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procedura penale minorile (Bargis)- capitolo 6, Dispense di Diritto Processuale Penale

capitolo 6- riti speciali e le strategie di diversion (perdono giudiziale, proscioglimento anticipato per difetto di imputabilità, irrilevanza del fatto , sospensione del processo con messa alla prova) #diversion #minori #processominorile #messaallaprova #ritialternativiprocessominori

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 16/04/2020

Seta89
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Scarica procedura penale minorile (Bargis)- capitolo 6 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PROCEDURA PENALE MINORILE CAPITOLO VI LE ALTERNATIVE RITI SPECIALI Profili generali Occorre affrontare il tema dell’operatività dei riti speciali, disciplinati nel libro VI del codice di procedura penale, con la precisazione che esistono forme alternative del processo. In primo luogo, si specifica che la finalità dei riti speciali qui esaminati è diversa da quella a cui essi obbediscono nel processo per adulti, dove la loro ragion d’essere va individuata nell’esigenza di accelerare la decisione e di assicurare una più ragionevole durata dei processi. Nell’ambito della giustizia minorile, lo scopo quello di portare via l’imputato il prima possibile dall’ingranaggio processuale, riducendo i tempi di esposizione ad un’esperienza sicuramente traumatizzante. Nel nostro ordinamento è esclusa l’applicazione della pena su richiesta delle parti e il procedimento per decreto. Il primo perché deve sussistere, in capo all’imputato, una capacità di valutazione e di decisione che richiedono piena maturità e consapevolezza delle scelte. Capacità che difetterebbe il minore. Secondo la Corte Costituzionale, 12 luglio 2000, n. 272, il patteggiamento è escluso per l’inconciliabilità di tale scelta con la “specificità del processo penale minorile, caratterizzato dall’esigenza primaria del recupero del minore”. Il procedimento per decreto, invece, precluderebbe gli accertamenti sulla personalità del minore (considerati imprescindibili dall’art.9). Inoltre, vi è mancanza di autonomia patrimoniale in capo al minore stesso. Il giudizio abbreviato È un rito speciale cui si applica la disciplina prevista negli artt. 438 ss. Del codice di rito penale. Tuttavia, la l. 12 aprile 2019 n. 33 ha inserito nell’art. 438 c.p.p. il comma 1 bis il quale ha stabilito che NON è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Si tratta di appurare se riguarda anche il processo penale minorile. La risposta sembra dover essere negativa: - Dopo la sentenza 28 aprile 1994 n. 168 è da ritenere che non esista più per i minori la categoria dei delitti puniti con l’ergastolo (Principio favor minoris). Per quanto riguarda gli altri profili di carattere processuale, ferma restando la distinzione tra richiesta semplice e richiesta complessa, è bene precisare che sia il difensore, sia l’esercente la responsabilità genitoriale possono attivarsi per lo’instaurazione del giudizio de quo solo se muniti di procura speciale. La sede dell’udienza preliminare costituisce la naturale collocazione del procedimento in esame che può essere richiesto fino a quando non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422. La celebrazione dell’udienza preliminare che si incardina nel processo minorile è affidata ad un giudice collegiale specializzato, cioè da due esperti e un togato. 1 Non emergono particolari questioni quando la piattaforma di partenza costituita dal giudizio direttissimo. In questo caso ci si deve uniformare al disposto dell’art. 452, 2 c cpp, con la conseguenza che il tribunale per i minorenni, qualora reputi ammissibile la richiesta, è tenuto a disporre con ordinanza la prosecuzione dl giudizio con il rito abbreviato. Maggiori difficoltà sono emerse nel caso in cui ci sia la richiesta di giudizio abbreviato formulata dall’imputato nel corso del giudizio immediato: è risultato di non facile soluzione l’interrogativo sull’individuazione del giudice competente. La questione è stata affrontata da due pronunce che si sono schierate a favore dell’investitura del giudice dell’udienza preliminare composto da un magistrato togato e da due giudici onorari. Del resto, deve essere rispettata la specializzazione del giudice, che garantisce un’adeguata considerazione della personalità e delle esigenze educative del minore. Il giudizio direttissimo L’art.25 commi 2 e 2 ter ammettono ulteriori condizioni rispetto a quelle stabilite dal codice di procedura penale. Per quanto riguarda il giudizio direttissimo che implica una fase investigativa compressa, la sua celebrazione presuppone l’esistenza di elementi di prova molto eloquenti circa la responsabilità dell’imputato. Il legislatore ha ammesso la celebrazione del giudizio de quo solo qualora sia possibile compiere gli accertamenti sulla personalità previsti dall’art. 9, nonché assicurare al minore l’assistenza dei genitori e dei servizi minorili, alla quale fa riferimento l’art. 12 (art. 25 comma 2). In un secondo tempo, con L. 24/07/2008 n. 125, è stato aggiunto l’art. 25 comma 2 ter, il quale preclude al m di optare per il giudizio direttissimo nei casi in cui tale scelta pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore. Il giudizio immediato Il giudizio immediato , la cui specialità va ravvisata nell’assenza dell’udienza preliminare, è quella basata sulla parte processuale che formula la relativa richiesta. Se partiamo dall’ipotesi in cui sia il pm il rimo ad attivarsi, va detto che hanno diritto di cittadinanza sia il rito immediato tradizionale di cui si occupa l’art. 453 cpp, sia il giudizio immediato custodiale, introdotto dalla L. 125/2008 e disciplinato dall’art. 453 comma 1 bis cpp. Qualora sussistano i presupposti, il pm è obbligato ad optare per il rito immediato, fatta eccezione nel caso in cui pregiudicherebbe gravemente le indagini. Il giudizio immediato è precluso quando non è possibile compiere gli accertamenti previsti dall’art. 9 e assicurare al minorenne l’assistenza richiesta dall’art. 12. Ovviamente, una volta emesso dal GIP il decreto di giudizio immediato, resta salva la facoltà dell’imputato di richiedere il giudizio abbreviato che, in seguito alla sentenza della Corte Cost. n. 1 del 2015 deve essere celebrato davanti al giudice dell’udienza preliminare, nella composizione prescritta dall’art. 50-bisx comma 2 ord. giud. 2 La pronuncia può essere adottata dal giudice anche d’ufficio, ma si tratta di una clausola può trovare attuazione solo in udienza preliminare o in dibattimento, dove il giudice è dominus della fase. In corso di indagine, sarà il pm a doversi attivare, chiedendo il proscioglimento immediato. La decisione presuppone l’accertamento della responsabilità penale del minore imputato. Il proscioglimento per difetto di imputabilità, postula risolto il quesito in esenzione della pena operante a favore di chi, altrimenti, dovrebbe essere punito perché colpevole. Il fatto che la decisione sul difetto di imputabilità presuppone la verifica della colpevolezza assume particolare rilievo nel caso in cui la sentenza venga adottata prima del dibattimento e facendo uso di atti di indagine. Ove la decisione sia adottata in udienza preliminare, il problema parrebbe risolto dal tenore dell’art. 32, che impone al giudice di raccogliere il consenso preventivo dell’imputato alla definizione del processo in quella fase. Qualora, invece, la decisione si collochi in corso di indagine, non vi è traccia nel testo legislativo della necessità di richiedere al minore di consentire alla definizione immediata del processo ex art. 26. Si deve ritenere che la disciplina sia incostituzionale in parte qua, vuoi per violazione dell’art. 111 comma 4 Cost., prevedendo una dichiarazione di colpevolezza in base ad atti non formati in contraddittorio ed in assenza di una delle deroghe ammesse dall’art. 111 comma 5 Cost., vuoi perché implica una disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’udienza preliminare, in cui il consenso è indispensabile. È pacifico che operino le norme in tema di udienza preliminare e dibattimento. I principi costituzionali del sistema processuale esigono l’attivazione di un contraddittorio, sicché dovrà celebrarsi un’udienza, a seguito dell’iniziativa del pm. Si pensa che possa trovare applicazione analogica la disciplina dell’art. 27 e che quindi il GIP debba fissare udienza in camera di consiglio ed ivi, sentite le parti, pronunciare sentenza di non luogo a procedere, in caso di accoglimento, e provvedimento di restituzione degli atti al pm, in caso di rigetto. 4. Irrilevanza del fatto È disciplinato dall’art. 27 e costituisce una disciplina del tutto originale nel processo minorile, nel quale ha trovato sede di sperimentazione dal 1988, prima di essere esportato nell’ordinamento processuale per adulti, inizialmente nella forma dell’improcedibilità per particolare tenuità del fatto nel rito penale di pace ed infine con l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dal d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, come ulteriore ipotesi di archiviazione nel procedimento ordinario (art. 411 cpp). Nel rito minorile integra un’ipotesi di diversion incondizionata, dato che comporta che lo Stato rinunci a pronunciare la condanna e ad applicare la pena, in considerazione della scarsa consistenza della condotta criminosa e delle sue conseguenze. Queste corrispondono a condotte di ridottissima lesività, spesso legate a occasionali situazioni di disagio o disordine comportamentale, destinate allo spontaneo riassorbimento con il maturare del minore e il consolidarsi fisiologico della sua personalità. Sullo sfondo del’istituto stanno il principio di proporzionalità tra l’entità della condotta criminosa e la reazione istituzionale che ne segue, il principio di minima offensività e, conseguentemente, quello di destigmatizzazione. 5 L’irrilevanza del fato ex art. 27, nella sua struttura base, comporta che il giudice possa prosciogliere quest’ultimo già a partire dalla fase delle indagini preliminari su richiesta del pm e, in fase processuale, anche d’ufficio. In considerazione dl principio del favor rei, si ritiene che l’irrilevanza del fatto debba prevalere sul perdono giudiziale, che viene considerato meno favorevole per l’imputato perché può essere concesso una sola volta e la relativa decisione è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale. Dubbi, però, nascono sotto il profilo processualistico dell’istituto, dal momento che sembra contravvenire al postulato dell’obbligatorietà dell’azione penale ex art. 112 Cost. Sul punto la dottrina è abbastanza pacifica nell’asserire che il problema non si pone perché, nella fattispecie, c’è un’iniziativa del pm e il provvedimento è adottato mediante sentenza previo contraddittorio. In realtà, un dubbio resta, in relazione al principio di legalità e uguaglianza: rimane il rischio che il magistrato d’accusa possa determinarsi discrezionalmente su tale opzione e che il controllo giudiziale successivo aggiunga alla sua un’ulteriore libertà di manovra, più che svolgere un vaglio di legalità. Inoltre, l’art. 27 è affine all’art. 34 d. lgs. N.274 del 2000 “esclusione di procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” nel rito penale di pace. Tuttavia, quello previsto per il rito penale di pace è connotato dalla natura giuridica di improcedibilità, che può giustificare un provvedimento di archiviazione. Ci si può domandare se il tribunale per i minorenni possa applicare suddetto d. lgs: in forza del principio di specialità e sussidiarietà non pare che il rito minorile offra spazi applicativi per la particolare tenuità del fatto del rito di pace. Le stesse conclusioni si devono trarre nel rito ordinario, ammessa dal combinato disposto degli artt. 131-bis cp e 411 cpp, novellati dal d.lgs. n. 28 del 2015. Anche in questo caso si deve ritenere che le peculiarità dell’istituto minorile vadano preservate e che la disciplina dell’irrilevanza minorile vada considerata in tutto e per tutto prevalente sul suo omologo codicistico. 5. (segue): i presupposti I presupposti dell’irrilevanza del fatto sono tre, i primi due oggettivi (la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento) e il terzo soggettivo (il pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento potrebbe arrecare alle esigenze educative del minore). Essi debbono ricorrere congiuntamente, il fato deve essere tenue e il vaglio deve essere fatto in concreto. La tenuità, inoltre, non va confusa con l’inoffensività, giacché se il fatto è completamente inoffensivo, semplicemente non raggiunge la soglia della tipicità. Il fatto tenue, è un fato tipico, antigiuridico e colpevole. Il giudizio di tenuità va compiuto nel suo complesso, considerando sia l’elemento oggettivo, che quello soggettivo del reato. Assumono rilievo anche fattori soggettivi, come l’intensità del dolo, il grado di colpa e lo stesso movente del reato. Il secondo presupposto è l’occasionalità del comportamento. È un criterio di seriazione temporale, dato che non può essere considerato occasionale un comportamento illecito che sia ripetuto nel tempo uguale a se stesso. 6 Il terzo presupposto soggettivo o “teleologico”, è costituito dal pregiudizio che la prosecuzione dl rito potrebbe arrecare alle esigenze educative dell’imputato. Connesso al principio di minima offensività, il rischio di pregiudicare i percorsi educativi in atto portando avanti un procedimento penale dedicato a un fatto bagatellare è null’altro che la spiegazione delle ragioni fondanti dell’istituto, l’esplicitazione della sua stessa ratio. La Corte costituzionale ha affermato che il giudice investito della decisione sull’irrilevanza del fatto in corso di indagine sarebbe chiamato a pronunciarsi sulla richiesta del pm in astratto e assumendosi l’ipotesi accusatoria, per l’appunto, come mera ipotesi, e non dopo aver accertato in concreto che il fato è stato effettivamente commesso e che l’imputato ne porta la responsabilità. La teoria del vaglio meramente ipotetico sull’accusa, tuttavia, non convince. È ormai pacifico che la decisione che dichiara il non luogo a procedere per irrilevanza del fatto in udienza preliminare figuri tra quelle che, per il loro essere “cripto” condanne, presupponendo logicamente la colpevolezza, esigono la prestazione del consenso preventivo del minorenne alla definizione del processo in tale fase ex art. 32: in tal modo, il co0nsenso dell’imputato colma il deficit di contraddittorio che affligge normalmente gli atti delle indagini preliminari rendendoli idonei a fondare una statuizione di colpevolezza. Si deve ritenere che l’accertamento della responsabilità penale del minore per il reato ascrittogli sia un presupposto necessario della declaratoria di irrilevanza. La Corte costituzionale ha ribadito che per la declaratoria di irrilevanza debba richiedersi il consenso preventivo dell’imputato in udienza preliminare, precisando che, in caso di contumacia dell’imputato, non potendosi raccogliere l’adesione all’esito anticipato, si impone,m anche se il fatto è irrilevante, il rinvio a giudizio. Il punto appare più delicato in considerazione dell’art. 27 comma 2 il quale non richiede il consenso dell’imputato. Vi chi propone un’esegesi correttiva, secondo cui l’art. 32 comma 1 andrebbe applicato per via analogica anche nella fattispecie in esame. A tale scopo, si potrebbe impiegare l’audizione del minore nell’udienza camerale prevista dall’art. 27 comma 2 come occasione per raccoglierne la manifestazione di volontà alla sentenza di irrilevanza. Questa è un’impostazione che comporta qualche forzatura, ma va detto che è l’unica alternativa praticabile. Il testo normativo dell’art. 27 si presenta in contrasto con gli artt. 111 comma 4 e 3 Cost. Quanto al primo, la legge ordinaria ammette che si pronunci una decisione che postula la colpevolezza in base ad atti che non siano stati formulati in contraddittorio e senza che ricorra alcuna delle deroghe consentite ex art. 111 comma 5 Cost.; quanto al secondo, essa comporta una disparità di trattamento irragionevole tra il minorenne prosciolto per irrilevanza in udienza preliminare e quello prosciolto allo stesso modo in corso di indagine, il cui assenso alla decisione invece non è richiesto. 6. (segue): il procedimento La declaratoria per irrilevanza del fatto può essere pronunciata sin dalle indagini preliminari, ex art. 27, su richiesta del pm. Il quarto comma della stessa norma precisa che la pronuncia può essere emessa anche ex officio in udienza preliminare, com’è testualmente confermato dall’art. 32 comma 1. Nei giudizi immediato e direttissimo, è lo stesso art. 27 comma 4 ad ammettere che l’irrilevanza possa dichiararsi anche d’ufficio. 7 art. 27 comma 2 Cost., giacché comporta il trattare l’imputato come se fosse colpevole prima ancora di averlo verificato in modo conclusivo. In quest’ottica, si può riconoscere all’imputato la possibilità di derogarvi, manifestando allo scopo la propria volontà; la presunzione di innocenza non ne sarebbe vulnerata, ma solo affievolita. Allo scopo di ottenere l’estinzione del reato, infatti, il minorenne imputato si sottopone volontariamente al programma di prova e così accetta che la sua responsabilità sia verificata solo provvisoriamente, allo stato degli atti e sulla base di una regola di giudizio di minor caratura. La messa alla prova è una misura fortemente rieducativa e risponde al principio di individualizzazione. È ritagliata sui bisogni, sulle caratteristiche, sulle risorse personali e ambientali del minore che ne è destinatario. Tuttavia, tale assetto rischia di creare tensione con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 cost. e con quello di legalità sul quale si basa il sistema penale: solo un’adeguata definizione normativa dei presupposti di ammissione della prova e dei criteri per valutarne gli esiti può sottrarre l’istituto al conflitto con la Carta fondamentale. È plausibile, però, che ad essa vada riconosciuta una natura composita (Corte Cost. n.91/2018), visto che di fatto si colloca sia sul piano sostanziale sia processuale. In altri termini, è istituto di carattere sostanziale se si considerano gli effetti sul reato e sulla pena, ma processuale quanto alla speciale dinamica che a tale risultato conduce. 8. (segue): i presupposti I presupposti sono sia impliciti che espliciti, in ragione del fatto che siano espressamente previsti dalla legge o vadano desunti per via esegetica dalla trama normativa. Possono anche essere oggettivi e soggettivi, a seconda che si riferiscano al fatto o al processo ovvero all’imputato minorenne e alle sue caratteristiche. L’unico criterio normativamente espresso è quello previsto dall’art.28 comma 1. Si tratta palesemente di un parametro vago, che lascia al giudicante ampi margini di discrezionalità, risolvendosi nella mera ammissibilità della prova ogni qual volta il giudice reputi opportuno farvi ricorso. La Corte di cassazione identifica gli indicatori che il giudice deve tenere presenti per la valutazione nel tipo di reato commesso, nelle modalità esecutive, nei motivi a delinquere, nei precedenti penali, nonché nella personalità e nel carattere dell’imputato. Ne risulta che la prova non verrà ammessa solo nei rari casi in cui la vita del minore, la sua personalità e il contesto (anche familiare) di appartenenza mostrino i segni di una scelta deviante ormai radicata e l’avvenuto consolidamento della personalità su valori negativi. Oltre a quello enunciato dalla legge, vi sono altri possibili presupposti soggettivi identificabili nel sistema, benché implicitamente. Solo in concreto, se coincidente con il consolidarsi della personalità che renda poco plausibile il successo di un percorso di risocializzazione, il fatto che l’imputato sia divenuto un giovane adulto può indurre a rifiutare il probation. Per contro, l’elevata pericolosità del minore e l’avvenuta opzione di questi per un sistema di vita improntato alla devianza, dovrebbero considerarsi ragionevolmente di ostacolo alla concessione della misura del probation, peraltro da praticarsi in stato di libertà, visto che difficilmente la messa alla prova può coesistere con una misura cautelare in corso. Si deve ritenere che la prova postuli accertata la capacità di intendere e di volere del minore al momento del fatto e si pensa che la prova esiga anche un’adeguata maturità. Il consenso del minore è considerato dai più una condizione indispensabile per la riuscita del programma: nessuna strategia risocializzante ha molte speranze di successo a fronte di un minore che non intenda esserne partecipe, limitandosi a subirla. Si considera, comunque, ineludibile sia in dottrina che in giurisprudenza, che prima della sospensione del processo con messa alla prova si faccia luogo all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato per il reato ascrittogli. 10 Resta da domandarsi se costituisca un presupposto del probation processuale la confessione. Il problema si pone perché, di fatto, la giurisprudenza, pur ammettendo che la legge non richiede la confessione come condizione per l’ammissione alla prova, la considera un elemento sintomatico da cui desumere il ravvedimento, a sua volta ritenuto necessario per formulare un giudizio prognostico positivo sull’evoluzione della personalità del minore: solo la sua disponibilità alla rivisitazione critica del proprio passato potrebbe giustificare una prognosi di successo della prova e costituire quindi una ragione per concederla. Anzi, ammetterla come condizione inespressa di ammissibilità si traduce in una lettura contraria al dettato costituzionale, dal momento che si pone in contrasto sia con il diritto al silenzio sia con la presunzione di non colpevolezza che pone l’onere della prova a carico del pm. In questo caso, al contrario, considerare la confessione come presupposto per ottenere il probation processuale metterebbe il minore imputato nella condizione di dover collaborare a proprio svantaggio per poter accedere ad un beneficio, così ledendo entrambi i canoni fondamentali appena richiamati. 9. (segue): la decisione sulla messa alla prova L’applicazione della messa alla prova può avvenire soltanto in fase processuale, a partire dall’udienza preliminare. In caso di esisto negativo della prova, l’art. 29 prevede che il processo riprenda il suo corso e il giudice provveda ai sensi degli artt. 32 e 33, norme che regolano l’udienza preliminare e il dibattimento. L’art. 27 disp.att. min. affida i poteri di controllo e supervisione dell’andamento della prova al presidente del collegio, presupponendo che l’organo che governa la fase in cui la prova è disposta sia necessariamente collegiale. L’udienza preliminare viene considerata la sede elettiva per l’attivazione del probation, dal momento che è il segmento processuale a vocazione più marcatamente deflativa e che il principio di minima offensività impone di innescare i percorsi di diversion dal primo momento utile, senza proseguire inutilmente l’iter processuale. Ciò non toglie che anche le fasi successive del processo consentano al giudice procedente di sospendere il percorso e mettere in prova il minorenne. La messa alla prova è pacificamente ammissibile in dibattimento, sia ordinario che attivato a seguito del giudizio immediato o direttissimo. Consentita altresì nel giudizio abbreviato e in quello immediato a richiesta dell’imputato. Per quanto riguarda l’Appello, si deve ritenere che sia ammissibile, non ci sono dati testuali a vietarlo. Si ritiene che la corte d’appello possa applicare la messa alla prova compatibilmente con il principio devolutivo, ossia solo in sede di controllo della decisione di primo grado. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, quando il giudice di primo grado abbia negato ingiustificatamente la messa alla prova legittimamente richiesta, erroneamente omettendo l’indagine sulla personalità del minore ai sensi dell’art. 9 oppure per un’altra ragione. L’appellante non può richiedere la messa alla prova in appello, senza mai averla sollecitata prima, né la corte può ammetterla d’ufficio. Le modalità di ammissione sono disposte dall’art. 28 e se ne desume che possa essere richiesta anche d’ufficio. La norma, comunque, richiede che il giudice proceda in tal senso sentite le parti, ossia previa attivazione di un contraddittorio specifico sul punto. L’omissione del contraddittorio prescritto comporta una nullità a regime intermedio, ex art. 178 lett. B e C cpp. Al giudice spetta l’accertamento sulla responsabilità allo stato degli atti, almeno riguardo alla verifica che non sussistano cause di proscioglimento da dichiarare in via immediata. Se, inoltre, emergono le condizioni perché il minore ottenga in seguito un esito più favorevole , come un proscioglimento per immaturità o una 11 declaratoria di irrilevanza del fatto, si deve soprassedere sulla sospensione con messa alla prova per accedere poi, all’esito dell’udienza, alle opzioni migliori. Il giudice dovrà valutarne i presupposti, non solo sulla base agli elementi di prova o alle prove raccolti sino a quel momento, ma anche all’inchiesta psico-sociale svolta dai servizi ai sensi dell’art. 9 Il provvedimento che dispone la prova assume la forma di un’ordinanza motivata. Si tratta di un atto multifunzionale, dal momento che con esso il giudice: - Dà conto dell’accertamento di responsabilità - Ordina la sospensione del processo, motivando in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti - Affida l’imputato ai servizi sociali, provvedendo in ordine all’esecuzione del progetto approntato a tal fine, riproducendolo testualmente o facendo ad esse riferimento per relationem - Fissa il termine per lo svolgimento della prova. L’imputato minore ha la legittimazione ad impugnare, ma ci sono dei limiti: l’art.28 comma 3 prevede che contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pm, l’imputato e il suo difensore, nonché l’esercente la responsabilità genitoriale. Si può impugnare per difetto di motivazione o per deficit di contraddittorio in ordine al’ammissibilità o ai contenuti del progetto. Inoltre, il rigetto del giudice dell’ udienza preliminare non impedisce di chiedere l’attivazione del probation in dibattimento ed eventualmente, in fase di controllo della decisione di primo grado, anche in appello. 10. (segue): il progetto L’esistenza del progetto di prova deve preesistere all’ordinanza che dispone la messa alla prova. L’art. 27 disp. Att. Min. prevede che il giudice disponga la sospensione con messa alla prova sulla base di un progetto elaborato dai servizi sociali, evidentemente presupponendo che esso sia già definito al momento della decisione. Nulla vieta, in concreto, che il giudice possa dare ai servizi l’input sull’opportunità della messa alla prova e rinviare l’udienza perché questi definiscano il progetto oppure che siano i servizi a sollecitare il giudice in tal senso predisponendo una bozza di programma, da affinare per una successiva udienza. La redazione del progetto spetta ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, come precisato dall’art. 27 comma 1 disp. Att. Min. Al giudice spetta solo il vaglio finale sull’adeguatezza del progetto ed, eventualmente, l’indicazione delle modifiche necessarie a renderlo idoneo all’approvazione. Più di recente, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto al giudice il potere di inserire nel programma anche le prescrizioni di diverso tipo, purché attivi su di esse preventivamente il contraddittorio tra le parti e la consultazione con i servizi sociali. La prova dovrebbe vertere su un progetto adeguato alle risorse personali ed ambientali del minore, oltre che al tipo di reato commesso. Dovrebbe essere chiaro,realistico e praticabile e flessibile. Infine, deve essere verificabile, così da assicurare un vaglio obiettivo col suo successo o fallimento. I contenuti minimi che inderogabilmente il programma deve avere sono comunque indicati alle lett. a-d dell’art. 27 comma 2 disp. att. min. La lett. a: “le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita.” Le prime vanno riferite ai termini dell’impegno del minore nelle attività; le altre al possibile apporto che possono dare i membri della famiglia. 12 L’esito della prova deve essere oggetto di adeguata e specifica motivazione, che indichi puntualmente le ragioni della valutazione e gli elementi utilizzati per sostenerla e che non dovrebbe risolversi nel mero rinvio alle relazioni dei servizi sociali, specie se contestate da una parte. Del resto, il vaglio finale va effettuato in apposita udienza e in contraddittorio fra le parti, poiché l’udienza stessa sarà un’udienza preliminare dibattimentale a seconda della fase in cui il processo è stato sospeso. A tale scopo, si deve ritenere che la relazione finale dei servizi sociali, che viene inviata al presidente del collegio e al pubblico ministero ai fini di cui l’art. 29, vada preliminarmente depositata pure a disposizione della difesa perché possa prenderne visione ed estrarne copia. L’imputato potrà essere sentito, mediante interrogatorio o esame e comunque a dichiarazioni spontanee se lo ritiene. In caso di successo del probation, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, con cui dichiara il reato estinto per esito positivo della prova. L’esito negativo della prova, impone al giudice di provvedere la prosecuzione del processo nella sede in cui è stato sospeso a suo tempo, in udienza preliminare o in dibattimento. Questo implica una ripresa fisiologica. Dopo l’insuccesso della prova, si deve ritenere che lo sbocco più probabile del processo sia, in udienza preliminare, il rinvio a giudizio, e in dibattimento la condanna, poiché all’epoca della sospensione gli esiti alternativi più favorevoli avrebbero dovuto essere già scartati. All’imputato adulto sottoposto a una prova fallimentare vengono detratti i giorni della prova eseguita dal periodo di pena da scontare, mentre lo stesso non varrà per il minorenne che si trovi nella medesima condizione. La disparità di trattamento, tuttavia, non cozzerebbe, perché la messa alla prova minorile, a differenza di quella adulta, ha una connotazione esclusivamente rieducativa e le relative prescrizioni non potrebbero mai essere considerate misure sanzionatorie. Dunque, nel caso del minorenne se ne desume che essa non sia applicabile. In caso di esito positivo, Si potrebbe anche giungere a un proscioglimento con diversa formula, inclusa un’assoluzione nel merito. 13. La mediazione penale Per mediazione penale si intende il percorso di ricomposizione della lacerazione personale e sociale che la commissione del reato comporta, attraverso il confronto tra chi lo ha commesso e chi lo ha subito, con l’intervento di un soggetto imparziale che ne favorisca il dialogo. Essa può assumere diverse forme, la più rilevante delle quali è la cosiddetta VOM (Victim-Offender Mediation), che coinvolge direttamente reo e vittima, affidando all’attivazione di una comunicazione costruttiva tra loro la ritessitura del rapporto personale e sociale compromesso dalla commissione dell’illecito. È basata sulla riparazione delle conseguenze prodotte dal reato a beneficio della vittima e sull’applicazione di misure risocializzanti, che puntino subito ed in via esclusiva alla ricomposizione del conflitto sociale derivante dal reato e al reinserimento del reo. Essa viene svolta sulla base di protocolli operativi consolidati che contemplano colloqui preliminari separati del mediatore con il reo e la vittima. Quindi, in una o più sedute, reo e vittima si incontrano alla presenza di un mediatore per dialogare sull’accaduto. Il mediatore redige una breve relazione scritta in cui riepiloga succintamente il percorso di mediazione e ne valuta l’esito, sancendone il successo o il fallimento. 15 Il confronto del minore con chi del reato ha subito gli effetti e i danni è considerato una componente cruciale del percorso di maturazione e responsabilizzazione che il sistema mira per molti versi ad attivare precocemente nei confronti del minore imputato. Non vi è, però, una cornice legislativa. Infatti, l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in un recente documento di studio e di proposta (14.12.2018), ha elaborato delle specifiche raccomandazioni sulla mediazione penale altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, che esordiscono con l’invito al legislatore a introdurre una disciplina specifica dedicata a questi strumenti. Sul piano pratico, la mediazione penale sta trovando una sua autonoma dimensione, mediante il collegamento con un altro istituto di diversion: la declaratoria d’irrilevanza del fatto. La prassi si è da tempo orientata ad attivare la mediazione penale già in fase di indagine, facendo leva sull’art. 9: in base ad esso, l’ufficio del pm chiede preliminarmente ai servizi sociali in sede di attivazione per l’inchiesta personologica e sociale, di verificare la disponibilità delle persone coinvolte a seguire un itinerario di mediazione. Se la risposta è positiva, gli uffici attivano la mediazione penale e il pm ne attende l’esito: in caso di successo attestato dalla relazione scritta del mediatore, il pm chiede la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto già in fase di indagine ex art. 27. La prassi registra anche l’impiego nella mediazione penale come strategia di intervento rispetto a minori non imputabili, talora persino infraquattordicenni. In quest’ultimo caso, l’art.26 impone il proscioglimento immediato per non ledere il principio di minima offensività e l’economia processuale. Infine, la mediazione penale e gli altri percorsi di giustizia riparativa sono entrati a far parte delle finalità assegnate all’esecuzione penale minorile. L’art. 1 comma 2 d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, afferma che devono essere favoriti nell’esecuzione tanto della pena detentiva quanto delle misure penali di comunità. Il testo legislativo non disciplina gli spazi entro i quali tali tecniche dovrebbero attuarsi, né le caratteristiche, le cadenze e le garanzie del relativo procedimento, lasciando una lacuna grave, che andrà colmata da interpreti ed operatori. 16
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