La confessione consiste nella dichiarazione resa dalla parte sulla verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte (art.2730c.c.). Essa è un atto giuridico in senso stretto, in cui rileva solo la volontarietà del comportamento, mentre gli effetti sono predeterminati dalla legge. La confessione ha per oggetto fatti, non diritti che derivano da questi fatti. Quindi, la confessione si distingue dalla ricognizione del debito o dalla promessa di pagamento, che si riferiscono a posizioni giuridiche, cioè consistono nell’ammissione di essere debitori o di dovere un pagamento. I fatti confessati devono essere sfavorevoli al confitente, cioè capaci di produrre conseguenze giuridiche per lui svantaggiose. Però, a volte, la dichiarazione resa dal confitente contiene fatti sfavorevoli insieme a fatti favorevoli: in questi casi, si ha una dichiarazione complessa. La confessione deve riguardare fatti relativi a diritti disponibili, cioè la confessione deve provenire solo dalla parte capace di disporre di indirizzo o dal suo rappresentante, ma sono i limiti in cui questi vincoli rappresentato. Quindi, le dichiarazioni confessorie rese dal difensore in giudizio non hanno valore di confessione, perché il difensore non ha la capacità di disporre del diritto. Però, si tende a riconoscere natura confessoria alle dichiarazioni contenute nell’atto di citazione o nella comparsa di risposta, perché riferibili direttamente alle rispettive parti tramite la procura. CONFESSIONE GIUDIZIALE E STRAGIUDIZIALE: Si distingue la confessione giudiziale, resa avanti al giudice durante il processo, dalla confessione stragiudiziale, resa al di fuori del processo. La confessione giudiziale può essere spontanea, contenuta in qualsiasi atto sottoscritto dalla parte, o provocata, con interrogatorio formale su istanza della controparte. L'interrogatorio formale va disposto con ordinanza del G.I., come ogni altra prova costituenda in giudizio. Se la parte a cui è rivolto l'interrogatorio formale non lo rende, perché senza giustificato motivo non si presenta all'udienza o rifiuta di rispondere, si possono considerare ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio. In questo caso, si ha un'ipotesi di c.d. ficta confessio, e la valutazione del comportamento della parte che non ha reso l'interrogatorio è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (art.232). La confessione stragiudiziale va acquisita al processo e deve essere provata o con documenti o con altri mezzi e con testimoni. Però, non è ammessa testimonianza riguardo la confessione di fatti per i quali non è permessa la prova testimoniale (art.2735co.2c.c.). EFFICACIA DELLA CONFESSIONE: La confessione giudiziale ha il valore di prova legale; però, nel caso di confessione resa solo da alcuni dei litisconsorzi necessari, la sua efficacia viene degradata, perché il valore della prova è rimesso al prudente apprezzamento del giudice (art.2733c.c.). Anche la confessione stragiudiziale fa piena prova se resa alla parte o al suo rappresentante. Se, invece, è resa ad un terzo, contenuta in un testamento oppure resa solo da alcuni dei litisconsorti, sarà soggetta al prudente apprezzamento del giudice (art.2735c.c.). Nel caso di dichiarazione complessa, bisogna distinguere: se l'altra parte non contesta la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte, la dichiarazione confessoria complessa fa piena prova nella sua integrità; altrimenti, la dichiarazione confessoria è liberamente apprezzata dal giudice (art.2734c.c.). REVOCABILITÀ DELLA CONFESSIONE: L’art.2732c.c. concede al confitente la possibilità di ritrattare la propria dichiarazione, la c.d. revoca della confessione, dimostrando che il fatto confessato non è vero e la confessione è stata determinata da violenza o errore di fatto. Riguardo alla violenza, ci si riferisce alla violenza morale, ma è anche possibile una confessione stragiudiziale estorta con violenza fisica. Riguardo all'errore, si deve trattare di errore di fatto e non errore di diritto. funzione parallela a quella del difensore, possono partecipare alle operazioni peritali, fare osservazioni nell'interesse della parte e presentare anche deduzioni scritte riguardo alla relazione del consulente d'ufficio. Per permettere la piena attuazione del contraddittorio, il consulente d'ufficio, se fa indagini senza la presenza del giudice, deve dare comunicazione alle parti dell'inizio delle operazioni (art.90 d.a.); durante lo svolgimento delle operazioni le parti dovranno seguire i lavori, seguendo le indicazioni che lo stesso consulente d'ufficio dovrà dare di volta in volta. Un incarico particolare che può essere affidato all'esperto è quello di assistere il giudice nell'ispezione o procedere da solo a questa incombenza. Il giudice non è vincolato al parere dato dal consulente (il giudice è peritus peritorum), ma deve motivare le ragioni del suo dissenso dalle conclusioni del tecnico. IMPUGNAZIONI IN GENERALE Il processo si conclude con un provvedimento finale del giudice, il cui scopo è giungere alla certezza dei rapporti giuridici e per dare definitività al provvedimento. Il sistema delle impugnazioni nasce per il bisogno delle parti di RINNOVARE IL GIUDIZIO se il primo non si è concluso a loro favore, e per TROVARE DEI LIMITI al processo di natura soggettiva, oggettiva e temporale. Il codice articola il giudizio di impugnazioni da un primo grado, secondo, e di terzo grado o di legalità. L’impugnazione è il potere di iniziativa riconosciuto alle parti per contestare in tutto o in parte un provvedimento emesso alla fine del precedente processo. Tramite l’impugnazione si ha un momento processuale nuovo volto a rinnovare il giudizio, utile a confermare, modificare o rimuovere il procedimento finale del grado precedente. Il sistema delle impugnazioni è disciplinato dagli articoli 323 ss. cpc. che si riferiscono ai rimedi volti a contestare le SENTENZE. L’art. 111 co. 7 cost. prevede il ricorso per Cassazione per qualsiasi provvedimento, ma vige il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (guardando alla sua natura decisoria). Carattere della DEFINITIVITÀ del provvedimento. EFFETTI NEL CASO IN CUI NON VIENE PROPOSTA IMPUGNAZIONE: effetto della COSA GIUDICATA; Le impugnazioni sono soggette ad un limite TEMPORALE, per cui se la parte non decide di impugnare, implicitamente rinuncia accettando tacitamente il provvedimento; si parla di necessità dell’impugnazione per contestare una sentenza, per cui se sono esperiti i termini per impugnare o sono esauriti i mezzi d’impugnazione, si ha l’incontrovertibilità del provvedimento art. 324 COSA GIUDICATA FORMALE nell’esaurire il potere d’impugnazione contro un determinato provvedimento (sentenza), impendendo alle parti di promuovere un nuovo giudizio sul giudicato formato. Conseguenza del giudicato formale è la COSA GIUDICATA SOSTANZIALE 2909 cc. che stabilisce che l’accertamento di una sentenza giudicata fa STATO AD OGNI EFFETTO TRA LE PARTI ossia impone di considerare l’accertamento del diritto nella sentenza INCONTROVERTIBILE, come se fosse una legge del caso concreto. Il giudicato può essere INTERNO se vi è passaggio in giudicato in un processo e che produce i suoi effetti solo all’interno di quel medesimo processo (es. giudicato su questione di rito, come giurisdizione), o può essere ESTERNO se produce gli effetti all’interno anche di altri processi (es. pregiudizialità-dipendenza). Le parti propongono un’azione giudiziale, e affinché sia proposta vi sono delle CONDIZIONI, la cui mancanza di questi tre requisiti porta all’INAMMISSIBILITÀ DELL’IMPUGNAZIONE: - INTERESSE A IMPUGNARE, simile all’interesse ad agire in giudizio in primo grado, ma nel caso dell’impugnazione si presume che vi sia stato un procedimento che si sia concluso comportando un’insoddisfazione nella parte che vuole proporre impugnazione, chiamatasi SOCCOMBENZA totale o parziale; - LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE da parte delle sole parti presenti nel processo precedente della sentenza che si vuole impugnare, e non solo le parti originarie, ma anche quelle che si sono aggiunte e anche legittimato attivo e passivo anche la parte contumace nel processo precedente. - IMPUGNABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO occorre che vi sia la possibilità giuridica di impugnare quel provvedimento e che ha carattere dell’impugnabilità, indicando anche il mezzo. Il 323 cpc. ci dice quali sono tassativamente i mezzi d’impugnazione: REGOLAMENTO DI COMPETENZA, APPELLO, RICORSO PER CASSAZIONE, REVOCAZIONE e OPPOSIZIONE DI TERZO. I vari mezzi possono essere classificati a seconda di diversi criteri: in base ai MOTIVI dell’impugnazione si distingue in MEZZI D’IMPUGNAZIONE A CRITICA VINCOLATA che sono quelli con i quali si fanno valere solo specifici vizi del provvedimento impugnato e sono tassativamente indicati dalla legge (es. ricorso per Cassazione) e MEZZI D’IMPUGNAZIONE A CRITICA LIBERA sono quei mezzi con cui si può far valere qualsiasi tipo di vizio (es. Appello); sulla base dei RAPPORTI CON LA COSA GIUDICATA distinguendo MEZZI DI IMPUGNAZIONE ORDINARI che sono quelli che fin tanto sono proponibili la sentenza non passa in giudicato (es. Appello, Cassazione, Revocazione ordinaria 324 cpc.) e MEZZI DI IMPUGNAZIONE STRAORDINARI proponibili a prescindere che la sentenza sia passata in giudicato (Revocazione straordinaria e Opposizione di terzo); distinzione sulla STRUTTURA DEL GIUDIZIO con MEZZI D’IMPUGNAZIONE RESCINDENTI il cui giudizio d’impugnazione è divisa in fase rescindente conclusa con l’eventuale annullamento del provvedimento impugnato a cui segue la fase rescissoria che sostituisce il provvedimento annullato con nuova sentenza (es. Cassazione con rinvio) e MEZZI D’IMPUGNAZIONE SOSTITUTIVI/DEVOLUTIVI si ha un riesame della controversia concludendosi con nuova sentenza che si sostituirà a quella impugnata, celebrandosi in un unico giudizio. TERMINI PER PROPORRE IMPUGNAZIONE: il termine per proporre impugnazione ha carattere perentorio e questi termini decorrono, per le impugnazioni ordinarie, da eventi collegati alla pronuncia della sentenza, mentre per quelle straordinarie dall'evento che le rende ammissibili. Ai sensi dell’art. 325 Appello, Revocazione e Opposizione di terzo è di 30g (termine breve), mentre per proporre ricorso in Cassazione e Revocazione contro sentenze della Cassazione è di 60g. Questi termini decorrono a seconda che vi sia IMPUGNAZIONE ORDINARIA, per cui si ha decorrenza dalla NOTIFICAZIONE DELLA SENTENZA (se non avviene la notificazione, quale onere della parte che ha vinto, si ha un termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza depositata in cancelleria); impugnazione straordinaria dal momento in cui si verifica il presupposto previsto per quell’impugnazione straordinaria. LA PARTE DECADE DALLA POSSIBILITÀ DI PROPORRE IMPUGNAZIONE SE VI È ACQUIESCIENZA ossia l’accettazione espressa della sentenza o tacita (realizzando atti incompatibili con l’impugnazione es. pagando un debito). Il codice prevede il LITISCONSORZIO, per evitare che vengano proposte più impugnazioni si applica il principio dell’UNITARIETÀ DEL PROCESSO e di regola al giudizio di impugnazione devono partecipare tutte le parti; il codice disciplina due situazioni diverse: - art. 331 cpc: applicata alle CAUSE INSCINDIBILI e tra loro DIPENDENTI, ossia, inscindibili in quei casi dove la trattazione della causa in presenza di più parti è data da una ragione di NECESSITÀ, verificabile anche durante il processo (rappresentate dal LITISCONSORZIO NECESSARIO, INTERVENTO VOLONTARIO, su ISTANZA DI PARTE, giudice) le cause di dipendenti sono legate da nesso di pregiudizialità o di garanzia (art. 34 e 32 cpc). Nel caso in cui all’impugnazione non siano presenti tutte le parti il giudice ordina l’INTEGRAZIONE DEL CONTRADDITTORIO alle parti in un termine perentorio, la cui mancanza rende l’impugnazione INAMMISSIBILE. - art. 332 cpc: applicata alle CAUSE SCINDIBILI, ossia cause trattate insieme in primo grado per ragioni di opportunità dando vita ad un litisconsorzio facoltativo; per cui il giudice ordina di notificare alle parti che hanno partecipato l’integrazione del contraddittorio, la cui non ottemperanza SOSPENDE IL GIUDIZIO D’IMPUGNAZIONE in attesa che scadano i termini d’impugnazione delle parti non ammesse e il processo continuerà con le parti presenti (che nel caso si presentino il processo confluirà), non essendo necessario che le parti precedenti partecipino e la sentenza per loro passerà in giudicato. SE VI È PLURALITÀ DI IMPUGNAZIONI AVVERSO LA MEDESIMA SENTENZA VIGE IL PRINCIPIO DI UNITARIETÀ DELL’IMPUGNAZIONE art. 335 cpc, riunibili anche d’ufficio. L’IMPUGNAZIONE INCIDENTALE è l’impugnazione che si propone per ragioni diverse (art. 163-164) sono considerate applicabili pure nel giudizio di secondo grado; - L'IMPROCEDIBILITÀ dell'appello: le improcedibilità sono sanzioni previste in caso di difetto di attività delle parti che sono richieste affinché la appello abbia il suo corso e sono disciplinate dall'art, 348 nei casi in cui l'appellante non si costituisce in termini, e nel caso in cui l'appellante non dovesse comparire nell’ulteriore udienza rinviata, l'appello sarà dichiarato improcedibile d'ufficio. - L'INAMMISSIBILITÀ dell'appello: sono conseguenze della mancanza dei presupposti all'atto di appello previsti dalla legge e sono disciplinati dall'art. 348bis quando l'impugnazione ha una ragionevole probabilità di non essere accolta, tranne nei casi in cui l'appello è proposto per una delle cause previste per l'intervento in causa del Pubblico Ministero, e nel caso in cui l'appello è proposto nel procedimento sommario di cognizione. Con la novella del 2012 il legislatore non ha ritenuto di abolire il doppio grado di giurisdizione, ma ha introdotto il FILTRO DI AMMISSIBILITÀ DEL GRAVAME, con l’obiettivo di ridurre i giudizi pendenti davanti le corti d’appello, mediante una selezione preliminare svolta dal giudice. Il giudice, infatti, non si limita a verificare la presenza dei presupposti formali che rendono l’appello ammissibile, ma fa un controllo ulteriore sulla fondatezza del giudizio, rigettando i giudizi che si presentino MANIFESTAMENTE INFONDATI. Ci si trova davanti ad un POTERE DISCREZIONALE DEL GIUDICE, LIMITATO e SINDACABILE: - LIMITATO perché il giudice nel dichiarare l’inammissibilità è condizionato da una serie di vincoli posti dalla legge, come nell’art. 348ter che lo obbliga a fare rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa, altri costituiti dal riferimento a precedenti conformi, altri costituiti dal rispetto del contraddittorio, altri rappresentati dal limite sostanziale della ragionevolezza. - SINDACABILE, poiché è previsto l'obbligo di MOTIVAZIONE della sentenza che dichiara inammissibile l'appello, secondo quanto previsto dal 348ter per l’ordinanza di inammissibilità succintamente motivata, e a norma dell’art. 342 dove si specifica che l’appello deve essere motivato, indicando il suo contenuto a pena di inammissibilità. La motivazione rappresenta il punto necessario per verificare la logicità esercitata nel potere discrezionale del giudice, potere che resta sempre controllabile in Cassazione poiché l'art. 348ter prevede che una volta dichiarata l'inammissibilità dell'appello, sia proponibile ricorso in Cassazione avverso il provvedimento di primo grado per tutti i motivi previsti dall'art. 360 che disciplina le sentenze impugnabili e motivi di ricorso in Cassazione. Vanno distinti i motivi di impugnazione già proposti che saranno coperti da giudicato interno, e i nuovi motivi che si potranno dedurre in cassazione. Inoltre, il VIZIO DI MOTIVAZIONE n.5 del 360 non può essere invocato nei casi di DOPPIA CONFORME nei gradi di merito, poiché l’art. 348 co. 4 e 5 preclude il ricorso in cassazione fondato sul vizio di motivazione avverso sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, e pertanto, nel caso di doppia motivazione non sarà più possibile proporre ricorso in cassazione, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione. Il giudizio d'Appello può riguardare cause INSCINDIBILI e cause SCINDIBILI secondo quanto previsto dagli art. 331 e 332. - L’art. 331 afferma che, se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibili o in cause tra loro dipendenti, non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio fissando il termine di notificazione e l'udienza di comparizione; l'impugnazione è dichiarata inammissibile se nessuna delle parti provvede all'integrazione nel termine fissato. - L’art. 332 riguarda l’impugnazione delle cause scindibili, e pertanto il giudice può ordinare la notificazione alle altre parti fissando il termine di notifica e l'eventuale udienza di comparizione, e se la notificazione non avviene il processo rimane sospeso fino a che non siano decorsi i termini previsti per l'impugnazione. Quindi, si può verificare sia il caso in cui, in appello, devono essere coinvolte tutte le parti tra cui si è svolto il giudizio di primo grado, sia il caso in cui l'appello riguardi solo alcune di queste parti. Poiché è previsto l'intervento di terzi (art.344), può partecipare al giudizio d'appello un numero maggiore di soggetti rispetto a quelli presenti in primo grado. In appello si può dare pluralità di impugnazioni contro la stessa sentenza, ma non è sempre necessaria l'esistenza di una pluralità di parti. Ogni parte è stabilita all'impugnazione incidentale, come risposta e contrattacco rispetto all'impugnazione principale. Nell'ipotesi di soccombenza parziale , ciascuna parte è abilitata all'impugnazione incidentale come risposta all'impugnazione principale: l'APPELLO INCIDENTALE si propone a pena di decadenza con la comparsa di risposta, all'atto della costituzione tempestiva in causa dell'appellato secondo l'art. 343; ove però l'interesse derivi dall'impugnazione proposta da parte diversa dell'autore dell'appello principale, l'appello incidentale va proposto nella prima udienza successiva. Quanto all'appello incidentale CONDIZIONATO, si ritiene che in presenza di domanda di eccezioni autonome sulle quali non vi è stata decisione, è sufficiente che l'appellato riproponga, in forza dell'art. 346 sulla decadenza delle domande e delle eccezioni non proposte, la domanda, l'eccezione o la questione assorbita, senza necessità di formulare un appello incidentale condizionato. Se invece si tratta di domande ed eccezioni autonome espressamente motivate e respinte dal primo giudice, l'appellato ha l'onere di presentare l'appello incidentale condizionato: ne consegue che la parte è tenuta a proporre appello incidentale condizionato, altrimenti si presume la sua acquiescenza sulla pregiudiziale. Si discute circa il momento finale per effettuare la riproposizione: la giurisprudenza afferma che la riproposizione debba essere effettuata con il primo atto difensivo e non oltre la prima udienza del giudizio d'Appello, mentre la dottrina è propensa nell'affermare che l'attività di riproposizione possa essere esercitata anche nel corso del giudizio di appello. In caso di appello incidentale, la parte ha l'onere di formulare motivi specifici di appello, di depositare copia della sentenza impugnata e di notificare la comparsa contenente l'appello incidentale. Al solo appellante si applica l'art. 348 co. 2 secondo cui se è io non compare alla prima udienza vi è rinvio d'ufficio alla sentenza successiva. RISERVA D'APPELLO: L'art. 340 prevede la RISERVA FACOLTATIVA D’APPELLO CONTRO LE SENTENZE NON DEFINITIVE, cioè avverso una sentenza di condanna generica, oppure avverso una sentenza che ha definito unicamente una questione pregiudiziale o preliminare non ostativa alla prosecuzione del giudizio, o solo alcune delle domande cumulate nello stesso processo senza separarle da quelle non decise, ossia sentenze che potrebbero essere definitive e non definitive a seconda che il giudice abbia separato meno le cause, e se queste non siano state separate il giudice impartirà, con ordinanze, distinti provvedimenti per il prosieguo del processo. L'interessato potrà proporre immediatamente appello, oppure formulare la riserva rinviando così l'appello al momento in cui sarà emanata la sentenza definitiva. La riserva dovrà essere formulata entro il termine per appellare e non oltre la prima udienza successiva. Se la parte parzialmente soccombente in primo grado ha proposto la riserva d'Appello differito, mentre l'altra ha optato per l'immediato, il sistema dà preferenza all'impugnazione immediata e pertanto perde efficacia la riserva e il suo autore avrà l'onere di impugnare immediatamente con appello incidentale a norma dell’art. 343. Nell'ipotesi di ESTINZIONE del processo di primo grado, dopo la pronuncia di una sentenza non definitiva bisognerà distinguere: la sentenza non definitiva di rito che perderà ogni effetto e non si potrà porre il problema di impugnazione in appello, mentre quella di merito che sopravvive all'estinzione, dovrà essere appellata scioglimento della riserva per evitare che passa in giudicato. L'appello ha la funzione di riesaminare una materia del contendere che è stata già sottoposta al giudice di primo grado, e pertanto vige il DIVIETO DI NOVA, ossia il divieto di proporre nuove domande ed eccezioni a norma dell'art. 345. Quanto alle DOMANDE sono inammissibili domande nuove intese come diverse rispetto a quelle già proposte in primo grado, ad esclusione di domande relative agli interessi, frutti accessori maturati dopo la sentenza, nonché al risarcimento dei danni ulteriori verificatisi dopo la stessa. Quanto alle ECCEZIONI non possono proporsi in appello, quelle in senso proprio rimesse esclusivamente alla parte, ma possono proporsi quelli rilevabili anche d'ufficio, sempre che quest'ultime siano state tempestivamente dedotte in primo grado. In ordine alle PROVE l'art. 345 co. 3 sancisce che non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto produrli o proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabili, ad esclusione del giuramento decisorio. Il divieto di Nova è stato un problema controverso in dottrina in giurisprudenza facendo sorgere questioni in ordine a: le NUOVE DOMANDE, poiché le eccezioni previste dal primo comma non sembrano rappresentare vere domande nuove e si risolvono in un ampliamento quantitativo del petitum originario, e quanto alla richiesta di risarcimento danni successivi alla sentenza è da ritenere che questa presupponga che la richiesta fosse stata già avanzata in primo grado; in ordine ai NUOVI MEZZI DI PROVA l'art. 345 esclude quelli proponibili dalle parti, lasciando al giudice d’appello la possibilità di utilizzare i poteri d'ufficio; il divieto di produrre nuovi documenti finisce per imporre all'appellante di curare che, nel proprio fascicolo siano presenti i documenti prodotti in primo grado sui quali egli basa la propria impugnazione, ma qualora l'impugnazione si fondi su un documento prodotto di primo e pure dalla controparte, l'appellante è tenuto a richiamare tale documento, e a produrlo mediante rilascio della copia del documento inserito nel fascicolo della controparte. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti e la sua esecuzione non è sospesa per effetto dell'impugnazione. È possibile ottenere la SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELLA SENTENZA IMPUGNATA, con un particolare procedimento chiamato INIBITORIA, disciplinato distintamente a seconda che si tratti dell'appello, o di altre impugnazioni. Competente a concedere l’inibitoria è il giudice di appello, mentre negli altri casi è il giudice che ha emanato la sentenza impugnata. L'inibitoria è una sorta di cautela concessa in base alla deliberazione della non manifesta inammissibilità e infondatezza della contestazione mossa contro la decisione di eseguire, e nel senso che vi siano gravi e fondati motivi quanto all'appello , di grave e irreparabile danno quanto alle altre alcune azioni previste dal codice, e di gravi circostanziate ragioni esplicitamente indicati in motivazione, quanto alle impugnazioni dei procedimenti semplificati. L'ordinanza del giudice è revocabile solo con la sentenza definitiva. PRESUPPOSTO PER LA CONCESSIONE DELL’INIBITORIA IN APPELLO è la sussistenza dei GRAVI E FONDATI MOTIVI, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti e pertanto, si richiede che la sospensione incida in senso positivo o negativo sulla situazione economica delle parti. La concessione o il diniego dell'inibitoria richiedono una MOTIVAZIONE che giustifica il provvedimento. L'inibitoria va chiesta nello stesso atto di appello e il giudice dell'appello vi provvede negativamente o positivamente con un'ordinanza nella prima udienza contemporaneamente o successivamente all'inammissibilità. Quando ricorrano giusti motivi d'urgenza, il Presidente può ordinare con DECRETO l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva. Il giudice d'Appello è competente per l'inibitoria, anche riguardo alle decisioni da lui emesse. A differenza del giudice di primo grado, al giudice d'Appello è dato provvedere sull’inibitoria di proprie sentenze, soggette a ulteriori impugnazioni, applicando il criterio indicato nell'art. 773 sulla sospensione dell'esecuzione. L'ulteriore impugnazione può consistere nel ricorso in Cassazione, nella revocazione, o nelle opposizioni di Terzo. Il 398 co. 1 dice che la revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Il giudizio di revocazione si propone con ATTO INTRODUTTIVO PREVISTO PER IL PROCEDIMENTO PER IL QUALE DEVO PROPORRE REVOCAZIONE (ricorso). Si seguono le norme disciplinate per il giudice adito secondo il giudizio (400 cpc). La proposizione della revocazione non sospende l’esecuzione della sentenza, però può essere proposta istanza di sospensione con atto di citazione, dove il giudice provvede con ordinanza in camera di consiglio 173 cpc, dove disporrà l’ordinanza se con la prosecuzione si rammenda un grave e irreparabile danno della parte. Il giudizio di revocazione si CONCLUDE con sentenza di rigetto, o pronuncia di accoglienza con cui revoca la sentenza impugnata e si chiude la fase rescindente e conseguentemente il giudice attua la fase rescissoria e decide nel merito la causa con eventuale restituzione di ciò che era stato stabilito con la sentenza precedente; le due fasi possono venire nella stessa sentenza, o se è necessario acquisire nuove prove saranno separate con successiva pronuncia. La sentenza emessa si sostituisce in tutto e per tutto e può essere a sua volta impugnata tranne che per nuovamente per la revocazione. La revocazione si può proporre AVVERSO PROVVEDIMENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE, quali (art. 391bis e 391ter): SENTENZE/ORDINANZE a norma del 375 co. 1 n.4/5 solo ai motivi di cui al num. 4 di REVOCAZIONE ORDINARIA; i PROVVEDIMENTI con i quali la Cassazione ha deciso nel merito. Nel caso dell’errore di fatto, si può trattare di qualsiasi sentenza pronunciata dalla Cassazione; e la Corte, se nella fase camerale non pronuncia ordinanza di inammissibilità, rimette la causa in pubblica udienza dove la decide nel merito. Le altre ipotesi in cui è ammessa la revocazione della pronuncia della Corte sono disciplinate come l'ipotesi dell'opposizione di terzo (art.391-ter). Nella pendenza dell’impugnazione per revocazione (art.391- bis) non è consentita inibitoria, riguardo l'esecuzione della sentenza di merito, passato in giudicato; e non è sospeso il termine per riassumere la causa in sede di rinvio, nella diversa ipotesi in cui la Suprema Corte abbia cassato con rinvio la decisione impugnata per cassazione (art.391-bisco.2 e 3). Quindi, l’impugnazione per revocazione è concessa eccezionalmente contro le sentenze della Corte di cassazione. In generale, sembra che il modus procedendi per i ricorsi ex art.391-bis e 391-ter si deve svolgere secondo le regole generali, anche nella scelta del rito camerale o della pubblica udienza. E la Corte definirà l'impugnazione, quando pronuncia sulla sostanza della stessa, in forma di sentenza. RICORSO IN CASSAZIONE Secondo l’art.65 Ord.Giud., la Corte di cassazione, come organo supremo della giustizia, oggi assicura l’esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge (c.d. nomofilachia), l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regolai conflitti di competenza e di attribuzioni, e svolge gli altri compiti ad es. conferiti dalla legge. Secondo il sistema attuale, le FUNZIONI della Corte hanno una duplice ratio, che risponde: • ESIGENZE OGGETTIVE DI RISPETTO DELLA NORMA SOSTANZIALE/PROCESSUALE: qui va ricondotta la nomofilachia, che significa che la Cassazione è custode dell’uniforme interpretazione ed applicazione della regola giuridica, evitando il formarsi di diversi indirizzi interpretati vi da parte dei Tribunali; • ESIGENZE OGGETTIVE GIUSTIZIA NEL CONCRETO, A RIMEDIO DI EVENTUALI ERRORI VERIFICATESI, A DANNO DEL SOCCOMBENTE NELLA FASE PRECEDENTE DEL GIUDIZIO. La CONDIZIONE OGGETTIVA DI AMMISSIBILITÀ, cioè la possibilità giuridica, del ricorso per cassazione previsto dall’art.360 in relazione agli artt.323 e 324, è l’impugnazione ordinaria, consentita contro le decisioni emesse in appello o in unico grado, comprese quelle ammesse in sede di revocazione ed opposizione di terzo. Inoltre, è ricorribile in Cassazione la sentenza in primo grado del Tribunale quando le parti rinuncino concordemente all'appello per ricorrere direttamente in cassazione (c.d. ricorso per saltum). Riguardo la RICORRIBILITÀ in cassazione contro sentenze non definitive, c'è differenza fra il regime dell'impugnazione in appello e quello dell'impugnativa in cassazione. Nell'impugnazione in appello, il soccombente può scegliere fra l’appello immediato o quello differito alla pubblicazione della sentenza definitiva, previa riserva di impugnazione. Invece, per quanto riguarda il ricorso in cassazione bisogna distinguere: le sentenze NON DEFINITIVE che decidono questioni senza definire neanche parzialmente il giudizio nel merito (art.279co.2 n.4) non sono ricorribili subito in cassazione, ma possono essere impugnate quando viene proposto ricorso per cassazione con una sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio (art.360co.3 e 4). Invece, le sentenze di condanna generica (art.278) e quelle che decidono nel merito (art.277) una o alcune delle domande senza definire il giudizio conservano la prerogativa come per l'appello: ricorribilità immediata oppure ricorribilità differita, previa riserva di impugnazione. Se la sentenza riguarda la COMPETENZA, si applica sempre il diverso regime del regolamento di competenza (artt.42 e 43). È soggetto al ricorso "straordinario" per cassazione ogni provvedimento che incide su posizioni di diritto soggettivo e non permette altri rimedi prima di passare in giudicato (art.111co.7 Cost.). L’art. 360bis introduce il FILTRO DI AMMISSIBILITÀ DEL RICORSO, che dichiara inammissibile: - il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa; Ne consegue che non è sottoposto a filtro di ammissibilità il regolamento di giurisdizione che un rimedio preventivo che non presuppone una decisione né un provvedimento impugnato. La dichiarazione di inammissibilità e sottoposta a due condizioni quali la condizione positiva rappresentata dal fatto che il provvedimento impugnato abbia deciso una questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza, è una condizione negativa costituita dalla circostanza che il ricorrente non abbia offerto elementi per confermare o mutare l'orientamento della Corte. - quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo. Ci troviamo in presenza di un caso di inammissibilità molto particolare virgola che va a incidere il rapporto fra l'art. 360 n. 4 che tratta come motivo di ricorso in Cassazione la mera nullità del procedimento, e l'art. 360bis che è soggetto a controllo preliminare di ammissibilità la violazione di un principio regolatore del giusto processo che si assume più grave. La giurisprudenza ha affermato che non tutti i vizi processuali comportano la nullità degli atti processuali, ma solo quelli che li rendano inidonei al raggiungimento dello scopo, e che producono una lesione dei principi regolatori del giusto processo in considerazione del contraddittorio e del diritto di difesa. Pertanto, l'art. 360 bis al co. 2 si coordina perfettamente con il 360 n. 4. RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO E CORREZIONE DELLA MOTIVAZIONE: Sotto il profilo soggettivo, le condizioni per l'impugnazione in cassazione sono la legittimazione e l'interesse, per le quali valgono le regole generali; tranne alcune puntualizzazioni: - riguardo l'istituto dell'impugnazione incidentale condizionata, si dubita che questa impugnazione abbia rilievo in appello, in presenza dell’art.346 che accolla all'interessato l'onere di riproporre in sede di gravame le domande ed eccezioni non accolte nella sentenza impugnata. Sembrerebbe sufficiente che l'appellato riproponga le domande ed eccezioni non accolte nella comparsa di risposta, senza necessità di proporre appello incidentale (C.C. 2469/2003). Questa figura ha, invece, rilievo nell'impugnazione per cassazione, dove è anche definita come l'impugnazione della parte vittoriosa. - Nel caso in cui la sentenza sia conforme a diritto e si tratti solo di correggere la motivazione inesatta (art.384 ult.co.), la Cassazione vi provvede d'ufficio o su sollecitazione di parte. L'impugnazione per Cassazione è a CRITICA VINCOLATA e i MOTIVI (art. 360) sono ricondotti al paradigma degli errores in procedendo o iudicando, a seconda che riguardino la violazione di norme di rito o di diritto sostanziale. L’error in procedendo (art.360 n.1,2,4 e 5) consiste in: violazione delle norme sul riparto della giurisdizione fra giudici italiani di ordine diverso, oppure fra giudici italiani e P.A., oppure ancora fra giudici italiani e giudici stranieri; violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; nullità della sentenza o del procedimento (La giurisprudenza ha affermato che non tutti i vizi processuali comportano la nullità degli atti processuali, ma solo quelli che li rendano inidonei al raggiungimento dello scopo, e che producono una lesione dei principi regolatori del giusto processo in considerazione del contraddittorio e del diritto di difesa); VIZIO DI MOTIVAZIONE che consiste in omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione riguardo un fatto controverso e decisivo per il giudizio (n.5). Il vizio di motivazione oggi deve inficiare unicamente le argomentazioni alla cui stregua il giudice di merito è pervenuto alla decisione sulla base di un fatto del quale si sia discusso, e sia stato oggetto di discussione decisivo ai fini del giudizio: il vizio di motivazione non potrà essere invocato nelle ipotesi di doppia motivazione conforme nei gradi di merito; la novella del 2012 inoltre ha riformato l'art. 348 ter ai commi 4 e, precludendo il ricorso per Cassazione sul vizio di motivazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione in primo grado e pertanto non sarà più possibile proporre ricorso in Cassazione, sebbene questo sia suscettibile di contrasto con l'art. 111 comma 7 Cost. che prevede la garanzia del ricorso in Cassazione a fronte della violazione di legge, nelle ipotesi di difetto sostanziale totale di motivazione. In definitiva l'area di applicazione del vizio di motivazione, a seguito delle recenti riforme, appare ridotto in quanto vengono esclusi giudizi, talvolta connessi con l'errore in iudicando. L’error in iudicando (art.360 n.3) consiste nella violazione o falsa applicazione di norme del diritto e dei contrasti e accordi collettivi nozionali di lavoro. La distinzione fra error in procedendo ed error in iudicando, anche se criticata, conserva una grande portata pratica e serve a distinguere i casi in cui la Cassazione è anche giudice del fatto: nell'ipotesi OPPOSIZIONE DI TERZO L'articolo 2909 del Codice civile stabilisce che la sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, fissando così i limiti soggettivi del giudicato. Ne consegue che a differenza delle parti che non possono contestarlo, coloro che sono rimasti estranei al processo i TERZI, in linea generale sono indifferenti al giudicato; il terzo, tuttavia, può subire un danno dagli effetti di una sentenza emanata in una causa svoltasi fra altri e per questo l’ordinamento gli attribuisce specifici rimedi preventivi quali l'intervento in appello, sia successivi come l'opposizione di terzo prevista dall'articolo 404 del codice di procedura civile. L'opposizione di terzo prevista dall'art. 404 è consentita contro ogni sentenza esecutiva, ancorché è passata in giudicato ivi comprese le sentenze di Cassazione quale rimedio viene annoverato tra le impugnazioni straordinarie. L'opposizione di terzo si propone davanti allo stesso ufficio giudiziario che ha emesso la decisione impugnata; l'atto introduttivo in forma di citazione deve contenere oltre ai requisiti di rito, le indicazioni della sentenza posta e delle parti, tra cui è stata pronunciata, che rivestono la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione. Si distingue l'opposizione ordinaria o semplice prevista dall' articolo 404 co.1 nell’ipotesi in cui la decisione impugnata pregiudichi i diritti dei terzi, dall’opposizione revocatoria prevista dal co.2, nelle ipotesi in cui la pronuncia impugnata sia effetto di dolo o collusione delle parti a danno di determinati terzi. Il procedimento si svolge in contraddittorio fra il terzo e i già menzionati litisconsorti e si articola in un momento relativo all’ammissibilità dell'impugnazione, conferente le condizioni dell’opposizione del tipo prospettato, in quanto allegate dall'opponente, e in un momento relativo al merito concernente la sussistenza del diritto fatto valere dal terzo. Il giudizio si chiude con sentenza soggetta alle stesse impugnazioni, proponibile avverso la sentenza opposta. Nell’ipotesi di rigetto dell'impugnazione, l’opponente è condannato al pagamento di una pena pecuniaria. Connotati peculiari assumano le condizioni relative alla legittimazione. La legittimazione attiva è riservata a chi non sia stato parte nella sentenza impugnata; tuttavia, legittimato all'opposizione di terzo revocatoria è anche l’interventore adesivo dipendente e il terzo falsamente rappresentato nel giudizio da cui è scaturita la sentenza che ha sancito la loro soccombenza. L’opposizione di terzo ORDINARIA o semplice è consentita a chiunque è stato pregiudicato nel suo diritto da una decisione resa in confronto di altri. Il pregiudizio di cui si parla e il conseguente interesse all’impugnazione, si delineano in concreto per le incompatibilità tra il diritto accertato in sentenza in confronto delle parti e quello allegato dal terzo. L’opposizione è una sorta di intervento fuori tempo poiché il terzo come titolare di un diritto autonomo, incompatibile con quello in contesa tra le parti, sarebbe potuto intervenire in primo grado o addirittura in appello e qualora non lo abbia fatto, ed è rimasto formalmente estraneo, può proporre opposizione. In sostanza, il terzo ha subito un pregiudizio (danno di esecuzione). La giurisprudenza oggi è orientata a ritenere che l'opposizione di terzo semplice è consentita al falsamente rappresentato e anche al litisconsorte necessario pretermesso, poiché titolare di una posizione giuridica indivisibile autonoma e incompatibile con quella accertata soltanto in capo alle parti, e legittimato e interessato a contestare tale sentenza nei limiti in cui lo pregiudica. Questo tipo di opposizione può essere proposto in ogni tempo prima e dopo il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Secondo un orientamento si tratta di un'impugnazione facoltativa nel senso che non è l'unico rimedio concesso al terzo per evitare il pregiudizio. L’OPPOSIZIONE DI TERZO REVOCATORIA è legittimato il credito reale avente causa di una delle parti del giudizio da cui è scaturita la sentenza impugnata sempre, che tale sentenza lo pregiudichi e si effetto di dolo o collusioni in suo danno. La nozione di terzo va chiarita: quanto al profilo processuale terzo potrebbe essere anche l’interventore adesivo dipendente o il falsamente rappresentato; dal lato sostanziale il terzo di cui si parla non è estraneo alla portata del giudicato ai sensi dell'articolo 2909 del Codice civile. Il pregiudizio deriva dalla titolarità di una posizione giuridica fraudolentemente pregiudicata, e assume rilievi non il dictum della sentenza impugnata ma quel dictum in quanto effetto di frode o di collusione. SI DISTINGUE DA: OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE: Nell'ipotesi di contestazione dell'esecuzione, legittimato attivo può essere solo il debitore esecutato. Egli può contestare la procedura, finché non sia iniziata, opponendosi a titolo e precetto (c.d. opposizione preventiva); e, dopo che sia iniziata, opponendosi, non solo al diritto di procedere ad esecuzione forzata, ma anche a che siano pignorati certi beni o crediti (c.d. opposizione successiva). Infatti, la proposizione dell'opposizione all'esecuzione non è soggetta a termini, ma, presupponendo comunque la pendenza del processo esecutivo, deve essere preventiva o contestuale allo stesso. Nell'opposizione (art.615) c'è differenza tra esecuzione in base a titolo giudiziale e titolo extragiudiziale. Nell'esecuzione a titolo giudiziale, si potranno contestare solo fatti successivi ed esterni al titolo oppure l'inesistenza stessa del titolo. Nell'esecuzione a titolo stragiudiziale, l'opposizione ha uno spettro di motivi molto più ampio. Ad es., se si procede in base a cambiale, si potrà allegare la falsità della firma o l'emissione per gioco o la prescrizione del credito cambiario; invece, se al posto della cambiale è stato ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (art.642) che viene fatto valere come titolo esecutivo, quelle eccezioni non saranno ammissibili nell'opposizione. Perciò, a volte, il possessore di cambiale trova conveniente iniziare l'esecuzione allegando come titolo non la cambiale, ma il decreto ingiuntivo ottenuto in forza di quella. Inoltre, il decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo ha il vantaggio che può essere utilizzato per ottenere l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art.653). 615: Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad   esecuzione forzata   e questa non è ancora iniziata, si può proporre   opposizione   al precetto con   citazione   davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo   27   (1) . Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata. Quando è iniziata l'esecuzione   (2) , l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni   (3)   si propongono con   ricorso   al giudice dell'esecuzione stessa [disp. att. 184]. Questi fissa con   decreto   l'udienza di comparizione delle parti davanti a sè e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto [disp. att. 184, 185, 186]   (4) . Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli   530 ,   552 ,   569 , salvo che sia fodnata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile (5) . Il giudizio conseguente all'opposizione all'esecuzione si svolge, davanti al giudice di cognizione competente (artt.17 e 27), con rito camerale (art.185 d.a.) ed è definito con sentenza non impugnabile (art.616) (non appellabile, ma ricorribile in cassazione: art.111 Cost.). Però, alle opposizioni in materia di lavoro e previdenze si applica il rito del lavoro. OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI: Nell'opposizione agli atti esecutivi si contesta la regolarità degli atti del procedimento. Legittimato attivo può essere sia l’esecutato che l’esecutante. L’art.617 parla di "irregolarità formale" degli atti contestati, per cui, in tema di invalidità, c'è una specie di gerarchia che può andare dalla semplice irregolarità (comunque sufficiente per proporre questa opposizione) alla nullità e all'inesistenza. Il codice segna limiti all'opposizione agli atti imponendo il termine perentorio di 20 giorni dall'atto e dando la competenza allo stesso g.e., che, con rito camerale (art.185 d.a.), deciderà con sentenza, soggetta solo al vaglio di legittimità (art.618) con il ricorso straordinario in Cassazione (art.111Cost.). Alle opposizioni in materia di lavoro e previdenza si applica il rito del lavoro (art.618-bis). OPPOSIZIONE DI TERZO: L'opposizione di terzo prevista dalla legge con riferimento all’espropriazione forzata, è un incidente di tipo cognitivo, in quanto l’allegazione di un titolo non comporta l’incontestabilità di quel diritto. Il TERZO soggetto, diverso dall’ESCUTANTE e dall’ESCUTATO, che si pretenda titolare della proprietà o di un altro diritto reale sui beni pignorati, può proporre opposizione al giudice dell'esecuzione. Egli non contesterà il titolo esecutivo e l'azione successiva mediante il pignoramento, ma contesta l’illegittimità della sua attuazione lamentando un pregiudizio che deriva dal procedimento esecutivo e non dal titolo. Con l'opposizione all'esecuzione, non è possibile rimettere in discussione un titolo giudiziale, che potrebbe essere esperito con l'appello, e pertanto il terzo per tutelarsi contro il pregiudizio che gli deriva, dovrà far ricorso all’opposizione di terzo prevista dall'art. 404. Dal punto di vista processuale, l'opposizione di terzo presuppone che sia già avvenuto il pignoramento, e pertanto si considera un mezzo di impugnazione successivo di tipo bifasico, poiché nella prima parte il processo si svolgerà nelle forme camerali, e nel caso in cui non sia raggiunto un accordo totale o parziale tra le parti, la causa passerà a un giudizio di cognizione piena davanti al giudice competente per valore. L'opposizione di terzo non è proponibile prima del pignoramento e non è soggetta a termini di decadenza; è prevista un'opposizione di terzo TARDIVA, nell’ipotesi in cui il giudice dell'esecuzione non abbia sospeso la vendita, o in caso in cui l'opposizione sia stata proposta dopo la vendita e gli eventuali diritti del terzo potranno essere fatti valere solo sulla somma ricavata dalla vendita. L'opposizione di terzo viene definita con sentenza inappellabile, ma ricorribile in cassazione (art.111Cost. co.7). L'art. 621 integrale previsioni in tema di limiti oggettivi della prova testimoniale: il terzo opponente può provare per testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore solo se l'esistenza del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Secondo l'orientamento prevalente non si esclude che l'opposizione di terzo possa essere esperibile anche nei casi di esecuzione in forma specifica: L'esecuzione in forma specifica che tende a far conseguire al creditore la consegna della stessa cosa mobile o il rilascio della cosa immobile, a cui non ha provveduto il debitore, oppure la prestazione di fare o non fare, a cui il debitore era specificamente tenuto ed è rimasto inadempiente (artt.2930ss. c.c.). quanto al tipo di credito e alla prova, ma ha un ambito di applicazione più ristretto non essendo e sensibile e crediti per onorari e rimborsi per i professionisti. Ai sensi dell'art. 637 la COMPETENZA spetta all'ufficio giudiziario che sarebbe competente per la causa ordinaria; ma, qualora si tratti di un credito per onorari o spese, a seguito di prestazioni eseguite nel processo, il co. 2 afferma che è competente il giudice che ha deciso la causa alla quale si riferisce il credito; gli avvocati e notai, secondo il co. 3, possono tutelare i loro diritti avanti al giudice competente per valore, del luogo in cui ha sede il Consiglio dell'Ordine o il consiglio notarile di appartenenza. Il PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE inizia con RICORSO da depositare nella Cancelleria del giudice nel quale l'istante deve indicare la prova scritta legata nella domanda. Se il giudice ritenga non sufficientemente giustificata la domanda, può invitare la parte a fornire gli elementi mancanti, e in difetto dell'integrazione o dei requisiti di legge, rigetta l'istanza con decreto che non ha efficacia decisoria, né è impugnabile, e non pregiudica la riproposizione della domanda in sede ingiuntiva in via ordinaria. Se la domanda è accolta viene emesso DECRETO INGIUNTIVO motivato con riferimento al testo del ricorso: il DECRETO INGIUNTIVO è un provvedimento idoneo ad acquistare forza di giudicato al pari di una sentenza di condanna è, in alcuni casi è dotato fin dalla sua pronuncia di efficacia immediatamente esecutiva, e pertanto vanno distinti i casi in cui il giudice deve concedere la clausola di provvisoria esecuzione, de casi in cui può concedere la sua discrezione quando ricorda un pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, o al ricorso sia allegata documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere. IL decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo consente l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. Il decreto ingiuntivo va notificato all’ingiunto insieme con il ricorso con cui si connette, e la notifica indica la pendenza della Lite. Una volta eseguita la notifica, l'istante può ottenere che sia dichiarato ESECUTIVO anche il decreto ingiuntivo emesso senza la clausola di provvisoria esecutività; Analogamente il decreto ingiuntivo può essere dichiarato esecutivo quando il procedimento di opposizione si estingua. Se manca la notifica, il decreto ingiuntivo diviene inefficace, con efficacia che non è rilevabile d'ufficio, e può essere dedotta solo dalla parte interessata con l'OPPOSIZIONE prevista all'art. 645 che può essere proposta in un termine perentorio previsto dall'art. 641 co. 1 e 2, di 40g aumentabili a 60. Nel caso di inefficacia la domanda può essere riproposta. L'OPPOSIZIONE si propone con atto di citazione ed apre un giudizio ordinario di cognizione secondo una formale inversione dei ruoli delle parti: infatti il creditore assume la veste del convenuto a seguito dell'opposizione del debitore ingiunto. La mancata o tardiva costituzione del debitore opponente comporta l'improcedibilità dell'opposizione e la sostanziale immutabilità del decreto ingiuntivo; l’opponente ha l'onere di costituirsi nei termini ordinari previsti dagli art. e 145 e 165. La competenza per l'opposizione spetta allo stesso ufficio adito per l'ingiunzione, ma ove si tratti del tribunale sarà ripartita. Nell'OPPOSIZIONE AL DECRETO INGIUNTIVO è ravvisabile un rimedio di tipo impugnatorio, mentre per altri profili l'opposizione assume i connotati di un processo ordinario di cognizione di primo grado. OGGETTO dell'opposizione è se sussista il credito fatto valere. L’onere della prova sarà ripartito tra le parti e non è presente il DIVIETO DI NOVA dell’appello. Nel corso della prima udienza del giudizio di opposizione, il giudice su istanza del creditore può concedere: La provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo qualora l'opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione; l'esecuzione provvisoria parziale limitatamente alle somme non contestate, a meno che l'opposizione non sia proposta per vizi procedurali e prescinda dalla contestazione del credito vantato dal ricorrente; l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo ove venga offerta cauzione. Il debitore può ottenere l'INIBITORIA (L'inibitoria è una sorta di cautela concessa in base alla deliberazione della non manifesta inammissibilità e infondatezza della contestazione mossa contro la decisione di eseguire) avverso la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo concessa a norma dell'art. 642. In giurisprudenza vi sono diverse opinioni sull'individuazione della parte che deve instaurare il procedimento di mediazione; tuttavia, tenuto conto che il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, il relativo onere dovrebbe gravare sulla parte che propone la domanda, pena la revoca del decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo, quando non ne sia munito, assume EFFICACIA ESECUTIVA, a seguito del rigetto dell'opposizione o dell'estinzione del giudizio di opposizione. In caso di ACCOGLIMENTO PARZIALE dell'opposizione, la sentenza che definisce il giudicato sostituisce in pieno il decreto ingiuntivo, ma gli Atti di esecuzione compiuti conservano i loro effetti nei limiti della prestazione eventualmente ridotta. Ove l’accoglimento sia TOTALE si pongono problemi di restituzione, e si applica l’art. 336 co. 2 dove la riforma estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata. Il decreto ingiuntivo notificato e non opposto, acquista EFFICACIA DI GIUDICATO, in aggiunta all'efficacia provvisoriamente esecutiva riconosciuta già dall'inizio. In questo caso l'intimato può proporre OPPOSIZIONE TARDIVA, provando di non aver conosciuto in tempo il decreto ingiuntivo a causa di irregolarità della notifica o di causa fortuito, o forza maggiore, o di non aver potuto proporre l'opposizione tempestivamente pur avendo avuto notifica, sempre per cause di forza maggiore. Nel giudizio di opposizione tardiva l'intimato può anche ottenere, per gravi motivi, l'inibitoria sospendendo l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo. L'ingiunto può dolersi del decreto ingiuntivo notificato e non opposto, con i mezzi di impugnazione della revocazione e dell'opposizione di Terzo. L'opposizione tardiva, la revocazione e l'opposizione di terzo, sono qualificabili come impugnazioni di carattere straordinario poiché presuppongono un decreto ingiuntivo non opposto nel termine ed è equiparato alla sentenza passata in giudicato. PROCESSO DI ESECUZIONE Il processo esecutivo ha subito molte modifiche, però resta ferma, sotto il profilo soggettivo, la nozione del processo esecutivo come sequela di atti giurisdizionali, posti in essere organi pubblici e parti private, coinvolgenti anche soggetti interessati che non sono parti. Resta ferma, sotto il profilo oggettivo, anche l'articolazione dei momenti. In ogni forma di esecuzione si possono verificare sospensioni, come per l'apertura di parentesi di tipo cognitivo (ad es., le opposizioni) o l'insorgere di incidenti (ad es., di costituzionalità). Infine, il processo esecutivo potrà terminare o fisiologicamente, con il raggiungimento dello scopo per il quale l’esecutante l'ha iniziato; o patologicamente, per rinuncia o inattività delle parti, prima che lo scopo sia stato raggiunto. Il processo esecutivo consiste in una sequela di atti, compiuti da soggetti diversi: organi pubblici e parti private, creditore e debitore, e, più in generale, interessati. L'ufficio che presiede all'esecuzione è il giudice dell'esecuzione (g.e.), organo monocratico del tribunale (art.9). La competenza territoriale si ha nel luogo in cui si trovano le cose oggetto dell'esecuzione; oppure, se si tratta di espropriazione forzata di crediti, nel luogo dove risiede il terzo debitore; oppure ancora, se si tratta di esecuzione di obblighi di fare o non fare, nel luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto (art.26). Si tratta di una competenza esclusiva, cioè in sede esecutiva nessun potere è attribuito al giudice di pace o all'arbitro. Il g.e. provvede di solito con ordinanza, su domande e istanze che gli vengono rivolte oralmente in udienza o con ricorso depositato in cancelleria (art.486-487). Nel processo di esecuzione opera anche il cancelliere, che forma e conserva il fascicolo dell'esecuzione (artt.484-488). Tra i collaboratori del g.e. assume particolare importanza l'ufficiale giudiziario, a cui sono affidati compiti importanti in tema di pignoramento, nell'espropriazione forzata; e in tema di consegna o rilascio e di esecuzione degli obblighi di fare o non fare, nell'esecuzione in forma specifica. Parti del processo di esecuzione sono il creditore esecutante e il debitore esecutato. Nel processo esecutivo, non vi è costituzione in giudizio, né interruzione per eventi relativi alla parte (ad es., per morte dell’esecutato). Riguardo l'esigenza di difesa tecnica, si considera necessaria l'assistenza dell'avvocato, non per gli atti che precedono l'esecuzione, ma per quelli che, nell'ambito dell'esecuzione in corso, ne segnano le fasi e ne determinano il progredire. Infatti, non vi è esecuzione forzata senza impulso di un creditore che, per le istanze da proporre al giudice dell'esecuzione, dovrà servirsi dell'avvocato. Nell'espropriazione forzata, al creditore istante si possono aggiungere altri creditori, i c.d. intervenienti. TITOLO ESECUTIVO: L’esecuzione forzata può avvenire solo per un titolo esecutivo, per un diritto certo liquido ed esigibile (art.474). Con l’espressione titolo esecutivo ci si riferisce sia all'aspetto sostanziale, cioè al negozio o al provvedimento da cui sorge l'obbligo che non è stato adempiuto, sia all'aspetto documentale, cioè al documento che lo incorpora. Il titolo esecutivo, che legittima l'inizio dell'esecuzione, contiene il diritto certo liquido ed esigibile per l'attuazione coattiva del quale si agisce. Il diritto è CERTO quando risulta esattamente nelle sue caratteristiche oggettive e soggettive; è LIQUIDO quando, trattandosi di somma di denaro o di altre cose fungibili, ne è determinata la misura, il c.d. quantum; è esigibile quando non è sottoposto a termini o condizioni. Questo diritto può essere documentato in un titolo giudiziale oppure in un titolo stragiudiziale. I titoli giudiziali sono: le sentenze di condanna, i provvedimenti giudiziali (es.: i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, le ordinanze anticipatorie). I titoli stragiudiziali (art.474 n.2 e 3) comprendono: cambiali e altri titoli di credito; atti ricevuti dal notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. Per i titoli giudiziali, il diritto da far (art.474co.1). È stata superata la rigida distinzione strutturale della procedura in momento espropriativo e momento satisfattivo. La somma da distribuire, massa attiva, è formata dal prezzo conseguito a seguito della vendita o dell'assegnazione, dal conguaglio corrisposto dall'assegnatario, dai erutti civili o naturali del bene pignorato, e dalle eventuali cauzioni incamerate e penalità inflitte all’aggiudicatario inadempiente (artt.509; 540co.2; 574co.3 e 587). La massa passiva è formata dalle spese e dei crediti fatti valere creditore procedente e da quelli intervenuti successivamente. Le spese di giustizia (artt.2755 e 2770 c.c.), cioè le spese effettuate nell'interesse comune dei creditori (ad es., le spese di custodia dei beni pignorati), vengono liquidate in prededuzione, cioè fuori del concorso tra i creditori, prima di qualsiasi altra erogazione. Il ricavato, tolte le spese di giustizia, forma la massa attiva netta che, a parte i casi in cui è attribuita all'unico creditore, va accantonata, oppure distribuita era il creditore procedente e i creditori intervenuti, rispettando il principio della par condicio creditorum, salvo le cause legittime di prelazione, che sono formate dai privilegi, dal pegno, dall'ipoteca e dalla prelazione di natura processuale (art.499co.5), per cui il creditore pignorante ha diritto di essere preferito ai creditori intervenuti, che non hanno esteso il pignoramento ad altri beni del debitore. In particolare, nella formazione del piano di riparto si seguirà il seguente ordine: 1) creditori privilegiati, secondo la graduazione delle cause di prelazione; 2) creditori chirografari tempestivi; 3) creditori chirografari tardivi. OPPOSIZIONI, SOSPENSIONI ED ESTINZIONE In ogni tipo di processo esecutivo possono insorgere incidenti di tipo cognitivo, perché l’allegazione di un titolo, da cui risulti un diritto certo, non comporta l'incontestabilità di quel diritto. La contestazione può riguardare 2 questioni: 1) Il se (il c.d. an) si può procedere esecutivamente; in questo caso, si parla di opposizione all'esecuzione (artt.615-616); 2) Il come (il c.d. quomodo) si deve procedere, cioè la regolarità formale degli atti compiuti nel processo; allora si parla di opposizione agli atti esecutivi (art.617). Altri incidenti di tipo cognitivo sono: • l'opposizione di terzo (art.619); • le contestazioni in ordine all'obbligazione del terzo (art.548); • le contestazioni in sede di distribuzione della somma ricavata (art.512); • le questioni riguardo l’estinzione del processo esecutivo. OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE: Nell'ipotesi di contestazione dell'esecuzione, legittimato attivo può essere solo il debitore esecutato. Egli può contestare la procedura, finché non sia iniziata, opponendosi a titolo e precetto (c.d. opposizione preventiva); e, dopo che sia iniziata, opponendosi, non solo al diritto di procedere ad esecuzione forzata, ma anche a che siano pignorati certi beni o crediti (c.d. opposizione successiva). Infatti, la proposizione dell'opposizione all'esecuzione non è soggetta a termini, ma, presupponendo comunque la pendenza del processo esecutivo, deve essere preventiva o contestuale allo stesso. Nell'opposizione (art.615) c'è differenza tra esecuzione in base a titolo giudiziale e titolo extragiudiziale. Nell'esecuzione a titolo giudiziale, si potranno contestare solo fatti successivi ed esterni al titolo oppure l'inesistenza stessa del titolo. Nell'esecuzione a titolo stragiudiziale, l'opposizione ha uno spettro di motivi molto più ampio. Ad es., se si procede in base a cambiale, si potrà allegare la falsità della firma o l'emissione per gioco o la prescrizione del credito cambiario; invece, se al posto della cambiale è stato ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (art.642) che viene fatto valere come titolo esecutivo, quelle eccezioni non saranno ammissibili nell'opposizione. Perciò, a volte, il possessore di cambiale trova conveniente iniziare l'esecuzione allegando come titolo non la cambiale, ma il decreto ingiuntivo ottenuto in forza di quella. Inoltre, il decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo ha il vantaggio che può essere utilizzato per ottenere l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art.653). 615: Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad   esecuzione forzata   e questa non è ancora iniziata, si può proporre   opposizione   al precetto con   citazione   davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo   27 . Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata. Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni   si propongono con   ricorso   al giudice dell'esecuzione stessa. Questi fissa con   decreto   l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli   530 ,   552 ,   569 , salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile. Il giudizio conseguente all'opposizione all'esecuzione si svolge, davanti al giudice di cognizione competente (artt.17 e 27), con rito camerale (art.185 d.a.) ed è definito con sentenza non impugnabile (art.616) (non appellabile, ma ricorribile in cassazione: art.111 Cost.). Però, alle opposizioni in materia di lavoro e previdenze si applica il rito del lavoro. OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI: Nell'opposizione agli atti esecutivi si contesta la regolarità degli atti del procedimento. Legittimato attivo può essere sia l’esecutato che l’esecutante. L’art.617 parla di "irregolarità formale" degli atti contestati, per cui, in tema di invalidità, c'è una specie di gerarchia che può andare dalla semplice irregolarità (comunque sufficiente per proporre questa opposizione) alla nullità e all'inesistenza. Il codice segna limiti all'opposizione agli atti imponendo il termine perentorio di 20 giorni dall'atto e dando la competenza allo stesso g.e., che, con rito camerale (art.185 d.a.), deciderà con sentenza, soggetta solo al vaglio di legittimità (art.618) con il ricorso straordinario in Cassazione (art.111Cost.). Alle opposizioni in materia di lavoro e previdenza si applica il rito del lavoro (art.618-bis). OPPOSIZIONE DI TERZO: L'opposizione di terzo prevista dalla legge con riferimento all’espropriazione forzata, è un incidente di tipo cognitivo, in quanto l’allegazione di un titolo non comporta l’incontestabilità di quel diritto. Il TERZO soggetto, diverso dall’ESCUTANTE e dall’ESCUTATO, che si pretenda titolare della proprietà o di un altro diritto reale sui beni pignorati, può proporre opposizione al giudice dell'esecuzione. Egli non contesterà il titolo esecutivo e l'azione successiva mediante il pignoramento, ma contesta l’illegittimità della sua attuazione lamentando un pregiudizio che deriva dal procedimento esecutivo e non dal titolo. Con l'opposizione all'esecuzione, non è possibile rimettere in discussione un titolo giudiziale, che potrebbe essere esperito con l'appello, e pertanto il terzo per tutelarsi contro il pregiudizio che gli deriva, dovrà far ricorso all’opposizione di terzo prevista dall'art. 404. Dal punto di vista processuale, l'opposizione di terzo presuppone che sia già avvenuto il pignoramento, e pertanto si considera un mezzo di impugnazione successivo di tipo bifasico, poiché nella prima parte il processo si svolgerà nelle forme camerali, e nel caso in cui non sia raggiunto un accordo totale o parziale tra le parti, la causa passerà a un giudizio di cognizione piena davanti al giudice competente per valore. L'opposizione di terzo non è proponibile prima del pignoramento e non è soggetta a termini di decadenza; è prevista un'opposizione di terzo TARDIVA, nell’ipotesi in cui il giudice dell'esecuzione non abbia sospeso la vendita, o in caso in cui l'opposizione sia stata proposta dopo la vendita e gli eventuali diritti del terzo potranno essere fatti valere solo sulla somma ricavata dalla vendita. L'opposizione di terzo viene definita con sentenza inappellabile, ma ricorribile in cassazione (art.111Cost. co.7). L'art. 621 integrale previsioni in tema di limiti oggettivi della prova testimoniale: il terzo opponente può provare per testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore solo se l'esistenza del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Secondo l'orientamento prevalente non si esclude che l'opposizione di terzo possa essere esperibile anche nei casi di esecuzione in forma specifica: L'esecuzione in forma specifica che tende a far conseguire al creditore la consegna della stessa cosa mobile o il rilascio della cosa immobile, a cui non ha provveduto il debitore, oppure la prestazione di fare o non fare, a cui il debitore era specificamente tenuto ed è rimasto inadempiente (artt.2930ss. c.c.). sempre la forma del ricorso. Se la convocazione della controparte rischia di pregiudicare l'attuazione del provvedimento cautelare, il giudice può emettere un decreto inaudita altera parte, cioè senza ascoltare preventivamente l’altra parte, con cui autorizza la misura cautelare. Però, nello stesso provvedimento il giudice deve fissare l'udienza nella quale ascoltare la parte, prima non avvertita. Il procedimento si chiude con un’ordinanza che autorizza la misura cautelare (art.669-sexies) o la nega (art.669-septies). Nell'ipotesi di provvedimento negativo, se motivato con ragioni di incompetenza, si può riproporre identica istanza allo stesso giudice o ad altro il giudice, purché competente. Invece, se il provvedimento è motivato da ragioni di merito, l'istanza può essere riproposta se si verificano cambiamenti delle circostanze o si adducono nuove ragioni di fatto o di diritto. Il provvedimento negativo, se emesso prima della causa di merito, conterrà anche la pronuncia sulle spese del processo cautelare, con efficacia immediatamente esecutiva. Contro questa pronuncia è ammessa opposizione (art.645). Il provvedimento cautelare positivo, che ha autorizzato la cautela, di per sé esecutivo, va attuato, su istanza dell'interessato, secondo forme in parte mutuate dall'esecuzione forzata (art.669- duodecies). In particolare, il sequestro conservativo e quello giudiziario si realizzano rispettivamente nelle forme del pignoramento (art.678-679) e dell'esecuzione per consegna o rilascio (art.677). Le misure che hanno ad oggetto somme di denaro si attuano nelle forme del pignoramento mobiliare; quelle riguardanti obblighi di consegna e rilascio, oppure obblighi di fare e non fare, si realizzano con le modalità stabilite caso per caso dallo stesso giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. REVOCA, MODIFICA E RECLAMO: Il provvedimento cautelare può essere influenzato da eventi successivi. Il provvedimento cautelare può essere revocato o modificato a seguito di mutamenti nelle circostanze che, a suo tempo, hanno giustificato la sua concessione (art.669-decies). La revoca o la modifica vanno richiesti al giudice istruttore della causa di merito, salvo che sia stato proposto reclamo (art.669-decies co.1). Le circostanze e i motivi sopravvenuti o conosciuti dopo la proposizione di un reclamo devono essere proposti davanti al collegio competente. - Il potere di revoca o di modifica (art.669-decies co.2 e 3) spetta comunque al giudice che ha provveduto su istanza cautelare, nell'ipotesi in cui il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, oppure se la causa di merito sia devoluta ad un giudice straniero, ad un arbitro, ad un giudice penale o ad un giudice di pace. - Il reclamo è un rimedio generale contro i provvedimenti emanati in sede cautelare. Il reclamo va proposto allo stesso ufficio giudiziario che ha emanato il provvedimento reclamato. L'ufficio decide sempre in composizione collegiale, anche se si tratti di tribunale che, in prima istanza, ha provveduto in composizione monocratica. Quando il provvedimento cautelare è stato emanato dalla corte d’appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d’appello più vicina. Del collegio non può far parte il magistrato che ha emesso il provvedimento contestato (art.669-terdecies co.2). Il procedimento (art.669-terdecies co.3 e 4) si svolge in contraddittorio, ma secondo il rito camerale (artt.737 e 738). Il provvedimento cautelare di segno positivo è subito esecutivo e il reclamo non ha effetto sospensivo. Quest'effetto però si può avere con l'inibitoria: il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo possono ordinare la sospensione dell'esecuzione del provvedimento, o subordinarlo ad una cauzione, quando per motivi sopravvenuti provochi grave danno: cioè si deve ritenere un danno ulteriore rispetto a quello insito nel subire quella certa misura cautelare (art.669- terdecies ult.co.). Sul reclamo il collegio provvede con ordinanza non ulteriormente impegnabile; cioè sottratta anche al ricorso straordinario per cassazione, perché si tratta di provvedimento temporaneo e strumentale, non adatto ad incidere definitivamente sui diritti delle parti. REGIME DELLE SPESE E DEI DANNI: Bisogna distinguere l'ipotesi di esito negativo da quella di esito positivo dell'istanza. Nell'ipotesi di esito negativo (art.669-septies), con l’ordinanza di rigetto dell'istanza cautelare emanata prima dell'inizio della causa di merito, il giudice provvede definitivamente sulle spese. Quindi, egli emana un provvedimento di natura decisoria sul diritto alle spese processuali, soggetto a opposizione (art.645), in sede di ordinaria cognizione. Nell'ipotesi di esito positivo, cioè quando è stata concessa la misura cautelare, ogni questione relativa alle spese è, in generale, rimessa all'esito del giudizio di merito. L’art.96co.2, in tema di responsabilità aggravata, sanziona con la condanna al risarcimento dei danni chi abbia attuato una misura cautelare senza l'ordinaria diligenza, una volta accertata l'inesistenza del diritto per il quale ha ottenuto la cautela. TIPOLOGIA DELLE TUTELE CAUTELARI: SEQUESTRI: Gli artt.670ss. disciplinano 3 tipi di misure cautelari tipiche, tradizionalmente tutti indicati con l'espressione sequestro. Si tratta di misure conservative, che si caratterizzano per la loro strumentalità. I provvedimenti di sequestro ottenuti ante causam diventano inefficaci se non viene instaurato e proseguito il giudizio di merito fino alla sentenza di accoglimento della domanda. Ai sequestri si applica, in generale, la disciplina del procedimento cautelare uniforme; però, restano demandati alla disciplina specifica le problematiche relative ai presupposti e agli effetti. Bisogna distinguere il sequestro giudiziario (art.670) dal sequestro conservativo (art.671) e dal sequestro liberatorio (art.687). Il sequestro giudiziario, a sua volta, si distingue in sequestro giudiziario di beni e sequestro giudiziario di prove. Il sequestro giudiziario di beni è una misura cautelare strumentale alla conservazione e alla gestione di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni che sono oggetto di una controversia, cioè di una vertenza palese ed attuale (ma non è necessario che penda una causa in proposito). I presupposti per l'emanazione di questa misura cautelare sono costituiti, da un lato, dalla sussistenza di una controversia sulla proprietà o altro diritto reale (ad es., il bene è oggetto di un’azione di rivendita) oppure di una controversia sul possesso (ad es., il bene deve essere restituito per scadenza di un contratto ad effetti obbligatori). Dall'altro lato, il sequestro di beni presuppone la sola opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene. Il sequestro giudiziario di prove ha per oggetto libri, registri, modelli e ogni altra cosa da cui si possono desumere elementi di prova in un futuro processo, quando ne sia controverso il diritto all'esibizione o comunicazione e bisogna evitare che siano dispersi e sottratti (art.670 n.2). Quindi, si tratta di una misura che una funzione strumentale in vista di un futuro giudizio di cognizione. Riguardo gli effetti, il sequestro giudiziario consiste nella sottoposizione del bene sequestrato ad un vincolo di indisponibilità tale da garantire la fruttuosità del giudizio di cognizione e di esecuzione a cui è preordinato. Il sequestro giudiziario si attua affidando il bene ad un custode (art.676) ed applicando le norme dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio (art.676). Il provvedimento che autorizza il sequestro giudiziario perde efficacia se non viene attuato entro 30 giorni dalla pronuncia (art.675). Il sequestro conservativo è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, per la quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri (artt.2740 e 2905c.c.). Esso consiste in una tecnica preventiva che sottrae i beni, mobili o immobili, alla libera disposizione del debitore proprietario. Il presupposto del sequestro conservativo è la presenza di un credito avente ad oggetto una somma di denaro o una certa quantità di cose fungibili. L’altro presupposto è il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito. Infatti, durante i tempi tecnici per lo svolgimento del processo di cognizione, il debitore potrebbe compiere atti di disposizione dei suoi beni, tali da rendere, all’esito del processo, insufficiente il suo patrimonio. Anche nel sequestro conservativo l'effetto consiste nella sottoposizione del bene sequestrato ad un vincolo di indisponibilità, che non è solo materiale (infatti, i beni sequestrati sono sottoposti a custodia), ma anche giuridico, perché l'alienazione e gli altri atti di disposizione del bene sequestrato non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante (art.2906). Quindi, il debitore non perde il potere di disporre del bene, ma i suoi atti, validi ed efficaci tra lui e il terzo, non sono opponibili al sequestrante. Si tratta della stessa regola stabilita per il pignoramento. Però, la differenza consiste nel fatto che il pignoramento crea un vincolo "a porta aperta”, nel senso che se ne possono giovare sia il creditore procedente che gli intervenuti; invece, il sequestro conservativo crea un vincolo "a porta chiusa", nel senso che se ne giova solo il sequestrante. Poi, il sequestro conservativo si attua nella stessa forma del pignoramento (art.678) e, se si tratta di beni immobili, si esegue una trascrizione della misura cautelare presso l'ufficio del conservatore dei registri immobiliari (art.679). Con l'indicazione di casi speciali di sequestro (art.687) si contempla il c.d. sequestro liberatorio, istituto che si utilizza nell'ipotesi in cui il debitore, per liberarsi del suo obbligo, offre o comunque mette a disposizione del creditore le cose rispetto alle quali è controverso l'obbligo o il modo di pagamento o di consegna o l'idoneità della cosa offerta.
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