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Procedura Penale-Riassunto dei Fondamenti Procedura penale a.a.2020, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Elaborazione personale per l'esame di Procedura Penale. Argomenti: legge processuale penale, soggetti del processo,atti; prove, mezzi di ricerca delle prove, misure cautelari; procedimento, riti speciali, giudizio ordinario; impugnazioni; esecuzione; Rapporti giurisdizionali con autorità straniere; Processo minorile e responsabilità amministrativa degli enti

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 03/12/2020

theangel1974
theangel1974 🇮🇹

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Scarica Procedura Penale-Riassunto dei Fondamenti Procedura penale a.a.2020 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! LINEAMENTI DI PROCEDURA PENALE (8^ edizione) – Gilberto Lozzi Riassunto realizzato nel 2020 da Davide Angelini Parte prima: La legge processuale penale, i soggetti del processo, gli atti Cap. I - IL PROCESSO PENALE 1. Gli interessi in conflitto Nel processo penale sussistono due interessi tra di loro nettamente antitetici: l'interesse ad una sollecita definizione del processo penale con attuazione dell'economia processuale e della pretesa punitiva dello Stato, da un lato e, dall'altro, l'interesse al rispetto della forma e, di conseguenza, all'attuazione del princìpio di eguaglianza nell'applicazione della legge processuale per tutti i cittadini. Il contrasto tra questi interessi conflittuali ha sempre segnato la storia del processo penale ed è estremamente difficile un bilanciamento degli interessi stessi: un formalismo eccessivo allontana troppo la soluzione del processo, ma la vanificazione delle forme determinata dall'assenza di sanzioni processuali rende possibili processi gravemente irregolari e, di conseguenza, aumenta il rischio di errori giudiziari. 2. Sistema accusatorio e sistema inquisitorio Nel delineare le caratteristiche di un sistema processuale penale si fa inevitabilmente riferimento ai due modelli astratti del sistema accusatorio e del sistema inquisitorio. Nel sistema accusatorio: si ha un organo accusatorio (il pubblico ministero) nettamente distinto dal giudice (anche se entrambi sono magistrati), il quale ha una connotazione di terzietà; il processo è pubblico ed orale, nonché contraddistinto dalla “parità delle armi” (ossia di diritti e poteri) di accusa e difesa; è prevista la libertà personale della persona accusata generalmente sino all'irrevocabilità della sentenza di condanna; le prove devono essere prodotte nel dibattimento (a seconda che siano a carico o a discarico) dal pubblico ministero e dall'accusato. Nettamente antitetiche sono le caratteristiche del sistema inquisitorio, nel quale: il giudice è contemporaneamente organo accusatorio e difetta, quindi, di terzietà; il processo è scritto e caratterizzato da una segretezza esterna ed interna, nel senso che gli atti processuali devono rimanere segreti non solo per i soggetti estranei al processo, ma anche per lo stesso accusato;  vi è poi una totale disparità di poteri fra il giudice accusatore e l'accusato; è prevista una carcerazione preventiva di quest'ultimo: il giudice ricerca le prove senza che venga riconosciuto all'accusato alcun diritto in ordine all'assunzione delle stesse. Nella realtà, non esistono processi accusatori o inquisitori puri, ma solo processi misti. 1 3. Le connotazioni del processo penale nel codice vigente Il vigente codice di procedura penale del 1988 (cd codice “Vassalli”) ha accolto, distaccandosi dal precedente codice “Rocco”, un sistema processuale di tipo prevalentemente accusatorio, con un parte inquisitoria, peraltro temperata, nella fase delle indagini preliminari. Il codice “Vassalli” distingue tra procedimento e processo: il procedimento è integrato dalla fase delle INDAGINI PRELIMINARI compiuta dal pubblico ministero (magistrato requirente), fase destinata all'acquisizione di soli “elementi di prova” per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale e, cioè, per decidere se esercitare o meno l'azione penale. Con l'esercizio dell'azione penale l'accusato (sino a quel momento “indagato”) acquisisce la qualità di imputato ed inizia il processo penale. L'assunzione della prova vera e propria è riservata alla fase del dibattimento, con l'eccezione dell'incidente probatorio per le prove non rinviabili al dibattimento stesso. Il processo delineato dal codice “Vassalli” è, inoltre, previsto come un processo di parti e, quindi, si è accentuata la natura accusatoria del pubblico ministero e si è data attuazione al princìpio dispositivo, nel senso che le prove sono ammesse a richiesta di parte e non disposte d'ufficio dal giudice (salve eccezioni); ciò determina un'effettiva terzietà del giudice (magistrato giudicante). Contraddittorio nel momento di formazione della prova, princìpio dispositivo e terzietà del giudice sono i princìpi fondamentali del codice “Vassalli”. 4. Fonti del diritto processuale penale Le fonti del diritto processuale penale sono integrate, oltre che dalle norme della legislazione ordinaria (contenute per gran parte nel codice di procedura penale), da numerose norme costituzionali contenenti fondamentali disposizioni di natura garantistica come, ad esempio:  l'art. 13 che prevede l'inviolabilità della libertà personale; l'art. 15 sulla libertà e segretezza della corrispondenza;  l'art. 24, 2° comma, sull'inviolabilità del diritto di difesa;  l'art. 25, 1° comma, che sancisce il princìpio del giudice naturale precostituito per legge;  l'art. 27, 2° comma che prevede la presunzione di innocenza sino alla sentenza definitiva;  l'art. 97, 1° comma, che prevede l'imparzialità della pubblica amministrazione e, quindi, anche dell'amministrazione della giustizia;  l'art. 112 che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale;  l'art. 111 che contiene i princìpi sul “giusto processo”. 5. La modifica dell'art. 111 Cost. Per assicurare una piena attuazione dei princìpi del processo accusatorio il Parlamento, con la legge costituzionale n. 2/1999, ha riformato l'art. 111 Cost., facendo precedere al vecchio comma 1 (oggi comma 6) i seguenti comma:  comma 1 - “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Comma 2 - “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.  Comma 3 - “Nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà davanti al giudice di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”.  Comma 4 - “Il processo penale è regolato dal princìpio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, 2 La ricusazione è la dichiarazione mediante la quale una parte del processo chiede la sostituzione di un giudice in un determinato processo, in quanto sussiste una delle situazioni menzionate nelle lettere a), b), c), d), e), f), g) dell'art. 36 cpp sopra studiate, oppure in quanto il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione (art. 37, 1° comma, cpp). La richiesta di ricusazione può essere presentata (art. 38, 1° comma, cpp): nell'udienza preliminare sino a quando non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; nel giudizio subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti; in ogni altro caso prima del compimento dell'atto da parte del giudice. Sulla richiesta di ricusazione decidono: la Corte d'appello, se ad essere ricusato è il giudice di pace, un giudice del tribunale o della Corte d'assise o della Corte d'assise d'appello; una sezione diversa della Corte d'appello, se ad essere ricusato è un giudice della Corte d'appello; una sezione diversa della Corte di cassazione, se ad essere ricusato è un giudice della Corte di cassazione. Il giudice astenuto o ricusato è sostituito con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario. Ove la dichiarazione di astensione o la richiesta ricusazione siano accolte, il giudice non può compiere alcun atto del procedimento, a pena di nullità assoluta (per difetto di capacità del giudice). Il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o la richiesta di ricusazione dichiara se, ed in quale parte, gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenuto o ricusato conservano efficacia. 4. La competenza e la composizione del giudice La giurisdizione penale va ripartita fra i vari organi titolari di detto potere sulla base di vari criteri di competenza individuati dalla competenza funzionale, dalla competenza per materia e dalla competenza per territorio. La COMPETENZA FUNZIONALE sta ad indicare la ripartizione della giurisdizione penale fra i vari organi con riferimento ai vari stati (o fasi) e gradi del procedimento nel modo seguente: nella fase delle indagini preliminari la competenza funzionale spetta al GIP; nell'udienza preliminare la competenza funzionale spetta al GUP (altro GIP); nel giudizio di primo grado la competenza funzionale spetta: a) al giudice di pace; b) al tribunale; c) alla Corte d'assise; nel giudizio d'appello la competenza funzionale spetta: a) al tribunale (contro le sentenze del giudice di pace); b) alla Corte d'appello (contro le sentenze del tribunale); c) alla Corte d'assise d'appello (contro le sentenze della Corte d'assise); nel giudizio per cassazione la competenza funzionale spetta alla Corte di cassazione. La COMPETENZA PER MATERIA spetta alla Corte d'assise che, ai sensi dell'art. 5 cpp è competente per: i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusiopne non inferiore nel massimo a 24 anni, esclusi i delitti, comunque aggravati, di tentato omicidio, di rapina, di estorsione, di associazione di tipo mafioso; i delitti dolosi, se dal fatto è derivata la morte di una o più persone; i delitti consumati o tentati di riduzione in schiavitù; 5  i delitti con finalità di terrorismo (sempre che sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni). La competenza per materia del giudice di pace è quella che risulta dall'art. 4 del d. lgs n. 274/2000. Vi rientrano i reati di percosse, di lesioni personali volontarie o colpose (perseguibili a querela della persona offesa, salvo che si tratti di prossimo congiunto o convivente, oppure che la fattispecie sia connessa alla colpa professionale o alla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), di ingiuria, di diffamazione, di minaccia, di furto punibile a querela dell'offeso). La competenza per materia del tribunale viene individuata in via residuale (art. 6 cpp). Al suo interno si opera l'ulteriore suddivisione dei reati di competenza del tribunale in composizione monocratica oppure in composizione collegiale (la dievrsa composizione del tribunale viene detta anche “attribuzione”). Ai sensi dell'art. 33bis cpp sono attribuiti alla cognizione del tribunale collegiale i delitti puniti con pena della reclusione superiore nel massimo a 10 anni (anche nell'ipotesi del tentativo) e, inoltre: i delitti di associazione mafiosa; i delitti di peculato e corruzione; i delitti di prostituzione minorile e violenza sessuale; i delitti di bancarotta. In tutti i casi non previsti dall'art. 33bis cpp o da altre disposizioni di legge, il tribunale giudica in composizione moncratica (art. 33ter cpp); sono inoltre attribuiti alla competenza del tribunale monocratico i delitti in tema di stupefacenti. Mentre nei procedimenti avanti al tribunale collegiale è prevista sempre l'udienza preliminare, in quelli davanti al tribunale monocratico “quasi” sempre manca l'udienza preliminare, e si procede con citazione diretta a giudizio dell'imputato ad opera del pubblico ministero. Una volta individuato l'organo giurisdizionale competente con riferimento alla fase/grado o alla materia (ossia il “tipo” di giudice), si rende necessaria una ripartizione territoriale del potere giurisdizionale tra giudici dello stesso “tipo” (cd COMPETENZA PER TERRITORIO). A tal fine il legislatore detta delle regole generali e delle regole suppletive applicabili quando non risultino attuabili le regole generali. Ai sensi delle regole generali (art. 8 cpp) la competenza per territorio è determinata: 1) dal luogo in cui il reato è stato consumato, a meno che si tratti di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone poiché, in tal caso, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione. 2) Se i tratta di reato permanente (es. sequestro di persona) è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone; 3) se si tratta di delitto tentato è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. Le regole suppletive si applicano laddove non possano applicarsi le regole generali di cui all'art. 8 cpp, e sono ordinate secondo un elenco “ad esclusione successiva”: il giudice competente è quello dell'ultimo luogo in cui è avventa una parte dell'azione o dell'omissione; se tale luogo non è noto, la competenza appartiene al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato; se nemmeno in tal modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato. 5. La connessione I criteri generali di competenza sopra menzionati possono essere derogati in situazioni espressamente previste dal legislatore. La più importante di queste è costituita dalla connessione, istituto in virtù del quale più procedimenti, che sarebbero di competenza di giudici diversi, vengono attribuiti alla competenza di un unico giudice; ciò al fine di ridurre la possibilità di conflitti teorici di giudicati. 6 L'art. 12 cpp dispone che si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (cd cumulo formale di reati) oppure con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (cd continuazione nel reato); c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. La connessione determina una serie di deroghe alla competenza per materia, alla composizione/attribuzione del tribunale e alla competenza per territorio, quando i reati connessi siano di comeptenza di giudici diversi o affidati alla cognizione del tribunale in diverse composizioni. A) La deroga alla competenza per materia si verifica quando alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della Corte d'assise e altri a quella del tribunale: in tal caso la competenza per tutti i reati spetta alla Corte d'assise (art. 15 cpp); Se, invece, alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza del giudice di pace e altri a quella della Corte d'assise o del tribunale, è competente per tutti il giudice superiore. B) La deroga alla composizione/attribuzione del tribunale si verifica se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla cognizione del tribunale in composizione collegiale ed altri a quella del tribunale in composizione moncratica: si applicano le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, al quale sono attribuiti i procedimenti connessi (art. 33quater, cpp). C) la deroga alla competenza per territorio si verifica quando i procedimenti connessi sarebbero, in assenza della connessione, di competenza di più giudici egualmente competenti per materia, ma di diversa competenza territoriale: la competenza per territorio appartiene, nei procedimenti di competenza della Corte d'assise o del tribunale, al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato. Se dal fatto è derivata la morte di una persona è competente il giudice del luogo in cui si è verificato l'evento. Nei procedimenti di competenza del giudice di pace, la competenza per territorio appartiene al giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato, oppure in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi. 6. La riunione e la separazione de i processi Quando più reati appartengono alla competenza del medesimo giudice (sia per effetto dell'applicazione delle regole “ordinarie” di determinazione della competenza per materia e per territorio, sia per effetto della disciplina derogatoria dettata dalla connessione), e ricorrono determinate condizioni stabilite dalla legge, è previsto che possa essere celebrato un unico processo cumulativo (simultaneus processus), previa riunione dei processi relativi a ciascuna ipotesi di reato. La riunione dei processi, che viene disposta dal giudice con ordinanza, è consentita a tre condizioni (art. 17 cpp): 1) i processi devono essere pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice; 2) la riunione non deve determinare un ritardo nella definizione dei processi medesimi; 3) i reati oggetto del processo cumultativo devono essere in rapporto di connessione, od avere un collegamento investigativo (cd “reati collegati” in quanto commessi gli uni per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo o l'impunità, oppure commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, oppure la prova di un reato influisce sulla prova dell'altro). A differenza della connessione, la riunione dei processi non determina di per sé deroghe all'ordinaria competenza per materia e territorio, in quanto interviene in un momento successivo all'individuazione del giudice competente; inoltre, la riunione è consentita in tutti i casi di connessione, ma non soltanto in tali casi (è infatti consentita anche nei casi di “reati collegati” ex art. 371, 2° comma, lettera b). Una volta riuniti, i processi devono essere separati nei casi previsti dall'art. 18 cpp, ossia: 1) se nell'udienza preliminare risulta possibile pervenire prontamente alla decisione nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni, mentre nei confronti degli altri imputati/imputazioni è necessario acquisire ulteriori informazioni; 7 9. I conflitti di giurisdizione e di competenza La pluralità di organi giurisdizionali può comportare contrasti tra gli stessi, sia in ordine alla giurisdizione, sia in ordine alla competenza. I conflitti di giurisdizione sussistono quando il contrasto concerna uno o più giudici ordinari da un lato, e uno o più giudici speciali dall'altro (ad esempio il contrasto riguarda il tribunale ordinario e il tribunale militare). Il conflitto di competenza si ha, invece, quando il contrasto riguarda due o più giudici ordinari (ad es. tribunale e Corte d'assise). Il conflitto di giurisdizione o di competenza può essere positivo (quando due o più giudici contemporaneamente prendano cognizione del madesimo fatto attribuito alla medesima persona), oppure negativo (quando due o più giudici contemporaneamente ricusino di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona). La proposizione del conflitto è disciplinata dall'art. 30 cpp e può essere effettuata dal giudice che rilevi il conflitto con ordinanza con cui rimette alla Corte di cassazione gli atti con indicazione della parti e dei difensori. Il conflitto può essere denunciato altresì dal PM presso uno dei giudici in conflitto, oppure dalle parti private, ed in tale ultimo caso la denuncia (scritta e motivata) è presentata nella cancelleria di uno dei giudici in conflitto. I conflitti vengono decisi dalla Corte di cassazione con sentenza emessa in seguito a procedimento in camera di consiglio ex art. 127 cpp. La decisione della Corte è vincolante, semprechè non emergano fatti nuovi determinanti una diversa qualificazione giuridica. Un “contrasto di competenza” può sorgere anche, durante le indagini preliminari, tra uffici del PM: su tale contrasto decide il Procuratore generale presso la Corte d'appello oppure, se il PM appartiene ad un diverso distretto di Corte d'appello, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Cap. III – IL PUBBLICO MINISTERO E LA POLIZIA GIUDIZIARIA 1. Il pubblico ministero In Italia vi sono due settori della magistratura: la magistratura giudicante (i giudici) e la magistratura requirente (i PUBBLICI MINISTERI). La magistratura requirente è attualmente costituita: dalla procura della Repubblica presso il tribunale e la Corte d'assise; dalla procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello; dalla procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione. Mentre non sussiste rapporto gerarchico tra le procure della Repubblica e le procure generali, in ogni procura dislocata sul territorio gli uffici sono organizzati al loro interno gerarchicamente ed hanno come capo: il Procuratore capo della Repubblica (coadiuvato da sostituti procuratori) nelle procure della Repubblica; il Procuratore generale presso la Corte d'appello (coadiuvato dall'avvocato generale e da sostituti procuratori) nelle procure generali presso la Corte d'appello; il Procuratore generale presso la Corte di cassazione (coadiuvato dall'avvocato generale e da sostituti procuratori) nell'unica procura generale presso la Corte di cassazione. I due settori della magistratura non comportano due carriere autonome, essendo consentito il passaggio dalla magistratura requirente a quella giudicante e viceversa. 10 2. L'obbligatorietà dell'azione penale Il PM ha il dovere di esercitare l'azione penale, vale a dire di dedurre la pretesa punitiva dello Stato chiedendo all'organo giurisdizionale di pronuniciarsi in ordine ad una determinata imputazione. Tale obbligatorietà è sancita dall'art. 50 cpp e imposta dall'art. 112 Cost. Va rilevato che il principio di obbligatorietà dell'azione penale ha effetti sull'inizio del procedimento, nel senso che inevitabilmente comporta l'obbligatorietà dell'apertura di un “fascicolo” ogni qual volta vi sia una notizia di reato, e, dunque, dello svolgimento delle indagini preliminari. Successivamente, e nel caso in cui vi siano gli elementi di prova per poter sostenere l'accusa a processo, il PM deve esercitare l'azione penale formulando l'imputazione e chiedendo il rinvio a giudizio dell'accusato. Il Procuratore generale non ha più un generale potere di autosostituzione e di avocazione libera delle indagini preliminari (in quanto, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, tra procura della Repubblica e procure generali non vi è più rapporto gerarchico, ma la gerarchia sta solo all'interno delle varie procure). Il Procuratore generale può assumere il comando delle operazioni investigative solo in casi tassativi di conclamata inerzia del PM procedente (come, ad esempio, ove si verifichi il superamento dei termini massima delle indagini preliminari). Nel corso delle udienze penali, il magistrato designato svolge le funzioni di PM con piena autonomia, e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale (grave impedimento, rilevanti esigenze di servizio, situazioni che determinano l'astensione obbligatoria del giudice, oppure, negli altri casi, se c'è il suo consenso). Il PM ha facoltà di astenersi (non è invece prevista la ricusazione) quando esistono gravi ragioni di convenienza. Sulla dichiarazione di astensione decidono, nell'ambito dei rispettivi uffici, il Procuratore capo della Repubblica o il Procuratore generale (c/o Corte d'appello o Corte di cassazione). 3. L'esercizio dell'azione penale e la richiesta di archiviazione Ai sensi dell'art. 405 cpp il pubblico ministero, quando non deve chiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale formulando l'imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio, oppure nelle richieste enunciate dalle norme che prevedono riti speciali (il patteggiamento, il giudizio immediato, il giudizio direttissimo, il decreto penale di condanna). Il processo penale inizia appunto con la formulazione dell'imputazione che comporta l'esercizio dell'azione penale. Il procedimento può chiudersi con l'archiviazione, mentre il processo deve comunque sfociare in una sentenza contraddistinta dalla “potenziale” irrevocabilità. Il PM non può decretare autonomamente l'archiviazione della notizia di reato, ma deve richiedere tale provvedimento di archiviazione al GIP (art. 408 cpp). Il PM presenta al GIP la richiesta di archiviazione quando ritiene l'infondatezza della notizia di reato, perchè gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 125 disp. att. cpp). Il GIP, a norma dell'art. 409, 2° comma, cpp, se non accoglie la richiesta di archiviazione fissa la data dell'udienza in camera di consiglio. A conclusione di questa udienza il GIP: 1) ove ritenga necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al PM; 2) in caso contrario, ove continui a ritenere di non poter accogliere la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro 10 giorni, il PM formuli l'imputazione (art. 409, 4° e 5° comma, cpp). 4. Il pubblico ministero come organo accusatorio Nel vigente sistema processuale il pubblico ministero svolge le funzioni di organo dell'accusa. Pur essendo una parte del processo egli, tuttavia, rimane una parte pubblica e, come tale, non può non avere esigenze di giustizia: il PM veglia infatti sull'osservanza delle leggi e sullla pronta e regolare amministrazione della giustizia, il che comporta, ad esempio, che egli possa chiedere a dibattimento 11 l'assoluzione dell'imputato ed impugnare la sentenza nell'interesse dell'imputato stesso. L'art. 358 cpp impone poi al PM di compiere, nel corso delle indagini preliminari, anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona assoggettata alle indagini (rammentiamo che le indagini preliminari vanno effettuate per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, vale a dire unicamente per decidere se esercitare o meno l'azione penale). Una volta acquisiti elementi idonei a giustificare l'esercizio dell'azione penale non spetta più al PM ricercare elementi di prova a difesa, posto che le prove vengono ammesse nel contraddittorio e a richiesta di parte; pertanto, l'ammissione delle prove a favore dell'imputato verrà richieste dalla difesa dell'imputato stesso. 5. La polizia giudiziaria Nello svolgimento delle sue funzioni, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, è coadiuvato dalla polizia giudiziaria. Al riguardo, occore anzitutto distinguere tra polizia di pubblica sicurezza e polizia giudizaria, con l'avvertenza che si tratta di una distinzione di funzioni e non di organi, perchè non è raro che la stessa unità operativa svolga funzioni di pubblica sicurezza ed anche di polizia giudiziaria. La polizia di pubblica sicurezza ha la funzione di assicurare l'ordine pubblico e di prevenire la commissione di reati, mentre la polizia giudiziaria interviene esclusivamente nella fase repressiva, cioè nell'ambito di indagini su reati già commessi (e così anche di propria iniziativa prende notizia dei reati, ne ricerca gli autori, compie gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova). Presso ogni procura della Repubblica è collocata un'unità operativa (detta anche “sezione”) di polizia giudiziaria, composta da ufficiali e agenti della Polizia di Stato, dell'arma dei Carabinieri e del corpo di Guardia di Finanza. L'art. 56 cpp stabilisce che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria, e l'art. 58 cpp prevede che ogni procura della Repubblica dispone della relativa sezione. Accanto a questa dipendenza di tipo funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, permane una dipendenza di tipo strutturale degli organi di polizia dal corrispondente ministro (ministro dell'interno per la Polizia di Stato, ministro della difesa per i Carabinieri, ministro dell'economia per la Guardia di Finanza). Cap. IV – LE PARTI PRIVATE 1. L'imputato La qualità di imputato (parte necessaria del processo penale) si acquista nel momento in cui il pubblico ministero esercita l'azione penale, momento che segna anche il passaggio dal “procedimento” al “processo”. L'art. 60 cpp dispone infatti che assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato: nella richiesta di rinvio a giudizio; nella richiesta di giudizio immediato; nella richiesta di decreto penale di condanna; nella richiesta di applicazione della pena (patteggiamento); nel giudizio direttissimo; nel decreto di citazione diretta a giudizio; La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo sino: all'irrevocabilità della sentenza di non luogo a procedere (al termine dell'udienza preliminare), della sentenza di proscioglimento (immediato ex art. 129, oppure ad esito del dibattimento ex artt. 529,530 e 531 cpp), della sentenza di condanna ex art. 533 cpp; a quando sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. 12 espressamente riconosciuti dalla legge, può presentare in ogni stato e grado del procedimento memorie ed indicare mezzi di prova . La persona offesa dal reato può, ai sensi dell'art. 101 cpp, per esercitare i diritti e le facoltà ad essa attribuiti, nominare un difensore con procura speciale semplice (ossia non per atto pubblico o scrittura privata autenticata). La persona offesa ha diritto anche di ricevere l'avviso dell'informazione di garanzia notificata all'imputato e può chiedere al PM di promuovere l'incidente probatorio (cui ha diritto di assistere). Ai sensi dell'art. 410 cpp la persona offesa può proporre opposizione alla richiesta di archiviazione del PM. Sono state altresì inserite nel cpp due nuove disposizioni che riconoscono alla persona offesa il diritto di essere informata in merito al procedimento penale che la coinvolge: 1) l'art. 90bis cpp prevede che la persona offesa, sin dal primo contatto con l'autorità procedente, debba ricevere in una lingua a lei comprensibile una serie di informazioni riguardanti le modalità di presentazione di denuncia o querela. Prevede altresì che la persona offesa ha: a) diritto di ricevere notizie circa lo stato del procedimento e l'eventuale richiesta di archiviazione; b) la facoltà di avvalersi di servizi di consulenza gratuita; c) di richiedere l'adozione di misure specifiche di protezione e assistenza; d) la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni patiti e il rimborso delle spese sostenute. 2) L'art. 90 cpp riformato stabilisce, altresì, che nei procedimenti commessi con violenza alla persona siano immediatamente comunicate alla persona offesa che ne faccia richiesta i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva a carico del condannato, nonché dell'evasione dell'imputato o del condannato. Senza pregiudizio del segreto investigativo, una volta decorsi 6 mesi dalla data di presentazione della denuncia o della querela, la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall'autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo (comma ter art. 335 cpp, aggiunto dalla legge 103/2017). 5. Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la multa o per l'ammenda Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (multa o ammenda) sono, come la parte civile, parti eventuali del processo penale. Quando si esercita l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno cagionato dal reato, la pretesa risarcitoria viene effettuata sia nei confronti dell'imputato che nei confronti delle persone (responsabili civili) che, a norma delle leggi civili, devono rispondere per il fatto commesso dall'imputato (ad es. per il danno cagionato dall'incapace di intendere e volere è responsabile il soggetto tenuto alla sorveglianza dell'incapace, ex art. 2046 c.c.; il proprietario del veicolo è responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, ex art. 2054, 3° comma, c.c.). Trattasi di responsabilità solidale. Quanto alle persone civilmente obbligate per la pena pecuniaria, l'art. 196 del codice penale dispone che nei reati commessi da chi è soggetto all'altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell'autorità o incaricata delle direzione o vigilanza è obbligata, in caso di insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di violazione di disposizioni che essa era tenuta a far osservare e delle quali non debba rispondere penalmente (ai sensi dell'art. 197 del codice penale ciò avviene anche a carico delle persone giuridiche diverse dallo Stato e degli altri enti pubblici territoriali per i reati commessi dai suoi amministratori, o da coloro che sono soggetti alla loro direzione e vigilanza, nell'interesse della persona giuridica). 15 Cap. V – I RAPPORTI TRA GIUDIZIO PENALE E GIUDIZIO CIVILE 1. Il principio dell'unità della funzione giurisdizionale In attuazione del princpio dell'unità della funzione giurisdizionale, esiste nel nostro sistema processual penalistico un complesso di disposizioni dirette ad evitare che, sia pure in campi giurisdizionali diversi, vengano emanate pronunce tra loro contrastanti. Tra queste disposizioni vi sono quelle che disciplinano il fenomeno della pregiudizialità delle questioni comuni ai due processi (intendendosi per questione pregiudiziale quella dalla cui definizione dipende la definizione del processo). Per quanto riguarda le pregiudiziali civili o amministrative nel processo penale, l'art. 2, 1° comma, cpp stabilisce che il giudice penale risolve generalmente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito, aggiungendo al 2° comma che la decisione del giudice penale che risolve incidentalmente (incidenter tantum, senza necessità di sospendere il processo) una questione civile, amminstrativa o penale, non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. La regola predetta subisce delle eccezioni. A) Ai sensi dell'art. 3 cpp, quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia civile sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice penale, se la questione è seria e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere (con ordinanza ricorribile in cassazione) il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel processo penale. B) Fermo quanto previsto dall'art. 3 cpp, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato. 2. L'efficacia della sentenza penale irrevocabile nel giudizio civile o amministrativo di danno L'art. 651 cpp, in ordine all'efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno, stabilisce che la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale, quanto all'accertamento: della sussistenza del fatto; dell'illiceità penale del fatto; che l'imputato ha commesso il fatto. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata all'esito del giudizio abbreviato, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato. L'art. 651is cpp, aggiunto dal d.lgs 28/2015, ha stabilito che la sentenza irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, pronunciata a seguito di dibattimento o nel giudizio abbreviato (salvo che vi si opponga la parte civile che non ha accettato il rito abbreviato), ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso contro il prosciolto e del responsabile civile citato o intervenuto nel processo penale quanto all'accertamento: della sussistenza del fatto; dell'illiceità penale del fatto; che l'imputato ha commesso il fatto. L'art. 652 cpp stabilisce che la sentenza penale di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento (o all'esito del giudizio abbreviato, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato), ha efficacia di giudicato nel 16 giudizio civile o amministrativo di danno (sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale, salvo che il danneggiato abbia esercitato l'azione in sede civile) quanto all'accertamento: che il fatto non sussiste; che l'imputato non ha commesso il fatto. L'efficacia vincolante della sentenza di assoluzione è tuttavia esclusa se l'azione civile è stata esercitata per la prima volta davanti al giudice civile e prima della sentenza penale di primo grado, senza essere nel frattempo trasferita nel processo penale. Viceversa, la sentenza penale di assoluzione ha efficacia di giudicato nel processo civile se l'azione civile è stata proposta: 1) dopo che nel processo penale sia già stata pronunciata sentenza di primo grado, oppure 2) in seguito al trasferimento dell'azione risarcitoria dalla sede penale (in cui c'era stata la costituzione di parte civile) a quella civile. L'efficacia vincolante della sentenza penale di assoluzione è subordinata all'esistenza della prova della non sussistenza del fatto o della non commissione del fatto da parte dell'imputato, con esclusione della mancanza o dell'insufficienza di prove (occorre pertanto rifarsi alla motivazione della sentenza penale, secondo quanto stabilito dalla cassazione: Cass. Civ., sez. III, 28 giugno 2012, n. 10856). Da ultimo, ai sensi dell'art. 654 cpp la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale), quando in questo giudizio si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi “fatti materiali” che furono oggetto del giudizio penale (purchè i fatti accertati siano stati ritenuto rilevanti ai fini del decidere, e purchè la legge civile non ponga limiti alla prova della posizione soggettiva controversa). Sono considerati “fatti materiali” soltanto quelli integranti l'imputazione oggetto del giudizio penale (non sono, pertanto, quelli accertati incidenter tantum). Cap. VI – L'ATTO PROCESSUALE PENALE 1. La distinzione tra fatto processuale penale e atto processuale penale Il processo penale è costituito da una sequela di atti giuridici che non sempre si susseguono secondo un ordine predeterminato. Al fine di enucleare la nozione di atto processuale penale si rende indispensabile, anzitutto, precisare se per atto giuridico si debba intendere un qualunque fatto umano giuridicamente rilevante, oppure soltanto un fatto umano giuridicamente rilevante nel quale risulti individuabile la volontarietà del comportamento. Nella dottrina processual penalistica si suole distinguere l'atto giuridico processuale penale, che ricomprenderebbe i comportamenti umani volontari, dal fatto giuridico processuale penale, che ricomprenderebbe i fatti della natura e i comportamenti non volontari. Tale distinzione, tuttavia, non è pacifica in dottrina, e si obietta (così CORDERO) che sarebbe assurdo escludere dalla categoria degli atti giuridici processuali penali quei comportamenti, effettuati secondo un modus agendi stabilito dalle norme (si pensi alla notificazione, alla perquisizione, all'arresto), sulla base del rilievo che il legislatore non ne richiede la volontarietà. La nozione di atto processuale penale non sarebbe pertanto univoca, giacchè in alcune ipotesi sarebbe richiesta la volontarietà dell'atto mentre in altre la volontarietà non risulterebbe necessaria. 2. Le connotazioni dell'atto processuale penale Precisata la distinzione tra fatto ed atto processuale penale, occorre indicare le connotazioni dell'atto 17 proroghe; ordinatori, nei quali l'inutile decorso del termine non comporta la decadenza dal potere di compiere l'atto; l'atto compiuto dopo il decorso del termine è dunque valido ed efficace (es. di termine ordinatorio è quello previsto per il deposito delle sentenze dal combinato disposto degli artt. 548, 1° comma, e 544, 2° e 3° comma, cpp). All'interno degli uffici giudiziari, la violazione di termini ordinatori può comportare a carico del responsabile l'applicazione di una sanzione disciplinare. I termini processuali sono sospesi nel periodo feriale tra il 1° e il 31 agosto di ciascun anno (art. 7, l. 742/1969). Tale sospensione non concerne tutti i termini processuali, ma solo quei termini a cui sia correlato l'esercizio di un'attività difensiva; sono previste poi numerose eccezioni a detta sospensione. 8. La restituzione nel termine Il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore (art. 175, 1° comma, cpp). Questa è la disciplina generale applicabile a qualsiasi termine processuale stabilito a pena di decadenza. L'art. 175 cpp contiene altresì una normativa speciale dedicata esclusivamente alla restituzione nel termine per impugnare i decreti penali di condanna: ai sensi del 2° comma di detto articolo, l'imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato. La richiesta per la restituzione nel termine va presentata, a pena di decadenza:  entro 10 giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore (nell'ipotesi generale ex comma 1 dell'art. 175), oppure nei casi previsti dal comma 2 dell'art. 175 (decreto penale di condanna) entro 30 giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del decreto penale. La restituzione nel termine non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento. La decisione sulla richiesta di restituzione nel termine: a) spetta al giudice che procede al tempo della presentazione della richiesta, che provvede con ordinanza; b) durante le indagini preliminari spetta al GIP con ordinanza; c) se sono stati pronunciati sentenza o decreto penale di condanna, spetta al giudice competente sull'impugnazione o sull'opposizione. In caso di accoglimento della richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione il giudice, se del caso, può ordinare la scarcerazione dell'imputato detenuto. Il giudice che abbia ordinato la restituzione nel termine deve provvedere, a richiesta di parte, e semprechè sia possibile, alla rinnovazione degli atti ai quali la parte aveva diritto di assistere (art. 176 cpp). 9. La documentazione degli atti Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale, il quale va redatto, in forma integrale oppure in forma riassuntiva, alternativamente: con la stenotipia; con altro strumento meccanico. Ove non sia possibile il ricorso a tali mezzi, si procede con scrittura manuale. Nell'ipotesi in cui il verbale sia redatto in forma riassuntiva deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (audio). Se le modalità di documentazione sopra descritte sono ritenute insufficienti, può essere aggiunta anche la riproduzione audiovisiva, ma solo se assolutamente indispensabile (art. 134 cpp). 20 Il verbale contiene: a) la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorra, dell'ora in cui è “aperto” e “chiuso”; b) le generalità delle persone intervenute; c) la descrizione di quanto fatto o constatato dal pubblico ufficiale, nonché le dichiarazioni dallo stesso ricevute (con indicazione se la dichiarazione è stata resa spontaneamente o previa domanda, ed in tale secondo caso è riprodotta anche la domanda). Il verbale è nullo quando vi sia incertezza assoluta sulle persone intervenute, oppure quando manchi la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto. 10. Le notificazioni La necessità che gli atti processuali penali siano portati a conoscenza di soggetti diversi da quelli che li hanno compiuti viene soddisfatta mediante le notificazioni. L'art. 148, 1° comma, cpp stabilisce la regola generale che le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni. Nei procedimenti con detenuti, il giudice può disporre che le notificazioni vengano effettuate dalla polizia penitenziaria (art. 148, 2° comma). La notificazione può essere sostituita dalla consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria. Altro atto equipollente alla notificazione è la lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza (art. 148, 5° comma). Nei casi di urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria (art. 149). In caso di circostanze particolari il giudice può, anche d'ufficio, disporre che la notificazione a persona diversa dall'imputato sia eseguita mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscono la conoscenza dell'atto (cd forme atipiche di notificazione, art. 150). Oltre che su disposizione del giudice, le notificazioni possono avvenire su richiesta del pubblico ministero o delle parti private. 1) Le notificazioni richieste dal PM (art. 151) sono eseguite, nel corso delle indagini preliminari, dalla polizia giudiziaria oppure dall'ufficiale giudiziario. Anche le notificazioni richieste dal PM possono essere sostituite dalla consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della segreteria del PM, nonché dalla lettura dei provvedimenti alle persone presenti e dagli avvisi dati verbalmente dal PM agli interessati in loro presenza. 2) Per quanto concerne le notificazioni richieste dalle parti private, l'art. 152 stabilisce che, salvo diversa disposizione di legge, dette notificazioni possono essere fatte per mezzo di ufficiale giudiziario, oppure essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Esaminate le notificazioni per quanto concerne la loro richiesta e i mezzi sostitutivi, esaminiamo ora le modalità con cui vengono eseguite all'IMPUTATO/INDAGATO. A) Le notificazioni all'imputato/indagato detenuto sono eseguite, ex art. 156, nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. Qualora la ricezione venga rifiutata deve farsene menzione nella relazione di notifica, e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'istituto penitenziario o a chi ne fa le veci. Nello stesso modo si deve provvedere quando non è possibile consegnare direttamente la copia all'imputato in quanto legittimamente assente; in tal caso il direttore dell'istituto informa immediatamente l'interessato col mezzo più celere. B) Le notificazioni all'imputato/indagato non detenuto sono disciplinate con differenti modalità, a seconda che si tratti di prima notificazione o di notificazione successiva alla prima. La prima notificazione è eseguita: mediante consegna di copia alla persona.  Qualora ciò non sia possibile, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui 21 l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa, mediante consegna ad una persona che conviva anche temporaneamente con l'imputato oppure, in mancanza, mediante consegna al portiere o a chi ne fa le veci. Qualora i luoghi sopra menzionati non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo di temporanea dimora o recapito dell'imputato, mediante consegna alle persona sopra indicate. Se a ricevere la notifica è il portiere o chi ne fa le veci, l'ufficiale giudiziario deve dare notizia al destinatario dell'atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, e gli effetti della notifica decorrono dal ricevimento della raccomandata.  La copia dell'atto da notificare non può mai essere consegnata a persona minore degli anni 14 o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere.  Se non è possibile eseguire la notificazione con le modalità sopra descritte, l'atto da notificare deve essere depositato nella casa del comune in cui l'imputato ha l'abitazione oppure, in mancanza, del comune in cui l'imputato esercita abitualmente la sua attività lavorativa; in tal caso un avviso del deposito deve essere affisso alla porta dell'abitazione o del luogo di esercizio dell'attività lavorativa dell'imputato, e del deposito l'ufficiale giudiziario deve darne comunicazione all'imputato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento: gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. Le notifiche successive alla prima all'imputato non detenuto sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia, mediante consegna al difensore che, peraltro, può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione. Tutte le ricerche di cui sopra possono essere evitate o ridotte (tanto nella prima notificazione che in quelle successive, nel caso in cui manchi il difensore di fiducia, o questi abbia dichiarato di non voler ricevere le notificazioni) mediante le disposizioni dell'art. 161. É infatti previsto da tale articolo che il giudice, il PM o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento dell'indagato o dell'imputato non detenuti, debbano invitare i soggetti predetti a dichiarare uno dei luoghi indicati dall'art.157, 1° comma (abitazione o luogo di lavoro abituale quale domicilio dichiarato), oppure ad eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendoli che devono comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione, o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore (di fiducia o d'ufficio). Se la notificazione nel domicilio dichiarato o eletto diviene impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore (di fiducia o d'ufficio); peraltro, l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non ha effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore domiciliatario (art. 162, comma 4bis,). L'art. 171 prevede la nullità della notificazione nelle seguenti situazioni: se l'atto risulta notificato in modo incompleto, al di fuori dei casi nei quali la legge consente la notifica per estratto; se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente oppure sul destitnatario; se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione della persona che l'ha eseguita; se sono state violate le disposizioni relative alla persona cui deve essere consegnata la copia; se non sono stati dati gli avvertimenti di cui ai commi 1,2 e 3 dell'art. 161 (sulla dichiarazione/elezione di domicilio e sulla comunicazione delle variazioni) e la notifica è stata eseguita mediante consegna al difensore; se è stata omessa l'affissione o non è stata data la comunicazione dell'avvenuto deposito nella casa comunale; se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione del portiere o di chi ne fa le veci che hanno ricevuto l'atto; se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice per le notificazioni atipiche, e l'atto non è giunto a consocenza del destinatario. 22 16. L'invalidità derivata Ai sensi dell'art. 185 cpp la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l'atto nullo (ad esempio, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio determina la regressione del processo alla fase delle indagini preliminari), salvo sia diversamente stabilito. Tale regressione non opera in caso di nullità concernenti le prove. ___________________ Parte seconda: Le prove, i mezzi di ricerca delle prove, le misure cautelari Cap. I - IL PROCEDIMENTO PROBATORIO 1. Il tema della prova Il processo penale tende a provare il fatto ipotizzato nell'imputazione. Le prove sono, appunto, gli strumenti impiegati per verificare l'esistenza di tale fatto. L'art. 187, 1° comma, cpp stabilisce che sono oggetto di prova: 1) i fatti che si riferiscono all'imputazione; 2) i fatti che si riferiscono alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza; 3) i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (ad es. i fatti da cui si desume la nullità di un atto o l'incompatibilità con l'ufficio di testimone); 4) se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato, compreso l'ammontare del danno patrimoniale e non patrimoniale. 2. Mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova Il vigente codice del 1988 ha introdotto una distinzione tra mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova. I mezzi di prova si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione: sono mezzi destinati ad incidere in maniera risolutiva sull'esperienza del giudice, in quanto rappresentano al giudice il fatto da provare. Sono mezzi di prova: l'esame dei testimoni; l'esame delle parti; i confronti; le ricognizioni; gli esperimenti giudiziali; la perizia (per la verità questa è più un mezzo di valutazione della prova); i documenti. 25 I mezzi di ricerca della prova non sono di per sé fonte di convincimento del giudice, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria; fanno della “sorpresa” il modo essenziale di reperire cose o tracce del reato o per ottenere dichiarazioni. Rendono pertanto possibile acquisire un quid dotato di attitudine probatoria. Sono mezzi di ricerca della prova: l'ispezione; la perquisizione; il sequestro; le intercettazioni. Si è anche detto che mentre i mezzi di prova consentono la formazione di prove nel processo (cd prove costituende), i mezzi di ricerca della prova consentono l'acquisizione di prove precostituite al processo stesso. Va però anche ribadito che, fatta eccezione per le prove non ripetibili a dibattimento (come appunto quelle acquisite a seguito di perquisizioni e intercettazioni), la prova è comunque unicamente quella assunta nel contraddittorio fra le parti a dibattimento, oppure nell'incidente probatorio; nelle indagini preliminari non si assumono prove ma soltanto elementi di prova, che acquisiranno dignità di prova se ed in quanto verranno assunti (nuovamente) in contraddittorio delle parti nel corso dell'istruzione dibattimentale. 3. Il principio di tassatività della prova ed il principio del libero convincimento del giudice Nel vigente codice del 1988 non è stato previsto il principio di tassatività della prova, ma nello stesso tempo non si è lasciata al giudice una totale libertà nell'assunzione della prova, in quanto l'art. 189, 1° comma, cpp, nel prevedere la richiesta di assunzione di una prova non disciplinata dalla legge (ossia di una prova atipica), subordina tale assunzione a due condizioni: 1) la prima è data dal fatto che la prova stessa sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti; 2) la seconda è data dal fatto che la prova non pregiudichi la libertà morale della persona. In tema di valutazione della prova, principio fondamentale è quello del libero convincimento del giudice, in virtù del quale non è prevista una valutazione vincolata di determinate prove (come avviene invece nel processo civile per le cd prove legali): il giudice è libero in tale valutazione, pur dovendo giustificarla nella motivazione. 4. Eccezioni al principio del libero convincimeno del giudice: la prova indiziaria La prima eccezione al principio del libero convincimento del giudice è data dalla prova indiziaria (o prova indiretta), in quanto l'art. 192, 2° comma, cpp consente che l'esistenza di un fatto sia desunta da indizim a condizione che gli stessi siano: gravi (indizi ciascuno dei quali deve possedere capacità dinostrativa e capacità di resistenza alle obiezioni); precisi (indizi ciascuno dei quali non deve essere generico e quindi non suscettibile di diverse interpretazioni); concordanti (gli indizi, valutati complessivamente, non devono essere in contrasto l'uno con l'altro, nè con altri dati o elementi certi). La prova indiziaria (o prova indiretta) si differenzia dalla cd prova diretta in quanto quest'ultima ha per oggetto il fatto di reato contestato, mentre la prima ha per oggetto un altro fatto da cui, mediante l'uso di regole logiche di esperienza, si può risalire al fatto di reato. La testimonianza di Tizio che vede Caio uccidere Sempronio è una prova diretta, mentre la testimonianza di Tizio che vede Caio uscire dall'abitazione di Sempronio poco dopo l'omicidio din quest'ultimo è una prova indiziaria. 26 5. Segue: la chiamata in correità Altra eccezione al libero convincimento del giudice è data dalla cd chiamata in correità. L'art. 192, 3° comma, si riferisce alle dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12. L'art. 192, 4° comma, riguarda invece le dichiarazioni rese dagli imputati di reato collegato ex art. 371, comma 2, lettera b) (ricordiamo che sono collegati i reati di cui gli uni sono commessi in occasione degli altri, o per conseguire o assicurare al colpevole o ad altri il prezzo, il prodotto, l'impunità, o che sono commessi gli uni a danno degli altri). Dunque, le dichiarazioni accusatorie di un coimputato nel medesimo reato, oppure di imputato in reato connesso o collegato, richiedono un duplice tipo di valutazione: 1) occorre anzitutto verificare se tali dichiarazioni siano in sé attendibili (come si fa di fronte ad un testimone); 2) nell'eventualità che siffatte dichiarazioni risultano di intrinseca attendibilità, il giudice verificherà allora l'esistenza o meno di ulteriori elementi probatori (sia pure meramente indiziari) della partecipazione del chiamato in correità al fatto di reato. 6. Fatto notorio e massime d'esperienza Non sempre l'esistenza di un fatto deve essere provata. Secondo il vecchio brocardo “notoria non egent probatione” non si richiede la prova di un fatto notorio , ossia di un fatto che appartiene al normale patrimonio di conoscenza di una determinata cerchia sociale e che può essere, perciò, conosciuto nella sua distinta identità storica dal giudice, senza la necessità di ulteriori verifiche in punto di prova (es. la data di un terremoto, di uno sciopero generale, di una festività religiosa). Si pone il problema se analogo discorso debba farsi per le massime d'esperienza. La massima di esperienza non è altro che una regola di esperienza (intesa come regola di giudizio) basata su dati scientifici o su un'esperienza particolarmente qualificata dal decorso del tempo. Rientrano tra le massime d'esperienza il fatto che l'acqua bolla a 100 gradi, oppure che se un'impronta digitale trovata su oggetto presenta almeno 16 o 17 punti caratteristici uguali per forma e posizione all'impronta dell'imputato, è l'impronta dell'imputato quella trovata sull'oggetto. 7. Le regole d'esperienza L'appicazione della massima d'esperienza è frequente, ma non costante, mentre è inevitabile in tutti i processi l'applicazione di regole di esperienza intese come regole di giudizio. Infatti, la valutazione del giudice si fonda, oltre che su un complesso di dati oggettivi, su regole di esperienza, in assenza delle quali non sarebbe possibile la valutazione di tali dati, anche se dette regole si distinguono dalle massime d'esperienza per il grado di minor sicurezza che la valutazione contenute nelle prime ha rispetto alle seconde (rientra tra le regole di esperienza il giudizio sull'attendibilità di un teste, tenuto conto anche dell'età, del contesto lavorativo e familiare e del modo di comportarsi e di rispondere alle domande da parte del testimone). 8. Il principio dispositivo Ai sensi dell'art. 190, 1° comma, cpp le prove sono ammesse a richiesta di parte (principio dispositivo o diritto di richiedere la prova). Il giudice deve provvedere senza ritardo, con ordinanza, ad ammettere le prove richieste dalle parti (cd diritto alla prova), potendo esclusdere solo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti . Il potere discrezionale del giudice in ordine all'ammissione della prova risulta estremamente limitato, posto che la superfluità o l'irrilevanza della prova stessa giustifica la mancata ammissione solo quando sia manifesta e, quindi, del tutto evidente. Dunque, la prova è “in mano” alle parti, le quali devono tuttavia essere messe in condizioni di poter ricercare 27 E) I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato (segreto di Stato). Se il testimone oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria, se ritiene rilevante la deposizione del teste, ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo la conferma del segreto:  se il segreto viene confermato, e la prova è essenziale, il giudice dichiara di non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato; se, invece, entro 30 giorni dalla richiesta il Presidente del Consiglio non conferma il segreto, l'autorità giudiziaria acquisirà la notiza e provvederà per l'ulteriore corso del processo. L'obbligo di testimoniare può venire meno, pur in assenza di diveti, a causa di esenzioni dal dovere deporre (c'è facoltà di non deporre). Tali esenzioni sussistono: 1) nel caso dei prossimi congiunti, i quali hanno facoltà di astenersi, a meno che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, oppure essi o un loro prossimo congiunto siano persone offese dal reato; 2) nel caso di fatti di cui si sia pervenuti a conoscenza per ragione del proprio ministero, ufficio o professione nelle ipotesi di cui all'art. 200 cpp (segreto professionale di chi non è pubblico ufficiale, né pubblico impiegato né incaricato di un pubblico servizio); 3) ex art. 203 per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria per quanto concerne il nome dei loro informatori. 4. Testimoni sospettati di falsità o reticenza e testimoni renitenti Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice (se non si presenta è renitente e può essere disposto l'accompagnamento coattivo) e di rispondere secondo verità alle domande che gli vengono rivolte (art. 198, 1° comma, cpp). Prima che l'esame abbia inizio viene avvertito dell'esistenza di tale obbligo ed invitato a rendere la dichiarazione “consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza “ (art. 497, 2° comma). Il codice vigente vieta l'arresto in udienza per i reati concernenti il contenuto della deposizione e, ai fini della persecuzione del testimone falso, reticente o che si sia rifiutato di rispondere, dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero. 5. L'esame delle parti L'esame delle parti è un mezzo di prova previsto dall'art. 208 cpp, il quale stabilisce che nel dibattimento l' imputato , la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile e la persona obbligata per la pena pecuniaria sono esaminate se ne fanno richiesta o vi consentono . Pertanto di “interrogatorio” può parlarsi solo nelle indagini preliminari e nel corso dell'udienza preliminare (ove l'interrogatorio avviene su richiesta dell'imputato). All'esame delle parti si applicano i limiti di cui all'art. 194 (non possono farsi domande sulla loro personalità morale) nonché le disposizioni dell'art. 198, 2° comma, in virtù del quale non possono imporsi risposte dalle quali potrebbe emergere una responsabilità penale dell'esaminato. Si applicano inoltre, all'esame delle parti, le regole generali dettate all'art. 499. Se la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria si riferiscono per la conoscenza dei fatti ad altre persone, il giudice, su richiesta di parte, deve disporre che queste persone (testi di riferimento) siano chiamate a deporre; se ciò non avviene, le dichiarazioni rese relative a fatti appresi da altri sono inutilizzabili. Se, invece, l'enunciazione di fatti e circostanze riferite da altri avviene da parte dell'imputato, tale enunciazione è utilizzabile dal giudice anche senza dover citare a deporre i testi di riferimento. 30 6. L'esame di persona imputata in un procedimento connesso o imputata di un reato collegato A) I coimputati del medesimo reato e gli imputati di reato connesso ex art. 12, lett. a), che non possono testimoniare in quanto nei loro confronti non è stata ancora pronunciata una sentenza definitiva di proscioglimento o di condanna, possono essere comunque esaminati a richiesta del pubblico ministero, dell'imputato e dalle altre parti private. Sono assistiti da difensore di fiducia o d'ufficio. Prima che l'esame abbia inizio, gli imputati da esaminare devono essere avvertiti che hanno facoltà di non rispondere. A detto esame (che è comunque un esame particolare e non un esame testimoniale, in quanto detti imputati conservano la facoltà di non rispondere) si applicano le disposizioni concernenti l'oggetto e i limiti della testimonianza, quelle relative alla testimonianza indiretta, nonché le regole dettate per l'esame testimoniale in generale e le regole che disciplinano le contestazioni nell'esame testimoniale. B) Gli imputati di reato connesso ex art. 12, lett. c) e gli imputati di reato collegato ex art. 371, 2° comma, lett. b), nei cui confronti non è stata ancora pronunciata sentenza definitiva di proscioglimento o di condanna, conservano la facoltà di non rispondere, ma se scelgono di rendere dichiaraz ioni concernenti la responsabilità dell'imputato, assumono da quel momento in poi la veste formale e gli obblighi del testimone (primo fra tutti l'obbligo di rispondere). Il loro esame testimoniale si svolge, peraltro, nelle forme particolari di cui all'art. 197bis in quanto: sono assistiti da difensore di fiducia o d'ufficio; non possono essere obbligati a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei loro confronti;  le loro dichiarazioni non possono essere usate nel procedimento a loro carico e sono valutate dal giudice unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. C) Le forme dell'esame testimoniale di cui all'art. 197bis si applicano anche agli imputati di reato connesso ex art. 12 (lett. a e lett.c) o di reato collegato nei confronti dei quali sia già stata pronunciata una sentenza definitiva di proscioglimento o di condanna. 7. Il confronto Il confronto è un mezzo di prova consentito ex art. 211 cpp esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi sia disaccordo fra le stesse su fatti o circostanze importanti. Presupposti del confronto sono pertanto: l'esistenza di precedenti interrogatori od esami; il fatto che questi interrogatori/esami evidenzino tra di loro dei contrasti; il fatto che tali contrasti abbiano per oggetto fatti o circostanze importanti per il procedimento. Le modalità del confronto sono delineate dall'art. 212, il quale prevede che il giudice richiami ai soggetti in disaccordo le precedenti dichiarazioni, chiedendo loro se confermino o modifichino le dichiarazioni stesse. Il giudice invita altresì, ove occorre, i soggeti posti a confronto ad effettuare reciproche contestazioni. Il confronto può avvenire tra persone che si trovano nella stessa posizione processuale (ad es. fra indagati; fra imputati; fra testimoni), oppure fra persone la cui posizione processuale è diversa (ad es. fra indagato e persona informata sui fatti; fra imputato e testimone). Il confronto è ammesso, oltre che a dibattimento e nell'incidente probatorio, anche nelle indagini preliminari. 8. Le ricognizioni La ricognizione è un mezzo di prova mediante il quale un soggetto viene chiamato ad indentificare una persona, una cosa, una voce, un suono o qualunque altro oggetto di percezione sensoriale. Per quanto concerne la ricognizione personale, il legislatore impone prima della ricognizione il compimento di attività preliminari idonee a saggiare la credibilità del soggetto chiamato alla riconognizione: 31 i. il giudice, prima di effttuare la ricognizione, invita la persona chiamata a compierla a descrivere la persona da riconoscere, indicando tutti i particolari che ricorda (attività da compiersi a pena di nullità della ricognizione); ii. il giudice, dopo aver allontanato il soggetto che deve eseguire la ricognizione, procura la presenza di almeno 2 persone il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione che prende posto assieme a loro; iii. nuovamente introdotta la persona chiamata alla ricognizione, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. La ricognizione di cose, voci, suoni od altro che possa essere oggetto di percezione sensoriale, avviene secondo le medesime disposizioni appena viste e di cui all'art. 213. La ricognizione è nulla quando non siano osservate le disposizioni relative all'attività preliminare alla ricognizione stessa, o quando non sia fatta menzione di tale attività nel verbale, nonché quando nel verbale non sia fatta menzione delle modalità di svolgimento della ricognizione. 9. L'esperimento giudiziale L'esperimento giudiziale è un mezzo di prova destinato ad accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo. L'esperimento, quindi, consiste (art. 218) nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto, e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. L'esperimento giudiziale è consentito nel dibattimento e nell'incidente probatorio, ma non come indagine preliminare. 10. La perizia La perizia è ammessa, ai sensi dell'art. 220, 1° comma, quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. In altri termini, questo mezzo di prova risulta necessario quando il tema di prova richieda, per la sua valutazione, particolari congizioni che il giudice non ha e non è tenuto ad avere. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. É pertanto vietata la perizia psicologica, mentre è ammessa la perizia psichiatrica. La nomina del perito viene effettuata dal giudice scegliendo il perito stesso tra gli iscritti negli appositi albi. Peraltro, il giudice è legittimato a scegliere un esperto tra le persone non iscritte a detti albi, fornite di particolare competenza nella specifica disciplina: in tal caso il legislatore richiede soltanto che nell'ordinanza di nomina il giudice indichi in modo specifico le ragioni della nomina e, ove possibile, effettui l'eventuale scelta extra albo indicando una persona che svolga la sua attività professionale presso un ente pubblico. In deroga al principio dispositivo, per cui le prove sono assunte a richiesta di parte, l'art. 224 stabilisce che il giudice disponga anche d'ufficio l'assunzione della perizia con ordinanza motivata. Tale ordinanza deve contenere: la nomina del perito; la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini; l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo fissati per la comparizione del perito davanti al giudice. All'udienza il giudice: 1) domanda al perito se si trovi in una delle situazioni di incapacità previste dall'art. 222, oppure se 32 Il presupposto comune alle predette perquisizioni è dato dall'esistenza dei “fondati motivi”, ossia di veri e propri indizi da cui desumere che l'oggetto della ricerca si trovi su una persona o in un determinato luogo. Il provvedimento che dispone la perquisizione ha la forma del decreto motivato che può essere emesso dal giudice del dibattimento o dal PM (non dal GIP); la polizia giudiziaria può procedere direttamente alla perquisizione nei casi di urgenza, ma il relativo verbale dovrà essere poi covalidato dal PM entro 48 ore. Per quanto concerne la perquisizione personale, l'art. 249 cpp dispone che prima di procedere alla stessa, è consegnata una copia del decreto all'interessato, con l'avviso della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia (questi non è il difensore) prontamente reperibile ed idonea ad intervenire come testimone agli atti del procedimento. Anche la perquisizione personale, come l'ispezione personale, deve essere eseguita nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. La perquisizione personale ha per oggetto non solo il corpo della persona, ma anche gli oggetti che servono per la vita di relazione. La perquisizione locale, prevista nell'art. 250, deve essere anch'essa preceduta dalla consegna di una copia del decreto all'interessato, con l'avviso della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia avente i requisiti sopra indicati per la perquisizione personale. Nel corso della perquisizione locale, l'autorità giudiziaria può disporre con decreto motivato che siano perquisite le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato o cose pertinenti al reato. Può inoltre ordinare in modo motivato che taluno non si allontani prima che le operazioni non siano concluse. Una specie di perquisizione locqale è data dalla perquisizione nel domicilio, vale a dire in un'abitazione o nei luoghi chiusi ad essa adiacenti: in tali casi la perquisizione non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo le ore 20. Le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro, con l'osservanza delle prescrizioni di cui agli artt. 259 e 260. Si può pertanto dire che la perquisizione sia funzionale al sequestro. Per quanto concerne le perquisizioni negli uffici dei difensori, valgono le medesime garanzie previste per le ispezioni (art. 103 cpp). 3. Il sequestro Il sequestro è un vincolo posto dal magistrato alla libera disponibilità di cose pertinenti al reato. Esistono tre tipi di sequestro: probatorio, preventivo e conservativo. Il sequestro come mezzo di ricerca della prova è il sequestro probatorio ed ha per oggetto il corpo del reato, le cose pertinenti al reato nonché le cose che costituiscono il prezzo o il prodotto del reato. Quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Dopo la sentenza non più soggetta ad impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia dispsta la confisca. Il sequestro è disposto dal giudice del dibattimento o dal PM, non dal GIP; la polizia giudiziaria può procedere autonomamente in casi di urgenza, ma il verbale va poi convalidato dal PM entro 48 ore con decreto motivato, e ad esso si procede d'ufficio o su richiesta di eventuali soggetti, come ad esempio la persona offesa. Il sequestro preventivo, invece, è una misura cautelare reale disposta quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, oppure agevolare la commissione di altri reati (art. 321 cpp). Il sequestro conservativo, infine, viene effettuato quando vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano la garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese e di procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato (art. 316). Sia il sequestro preventivo che il sequestro conservativo possono essere disposti sia dal giudice del dibattimento che dal PM e dal GIP. 35 4. L'intercettazione L'intercettazione di conversazioni telefoniche e di comunicazioni tra persone presenti, disciplinata dagli artt. 266 e ss cpp, costituisce una forma di limitazione del diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni. La disciplina sulle intercettazioni è stata oggetto di riforma nel 2017 (cd “riforma Orlando”) e di cui al d. lgs n. 216/2017, la cui entrata in vigore è stata più volte posticipata ed infine, dopo le modifiche allo stesso decreto di riforma avvenute ad opera del d.l. 161/2019, la riforma (dimezzata, perchè il d.l. 161/2019 l'ha in buona parte cancellata) è entrata in vigore l'1.9.2020. L'interecettazione è l'atto col quale un soggetto prende conoscenza di una conversazione o di una comunicazione riservata intercorrente tra altri soggetti. Oggetto delle interecettazioni possono essere: normali colloqui tra persone presenti (cd “intercettazioni ambientali”); comunicazioni telefoniche o altre forme di telecomunicazione; un flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici, oppure intercorrente tra più sistemi. Affinchè l'indebita presa di cognizione acquisti i connotati dell'atto intercettivo è tuttavia necessario che la stessa sia ottenuta dal terzo con l'ausilio di uno strumento meccanico o elettronico e all'insaputa di entrambi gli inbterlocutori. Col d. lgs 216/2017 è stata introdotta per le intercettazioni ambientali la possibilità che le stesse siano carpite con l'inserimento di captatore informatico (definito “trojan horse”) su un dispositivo elettronico portatile, sempre consentito nel caso si proceda per reati di mafia o con finalità di terrorismo. I presupposti per l'ammissibilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (che possono essere disposte solo durante le indagini preliminari) sono integrati: 1) dall'esistenza di gravi indizi di reato; 2) dal fatto che l'intercettazipone risulti assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini (art. 267, 1° comma, cpp). 3) In ogni caso deve trattarsi, ai sensi dell'art. 266, di indagini relative ai seguenti reati: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 5 anni; b) delitti contro la pubblica amministrazione con pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni; c) delitti concernenti la droga; d) delitti concernenti armi ed esplosivi; e) delitti di contrabbando; f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato; g) altri reati specificamente indicati dallo stesso art. 266. Quando l'intercettazione ambientale avviene, anche con captatore informatico, nell'abitazione o in altro luogo di privata dimora o appartenenza di essi, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che in detto luogo si stia svolgendo l'attività criminosa (art. 266, 2° comma). Nei procedimenti relativi a reati di criminalità organizzata l'intercettazione ambientale è consentita anche a prescindere da tale presupposto. L'intercettazione è disposta con decreto motivato del pubblico ministero a seguito di autorizzazione concessa dal GIP che ha accertato l'esistenza dei presupposti di ammissibilità. Nei casi di urgenza, il PM dispone direttamente l'intercettazione con decreto motivato da comunicarsi immediatamente, e comunque non oltre le 24 ore al GIP, che deve convalidare o meno il decreto entro 48 ore dal decreto stesso. In mancnza di convalida, l'intercettazione non può essere proseguita ed i risultati di essa non possono essere utilizzati. La durata delle intercettazioni non può superare i 15 giorni, salva proroga per periodi successivi di 15 giorni. Le intercettazioni devono essere registrate e delle relative operazioni deve essere redatto verbale, nel quale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al PM e sono depositati nella sua segreteria. Ai difensori è dato avviso del deposito, ed entro il termine fissato dal PM hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni, oppure di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o 36 telematiche. Scaduto il termine, il GIP dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazione informatiche o telematiche indicati dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche d'ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il PM e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno 24 ore prima. I verbali e le registrazioni sono conservati presso l'archivio digitale del PM fino alla sentenza definitiva. Per quanto concerne l' utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, essa è vietata : in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state disposte, a meno che risultino indipsensabili per l'accertamento di delitti per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; in tal caso i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositate presso l'autorità competente per il diverso procedimento; ai sensi dell'art. 271 cpp: a) nel caso di intercettazioni compiute al di fuori dei limiti di ammissibilità di cui all'art. 266; b) nel caso in cui non siano state rispettate le prescrizioni relative ai presupposti e alle forme del provvedimento nonché alle modalità previste per l'esecuzione delle operazioni; c) nel caso di dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all'inserimento del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile e di dati acquisiti al di fuori dei limiti di tempo e di luogo indicati nel decreto autorizzativo (art. 271, comma 1bis); d) quando le intercettazioni riguardano conversazioni o comunicazioni di persone vincolate dal segreto professionale ed abbiano ad oggetto fatti conosciuti in ragione del loro ministero, ufficio o professione (a meno che non abbiano già deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati). Cap. IV – LE MISURE PRECAUTELARI E LE MISURE CAUTELARI 1. Le garanzie costituzionali La lunghezza dei tempi processuali può vanificare l'applicazione delle norme di diritto penale sostanziale, che costituisce la finalità precipua del processo penale, oppure il soddisfacimento di pretese di natura patrimoniale conseguenti all'applicazione di tale norme. Per evitare tale eventualità sono previste misure cautelari di carattere personale e reale comportanti limitazioni alla libertà personale e alla libertà patrimoniale. Fondamentali garanzie sono previste dalla Costituzione. Ai sensi dell'art. 27, 2° comma, Cost., vale la presunzione di innocenza fino alla condanna defnitiva. L'art. 13 Cost prevede poi l'inviolabilità della libertà personale, stabilendo una riserva di giurisdizione e di legge per le limitazioni alla libertà personale stessa: infatti, dette limitazioni sono consentite solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei casi stabiliti dalla legge. Nei casi di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che vanno comunicati all'autorità giudiziaria entro 48 ore, e che vanno da questa convalidati entro le successive 48 ore, pena la loro inefficacia ab origine. Il 5° comma dell'art. 13 Cost. impone al legislatore ordinario di fissare i limiti massimi della carcerazione preventiva. Infine, ai sensi dell'art. 111, 7° comma, Cost. tutti i provvedimenti sulla libertà personale sono comunque ricorribile per Cassazione. 2. Le misure precautelari: L'arresto in flagranza, il fermo di indiziato di delitto e l'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare Il codice di procedura penale prevede delle misure restrittive della libertà personale che costituiscono 37 concreti, o dai suoi precedenti penali, sussiste il pericolo concreto e attuale che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale, oppure delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede (cd reiterazione del reato). Una volta accertata l'esistenza delle condizioni generali di applicabilità, nonché l'esistenza di una o più esigenze cautelari, il giudice deve scegliere tra le varie misure adottabili ispirandosi ai criteri dell' adeguatezza (specifica idoneità di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare in concreto) e della proprorzionalià (all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrrogata). Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 270 (associazioni sovversive), 270bis (associazioni per terrorismo anche internazionale) e 416bis (associazioni di tipo mafioso) del codice penale, il giudice non solo è obbligato ad applicare una misura cautelare, ma è costretto a scegliere la custodia cautelare in carcere. 4. Le misure coercitive Le misure cautelari personali si dividono in misure coercitive e misure interdittive. Le singole misure coercitive sono previste negli artt. da 281 a 286 cpp e sono: 1) il divieto di espatrio; 2) l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; 3) l'allontanamento dalla casa familiare, previsto dalla legge 154/2001; 4) il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, previsto dalla legge 38/2009 in tema di contrasto alla violenza sessuale e agli atti persecutori (cd stalking); 5) il divieto e l'obbligo di dimora; 6) gli arresti domiciliari (obbligo di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, oppure da un luogo pubblico di cura o di assistenza); 7) la custodia cautelare in carcere o in un luogo di cura. Le misure degli arresti domiciliari e della custodia cautelare in carcere o in luogo di cura sono dette misure “custodiali” (gli arresti domiciliari sono pertanto equiparati alla custodia in carcere, anche per quanto attiene alle regole sulla durata massima della misura cautelare). La custodia cautelare in carcere è la misura coercitiva più grave e non può essere disposta, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando: è imputata una donna incinta o madre di prole di età inferiore ai 3 anni con lei convivente; nei confronti di persona che ha oltrepassato i 70 anni; nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti; nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, e comunque siano tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere. L'art. 275, comma 2bis, cpp dispone che non possa essere disposta una misura custodiale (custodia in carcere o in luogo di cura, oppure arresti domiciliari) se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, oppure se ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a 3 anni. 5. Le misure interdittive Le misure interdittive possono essere applicate, di regola, solo quando si procede per delitti per i quali la lagge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni (art. 287 cpp). 40 Dette misure consistono: 1) nella sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale; 2) nella sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio; 3) nel divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali o uffici direttivi di persone giuridiche e imprese. 6. Applicazione delle misure cautelari Le misure cautelari sono disposte su richiesta del pubblico ministero, il quale deve presentare al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato/indagato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate (art. 291, 1° comma, cpp). Sulla richiesta del PM provvede, con ordinanza, il giudice che procede oppure, prima dell'esercizio dell'azione penale, il GIP. L'ordinanza che dispone la misura cautelare deve contenere, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio: le generalità dell'imputato/indagato; la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate; l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e dei gravi indizi; l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali non sono ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per cui le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con misura diversa dalla custodia in carcere; la fissazione della data di scadenza della misura cautelare; la data e la sottoscrizione del giudice. Per assicurare l'esercizio del diritto di difesa, l'art. 294 stabilisce che, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare, se non vi ha provveduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all' interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare immediatamente e comunque non oltre 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia. Mediante l'interrogatorio il giudice valuta la sussistenza e la permanenza delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari e, ove queste risultino inesistenti o modificate, provvede alla revoca o alla sostituzione della misura disposta. La custodia cautelare (ed anche tutte le altre misure coercitive, nonché quelle interdittive, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 4 aprile 2001, n. 95), ove disposta nel corso delle indagini preliminari, perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio nei termini di cui sopra. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del PM non può comunque precedere l'interrogatorio del giudice. 7. Durata delle misure cautelari Tra le cause estintive delle misure cautelari, particolare importanza ha il decorso dei termini delle misure stesse. 1) A norma dell'art. 301, 1° comma, cpp, le misure disposte per le esigenze cautelari previste dall'art. 274, 1° comma, lett. a) (pericolo di inquinamento delle prove) perdono immediatamente efficacia se alla scadenza del termine previsto dall'art. 292, 2° comma, lett d), non ne è ordinata la rinnovazione. 2) A prescindere dal motivo per il quale è stata disposta, la custodia cautelare (carcere, luogo di cura o arresti domiciliari) perde efficacia anche quando siano decorsi i suoi termini di durata massima stabiliti dal legislatore. A norma dell'art. 297, 1° comma, cpp, i termini in questione decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato. I termini massimi di custodia cautelare sono fissati dall'art. 303 in relazione, da un lato, ad ogni fase e grado del procedimento e, dall'altro, alla gravità del reato desunta dal quantum di pena fissato in astratto dal legislatore. 41 La durata dei termini di custodia cautelare può aumentare per effetto di tre diversi istituti che non devono essere confusi tra loro: la sospensione, il congelamento e la proroga. A) SOSPENSIONE. I termini di custodia cautelare sono sospesi ex art. 304 durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore, oppure su richiesta dell'imputato o del suo difensore. B) CONGELAMENTO. Si realizza automaticamente (non a richiesta come nella sospensione) in qualunque tipo di processo (rito ordinario, rito abbreviato, etc.) ai sensi dell'art. 297, 4°comma e si caratterizza per il fatto che nel calcolo dei termini di fase previsti per il giudizio di primo grado e per i giudizi di impugnazione non si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza. C) PROROGA. I termini di custodia cautelare, prima della scadenza, possono essere prorogati con ordinanza dal giudice, su richiesta del PM e sentito il difensore, quando, in ogni stato e grado del procedimento di merito, è disposta perizia sullo stato di mente dell'imputato e la proroga è disposta per il tempo assegnato per l'espletamento della periza. Il PM , durante le indagini preliminari, può chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare prossimi a scadere, ove sussistano gravi esigenze cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi o a nuove indagini, rendano indispensabile il protrarsi della custodia. Sulla richiesta il giudice, sentiti il PM e il difensore, provvede con ordinanza; detta proroga è rinnovabile una sola volta ed in ogni caso i termini di durata massima della custodia cautelare non possono essere superati di oltre la metà. La durata complessiva (cd termini complessivi) della custodia cautelare, considerate anche le proroghe e tenuto conto dei giorni “congelati”, non può superare il termine: di 2 anni se si procede per delitto con pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; di 4 anni se si procede per delitto con pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; di 6 anni se si procede per delitto con pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Non rientrano nel calcolo dei termini complessivi i periodi di sospensione. In ogni caso, anche considerando i periodi di sospensione, la durata finale della custodia cautelare (cd termini finali) non può: superare del doppio dei termini di fase previsti dall'art. 303, 1°, 2° e 3° comma; superare i termini complessivi sopra visti (due, quattro o sei anni) di cui all'art. 303, 4° comma, aumentati della metà, oppure se più favorevole i 2/3 della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. In definitiva e riassumendo, esistono tre diversi limiti di durata massima della custodia cautelare: 1) TERMINI DI FASE (art. 303, 1° comma), vale a dire termini: a) entro cui deve essere emesso il decreto che dispone il giudizio: decorrono dal'esecuzione della misura cautelare; b) entro cui deve essere pronunciata la sentenza di condanna primo grado: decorrono dal provvedimento che dispone il giudizio; c) entro cui deve essere pronunciata la sentenza di condanna d'appello: decorrono dalla sentenza di condanna di primo grado; d) entro cui deve essere pronunciata sentenza di condanna definitiva: decorrono dalla sentenza di condanna d'appello; 2) TERMINI COMPLESSIVI , di cui all'art. 303, 4° comma, vale a dire i due, quattro o sei anni visti sopra; 3) TERMINI FINALI , di cui all'art. 304, 6° comma, vale a dire: a) il doppio dei termini di fase, con riferimento a ciascuna fase; b) termini complessivi aumentati della metà o, se più favorevole, dei 2/3 del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza, con riferimento all'intero processo. I congelamenti e le proroghe allungano i termini di fase, ma lasciano invariati i termini complessivi e i termini finali. Le sospensioni, invece, allungano sia i termini di fase che i termini complessivi, ma non (di regola) i termini finali. 42 consegna del verbale stesso. Il sequestro perde efficacia, oltre che per mancato rispetto dei termini di cui sopra, anche se il giudice non emette ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta. I provvedimenti che dispongono misure cautelari reali sono suscettibili di impugnazione, così come i provvedimenti cautelari personali, mediante il riesame, l'appello e il ricorso per cassazione. Contro l'ordinanza di sequestro conservativo la richiesta di riesame può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, mentre contro il decreto di sequestro preventivo la richiesta di riesame può essere proposta dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona cui le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. L'appello è previsto solo contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del provvedimento di sequestro emesso dal PM. L'appello è proponibile dal PM, dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona cui le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Infine, il ricorso per cassazione è proponibile per violazione di legge nei confronti delle ordinanze emesse in sede di riesame e di appello dal PM, dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona cui le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. È previsto anche il ricorso per saltum. _______________________________ Parte terza: Il procedimento, i riti speciali, il giudizio ordinario Cap. I – LE INDAGINI PRELIMINARI 1. La funzione delle indagini preliminari La finalità delle indagini preliminari è delineata nell'art. 326 cpp, secondo cui il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale. Di conseguenza, le indagini preliminari sono finalizzate unicamente ad acquisire elementi di prova al fine di mettere in condizioni il PM di decidere se esercitare o meno l'azione penale. Gli atti di indagine preliminare ex art. 329 sono coperti dal segreto istruttorio fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Il PM, quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, può consentire con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi; si specifica che in tali casi viene pubblicato unicamente il “contenuto” dell'atto e non lo stesso in forma integrale, mentre la pubblicazione integrale dell'atto è consentita una volta concluse le indagini preliminari. 2. La notiza di reato. Le condizioni di procedibilità L'art. 330 cpp dispone che il PM e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato ad essi presentate o trasmesse. Per notizia di reato si intende qualunque 45 informazione scritta od orale effettuata all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che abbia l'obbligo di riferire alla prima, avente ad oggetto un fatto nel quale siano ravvisabili estremi di reato. La notizia di reato può essere data da una denuncia da parte di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, oppure da una denuncia o da una querela da parte di privati, oppure ancora da un referto. Pervenuta la notizia di reato, il PM ha il dovere ex art. 335 di iscriverla immediatamente nell'apposito registro delle notizie di reato (in ossequio all'obbligatorietà dell'azione penale). I reati, di regola, sono perseguibili d'ufficio. In certi casi, però, occorre una manifestazione di volontà specifica per potersi procedere con l'esercizio dell'azione penale, volontà che deve essere espressa o dalla persona offesa/danneggiato (querela, istanza) oppure dalla pubblica autorità (richiesta, autorizzazione a procedere). A) La querela consiste in una dichiarazione mediante la quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, il soggetto che ha diritto di proporla manifesta la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato. Al diritto di presentare querela (la presentazione va fatta entro 90 giorni dal fatto-reato, tranne i casi specifici determinati dalla legge che prevedono termini maggiori) si può rinunciare preventivamente (cd rinuncia alla querela) o dopo averlo esercitato (cd remissione di querela, che per avere effetto richiede altresì l'accettazione del querelato). B) L'istanza di procedimento è proposta dalla persona offesa e consiste in una manifestazione di volontà irrevocabile con cui si chiede che si proceda in ordine ai delitti comuni commessi all'estero dal cittadino (con pena della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni), od in ordine ai delitti comuni commessi all'estero dallo straniero in danno dello Stato italiano o di un suo cittadino (con pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno). C) La richiesta è un atto amministrativo discrezionale spettante al ministro della giustizia, necessario per la perseguibilità dei delitti politici commessi in territorio estero dal cittadino italiano o dallo straniero, nonché per la perseguibilità dei delitti comuni del cittadino all'estero (semprechè si trovi nel territorio dello Stato italiano) e si tratti di delitto punito con pena della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni, oppure dallo straniero (che si trovi in Italia) e si tratti di un delitto a danno dello Stato italiano o di un suo cittadino punibile punito con la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno. D) L'autorizzazione a procedere è richiesta dal PM in caso di delitti di cui all'art. 313 c.p. (che richiama alcuni delitti contro la personalità dello Stato e dispone che l'autorizzazione vada chiesta al ministro della giustizia) e 96 Cost. (in caso di reati ministeriali, l'autorizzazione va chiesta alla Camera di appartenenza del ministro, se parlamentare, altrimenti al Senato). Tale autorizzazione va chiesta prima di procedere a giudizio direttissimo o di richiedere il giudizio immediato, il rinvio a giudizio o l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio o del decreto penale di condanna (insomma, prima di esercitare l'azione penale). In ogni caso, la richiesta di autorizzazione a procedere deve essere presentata entro 30 giorni dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona per la quale è necessaria l'autorizzazione a procedere. 3. Le indagini preliminari della polizia giudiziaria A norma dell'art. 347 cpp la polizia giudiziaria, una volta acquisita la notiza di reato, riferisce senza ritardo al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione. La comunicazione della notiza di reato va effettuata entro 48 ore dalla sua acquisizione, o dal compimento dell'atto investigativo per il quale è prevista l'assistenza del difensore. La polizia giudiziaria continua poi a svolgere, di propria iniziativa, indagini parallele a quelle del PM anche dopo l'intervento di quest'ultimo. Tali indagini autonome (ossia senza previa autorizzazione o provvedimento o delega del PM) comprendono: identificazione di persone; assunzione di sommarie informazioni (seguendo le stesse regole previste per gli interrogatori del 46 PM); acquisizione di fonti di prova; perquisizioni (occorre la convalida del PM entro 48 ore) sequestri (occorre la convalida del PM entro 48 ore). 4. Le indagini preliminari del pubblico ministero Le indagini del PM costituiscono la parte essenziale della fase del procedimento penale, e sono finalizzate all'esercizio dell'azione penale. Il PM in questa fase deve cercare tutti gli elmenti relativi alla notizia di reato, anche quelli a favore dell'indagato. Nelle indagini preliminari si acquisiscono unicamente elementi di prova che non dovrebbero mai assumere in sede dibattimentale valore probatorio, se non nei casi eccezionali che vedremo. A) Il PM può procedere nelle indagini ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e può nominare o avvalersi di consulenti tecnici. Se detti accertamenti riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il PM avvisa senza ritardo l'indagato, la persona offesa e i difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico ai consulenti del PM e della facoltà delle parti di nominare propri consulenti tencici. I difnesori e i consulenti di parte hanno diritto di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve. Se prima del conferimento dell'incarico l'indagato si riserva di promuovere incidente probatorio, il PM dispone che non si proceda agli accertamenti; tale riserva perde efficacia e non può più essere riformulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro il termine di 10 giorni dalla formulazione della riserva. B) Il PM può inoltre procedere all'individuazione di persone, di cose o di quant'altro può essere oggetto di percezione sensoriale, e può assumere informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. C) Infine, il PM può effettuare l'interrogatorio dell'indagato, ispezioni, confronti, perquisizioni, sequesti ed in genere qualunque attività di indagine utile al fine di decidere se esercitare o no l'azione penale. Può inoltre effettuare l'interrogatorio delle persone imputate in procedimento connesso ex art. 12, lett. c) o collegato ex art. 371, 2° comma, lett. b (in tali casi questi soggetti, debitamente avvertiti, possono avvalersi della facoltà di non rispondere, ma se decidono di parlare assumo l'ufficio di testimone “assistito”). Quanto alla documentazione degli atti di indagine del PM, la legge li divide in: atti che richiedono la redazione di verbale integrale (atti non ripetibili, quali l'ispezione, la perquisizione, i sequestri e l'intercettazione, nonché gli interrogatori dell'indagato e dell'imputato in reato connesso e l'assunzione di infomazioni da persone informate sui fatti); atti che richiedono la redazione di verbale in forma riassuntiva (ossia tutti gli altri atti di indagine). Si è già detto che tali verbali assumono valore di elemento di prova valevole solo nella fase delle indagini preliminari. Tuttavia, esistono ipotesi ricorrendo le quali la legge riconosce alle indagini preliminari il valore di prova anche in sede dibattimentale; tali ipotesi sono costituite: a) dalla lettura dei verbali degli atti originariamente irripetibili, come le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni, che già hanno diritto di essere inseriti nel fascicolo del dibattimento; b) dalla lettura dei verbali degli atti ad irripetibilità sopravvenuta e non prevedibile, nonché degli atti dell'incidente probatorio (questi ultimi già inseriti nel fascicolo del dibattimento); c) dalla lettura dei verbali con le dichiarazioni rese al PM dall'imputato o dall'imputato di reato connesso ex art. 12, lett. a); d) dalle contestazioni effettuate nel corso dell'esame testimoniale e dell'esame delle parti; e) dagli atti di indagine preliminare cui è consentita l'acquisizione al fascicolo del dibattimento da parte dell'imputato. 47 2) la testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinchè non deponga o deponga il falso; 3) l'esame dell'indagato su fatti concernenti la responsabilità di altri (cd “chiamata in correità”); 4) l'esame di imputati in procedimento connesso o collegato; 5) la perizia o l'esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile. Anche al di fuori delle ipotesi sopra menzionate, il PM o l'indagato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza (art. 392, comma 1 bis): di persona minorenne, oppure della persona offesa maggiorenne, nel caso di delitti di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking, prostituzione e pornografia minorili; della persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità, la quale è desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, anche dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Se accoglie la richiesta, il GIP stabilisce con ordinanza: l'oggetto della prova, nei limiti della richiesta e delle deduzioni; le persone interessate all'assunzione della prova; la data dell'udienza e fa notificare almeno 2 giorni prima l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza all'indagato, alla persona offesa, ai difensori e al PM. Ai sensi dell'art. 397, il PM può chiedere al GIP di disporre il differimento dell'incidente probatorio richiesto dall'indagato, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare; dal canto suo, il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova. L'udienza di incidente probatorio si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e del difensore dell'indagato. Ha altresì diritto di partecipare il difensore della persona offesa; l'indagato e la persona offesa hanno diritto di assistere all'incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o altra persona, mentre negli altri casi lo possono fare solo previa autorizzazione del GIP. Ai sensi dell'art. 401, 5° comma, le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento e, quindi, con la piena attuazione del contraddittorio nel momento di formazione della prova. Può essere richiesta l'estensione dell'incidente probatorio anche a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente probatorio. In caso di accoglimento della richiesta, il GIP rinvia l'udienza per consentire alle parti di prendere congnizione e documentarsi sull'estensione; la richiesta di estensione dell'incidente probatorio non è accolta se il rinvio pregiudica l'assunzione della prova. La prova assunta con l'incidente probatorio è pienamente utilizzabile in sede dibattimentale (ed infatti i relativi verbali vanno inseriti nel fascicolo del dibattimento e possono essere posti dal giudice del dibattimento a fondamento della sua decisione previa loro lettura, ex art. 511 cpp), ma tale utilizzabilità è consentita solo nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione (art. 403 cpp). 7. Durata e chiusura delle indagini preliminari La durata delle indagini preliminari è di 6 mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato viene iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di 1 anno se si procede per delitti indicati all'art. 407, 2° comma, cpp, tra cui vi rientrano i delitti di associazione mafiosa, associazione sovversiva, armi ed esplosivi. Il PM, prima della scadenza del termine, può chiedere al GIP, per giusta causa, la proroga del termine, che può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a 6 mesi (art. 406). Ulteriori proroghe possono essere richieste dal PM nei casi di particolare complessità delle indagini, o di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato, e ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a 6 mesi. 50 La durata massima delle indagini preliminari, ex art. 407, 1° comma, non può comunque superare i 18 mesi (24 mesi nel caso dei delitti indicati all'art. 407, 2° comma). Se il PM non esercita l'azione penale o non richiede l'archiviazione nel termine massimo di durata delle indagini preliminari (come stabilito dalla legge o prorogato dal giudice), gli atti di indagine preliminare compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. In ogni caso, il PM è tenuto ad esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione entro il termine di 3 mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari, e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415 bis cpp. L'art. 415bis prevede che all'esito delle indagini preliminari il PM, se non richiede l'archiviazione, fa notificare AVVISO DELLA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI all'indagato e al suo difensore, nonché (nel caso di delitto di maltrattamenti in famiglia o di delitto di stalking) al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa stessa. Tale avviso contiene: a) la sommaria enunciazione del fatto per cui si procede; b) le norme di legge che si assumono violate; c) la data e il luogo del fatto; d) l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del PM e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia; e) l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro 20 giorni, di presentare memorie, produrre documenti (anche relativi alle investigazioni del difensore), chiedere al PM il compimento di specifici atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare spontanee dichiarazioni oppure chiedere di essere interrogato (in questo caso il PM deve procedere all'interrogatorio). La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'avviso di cui all'art. 415bis, nonché dall'invito a presentarsi a rendere l'interrogatorio richiesto dall'indagato. Le indagini preliminari si chiudono, quindi, o con la richiesta di archiviazione, o con la richiesta di rinvio a giudizio. Se il GIP accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato (cd “decreto di archiviazione”) e restituisce gli atti al PM. Va però tenuto presente che l'avviso della richiesta di archiviazione è altresì notificato, a cura del PM, alla persona offesa che abbia dichiarato di voler essere informata in ordine alla eventuale archiviazione. La persona offesa, in tal caso, può entro 20 giorni dall'avviso presentare opposizione, con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. In seguito all'opposizione da parte della persona offesa, oppure se, pur in assenza di opposizione, ritiene di non accogliere la richiesta di archiviazione, il GIP fissa entro 3 mesi udienza in camera di consiglio , e ne fa dare avviso al PM (nonché al procuratore generale presso la Corte d'appello), all'indagato e alla persona offesa. Al termine dell'udienza camerale, se non accoglie la richiesta di archiviazione, il GIP può: 1) indicare al PM con ordinanza ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento; 2) disporre, sempre con ordinanza, che entro 10 giorni il PM formuli l'imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio. Se invece accoglie la richiesta di archiviazione, la dispone questa volta con ordinanza (cd “ordinanza di archiviazione”). Il decreto di archiviazione è nullo se è emesso in mancanza dell'avviso di archiviazione alla persona offesa, oppure se è emesso prima della scadenza del termine per proporre opposizione alla richiesta di archiviazione. L'ordinanza di archiviazione emessa al termine dell'udienza camerale è nulla solo se non sono rispettate le disposizioni sull'udienza in camera di consiglio ex art. 127, 5° comma, cpp. Con riferimento al regime delle impugnazioni dei provvedimenti di archiviazione, il 3° comma dell'art. 410bis stabilisce che nei casi di nullità del decreto o dell'ordinanza di archiviazione, l'interessato può, entro 15 giorni dalla conoscenza del provvedimento, proporre reclamo innanzi al tribunale monocratico, che provvede con ordinanza non impugnabile, senza intervento delle parti interessate. 51 Se il reclamo è fondato, il tribunale annulla il provvedimento impugnato e ordina la restituzione degli atti al GIP, altrimenti conferma il provvedimento o dichiara inammissibile il reclamo. L'art. 414 cpp prevede una riapertura delle indagini, dopo il provvedimento di archiviazione, per mezzo di decreto motivato del GIP su richiesta del PM, semprechè questa richiesta sia giustificata dall'esigenza di nuove investigazioni. In mancanza di autorizzazione del GIP, l'eventuale azione penale che fosse ugualmente esperita dal PM sarebbe improcedibile, se non addirittura affetta da nullità assoluta (l'efficacia preclusiva del provvedimento di archiviazione, in mancanza di autorizzazione alla riapertura delle indagini, è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 2/1995). Se non vi è archiviazione, l'atto conclusivo delle indagini preliminari è dato dalla formulazione dell'imputazione e dalla richiesta di rinvio a giudizio la quale ultima, ai sensi dell'art. 417 cpp, deve contenere: a) le generalità dell'imputato e della persona offesa; b) l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti coi relativi articoli di legge (cd “capi di imputazione”); c) l'indicazione delle fonti di prova acquisite; d) la domanda al GIP di emissione del decreto che dispone il giudizio; e) la data e la sottoscrizione. La richiesta di rinvio a giudizio, basandosi sulla formulazione dell'imputazione, comporta la chiusura del “procedimento” e l'instaurazione del “processo” (e l'indagato diviene imputato). Nell'ipotesi di mancato esercizio dell'azione penale nel termine di 3 mesi dalla scadenza delle indagini preliminari o dalla scadenza del termine di 20 giorni previsto dall'avviso ex art. 415bis, è prevista l'avocazione obbligatoria delle indagini preliminari, effettuata con decreto dal procuratore generale presso la Corte d'appello. L'avocazione è invece facoltativa quando il GIP fissa l'udienza in camera di consiglio per decidere sulla richiesta di archiviazione del PM (infatti, di detta udienza viene data comunicazione anche al procuratore generale presso la Corte d'appello). 8. Dalle indagini “collegate” alla direzione nazionale antimafia Il codice vigente ha notevolmente ridotto le ipotesi di connessione, eliminando, in particolare, la cd “connessione probatoria” per come disciplinata dal vecchio codice di rito. Con questa scelta legislativa si è voluta scongiurare la prassi abnorme dei cd “maxiprocessi”, sviluppatasi nel corso degli anni '80, e consistente nella celebrazione di dibattimenti con centinaia di imputati e di imputazioni. L'attuale codice, nel caso in cui la prova di un reato o di una circostanza di esso influisce sulla prova di un altro reato o di una sua circostanza, ammette unicamente la riunione dei processi. Ciò significa che il processo può venire celebrato cumulativamente solo se i reati in connessione probatoria appartengono già alla competenza dello stesso giudice sulla base delle regole ordinarie . Se le fattispecie criminose per le quali si procede, unite da connessione probatoria, sono di competenza di giudici diversi, è previsto che i diversi pubblici ministeri competenti a svolgere le indagini preliminari debbano istituire un peculiare collegamento (cd “indagini collegate”) tra le rispettive inchieste (art. 371 cpp). Pertanto, la politica seguita dal legislatore del 1988 è riassunta nello slogan “no ai maxi-processi, sì alle maxi-indagini”: laddove sia necessario, il coordinamento va effettuato a livello di indagine preliminare e non di dibattimento. L'art. 371, 2° comma (come modificato dalla legge 63/2001) stabilisce che il collegamento fra indagini sussiste: 1) nelle ipotesi di connessione ex art. 12 cpp; 2) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, l'impunità, o sono stati commessi da più persone in danno reciproco, o se la prova di un reato/circostanza influisce sulla prova di altro reato/circostanza; 3) nel caso in cui la prova di più reati derivi, in tutto o in part, dalla medesima fonte (ad es. un “pentito”). 52 difensore. Se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, e per il quale si deve procedere d'ufficio, il GUP autorizza la contestazione del fatto stesso se il PM ne fa richesta e l'imputato vi consente. Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento (art. 431). Nel fascicolo del dibattimento sono raccolti:  gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale (querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere) e all'esercizio dell'azione civile (costituzione di parte civile); i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, dal PM e dal difensore; i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; il certificato generale del casellario giudiziario; il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove; gli atti contenuti nel fasciolo del PM e del difensore di cui le parti concordano l'acquisizione. Il fascicolo del dibattimento, insieme al decreto che dispone il giudizio, è trasmesso senza ritardo alla cancelleria del giudice competente per il dibattimento. L'art. 430 attribuisce al PM e al difensore il potere di compiere attività integrativa di indagine successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio. Tale attività è finalizzata alle richieste che le parti dovranno effettuare al giudice del dibattimento ed è vietata per gli atti per cui è prevista la partecipazione dell'imputato o del suo difensore. 2. La funzione dell'udienza preliminare come filtro delle imputazioni azzardate La prima funzione dell'udienza preliminare è quella di realizzare un filtro delle imputazioni azzardate, mediante un controllo giurisdizionale sull'esercizio dell'azione penale, in modo da evitare il dibattimento, mediante l'emanazione di una sentenza di non luogo a procedere, ove si ritenga errato l'esercizio dell'azione penale. Ai sensi del 3° comma dell'art. 425 cpp (modificato dalla legge 479/1999) il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Nel caso in cui dei motivi di proscioglimento vi sia invece l'evidenza, non verrà emessa sentenza di non luogo a procedere, bensì sentenza di immediato prosciogliemento ex art. 129 cpp. 3. La funzione dell'udienza preliminare come attuazione del diritto alla prova La seconda funzione dell'udienza preliminare è data dalla necessità di realizzare un'attuazione del diritto alla prova. Infatti, può verificarsi che la possibilità di acquisire elementi probatori favorevoli all'indagato/imputato emerga dopo la chiusura delle indagini preliminari. É così anzitutto consentito in udienza preliminare l'incidente probatorio. Inoltre il GUP, qualora le indagini preliminari siano incomplete (il che non gli consente di decidere allo stato degli atti), alternativamente: indica le ulteriori indagini al PM , fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare (art. 421bis); dispone, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove (di qualsiasi tipo) delle quali appare evidente la decisività ai fini dell'emanazione della sentenza di non luogo a procedere (art. 422) Questa ampia possibilità di integrazione probatoria ha reso più facile l'attuazione del diritto alla prova nell'udienza preliminare, posto che la parte la quale ritenga lacunosa la fase delle indagini preliminari potrà “pungolare” il GUP affinchè questi intervenga con propri provvedimenti istruttori. Da ultimo occorre ricordare che il difensore dell'imputato può integrare il materiale probatorio a disposizione 55 del GUP sia producendo documenti (art. 419), sia presentando gli elementi favorevoli al suo assistito raccolti nel corso delle indagini difensive. 4. Impugnazione e revoca della sentenza di non luogo a procedere La sentenza di non luogo a procedere emanata ai sensi dell'art. 425 cpp è appellabile ex art. 428, 1° comma (come modificato dalla legge 103/2017): dal procuratore della Repubblica presso il tribunale; dal procuratore generale presso la Corte d'appello; dall'imputato (a meno che questi non sia stato prosciolto per insussistenza del fatto o per non commissione del fatto stesso); dalla persona offesa. Sull'impugnazione la Corte d'appello decide in camera di consiglio nelle forme di cui all'art. 127. In caso di appello del PM la Corte, se non conferma la sentenza di non luogo a procedere, alternativamente: a) pronuncia decreto che dispone il giudizio, formando il fascicolo del dibattimento; b) pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula più favorevole all'imputato. Contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado d'appello possono ricorrere per cassazione l'imputato e il procuratore generale, ma solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606 cpp. La sentenza di non luogo a procedere è altresì suscettibile di revoca: se successivamente alla sentenza sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o assieme a quelle già acquisite, possano giustificare il rinvio a giudizio, il GIP, in seguito a richiesta del PM, dispone con ordinanza la revoca della sentenza (art. 434) e, se c'è richiesta del PM anche di rinvio a giudizio, fissa la nuova udienza preliminare, altrimenti fissa termine di 6 mesi per il compimento delle indagini (art. 436). Cap. III – I PROCEDIMENTI SPECIALI 1. I riti speciali in generale Il libro VI del codice di procedura penale prevede i cd “procedimenti speciali”, che più esattamente si sarebbero dovuti chiamare “riti speciali”, stante la fondamentale distinzione tra procedimento e processo che abbiamo a suo tempo visto. I procedimenti speciali si possono distinguere in due categorie. a) quelli diretti a deflazionare il dibattimento (in cui manca il dibattimento, o il dibattimento è solo eventuale) e, cioè, l'applicazione della pena su richiesta delle parti (cd patteggiamento), il giudizio abbreviato e il procedimento per decreto penale di condanna; b) quelli che escludono l'udienza preliminare anticipando il dibattimento , cioè il giudizio direttissimo e il giudizio immediato. 2. Il giudizio abbreviato Il giudizio abbreviato è un rito speciale in virtù del quale il processo viene definito in udienza preliminare. É un rito che può essere chiesto solo dall'imputato. La richiesta di giudizio abbreviato può essere presentata personalmente, o per mezzo di procuratore speciale: 1) nel corso dell'udienza preliminare , oralmente o per iscritto: a) fino a che non siano state formulate le conclusioni ai sensi dell'art. 421, 3° comma, cpp (cioè al termine della discussione); 56 b) successivamente all'attività di integrazione probatoria disposta dal GUP ai sensi dell'art. 422, 3° comma; 2) prima dell'apertura del dibattimento; a) quando l'imputato riproponga la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'integrazione probatoria respinta dal GUP; b) quando i reati per cui si procede sono di competenza del tribunale monocratico e l'azione penale è stata esercitata con citazione diretta a giudizio ex art. 550 cpp. Sulla richiesta di giudizio abbreviato, il giudice provvede con ordinanza. Normalmente il giudizio abbreviato consegue obbligatoriamente alla richiesta dell'imputato (ossia il giudice è tenuto a disporre il giudizio abbreviato, e se non può decidere allo stato degli atti dovrà ordinare anche d'ufficio l'assunzione degli elementi di prova necessari alla decisione). Tuttavia, l'imputato può, ai sensi dell'art. 438, 5° comma, subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad un'integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione (cd giudizio abbreviato condizionato), e il giudice, in tal caso, non ha l'obbligo di disporre il giudizio abbreviato, che viene adottato solo quando il giudice valuti l'integrazione probatoria effettivamente necessaria ai fini della decisione, nonché compatibile con le finalità di economia processuale proprie del giudizio abbreviato. Ai sensi del comma 5bis dell'art. 438 (introdotto dalla legge 103/2017) l'imputato può presentare, con la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, e subordinatamente al suo rigetto, richiesta di giudizio abbreviato non condizionato oppure richiesta di patteggiamento. Il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio, a meno che tutti gli imputati facciano richiesta che il medesimo si svolga in pubblica udienza. Si osservano in quanto applicabili le disposizioni previste per l'udienza preliminare. Non può tuttavia essere modificata l'imputazione. Il giudizio abbreviato comporta una metamorfosi dell'udienza preliminare, la quale da udienza “filtro”, destinata ad accertare se sia o meno necessario il dibattimento, diventa un'udienza in cui si accerta la responsabilità o meno dell'imputato “allo stato degli atti” (salva l'integrazione probatoria cui è subordinato il giudizio abbreviato condizionato). Pertanto, ex art. 442, terminata la discussione, il giudice provvede pronunciando sentenza di proscioglimento oppure di condanna; in caso di condanna la pena è diminuita di 1/2 se si procede per una contravvenzione, e di 1/3 se si procede per un delitto (alla pena dell'ergastolo “semplice” è sostituita quella della reclusione di anni 30; alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno è sostituita quella dell'ergastolo “semplice”). Quanto all'impugnazione delle sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato, l'art. 443 cpp (come appare dopo le sentenze della Corte costituzionale del 2007 e del 2009) stabilisce che: l'imputato (e non più anche il PM) non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, a meno che si tratti di sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente; il PM non può proporre appello contro le sentenze di condanna, a meno che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato. 3. L'applicazione della pena su richiesta delle parti L'applicazione della pena su richiesta delle parti (o patteggiamento) è un rito speciale che porta alla condanna dell'imputato ad una pena “concordata” tra PM e imputato. L'art. 444, 1° comma, cpp, come modificato dalla legge 134/2003 e dalla legge 38/2006 (che ha ampliato le ipotesi di legittimo ricorso al rito alternativo in esame, estendendo da 2 a 5 anni di pena detentiva il limite massimo della pena suscettibile di patteggiamento), stabilisce che l'imputato e il PM possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e misura indicata: a) di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a 1/3; b) di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a 1/3, non supera 5 anni, soli o congiunti a pena pecuniaria. Il limite di 2 anni di pena, soli o congiunti a pena 57 preliminare). In ogni caso, al termine del giudizio il giudice revoca il decreto penale di condanna e può pronunciare il proscioglimento oppure applicare una pena che può essere anche diversa e più grave (reformatio in pejus) di quella stabilita nel decreto penale, e può anche revocare i benefici di legge concessi (sospensione condizionale della pena, non menzione nel casellario giudiziale, no pagamento spese processuali, etc.). 6. Il giudizio direttissimo Il giudizio direttissimo e il giudizio immediato sono riti diretti ad anticipare il dibattimento, in quanto manca l'udienza preliminare. Nel giudizio direttissimo oltre a mancare l'udienza preliminare non sussiste la fase pre-dibattimentale (e di conseguenza non è richiesto il deposito delle liste testimoniale ex art. 468 cpp). Il giudizio direttissimo è previsto in quattro ipotesi: 1) quando una persona è stata arrestata in flagranza di reato. Il PM, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l'imputato in stato d'arresto, entro 48 ore dall'arresto stesso, davanti al giudice del dibattimento (non davanti al GIP), per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio (art. 449, 1° comma); se l'arresto non viene convalidato il giudice restituisce gli atti al PM (ma se c'è il consenso del PM e dell'imputato il giudice può procedere al giudizio direttissimo anche in mancanza di convalida dell'arresto). 2) Sempre in caso di persona arrestata in flagranza di reato il PM, invece di presentare direttamente l'imputato al giudice del dibattimento, chiede dapprima al GIP la convalida dell'arresto. In caso di convalida, si procede a giudizio direttissimo qualora il PM presenti l'imputato in udienza davanti al giudice del dibattimento non oltre il 30° giorni dall'arresto. 3) Qualora la persona, nel corso dell'interrogatorio, abbia reso confessione sull'oggetto del reato, può essere soggetta a giudizio direttissimo entro 30 giorni dall'iscrizione del suo nome nel registro delle notizie di reato. L'imputato libero è citato a comparire ad un'udienza non successiva al termine di cui sopra. Se, invece, l'imputato è in stato di custodia cautelare per il fatto per cui si procede, è presentato dal PM all'udienza nel medesimo termine. 4) Quando una persona è stata allontanata d'urgenza dalla casa familiare ai sensi dell'art. 384bis, la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del PM, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell'arresto entro le successive 48 ore (comma 5 art. 449, come modificato nel 2013). Per quanto concerne lo svolgimento del giudizio direttissimo, l'art. 451 prevede che si osservino le disposizioni dettate per il dibattimento. Dal momento che manca la fase del pre-dibattimento, la persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente da un ufficiale giudiziario o da un agente di polizia giudiziaria; inoltre, il PM, l'imputato e la parte civile possono presentare i testimoni a dibattimento direttamente e senza citazione. Debitamente avvisato dal giudice, l'imputato può chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a 10 giorni (l'udienza viene pertanto rinviata); inoltre, sempre debitamente avvisato dal giudice, può chiedere in alternativa al giudizio direttissimo il giudizio abbreviato o il patteggiamento. 7. Il giudizio immediato Il giudizio immediato anticipa il dibattimento eliminando l'udienza preliminare ma, a differenza del giudizio direttissimo, in esso non manca la fase del pre-dibattimento. Il giudizio immediato può essere instaurato in seguito a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato. A) Nel primo caso (richiesta del PM) i presupposti del giudizio immediato previsti dall'art. 453 cpp sono: 1) l'evidenza della prova; 2) l'indagato deve essere stato previamente interrogato sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova; 3) la richiesta va effettuata dal PM entro 90 giorni dall'iscrizione della notizia di reato; 60 4) la previa valutazione da parte del PM che la richiesta di giudizio immediato non pregiudichi gravemente le indagini in corso. La richiesta è effettuata dal PM al GIP, il quale entro 5 giorni emette decreto con cui dispone il giudizio immediato, oppure rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al PM. Il decreto di giudizio immediato (che va comunicato al PM e notificato all'imputato e alla persona offesa almeno 30 giorni prima del giudizio) contiene anche l'avviso (a pena di nullità) che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato oppure il patteggiamento . B) Il giudizio immediato può essere instaurato anche a seguito della richiesta dell'imputato (ed in tal caso l'imputato non può poi chiedere il giudizio abbreviato), quando quest'ultimo, ai sensi dell'art. 419, 5° comma, rinunci all'udienza preliminare e richieda il giudizio immediato con dichiarazione presentata alla cancelleria, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno 3 giorni prima dell'udienza preliminare. L'atto di rinuncia è notificato al PM e alla persona offesa. Non è richiesta altra condizione affinchè il giudice, a seguito della richiesta dell'imputato, emetta decreto di giudizio immediato. 8. La sospensione del procedimento con messa alla prova La legge 67/2014 ha introdotto nei sistemi sostanziali (codice penale) e processuale (codice di procedura penale) un nuovo istituto, la sospensione del procedimento penale con messa alla prova, in realtà già prevista (quanto meno nelle linee essenziali) con riguardo ai procedimenti penali a carico di minori. Quanto alle caratteristiche dell'istituto sostanziale, gli artt. 168bis, 168ter e 168quater del codice penale prevedono che: ove l'addebito ascritto nel procedimento penale abbia ad oggetto: a) reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria); b) reati puniti con sola pena pecuniaria; c) delitti con pena superiore a 4 anni in relazione ai quali è previsto che si proceda con citazione diretta a giudizio, l'imputato può chiedere, per una sola volta, la sospensione del processo con mezza alla prova (che consiste nell'affidamento in prova al servizio sociale, nella prestazione di lavori di pubblica utilità, nell'adozione di condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e, ove possibile, il risarcimento danni). Non possono accedere all'istituto i delinquenti abituali, professionali e per tendenza. La sospensione del procedimento con messa alla prova comporta la sospensione della prescrizione del reato. La violazione grave e reiterata delle prescrizioni imposte, la mancata effettuazione dei lavori di pubblica utilità o la commissione di altro delitto non colposo o reato della stessa indole di quello per cui si procede, comportano la revoca della sospensione del procedimento. In caso di esito positivo della prova il reato è estinto (ma non si estinguono le sanzioni accessorie) e ciò viene dichiarato con sentenza. La collocazione di questo istituto anche nel codice di procedura penale ne fa un ulteriore rito speciale finalizzato alla deflazione del dibattimento. La richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere avanzata dall'indagato/imputato, oltre che da un procuratore speciale: 1) durante le indagini preliminari; 2) in udienza preliminare, sino al momento della presentazione delle conclusioni; 3) fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio di primo grado, nel giudizio direttissimo e nel procedimento davanti al tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio; 4) entro 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato; 5) contestualmente all'opposizione a decreto penale di condanna. Ove le cadenze processuali lo consentano, l'istanza respinta può essere riproposta sino alla dichiarazione di 61 apertura del dibattimento. La richiesta dell'interessato deve essere corredata da un programma di trattamento stilato unitamente all'ufficio di esecuzione penale esterna (cd UEPE). Sulla richiesta decide il giudice con ordinanza, sentite le parti (compresa la persona offesa) in udienza, salvo vi siamo motivi di proscioglimento immediato ex art. 129. L'accoglimento della richiesta con ordinanza (ricorribile in Cassazione da parte dell'interessato e del PM) consente la sospensione del procedimento per un periodo non superiore ad uno o due anni, a seconda che il reato per cui si procede sia sanzionato con la sola pena pecuniaria oppure con pena detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria). Cap. IV – IL GIUDIZIO ORDINARIO 1. La fase degli atti preliminari al dibattimento: la sentenza predibattimentale Il giudizio, disciplinato dal libro VII del codice di procedura penale consta di 3 fasi: I. la fase degli atti preliminari al dibattimento (o pre-dibattimento); II. il dibattimento; III. la fase post-dibattimentale. La fase pre-dibattimentale ha una funzione preparatoria del dibattimento. L'art. 429, 3° comma, dispone che tra la data della npotifica del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio deve intercorrere un termine (termine a comparire) non inferiore a 20 giorni. Durante questo termine a comparire, le parti e i loro difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano, delle cose sequestrate, nonché di esaminare in cancelleria gli atti e i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento e di estrane copia. La funzione preparatoria rispetto alle prove da assumere a dibattimento è delineata nell 'art. 468, il quale prevede che le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni, periti, consulenti tecnici, imputati di procedimento connesso o collegato, devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria almeno 7 giorni prima del dibattimento la lista con l'indicazione della circostanze oggetto dell'esame, oltre che del nominativo dei soggetti da esaminare. Tali soggetti possono essere citati su autorizzazione del giudice, oppure, se trattasi di testimoni o consulenti tecnici indicati nelle liste, essere presentati direttamente a dibattimento. In relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista, oppure presentrali a dibattimento. Nelle liste va richiesta anche l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti. Nella fase pre-dibattimentale, stante la sua natura preparatoria, non si assumono prove, se non in via eccezionale (ossia nei casi in cui è ammesso l'incidente probatorio). Nella fase pre-dibattimentale è consentita l'emanazione di sentenza inappellabile di proscioglimento ex art. 469 (definita “sentenza di non doversi procedere”): a) se l'azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita; b) se il reato è estinto. Il giudice decide in camera di consiglio, sentiti il PM e l'imputato e questi non si oppongono. L'art. 469 si pone in rapporto di specialità con l'art. 129, 1° comma (cioè si applica in deroga a quest'ultimo). É invece fatto salvo il 2° comma dell'art. 129, per cui anche se ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione con la formula di merito prescritta, e non sentenza di non doversi procedere. Ciò lo può fare solo dopo aver dichiarato aperto appositamente il dibattimento, il che significa che nella fase pre-dibattimentale non è possibile il proscioglimento nel merito. 62 Nel corso del 2008 il princìpio di continuità del dibattimento ha trovato un'ulteriore battuta d'arresto ad opera della legge 124/2008 (cd “lodo Alfano”): ai sensi di detta legge il processo penale, e dunque anche il dibattimento, poteva essere altresì sospeso quando si svolgeva nei confronti di soggetti che rivestivano determinate alte cariche dello Stato. Già in passato era stato fatto un tentativo di prevedere per legge la sospensione dei processi penali per alte cariche dello Stato. Il cd “lodo Schifani” del 2003 riguardava i processi contro: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, il Presidente della Camera, il Presidente del Consiglio dei ministri, il Presidente della Corte costituzionale. Il lodo Schifani è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 24/2004 (la motivazione era che il lodo prevedeva la sospensione generale automatica per tutti i reati extrafunzionali, non era rinunciabile e aveva durata indeterminata, posto che la reiterabilità degli alti incarichi, anche diversi, poteva prolungare la sospensione). Nel 2008 ecco il cd “lodo Alfano” in cui la sospensione riguardava le stesse cariche di cui al lodo Schifani, escluso il Presidente della Corte costituzionale. Prevedeva la rinunciabilità della sospensione ed escludeva la reiterabilità, in quanto la sospensione non si applicava in caso di successiva investitura in altra carica, o nella stessa carica in altra legislatura (nel corso della stessa legislatura era prevista invece la reiterazione). Anche il lodo Alfano è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 262/2009), stavolta in quanto, a detta della Corte, la sospensione dei processi penali contrasta con l'art. 138 Cost., in quanto andrebbe prevista da una norma costituzionale ad hoc adottata col procedimento di revisione costituzionale, dato che la sospensione dei processi incide sulla funzionalità di organi costituzionali e, inoltre, viola il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. Solo tramite legge costituzionale potrebbe operarsi una deroga a regole costituzionali. Nel 2010 è stato fatto un ultimo tentativo, con una nuova ipotesi di legittimo impedimento a comparire per imputati nei processi penali che siano il Presidente del Consiglio o i ministri, ma tale legge è stata abrogata con referendum del giugno 2011. 6. Il principio di immediatezza Il princìpio di immediatezza, inteso come immutabilità del giudice, è enunciato dall'art. 525, 2° comma, cpp, che espressamente prevede la nullità assoluta ove alla deliberazione della sentenza concorrano giudici che non hanno partecipato al dibattimento. Insomma, il giudice che è chiamatao a decidere deve essere lo stesso giudice-persona fisica che ha assunto le prove. Per il vero tale finalità risulta frustrata in relazione agli incidenti probatori, nei quali la prova viene escussa dal GIP, mentre il giudice del dibattimento cui spetta decidere dovrà limitarsi a valutare i verbali dell'incidente probatorio (il quale, dunque, costituisce eccezione al princìpio dell'immediatezza). 7. Il principio dispositivo: deroghe Un princìpio fondamentale in ordine all'acquisizione delle prove è quello dispositivo, posto che ai sensi dell'art. 190 cpp, le prove sono ammesse a richiesta di parte (e non d'ufficio). Tuttavia, oltre ad aver diritto alla richiesta, le parti hanno anche diritto all'ammissione delle prove richieste, a meno che si tratti di prove vietate dalla legge, oppure siano manifestamente superflue o irrilevanti. Diritto all'ammissione della prova (e alla sua corretta assunzione) e principio dispositivo (che riguarda il diritto delle parti di richiedere o meno l'ammissione della prova) sono pertanto due concetti diversi. L'assunzione delle prove d'ufficio è un istituto eccezionale, e rientra fra le deroghe al princìpio dispositivo che ora andiamo ad esaminare. A) Fa parte del princìpio dispositivo la regola “ne eat iudex ultra petita partium”, ai sensi della quale il giudice deve giudicare unicamente sui fatti enunciati dalle parti oggetto di prova (thema probandum). É prevista la deroga a tale regola, in quanto in alcuni casi è consentito al giudice di introdurre un thema probandum non indicato dalle parti . È ciò che avviene a norma dell'art. 506, 1° comma, secondo cui il presidente del collegio, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento su richiesta delle parti, o a seguito delle letture consentite, può indicare alle parti 65 temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame. B) Il princìpio dispositivo contiene una seconda regola, “iudex iudicare debet secundum probata partium”, la quale comporta che il giudice possa assumere solo le prove richieste dalle parti. Eccezione a tale regola è contemplata al 2° comma dell'art. 190, per cui la legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse d'ufficio. L'eccezione più vistosa alla seconda regola del princìpio dispositivo è data dall'art. 507, secondo il quale il giudice del dibattimento, terminata l'acquisizione delle prove, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova.  Secondo una prima interpretazione, al giudice è consentito unicamente di disporre l'assunzione delle prove la cui assoluta necessità emerga dalla stessa istruzione dibattimentale (trattasi pertanto di prova integrativa, mentre tale potere non sussisterebbe ove mancasse completamente l'istruzione dibattimentale). In base ad una seconda interpretazione, fatta propria dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, nonché dalla Corte costituzionale, l'art. 507 attribuisce al giudice il potere di assumere nuovi mezzi di prova in ogni caso di assoluta necessità e, cioè, anche quando la necessità stessa sia stata determinata da una carenza parziale o totale nell'attività di una o di entrambe le parti che non hanno provveduto alla richiesta di assunzione (e dunque anche quando manchi del tutto l'istruzione dibattimentale). Ciò fa sì che il giudice eserciti una funzione di supplenza o dell'accusa o della difesa in ordine alla richiesta di assunzione delle prove, il che scalfirebbe la posizione di terzietà del giudice. 8. Il principio dell'oralità e del contraddittorio nel momento di formazione della prova: deroghe Il contraddittorio nel momento di formazione della prova è strettamente correlato all'oralità, poiché il contraddittorio può compiutamente esplicarsi solo quando tra le modalità di escussione delle prove vi sia l'oralità. Se, invece, l'oralità si concreta unicamente nella lettura di un verbale (a cui è equiparata l'indicazione specifica degli atti utilizzabili ai fini della decisione), il contraddittorio si realizza su una prova in realtà già formata in altra sede. L'art. 514 cpp vieta in generale la lettura dei verbali, a meno che tale lettura non sia espressamente consentita dalla legge, il che avviene per i casi seguenti. 1) La lettura, con conseguente possibilità di utilizzare come prova il relativo verbale, è prevista anzitutto per i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio che possono essere letti in quanto sono inseriti nel fascicolo del dibattimento (e quindi possono essere letti secondo la disposizione generale ex art. 511). 2) Può essere data lettura, in quanto si tratta di verbali inseriti nel fascicolo del dibattimento (art. 511 cpp), dei verbali di atti originariamente irripetibili compiuti dal PM o dalla polizia giudiziaria. 3) Può essere data lettura, ai sensi dell'art. 512, dei verbali degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal PM, dai difensori e dal giudice (quest'ultimo nel corso dell'udienza preliminare) quando, per fatti sopravvenuti e imprevedibili, ne sia divenuta impossibile la ripetizione (irripetibilità sopravvenuta). 4) Deroghe al princìpio di oralità e contraddittorio nella formazione della prova sono date anche dalle cd contestazioni. Si tratta delle contestazioni nel corso dell'esame testimoniale o nel corso dell'esame delle parti private. La contestazione è l'atto col quale si rinfaccia al testimone o alla parte privata di aver reso in dibattimento una dichiarazione contrastante con altra dichiarazione resa dal medesimo soggetto nel corso delle indagini preliminari, nell'udienza preliminare o in altro procedimento penale. Le contestazioni possono essere esercitate solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone o la parte privata abbiano già deposto. Le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate solo ai fini della credibilità del teste o della parte che le ha rese. Su accordo delle parti, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM, precedentemente rese al PM o alla polizia giudiziaria dal testimone o dalla parte privata (in questo secondo caso se il difensore aveva diritto di assistere), sono acquisite la fascicolo del dibattimento (ed allora possono essere lette 66 a dibattimento). 5) Possono essere utilizzate le dichiarazioni di imputati in procedimenti connessi o collegati quando costoro assumono l'ufficio di testimone, e con le medesime regole stabilite per l'utilizzo delle dichiarazioni rese dai testimoni (contestazioni oppure lettura di verbali). 6) Ai sensi dell'art. 511bis il giudice, anche d'ufficio, dispone che sia data lettura (con conseguente acquisizione al fascicolo del dibattimento) dei verbali di prove di altri procedimenti, se riguardano atti assunti nelle forme dell'incidente probatorio o nel dibattimento in quel procedimento, cui abbia partecipato il difensore dell'imputato. Dei verbali di altri procedimenti può essere disposta l'acquisizione tramite lettura anche nel caso di irripetibilità sopravvenuta imprevedibile. L'acquisizione dei verbali di altri procedimenti avviene senza lettura nel caso in cui l'imputato presti il proprio consenso. Negli altri casi, i verbali di altri procedimenti possono essere utilizzati solo per le contestazioni. 7) La legge 397/2000, in materia di indagini difensive, ha espressamente riconosciuto la possibilità di dare lettura degli atti assunti dal difensore in caso di irripetibilità sopravvenuta imprevedibile (come al punto 3). Negli altri casi, i verbali di atti compiuti nell'ambito delle indagini difensive e contenute nel fascicolo del PM possono essere acquisiti al fascicolo del dibattimento col consenso dell'imputato, altrimenti possono essere utilizzati solo per le contestazioni. 9. Il principio della correlazione tra accusa e sentenza Strettamente collegato al contraddittorio appare altresì il princìpio della correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che risulterebbe inutile l'esercizio del diritto di difesa se fosse consentita la condanna per un fatto diverso da quello contestato, o per fatti nuovi. Il codige vigente ribadisce il princìpio della correlazione tra accusa e sentenza, posto che questa non può concernere, a pena di nullità, un fatto diverso da quello contestato all'imputato, ma è altresì prevista con estrema ampiezza la possibilità di modificare l'imputazione nel corso del dibattimento, con integrazioni idonee ad influire sull'accertamento della responsabilità. 1) L'art. 516 cpp stabilisce che se nel corso del dibattimento il fatto risulti diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartenga alla competenza di un giudice superiore, il PM modifica l'imputazione ed effettua la contestazione. 2) Stessa cosa prevede l'art. 517 con riferimento a circostanza aggravante o a reato connesso (per concorso formale di reati o per vincolo della continuazione ex art. 81 codice penale). 3) Ai sensi dell'art. 518 il PM può altresì contestare all'imputato un fatto nuovo, per cui debba procedersi d'ufficio; questa contestazione richiede, oltre all'autorizzazione del presidente, il consenso dell'imputato. L'art. 519 prevede che, nelle situazioni delineate dagli artt. 516, 517 e 518, l'imputato che ne faccia richiesta ha diritto (a meno che la contestazione abbia ad oggetto la recidiva) ad una sospensione del dibattimento per un tempo non inferiore al termine per comparire, ma comunque non superiore a 40 giorni. Inoltre, l'imputato può richiedere l'assunzione di nuove prove a discarico, anche se non sussiste l'assoluta necessità (come invece disponeva il vecchio 2° comma dell'art. 517, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 242/1992). Nella sentenza finale il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, sempre che il reato non ecceda la sua competenza, né risulti attribuito alla cognizione del tribunale collegiale anziché monocratico. In quest'ultimo caso il giudice deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al PM: ove ciò non accada le parti, a pena di decadenza, devono eccepire l'inosservanza della norma nei motivi di impugnazione. 10. Il principio di non regressione: deroghe Nella fase dibattimentale trova altresì attuazione il princìpio di non regressione, idoneo a precludere la retrocessione ad una fase antecedente di processi giunti validamente alla fase dibattimentale. L'avverbio “validamente” significa che non potrà parlarsi di vera e proria retrocessione quando il passaggio da una fase 67 Ai sensi dell'art. 545 la sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante lettura del dispositivo e, se vi sia stata motivazione contestuale, mediante la lettura della motivazione, che può essere sostituita da una esposizione riassuntiva. Ai sensi dell'art. 646, 1° comma, la sentenza contiene: 1) l'intestazione “in nome del popolo italiano” e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata; 2) le generalità dell'imputato e delle altre parti private; 3) l'imputazione; l'indicazione delle conclusioni delle parti; la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata (se c'è motivazione contestuale), con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice non ritiene attendibili le prove contrarie con riferimento: - all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; - alla punibilità e alla determinazione della pena; - alla responsabilità civile derivante dal reato; - all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione delle norme processuali; 4) il dispositivo con l'indicazione degli articoli di legge applicati; 5) la data e la sottoscrizione deln giudice. La sentenza è nulla (art. 546, 3° comma): a) se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo; b) se manca la sottoscrizione del giudice; c) se manca la motivazione, sia nel caso di sua mancanza formale, sia nel caso di impossibilità di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice. 14. Le formule di proscioglimento e le regole di giudizio normativizzate Il legislatore ha previsto molteplici formule di proscioglimento e una formula di condanna. A) Nel caso di mancanza di una condizione di procedibilità (ad es. manca la querela) o di proseguibilità (ad es. c'è stata la remissione della querela, accettata dall'imputato), il giudice deve pronunciare sentenza di non doversi procedere in quanto l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (art. 529 cpp). Il giudice deve prosciogliere per mancanza di una condizione di procedibilità anche quando la prova sull'esistenza della condizione di procesibilità sia insufficiente o contraddittoria. B) Se il reato è estinto (o c'è il dubbio sulla presenza della causa estintiva) il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo (art. 531 cpp). C) La sentenza di assoluzione (art. 530 cpp) che invece pronuncia sul merito dell'imputazione, ha le seguenti formule: 1) il fatto non sussiste (manca anche solo uno degli elementi oggettivi del reato); 2) l'imputato non ha commesso il fatto; 3) il fatto non costituisce reato (sussistono gli elementi oggettivi del reato, ma manca l'elemento soggettivo o c'è una causa di giustificazione); 4) il fatto non è previsto dalla legge come reato; 5) l'imputato non è imputabile o non è punibile per altra ragione. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione (piena) anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile o punibile (non è più prevista, quindi, la vecchia formula assolutoria “per insufficienza di prove”). D) Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533, 1° comma, cpp). Nel pronunciare la condanna, il giudice determina la pena applicando, altresì, l'eventuale misura di sicurezza. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e determina la pena che 70 deve essere applicata in ossservanza delle norme sul concorso di reati e di pene, o sulla continuazione nel reato. Può concedere il beneficio della sospenzione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e, nei casi previsti, dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza. Cap. V – IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA E IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE 1. Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica Il libro VIII del codice di procedura penale disciplina il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. Ai sensi dell'art. 549 cpp, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per tutto ciò che non è previsto nel libro VIII o in altre disposizioni specifiche, si osservano le norme contenute nei libri precedenti del codice, in quanto applicabili. Nell'ambito dei procedimenti che si svolgono davanti al tribunale in composizione monocratica, il codice differenzia tra i procedimenti che vengono instaurati mediante citazione diretta a giudizio (art. 550) e quelli che vengono istaurati mediante un'ordinaria richiesta di rinvio a giudizio del PM, cui segue l'udienza preliminare. Nei procedimenti con citazione diretta a giudizio ex art. 550 il PM, concluse le indagini preliminari, e trascorso il termine per il deposito di atti difensivi ex art. 415bis, esercita l'azione penale mediante l'emanazione del decreto di citazione diretta a giudizio. Tale decreto contiene: a) le generalità dell'imputato, delle altre parti e dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con indicazione dei relativi articoli di legge (è questa la formulazione dell'imputazione); d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio, nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che, non comparendo, sarà giudicato in sua assenza; e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore d'ufficio; f) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, può presentare richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento, oppure presentare domanda di oblazione; g) l'avviso che il fascicolo delle indagini preliminari è depositato nella segreteria del PM, e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia; h) la data e la sottoscrizione del PM. Il decreto di citazione a giudizio è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo, oppure se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dalle lettere c), d), e), f) sopra indicate. Il decreto è altresì nullo se non è preceduto dall'avviso di chiusura delle indagini ex art. 415 bis , nonché dall'invito a presentarsi a rendere l'interrogatorio richiesto dall'indagato entro il termine previsto dallo stesso art. 415 bis . Il decreto di citazione a giudizio deve essere notificato all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno 60 giorni (ridotti a 45 nei casi di urgenza) prima della data fissata per l'udienza di comparizione. Il PM forma il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice del dibattimento, col decreto di citazione, subito dopo la notificazione. 71 L'udienza di comparizione, regolata dall'art. 555, supplisce almeno in parte all'assenza dell'udienza preliminare. Almeno 7 giorni prima della data di tale udienza (nella quale viene poi dichiarato aperto il dibattimento), le parti devono (a pena di inammissibilità) depositare in cancelleria le liste di testimoni, periti, consulenti tecnici, imputati in procedimenti connessi o collegati di cui intendono chiedere l'esame e le cirocstanze su cui l'esame deve vertere. All'udienza il giudice, quando il reato e perseguibile a querela, verifica anzitutto se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. Prima dell'apertura del dibattimento l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Se deve procedersi al giudizio, una volta aperto il dibattimento le parti formulano le richieste di prova come avviene nel dibattimento “ordinario” davanti al tribunale collegiale, e possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del PM, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. Nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica il dibattimento si svolge secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale collegiale, in quanto applicabili (art. 559). Tuttavia, è previsto che possa derogarsi all'esame diretto ed al controesame da parte dei difensori posto che, su accordo delle parti, l'esame può essere condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e contestazioni proposte dal PM e dai difensori. 2. Il procedimento davanti al giudice di pace Il d.lgs. n. 274/2000 contiene la disciplina del procedimento penale per i reati di competenza del giudice di pace, competenza relativa a reati che riflettono situazioni tipiche di microconflittualità individuale e che si caratterizzano sia per il carattere non particolarmente complesso delle valutazioni in fatto e in diritto richieste per il loro accertamento, sia per la circostanza di prestarsi alle soluzioni conciliative e risarcitorie che il giudice di pace ha lo specifico obbligo di promuovere. Nel dettaglio, il G.d.P è competenze per i delitti consumati o tentati in materia di: – percosse e lesioni personali volontarie, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela e ad esclusione dei fatti commessi contro coniuge, convivente e prossimi congiunti; – lesioni personali colpose, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela e ad esclusione di quelle connesse alla colpa professionale; – ingiuria, diffamazione, minaccia, danneggiamento; – contravvenzioni in tema di somministrazione di bevande alcoliche a minori, infermi di mente o persone in stato di ubriachezza; – leggi speciali di cui al comma 2 dell'art. 4 d. lgs 274/2000. Nel procedimento davanti al giudice di pace non esiste il GIP, per cui competente per gli atti da compiere nella fase delle indagini preliminari, ivi compreso il provvedimento di archiviazione o, in alternativa, l'ordine di formulare l'accusa, è il giudice di pace del luogo ove ha sede il tribunale del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente. Parallelamente, le funzioni di PM sono svolte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace. Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal d. lgs. 274/2000 si osservano, in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale, ad eccezione delle disposizioni relative: a) all'incidente probatorio; b) all'arresto in flagranza e al fermo di indiziato; c) alle misure cautelari personali; d) alla proroga del termine delle indagini; e) all'udienza preliminare; f) ai riti speciali. 72 Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse (art. 568, 3° comma, cpp). A) Il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la Corte d'appello possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero in udienza. Il procuratore generale presso la Corte d'appello può proporre impugnazione nonstante l'impugnazione o l'acquiescenza del rappresentante del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni. B) L'art. 571 (come modificato dalla legge 103/2017) prevede l'impugnazione dell'imputato, stabilendo che quest'ultimo può proporre impugnazione personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nominato anche prima dell'emissione del provvedimento. Può inoltre proporre impugnazione colui che è difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento impugnato, oppure il difensore appositamente nominato a tal fine. C) L'impugnazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria deve essere proposta col mezzo che la legge attribuisce all'imputato, e può avere ad oggetto solo le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e quelle relative alla condanna dell'imputato e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento danni e alla rifusione delle spese processuali. D) L'impugnazione della parte civile non può avere ad oggetto i capi penali della sentenza, ma solo quelli civili. Può impugnare la sentenza emessa all'esito del giudizio abbreviato solo se ha acconsentito al rito. E) Il querelante può proporre impugnazione solo qando sia stato condannato alle spese e ai danni. F) Il codice di procedura penale prevede infine che la parte civile, la persona offesa e gli enti e le associazioni intervenuti nel procedimento possano presentare richiesta motivata al PM di proporre impugnazione contro i capi penali che ai richiedenti non è consentita. In tal caso, ove il PM non proponga impugnazione, deve emanare decreto motivato da notificare al richiedente (art. 572). 3. Forma ed effetti dell'impugnazione Ai sensi dell'art. 581 cpp (modificato dalla legge 103/2017) l'impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso, con l'enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione;  delle richieste, anche istruttorie; dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Per “capo” della sentenza si intende quella parte della pronuncia idonea ad avere il contenuto di una sentenza, e quindi riferibile ad un singolo imputato e ad una singola imputazione. I “punti” sono invece le parti della sentenza relative alle singole questioni risolte per giungere alla decisione. L'impugnazione va presentata personalmente, oppure a mezzo di incaricato, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ma può anche essere presentata nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo (diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento) in cui le parti private o i difensori si trovano. L'atto di impugnazione, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, deve essere comunicato al PM presso detto giudice e notificato alle parti private senza ritardo. Ai sensi dell'art. 585 il termine per proporre impugnazione è: a) di 15 giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e per quelli la cui motivazione sia redatta contestualmente al dispositivo; b) di 30 giorni nel caso in cui, non essendo possibile la redazione immediata della motivazione, vi si 75 provveda entro 15 giorni dalla lettura del dispositivo; c) di 45 giorni per i provvedimenti per cui i giudice indichi per la stesura della motivazione un termine superiore ai 15 giorni, ma comunque non eccedente 90 giorni dalla pronuncia. Questi termini decorrono: 1) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio; 2) dalla lettura del provvedimento in udienza, nel caso di motivazione contestuale al dispositivo, per tutte le parti che siano state o debbano considerarsi presenti nel giudizio, anche se non presenti alla lettura; 3) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice, oppure, nel caso in cui la sentenza non sia stata depositata entro il 15° giorno oppure entro il diverso termine indicato dal giudice, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito. Nell'eventualità che la decorrenza sia diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo. L'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari al dibattimento oppure nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza (a meno che alcune ordinanze siano dichiarate dal legislatore immediatamente impugnabili, come avviene ad esempio in materia di libertà personale). Gli effetti delle impugnazioni sono: l'effetto devolutivo, l'effetto sospensivo, l'effetto estensivo. L'effetto devolutivo comporta che, in conseguenza dell'impugnazione, la cognizione del processo sia devoluta ad un giudice di grado superiore. I mezzi di impugnazione tipicamente devolutivi sono l'appello e il ricorso per cassazione, mentre mezzi di impugnazione non devolutivi sono l'opposizione a decreto penale di condanna, la revoca della sentenza di non luogo a procedere e la revisione, che attribuiscono il potere di cognizione ad un giudice dello stesso grado. L'effetto sospensivo (art. 588) sta ad indicare che l'impugnazione sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato (ma le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo). L'effetto estensivo dell'impugnazione (art. 587) è stato anche definito “estensione dell'impugnazione” per sottolineare che non si tratta di un vero e proprio effetto dell'impugnazione, bensì di un'evenienza relativa ai reati plurisoggettivi. Siffatta estensione si ha in quattro diverse ipotesi: 1) nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato, poiché l'impugnazione proposta da uno degli imputati giova anche agli imputati non impugnanti, purchè sia fondata su motivi non esclusivamente personali; 2) nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi, per cui è previsto che l'impugnazione proposta da un imputato giova a tutti gli altri imputati, ma soltanto se i motivi riguardano la violazione di legge processuale e non siano esclusivamente personali; 3) nel caso di impugnazione proposta dall'imputato, la quale giova anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (anche in tal caso l'estensione è ammessa se l'impugnazione non riguarda motivi esclusivamente personali); 4) nel caso di impugnazione proposta dal responsabile civile o dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, la quale giova anche all'imputato, semprechè non sia fondata su motivi esclusivamente personali. 4. Le cause di inammissibilità dell'impugnazione L'inammissibilità costituisce un'ipotesi di invalidità dell'impugnazione, e l'art. 591 cpp ne indica le cause: 1) quando è proposta da chi non è legittimato ad impugnare, o non ha interesse ad impugnare; 2) quando il provvedimento non è impugnabile; 3) quando non sono osservate le disposizioni concernenti la forma, la presentazione, la spedizione 76 dell'impugnazione, nonché i termini ad impugnare. La competenza a valutare l'ammissibilità dell'impugnazione spetta al giudice dell'impugnazione. Ove sussista una causa di inammissibilità, il giudice predetto la deve dichiarare anche d'ufficio. L'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'impugnazione è notificata a chi ha proposto l'impugnazione (e se l'impugnazione è stata presentata dall'imputato, la notifica va fatta anche al suo difensore), ed è soggetta a ricorso per cassazione. L'inammissibilità è comunque una sanzione processuale che va dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (art. 591, 4° comma); dunque, se non vi ha provveduto preliminarmente il giudice con ordinanza, dovrà essere dichiarata con sentenza. Cap. II – L'APPELLO 1. L'appello in generale L'appello è un mezzo di impugnazione ordinario mediante il quale si chiede al giudice un secondo grado di merito sull'oggetto del giudizio di primo grado, totalmente o parzialmente considerato. Compete:  al tribunale monocratico avverso le sentenze del giudice di pace; alla Corte d'appello avverso le sentenze del tribunale, del GUP o del GIP per reati di competenza del tribunale; alla Corte d'assise d'appello avverso le sentenze della Corte d'assise, del GUP o del GIP per reati di competenza della Corte d'assise. L'appello è consentito solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. L'imputato e il PM possono appellare le sentenze di condanna (sono inappellabili le sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda, mentre il PM non può appellare la sentenze di patteggiamento, salvo abbia espresso dissenso al patteggiamento, né quelle di condanna di cui al rito abbreviato, a meno che la sentenza abbia modificato il titolo del reato). Il PM può appellare le sentenze di proscioglimento (la modifica dell'art. 593 che limitava l'appellabilità della sentenza di proscioglimento solo in caso di novità della prova è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte cost. nel 2007). 2. I limiti di appellabilità delle sentenze previsti dalla legge n. 46/2006: problemi di legittimità costituzionale La legge n. 46/2006 escludeva l'appellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, con l'eccezione che, dopo il giudizio di primo grado, fossero sopravvenute o fossero state scoperte prove decisive, e il giudice d'appello avesse accolto l'istanza di rinnovazione del dibattimento. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1 della legge 46/2006, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 cpp, escludeva che il PM potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, 2° comma, se la nuova prova fosse stata decisiva. La Corte costituzionale ha giustamente ritenuto che la normativa predetta contrastasse con l'art. 111, 2° comma, Cost., secondo cui il processo deve svolgersi in condizioni di parità tra le parti. Secondo la Corte, è sì ammessa una disparità tra le parti private e il PM, in considerazione della posizione istituzionale di quest'ultimo e della funzione ad essa affidata, ma deve essere contenuta entro limiti di ragionevolezza. Nella disposizione di legge dichiarata incostituzionale la dissimetria era invece radicale e irragionevole, in quanto a differenza dell'imputato (che poteva impugnare una sentenza di condanna per reati bagatellari), il PM veniva privato del potere di proporre doglianze di merito avverso la sentenza di proscioglimento in processi di estrema gravità. 77 giudice d'appello, meno intensa nel caso in cui si fondi su prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. 7. Le sentenze del giudice d'appello Chiuso il dibattimento si ha la deliberazione della sentenza, che può limitarsi a risolvere questioni di nullità oppure entrare nel merito. L'art. 604 prende in considerazione la nullità della sentenza di primo grado per difetto di contestazione, disponendo che: se vi è stata condanna per un fatto diverso da quello originariamente contestato o da quello successivamente contestato a dibattimento, o vi è stata applicazione di un circostanza aggravante speciale o ad effetto speciale non contestata (semprechè non vengano ritenute prevalenti o equivalenti le circostanze attenuanti), il giudice d'appello deve dichiarare la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata, ed ordinare la trasmissione degli atti al giudice di primo grado; se la nullità della sentenza di primo grado per difetto di contestazione consegue alla condanna per un reato concorrente non contestato, o per un fatto nuovo non contestato, il giudice d'appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente. In altri casi di nullità: se il giudice d'appello accerta una nullità assoluta o di tertium genus deve dichiarare con sentenza la nullità e rinviare gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità, ma solo quando, per il fenomeno dell'invalidità derivata, tale nullità abbia determinato la nullità del decreto che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado; se si tratta di nullità relative, oppure di nullità assolute o di tertium genus che non abbiano determinato la nullità del decreto che dispone il giudizio o la sentenza di primo grado, il giudice d'appello (se tali nullità non sono state nel frattempo sanate) deve limitarsi a dichiarare la nullità, oppure disporre la rinnovazione dell'atto nullo ove ritenga che l'atto stesso fornisca elementi necessari per il giudizio; il giudice d'appello è tenuto a dichiarare la nullità della sentenza, e a disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado, ove si sia proceduto in assenza dell'imputato nonostante ricorressero i presupposti dell'impedimento a comparire o della sospensione del processo, oppure l'imputato provi l'incolpevole mancata conoscenza del processo di primo grado. Se il giudice d'appello decide nel merito deve, ex art. 605, pronunciare sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata, e l'obbligo di motivazione sussiste anche per le sentenze di conferma, le quali non possono essere motivate per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado. Le sentenze d'appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive. Cap. III – IL RICORSO PER CASSAZIONE 1. Caratteristiche del ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario mediante il quale l'impugnante denuncia un errore di diritto compiuto dal giudice del merito nell'applicazione delle norme processuali (error in procedendo) o nell'applicazione delle norme di diritto sostanziale (error in iudicando), chiedendo alla Corte di cassazione di annullare con o senza rinvio il provvedimento impugnato. Col ricorso per cassazione si possono proporre unicamente i motivi tassativamente indicati nell'art. 606 cpp. Inoltre, mentre il giudice d'appello, entro i confini enunciati nei motivi, ha gli stessi poteri spettanti al giudice di primo rado (col limite del divieto della reformatio in peius), l'oggetto del giudizio di cassazione è 80 rappresentato proprio dai motivi, in quanto il giudizio di cassazione verte, appunto, sulla loro fondatezza. Di conseguenza, il potere dispositivo dell'impugnante risulta nel giudizio di cassazione più accentuato di quel che non sia in appello, poiché la sentenza della Corte di cassazione, nel decidere se il provvedimento impugnato sia o no immune dalle censure enunciate nei motivi, si traduce effettivamente in una risposta alla domanda formulata con l'impugnazione. 2. Ricorso immediato per cassazione; legittimazione a proporre ricorso Il ricorso per cassazione ex art. 606, 2° comma, cpp, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni di legge, può essere proposto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o inappellabili. Ai sensi dell'art. 569, la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione (cd ricorso immediato per cassazione, o “per saltum”), ovviamente in quanto si duole unicamente di vizi di legittimità della sentenza. L'art. 607 stabilisce che l'imputato può ricorrere per cassazione: contro la sentenza di condanna o di proscioglimento; contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere emessa per questioni di merito;  contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali. Con riferimento alla legittimazione del pubblico ministero, l'art. 608 dispone che: 1) il procuratore generale presso la Corte d'appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado d'appello o inappellabile; 2) il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla Corte d'assise, dal tribunale o dal GIP presso il tribunale. La legge 103/2017 ha inerito nell'art. 608 il comma 1bis, il quale limita la ricorribilità per cassazione del PM nel caso di “doppia conforme di proscioglimento”, disponendo che se il giudice d'appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento di primo grado, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606 cpp. (vale a dire per eccesso di potere, per error in iudicando e per error in procedendo, ma non per mancata assunzione di prova decisiva né per vizio di mancata, contraddittoria o illogica motivazione). 3. I motivi del ricorso per cassazione L'art. 606 cpp enuncia tassativamente i motivi di ricorso per cassazione: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi, oppure non consentita ai pubblici poteri. Si tratta di quel motivo comunemente indicato quale “eccesso di potere”; b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto dell'applicazione della legge penale. L'error in iudicando in esame è determinato non solo dalla violazione della legge penale incriminatrice ma, altresì, dalla violazione di norme extrapenali con integrino la legge penale; c) inosservanza delle norme processuali penali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza (error in procedendo). Ne segue che non è ricorribile per cassazione un provvedimento giurisdizionale conseguente ad una violazione di norma processuale determinante una mera irregolarità; d) mancata assunzione di una prova decisiva (ossia che avrebbe potuto determinare una decisione diversa), quando la parte ne abbia fatto tempestiva e rituale richiesta (si tratta del diritto dell'imputato all'ammissione delle prove indicate a discarico, e del diritto del PM all'ammissione delle prove indicate a carico); 81 e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, oppure da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Il testo originario della lettera e) dell'art. 606 si limitava a prevedere il vizio di motivazione integrato dalla mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante soltanto dal testo del provvedimento impugnato, e non era prevista la possibilità di dedurre il vizio di motivazione da atti del processo (cosa invece oggi prevista a seguito della modifica apportata alla previsione di cui alla lettera e) dalla legge 46/2006). 4. Conseguenze della modifica apportata dalla legge n. 46/2006 alla lettera e) dell'art. 606 cpp I problemi che il testo originario dell'art. 606, lettera e) comportava, ed in particolare i dubbi di legittimità costituzionale, fanno sì che appaia ragionevole la modifica apportata da parte della legge 46/2006, in virtù della quale è consentito il ricorso per cassazione sulla base di un vizio di motivazione risultante da atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Occorre tuttavia evidenziare che riconoscere apertamente alla Corte di cassazione una amplissima cognitio facti ex actis, come si è fatto con la modifica apportata all'art. 606, lettera e) dalla legge 46/2006, equivale a fare del giudizio di cassazione una sorta di giudizio di merito. Pertanto, delle due l'una: o si vieta la ricorribilità in cassazione per vizio di motivazione, evitando che la Corte di cassazione decida come terzo giudice di merito, o si riduce la ricorribilità in cassazione, non consentendola per tutte le sentenze, e modificando quindi l'art. 111, 7° comma, Cost. La prima soluzione drastica non appare realistica e, soprattutto, pare contraddittorio mantenere un secondo grado di giudizio per non consentire poi alcun controllo sulla sentenza del giudice d'appello. La seconda soluzione è maggiormente percorribile. Infatti è illogico consentire di ricorrere per cassazione alla parte che ha patteggiato la pena, così come potrebbe pure essere prevista la non ricorribilità in cassazione contro il provvedimento di archiviazione nonché contro sentenze di condanna non significative. 5. Il procedimento Il ricorso per cassazione può essere presentato dalla parte personalmente oppure da difensore iscritto nell'albo speciale dei cassazionisti, che rappresenta la parte avanti la Corte stessa. La fase dibattimentale avanti la Corte di cassazione è preceduta dalle seguenti possibili attività preliminari: il Primo presidente della Corte assegna il ricorso ad una delle 6 sezioni semplici, secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario; se rileva una causa di inammissibilità dei ricorsi, li assegna ad un'apposita sezione “filtro” , fissando la data per la decisione di questa in camera di consiglio (comunicata ai difensori e al procuratore generale almeno 30 giorni prima dell'udienza): la camera di consiglio può concludersi effettivamente con la declaratoria di inammissibilità del ricorso oppure, qualora non venga dichiarata l'inamissibilità, gli atti sono rimessi al Primo presidente della Corte, che assegna i ricorsi ad una delle 6 sezioni semplici; il Primo presidente della Corte, su richiesta del procuratore generale, dei difensori o d'ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite della Corte, quando le questioni proposte sono di speciale importanza, o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni; il Primo presidente della Corte (se il ricorso è stato assegnato alle sezioni unite), o il Presidente di sezione (negli altri casi), fissa la data della trattazione del ricorso in pubblica udienza, oppure in camera di consiglio, a seconda delle situazioni che si vengono a determinare e che analizziamo sotto. Il procedimento viene definito in camera di consiglio: a) quando il ricorso verte su conflitti di competenza o di giurisdizione; b) in caso di inamissibilità del ricorso rilevata dal Primo presidente della Corte. In questo tipo di procedimento il contraddittorio è scritto (tutte le parti possono presentare memorie contenenti anche motivi nuovi fino a 15 giorni prima dell'udienza, e memorie di replica fino a 5 giorni prima). 82 straordinario volto ad ottenere la correzione degli eventuali errori materiali o di fatto contenuti in tali provvedimenti. La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato con ricorso presentato alla Corte di cassazione entro 180 giorni dal deposito del provvedimento. L'errore materiale può peraltro essere rilevato dalla Corte di cassazione d'ufficio in ogni momento. Se non dichiara l'inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza o perchè presentata fuori termine (se non si tratta di errore materiale), la Corte procede in camera di consiglio e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore. 9. La rescissione del giudicato Inizialmente prevista dalla legge 67/2014, la rescissione del giudicato è un mezzo di impugnazione oggi disciplinato, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 103/2017, dall'art. 629bis cpp . Trattasi di un mezzo di impugnazione straordinario, avendo ad oggetto sentenze passate in giudicato, emesse nei confronti di persone condannate o sottoposte a misure di sicurezza in relazione alle quali sia sia proceduto in assenza dell'imputato per tutta la durata del processo. Tali soggetti hanno facoltà di promuovere la rescissione del giudicato ove dimostrino di non essere comparse in ragione di un'incolpevole mancata conoscenza del processo (e non anche delle indagini preliminari). Organo competente per la rescissione del giudicato è la Corte d'appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. La richiesta di rescissione va presentata a tale Corte d'appello, a pena di inammissbilità, personalmente dall'interessato o da difendore con procura speciale autenticata, entro 30 giorni dall'avvenuta conoscenza del provvedimento. La Corte provvede in camera di consiglio e, se accoglie la richiesta, revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza nel corso dell'udienza preliminare è riconducibile alle situazioni di cui all'art. 420bis, comma 4, è rimesso nel termine per richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Cap. IV – LA REVISIONE 1. Caratteristiche della revisione Per porre rimedio all'errore giudiziario è prevista la revisione, vale a dire un mezzo straordinario di impugnazione (pertanto esperibile contro sentenze irrevocabili) avente ad oggetto: le sentenze di condanna (comprese le sentenze di patteggiamento, come previsto dalla l. 134/2003); i decreti penali di condanna. Non sono soggette a revisione né le sentenze di proscioglimento né le sentenze di non luogo a procedere. La revisione non è un mezzo di impugnazione devolutivo, in quanto non devolve la cognizione del procedimento ad un giudice di grado superiore, posto che il procedimento di revisione compete alla Corte d'appello individuata secondo i crietri dell'art. 11 cpp. La revisione non ha neppure efficacia sospensiva, in quanto la sospensione dell'esecuzione è rimessa ad una valutazione discrezionale della Corte d'appello. Ai sensi dell'art. 631 gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531. 85 2. Motivi di revisione I casi di revisione sono tassativamente previsti dalla legge nell'art. 630 cpp, ai sensi del quale la revisione può essere chiesta: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale. In questa situazione la revisione opera come rimedio risolutivo del conflitto teorico di giudicati. b) Se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. (questione civile di status), oppure una delle questioni previste dall'art. 479 (questione civile o amministrativa complessa che ha comportato la sospensione del dibattimento). c) Se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 631. d) Se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio (es. falsa testimonianza, falsa perizia), o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (ad es. corruzione del giudice). 3. La parziale declaratoria di illegittimità costituzionale effettuata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011 Per diverso tempo si è posto il problema delle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) e della loro forza vincolante, sancita all'art. 46 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Si è in particolare posto il problema della via da seguire per dare esecuzione ad una sentenza definitiva della Corte EDU che avesse accertato la violazione di uno dei diritti previsti dall'art. 6 della CEDU in un processo conclusosi con sentenza penale di condanna irrevocabile. In mancanza di intervento da parte del legislatore, e per necessità di rispettare l'art. 46 della CEDU, sono state prospettate varie soluzioni. A) In primo luogo, la Corte di cassazione ha seguito la via di dichiarare la sospensione dell'esecuzione di una sentenza di condanna irrevocabile emanata in un processo in cui si era verificata la violazione dell'art. 6 CEDU. B) Successivamente la Corte di cassazione ha ritenuto che la regola di attuazione dei principi del processo equo, racchiusi nelle norme della CEDU, si pone in linea col princìpio imposto dal 2° comma dell'art. 111 Cost., che impone alla cassazione l'obbligo di informare le parti, riconoscendo altresì un termine a difesa, ogni qual volta intraveda la possibilità di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio. Di conseguenza, per dare esecuzione a una sentenza della Corte EDU che abbia rilevato una violazione dell'art. 6 della CEDU, è applicabile in via analogica l'art. 625bis cpp che prevede il ricorso straordinario per cassazione. Queste soluzioni sono ormai superate in virtù della sentenza n. 113/2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo l'art. 630 cpp nella parte in cui non prevede la rinnovazione del processo, allorchè la sentenza o il decreto penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della Corte EDU che abbia accertato l'assenza di equità del processo, ai sensi dell'art. 6 CEDU. La Corte costituzionale ha quindi asserito che le misure che lo Stato è tenuto a porre in essere in conseguenza della sentenza della Corte EDU debbano consistere nella restitutio in integrum a favore del soggetto che ha subìto la violazione. Nella restitutio in integrum rientra anche la possibilità di rimettere in discussione il giudicato già formatosi sulla vicenda giudiziaria sanzionata. Per la Corte costituzionale la declaratoria di parziale illegittimità dell'art. 630 si è resa necessaria perchè, altrimenti, la norma si sarebbe posta in contrasto con l'art. 117, 1° comma, Cost., nella parte in cui impone al legislatore il rispetto degli obblighi internazionali (e, quindi, dell'obbligo di cui all'art. 46 della CEDU). 86 4. Il giudizio di revisione La richiesta di revisione può essere presentata ex art. 632 cpp: a) dal condannato o da un suo prossimo congiunto, oppure dalla persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è morto, dall'erede o da un prossimo congiunto; b) dal procuratore generale presso la Corte d'appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna; in tal caso le persone indicate sopra alla lettera a) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale. La richiesta, proposta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano, e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte d'appello individuata secondo i criteri dell'art. 11 cpp (ossia la Corte d'appello del distretto che, sulla base della tabella annessa all'art. 1 disp. att. cpp risulta abbinato al distretto di Corte d'appello in cui ha sede il giudice che ha emanato il provvedimento da sottoporre a revisione). La Corte d'appello può pronunciare, anche d'ufficio, l'inammissibilità della richiesta di revisione: se ha per oggetto sentenze non soggette a revisione; se è fondata su motivi non previsti dalla legge; se è effettuata in violazione delle disposizioni che prevedono i limiti della revisione, i soggetti legittimati, la forma della richiesta; se è manifestamente infondata. Se la richiesta di revisione è invece ammissibile, il presidente della Corte d'appello emette decreto di citazione a giudizio e si osservano le norme dettate per la fase pre-dibattimentale e per il dibattimento di primo grado (art. 636, 2° comma). Se la richiesta di revisione viene accolta, la Corte revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna, e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo. Non può basare il proscioglimento solo su una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio. Se, invece, la richiesta di revisione viene respinta, la Corte condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali. Per quanto concerne l'impugnabilità della sentenza pronunciata nel giudizio di revisione, l'art. 640 ne dispone la ricorribilità per cassazione. 5. La riparazione dell'errore giudiziario Il legislatore attribuisce alla vittima dell'errore giudiziario, che sia stata prosciolta in sede di revisione, un vero e proprio diritto ad una riparazione commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna. Tuttavia, la persona prosciolta in sede di revisione non deve aver causato l'errore giudiziario per dolo o colpa grave. La riparazione predetta si attua: 1) mediante il pagamento di una somma di denaro; 2) mediante la costituzione di una rendita vitalizia; 3) su domanda dell'avente diritto mediante il ricovero in un istituto a spese dello Stato. In caso di morte del condannato, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti ed ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alla persona legata a quella deceduta da un vincolo di adozione. La domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro 2 anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione. Va presentata personalmente, o a mezzo di procuratore speciale, nella cancelleria della Corte d'appello che ha pronuncitao la sentenza di revisione (art. 645, 1° comma, cpp). La Corte d'appello decide in camera di consiglio. La decisione viene assunta con ordinanza, la quale deve essere comunicata al PM e notificata a tutti gli interessati, ed è ricorribile per cassazione (art. 646, 3° comma). 87 norme sul concorso di pene (in virtù della condanna con più sentenze o decreti penali per reati diversi). 3. Il giudice dell'esecuzione Il giudice dell'esecuzione (GE) è l'organo giurisdizionale chiamato genericamente a conoscere dell'esecuzione, qualsiasi questione attenga a tale fase. La competenza sull'esecuzione spetta in generale al giudice che ha deliberato il provvedimento di condanna, salvo ricorrano le stesse ipotesi già sopra viste per la determinazione del PM competente (art. 665). In particolare il GE: A) è competente a risolvere il conflitto pratico di giudicati che comporta incompatibilità tra i comandi contenuti nelle diverse sentenze irrevocabili dato che, concernendo il medesimo fatto e la medesima persona (bis in idem), sono comandi ineseguibili: il GE dispone allora l'esecuzione della sentenza di condanna meno grave revocando le altre, oppure ordinando l'esecuzione della sentenza di proscioglimento revocando la sentenza di condanna; se poi le sentenze irrevocabili sono identiche, dispone l'esecuzione della sentenza divenuta irrevocabile per prima. B) decide sulle questioni relative all'esistenza o alla validità del titolo esecutivo: se accerta la mancanza del titolo, oppure che questo non è ancora divenuto esecutivo, sospende l'esecuzione liberando l'interessato. C) applica il concorso formale del reato o la continuazione nel reato ex art. 81 c.p. Infatti, l'art. 671 prevede che, nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in distinti procedimenti nei confronti della stessa persona, il condannato o il PM possono chiedere al GE l'applicazione del concorso formale o del reato continuato, a patto che questa disciplina non sia stata espressamente esclusa dal giudice della cognizione (giudice del merito). D) è competente altresì a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, all'estinzione della pena, alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate: in tali casi il GE provvede senza formalità e senza contraddittorio (ossia de plano). 4. Il procedimento di esecuzione ll procedimento di esecuzione (ossia il procedimento per la soluzione delle questioni di esecuzione) è un classico procedimento in camera di consiglio ex art. 127, con partecipazione necessaria del PM e del difensore dell'interessato. Il GE procede a richiesta del PM, dell'interessato o del suo difensore (la richiesta non è soggetta a forme particolari né a termini, e possono essere addotte ragioni generiche). L'interessato che ne fa richiesta ha diritto di essere sentito personalmente, se libero o detenuto nell'ambito di circoscrizione del GE; non ha lo stesso diritto se è detenuto in ambito di circoscrizione diverso da quella del GE. Il GE può chiedere alle autorità competenti documenti e informazioni di cui abbia bisogno e, se occorre, assume le prove in udienza nel contraddittorio delle parti. 5. La magistratura di sorveglianza Le attività di natura giurisdizionale espletabili in sede di esecuzione non spettano unicamente al GE, dal momento che attività di tale natura sono compiute anche dalla magistratura di sorveglianza, alla quale competono quelle materie facenti parte del diritto penale sostanziale (non di quello processuale) in cui appare prevalente il giudizio sulla funzionalità ed efficienza della pena in relazione al fine specifico della rieducazione del condannato, ed in quelle dove appare essenziale l'accertamento della pericolosità del soggetto (v. misure di sicurezza). Gli organi della magistratura di sorveglianza sono: il magistrato di sorveglianza (monocratico); 90  il tribunale di sorveglianza (collegiale). Il magistrato di sorveglianza svolge funzioni di vigilanza sull'organizzazione degli istituti di prevenzione e pena; sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali e provvede al riesame della pericolosità ex art. 208 c.p., nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca delle misure di sicurezza. Il tribunale di sorveglianza (composto da 2 togati e 2 laici esperti in psicologia, psichiatria, servizi sociali) è competente in materia di affidamento in prova al servizio sociale, alla detenzione domiciliare, alla semilibertà, alla liberazione condizionale, alla riduzione di pena per liberazione anticipata, alla riabilitazione del condannato. Contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza relativi a misure di sicurezza, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, l'interessato, il suo difensore e il PM possono proporre appello al tribunale di sorveglianza. Se l'interesstao è detenuto, magistrato di sorveglianza e tribunale di sorveglianza competenti sono quelli nella cui circoscrizione si trova l'istituto di pena, mentre se l'interessato è libero sono competenti quelli del luogo di residenza o domicilio dell'interessato. Le funzioni di PM davanti al magistrato di sorveglianza sono svolte dal PM presso il tribunale della sede del magistrato di sorveglianza, mentre davanti al tribunale di sorveglianza sono svolte dal procuratore generale presso la Corte d'appello. __________________________ Parte sesta: Rapporti giurisdizionali con autorità straniere Cap. I – L'ESTRADIZIONE 1. L'estradizione attiva e passiva: nozione e principio di specialità Secondo la definizione ricavabile dall'art. 697, 1° comma, cpp l'estradizione consiste nell'atto con cui lo Stato in cui si trova un determinato individuo consegna quest'ultimo ad un altro Stato che ne abbia fatto richiesta per l'esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva o di un altro provvediento restrittivo della libertà personale. L'estradizione si distingue in passiva (o “per l'estero”) e attiva ( o “dall'estero”) a seconda che lo Stato debba effettuare la consegna oppure la richieda. In ogni caso, la persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa. 2. Il procedimento di estradizione Il procedimento di estradizione passiva si compone di una fase giurisdizionale e di una fase amministrativa. La domanda di estradizione proveniente dallo Stato estero va indirizzata al ministro della giustizia che, salvo ritenga di respingere immediatamente la domanda, avvia la procedura giurisdizionale trasmettendo la domanda al procuratore generale presso la Corte d'appello competente (quella nel cui distretto il soggetto da estradare ha la residenza, dimora o domicilio nel momento in cui la domanda di estradizione perviene al ministro, oppure la Corte d'appello che ha ordinato l'arresto provvisorio oppure, in mancanza, la Corte 91 d'appello di Roma). La Corte d'appello decide con sentenza in camera di consiglio, impugnabile in cassazione anche per il merito. Affinchè l'organo giurisdizionale si esprima in senso favorevole all'estradizione occorre che: a) nei confronti dell'estradando sia stata pronunciata all'estero una sentenza irrevocabile di condanna o sussistano gravi indizi di colpevolezza; b) non deve essere in corso nei confronti dell'estradando, per lo stesso fatto, un procedimento penale in Italia, né deve essere stata pronunciata sentenza irrevocabile in Italia; c) la sentenza per la cui esecuzione è stata chiesta l'estradizione non deve contenere disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, e non deve esserci il sospetto di atti persecutori o di procedure di esecuzione che non rispettino i diritti fondamentali dell'individuo; d) non deve trattarsi di reati politici, né di reati per cui è prevista nello Stato estero la pena di morte. La fase amministrativa si apre a seguito del consenso dell'estradando all'estradizione, oppure del provvedimento giurisdizionale favorevole all'estradizione. Entro 45 giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso, oppure dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione della sentenza della Corte d'appello, o dal deposito della sentenza della Corte di cassazione, il ministro della giustizia (a pena di immediata liberazione dell'estradando) decide in merito all'estradizione (art. 708): egli può trifiutare l'estradizione anche se c'è il consenso dell'estradando o la sentenza favorevole all'estradizione. La decisione del ministro è comunicata senza indugio allo Stato richiedente, con indicazione del luogo e della data di consegna dell'estradando. Se nel termine stabilito lo Stato richiedente non prende in consegna l'estradando, il provvedimento di concessione dell'estradizione perde efficacia e l'interessato viene liberato. Quanto all'estradizione attiva, l'art. 720 stabilisce che la stessa deve essere domandata allo Stato estero dal ministro della giustizia (con o senza richiesta del procuratore generale c/o la Corte d'appello). L'autorità giudiziaria italiana è vincolata al rispetto delle condizioni accettate: la custodia cautelare sofferta all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata agli effetti della durata complessiva e dei termini finali della misura cautelare. 3. Il mandato d'arresto europeo Il mandato d'arresto europeo è stato istituito con la legge n. 69/2005. Scopo principale della normativa va rinvenuto nell'abolizione, tra gli Stati membri, della procedura formale di estradizione per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente, e nell'accelerazione delle procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di avere commesso un reato. In linea con tali finalità si pone l'eliminazione del controllo politico ad opera degli organi centrali dello Stato (ministro della giustizia). In sostanza, il mandato d'arresto europeo si propone di superare le Convenzioni di estradizione e sostituirle con una procedura semplificata di consegna delle persone ricercate, nell'ambito della realizzazione del princìpio di mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali straniere. Per mandato d'arresto europeo deve intendersi una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dellUE (cd “Stato di emissione”) in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro (cd “Stato di esecuzione”) di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale: se trattasi di provvedimento cautelare occorre la motivazione, mentre se trattasi di sentenza di condanna è richiesta anche l'irrevocabilità. Il mandato d'arresto europeo è procedura attivabile solo con riferimento a specifiche condotte di reato individuate alla legge 69/2005 attraverso criteri identificativi quantitativi e qualitativi ai quali corrispondono differenti tratti di disciplina. In alcuni casi la consegna avviene a prescindere dal requisito della “doppia incriminazione” (ossia che sussista il reato sia nello Stato di emissione che in quello di esecuzione); in altri casi è invece richiesta la doppia incriminazione. 92 sono state impartite. Se il minore realizza gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni, il giudice può disporre la misura della permanenza in casa; la permanenza in casa: è una forma di arresto domiciliare, in quanto il giudice prescrive al minore di rimanere presso l'abitazione familiare o altro luogo di privata dimora, e può stabilire limiti o divieti alla facoltà di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con lui o che lo assistono. La permanenza in casa è equiparata alla custodia cautelare ai fini del computo della durata massima della misura cautelare. Se il minore realizza gravi e ripetute violazioni degli obblighi a lui imposti, o nel caso di ingiustificato allontanamento dall'abitazione, il giudice può disporre la misura del collocamento in comunità; il collocamento in comunità: si attua ove il giudice ordini che il minore sia affidato a una comunità pubblica o autorizzata. Se il minore realizza gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte, o si allontana dalla comunità, il giudice può disporre la misura della custodia cautelare; la custodia cautelare (nel carcere minorile): è la più grave delle misure cautelari e può essere disposta solo se sussistano particolari esigenze cautelari, vale a dire, alternativamente: a) se vi siano gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini (pericolo di inquinamento delle prove); b) se l'imputato si è dato o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga; c) se vi sia concreto pericolo, desunto da specifiche modalità e circostanze del fatto o dalla personalità dell'imputato, che l'imputato stesso commetta gravi delitti con uso di armi o diretti contro l'ordine costituzionale, oppure delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per cui si procede. I termini massimi di custodia cautelare di cui all'art. 303 cpp sono ridotti della metà per reati commessi da minori degli anni 18, e di due terzi per quelli commessi dai minori degli anni 16, e decorrono dal momento della cattura, dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento. Sul riesame o sull'appello proposti contro il provvedimento che dispone le misure cautelari decide non il tribunale della libertà, bensì il tribunale per i minorenni del luogo in cui ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. 6. La definizione anticipata del procedimento: i riti speciali Nel procedimento minorile è consentito sia il giudizio abbreviato sia il giudizio immediato, mentre per quanto concerne il giudizio direttissimo la sua ammissibilità è subordinata alla possibilità di compiere i doverosi accertamenti sulla personalità del minore. Sono invece esclusi il patteggiamento, nonché il procedimento per decreto penale di condanna. 7. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto Come provvedimento di definizione anticipata del procedimento minorile è prevista la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: nel corso delle indagini preliminari il PM può chiedere al giudice l'emanazione di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e il giudice, se accoglie la richiesta, provvede con sentenza in camera di consiglio dopo aver sentito il minore, l'esercente la potestà genitoriale e la persona offesa dal reato. Se, invece, il giudice non accoglie la richiesta dispone con ordinanza la restituzione degli atti al PM. Condizioni per la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto sono cumulativamente: la tenuità del fatto; l'occasionalità del comportamento; il pregiudizio per le esigenze educative del minore determinato dalla prosecuzione del procedimento. 95 8. Sospensione del processo e messa alla prova Un'altra forma di definizione anticipata del procedimento minorile può aversi anche in seguito alla cd messa alla prova: il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritenga di dover valutatre la personalità del minore solo dopo che i servizi minorili abbiano effettuato le opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Il periodo di sospensione non può superare: 3 anni se si procede per reati per cui è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni; 1 anno negli altri casi. Nel periodo predetto è sospesa anche la prescrizione del reato. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza l'estinzione del reato se, tenuto conto del comportamento del minore e dell'evoluzione della sua personalità, ritenga che la prova abbia dato esito positivo. Se, invece, la messa alla prova non ha dato esito positivo, si provvede allo svolgimento dell'udienza preliminare oppure dell'udienza dibattimentale. 9. Anomalie del procedimento minorile Il procedimento minorile, che si svolga nelle forme normali e, cioè, senza ricorso ai riti speciali e senza definizioni anticipate, presenta numerose anomalie rispetto al procedimento ordinario. In primo luogo è prevista un'informativa al procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni nella cui circoscrizione il minore abitalmente dimora. L'informativa ha per oggetto l'inizio e l'esito del procedimento penale promosso in altra circoscrizione territoriale e viene compiuta per consentire l'iniziativa relativamente ai procedimenti civili di competenza del tribunale dei minorenni. Inoltre, l' informazione di garanzia e il decreto di fissazione dell'udienza vanno notificati, a pena di nullità, anche all'esercente la potestà dei genitori. É escluso nel procedimento penale minorile l'esercizio dell'azione civile per le restituzioni o il risarcimento del danno. A tutela del minore sono poi vietate la pubblicazione e la divulgazione di notizie o immagini idonee ad identificare il minore e l'udienza dibattimentale. All'udienza preliminare il giudice, al termine della discussione, anche se non c'è il consenso dell'imputato, può pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi ex art. 425 cpp, oppure per la concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto. Originariamente al giudice era preclusa la possibilità di emanare una sentenza di non luogo a procedere che non presupponesse un accertamento di responsabilità, ma la Corte costituzionale ha dichiarata illegittima la norma del decreto minorile che prevedeva detta preclusione. Se vi è richiesta del PM, il giudice dell'udienza preliminare può pronunciare sentenza di condanna quando ritenga applicabile una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva (pene ridotte fino alla metà rispetto al minimo edittale). Contro questa sentenza (nonché contro le sentenze di non luogo a prcoedere con le quali è presupposta la responsabilità dell'imputato) l'imputato e il difensore possono proporre opposizione entro 5 giorni dalla pronuncia o, se l'imputato non è comparso, dalla notifica dell'estratto della sentenza. Con l'atto di opposizione è richiesto il giudizio davanti al tribunale dei minorenni, all'esito del quale il tribunale, revocata la sentenza di condanna, può applicare una pena anche diversa e più grave di quella fissata nella sentenza revocata, nonché revocare i benefici già concessi. Per quanto concerne le impugnazioni nei confronti della sentenza dibattimentale, l'impugnazione può essere proposta dall'imputato o dall'esercente la potestà dei genitori: in caso di contrasto, si tiene conto solo dell'impugnazione dell'imputato. 96 10. Procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario è applicata solo con riferimento ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni, e tale misura viene eseguita mediante il collocamento in comunità. Nei procedimenti aventi ad oggetto reati diversi da quelli sopra indicati si applica la misura di sicurezza della libertà vigilata, che può essere eseguita anche mediante la permanenza in casa. L'applicazione della misura di sicurezza può essere disposta in via provvisoria, tenendo conto: della gravità del fatto; delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto; del pericolo della commissione di reati con uso di armi, violenza o di criminalità organizzata, desumibile dalla specifiche modalità e del fatto per cui si procede e per la personalità dell'imputato. Il giudice deve trasmettere entro 30 giorni (pena l'ineficacia della misura di sicurezza) gli atti al tribunale per i minorenni affinchè inizi il procedimento nel quale deve effettuarsi il giudizio di pericolosità. A conclusione del procedimento di cui sopra, il tribunale per i minorenni applica in modo definitivo, con sentenza, la misura di sicurezza, e pouò anche procedere a modificarla o a revocarla. La competenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza nei confronti di minorenni spetta al magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo in cui la misura deve essere eseguita. Contro i provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza, l'imputato, l'esercente la potestà genitoriale e il PM possono proporre appello (che non ha effetto sospensivo) davanti al tribunale per i minorenni in funzione di tribunale di sorveglianza. Cap. II – IL PROCEDIMENTO RELATIVO AGLI ILLECITI AMMINISTRATIVI DIPENDENTI DA REATO 1. Premessa Il d. lgs. n. 231/2001 amplia l'ambito di accertamento del giudice penale assegnandogli la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi degli enti dipendenti da reato. Spetta, infatti, al giudice penale decidere sulla responsabilità amministrativa dell'ente collegata ad alcune fattispecie di reato realizzate nell'interesse dell'ente medesimo dalle persone fisiche che prestano, a favore di questo, la loro opera. Sul piano delle garanzie, è prevista l'estensione in capo all'ente delle disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili. La responsabilità amministrativa dell'ente originata da reato e la relativa sanzione devono essere espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del reato presupposto. È una sorta di “legalità moltiplicata” a presidio:  del reato presupposto; del criterio di imputazione della responsabilità in capo all'ente e della sanzione amministrativa. L'applicazione di numerosi princìpi penalistici processuali e sostanziali al settore in questione si spiega agevolmente se si considera che la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, presupponendo un rapporto di dipendenza strutturale necessaria rispetto ad un fatto di reato, ed introducendo un apparato sanzionatorio di impronta penalistica, non può prescindere dalle regole che governano l'accertamento del reato presupposto e disciplinano la fattispecie complessa illecito penale.amministrativo. I reati-fonte (produttivi di responsabilità amministrativa) svolgono una duplice funzione: a) per un verso costituiscono il presupposto necessario della fattispecie amministrativa complessa alla quale il legislatore collega il sorgere della responsabilità; b) per altro verso concorrono ad integrare l'essenza stessa dell'illecito amministrativo. 97
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