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Procedura penale- Sistemi di procedura penale v.1 e 2, Dispense di Diritto Processuale Penale

Riassunto completo di Sistemi di procedura penale v.1 e 2

Tipologia: Dispense

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Scarica Procedura penale- Sistemi di procedura penale v.1 e 2 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! SEZIONE PRIMA: NOZIONI INTRODUTTIVE CAP 1: PROCEDURA PENALE E DIRITTO PROCESSUALE PENALE Procedura penale: non è solo una materia giuridica ma si caratterizza più di altre materie → procedura penale è una materia interdisciplinare: ha profili politico- costituzionali, psicologici, epistemologici, internazionali ecc. Procedura penale ha una sua particolare struttura che la rende per un verso difficile e per l’altro semplice→ strutturata per evitare che i cittadini si facciano giustizia da soli→ organizzano e regolano un fatto sociale che senza il processo non esisterebbe. Sono tutte cose inventate e comportano un aspetto di difficoltà nell’aspetto della procedura penale. La procedura penale non ha questa intuizione dei concetti→ rispondono a una costruzione razionale. Essendo una costruzione razionale, una volta che si sono compresi i principi strutturali della procedura penale, la possiamo costruire noi→ si desume dai principi. *all’esame non vengono chiesti gli elenchi ma solo comprensione Procedura penale è sempre esistita e coessenziale a una collettività: è sempre esistita ma la consapevolezza della sua autonomia scientifica è relativamente recente. Nell’Italia Unita, la procedura penale venne abbinata fino al 1865 alla procedura civile e poi considerata all’interno di un unico insegnamento di procedura penale. Nel 1938 viene sancita l’autonomia didattica di procedura penale, istituendo la prima cattedra. Ma fino agli anni 60, la procedura penale non era insegnata da un professore di procedura penale ma dal titolare della cattedra di diritto penale che insegnava anche la procedura. Questo ha influito sulla concezione della materia e sui rapporti di diritto penale e procedura penale. La procedura penale era un servo paziente (la cenerentola) delle materia giuridiche, limitata solo all’esame delle forme esteriori del processo. Il diritto processuale penale è lo studio delle norme che regolano il processo Carnelutti diceva invece che lo studio non è sulle norme ma sui processi. → strumenti escogitati per tutelare esigenze e garantire valori→ valori che condizionano l'andamento processuale perché c’è un legame : arrivo al giudizio perché ho seguito una certa strada, dipende dal sentiero che prendo. Bisogna compiere una scelta→ scegliamo una formulazione tradizionale o più prestigiosa? → Prof sceglie quella più tradizionale: procedura penale perché la locuzione processuale penale sembra rinchiudersi nel solo diritto cosa che non è solo quello. La storia dell’insegnamento della procedura penale ha inciso anche sui rapporti con il diritto penale sostanziale→ concezione pan-sonstanzialistiica del diritto: prevalenza del diritto sostanziale penale perché è questo la cosa importante; mentre il processo è lo strumento. Problema dell’aspetto pansostanizalista→ sistema penale sarebbe costituito dall’insieme delle fattispecie e sanzioni criminali→ le disposizioni servono solo a realizzare il male minacciato verso chi ha violato norma sostanziale→ stampo imperativistico. Dialettica tra governanti e governati si risolve nel momento in cui è posta la norma incriminatrice e l’insieme di queste strutturano dei valori che devono essere rispettati. C’è Quindi anche nel processo c’è una rigorosa subordinazione della funzione giurisdizionale alla funzione legislativa→ ruolo del giudice ridotto a ruolo servile→ bouche de la loi→ colui che concretizza la regola astratta formulata dal legislatore e non c’è un suo intervento. Concezione pan-processualistica→ in questa prospettiva è il diritto che è strumentale a l processo→ è il processo a essere prevalente al diritto sostanziale. In ambito penale vige: il nullum crimen, nulla poena sine lege→ accertamento dell’illecito e attuazione della sanzione si ottengono solo attraverso il processo. Sono le norme sostanziali a essere strumentali al processo→ diritto senza sentenze non esiste Le fattispecie incriminatrici sono solo delle previsioni da cui se accaduti derivano conseguenze Queste impostazioni si superano quando si riconosce che norme sostanziali e processuali sono tenute insieme unitariamente. Il bisogno di certezza del diritto non è vanificato quando ci si mette d’accordo nella constatazione che l’attività giurisdizionale non è una passiva ricognizione della voluntas legis→ si deve abbandonare ogni ideale giuspositivistico e ammettere che i giudici hanno compito di adeguare il precetto al contesto sociale. Senza la prova non c’è processo→ attore e convenuto devono avere le prove La prova non può essere adeguatamente compresa se non si esamina il sistema probatorio e contesto sociale con cui viaggia assieme. Istituti processuali mirano anche a una funzione extraprocessuale→ persone cercano di comportarsi bene per evitare sanzioni. Il processo ha una funzione di controllo di difesa sociale indiretto→ esercitato dall’esecutivo solitamente (polizia). La procedura penale può essere intesa come scienza dei limiti dei poteri→ fin dove può arrivare l’autorità a ledere i diritti dei soggetti. Le norme processuali disciplinano il potere dell’autorità. Conflitto si risolve con triplice modo: - riconciliazione con sé stesso: prende coscienza del disvalore del fatto da lui commesso - riconciliazione con la vittima - riconciliazione di entrambi con l’ambiente sociale: reo comprende suo errore e vittima comprende che le sue sofferenze siano state ripagate con la giustizia. → Riconciliazioni si ottengono sia con il processo che con la mediazione (modo alternativo della risoluzione delle dispute) che agisce sul rapporto reo-vittima, fondato sul reciproco riconoscimento. Riconciliazione: recupero dell'umanità Oggetto generale: Istituti devono garantire l’assoluzione della funzione di un celere accertamento del dovere di punire → giudice dire se colpevoli o innocenti questi paradigmi sono sempre esistiti L’alternativa ai 2 paradigmi, corrisponde a 2 esperienze giuridiche: - esperienza anglosassone: common law - esperienza europeo: civil law Nel 1215, fu promulgata la Magna Charta, promulgato dal Principe Giovanni (Giovanni senza terra) : primo documento come rispecchiante l’origine del sistema del procedura penale. Nel 1215 è stato celebrato il 4 concilio del laterano con Innocenzo III: prima inquisizione pontificia, esercitata da legati papali che si affiancano al già esistente inquisizione vescovile. Storia del processo penale è ricostruita come una serie di strutture orientate in modo accusatorio o inquisitorio→ strutture che si alternavano nel tempo fino alla riscrittura napoleonica del processo penale→ ispirato a innovazioni introdotte dalla rivoluzione francese→ era caratterizzato dal fatto che il carattere del sistema accusatorio e inquisitorio ben delineati e esplicitati dal legislatore Caratteri del sistema accusatorio: - Processo inizia con un’accusa, lasciata alla disponibilità dell’offeso e sui congiunti e addirittura a chiunque cittadino. - Mancanza di libertà del giudice nella raccolta delle prove→ prove devono essere fornite dall’accusatore; così come la difesa deve fornire le prove per sua innocenza - Pubblicità del processo→ atti processuali devono essere manifestati con la voce in base al principio di oralità→ processo si sviluppa oralmente→ gli atti si succedono in un medesimo tempo e spazio: unica udienza celebrata in un’unica aula. - Parità di posizione fra le parti→ giudice funge da moderatore impassibile anche per la determinazione delle questioni rilevanti che costituiscono oggetto della decisione; controlla che tutto avvenga correttamente e non può influenzare lo sviluppo delle indagini proposto dalle parti. Giudice è affiancato da una Giuria che rappresenta il popolo→ Giuria sia più idonea a garantire l’equilibrio degli interessi sociali ed è composta da persone non esperte di diritto (dunque non in grado di elaborare una sentenza come un giudice). Giuria dunque non emette una sentenza ma un verdetto, immotivato. - Giudice valuta la personalità dell’imputato anche con una perizia e valuta l’entità della pena in relazione alla fattispecie incriminatrice. → La Giuria può essere fuorviata da emozioni, sentimenti che non sono facilmente controllabili (verdetto infatti è immotivato) → per evitare questa influenza di dati esterni rispetto a quelli che dovrebbero essere fondamento della decisione si è provveduto a determinare una serie di regole di esclusione: è bene che certe conoscenze non arrivino alla giuria, perché non sanno distinguere le loro emozioni e loro decisioni. Es. esclusione delle testimonianze indirette: la testimonianza su fatti che il teste racconta ma che non sono stati percepiti direttamente da lui ma da terzi. - Garanzia in linea di principio della sua libertà fino a sentenza irrevocabile→ imputato normalmente segue il processo da uomo libero→ nel sistema accusatorio tipico non esiste la custodia cautelare. Nel sistema accusatorio, l’unico soggetto non privato è il giudice Questo sistema accusatorio ha dato atto a conseguenze negative: → per un verso occorreva controllare il pericolo che ci fosse una moltiplicazione di accusatori → per altro verso, siccome l’accusa era portata avanti da soggetti privati→ può non esserci un accusatore perché per es siamo in una situazione in cui il Paese è caratterizzato da una forte omertà. Dunque si è pensato di istituire un ufficio pubblico di accusa: Pubblico Ministero “La funzione crea l’organo ma l’organo crea la funzione” → la funzione dell’accusa ha generato il ruolo di accusatore→ privato→ ma alla fine si converte in ruolo pubblico con molte affinità con il Giudice. Si crea un rapporto privilegiato tra giudice e accusatore, piuttosto che tra il giudice e il difensore. Paradigma accusatorio slittò dunque per il paradigma inquisitorio. → non aveva senso avere due organi con stessi poteri e funzioni Paradigma inquisitorio: Si è arrivati a pensare a un intervento ex officio del giudice che instaura di sua iniziativa il processo con sovrapposizione dei poteri di accusa e decisione→ ma si crea un altro problema→ se accusatore è il giudice, lui come fa a sapere le vicende dei fatti? → dunque si è pensato a un altra soluzione: le bocche della verità: caselle postali in cui chiunque scrive e imbuca nella casella postale una comunicazione che secondo lui è stato commesso un reato→ comunicazione può essere anonima→ giudice qui raccoglie le prove, indipendentemente dalle richieste dell’accusato→ raccoglie i documenti che crede; fa un po’ quello che vuole. → Paradigma inquisitorio (segreto) sembra essere l’opposto di quello accusatorio (pubblico) Nel paradigma inquisitorio: non c’era solo una segretezza esterna ma anche interna: Nei processi canonici: all’imputato non venivano comunicati né l’imputazione, né avvio del processo, né elementi a carico e nemmeno assistito da un difensore. Processo si celebra attraverso una serie di atti e si svolge per iscritto→ atti devono essere verbalizzati per tenerne memoria per il giudice o altri componenti del collegio. Qui la prova, viene acquisita da un giudice ma valutata da altri (resto del collegio). Tuttavia anche quando il giudice fosse unico, alla valutazione delle prove poteva competere il notario. Caratteri tipici del sistema inquisitorio: a) intervento ex officio del giudice che instaura di propria iniziativa il processo, senza vincoli inerenti all'oggetto del giudizio, con sovrapposizione dei poteri di accusa e di decisione; per consentirgli di essere informato sulla commissione dei reati, viene ammessa la possibilità di denunciatori anonimi o segreti. b) Libertà del giudice di raccogliere le prove, indipendentemente dalle richieste dell’accusatore e accusato. c) Segretezza di tutto il processo, non solo esterna ma anche interna (nei confronti delle parti e specialmente dell’imputato, cui nei processi canonici per eresia non venivano comunicate all’avvio processuale, né l’imputazione, né elementi a carico). d) Evidente disparità di poteri tra giudice-accusatore e imputato, che non ha il diritto di promuovere l’acquisizione probatoria ma è titolare solo del potere di sollecitarla. e) Previsione della carcerazione preventiva dell’imputato. Nel processo inquisitorio l’imputato è considerato oggetto di investigazione, depositario di una verità che deve essere da lui ottenuta, anche a prezzo di pressioni fisiche e psichiche: suo interrogatorio e la sua confessione sono lo strumento e l’esito ideale dell’istruzione penale. Diversamente dal modello accusatorio, non vigono limiti all’attività euristica del giudice che invece si trova vincolato al momento della valutazione probatoria, secondo i dettami del sistema della prova legale. Nel processo accusatorio: prevista libertà dell’imputato Nel processo inquisitorio: carcerazione preventiva dell’imputato→ è oggetto di investigazione, testimone di verità che può essere ottenuta con forzature e torture. Sistemi della prova legale: si stabiliva quanto valeva una prova→ serviva per dire: giudice hai fatto quello che volevi ma nella valutazione decide il legislatore→ ma è sempre il giudice che decide se ricorre la regola di prova legale. Es. 2 soggetti che assistono a un omicidio: uno a distanza di 4 metri e l’altro a 200 metri sono 2 testi o uno solo? → sono valutazioni che il giudice deve fare sulle prove. Nesso tra sistema processuale penale e ordinamento politico: La disciplina del processo penale riguardi direttamente la regolamentazione dei rapporti tra i poteri attribuiti agli organi giudiziari e la salvaguardia dei diritti individuali e come i principi ispiratori di un determinato sistema processuale penale siano strettamente connessi al tipo di ordinamento politico di ciascun Paese. Ciò emerge dalla circostanza che essi sono normalmente inseriti nelle Carte Costituzionali degli Stati, nonché dal condivisibile rilievo dottrinale di considerare la procedura penale alla stregua di diritto costituzionale applicato. In questa prospettiva è consueto rilevare che il modello accusatorio è più sensibile alle esigenze di libertà del cittadino, mentre quello inquisitorio tende allo scopo di assicurare comunque una punizione per l’illecito commesso. Anche a prescindere dai mutamenti effettuati già immediatamente dopo la caduta del fascismo, in Italia la disciplina processuale penale è quella che ha subito le più vaste modificazioni dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana—> coinvolta dall’ampia riforma novellistica dalla L. 517/1955 al fine di adeguare il cpp 1930 ai valori democratici ripristinati nel nostro Paese. Processo inquisitorio è quello che ha le caratteristiche dell inquisitorio iniziale e formale (conduce processo secondo enunciazioni che può fare lui) e metodo acquisitivo probatorio (giudice può inserire nel processo le prove che ritiene opportuno) Processo dispositivo è quello che che ha il principio dispositivo iniziale (inizia la causa la parte attrice) + dispositivo formale (vincolato alle allegazioni delle parti) + metodo dispositivo (giudice vincolato alle prove presentate dalle parti) Processo di parti è garantito quando ci sia il dispositivo iniziale, il dispositivo formale (vincolato alle allegazioni delle parti) e metodo acquisitivo. Il processo di parti in senso stretto ammette la possibilità che l’attore rinunci alla causa. La scelta del legislatore italiano: MENTRE INFINE, Nel nostro Processo penale è un processo di parti in cui vige il principio della domanda, principio dispositivo formale, metodo acquisitivo ma divieto di retrattabilità dell’azione (una volta iniziata non si può rinunciare all’azione). Principio di separazione delle fasi che consente effettivamente o no l’attuazione del giusto processo→ problema fondamentale nella disciplina del processo è quello del rapporto tra la fase dell’investigazione e fase del giudizio. Architettura iniziale del codice del 1988, echeggiava il concetto di inchiesta preliminare, presente in un progetto di Riforma di Carnelutti→ l’inchiesta preliminare di parte, prevedeva che gli atti compiuti durante le investigazione, non poteva essere usati dal giudice del dibattimento per fondare la decisione→ perché la decisione doveva essere formata nel contraddittorio, salve eccezioni riconducibili al riconoscimento che determinati elementi sarebbero stati di impossibile riacquisizione in giudizio. Si è abbandonato il modello dell’inchiesta di parte e si è ritornati a quelle dell’istruzione sommaria condotta dal PM, come previsto dal codice del 1930. Nel 1930 c’erano 2 modelli: - condotta da giudice istruttore - condotta da PM → Con l'istruzione sommaria c’era solo il Pm e la difesa Con il nuovo codice non c’è più il giudice istruttore → quindi siamo rimasti solo con il PM→ si è tornato (quasi)al codice del 30 L. 267/1997 & sent 1998→ hanno cercato di modificare questo. Si è creato una discussione del parlamento nei confronti della Corte cost. → L. 63/2001 ha modificato l’art. 111 Cost. → c’è stata la proclamazione del giusto processo e con gli ulteriori commi si è data la possibilità di una diversa applicazione del contraddittorio per consenso dell’imputato→ ammettere che il giudice decida sulla base degli atti delle indagini preliminari e non obbligato a svolgere il dibattimento nella sua forma tipica. CAP.3 : LA NORMA PROCESSUALE PENALE La norma processuale penale è quella che concorre a disciplinare procedimento penale dal momento in cui è ipotizzato un illecito penale fino al termine dell’esecuzione della decisione di accertamento del giudice. La norma processuale penale riguarda anche altre azioni penali complementari (procedimenti con finalità diverse: riconoscimento sentenza straniera, estradizione ecc) Illecito penale e non di reato perché nel processo penale ci sono anche accertamenti di altri profili: es. pericolosità del reo, violazione di norme amministrative ecc + tutte questioni civili dipendenti dal reato. *Integrazione: norme processuali penali che concorrono a disciplinare procedimento penale in tutta la sua estensione. Esso attiene a quel fenomeno che trae origine da un’ipotesi di illecito penale (notitia criminis) e che si sviluppa attraverso la verifica di quest’ultima fino all’applicazione, effettuata sotto il controllo del giudice penale e possibile solo qualora l’accertamento si sia concluso positivamente, delle relative conseguenze. Alla medesima nozione va ricondotto pure quanto compiuto riguardo alle azioni penali complementari con le quali viene attivata la giurisdizione per procedimenti con finalità diverse da quella di acclarare il contenuto di una notitia criminis. Non va dimenticato che nell’ambito del procedimento penale possono emergere questioni non solo strettamente inerenti al reato e alla pena ma altresì concernenti la pericolosità del reo (accertata attraverso l’esercizio della cosiddetta azione penale di prevenzione criminale da cui dipende l'applicazione delle misure di sicurezza) nonché la responsabilità per violazioni amministrative connesse a un reato e quella civile implicante le restituzioni o il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 185 cp, qualora la condotta integri un illecito in campo civilistico e della sua cognizione sia investito il giudice penale. Occorre evitare quindi la tentazione ontologistica di impiegare per risolvere automaticamente problemi che afferiscono alla diversa disciplina delle norme sostanziali e di quelle processuali. Quando si esamina una norma non si può fissare a priori il suo ambito, come se esistessero marchi di sostanzialità o processualità. È una questione da decidere volta per volta giacché non esiste una dicotomia tra norme sostanziali e processuali ma una loro dialettica interrelazione: e anche questa prospettiva conferma ancora una volta la fallacia delle concezioni sia pansostanzialistiche che panprocessualistiche del diritto. Norma processuale penale non è ontologica—> prendiamo per esempio il: Tema della successione della legge nel tempo: vige principio di irretroattività in generale, mentre invece le norme processuali penali sono regolate dal principio tempus regit actum. Per alcune norme probatorie non sappiamo se hanno regime sostanziale o processuale—> dipende da cosa si va a regolare. Le stesse norme sostanziali possono essere anche processuali laddove incidano sullo sviluppo del procedimento penale e non sono di per sé funzionali all’individuazione della fattispecie in cui inserire il reato, né a valutare le sanzioni eventualmente conseguenti. Norme sono spesso a doppia faccia—> non si può fissare a priori la caratteristica sostanziale o processuale di una norma.—> è una questione che si decide volta per volta in base al problema che si deve risolvere. Le norme processuali penali hanno una loro strutturale caratteristica (non assoluta): - Norme con funzione negative (impeditive di un danno) - Norme con funzione positiva (di generare un vantaggio) —> Diverse categorie—> norme processuali penali non sono norme di tutela di determinati beni o individuali o collettivi (come lo sono le norme penali sostanziali). Norme processuali penali non sono norme finalizzate alla limitazione del comportamento dei singoli per evitare un documento generato dalla condotta. Norme processuali penali infatti sono norme costruttive—> a loro volta distinguibili in: - Norme di organizzazione - Norme di funzionamento Nella procedura penale abbiamo a che fare con qualcosa che viene inventato, razionalmente costruito dal legislatore—> allora una volta individuato i principi di base del processo, possiamo buttare via codici e manuali e costruire noi l’apparato processuale, perché tutto dovrebbe derivare razionalmente. Norme processuali penali di organizzazione: perché coordinano e creano ciò che prima non c’era, in una prospettiva di staticità. Norme che creano e coordinano qualcosa che prima non c’era: A) soggetti giuridici altrimenti inesistenti B) Uffici: elementi organizzativi giuridicamente conformati, stabilendo loro attribuzioni e specificando quali tra loro componenti siano organi in quanto idonei a costituire strumento di imputazione giuridica dell’ente di cui fanno parte C) Complessi di persone fisiche organizzati senza soggettività Norme di funzionamento hanno una visuale dinamica: regolano svolgimento dell’attività dei singoli e degli uffici—> peculiarità emerge anche dalla circostanza che norme processuali vengono redatte in modo diverso da quelle sostanziali. Norme penali sostanziali: si presentano come comandi o divieti di comportamento in uno schema sanzionatorio tipico. Norme processuali penali si presentano invece come conferimento di poteri o di assegnazione di doveri a coloro che partecipano allo svolgimento del procedimento. Questa formulazione semplifica l’identificazione del destinatario della norma. Rispetto alla sanzione per l’inosservanza della norma processuale penale: genera una sanzione raramente di carattere personale—> laddove ci fosse, non è inserita nel corpus delle norme processuali ma nel corpus delle norme disciplinari (es. falsa perizia). Sono reati contemplati nel codice penale e quando ci sia qualche sanzione inserita nel cpp, si tratta di sanzioni amministrative (Art.133 cpp: testimone che non compaia senza legittimo impedimento) o aventi un’incidenza esclusivamente interna al processo (come nel caso dell’allontanamento coattivo dell’imputato intemperante, ex art. 475 cpp). È invece ricorrente nel diritto processuale, l’esistenza di schemi per cui la trasgressione di una determinata norma produca invalidità di certi atti o influisca sul permanere della possibilità di effetturarne altri, giuridicamente rilevanti. Nel primo caso si parla di: casi di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità di atti Nel secondo caso: si parla di decadenza del potere di compiere un atto per il suo mancato esercizio entro il termine perentorio stabilito dal legislatore. penale Storia della norma—> La successione di norme processuali penali: La procedura penale risente immediatamente degli orientamenti politici e delle sollecitazioni che provengono dalla società→ procedura penale segue la legge del pendolo→ il problema è che queste disposizioni vengono modificate sull’onda dei titoli più grossi di giornale, senza pensare all’insieme delle altre norme→ si creano lacune e contraddizioni e conflitti tra le norme. Quando c’è un ricambio normativo: si sceglie le opzioni: decidere di regolare i procedimenti pendenti nel momento del ricambio normativo attraverso un apposita disciplina di diritto transitorio oppure sta zitto e si applicano i norme intertemporali singolari. Tra la vecchia e la nuova: si applica una terza. In mancanza di norme intertemporali singolari o disciplina transitoria: si applicano i principi generali: principio del tempus regit actum: efficacia immediata delle nuove norme. Actus: a cosa si riferisce→ concepito in relazione a un livello di atomizzazione delle fasi processuali identico a quello descritto dalle nuove norme. principio opera sull’oggetto modificato dalle nuove norme es. Se c’è una nuova norma all'assunzione della testimonianza→ intero processo prosegue secondo vecchie norme mentre solo la testimonianza secondo le nuove norme. Atto giuridico per definizione ha effetti giuridici e nel campo processuale penale: l’esecuzione del singolo atto e poi soggetto alla valutazione del giudice→ e anche dei giudici dell’impugnazione. tempus: si riferisce all’esecuzione dell’atto o valutazione dell’atto? → giudice di impugnazione non può dire che non è efficace un atto perché ora la norma è cambiata→ giudice di I grado ha applicato norma vecchia perché al tempo era in vigore questa. - applicazione diretta della norma: quando si compie l’atto - applicazione indiretta: quando esistono controlli successivi sull’osservanza della norma Deve essere il legislatore a dire di non applicare il tempus regit actum ma derogare al principio di irretroattività. Anche se la retroattività della norma processuale è limitata ai casi in cui sia ragionevole→ sia coerente e non contrasti con principio dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica → retroattività, sul piano processuale deve trovare delle giustificazioni Norma processuale penale nello spazio: Norma processuale penale era vincolata dal principio locus regit actum→ art 27 preleggi: la competenza e la forma del processo è regolato dalla legge del luogo ove si svolge il processo lex loci: legge che si applica nel luogo in cui si compie un assunzione testimoniale lex fori: legge del luogo dove si celebra il processo problema di compatibilizzare le due dal 1/09/1995→ ha abrogato una serie di norme delle disposizioni preliminari tra cui l’art. 27→ manca quindi quell aggancio → non soccorre l’art. 12 della L. n 218 perché si riferisce alla materia civile → emerge il superamento della concezione della territorialità delle norme processuali penali emerge sistema del principio della tendenziale fungibilità delle giurisdizioni: formula della sent cost. 438/2000→ *guardare sent. SEZIONE SECONDA: LINEAMENTI EPISTEMOLOGICI CAP. 4: PROVA, GIUDIZIO E VERITÀ’ Prova Affermazioni delle parti devono essere verificate e occorre che avvenga la conoscenza di ciò che l’attore sta dicendo→ giudice deve conoscere ciò che viene detto dall’attore e poi dal convenuto→ per conoscerlo deve acquisire le prove. Processo di conoscenza→ processo gnoseologico → per effettuare questa conoscenza nel processo penale occorre che si conoscano i metodi seguiti e la validità di questa conoscenza per poter dire che è condivisibile e che consente effettivamente di formulare un giudizio di verità o falsità su ciò che viene sostenuto. E’ un procedimento che non può non seguire le regole ordinarie delle modalità conoscitive degli eventi. Esito degli studi epistemologici è che l’indagine non è qualcosa che viene offerto automaticamente e passivamente perché ogni risultato di qualsiasi ricerca dipende dal contesto e dall’ambito all’interno del quale, questa indagine viene svolta e compiuta & dipende dal metodo che si segue per quel l'indagine e dipende da quale sia lo scopo dell’indagine. → problema della oggettività della scienza si risolve attraverso il chiarimento di quali sono le ipotesi di ricerca e del lavoro che costituiscono il motore dell’indagine. Comincio l’indagine perché ho già un’idea iniziale e bisogna stare attenti perché si vive in un mondo soggettivo→ dunque bisogna cercare di comprendere e togliere quelle incrostazioni che ognuno possiede, per individuare i postulati della ricerca espliciti e impliciti (di cui non ho immediata consapevolezza ma comunque influenti sul risultato). Infine bisogna essere consapevoli degli strumenti che si adoperano: quindi sapere quali sono le conseguenze in merito agli strumenti che adopero. A smentita di coloro che ritengono ancora che sia raggiungibile una verità assoluta che conduca alla conoscenza certa oggettività→ Va ricordato che, negli anni 30, sono emerse nell’ambito scientifico e matematico degli studi che inducono a perdere qualunque illusione sulle capacità conoscitive dell’uomo; l’uomo non è onnisciente e non è in grado di raggiungere una conoscenza assoluta. Principio di indeterminazione→ Heisenberg → principio che afferma che sia impossibile individuare esattamente e contemporaneamente la conoscenza relativa alla posizione e velocità di una particella atomica. Questa impossibilità è data dalla struttura della conoscenza umana e dalla circostanza che nella fisica atomica è impossibile prescindere dalle modifiche che l’osservazione genera sull’oggetto osservato. A livello epistemologico generale, si deduce che c’è un nesso dialettico tra metodo impiegato e oggetto studiato→ non è possibile astrarre dal sistema sperimentale di cui fa parte. Prova di Godel che ha dimostrato il teorema degli indecidibili: ha provato l'esistenza nell’ambito dell'aritmetica di proposizioni formalmente indecidibili. Proposizioni che si ritiene siano vere ma non sono deducibili da un qualsivoglia insieme di postulati di assiomi. Anche nell’aritmetica ci sono risultati che non sono dimostrabili all’interno dell'aritmetica con le procedure tipiche, pur essendo convinti che tali risultati siano veri. L’uomo riesce a individuare e scoprire e discernere più di quanto l’uomo riesca a dimostrare→ ci sono più proposizioni vere che proposizioni dimostrabili. → Come si inseriscono queste circostanze nel processo? Questi esiti implicano 2 corollari di particolare interesse nell’ambito giudiziario: A) Se il risultato di qualsivoglia ricerca su un evento o fatto, non è riducibile a qualcosa che si auto-mostra e che appare evidente, allora anche il materiale fattuale che il giudice si trova a dover usare per la decisione non è la conseguenza di una passiva ricezione delle risultanze probatorie→ giudice non è l’equivalente di una tavola di cera su cui viene impresso il segno della penna. Il giudice interviene nella conoscenza del fatto e per conoscere il fatto, ci mette un po’ del suo→ perché c’è una relazione dialettica tra il soggetto che conosce e l’oggetto che viene conosciuto. → Riconducibile ad Heisenberg La prova di Godel gioca nel processo→ nel ragionamento giudiziario→ giudice usa prova che aquisitio e inserendole in un quadro ricostruttivo, che è l’esito del ragionamento che il giudice effettua su ciascuna prova. B) Il ragionamento giudiziario non è riconducibile a una struttura esclusivamente logico-deduttivo; non possiamo pretendere che giudice formalizzi compiutamente sulla base delle regole logiche inconfutabili l’esito della sua conoscenza; il giudice, differentemente dagli illuministi, non è equiparabile a una bocca che pronuncia le parole della legge: giudice non è una macchina→ giudice ci mette del suo e le sue argomentazioni non sono solo logico deduttivo; i suoi ragionamenti hanno una caratteristica di tipo argomentativo. Modalità usate dal giudice nel corso del tempo (evoluzione delle modalità gnoseologiche) Concezioni argomentativa e dimostrativa della prova Nella modalità gnoseologica attuata nel corso dell’evoluzione processuale si sono sviluppati degli influssi di 2 sostanziali orientamenti: - influssi dell’empirismo - influssi del realismo→ sulla conoscenza giuridica 2 concezioni antitetiche sulla comprensione dell'istituto della prova. un fatto a posteriori; è solo possibile constatarlo o esperirlo nel momento in cui il fatto accade. La prova verte sempre su proposizioni. Bisogna considerare che non esistono fatti veri o fatti falsi→ il fatto c’è o no/ accade o no. E’ l’enunciazione del fatto che può essere vero o falso. Caratteristica di un fatto è la sua esistenza, non la sua verità. La prova riguarda la verifica di un enunciato. Prova in senso lato è tutto quell’insieme di elementi e attività, quel procedimento e risultato conoscitivo che ha la funzione di consentire l’accertamento o no di uno degli enunciati fattuali che rappresentano il thema probandum. Cosa deve essere provato? → è sinteticamente individuato dall’art. 187 cpp: Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato. Acquisisce rilevanza, l’insieme delle proposizioni rappresentative del fatto che viene ascritto all’imputato→ non riguardano solo i fatti principali (il fatto storico cui si connette la domanda per integrare la fattispecie ritenuta applicabile); ma anche i fatti primari (fatti che costituiscono gli elementi della fattispecie) --> sono i fatti semplici. I fatti semplici possono essere elementi che servono alla valutazione di una fonte o mezzo di prova→ art. 194 cpp. La qualifica iniziale del fatto per cui si procede dipende dalla prospettazione della parte e nel caso del processo penale, dipende dalla prospettazione del PM→ questa prospettazione è sempre nei limiti in cui è possibile, modificata→ si modifica la narrazione di quel fatto secondo le regole dibattimentali. Oggetto di prova: thema probandum, può anche concerne l'inesistenza di un fatto→ imputato sostiene di non essere stato presente in quel luogo in quel tempo→ alibi. Questa affermazione probatoria (oggetto di prova) che si trova in corrispondenza con ciascuna prova addotta→ ad. es con la prova testimoniale. I temi di prova particolare: quelli costitutivi del fatto primario: sono tanti quanti gli esperimenti di prova o tanti quanti i gruppi di esperimenti di prova connessi a uno specifico e identico oggetto di prova. Per dimostrare il mio alibi posso chiedere testimonianza di più persone. Si tratta di un unico oggetto di prova con tanti esperimenti di prova che servono a verificare il primo. L’insieme degli oggetti di prova non corrispondono sempre al thema probandum generale→ posso avere interesse a dimostrare che ero vestito con un certo indumento al momento della commissione del reato? Potrei non riuscire a portare elementi a sostegno di questo perché quell’indumento l’ho buttato. Il controllo di una proposizione avviene solo con il confronto con un’altra proposizione-> la verifica di un’affermazione probatoria che costituisce oggetto di prova emerge solo sulla base di un confronto eseguito con un altro enunciato. Neutralità epistemologica del processo e concezione semantica della verità In una società multiculturale in cui diverse sono le posizioni filosofiche/religiose ecc, occorre garantire che l’esito del processo sia accettato da tutti: processo non sia visto come conseguenza di pregiudizi. La concezione della verità a cui ci si riconnette nell'attività processuale sugli enunciati delle parti, deve essere tale da risultare condivisibile. La concezione semantica della verità è stata esposta nel 1944 dal polacco Tarski che l’ha presentata prima in forma logica formale e poi in modo più leggibile per tutti—> questa concezione raggiunge lo scopo perché riesce a prescindere dalle concezioni precedenti della verità, perché le precede (sta a monte di queste concezioni) e quindi non è vincolato da prese di posizioni. Esige un controllo di proposizioni effettuate con altre proposizioni—> per operare questo controllo non richiede il superamento dello iato tra le parole e oggetti su cui vertono, allora si può accettare la concezione semantica della verità senza rinunciare alle nostre convinzioni epistemologiche quali esse siano. Secondo questa concezione si cercano di individuare solo le condizioni d’uso del termine “vero”—> si fornisce una definizione nominale, ossia che resta a livello linguistico. Nel processo l’attore dice: Tizio mi deve 100 ma il giudice deve verificare questa affermazione— > giudice opera come grado superiore, come interveniente nell'ambito del meta linguaggio perché deve poter dire: l’enunciato è vero o falso. Vera o falsa può essere solo l’affermazione relativa all’esperienza del fatto—> per un verso colleghiamo al processo, la nozione di verità ma questa non deve essere l’espressione di una posizione ideologica che intende a imporsi a chi la pensa diversamente—> bisogna costruire processo accettabile da tutti. —> Con la teoria tarskiana dunque, per un verso si mantiene nel processo l’ineliminabile nozione di verità; per l’altro, restano impregiudicati l’accettazione o rifiuto della teoria delle verità corrispondentista classica o di altre concezioni. Bisogna riflettere sulla circostanza che una cosa è la nozione di verità e altra è l’individuazione dei criteri di verità sulla cui base siamo pronti ad asserire l’enunciato costitutivo della descrizione ricostruttiva del fatto compiuta al termine del processo. I suddetti criteri idonei a suffragare il passaggio inferenziale dagli enunciati concernenti i dati gnoseologici portati in giudizio a quello finale rappresentativo della ricostruzione fattuale, sono individuati nella coerenza di quest’ultima con tali affermazioni e nella accettabilità giustificata della medesima in virtù della sua capacità esplicativa, ribadendosi che la prova di una proposizione può essere solamente un’altra proposizione. Per la decisione è necessario riscontrare la coincidenza o no tra l’enunciato iniziale (costituente il referente storico) e quello finale (integrante la ricostruzione fattuale reputata persuasiva: cioè per l’ipotesi considerata). —> si avrebbe una equiparazione al caso della “non coincidenza” qualora dagli esperimenti probatori non fosse derivato nulla di fruibile e perciò mancasse al limite, addirittura la possibilità di pervenire concretamente a un simile controllo: ad es. quando le acquisizioni probatorie fossero state unicamente di tipo testimoniale e i testi avessero dichiarato di non rammentare nulla di pertinente alla regiudicanda. Infine, va segnalato che non è necessario accogliere una nozione corrispondista di verità per poter contestare una pronuncia. Infatti, la concezione semantica della verità non comporta la negazione che la giustificazione dei provvedimenti giurisdizionali possa essere fallace e consente la critica a decisioni considerate ingiuste perché pervenute alla condanna di un innocente (o assoluzione di un colpevole) sul fondamento di una ricostruzione fattuale ritenuta sbagliata per carenza di elementi conoscitivi o per diversa valutazione di quanto introdotto nel processo. Senza aderire alla teoria corrispondentista della verità, è giuridicamente sostenibile l’errore della sentenza sulla base non solo di un diverso corredo di proposizioni, di cui almeno alcune derivino da dati esterni al processo ma altresì di un differente apprezzamento del patrimonio gnoseoogico acquisito durante il procedimento. Anche in queste eventualità, comunque si tratterebbe di emettere un giudizio fondato su un confronto linguistico che viene effettuato tra 2 alternativi enunciati descrittivi della realtà, di cui solo uno è creduto vero: appunto senza necessità di supporre un loro collegamento con una ipostatizzata realtà esterna al linguaggio con cui se ne parla. —> Teoria correspondentistica: quella più sostenuta. 1. La coerenza della ricostruzione accolta dal giudice con le affermazioni relative agli elementi gnoseologici riconosciuti—> la sentenza deve essere coerente con le deposizioni dei testi e documenti. Coerenza tra ciò che viene detto nel processo e poi ritenuto dal giudice—> nella sentenza deve emergere ua giustificazione accettabile della sua ricostruzione del fatto. Decisione sia riscontrata o no tra l’enunciato iniziale (il referente storico) e quello rappresentativo della realtà inerente alla costruzione finale. Perché il processo sia significativo per la società, è necessario accogliere una concezione corrispondistica di verità-_> solo così si afferma che il giudice ha deciso in modo giusto o no—> non è vero perché la concezione semantica della verità comporta possibilità che provvedimenti giurisdizionali possono sbagliare e concezione semantica della verità permette la critica a sentenza ingiuste. Non è necessario aderire alla teoria corrispondentista della verità, perché è sempre sostenibile l’errore della sentenza sulla base non solo in base a un insieme di diverse proposizioni ma anche in base a un diverso apprezzamento dell’insieme conoscitivo appreso durante il procedimento. Concezione dialettica della prova e relativismo probatorio: Non vi è mai un diretto accertamento del fatto nella sua manifestazione, nel suo presentarsi agli esseri umani come un qualcosa di cui prendere atto—> ciò che si ottiene nel processo è una ricostruzione del fatto—> ricostruzione ottenuta attraverso un enunciazione descrittiva del medesimo fatto: una ricostruzione che è l’esito di una verifica delle contrapposte prospettive che sono presentate dalle parti. La ricostruzione del fatto è il risultato della dialettica tra le parti che in ambito probatorio può esaminarsi secondo duplice prospettiva: l’andamento della dialettica probatoria in primis può essere connessa a quello che è l’aspetto più consueto, ossia che processo è tra 3 persone (attore, convenuto, giudice); la garanzia del possibile intervento delle parti nel procedimento probatorio è un requisito essenziale per conferire alla prova una generale potenzialità persuasiva. L’intervento della parti nel procedimento probatorio deve essere possibile (non è necessario che sia effettivo) e non può essere coatto (coercibile) e deve poter essere rinunciabile dall’interessato. significato della lor antitesi: non chiariscono se parlando di ricostruzioni sillogistiche dell’attività del giudice si riferiscono al procedimento intellettuale oppure allo schema linguistico con cui il giudice manifesta la propria decisione e argomenta le proprie scelte; Né dicono se intendono riferirsi tanto il profilo intellettuale quanto quello linguistico. La concezione irrazionalistica (realismo giuridico americano) pone in rilievo l’aspetto psicologistico della decisione perché questo è ritenuto irrazionale e non dà conto del procedimento linguistico impiegato dal giudice nel motivare il suo provvedimento. La connessione tra pensiero e linguaggio non può essere individuata sulla base dell’idea per la quale la decisione e giustificazione avverrebbero nella sua mente e poi avrebbe solo compito di manifestarle esternamente: si tratta di un postulato mentalistico che dà esiti insoddisfacenti: esiti descrittivisti quando si presume che il provvedimento giurisdizionale sia un semplice rispecchiamento di quanto avvenuto nella mente del giudice o quando si ritenga che giudice razionalizzi a posteriori ciò che è arrivato a concludere. Queste impostazioni non tengono conto di una caratteristica tipica di gran parte degli organi giudiziari: ossia che questi spesso sono collegiali: plurimo, in cui ciascuno si deve esprimere in camera di consiglio e si trova a dover manifestare la propria opinione nella camera di consiglio piuttosto che nella stesura della sentenza→ questa posizione diversa tra giudice monocratico e collegiale: trova una sua consapevolezza nelle indagini psicologiche. Anche il giudizio non è univoco nella propria accezione→ il senso tecnico giuridico del giudizio si riferisce a una fase del procedimento; ma con giudizio si fa riferimento anche all’attività di ricerca degli elementi su cui fondare una deliberazione (o si riferisce alla giustificazione della deliberazione che viene presa); o essere intesa come decisione; o quando si tratta dell'espressione linguistica nel contesto di giustificazione e decisione che avviene attraverso la pronuncia e redazione della sentenza. Questi profili di logica del giudizio hanno una conclusione per cui è difficile districare: - Per comprendere come si sviluppa l’attività del giudice conviene guardare a una prospettiva comportamentista del giudice: da questa ottica, la sentenza è un atto giuridico: un comportamento che rileva nell’ambito del diritto e incide sulla realtà non perché abbia a che vedere con gli stati psicologici dell’organo giurisdizionale ma perché la sentenza è sostanzialmente un veicolo attraverso cui viene presentata una decisione che implica determinati effetti. La motivazione della sentenza non è qualcosa di diverso dal discorso con cui si intende giustificare: ossia il comando contenuto nella sentenza. La giustificazione del comando resa con la presentazione degli argomenti che si ritengono i più idonei a difendere la sentenza di fronte a coloro che volessero criticarla. - Riconoscere che il ragionamento del giudice è un insieme di vari elementi: che non sono riconducibili a una sola classe (logico) ma anche di carattere retorico, topico e valutativo - Occorre poi illustrare i piani all’interno dei quali, l’organo giurisdizionale compie proprio lavoro e vedere quali sono i reciproco rapporti e interazioni tra questi piani. Bisogna tenere conto dei livelli del pensiero e del linguaggio. Quello che appare poco accettabile è un’impostazione della teoria dei due contesti che presenta una separazione, irriducibile cesura tra il procedimento decisorio e il procedimento motivazionale. Occorre considerare che anche su un piano più ampio di quello giuridico, una netta distinzione tra decisione e giustificazione→ non si pone su una direzione irrazionalistica e dunque sconta la difficoltà di dare conto del comportamento degli organi collegiali & altresì arriva a confondere un prius cronologico con prius logico: confonde ciò che può accadere nella scansione temporale degli eventi, con ciò che ha una sua derivazione o comprensione di carattere logico. Può anche ammettersi che la scelta preceda la giustificazione anche se questo è da spiegare. Epistemologia: analisi critica dei metodi con cui si raggiunge una conoscenza e della validità della conoscenza raggiunta: capisce come si arriva a conoscere determinate cose e come queste siano convincenti o meno. Epistemologia giudiziaria: disciplina che studia i criteri e strumenti usati dal giudice per ottenere l’acquisizione del materiale fattuale sulla cui base compiere scelte decisorie. Contesti di decisione e di giustificazione Ciò che è necessario è l’esame della modalità attraverso cui si è erroneamente introdotto nell’ambito processuale: la distinzione tra contest of discovery e contest of justification→ questo ha comportato un mutamento delle questioni che erano implicate in campo scientifico e giudiziario. Nella scienza il contest of discovery concerne le questioni attraverso le quali si arriva alla formulazione di un’ipotesi→ come si perviene alla formulazione di un’ipotesi= contest of justification riguarda i problemi concernenti modalità di formulazione. Quando parliamo dei due contesti in campo giudiziario, l’attenzione è diretta alla emanazione del provvedimento finale: la teoria dei due contesti scientifici trasferita in ambito giudiziario viene spinta in avanti; infatti, il contest of discovery viene tradotto come contesto di decisione (anziché contesto di scoperta) → allora, c’è nella teoria c’è un vuoto che concerne il momento anteriore alla emissione del provvedimento→ con la teoria dei due contesti in ambito giudiziario si perde il concetto di ipotesi MA questa è una perdita pesante e che non rispecchia ciò che effettivamente avviene in ambito giudiziario. Anche nel processo esiste un'ipotesi iniziale che si deve verificare (nel campo penale è quella del PM). La convalida di questa ipotesi: nel processo è realizzata attraverso l’attività istruttoria. Se guardiamo schematicamente alla sequenza scientifica e giudiziaria vediamo che i contesti non sono 2 (come nell’attività scientifica) ma sono 4 (nell’indagine giudiziaria). Nell’attività scientifica abbiamo il contesto di scoperta e formulazione delle ipotesi & contesto di giustificazione. Ma la sequenza giudiziaria inizia con il contesto di scoperta e formulazione di ipotesi (questa è l’istruzione primaria: quella che è compiuta dalle parti o PM: che raccolgono elementi per giustificare la richiesta della domanda→ per chi attiva il processo: il modello della richiesta deve essere pari a quello che si aspetta dalla sentenza. Conseguentemente, c’è il contesto di ricerca (istruzione probatoria o istruzione secondaria) che si sviluppa di fronte al giudice: si presenta al giudice gli elementi di prova con cui spera di ottenere l’esito positivo della sua domanda. All’esito ci sarà il contesto di giustificazione e decisione→ emanazione sentenza. Scoperta, ricerca, giustificazione e decisione→ 4 fasi istruzione probatoria perché deriva dall'ipotesi iniziale e svolta in funzione della scelta e motivazione che dovranno essere rese non potrà non risentire dell’indirizzo impresso. L’ipotesi spinge l’indagine ma l’indagine è tirata dalla decisione e motivazione. → Al termine di questo percorso il giudice avrà conosciuto quella realtà che deriva da una cosciente sistematizzazione per ottenere una descrizione ricostruttiva di un fatto in tutte le sue configurazioni. In conclusione e schematicamente mentre la sequenza scientifica (dove manca un “giudice” ed è quindi chi “scopre” che deve pure “giustificare”) è: 1) contesto di scoperta e formulazione dell’ipotesi 2) contesto di giustificazione ed eventuale convalida la sequenza giudiziaria è: 1) contesto di scoperta e formulazione dell’ipotesi (è il momento dell’istruzione primaria in cui peraltro se il suo risultato è ipotesi per il giudice, per la parte che la formula è già decisione: non a caso si è sostenuto che, per chi attiva il processo, la domanda equivale al modello dell’auspicata sentenza 2) contesto di ricerca (è il momento dell’istruzione probatoria o secondaria che si sviluppa davanti al giudice) 3) contesto di decisione 4) contesto di giustificazione → Sembra in ogni caso opportuno ribadire che un legame dialettico tra i contesti di scoperta, ricerca, decisione e giustificazione sussiste sempre. Non solo la scelta e la motivazione finali si basano sugli esiti dell’indagine ma quest’ultima proprio perché derivante dall’ipotesi iniziale e svolta in funzione delle prime, non potrà risentire dell’indirizzo che le venga impresso; e trattasi di concezione tanto più valida quanto più si osservi come nell’ambito giudiziario siano dati anche normativamente i binari (sostanziali e processuali) del percorso da compiere, in fondo al quale il giudice avrà conosciuto la realtà con una cosciente sistematizzazione attiva. L’oggetto di dubbio, da cui scaturivano determinate ipotesi di soluzione da sottoporre a verifica, sarà allora convertito nella descrizione ricostruttiva di un fatto, definito nelle sue configurazioni e relazioni giuridicamente rilevanti. CAP. 5: LESSICO E STRUTTURA DELLA PROVA La sequenza probatoria e le sue componenti: Il vocabolo “prova” in campo giudiziario usato con riguardo alla ricostruzione fattuale secondo quanto emerge dall’art. 187 cpp che ribadisce il necessario riferimento di ciascun oggetto (o tema) di prova cioè di ogni singola affermazione da verificare ai fatti attinenti all’imputazione, punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza o opportunità di desumere un particolare risultato da una definita circostanza. Non si può esimere dall’aggiungere che per il giudice penale il vincolo al rispetto delle leggi scientifiche, trova suo fondamento anche in ambito costituzionale. Affermare il contrario, implicherebbe qualora le leggi scientifiche influissero sulla descrizione della fattispecie, violare il principio di tassatività dell’art. 25,co.2 cost. La distinzione tra prova rappresentativa e prova critica: Per precisare i caratteri della prova, non sono mancate sin dall’antichità le proposte di una classificazione all’interno del sistema probatorio con la scelta di differenti parametri. Trattasi di tipologie in gran parte desuete e inutilizzabili nella concreta vita giudiziaria; esse si riducono a una sterile elencazione di definizioni lessicali, lasciate a un arbitrio soggettivistico correlato a un approccio descrittivo e carente di riferenti pragmatici. Ne deriva che pure quando siano adoperati con scopi più attenti agli aspetti gnoseologici della questione, gli stessi termini oppositivi con cui le prove vengono scriminate in dirette o indirette, immediate o mediate, generiche o specifiche ecc assumono significati divergenti a seconda della prospettiva assunta dai diversi autori. Si rischia di obliterare che alle parti non interessa sapere su quale tipo di prova, si regga la concreta decisione sulla regiudicanda ma importa che essa abbia fondamenta tali da essere intersoggettivamente comunicabile e sostenibile e che non tragga alimento da meri pregiudizi o supposizioni irrazionalistiche. In ogni caso, conviene evidenziare che per essere veramente feconda e non solo nomenclatoria, un’attività classificatrice del fenomeno probatorio andrebbe finalizzata a chiarire aspetti epistemologici dello stesso così da conseguire risultati efficaci nell’ambito della concreta esperienza giudiziaria. In questa prospettiva allo scopo di individuare i fattori strutturali che diversificano la prova in senso stretto dall’indizio, un indubbio rilievo pare assumere la distinzione tra prova rappresentativa e prova critica, pur senza dimenticare la connessione tra esse. Tuttavia, ciò che nella presente sede importa notare concerne il differente rapporto in cui si pongono l’elemento e risultato di prova: risiede in ciò il carattere discretivo tra le 2 specie di prova. Nella prova rappresentativa, l’elemento raffigura, facendolo presente, il risultato di prova, cosicché l’inferenza dall’uno all’altro appare automatica; nella prova critica, invece ciò che viene delineato dall’elemento di prova è dissimile dal risultato di prova da confrontare con l’affermazione probatoria e al secondo si perviene con una mediazione intellettuale. Procedendo a una esemplificazione, si può immaginare che l’oggetto di prova sia costituito dall’incontro dell’imputato con la vittima dell’abitazione X di quest’ultima e nell’intervallo temporale T in cui è stato eseguito il delitto. Se un teste deponesse di aver visto l’imputato e la vittima insieme in un locale in quel lasso orario, automatica apparirebbe l’inferenza di un risultato di prova conducente nel momento decisorio alla verifica dell’iniziale affermazione probatoria. Qualora, invece un teste dichiarasse che l’imputato si trovava in un diverso luogo Y nel periodo tempo T, tale elemento di prova dovrebbe essere collegato con il risultato rappresentativo intermedio che l’imputato si trova in Y. La caratteristica comune alle 2 prove è la necessità della conclusione relativa alle rispettive premesse. La loro distinzione, attiene non alla qualità logica dell’attività esercitata ma all’immediatezza logica della conoscenza conseguita. Prova in senso stretto e indizio: Stesso esempio si ha con l’incontro dell’imputato con la vittima nell’abitazione X di quest’ultima e nell’intervallo temporale T corrispondente a quello del compimento del delitto nello stesso luogo, può ipotizzarsi che un teste dichiari di aver visto l’imputato posteggiare la propria vettura lì, nel lasso orario in argomento. L’elemento di prova ottenuto non sarebbe idoneo a rendere certa l’inferenza conducente a un risultato di prova che confermi l’effettuazione dell’incontro in questione. Si avrebbe solo la sicurezza che l’imputato fosse nei pressi della casa in cui è avvenuto il reato al tempo della sua perpetrazione. La massima d’esperienza secondo cui chi posteggia la propria automobile nell’autorimessa altrui ha normalmente appuntamento con il proprietario della medesima potrebbe essere smentita da un’altra massima per la quale la disponibilità dell’autorimessa altrui è normalmente concessa a chi deve effettuare senza difficoltà di posteggio una commissione di interesse comune nel palazzo di fronte. Se per differenziare la prova rappresentativa da quella critica ci si era riferiti a una diversa complessità della mediazione logica, ora questo rilievo non è più sufficiente per individuare la differente qualità dell’attività intelletuale. Rispetto alla prova rappresentativa, adesso si è in presenza non solo di un mutamento nella struttura gnoseologica ma di una variazione nella natura della conoscenza che consente di discriminare l’ipotesi dell’indizio pure da quella della prova critica. La distinzione tra prova in senso stretto e indizio concerne la modalità logica della conclusione relativa all’inferenza basata sull’elemento di prova. È questo che riteniamo essere il fondamentale elemento discretivo tra prova in senso stretto e indizio. Ciò avviene perché nella prova in senso stretto la conclusione inferenziale si ottiene usando le leggi logiche o scientifiche non probabilistiche, laddove nell’indizio vi è l’applicazione di massime d’esperienza, cosicché vi è una carenza di validità logica. Né i termini della questione vengono mutati dall’inserimento nel dibattito giuridico della nozione. Infatti anche per essa si danno 2 casi: o dall’effetto b si inferisce la sua causa a in forza di una legge universale di forma “Y implica X” o si effettua l’inferenza in forza di una massima d’esperienza di forma “Y normalmente implica X” che rende possibile la conclusione a dalla premessa b. Appare evidente che, mentre durante l’esperimento probatorio non è dato ancora sapere se si otterrà una prova in senso stretto o un indizio, tale incertezza non sussiste una volta conseguito l’elemento di prova: fissata la premessa della relativa inferenza, infatti si è ormai in grado di definire come necessario o come solo possibile il risultato di prova. E poiché la conclusione si riverbera sui momenti anteriori, potrebbe procedersi a un raddoppiamento di tutta la terminologia inerente ai fatti secondari e al risultato di prova, allo scopo di evidenziare la loro appartenenza a una sequenza probatoria in senso stretto o a una indiziaria. Ciò genererebbe un appesantimento lessicale inutile perché eseguibile solo a posteriori, per l’impossibilità di sapere prima dell’esperimento probatorio con quale tipo di fonte e/o mezzo di prova si ha a che fare, non potendosi conoscere anticipatamente l’esito. Risulta, opportuno distinguere linguisticamente le premesse, sviluppi e conclusioni del procedimento intellettivo del giudice In questa prospettiva, l’elemento di prova costituisce il genus al cui interno si collocano le species dell’elemento probatorio e indiziario, a seconda che ci si riferisca alla prova in senso stretto o all’indizio; e nell’ambito del genus rappresentato dal risultato di prova si differenziano le species del risultato probatorio e indiziario, quali conseguenze di un inferenza probatoria o di un’inferenza indiziaria (o presuntiva). Così si risolve una ricorrente ambiguità terminologica, evitando di confondere l’espressione “indizio” con una qualsiasi delle sue componenti. Indizio e sospetto: Un ulteriore problema si pone in relazione all’impiego di uno strumento gnoseologico quale il sospetto, situato lungo la scala dell’intensità persuasiva a un gradino più basso dell’indizio. Tuttavia, non appare possibile effettuare tra indizio e sospetto una diversificazione rigorosa come quella tra prova in senso stretto e indizio, essendosi rilevata la labilità dei confini tra essi: in ambedue i casi dall’elemento che si trova a fondamento dell’inferenza può trarsi solo una conclusione incerta. È invero solo da una considerazione quantitativa che può desumersi la distinzione tra indizio e sospetto, riconoscendo che il dato di partenza del secondo costituisce un anello più lontano o debole dell’elemento indiziario lungo la catena che può condurre alla verifica dell’oggetto di prova. Non va confusa la scarsa persuasività di essi con la loro inesistenza: è piuttosto il riconoscimento della prima a far risaltare il bisogno di un’indagine accurata per suffragare con nuove risultanze le iniziali inferenze. Non si è mancato di assimilare il sospetto a una vera e propria ipotesi di ricerca, negando recisamente che su di esso possa reggersi il convincimento del giudice. Coerentemente con questa impostazione, il legislatore quando usa l’espressione “sospetto” in maniera almeno indirettamente correlata all’uso della parola “indizio”, mostra non di riconoscere loro un efficacia persuasiva “qualitativamente” diversa ma di voler determinare nell’organo procedente una graduazione comportamentale nella salvaguardia dei valori lesi dall’attività investigativa. Ma è proprio tale disposizione che si palesa uno slittamento del vocabolo “indizio” verso una sua accezione distinta da quella presente nell’art. 192,co.2 cpp Nelle ipotesi citate, esso risulta collegato solo indirettamente all’attività di verifica di un addebito poiché serve a individuare una premessa o per lo svolgimento di eventuali indagini o per l’applicazione di una misura cautelare personale o per l’emanazione di un provvedimento estradizionale richiesto in assenza di una sentenza irrevocabile di condanna. L’indizio muta la propria funzione perché mira a soddisfare esigenze connesse a sviluppi intermedi del procedimento penale senza essere finalizzato alla fissazione del fatto integrante l’oggetto particolare del medesimo. Esso, pur designando una prova in senso lato, non ne individua la specie secondo la peculiare modalità logica della conclusione inferenziale ma si riferisce a uno strumento conoscitivo dotato di efficacia provvisoria, riservando ad altro momento una più meditata considerazione sul successivo impiego per la definitiva ricostruzione fattuale. Tra l’altro con l’inquadramento sistematico qui presentato si evita di dover paradossalmente ritenere che per applicare una misura cautelare personale siano necessari indizi, ma non siano sufficienti prove in senso stretto; dall’altra di dover ipotizzare una ingiustificabile conversione degli uni nelle altre, qualora sia il provvedimento cautelare che quello decisorio finale si basino sui medesimi dati. ragionevole dubbio. CAP. 6: METODO PROBATORIO GIUDIZIARIO Il procedimento probatorio: Dinamica del fenomeno probatorio→ le componenti costitutive della prova in senso lato derivano dal succedersi legalmente di più interventi della soggettività tra loro coordinati per ottenere un effetto giuridico e inseriti lungo una serie di situazioni soggettive, di cui ciascuna posteriore è generata dal verificarsi dell’avvenimento precedente: inevitabile collegare l’istituto probatorio alla nozione di procedimento. Procedimento probatorio: Il complesso delle attività volte a sottoporre all’attenzione dell’organo procedente gli elementi di prova reputati utili ai fini della pronuncia. Esso è distinguibile in 2 stadi logicamente consecutivi: - ex officio o su iniziativa di parte: si conclude con il provvedimento del magistrato riguardante l’ammissione della fonte e/o mezzo di prova - in caso di deliberazione positiva, si procede all’operazione introduttiva dell’elemento di prova tra i dati fruibili per la decisione con l’assunzione della fonte e/o mezzo di prova. L’insieme delle fasi ammissiva e assuntiva, considerabili a loro volta alla stregua di sub procedimenti, determina l’ambito del procedimento probatorio, relativo al regime dell’acquisizione della fonte e/o mezzo di prova. E vanno ricondotte a specifici profili di tale disciplina tutte le singole cadenze in cui si svolge il procedimento probatorio, indipendentemente dalle varie delineazioni. L’atto teso ad affermare l’esistenza di una fonte di prova ritenuta utile alla ricostruzione giudiziale integra una indicazione probatoria, normalmente associata alla richiesta probatoria. Essa può essere accompagnata dalla offerta probatoria, consistente nel deposito di cose o nella produzione di documenti. L’offerta costituisce per la parte che la presenta una ipotesi di assunzione, sottoposta alla ratifica giudiziale rappresentata dall’emanazione di un espresso provvedimento probatorio ammissivo. Conviene segnalare come il procedimento probatorio attenga all’immissione nel patrimonio utilizzabile per la decisione delle componenti, temporalmente iniziali, interne alla sequenza probatoria, non della prova in sé; conformemente all’effettiva esperienza giudiziaria dove le questioni afferenti all’acquisizione probatoria non vertono mai su “prove” bensì riguardano se e come una persona possa rendere dichiarazioni. Infine, la distinzione tra sequenza e procedimento probatori non esclude l’esistenza di una loro intima connessione. Mentre può sostenersi che la sequenza rappresenta la materia regolata dalla forma del procedimento, occorre riconoscere che sono proprio le regole procedimentali a determinare il loro “oggetto”. Esse, consentendo o negando l’inserimento della fonte e/o mezzo di prova tra quanto può essere impiegato per la pronuncia, condizionano lo stesso espletamento di una “prova” la quale esiste solo nell’ambito processuale, mentre al suo esterno si risolverebbe in un oggetto inconoscibile. Le regole probatorie legali: Unanime è la constatazione che l’attività giudiziale orientata alla ricostruzione del fatto viene inevitabilmente regolata in qualche misura dal legislatore, dipendendo le sue scelte dall’essere il giudice monocratico o collegiale, togato o laico e il sistema improntato ai caratteri dell’oralità o scrittura. E’ opportuno notare che se il metodo probatorio giudiziario si trova a svilupparsi lungo le 3 direttrici dell’ammissione, assunzione e valutazione probatorie, il regime è il risultato di opzioni normative che trovano la loro giustificazione in 2 diversi ordini di motivi. Nelle regole probatorie leali si riscontra un fondamento sia epistemologico che politico prevalendo l’esigenza di determinare un metodo per l’attività di ricostruzione fattuale o il bisogno di salvaguardare ben precisati diritti magari costituzionalmente protetti. Né va dimenticato che le regole probatorie del primo tipo godono di spiccate caratteristiche di tendenziale immodificabilità, se i principi di esso restano invariati: e tra siffatte regole rientrano quelle volte alla salvaguardia della dialettica probatoria esterna che ineriscono alla nozione di “giusto processo” e si basano sul convincimento che il metodo dialettico rappresenta quello migliore, in qualsiasi campo. La distinzione tra verità materiale e formale tipiche del processo penale e civile, non è che un gioco di parole usato a scopi ideologici per giustificare limitazioni al diritto di difesa ed elusioni di regole probatorie garantistiche. Verosimiglianza, pertinenza e rilevanza probatorie: La disciplina dell’ammissione probatoria concerne 2 diverse visuali: la prima è collegata alla dialettica probatoria interna sebbene non esente dalla necessità che anche in siffatto ambito venga tutelato il contraddittorio per non incorrere in quello che si è precedentemente denominato “cerimoniale tautologico”. Questa ottica riguarda una serie di valutazioni dettate dall’esigenza avvertita di vagliare le prospettazioni probatorie per evitare la violazione dei criteri di razionalità processuale, tra l’altro in conformità con il canone della durata ragionevole del processo. Ci si riferisce a quella costellazione concettuale carente di adeguato approfondimento nella dottrina italiana. E’ necessario chiarire che solo verosimiglianza, pertinenza e rilevanza probatorie esercitano in modo peculiare i loro effetti all’instaurazione del subprocedimento assuntivo probatorio, mentre la concludenza esula dal presente contesto di discorso e afferisce più precisamente alla fase decisoria. Bisogna rilevare che diverso è l’oggetto di giudizi di verosimiglianza e pertinenza vertono sull enunciato fattuale, proveniente da una parte che chiede di poterne provare la verità derivante dall’autonoma attività di ricerca svolta dall’organo procedente a seconda delle scelte operate dal legislatore per ciascun sistema processuale relativo alla disciplina dei rapporti tra i poteri riconosciuti alle parti e quelli attribuiti all’autorità giurisdizionale per la formulazione degli oggetti di prova. Riguardo al criterio di verosimiglianza poi gli oggetti di prova individuati devono essere caratterizzati dalla loro ipotetica verificabilità connaturata a ogni indirizzo che sia dato all’indagine. Viene richiesto al giudice di valutare se il fatto asserito come storicamente avvenuto non sia in contrasto con l’insieme delle leggi logiche e scientifiche non probabilistiche o se possa essere accaduto secondo quello che è il patrimonio epistemologico storicamente determinato al momento del giudizio di ammissibilità probatoria. Con riferimento al parametro della pertinenza occorre eseguire un ulteriore giudizio inserito in coordinate giuridiche e attinente al rapporto tra singolo oggetto di prova e regiudicanda poiché frustra probatur quod probatum non relevat. Si tratta di una valutazione ipotetica con la quale si giudica se il supposto esito probatorio positivo sia idoneo a generare l’effetto giuridico auspicato. Conseguentemente in un’ottica giuridica se tutto ciò che è pertinente è anche verosimile, è scorretto l’enunciato contrario poiché non sempre a un preliminare giudizio positivo di verosimiglianza consegue quello di pertinenza. Aver proceduto alla delimitazione delle affermazioni probatorie con il vaglio compiuto attraverso i giudizi di verosimiglianza e di pertinenza lascia aperto il problema concernente l’ammissione delle fonti e/o dei mezzi di prova con cui procedere alla loro verifica. Il terzo criterio di ammissione è volto a circoscrivere non oggetti ma fonti e/o mezzi di prova che sono ammissibili solo qualora abbiano superato pure il giudizio di rilevanza, ossia quando se ne sia accertata l’idoneità e necessità rispetto alla verificabilità dell’affermazione probatoria ritenuta verosimile e pertinente. Tali fonti e/o mezzi sono rilevanti per un verso, qualora siano idonei a veicolare elementi di prova da cui inferire proposizioni in grado di confermare o smentire l’affermazione probatoria cui intendono rapportarsi. Per altro verso le fonti e/o mezzi di prova devono essere non ridondanti nel senso che non sarebbero acquisibili quando non assolvessero a una funzione diversa da quella di ribadire ciò che fosse già stato conseguito con prove precedenti. D’altronde i giudizi di ammissibilità conseguenti all’uso dei parametri illustrati nel presente e nel successivo paragrafo dipendono dal momento processuale in cui vengono formulati perché se un’eventuale richiesta probatoria va respinta quando concerne fatti sufficientemente ricostruiti, l’utilità di nuovi esperimenti conoscitivi diminuisce nel corso del procedimento. La rilevanza probatoria per idoneità epistemologica e la nuova prova scientifica: La struttura del nostro ordinamento processuale postula sia per l’introduzione nel processo dei dati gnoseologici su cui fondare la decisione, sia per la giustificazione di quest’ultima, il rispetto dei canoni logici e degli usi argomentativi così da realizzare il controllo delle parti e della collettività sull’attività giurisdizionale e sulla sua conformità al principio di legalità processuale. Emerge un profilo inconsueto nello studio del fenomeno probatorio da cui traspare una sorta di retroazione tra ammissione e valutazione probatoria. Mentre normalmente si rileva come l’opera valutativa del giudice si determini su quanto deciso nella fase ammissiva, ora giova rimarcare che è l’impegno nel rendere conto della futura valutazione a incidere sulla disciplina del provvedimento ammissivo: sarebbe insensato per il giudice ammettere ciò per cui reputi di non poter esplicitare ragionevoli criteri di valutazione. La rilevanza probatoria per idoneità non concerne unicamente l’aspetto contenutistico, evidenziato → a essa va riportata anche l’esigenza che l’elemento Va rammentato come tali regole siano distinguibili secondo la funzione svolta; questa può essere sia positiva che negativa dipendendo la qualifica dalla circostanza che esse vincolino l’organo decidente a considerare verificata una data affermazione probatoria alla sussistenza di certi presupposti o gli vietino di fondare il proprio convincimento su risultanze giudicate carenti di efficacia persuasiva. Inoltre, pare opportuno chiarire che sebbene mirino a incidere sull’uso giudiziale dell’elemento di prova, anche le regole di prova legale riguardano la fonte e/o mezzo di prova. Pure quando sembra riferirsi direttamente all’elemento di prova, in realtà il legislatore provvede a vincolare ai fini della ricostruzione fattuale la valutazione del giudice inerente all’affidabilità o meno del dichiarante e dell’atto investigativo in sede di indagini preliminari. Infine, va segnalato come non si debbano confondere le regole di decisione con inesistenti prescrizioni regolatrici della valutazione probatoria complessiva. Libero convincimento del giudice (e le regole di decisione): Dal sistema della prova legale si distinguono quelli che consentono al giudice l’esercizio di una piena libertà di apprezzamento di quanto conseguito nel corso della attività probatoria. Occorre chiarire che alla più superficiale bipartizione tra ordinamenti informati al canone o della prova legale o del libero convincimento va sostituita una più adeguata tripartizione → all’antitesi tra presenza e mancanza va aggiunta nella seconda eventualità, la suddistinzione tra i sistemi contemplanti il convincimento intimo e quelli caratterizzati dal libero convincimento. Il primo, collegato all’istituto della giuria popolare emanante un verdetto immotivato. Il secondo, se esprime il rifiuto del tariffario congegnato per le prove legali e afferma la libertà di decidere si ispira al criterio che il convincimento giudiziale deve fondarsi razionalmente su quanto processualmente acquisito. Il canone del libero convincimento viene definito non solo in negativo rispetto al sistema delle prove legali ma anche in positivo riguardo alla prefissione di limiti e garanzie contro l’arbitrio del giudice, che viene evitato in via preliminare con il rifiuto sia di una confusione tra il piano dell’acquisizione e quello della valutazione probatoria, sia di ogni prospettiva irrazionale e incomunicabile dell’attività decisoria. In questa dimensione che si situa la disciplina contemplata dall’ordinamento processualpenalistico italiano, laddove traccia in via generale per il giudice i percorsi del suo convincimento. Così, consacrando il principio di legalità della prova, statuisce l’inutilizzabilità rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, delle prove illegittimamente acquisite e ribadisce che il giudice non può usare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento; dichiara che nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano stato di famiglia e di cittadinanza; sancisce che il giudice dia conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati per l'apprezzamento dei fatti secondari per il vaglio delle inferenze conducenti ai risultati di prova e per la valutazione probatoria complessiva; prescrive che la motivazione contenga la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, imponendo al giudice di seguire il metodo, tipico dell’epistemologia contemporanea, di coniugare il momento della conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta con quello della falsificazione delle ipotesi alternative respinte. Infine, va ribadito quanto evidenziato prima, relativo all'inesistenza di precetti regolatori della valutazione probatoria complessiva. Anche laddove vengano contemplate regole di decisione con cui sia sancito che al giudice debba essere sufficiente ottenere un grado di conferma normativamente fissato per reputare provata l’ipotesi ricostruttiva sostenuta dalla parte o che per giungere alla condanna, l’imputato debba risultare consapevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, ciò non attiene alla disciplina del convincimento; afferisce invece alla previsione come regola decisoria, di livelli probatori da conseguire per evitare il rischio della mancata prova: spetta al giudice definire in ultima istanza il valore persuasivo del patrimonio gnoseologico acquisito al processo e decidere se sia stato raggiunto il traguardo probatorio disposto dalla legge. La valutazione degli indizi: Nella prospettiva di garantire la ragionevolezaz della valutazione probatoria in modo specifico, l’art. 192 co.2 cpp dispone che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che gravi, precisi e concordanti→ riproducendo la regola operante nel processo civile in virtù dell’art. 2729 cc. E’ sembrato opportuno che in una materia così intervenga una regola che serva da freno nei confronti degli usi arbitrari e indiscriminati di elementi ai quali, sul piano logico non è riconosciuta la stessa efficacia persuasiva delle prove. La successione dei primi due commi dell’art. 192 cpp abbia la funzione di disciplinare le caratteristiche del convincimento giudiziale afferenti, prima al genus rappresentato dalla prova in senso lato e poi alla species costituita dall’indizio. Per ogni strumento gnoseologico viene prescritto che sia dato conto in motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati ma per gli indizi si contemplano requisiti ulteriori per poter basare su essi la decisione. Gli indizi sono precisi quando vengono considerati certi i relativi elementi indiziari dopo che siano state positivamente superate le valutazioni sia di affidabilità concernenti le fonti di prova da cui sono tratti sia di attendibilità riguardanti i mezzi di prova con cui sono pervenuti la procedimento; sono gravi quando le inferenze indiziarie impiegate per ciascuno di essi usano massime d’esperienza dotate di un alto grado di fondatezza, generando un’elevata intensità persuasiva di ogni singolo strumento conoscitivo indiziario; sono concordanti quando i loro risultati indiziari cioè gli esiti delle inferenze basate su distinti elementi indiziari, confluiscono verso una ricostruzione unitaria del fatto cui si riferiscono. Le valutazioni della chiamata di correo: L’art. 192 co.3 e 4 cpp provvede a regolamentare un peculiare strumento conoscitivo in maniera per certi versi analoga alla disciplina dal precedente comma 2 del medesimo articolo. E’ infatti prescritto che elementi gnoseologici dotati di ridotta potenzialità persuasiva debbano ai fini della loro utilizzazione in sede decisoria, venire affiancati da altri da cui essere corroborati. Se tutti e tre gli ultimi commi dell’art. 192 cpp contengono regole di valutazione probatoria tra loro simili perché tutte miranti al rafforzamento di fonti di convincimento controvertibili diverse sono le caratteristiche di queste ultime. Nel caso del comma 2, i loro esiti sono dubbi per la natura logica della conoscenza raggiunta; invece, nelle ipotesi dei commi 3 e 4, la cautela concernente l’affidabilità della fonte di prova e perciò la credibilità del corrispondente elemento è dettata dalla prudenza nell’uso del materiale probatorio proveniente da soggetti interessati all’epilogo processuale. Viene quindi in rilievo la tematica dei cosiddetti riscontri, tanto intrinseci quanto estrinseci della chiamata stessa: i primi attinenti alla persona del dichiarante e alle caratteristiche delle dichiarazioni, i secondi al contenuto di queste ultime. In ogni modo è stato affermato che va seguito un ben preciso ordine nell’affrontare i profili indicati perché non si può procedere a una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi che ne confermano l’attendibilità, se prima non si chiariscano gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé. Per giungere a un apprezzamento compiuto, il giudice deve procedere a un controllo scandito in 3 momenti, distinti per necessità di analisi ma tra loro correlati senza che una valutazione negativa in ordine al primo al secondo preclusa il proseguimento della triplice disamina. Anzitutto va vagliata la credibilità del chiamante in correità con riguardo alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari. In secondo luogo vanno analizzati i caratteri delle sue dichiarazioni in base ai criteri della precisione, della coerenza interna, costanza, della spontaneità ecc. Infine esaminata la congruenza del dichiarato con altre risultanze istruttorie. E’ però indispensabile che ciascuna circostanza impiegata per la decisione sia corroborata e che non siano usate in funzione di riscontro quelle apprendibili indipendentemente dalla conoscenza del fatto sul quale si svolge l’indagine. E riguardo ai riscontri cosiddetti estrinseci va ricordato che da un lato, essi pure l’adozione di una misura cautelare devono essere individualizzanti cioè concernenti circostanze non qualsiasi ma atte a suffragare l’attribuzione del fatto-reato al soggetto cui si riferiscono; dall’altro assume un particolare rilievo la questione inerente alla possibilità di confortare una chiamata in correità con un’altra chiamata di correo, così da consentire un reciproco sostegno tra esse. Invero, un elemento di prova incapace di fondare da solo il convincimento giudiziale non dovrebbe ritenersi supportabile unicamente con altri affetti dallo stesso vizio genetico; ma la giurisprudenza è orientata in direzione opposta quando le dichiarazioni accusatorie convergenti siano rese in piena autonomia tanto da escludere il sospetto di reciproche influenze. SEZIONE TERZA: FONDAMENTI NORMATIVI CAP. 7: LA GIURISDIZIONE PENALE Il processo riecheggia la rappresentazione scenica→ a teatro si distinguono i vari ruoli delle persone che intervengono. Nel processo si presentano i soggetti del processo: i soggetti sono quelle persone caratterizzate dal fatto di essere titolari di poteri di impulso, di condizionamento, di decisione in relazione allo svolgimento del procedimento penale. Fondamenti normativi della procedura penale: - Costituzione specchi→ avvenuto nel 1975 da UK relativo al problema del detenuto Golden che desiderava adire in giudizio con un suo legale e aveva avuto delle restrizioni a questa sua richiesta e si era dunque rivolto alla Corte europea. Diritto dell’art. 6 alla fairness processuale è un diritto al processo svolto secondo requisiti solo nel momento in cui il processo sia attivato. Deriva l'illegittimità di qualsiasi disposizioni che renda difficoltosa la possibilità di fruire delle forme processuali per alcune categorie di persone. - diritto alla giurisdizione riguarda anche le prescrizioni che regolano i comportamenti prodromici all’intervento dell’organo giurisdizionale e cioè il diritto di accesso al giudice→ questo emerge anche dalla considerazione che diversamente non si comprenderebbe il motivo per cui fossero stati normativamente descritti in modo dettagliato i requisiti di un equo processo, se non venisse protetto ciò che permette in realtà di beneficiarne. → Ne deriva l’illegittimità di qualunque disposizione che ostacoli o solo renda maggiormente gravosa per determinate persone, la possibilità di fruire delle forme processuali. Le limitazioni poste al diritto di accesso agli organi di giustizia non possono essere tali da intaccarne la stessa sostanza, venendo consentite unicamente se aventi uno scopo legittimo e corrispondenti un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine perseguito, da mantenere pure in materia di immunità parlamentare. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ritenuto illegittimo subordinare lo svolgimento del ricorso per cassazione alla costituzione in carcere dell’imputato condannato nel giudizio di merito o a un eccessivo formalismo nella redazione dei motivi di impugnazione. Può inoltre riconoscersi la possibilità di una rinuncia alla giurisdizione come accade in ambito civilistico quando si tratti di clausole contrattuale di arbitrato o in campo penalistico qualora si opti per la procedura di oblazione. Siffatte alternative alla celebrazione di un processo sono ammissibili solo nell’eventualità in cui derivino da una libera scelta dell’interessato. Durata ragionevole del processo: Il diritto a un processo equo esige che compatibilmente con l’osservanza delle altre garanzie implicate dalla fairness, il suo svolgimento eviti ogni forma non essenziale e si concluda il più rapidamente possibile→ giustizia ritardata è sinonimo di giustizia denegata, tra l’altro per il rischio di non poter usare pienamente le risorse del contraddittorio. Art. 6 CEDU prevede che la controversia giudiziale sia risolta entro un termine ragionevole & art. 14 Patto internazionale sancisce il diritto dell’accusato ad essere giudicato senza ingiustificato ritardo: ossia entro un lasso di tempo che se non può essere fissato in via generale per tutte le possibili questioni sostenibili davanti a un giudice, non deve essere così lungo da vanificare nel caso concreto il diritto alla giurisdizione o da arrecare sofferenze psicologiche o danni economici a ingiustificati ritardi processuali. Da queste fonti internazionalistiche che trae ispirazione la formulazione dell’art. 111, co.2 Cost: “ la legge assicura la ragionevole durata del processo”. Non appare di alcun frutto la polemica tra chi privilegia la considerazione del principio riconosciuto dall’art. 111, co. 2 Cost come regola di struttura del modello cost. di processo e chi invece tende a sottolineare la valenza di salvaguardia per l’imputato. Canone di celerità procedimentale benché inserito in un contesto riferentesi alle caratteristiche obiettive della giurisdizione piuttosto che ai diritti delle parti con questi dovrebbe essere contemperato alla luce dello stesso richiamo al connotato di ragionevolezza: senza che possa fungere da scriminante per eventuali violazioni di altri parametri costitutivi del giusto processo: primo fra i quali il diritto di difesa. Volgendo lo sguardo alla protezione dei diritti dell’inquisito occorre distinguere con riferimento alla determinazione del dies a quo & dies ad quem, a seconda che la durata delle attività esaminate attenga all’ipotesi di una sequenza processuale il cui inizio corrisponda all’esordio dell’intero procedimento o a quella in cui non si debba assumere come punto di partenza quest’ultimo. → Nel primo caso, giova considerare la terminologia impiegata dal testo della CEDU→ da essa è evidente come il dies a quo per l'accertamento della durata delle attività giudiziarie calcolata dalla loro origine coincida con il momento in cui un soggetto si trovi accusato, ossia in linea di massima destinatario di una notificazione ufficiale, emanate dall’autorità competente del rimprovero di aver commesso un’infrazione penale. Siffatta accusa può essere veicolata non solo da comunicazioni recettizie dirette ma pure da atti non rientranti in tale categoria, bastando che con essi venga implicata l’esistenza del suindicato rimprovero e che i medesimi comportino ripercussioni importanti sulla persona a cui afferiscono. → Nella seconda, l’intervallo reputato rilevante inizia con il momento di avvio del segmento sottoposto a controllo. Quando al dies ad quem, esso coincide con la chiusura dello stadio investigativo se è esaminata la prima fase giudiziaria con l’emissione del relativo provvedimento se è analizzato un segmento procedimentale o con il termine delle attività processuali vertenti sull’accertamento del dovere di punire con emanazione di una decisione definitiva, qualora si intenda verificare la loro durata fino a quest’ultimo momento. Infine, allo scopo di accertare la ragionevolezza o no della durata delle attività processuali va presa in considerazione una pluralità di parametri perché a parere della Corte europea se un accusato non può essere tenuto ingiustificatamente nell’incertezza sulla propria sorte, eliminare la lentezza della giustizia non può significare che i magistrati titolari delle indagini o conduzione del processo siano legittimati ad abdicare al loro dovere di compiere tutte le attività ritenute necessarie per accertare la fondatezza di un’accusa, non essendo disconoscibile che l’esigenza di celerità dei procedimenti penali debba essere contemperata con il più generale principio di buona amministrazione della giustizia. Imparzialità, terzietà e indipendenza del giudice: Imparzialità giurisdizionale è un carattere del quale potrebbe affermarsi la connaturalità alla stessa qualità di giudice → enunciato indiscutibile. Art. 6 Cedu e art. 14 patto internazionale prescrivono che l’organo giudiziario chiamato a decidere debba essere indipendente e imparziale e che la Corte reputi i due requisiti così strettamente legati da esaminarne generalmente insieme la sussistenza quando entrambi siano sottoposti al suo vaglio. La nostra Carta racchiude una pluralità di disposizioni attinenti non solo all’imparzialità e all’indipendenza del giudice, bensì anche al suo attributo di terzietà (Art. 111, co. 2 Cost) unitamente a quello di imparzialità. In funzione di siffatta operazione discretiva tra questi attributi essenziali dell’idea di giudice, può comunque ritenersi che l’imparzialità del giudice, operante in relazione al singolo processo, si riferisca alla funzione svolta, per la quale sono necessarie l’assenza di legami con le parti, l’indifferenza riguardo agli interessi in conflitto e dunque al risultato della disputa, la mancanza di pregiudizi inerenti al thema decidendi. Ciò implica l’ulteriore profilo dell’imparzialità, costituito dalla terzietà dell’organo giurisdizione. Esso afferisce alla collaborazione di equidistanza tra le parti e anzi super partes del giudice nell’ambito della struttura processuale→ deve essere nella posizione che garantisca la sua estraneità alle funzioni sia dell’accusa che della difesa, senza confusione di ruoli tra parti e giudice. L’imparzialità del giudice va valutata nelle sue prospettive tanto soggettive quanto oggettive, non nettamente separate. La prima presta attenzione al foro interiore del magistrato presunto imparziale fino a prova contraria; con la seconda che coinvolge la stessa fiducia che gli organi giurisdizionali devono ispirare nei cittadini e nell’accusato, vengono considerate quelle situazioni esteriori in grado di porre oggettivamente in dubbio l’assicurazione di una giustizia imparziale. Imparzialità ha bisogno di essere tutelata con la salvaguardia dell’indipendenza del giudice: un giudice dipendente da un altro soggetto, un giudice che debba rispondere della propria attività lecitamente compiuta a qualcun altro, non potrebbe possedere i dovuti requisiti di imparzialità, di cui pertanto l’indipendenza costituisce una condizione di esistenza che trova una fondamentale protezione dell'inamovibilità del giudice (art. 107 cost). Indipendenza può assumere differenti qualifiche derivanti dall aspetto che venga volta a volta in rilievo. Può denominarsi istituzionale (organica esterna) quando concerna l’autonomia dell’organizzazione giudiziaria nel suo complesso da qualunque centro di potere (art. 104 e 105 cost) che fissa le competenza del CSM quale supremo garante di tale indipendenza. E’ possibile altresì parlare parlare di indipendenza organica interna, qualora ci si intenda richiamare all’autonomia del singolo giudice nel contesto dell’organizzazione giudiziaria, nel cui ambito possono sussistere per le attribuzioni giurisdizionali, non distinzioni di tipo gerarchico ma solo diversità di funzioni. Tuttavia, il profilo di maggior risalto, appare quello dell’indipendenza funzionale che trova un fondamento cost nell’art. 101,co.2 Cost. e attiene al momento di applicazione della norma nel singolo processo, esprimendo l’esigenza che il giudice tragga unicamente dal’’ordinamento giuridico l’indicazione delle regole per rendere il giudizio che gli compete. Il divieto che qualunque altro soggetto (in posizione esterna e interna all’organizzazione giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi. Mentre, si sono legittimati spostamenti della competenza con effetto retroattivo, anche a riguardo ai procedimenti in corso in conseguenza di modifiche alle circoscrizioni giudiziarie o di trasferimento della cognizione di determinati delitti dalla Corte d’assise al tribunale, rilevando che la violazione dell’art 25 cost. sussisterebbe solamente quando il giudice venisse designato a posteriori in relazione a una certa controversia direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali o attraverso atti di altri soggetti ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti che la riserva impone. Non può non segnalarsi che questo orientamento della Corte cost è tanto pericoloso quanto ermeneuticamente discutibile: se consente a un legislatore minimamente accorto di agire a proprio piacimento vanifica altresì ogni differenza tra le nozioni di giudice precostituito o costituito per legge. Senza negare che la Corte cost era stata indotta alle suindicate decisioni dalla duplice considerazione che per un verso la normativa sottoposta al suo esame non era influenzata da valutazioni concernenti le singole regiudicande e per altro rispondeva a effettive esigenze di organizzazione giudiziaria, conviene verificare la possibilità di pervenire a soluzioni ragionevoli che senza ingessare le competenze giurisdizionali, non permettano di aggirare il sistema delineato dal legislatore costituente. Il principio di precostituzione del giudice rispetto alla commissione del reato deve essere contemperato con altri principi cost→ come art. 97: buon andamento dell’organizzazione giudiziaria che potrebbe giustificare la mancata osservanza dell’art. 25 cost per non mantenere in vita organi giurisdizionali ormai soppressi al solo scopo di provvedere su reati compiuti anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge ma scoperti dopo. La considerazione che in ambito civile e amministrativo, ai quali è applicabile l’art. 25 cost dopo il superamento di alcune iniziali perplessità, è spesso impossibile riferire la precosttiuzione del giudice al momento del fatto anziché a quello dell’instaurazione del processo. Anche in campo penale potrebbe ricollegarsi la nozione del procedimento corrispondente all’iscrizione di cui all’art. 335 cpp→ in caso di ritardo nell’effettuazione della medesima andrebbe assimilato il pervenimento della notitia criminis nell'ufficio del PM o se precedente, il compimento di un atto da parte della polizia giudiziaria, ottenendo 2 conseguenze che consentono di evitare un’operazione di bilanciamento tra principi cost. Da un lato si ridurrebbero al minimo gli spazi per un intervento legislativo volto a influire sulle competenze giurisdizionali dopo che si sia venuti a conoscenza della perpetrazione di un reato; dall’altro si renderebbe determinabile il numero dei procedimenti destinati a proseguire secondo le regole di competenza abrogate o modificate a prescindere dalla circostanza, imprevedibile riguardo tanto al tempo del suo verificarsi quanto alle sue dimensioni quantitative che fossero scoperti reati anteriormente commessi. Naturalità del giudice: La questione relativa al dubbio se il concetto di precostituzione sia distinguibile da quello di naturalità o se invece le 2 nozioni richiamate dall’art. 25 cost siano impiegate in modo sinonimico. La corte cost a partire dalla prima decisione in argomento opti per la seconda alternativa specificando poi che la significazione costituzionale si troverebbe a essere più efficacemente espressa dal riferimento alla precostituzione del giudice, alla quale nulla in realtà aggiunge: “l’attributo della naturalità”--> non sono mancate le critiche a tale esegesi, conducente alla sterilizzazione della qualifica esaminata. Questo esito non è evitato da quelle ricostruzioni ermeneutiche che pur distinguendo semanticamente i 2 termini, considerano la naturalità alla stregua di un requisito contemplato da altre norme cost. E’ questo il caso della sua equiparazione all’imparzialità, indipendenza e idoneità o all’ordinarietà del giudice→ quest’ultima implica un almeno parziale sovrapposizione tra l’art. 25 cost e l’art. 102 cost vietante l’istituzione dei giudici straordinari o speciali. Alla nostra materia, essi vanno intesi se straordinari come quelli creati ad hoc per certi reati dopo la commissione e generalmente per un periodo di tempo limitato; se speciali come quelli costituiti per specifici reati benché prima della loro commissione e disciplinati da una normativa particolare. La proposta di intendere naturale come conforme a una ontologistica ma non meglio precisata natura delle cose; laddove troppo legata a schemi positivisti, nonché limitativa dell’ambito di incidenza della precostituzione, sembra la soluzione di reputare quest’ultima qualifica come concernente l‘ufficio giudiziario e la naturalità come afferente al giudice- persona fisica da individuare in maniera estranea a qualunque risoluzione umana. Mentre chi identifica “naturale” con “competente” allo scopo di distinguere il primo termine da “precostituito” riduce quest’ultimo all’espressione del suo solo prefisso, cioè alla connotazione temporale della determinazione del giudice che deve avvenire secondo la normativa vigente al momento di insorgenza della regiudicanda→ Si ottiene un risultato che svuota il concetto di “costituzione” del giudice. Nel tentativo di offrire una soluzione conviene considerare come il principio di naturalità del giudice fosse collegato al locus commissi delicti perché in un periodo di limitate comunicazioni, uguali erano per l’imputato e giudice e offeso dal reato, i canoni assiologici implicati nella ricostruzione del fatto e nella sua valutazione. Accanto alla valenza in negativo, nel concetto di naturalità dell’organo giurisdizionale era implicita altresì quella in positivo costituita dall'esigenza di mantenere un collegamento del luogo (simbolo di natura) con il giudice (simbolo di società); a siffatto nesso corrispondeva il riconoscimento del diritto per il cittadino di conservare quel rapporto da cui scaturisce il suo essere sociale con la collettività dove è avvenuta la sua formazione. La spontaneità della predisposizione del giudice a comprendere tutti i valori socio-culturali coinvolti dal processo, è stata gravemente intaccata dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione e delle migrazioni di massa, risultando più difficile assicurare un effettivo pluralismo e tutelare le minoranze linguistiche etnicamente diverse con nocumento per la figura del giudice come espressione di quel popolo cui appartiene la sovranità e nel cui nome la giustizia è amministrata. L’adeguato apprezzamento di quel patrimonio spirituale è ciò cui si ritiene occorra riferirsi per interpretare il dettato cost, quando statuisce la garanzia della naturalità del giudice: quando cioè sancisce il diritto per chiunque di essere giudicato da chi sia in grado di cogliere compiutamente e imparzialmente il significato della sua condotta. Attraverso la ricostrizione operata si può pertanto concludere che la naturalità e precostituzione andrebbero intese come nozioni distinte e che tra loro sussisterebbe una relazione logica di congiunzione, cosicché le 2 qualifiche sarebbero contemporaneamente richieste dall’art. 25 cost. Va riconosciuto che normalmente il valore della naturalità è in larga misura dato per implicitamente rispettato all'individuazione dell'organo giurisdizionale competente anche per effetto della sua specifica formazione professionale, emergendo all’attenzione dei giuristi solo in connessione a tematiche particolari. Nella prospettiva della naturalità assumono nuova luce l’art. 102, co.3 cost che contempla la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia→ possibilità di istituire organi giurisdizionali che consentano a giudici non professionali di far penetrare nelle aule di giustizia la sensibilità necessaria a far intendere il clima in cui si sono svolti i fatti di particolare rilievo per il vivere sociale. Mentre solo a condizione di ritenere disponibile per il cittadino la garanzia attinente sia alla precostituzione che alla naturalità del giudice, può reputarsi conforme al precetto cost che il dibattimento in corte d’assise possa essere evitato nell’ipotesi in cui vengano instaurati il giudizio abbreviato o patteggiamento e che venga così a una sentenza conclusiva di un processo in cui sia mancata la partecipazione di quel giudice naturale previsto dalla legge per meglio capire i comuni valori socio-culturali nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Pubblicità del processo e della sentenza Pubblicità: 46 della Carta dei diritti fond: prescrivono pubblicità del processo---> concetto di pubblico ha 2 riferimenti: - ciò che non è privato - ciò che non è segreto → concetto di pubblicità processuale è antinomico a questi due profili: garantisce che quanto concerne tutti sia conosciuto da tutti→ tutti i partecipanti alla collettività devono essere posti al corrente di quanto accade. Pubblicità è una caratteristica, garanzia che non riguarda solo la giustizia ma anche la libertà→ serve per indurre meglio ad adempiere proprio dovere il giudice, PM e difensori→ sapendo che ciò che stanno compiendo non è svolto nel segreto ma è sotto gli occhi di tutti e dunque dovrebbero essere più attenti e coscienziosi nella loro condotta. Costituisce mezzo per allontanare qualsiasi sospetto di parzialità. Pubblicità del processo se protegge accusati da giustizia segreta, allora costituisce strumento di preservare la fiducia negli organi di giudizio→ tutelando la trasparenza dell’amministrazione della giustizia contribuisce alla realizzazione di un giusto ed equo processo. Non è menzionata nella Cost ma è derivabile perché al popolo (titolare della sovranità) deve essere garantita la conoscibilità di come avvenga l’amm della giustizia→ popolo deve poter controllare l’osservanza del principio di legalità. Pubblicità del processo è desumibile anche perché la motivazione dei provvedimenti giurisdizionale (art. 11, co.6 cost) svolge funzione extraprocessuale di consentire controllo Non è possibile imputare per furto e finire con sentenza di omicidio. Indicazione anche della norma di legge violata→ qualificazione giuridica imputabile. Principio iura novit curia: diritto è riconosciuto dal tribunale/giudice, è lui che qualifica giuridicamente l’oggetto della domanda che gli viene presentata; anche se vedremo che bisogna garantire all’imputato la possibilità di difendersi sulla diversa qualifica giuridica. Modifica della qualificazione giuridica è a volte possibile. → es. circostanze aggravanti non implica modifica dell'imputazione, così come le specifiche connotazioni spazio temporali o indicazione dei mezzi per la commissione del fatto. → questi sono modifica attraverso modifica dell’imputazione e contestazione secondo le modalità contemplate in udienza preliminare e in sede dibattimentale Azione penale in senso stretto→ di azione relativa a profili penali delle questioni se ne può parlare anche con riferimento all’ambito cautelare quando PM chiede applicazione di una misura cautelare. Si può parlare di azione penale esecutiva quando la rea giudicanda inerisca all’attuazione di un precedente provvedimento giurisdizionale. Azioni penali complementari→ es. riconoscimento sentenza penale straniera o prevenzione criminale (misura di sicurezza) o estradizione. Art. 112 cost → sancisce che il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale→ riguarda l’azione penale in senso stretto: attività relativa alla ricostruzione del fatto costituente illecito penale e irrogazione della conseguente sanzione. Riguardo all'esercizio dell’azione penale bisogna distinguere: - profilo del suo promovimento - profilo del proseguimento → una novità da valutare positivamente nel codice di procedura penale è quella di aver individuato specificamente l’inizio (promovimento) dell’azione penale e individua volta per volta l'inizio dell’azione penale per quei casi non ricompresi nell’elencazione originale del codice all’art. 405 cpp→ Inizio dell’azione penale; forme e termini. Pm quando non richiede l'archiviazione, esercita l'azione penale formulando l’imputazione nei casi previsti nei titoli secondo, terzo, quarto, quinto. Ci sono altre ipotesi di formulazione oltre a quelle previste dall’art. 405 → es. art. 464-ter cpp: riguarda quel nuovo procedimento speciale: sospensione del procedimento con messa alla prova→ possibilità durante le indagini preliminare e per questo ci vuole il consenso del PM, se lo dà implica formulazione dell’imputazione. Art. 409 cpp: formulazione coatta dell’imputazione: ipotesi in cui PM chiede archiviazione ma giudice non vuole archiviazione e impone al PM di formulare un’imputazione. Art. 550 cpp: citazione diretta a giudizio da PM quando si proceda con forme specifiche del giudizio davanti al tribunale monocratico. Oltre queste forme di promovimento, nel momento in cui processo è instaurato ci sono anche forme consentite in cui si possono immettere nel processo nuovi oggetti, richieste di accertamento del dovere di punire che si aggiungono a quelle precedenti. Sono forme di contestazione di un reato connesso con un fatto nuovo. Atti successivi al promovimento rappresentano atti di esercizio dell’azione penale costituenti un suo proseguimento. 1. Proseguimento dell’azione penale in senso lato: → può essere riferito a tutte le condotte del PM dirette all’accertamento della fondatezza dell’addebito. → Non sono esaustive della partecipazione del PM al processo 2. Casi di prosecuzione dell’azione penale intesa in senso stretti: → questo è il caso in cui IL PM non esprime nuovi ambiti della rea giudicanda ma corregge i confini: non contesta un reato concorrente o fatto nuovo ma modifica l’imputazione, cambiando le coordinate spazio temporali della ricostruzione del fatto o richiede accertamento su una circostanza aggravante. → Si ha anche quando viene generata dal PM la pronuncia di un nuovo giudice in sede di impugnazione→ manifestazione del proseguimento del procedimento. Art. 112 cost dice che il PM ha obbligo di esercitare azione penale e non dice SOLO il PM ha obbligo→ non si può trarre conseguenza che unico titolare sia PM→ non esiste un monopolio nell’esercizio dell’azione penale da parte del PM. Corte Cost è possibile conferire legislativamente ad altri soggetti l’esercizio di azioni penali concorrenti o sussidiari (non esclusive). Dunque accanto al PM altri soggetti possano formulare imputazione e chiedere intervento per accertamento del dovere di punire. In questa prospettiva si rende più esteso l’ambito della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia. Utilità è quella di tutelare più efficacemente gli interessi collettivi e diffusi. Art. 112 cost sancisce principio di legalità o obbligatorietà dell’azione penale che si oppone al principio di discrezionalità/opportunità dell’esercizio dell’azione penale. PM ha l’OBBLIGO di esercitare azione penale. col principio di opportunità invece c’è possibilità per PM di decidere se e quando esercitare l’azione penale. - Principio di obbligatorietà: corrisponde all’art. 101: giudice soggetto soltanto alla legge. Tale principio è spesso oggetto di critiche anche perché si riscontra un dato evidente→ ossia che principio di obbligatorietà è sancito solo in Italia e Spagna e in parte anche in Germania. Profilo dell'obbligatorietà dell’azione penale. Lasciare descrizione all’esercizio dell’azione penale→ conduce inevitabilmente alla dipendenza del PM all’esecutivo. Problema dei due principi ha anche a che fare con la separazione dei poteri→ bisogna stare attenti su cosa si vuole ottenere. Separazione delle carriere è una cosa positiva. Eguaglianza di tutti davanti alla legge Principio di legalità della norma incriminatrice rende doverosa la repressione della violazione delle leggi penale→ ha bisogno della legalità nel procedere intesa come legalità sul SE procedere→ garantita con obbligatorietà dell’azione penale. Corte europea dei diritti dell’uomo ha aggirato l’ostacolo perché ha sostenuto che gli organi statali necessariamente indipendenti non possono restare inoperosi e evitare di svolgere inchiesta adeguata ed effettiva in grado di ottenere identificazione e punizione dell’autore del reato indipendentemente da circostanza per cui per ottenere accertamento reato si siano attivati offeso del reato, cittadino o congiunto del reo. → non è un'affermazione rapsodica ma è una giurisprudenza consolidata in relazione alla tutela di beni contemplati dalla CEDU→ ha affermato necessità di indagine e azione penale in relazione a reati che implichino violazione del bene della vita, della persona ecc. Art. 50 cost prevede casi espressamente previsti dalla legge che sembrano fare eccezione al criterio di irretrattabilità PM esercita l'azione penale in un sistema del giusto processo. PM svolge funzione per un certo senso ambigua, da un lato in dipendenza della sua collocazione istituzionale e professionale→ PM è un magistrato con caratteristiche di imparzialità e indipendenza & dall’altro lato una funzione processuale→ PM svolge tipica attività di parte ma al PM non possono incombere doveri diversi da quelli delle altre parte private (Art. 358 cpp: PM svolge funzioni di accusa e accogliere tutti elementi a favore della difesa→ serve per individuare nel comportamento del PM un'enunciazione di un dovere comportamentale di essere anche a favore dell’imputato. E’ una parte artificiale: non ha un interesse personale→ ibridismo della figura del PM che sorge anche a livello costituzionale. Distinzione giudice e magistrato → giudici soggetti solo alla legge; locuzione giudici introdotta solo in sede di coordinamento del testo costituzionale. Prima si usava la nozione magistrato. Ibridismo che comunque non è tale da riprodurre quella previsione dei codici anteriori secondo cui al PM erano conferiti poteri tipici dell’autorità giurisdizionale. Il tentativo del legislatore del 1988 è quello di configurare PM come parte, tanto che nel codice del 88 non è riprodotta una norma che vietasse espressamente la possibilità per il Pm di essere ricusato. Il PM in quanto magistrato ha riconosciuta la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di inconvenienze. Riguardo alle caratteristiche di imparzialità il PM, può definirsi come rappresentante della legge; questo è diverso dall’essere rappresentante del potere esecutivo. Nella legge di ordinamento giudiziario del 41→ si diceva che non fosse rappresentante del potere esecutivo ma egli esercitava funzioni sotto direzione del Ministro della Giustizia→ Ministro ha solo vigilanza sull’operato del PM→ vigilanza uguale a quella che fa su ogni giudice. Legislatore del 1988 ha cercato di contemperare 2 esigenze: 1. di conferire stabilità personale alle funzioni del PM garantendogli autonomia→ art. 53, co.1: garantisce al PM esercizio delle sue funzioni con piena autonomia in udienza e non può essere sostituito in udienza senza suo consenso al di fuori dei limiti contemplati dall’art. 53. 2. prevedendo possibilità di un controllo ed eventualmente della sostituzione di un PM inserito nell’ufficio della Procura della Repubblica→ Per garantire “i casi espressamenti previsti dalla legge” cui si riferisce l’art. 50,co.3 cpp concernono in buona sostanza ipotesi o di semplice sospensione del processo o comunque di conclusione dell’iter giudiziale. Nonostante alcune incertezze della Corte cost sembra inevitabile ritenere che il precetto sancito dall’art. 112 cost, conformemente alla sua funzione di criterio generale di orientamento per l’esercizio dei poteri del Pm, si traduca in un canone di coerenza comportamentale per l’organo dell’accusa. E se l’acquiescenza alla deliberazione di prime cure o la rinuncia all'impugnazione possono giustificarsi con l’adesione, re melius perpensa, alle ragioni offerte dal giudice nella motivazione del provvedimento, idonee a persuadere dell'avvenuta applicazione corretta della legge al caso concreto risalta l’anomalia dell’appello incidentale: esso si fonderebbe sull’inazione del PM, convinto ad accettare una decisione cambierebbe opinione dopo la scadenza dei termini per impugnare a seguito dell'appello dell’imputato con l'implicito scopo di indurlo a rinunciarvi per non rischiare una reformatio in peius. Dall’art. 112 cost sono derivabili ulteriori aspetti dell’azione penale ivi considerata. Con la quale necessaria esplicazione del principio di legalità nella persecuzione penale emerge la caratteristica di indivisibilità dell’azione penale per cui quest’ultima deve riguardare tutti coloro che hanno concorso nel reato per cui si procede. La circostanza che sia il PM ad avere l’obbligo di esercitare l’azione penale implica la pubblicità e l’officialità della medesima. La prima qualifica significa che la titolarità dell’azione è conferita inderogabilmente a un organo pubblico per la soddisfazione di un interesse generale della collettività. La seconda intende affermare che lo stesso organo costituito per l’esercizio dell’azione adempie nel far ciò alla propria doverosa funzione (officium). Spetta al legislatore definire l’estensione di tale compito, ammettendosi la possibilità di limiti al promovimento dell’azione costituiti dalla sua subordinazione a circostanze esterne al fatto, fungenti da condizioni (non solo di procedibilità ma anche di punibilità) purché le relative previsioni siano giustificate dall’esigenza di salvaguardare interessi cost protetti e riconosciuti come prevalenti su quello tutelato dall’art. 112 cost. CAP. 9: LA DIALETTICA PROCESSUALE Il principio del contraddittorio: L’art. 111 Cost. non prevede caratteri attinenti alla giurisdizione indipendenti dall’attività delle parti. Esso si riferisce nel suo secondo comma alla tutela del contraddittorio tra le parti che negli Atti internazionali è implicita. Emerge dalla stessa nozione di hearing un profilo concernente la salvaguardia che, nell’ambito della fase processuale definita dalla fairness del suo svolgimento, l’interessato sia posta nella condizione di farsi sentire→ esporre le proprie ragioni e controbattere quelle avversarie. Deve essere garantito per qualunque processo, ne deriva una voluta distinzione tra il principio del contraddittorio e il diritto di difesa in sede penale, di cui si tratta esplicitamente ma successivamente negli art 6, co. 3 e art. 14, co. 3. Siffatto inquadramento sistematico è analogo a quello del nuovo testo dell’art. 111,co.2 e art. 3 cost. dove prima si consacra il principio del contraddittorio (costituente un requisito del giusto processo) per ogni processo e poi si enumerano talune imprescindibili salvaguardie difensive assicurate nel processo penale alla persona accusata di un reato. E occorre segnalare che il lessico nell’art. 111 cost non può essere considerato conforme a quello generalmente adoperato né dalla dottrina fino al 1999 per i vocaboli “accusa” e “accusato”, né dal legislatore ordinario nella redazione delle disposizioni codicistiche relativi ai termini “procedimento” e “processo”. Nell’esegesi dell’art. 111 cost bisogna abbandonare tali usi linguistici, intendendo le norme ivi contenute e concernenti l’accusa, accusato e il processo come applicabili fin dal momento in cui vengano eseguite attività investigative nei confronti di un soggetto determinato che si ipotizzi aver commesso un reato. Altrimenti, si avrebbe un palese contrasto normativo nella Cost. e occorrerebbe reputare che il legislatore del 1999, proprio quando asseriva di voler adeguare pure a livello cost, l’ordinamento processuale italiano a quello internazionale pattizio sui diritti umani, avesse ridotto l’ambito delle garanzie riconosciute dalla giurisprudenza della Corte europea che designa come “accusato” chiunque anche nelle fasi iniziali di un procedimento penale, si trovi a subire il rimprovero di aver compiuto un illecito penale. In buona sostanza, se il diritto di difesa è un aspetto del principio del contraddittorio, allora ne è altresì una garanzia di concreta osservanza. Dove mancasse la possibilità di difendersi vi sarebbe spazio per una dialettica tra le parti contrapposte. Ma quest’ultima sarebbe tale unicamente se la contesa si sviluppasse ad armi pari davanti a un soggetto “terzo” relativamente alle parti, al quale competesse la decisione. Dunque il principio del contraddittorio assume pure una valenza concernente non solo la situazione dei portatori degli interessi in conflitto, ma anche l’assetto della giurisdizione, collegandosi alla necessaria presenza di un organo giudicante terzo e imparziale che controlli il corretto esercizio dei poteri delle parti e assuma le sue determinazioni dopo aver ascoltato la loro opinione su ciascuna questione di cui sia investito, non importa se suscitata dalle parti o sollevata d’ufficio. Se gli specifici caratteri della giurisdizione sono essenziali per un regolare svolgimento della dialettica tra le parti, quest’ultima è per converso funzionale all’esercizio della giurisdizione. Non va obliterato l’innegabile valore euristico del contraddittorio: secondo le acquisizioni dell’epistemologia contemporanea, il metodo dialettico viene ritenuto quello migliore per l’accertamento della verità di enunciati fattuali, il cui conseguimento costituisce il presupposto storico per poter adeguatamente decidere quale sia la legge applicabile nel caso concreto. Assicurare a ognuna di esse di poter presentare alle altre e al giudice l’insieme dei dati considerati più idonei a sostenere la propria tesi. Il contraddittorio esula dalla polemica tra sostenitori del sistema accusatorio e inquisitorio per venire a qualificare un metodo indipendente dalle scelte contingenti di politica processuale. Nella stessa prospettiva epistemologica chi sostiene il valore del contraddittorio non intende rinunciare alla ricerca della verità giudiziale ma asserire che quest’ultima si persegue meglio con la dialettica tra le parti che con la ricerca solipsistica dell’inquisitore. Ne deriva il rifiuto della distinzione tra contraddittorio oggettivo e soggettivo. Il contraddittorio è un modo di procedere che se mai, si realizza attraverso il riconoscimento alle parti di adeguati diritti di intervento nel processo: e sono questi diritti a possedere un profilo soggettivo non il contraddittorio in quanto tale. Diritto al contraddittorio→ diritto all’esercizio del contraddittorio: ossia a contraddire, in ossequio al principio metodologico della dialettica tra le parti. La parità delle armi: Il contraddittorio postula che gli antagonisti siano in una posizione di parità. E’ vero che la parità tra le parti non garantisce il contraddittorio, dato che potrebbe essere negata a tutti i titolari degli opposti interessi la possibilità di interloquire davanti al giudice, avendosi una parità senza contraddittorio. Sarebbe tuttavia impossibile riscontrare la sussistenza di esso qualora i protagonisti della controversia si trovassero in una situazione per cui le ragioni dell’uno avessero una possibilità di esplicazione maggiore rispetto a quelle dell’altro. Non a caso, l’art. 111,co.2 cost stabilisce che lo svolgimento del processo deve avvenire, oltre che nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità tra le medesime, conferendo veste autonoma a un principio insito nel pregresso sistema dei valori cost sulla base dell’art. 3 Cost; dall’altro, la Corte europea diritti dell’uomo riconduce al concetto di fairness processuale anche il canone della parità delle armi, la cui osservanza risulta imprescindibile per poter valutare conforme all’art. 6. Inoltre, la garanzia per ciascuna parte di non essere in situazioni di svantaggio davanti al giudice, tali da comportare il rischio di una decisione fondata su elementi non coerenti con il principio della parità delle armi, opera lungo tutto l’arco del procedimento, ivi comprese le eventuali fasi sia incidentali che di impugnazione, tanto di merito e legittimità. I principali momenti processuali in cui va tutelata la parità delle armi possono essere individuati in quelli corrispondenti all’acquisizione probatoria, all’esposizione delle argomentazioni volte a persuadere il giudice e alla deliberazione. Il principio richiede che in ognuno di essi l’intervento delle parti venga regolato in maniera che nessuna di loro si trovi a poter essere presente davanti al giudice in assenza dell’altra o a poter compiere atti non comunicati o non consentiti all’antagonista, essendo in grado di sottoporre all’attenzione del giudice elementi di convincimento utilizzabili in sede decisoria che la controparte non abbia potuto discutere o contestare con altri dati gnoseologici o nemmeno conoscere. La corte europea ha giudicato in contrasto con il canone della parità delle armi, la circostanza che il PM avesse potuto produrre una memoria al giudice, senza che l’imputato ne fosse informato, sia nel corso dei giudizi di appello o cassazione, sia durante il procedimento di controllo sulla legalità della detenzione o attinente alla riparazione per l’ingiusta detenzione. Se ne può desumere una violazione dell’art. 6 cedu, art. 121 cpp che non vincola a ritenere come imposte alle parti la comunicazione delle memorie o richieste presentate al giudice. Considerazioni preliminari sul diritto di difesa: Per l’accusato, l’esercizio del contraddittorio si attua difendendosi ossia esercitando il diritto di difesa. Emerge la necessità di affrontare in maniera autonoma la tematica delle salvaguardie difensive, inquadrabili come diritti specificamente individuati come espressione del contraddittorio. A esse sono dedicati gli artt. 24,co.2; 111, co.3 cost & art. 6,co.3 e art. 14, co.3 CEDU E P.I. Ma mentre l’art. 24 cost contiene una formulazione di carattere generale dalla quale già sarebbe desumibile il riconoscimento dei singoli aspetti del diritto di difesa, gli altri testi sono rivolti alla individuazione di alcuni profili di quest’ultimo, di cui forniscono elenco non esaustivo, riferentesi a garanzie esemplificative di ciò che sarebbe comunque luogo di nascita—> necessarie per evitare di perseguire una persona diversa da quello nei cui confronti si intende instaurare il procedimento. Tuttavia potrebbe darsi che il rifiuto di rispondere sia in concreto espressione del diritto di difesa, sussistendo la scriminante dell’esercizio di un diritto cost tutelato con riferimento all’art. 651 cp (rifiuto di indicazione sulla propria identità personale): in un procedimento per il reato di sostituzione di persona, art. 494 cp, nel corso del quale la risposta veridica comportasse ammissione della propria colpevolezza. Inoltre, il nemo tenetur se detergere presuppone che gli organi investigativi operino la ricostruzione fattuale senza ricorrere a elementi di prova ottenuti con sotterfugi, coazioni o pressioni in spregio della volontà dell’accusato e si collega al principio di presunzione d’innocenza. In forza di tale principio, sarebbe contraddittorio pretendere un contributo alla ricerca della verità da parte di colui che va presunto estraneo al fatto per cui si procede: contraddizione in cui si incorrerebbe anche qualora si intendessero assumere da lui informazioni attinenti alla resp dei terzi implicati nella sua ipotizzata condotta penalmente illecita. Quando si affronta il tema del nemo tenetur se detergere viene esaminato un aspetto collaterale, costituito dalla possibilità di mentire, riconoscendosi che l’imputato non solo gode della facoltà di non rispondere ma non ha nemmeno l’obbligo di dire la verità, qualora l’accusato abbia reso dichiarazioni pertinenti alla ricostruzione di un fatto addebitato a terzi in qualche misura collegato a quello proprio con quasi inevitabili riflessi su quest’ultimo. Però i profili precedentemente illustrati ineriscono a forme di autodifesa passiva dell'accusato che evita di contribuire alla ricostruzione del fatto; la menzogna concerne una modalità di autodifesa attiva, riferendosi a un comportamento teso a intralciare la ricerca della verità o deviarla. Un limite al mendacio è posto dalle norme incriminatrici di calunnia e autocalunnia (artt. 368 e 369 cp) ma la condotta dell’accusato dettata in concreto da esigenze difensive dovrebbe reputarsi scriminata dall’art. 51 cp e per l’esercizio del diritto cost dall’art. 24,co.2 cost. C) La difesa personale implica altresì il diritto di presenza alle udienze attinenti alla consistenza fattuale dell’imputazione secondo quanto dettato dall’art. 14 PI e derivato dalla fairness processuale nella giurisprudenza della corte europea. Esso riguarda sia il primo grado (ivi inclusa l’udienza preliminare) che le impugnazioni, qualora vengano celebrate discutendo anche questioni usualmente denominate di fatto, senza limitarsi ad affrontare profili richiedenti una specifica competenza tecnico-giuridica. Pure qualora la si ammetta, la rinuncia a quella speciale modalità di esercizio del diritto di difesa costituita dalla personale partecipazione al processo non può essere desunta da comportamenti dell’imputato da cui possono trarsi illazioni dubbie sulla sua volontà di non presenziarvi: essa deve essere effettuata espressamente o in modo inequivoco e con un corredo di garanzie rapportato alla gravità della rinuncia. Un accusato che indipendentemente dalla sua volontà sia stato giudicato senza la sua partecipazione al processo, ha quindi il diritto alla ripetizione di quest’ultimo, affinché un organo giurisdizionale si pronunci di nuovo dopo aver ascoltato le sue ragioni. Infine giova indicare almeno i criteri ispiratori generali per la sua disciplina è quello relativo all’impiego delle comunicazioni audiovisive in campo giudiziario. L’uso delle videoconferenze per lo svolgimento dei dibattimenti con inevitabile riduzione delle salvaguardie difensive, sia previsto unicamente in caso di necessità che non consenta l’adozione di misure meno restrittive di tali garanzie, persegua scopi legittimi e assicuri un adeguato esercizio del diritto di difesa, consentendo ad accusati e difensori di partecipare agli atti processuali senza difetti di collegamento nonché comunicare riservatamente tra loro. I teledibattimenti non potrebbero essere giustificati dalla gravità del reato per il quale si procedesse. D) La difesa personale può essere effettiva solo se l’accusato disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa (art. 111,co.3 cost) —> ciò comporta che siano garantite più specificamente: 1) la ragionevolezza nella previsione di termini sia quando stabiliti a pena di decadenza, sia qualora attengano alla preparazione della difesa successivamente alla contestazione dell’accusa o alla sua modifica. 2) La conoscenza degli atti processuali con particolare riferimento agli atti di controparte in tempo utile per apprestare la difesa davanti al giudice o per presentare impugnazioni adeguatamente argomentate; ammissibile durante la fase preparatoria del processo, la ritardata conoscibilità degli atti che, per mantenere l’effetto-sorpresa non possono essere resi pubblici che al momento della loro esecuzione o dopo la conclusione della stessa. 3) Adeguatezza delle modalità di traduzione degli imputati detenuti che non sussiste quando essa avvenga tardivamente durante la notte anteriore al dibattimento conducendoli a destinazione dopo un lungo viaggio solo qualche ora prima dell’udienza e indebolendo così la loro posizione in un momento cruciale in cui avrebbero bisogno di tutte le loro risorse per difendersi. E) Un’autodifesa consapevole postula poi che sia assicurata la possibilità di comunicazione dell’imputato con il proprio difensore; tale diritto va salvaguardato prima che abbiano inizio gli interrogatori condotti dalla polizia giudiziaria, quando il comportamento dell’imputato nella fase iniziale dell’inchiesta penale assuma un valore determinante per le prospettive difensive nel prosieguo del procedimento. Inoltre qualora si tratti di detenuti occorre garantire che la loro corrispondenza con i difensori non venga arbitrariamente intercettata e che i colloqui con i medesimi soggetti si svolgano senza essere ascoltati dalle autorità penitenziarie, né irragionevolmente limitati nel numero o nella durata. F) Se l’accusato deve ottenere un’informazione precisa sulla natura e sui motivi dell’accusa in una lingua a lui conosciuta e deve essere posto in condizione di partecipare al processo sviluppando le proprie attività difensive, ne consegue l’esigenza di riconoscere il diritto a un interprete, qualora l’imputato non comprenda la lingua usata nel procedimento. Deve essere assicurata altresì la gratuità dell’opera dell’interprete nominato dallo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana. Integrazione Lezione: Altri profili della difesa personale: diritto di presenza al processo: art. 14 del Patto internazionale → diritto di presenza concerne sia il primo grado (inclusa udienza preliminare) che le impugnazioni quando queste sono celebrate discutendo questioni che la Corte europea definisce attinenti al carattere del reo, movente ecc senza affrontare questioni tecnico-giuridiche. Quando si ammette la rinuncia alla partecipazione personale al processo, questa non può essere desunta attraverso azioni dubbie sull’esercizio del diritto da parte dell’imputato--> dunque la rinuncia al diritto di presenza deve essere effettuato in modo espresso o in modo inequivoco e con garanzie tali da essere proporzionate alla gravità della rinuncia. Un imputato sottoposto a processo senza la sua partecipazione ha diritto alla ripetizione del medesimo. Tra i casi giudicati dalla Corte europea è da considerare emblematico il primo contro l’Italia: caso Corazza del 1985 in cui si è chiarito che non può essere giustificata la mancata presenza dell’imputato dalla sua inadempienza di un mero onere informativo (es. come cambiamento di residenza)--> Corte ha chiarito che non può addebitarsi all’imputato il mancato adempimento di un onere informativo quando però di questo onere sia stato espressamente informato. C’è una differenza tra sentenze del 1991 (FCB vs. Italia) e quelle del 2011 (Corte vs. Grecia) → perché in questo caso il rischio della mancata comunicazione del cambio di domicilio per le notificazioni era stato assunto dall’imputato con una certa consapevolezza in quanto organi lo avevano personalmente informato. Un argomento che ha assunto particolare rilievo in pandemia è sulla comunicazione audiovisiva in campo giudiziario: tele dibattimenti, tele udienze, processi svolti a distanza. Questo è possibile in linea generale solo nel caso di una necessità che non consente adozione di misura meno restrittive delle garanzie difensive. I tele dibattimenti non potrebbero essere giustificati dalla sola gravità del reato per il quale si sta procedendo, anche perché la gravità del reato non può essere indicativo di una forma del processo quando dipenda dalla formulazione della imputazione e quindi quando ci sia un implicito accoglimento dell’ipotesi accusatoria e contrasta con principio di presunzione di innocenza. La difesa personale può essere effettiva solo se l’imputato disponga del tempo e condizioni necessarie per preparare la sua difesa come dice art. 111 Cost. in corrispondenza con gli artt. 6 e 14 della Convenzione europea e Patto internazionale. Questo profilo riguarda la ragionevolezza nella previsione di termini quando la loro inosservanza generi una decadenza e dovendosi porsi l’interessato di conoscere la decorrenza iniziale e finale entro il quale compiere un atto. Questa ragionevolezza di termini riguarda anche la tutela dell’imputato di avere un periodo sufficiente per prepare difesa successivamente alla contestazione o modifica dell’accusa. Sent Corte Cost 1971 → in caso di nuove contestazioni, consentiva rinvio dell’udienza per preparare difesa (termine di soli 5 gg) → Corte ha dichiarato illegittimità di questo vecchio art ---> ora si prevedono : non inferiore rispetto a quello per comparire in prima udienza quando c’è il rinvio a giudizio. Evidentemente le condizione per prepare la difesa è anche la conoscenza degli atti processuali e presentare proprie argomentazioni ed eventualmente impugnare in modo argomentato. Altra condizione per difesa adeguata è da seguire il criterio per le modalità di traduzione degli imputati detenuti→ questi non possono essere tradotti al processo, conducendoli a destinazione dopo viaggio notturno solo qualche ora prima del processo→ indebolendoli prima di un processo circa il suo destino. Poi deve essere assicurata la comunicazione tra imputati e il proprio difensore→ sancita dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici→ questa l’investigatore privato. Anche per il difensore è garantito il tempo e facilitazioni necessarie per difendere propriamente il suo assistito→ deve decorrere un certo lasso di tempo tra il deposito del fascicolo e lo studio del medesimo; data di udienza non può essere anticipata senza esserne data comunicazione; A corrispondenza del diritto dell'imputato di conferire con il difensore→ c’è stesso diritto per il difensore di conferire con il difeso anche su iniziativa del primo. Consentita libertà di comunicazione tra difensori, consulenti tecnici, investigatori e loro ausiliari senza che questi contatti siano controllati dall’autorità giudiziaria. Diritto alla prova: Diritto presentato come profili del diritto di difesa→ DIRITTO ALLA PROVA: art. 111, 6, 14 riferendolo all’accusato. Tuttavia non concerne solo l’accusato, meglio parlare di questo istituto in modo autonomo. Diritto alla prova è riferito a tutte le altre parti private e PM→ riconducibili alle prescrizioni delle azioni di difesa. Una volta riconosciuto il diritto alla prova dell'imputato, questo per il principio di parità delle armi è riconosciuto a tutti gli altri soggetti. Si pone questione dell'estensione oggettiva del diritto alla prova→ esso riguarda ogni tipo di esperimento gnoseologico. Nella prospettiva costituzionale viene in rilievo la questione per cui l’art. 111, co. 3: la legge assicura che la persona accusata di un reato abbia la facoltà davanti al giudice di ottenere la convocazione dell’interrogatorio di persone a sua difesa e acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Diritto alla prova va riconosciuto anche per i mezzi di prova. Corte europea ha fatto una peculiare applicazione del diritto alla prova in tema di impugnazioni, quando ha ritenuto che violi l’art. 6: condannare in sede di appello un imputato sulla base di una rivalutazione contraria a quest'ultimo di deposizioni rese in primo grado dove era stato concluso con il proscioglimento, senza provvedere all’assunzione di nuovo degli stessi testimoni→ Corte europea dice che la testimonianza deve avere un rapporto diretto e immediato con il giudice che decide e con le parti→ non si può cambiare valutazione di una testimonianza a suo tempo resa solo sulla base di verbali. Per adeguarsi a questa giurisprudenza si è arrivato a inserire nel 2017 un comma 3 bis dell’art. 603 cpp con il quale viene sancito che nel caso di appello del PM contro sentenza di proscioglimento per motivi inerenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Il diritto alla prova presuppone il riconoscimento di un diritto precedente ossia il diritto di ricerca probatoria→ per avere possibilità per le parti di chiedere al giudice acquisizione di una prova, le parti devono essere in grado di sapere che la prova c’è e quindi saperla cercare. Questa ricerca probatoria è quella che da sempre è effettuata dal PM. Un’analoga regolamentazione per gli altri soggetti e parti del processo penale non esisteva. → Una piena disciplina del diritto alla ricerca probatoria è stata emanata con la L. n. 397/2000 che ha inserito nel Libro V del cpp un nuovo Titolo (VI bis) dedicato alle investigazioni difensive. Il diritto alla prova richiamato dall’art. 190 cpp ha diversi aspetti perché implica diversi profili: 1. diritto all'ammissione di un esperimento probatorio→ che sia rilevante su un oggetto di prova verosimile e pertinente→ a questo corrisponde dovere per il giudice di motivare il rigetto della richiesta 2. diritto all’assunzione in contraddittorio davanti a un giudice e alla valutazione degli esiti della prova→ il diritto alla prova comporta anche possibilità per le parti di contestare l’ammissibilità di un esperimento gnoseologico voluto dal giudice. Il giudice mantiene solitamente il potere di assumere delle prove di sua iniziativa ma l’esercizio di questo potere non limita le parti di intervenire ed esporre le sue partecipazioni nel momento dell’assunzione e valutazione. I 3 aspetti del diritto alla prova: 1. ammissione 2. assunzione 3. valutazione → quelli che generano maggiori problemi sono i primi 2 → l’aspetto della valutazione probatoria non dà troppi problemi in un ordinamento come il nostro in cui il giudice deve sempre motivare le sue decisioni e possono essere sempre impugnate in secondo grado. Il diritto di ammissione probatoria→ non può degenerare in un illimitato diritto all'ammissione di ogni prova→ la richiesta della parte va inquadrata nella dinamica del procedimento e rapportata all’esigenza di concludere lo stesso entro un termine ragionevole. Sotto questo aspetto,il diritto alla prova va esaminato nel rispetto delle forme e termini che influiscono sulle cadenze del procedimento ammissivo e bisogna anche salvaguardare che il mezzo o fonte di prova richiesta non sia vietata dalla legge. Maggior problema concerne il profilo dell’intervento delle parti all’assunzione probatoria→ considerando gli artt. 111, co. 3 Cost e art. 6 e 14 → appare evidente che si crea un contrasto tra queste disposizioni e la tesi secondo cui il diritto alla prova sarebbe salvaguardato attraverso il contraddittorio sull’elemento di prova→ contraddittorio che riconcerne la valutazione offerta al giudice dalle parti su una dichiarazione a suo tempo resa non in sua presenza, poiché le parti devono partecipare e intervenire all’esame testimoniale. A questo contraddittorio si presenta come alternativa il contraddittorio per l’elemento di prova→ finalizzato all’ottenimento del dato conoscitivo su cui fondare la decisione attraverso intervento delle parti nel momento in cui il teste rende le dichiarazioni. CEDU pur negando la legittimità di un contraddittorio sull ‘elemento di prova non ritiene necessario l’instaurazione di un contraddittorio per l’elemento di prova. Tra: - un Contraddittorio debole: semplice valutazione di protocolli redatti in precedenza - un Contraddittorio forte: acquisizione al cospetto delle parti delle dichiarazioni testimoniali → CEDU giudica sufficiente percorrere una via intermedia Secondo la CEDU quindi occorre prevedere che prima di essere giudicato l’imputato o suo difensore quando una limitazione sia necessaria per garantire la sicurezza dei testimoni, possa guardare chi deposita una testimonianza decisiva per la sentenza finale. E’ possibile l’utilizzo, a fini di prova di dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari agli organi inquirenti da un testimone che le abbia successivamente ritrattate in sede dibattimentale nella misura in cui l’esame dibattimentale del testimone abbia garantito alla difesa la possibilità di contestare il contenuto delle sue precedenti dichiarazioni. Il giudice deve però motivare sulla circostanza relativa alla fiducia nelle dichiarazioni assunte unilateralmente dal PM rispetto a quelle emerse nella dialettica dibattimentale. La CEDU quindi chiede quale requisito minimo per la garanzia del diritto alla prova: che la fonte di prova a carico determinante sia comunque inserita nel circuito del contraddittorio→ si può dire che si tratti di un contraddittorio almeno differito sulla fonte di prova→ contraddittorio sulla fonte di prova. A questa posizione della CEDU, è subentrata un'altra posizione, più elastica della Corte di Strasburgo che ammette la possibilità di eccezioni quando la mancanza del confronto dialettico con la difesa sia giustificato da un evento in nessun modo imputabile all’autorità giudiziaria (es. morte del teste prima della testimonianza)--> dev essere un'eccezione giustificata da un evento non riconducibile all’autorità giudiziaria e compensato da adeguate garanzie procedurali atti a salvaguardare la complessiva equità processuale→ oggi la CEDU richiede almeno un contraddittorio riequilibrato. Va analizzato un ulteriore elemento→ costituito dal riferimento al contraddittorio in ambito probatorio→ art. 111, co. 4 Cost: “processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova” → problema è capire cosa si intende per contraddittorio nella formazione della prova. Prova come qualunque cosa usata per la conoscenza del fatto concernente la controversia giudiziaria. In linea di principio, si potrebbe dire che il contraddittorio nella formazione della prova è garantito in ogni caso in cui sia possibile il contraddittorio in uno dei momenti in cui il giudice perviene alla ricostruzione fattuale. Sulla base di questo art si potrebbe ammettere la compatibilità costituzionale con un contraddittorio debole ma questa conclusione va respinta perché contrasta con il precedente co. 3 che prevede la possibilità di interrogare e contro interrogare i testi. Resterebbe costituzionalmente sostenibile ritenere che il contraddittorio nella formazione della prova legittima sia il contraddittorio differito sulla fonte della prova, sia quello forte per l’elemento di prova. Questa ipotesi di un contraddittorio forte, per l’elemento di prova, potrebbe sostenersi come imposta quando la locuzione “contraddittorio nella formazione della prova” fosse intesa come “contraddittorio nella formazione dell’elemento di prova” e contemporaneamente si escludesse un’interpretazione del secondo periodo del co. 4 per il quale si ritenesse che il dichiarante potrebbe non accettare di sottoporsi all’interrogatorio da parte dell’imputato o suo difensore, mantenendo fruibili le sue precedenti dichiarazioni. all'acquisizione del dato conoscitivo→ Viene contemplata una trattativa tra le parti che non è costituzionalmente prevista, in contrasto con la ratio del principio di acquisizione processuale perché questo non confligge la circostanza che patrimonio conoscitivo del giudice sia ridotto per garantire il principio di separazione delle fasi ma invece il principio di acquisizione processuale non ammette che un determinato elemento conoscitivo sia nella disponibilità della parte che ne aveva promosso l’introduzione nel procedimento. Difficilmente giustificabile che un dato gnoseologico unilateralmente acquisito da un parte nelle condizioni a lui favorevole possa vanificare il consenso della controparte al suo utilizzo→ risulta anche di dubbia conformità con il principio della ragionevole durata del processo perché alla parte già avvantaggiata viene attribuita altresì di pretendere una superflua ripetizione dibattimentale di tale attività. - impossibile : come si verifica l’impossibilità?--> impossibilità definita dall’art. 111: accertata impossibilità di natura oggettiva→ “accertata” significa che l’impossibilità deve essere indubbia e sicura, non può trattarsi di un’impossibilità presunta. Il problema più rilevante riguarda l’espressione “impossibilità per natura oggettiva”: dal punto di vista più rigoroso, significherebbe che questa chiarificazione, condizione e requisito consentirebbe la fruizione processuale di strumenti conoscitivi inconciliabili con il contraddittorio: impossibilità relativa a strumenti gnoseologici intrinsecamente incompatibili con la versione forte di contraddittorio (avviene per esempio per le intercettazioni di comunicazione: attendibilità delle intercettazioni). Altra ipotesi di inconciliabilità con il contraddittorio sarebbe quella relativa al caso in cui gli elementi di prova conseguiti fossero contenutisticamente o strutturalmente diversi da quelli che sarebbero generabili dal contraddittorio (es. videoregistrazione di un furto di notte effettuato da una cinepresa→ questi dati visivi non sarebbero comunque raggiungibili attraverso una testimonianza, nemmeno differita perché il dato visivo è diverso da quello linguistico della dichiarazione testimoniale). Sono attributi che riguardano natura oggettiva dell’impossibilità (natura dell’oggetto: strumento conoscitivo) e la causa oggettiva che è esterna all’esperimento conoscitivo e che non influisce sulle modalità assuntive ma genera una impossibilità di ripetere lo stesso atto probatorio. → es. causa oggettiva che non consente la ripetizione della testimonianza effettuata in sede di indagini preliminare perché teste è morto o malato. Tra le ipotesi ci sono anche le impossibilità di poter sentire un teste che si sia avvalso in sede dibattimentale di astenersi dal deporre dopo che aveva reso delle deposizioni in sede di indagini preliminari→ ipotesi negata dalla Corte cost che ha sostenuto che l’impossibilità deve riguardare fatti indipendenti dalla volontà del dichiarante. Riferendo l’impossibilità alla natura dell’oggetto, anziché alla causa oggettiva esterna, verrebbe in rilievo l'illegittimità costituzionale di una serie di articoli del codice secondo la loro più tradizionale esegesi (es. art. 238 cpp ammette acquisizione di atti compiuti in altri procedimenti quando fosse impossibile la loro ripetizione). Comunque intesa la locuzione “impossibilità di natura oggettiva”, l’art. 111, co. 5 statuendo che la legge regola i casi in cui vi sono eccezioni, postula la disciplina di questa impossibilità di natura oggettiva ma non vincola il legislatore a consentire che un dato conoscitivo avente uno dei 3 requisiti sia in sé per sé utilizzabile dal giudice senza alcun limite → es. intercettazioni regolate da contemplare delle restrizioni. Contraddittorio forte differito sulla fonte di prova→ questa ipotesi potrebbe essere usata per dire che poiché si tratta della provata condotta illecita allora questa renderebbe sostanzialmente inutile la forza precettiva dell’art. 111, co. 4 secondo periodo: “colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre sottratto”. → non è vero perché l’art. 111, co. 4 parla di colpevolezza dell’imputato; dunque questa previsione riferita all'impossibilità di usare dichiarazioni da chi si è sottratto riguarda la colpevolezza e non le dichiarazioni a favore dell’imputato. Problema è relativo alla circostanza che le regole di inutilizzabilità della prova riguardano utilizzabilità della prova a danno dell’imputato e non a suo favore. Problema è anche risolubile dal punto di vista logico→ per condannare imputato occorre presunzione di innocenza e per questo occorre acquisire legalmente la prova→ prova serve per condannare. Per assolvere, è vero che una prova a discarico può essere ottenuta in forma illegittima ma se quella prova si potesse considerare non utilizzabile ma dal punto di vista logico, l’acquisizione di un dubbio sulla resp dell’imputato sarebbe tale da inficiare tutte le altre prove a carico→ discorso sull’utilizzabilità della prova vietata a discarico si riflette dal punto di vista logico sull’esigenza che la condanna dell’imputato sia sempre raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio. - inquinato: Verte su esigenza di chiarire se la condotta illecita deve inerire all’esterno dell esperimento gnoseologico o riguardi anche il comportamento ritenuto dal teste. Bisogna negare che la disposizione costituzionale, oltre alle condotte illecite poste in essere sul dichiarante, concernono anche quelle realizzate dal dichiarante (es. falsa testimonianza o reticenza). La falsa testimonianza o reticenza non influiscono sulla regolarità dell'acquisizione probatoria ma sono un risultato dell'acquisizione probatoria→ è la condotta illecita esterna che rileva epistemologicamente perché la esistenza di una condotta illecita esterna genera dubbio su l'adulterazione del comportamento del teste. Adulterazione che non si sa se è a fine di verità o falsità. Ultimo problema è che il contraddittorio anche se ci sia stata attività di inquinamento della prova, non è sempre inudibile→ problema è che il contraddittorio in caso di condotta illecita è riscontrabile e riconoscibile giuridicamente solo quando la condotta sia compiuta dall’imputato o suo complice. Non è ammissibile fondare condanna su quanto asserito da una persona per la quale non si è avuto un'occasione adeguata di contraddittorio a danno di un accusato non responsabile dell’inquinamento. Un teste può essere reticente perché coartato da terzi. Solo qualora la condotta illecita fosse riferibile all’imputato potrebbe sostenersi che costui avrebbe rinunciato per facta concludentia all'esercizio corretto delle risorse dialettiche→ affermazione della condotta inquinante come implicante per facta concludentia quando effettuata dall’imputato implicasse rinuncia al contraddittorio è una constatazione effettuata anche dalla CEDU con la Sent del 15/12/2011. CAP. 10: LA PRESUNZIONE D’INNOCENZA L’art. 27, co.2 cost stabilisce che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva→ dettato non è cristallino ma è stato sostenuto con pluralità di argomenti idonei a indirizzare adeguatamente l’interprete. Secondo tale orientamento, l’intento del legislatore cost risulta essere stato, per un verso quello di determinare la dimensione cronologica del principio contenuto nella disposizione, affermandone l’operatività sino al passaggio i giudicato della condanna penale; per altro verso quello di sancire l’accoglimento nel nostro sistema della presunzione d’innocenza, riconosciuta per la prima volta dall’art. 9 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Tuttavia, sebbene la circonlocuzione normativa sembri essere stata scelta anche per evitare di incorrere nelle critiche di carattere tecnico-giuridico, non sono mancati i tentativi di depotenziare il precetto in questione. Preferendo parlare di una più sfumata e meno drastica presunzione di non colpevolezza, da alcuni si è inteso collegare la norma cost a una linea garantistica meno rigorosa di quella connessa alla formula più tradizionale. A siffatta impostazione riduttiva si è però ribattuto che la contraddittorietà della presunzione d’innocenza riferita a colui nei cui confronti sia in corso un processo si supera il significato politico-processuale della locuzione. Non può aversi confusione del criterio cost con il sistema probatorio, né risulta sostenibile l’assunto che il disposto della nostra Carta neghi le concrete modalità con cui inizia e si sviluppa un procedimento penale. Esso invece, impone di evitare ogni pregiudizio sia gnoseologico che sociale in danno dell’imputato e postula che l’autorità procedente svolga la propria attività come se l’imputato fosse innocente, giacché la notitia criminis costituisce un’ipotesi da verificare da cui non può trarsi alcuna supposizione di colpevolezza. Inoltre, è stato rilevato come il legislatore ordinario avrebbe operato una sorta di interpretazione risolutiva della congetturata ambiguità del testo cost, quando sono state emanate le leggi di autorizzazione alla ratifica corredate dell’ordine di esecuzione concernenti la Cedu e Patto internazionale. Può concludersi che il nostro sistema processuale penale debba informarsi a ciò che va definito come principio della presunzione d’innocenza alla luce sia dell’esegesi dell’art. 27,co.2 cost, sia della formulazione letterale delle norme di fonte internazionale sui diritti umani rese esecutive in Italia. con il principio sinonimicamente detto del favor rei o dell’in dubito pro reo. Si tratta di 3 formule di diversa origine culturale ma volte a conseguire effetti simili sulla nozione di onere della prova, sebbene occorra chiarire che essa viene impiegata in senso metaforico; nell’ordinamento italiano, è generalmente assegnato al giudice penale un potere di integrazione istruttoria, mancando quindi il condizionamento della decisione d’un determinato contenuto a un'insostituibile iniziativa probatoria di parte. L’onere della prova riguardante la colpevolezza dell’imputato è addossato al PM e il dubbio giova all’accusato: fornire in anticipo il criterio attinente a come il giudice deve giudicare se non emergano dagli atti processuali prove sufficienti per formare il proprio convincimento. Qualora gli strumenti conoscitivi diretti a suffragare l’affermazione di reità dell'accusato non consentano di sciogliere l’incertezza della ricostruzione fattuale, l’accusa è destinata a soccombere come accade quando nemmeno sussistano elementi di prova a carico: e l’imputato deve essere prosciolto. Sempre collegato alla presunzione d’innocenza come regola di giudizio è anche il cosiddetto diritto al giudizio d’innocenza cioè il diritto per l’imputato a ottenere la dichiarazione della sua estraneità all’addebito rivoltogli, almeno quando sia formalizzato con il promovimento dell'azione penale. Esso si specifica in 2 aspetti: - diritto a che sia previsto un ordine gerarchico delle formule decisorie diverse dalla condanna in modo da salvaguardare la priorità a quelle ampiamente liberatorie. Sulla base del patrimonio gnoseologico disponibile al momento della deliberazione della sentenza, la scelta della formula va effettuata da quelle che lo sono meno possono essere adottate solo dopo aver scartato l’applicabilità delle prime. - congegno delle regole istruttorie garantendo il diritto a che esso sia tale da orientare il processo non verso una qualunque sentenza vantaggiosa per l’imputato, ma verso la declaratoria d’innocenza in tutti i casi in cui siano probatoriamente acquisibili i corrispondenti presupposti. → con riguardo alla declaratoria immediata di determinate cause di non punibilità (art. 129 cpp) e con specifica attenzione al suo comma 1, non pare costituzionalmente orientata l'interpretazione secondo cui sarebbe consentito arrestare l’attività processuali e addivenire alla decisione qualora emergesse che il fatto non costituisce reato, senza assicurare all’imputato la fruizione della concreta possibilità di provare che il fatto non sussiste o egli non l’ha commesso. La presunzione d’innocenza come regola di trattamento: Presunzione d’innocenza come regola di trattamento andrebbero ritenuti in insanabile contrasto con essa tutti gli effetti negativi connessi alla semplice acquisizione della qualifica di imputato, tanto se pregiudizievoli quanto se comportanti solo mortificazioni stigmatizzatrici. Integrerebbe violazione degli art. 27,co.2 cost e art. 6 e art. 14 PI → qualunque privazione della libertà personale dell’accusato anteriormente alla condanna. Cedu contiene accanto alla statuizione attinente alla presunzione di innocenza, la previsione della possibilità di una detenzione in corso di processo, riguardo alla quale si disciplinano le condizioni di applicabilità, le esigenze che è destinata a soddisfare e diritti che in tale situazione devono essere garantiti all’accusato. Ma non si può sostenere che la presunzione d’innocenza non avrebbe modo di operare nel caso di custodia cautelare. In dottrina si è rimarcato come l’art. 27, co.2 cost svolga la funzione di colmare quello che è stato denominato “vuoto dei fini” dell’art 13,co.5 cost. Per un verso vanno espunti dall’ordinamento qualunque funzione afflittiva della custodia in carcere o ogni altra misura cautelare personale e qualunque nesso tra anticipazione della pena e loro esecuzione che non può avere alcuno scopo basato su considerazioni di resp dell’imputato per il fatto addebitatogli; per l’altro la previsione di una restrizione della libertà personale ante iudicatum scaturente da un periculum libertatis può essere reputata costituzionalmente legittima solo se avente finalità legate a tutele del processo, in relazione al suo svolgimento e risultato. Esse sono riconducibili a esigenze di cautela processuale strumentale e di cautela processuale finale nei confronti di colui a carico del quale sussista la condizione applicativa generale costituita dal fumus commissi deliciti. Con la prima si intende salvaguardare la disponibilità dell’imputato al compimento di atti istruttori necessitanti la sua presenza fisica, nonché evitare inquinamenti probatori. Con la seconda si intende assicurare l’eseguibilità dell’eventuale condanna, ostacolando con la misura cautelare il pericolo di fuga del soggetto nei cui confronti si procede. Né per ambedue le ipotesi pare sottintesa dall’ordinamento una valutazione implicita di colpevolezza dell’accusato, dato che pure l’inquisito innocente può indursi a manipolazioni probatorie, a sottrazioni ad atti processuali o a fughe anteriori alla paventata condanna. Risulta di dubbia costituzionalità l’impiego delle misure cautelari a fini di tutela della collettività, nonostante il rinvio esplicito del legislatore delegato a un orientamento favorevole della giurisprudenza cost: proprio il principio del rifiuto di considerare l’imputato colpevole, anche in presenza di gravi indizi a suo carico per un reato al quale non abbia riportato una condanna definitiva, non sembra consentire un giudizio di pericolosità concernente la commissione da parte sua di futuri reati, fondato sulla valutazione dei suoi non ancora acclarati comportamenti riguardanti il fatto per cui si procede. Analogamente, non è costituzionalmente ammissibile una restrizione obbligatoria delle libertà della persona sull’unica base della gravità dell’addebito, dato che in siffatta eventualità la misura conseguirebbe alla semplice assunzione della qualifica di imputato: questa sarebbe connessa a un effetto pregiudizievole per lui e opererebbe allo stesso modo automatico della condanna rispetto alla pena. In ogni caso, dalla presunzione d’innocenza deriva almeno che il trattamento degli imputati debba essere differenziato da quello dei condannati, esigendo la loro sottoposizione a un diverso regime penitenziario. Il problema non attiene esclusivamente al trattamento nell’ambito degli istituti penitenziari ma inerisce pure all’uso dei cosiddetti ferri di sicurezza durante la celebrazione delle udienze. A esse, infatti salvo il pericolo di fuga o di violenze, l’imputato deve poter partecipare libero nella persona, anche per evitare possibili condizionamenti psicologici negativi dell’organo giudicante→ non rafforzare un’impressione di colpevolezza nell’opinione pubblica. CAP. 11: DIRITTI FONDAMENTALI NEL PROCESSO PENALE Diritti fondamentali e principio di proporzionalità: Diritti fondamentali (riconosciuti a tutti e che sarebbero la giuridicizzazione dei valori etico-deontologici di cui i diritti dell’uomo sono i portatori) in collegamento con il processo penale —> questo rapporto può essere inteso in 2 modi: A) Diritti fond del processo penale B) Diritti fond nel processo penale A) Richiamare ai diritti fond per determinare quali siano i diritti delle parti nell’ambito del processo con peculiare riferimento alle attività che lo concernono, individuando quelli indefettibili poiché caratterizzanti la giurisdizione. Un diritto processuale può essere ritenuto fondamentale non tanto perché strettamente connesso al bene o interesse che l’ordinamento vuole proteggere bensì perché rispondente alle stesse esigenze di una buona amm della giustizia: diritto fond assume una particolare importanza alla stregua di garanzia epistemologica per l’ottenimento di una decisione giusta. B) Si ha riguardo ai diritti riconosciuti in campo extraprocessuale ma che possono essere violati dallo svolgimento del processo penale dovendosi determinare se ciò sia giuridicamente consentito in quali limiti e con quali modalità—> es. arresto. In tutte queste eventualità compete all’ordinamento stabilire il punto di equilibrio tra la tutela dei diritti fond individuali e le esigenze dell’amm della giustizia, così da definire l’area dei poteri degli organi giudiziari nei confronti del singolo. In ogni caso occorre conformarsi al principio di proporzionalità tra art. 52,co.1 Carta dei diritti fond UE che da un lato, esige l’idoneità astratta della lesione del diritto tutelato al raggiungimento del legittimo scopo prefissato, la necessità dello strumento impiegato, dovendosi scegliere quello più mite a parità di efficacia e la proporzionalità in senso stretto tra sacrificio imposto e fine perseguito, non potendosi mai giungere fino a comprimere in maniera intollerabile il diritto coinvolto; dall’altro costituisce per i diritti fond sia un limite alle scelte del legislatore che un criterio interpretativo-applicativo per l’autorità giudiziaria quando dispone una restrizione di essi o controlla il relativo provvedimento, orientando nell’ineludibile osservanza del principio di legalità processuale, le opzioni giudiziali. La tutela della libertà personale: La libertà personale è qualificata inviolabile dall’art. 13 cost e nell’ambito di uno sviluppo di principi espressi in differenti disposizioni cost (art. 2 e 3 cost) si presenta come diritto soggettivo perfetto. Tale diritto riveste una cosi grande importanza in una società democratica che un individuo non perderebbe il beneficio della sua protezione nemmeno nell’ipotesi in cui si costituisse volontariamente in carcere. Tuttavia, i successivi commi dell’art. 13 cost precisano le circostanze e modi con cui è consentito l’esercizio del potere statale di coazione personale, delineando serie di cerchi concentrici che tendono ad allargare le maglie della garanzia posta a presidio di quel diritto che inerisce alla libertà della persona in senso fisico. Il legislatore ammette forme di detenzione, ispezione o perquisizione personale per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, sia una riserva assoluta di legge, implicante il divieto di radicale di affidare a fonti normative secondarie, sia la tassatività delle ipotesi e modalità attuative concernenti una sua restrizione nonché una sulla giustificazione della medesima da parte di un organo indipendente in base a precisi criteri. B) La libertà di domicilio: Il domicilio cui si riferisce, l’art. 8 viene qualificato inviolabile dall’art. 14 cost sebbene poi si ammetta la possibilità di compiervi ispezioni o perquisizioni o sequestri nei casi e modi previsti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale nonché accertamenti e ispezioni per i motivi e fini indicati dall’art. 14,co.3 cost. Libertà di domicilio nel diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private determinati luoghi in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo tra i quali la giurisprudenza ha incluso l’autovettura. La questione ermeneutica sorta in dottrina riguardo all’estensione del rinvio operato dall’art. 14,co. 2 cost e vertente sull’applicabilità o no alla libertà del domicilio, può reputarsi superata alla luce della considerazione che l’ordinamento italiano è internazionalmente vincolato a prevedere l’impugnabilità dei provvedimenti che incidano sulla libertà di domicilio. C) La libertà e la segretezza di comunicazione: La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono definite inviolabili dall’art. 15 cost che costituisce un presidio operante contro le intrusioni sia dei privati che dei pubblici poteri per la tutela di un bene connesso alla protezione del nucleo essenziale della dignità umana e al pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali (art. 2 cost). Ma pure in questo caso va difeso l’interesse connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati attraverso la possibilità di una limitazione di tali libertà e segretezza soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria stabilite dalla legge: sancendosi anche per la materia in oggetto una riserva assoluta di legge e una riserva di giurisdizione motivata. Corte europea ha chiarito che l’art. 8 cedu si applica altresì ai detenuti. Per loro da un lato, l’eventuale divieto di corrispondere rappresentare la più radicale forma di ingerenza nell’esercizio del relativo diritto, dato che risulta inconcepibile escludere dalla salvaguardia dell’articolo in questione siffatta evenienza, quando vi rientra pacificamente quella del semplice controllo. Dall’altro non è possibile derivare dal dettato convenzionale alcuna limitazione implicita desunta dall’esistenza di una pena privativa della libertà personale e diversa dalle esigenze normali e ragionevoli della detenzione. Secondo quest’ultima disposizione poi la corrispondenza dei detenuti può essere sottoposta a controllo solo in base a una legge che non si limiti a indicare le categorie di persone a esso assogettabili ma precisi inoltre la durata della misura e le ragioni che la giustificano. Ma se solo l’autorità giudiziaria è competente a emanare nei confronti di chiunque il provvedimento limitativo della libertà in argomento sorgono seri dubbi di legittimità cost dell’art. 41-bis, co. 2 quater. I detenuti devono poter corrispondere pure con persone che non siano né parenti, amici e quindi anche con giornalisti, religiosi ecc. Infine, particolare attenzione deve essere posta nel controllo delle lettere inviate da un avvocato a un detenuto e viceversa, giacché in questi casi la necessità in una società democratica di un siffatto comportamento può ammettersi solo per motivi plausibili idonei a far ritenere che esse contengano elementi illeciti, assicurandosi che il contenuto della corrispondenza non sia letto da terzi; tale lettura potrà essere permessa solo in casi eccezionali, quando si abbia ragione di credere che il suo contenuto rivesta caratteri di un reato; ma sussiste un divieto assoluto di aprire la corrispondenza tra gli organi di Strasburgo e un detenuto che potrebbe venire esposto a rappresaglie a opera del personale penitenziario implicato dal procedimento. Infine si è reputato contrario non recapitare a un detenuto la lettera con la quale un avvocato gli consigliava di esercitare il diritto al silenzio. In ogni caso va riconosciuto il diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale quando l’interessato si pretenda vittima di una violazione della normativa convenzionale, allo scopo di ottenere una decisione sulla propria lagnanza ed eventualmente una riparazione. Riguardo alle forme di comunicazione diverse dalla corrispondenza richiamate dall’art. 15 cost ma non dall’art. 8 cedu, la corte europea ha precisato che quelle telefoniche sono da intendere comprese nelle nozioni di vita privata e di corrispondenza, indipendentemente dal loro contenuto concreto, poiché una conversazione non perde il suo carattere privato per il solo fatto che concerna o possa concernere l’interesse pubblico. Anzi: dato il carattere segreto e virtualmente pericoloso di un attento al diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza, le intercettazioni vanno ritenute generalmente non auspicabili e illegittime in una società democratica—> una lesione grave di questo diritto deve fondarsi su una legge di particolare precisione. Pure per le intercettazioni, inoltre, assume rilievo l’impossibilità di distinguere le attività professionali o commerciali dalle altre con la conseguenza che la disposizione pattizia si applica anche alle conversazioni avvenute sulla linea adoperata per lo svolgimento dell’attività lavorativa. L’interessato poi deve poter disporre di strumenti per ottenere un controllo efficace sull’esercizio del potere in oggetto da parte dell’autorità almeno attraverso una sua sindacabilità durante il giudizio in corso e godere del diritto a un ricorso effettivo davanti a conoscere delle sue lagnanze e a concedergli eventualmente un’appropriata riparazione. Infine, se la giurisprudenza cost ha individuato una serie di ulteriori garanzie che devono essere stabilite dalla legge per conformarsi al precetto dell’art. 15,co.2 cost pure la corte ha determinato i caratteri essenziali che una regolamentazione delle intercettazioni deve possedere per essere ritenuta compatibile con la preminenza del diritto necessaria in una società democratica e reputati indispensabili per assicurare una protezione adeguata contro il pericolo di arbitri lesivi del diritto alla privatezza. SEZIONE 4: SOGGETTI NECESSARI ED EVENTUALI CAP. 12: IL GIUDICE I soggetti del procedimento I protagonisti sono riconoscibili perché senza loro presenza non sarebbe possibile la celebrazione del processo penale: sono i soggetti necessari, perché necessariamente coinvolti dall’oggetto tipico del procedimento penale: ossia l’accertamento del dovere di punire. Questi soggetti sono: PM, imputato e giudice (accusatore, accusato, organo che dirime la controversia tra i primi). La necessità di questi soggetti non risulta nelle fasi delle indagini preliminari→ giudice non compare a meno che non ci siano specifiche richieste (es. misure cautelari); in questa fase manca anche l’imputato→ indagine è volta a decidere se sollevare un imputazione o archiviare notitia criminis. Nelle indagini l’unico soggetto necessario è il PM. Nelle indagini preliminari potrebbe anche mancare l’indagato: ossia soggetto nei cui confronti potrà eventualmente essere elevata l’imputazione (es. procedimento penale nel confronto di ignoti). Ci sono anche altri soggetti: detti i deuteragonisti: sono i soggetti eventuali: soggetti coinvolti da temi di decisioni diverse da quello che è lo specifico oggetto del processo penale ma comunque titolari di poteri autonomi: a) indagato stesso può essere soggetto eventuale b) colui che è interessato all’accertamento del diritto alle restituzioni o risarcimento del danno: il danneggiato è chiamato Parte Civile→ assimilato PM quando ai sensi dell’art. 77 cpp, in caso di urgenza inizia a esercitare azione civile nel processo penale. Danneggiato fa valere suoi interessi civilistici nei confronti dell’imputato. c) A volte si affianca anche un terzo: il responsabile civile→ colui che è responsabile con l’accusato→ es. caso incidente stradale in cui la vettura è condotta da un soggetto diverso dal proprietario. Colui nei cui confronti è formulata la domanda di restituzione o risarcimento→ colui che nel processo civile sarebbe chiamato convenuto. d) Il soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria: colui che ha obbligo sussidiario di pagare una somma pari alla multa o ammenda inflitta al colpevole in caso di insolvibilità del condannato. → Art. 196 cpp → E’ necessaria la contestualità della condanna dell’imputato con quella della pena pecuniaria del civilmente obbligato. Non si può esercitare azione verso civilmente obbligato per pena pecuniaria in un momento successivo alla condanna dell’imputato. e) D.lgs 231/2001: ente responsabile di illecito amministrativo→ esteso resp penale dalle persone fisiche alle persone giuridiche. f) Querelante: obbligato a pagare spese del procedimento anticipate dallo stato e rifondere quelle sostenute dall’imputato e danni cagionati a quest’ultimo in caso di assoluzione. Ci sono altri soggetti eventuali non aventi interessi sostanziali incidenti o incisi direttamente dai provvedimenti emessi nell’ambito del procedimento: a) polizia giudiziaria: non viene emesso alcun provvedimento nel procedimento penale b) persona che si ritiene offesa dal reato: ossia titolare del bene giuridico tutelato dalla norma giuridica violata. Può anche essere affiancata da enti esponenziali degli interessi lesi: associazioni o enti che hanno come compito istituzionale quello di difendere interessi lesi da particolari reati. c) difensori dell’imputato/indagato/persona offesa/enti esponenziali: non sono soggetti necessari di qualunque processo penale. Nel nostro ordinamento si ma in quello anglosassone si può far a meno della difesa tecnica. - Tribunali di sorveglianza costituiti in ciascuna corte di appello e sezione distaccata di essa, nonché composti da 2 magistrati professionali e due esperti. Il giudice chiamato a intervenire nel singolo processo viene stabilito in base alle regole di competenza le quali devono essere fissate dalla legge ordinaria ex art. 25 cost. sulla scorta di criteri oggettivi e tassativi. La competenza è l’ambito entro il quale ciascun giudice esercita la propria sfera di giurisdizione—> se il giudice incompetente fosse privo di potere la sentenza emessa dallo stesso sarebbe un atto inesistente e inidoneo a passare in giudicato. Invece, il nostro codice di rito prevede che qualora la violazione delle norme di competenza non sia ritualmente rilevata, la sentenza emessa dal giudice incompetente divenga irrevocabile. La competenza funzionale: Non è espressamente affermata dal codice ma è una categoria adottata dalla dottrina e giurisprudenza. Essa concerne o le varie funzioni concretamente svolte dai diversi giudici nei distinti segmenti in cui è possibile suddividere il medesimo procedimento o le specifiche attribuzioni che vengono compiute. Con riguardo ai gradi del processo si distingue fra giudici di: primo grado, secondo grado (appello) e terzo grado (o di legittimità). Sono giudici di primo grado: - Tribunale ordinario - Corte d’assise - Tribunale dei minorenni - Giudice di pace - Corte cost Sono giudici ordinari di secondo grado: - Corte d’appello - Corte d’assise d’appello - Sezione di corte d’appello per i minorenni È giudice speciale di secondo grado: Corte militare d’appello Unico giudice di terzo grado (di legittimità) per tutto il territorio: Corte di cassazione con sede a Roma. In quelli antecedenti al giudizio, operano il giudice per le indagini preliminari (GIP), il giudice per l’udienza preliminare (GUP), la corte d’appello e la corte di cassazione. Per la fase di giudizio, sono funzionalmente competenti il tribunale ordinario, la corte d’assise, il tribunale per i minorenni, il tribunale militare, corte cost, corte d’appello, corte d’assise d’appello, sezione di corte d’appello per i minorenni, corte militare d’appello e corte di cassazione. L’incompetenza funzionale è considerata rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. La competenza per materia: Il primo criterio con cui vengono ripartiti i procedimenti fra i giudici ordinari è la competenza per materia che è determinata dalla quantità della pena edittale come precisata dall’art. 4 cpp (criterio quantitativo) o dal titolo del reato per il quale si procede (criterio qualitativo). La competenza per i delitti ritenuti più gravi spetta alla Corte d’assise la cui composizione garantisce la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Quanto al criterio quantitativo la corte d’assise è competente a giudicare per il delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o reclusione non inferiore nel max di 24 anni. Quanto al criterio qualitativo, la corte d’assise è competente a giudicare omicidio del consenziente, istigazione al suicidio, omicidio preterintenzionale e ogni delitto doloso, se dal fatto è derivata la morte di uno o più soggetti. Il giudice di pace è competente per una serie di reati di minor gravità riconducibili alla microconflittualità individuale e suscettibili di conciliazione. La competenza del tribunale si ricava per sottrazione, essendo chiamato a giudicare per tutti i reati che non siano di competenza della corte d’assise, giudice di pace o tribunale per i minorenni. Il tribunale può operare in composizione collegiale (3 componenti) o in composizione monocratica. In virtù del parametro qualitativo, al tribunale collegiale sono attribuite una serie di ipotesi criminose ritenute di particolare allarme sociale o caratterizzate da rilevanti difficoltà di accertamento. Il tribunale in composizione monocratica ha cognizione per i delitti di produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti. La competenza per territorio: Fra i giudici egualmente competenti per materia, occorre individuare il giudice del luogo di competenza. I circondari: definiscono area di competenza dei tribunali al cui interno è individuata quella in cui operano i giudici di pace I distretti: comprensivi di più circondari, individuano la superficie delle corti d’appello e delle corti d’assise d’appello I circoli: sono relativi alle corti d’assise il cui spazio può coincidere con il distretto o esserne una parte. La regola generale stabilisce che è territorialmente competente il giudice del luogo in cui il reato è stato consumato: esso coincide con il luogo in cui si è realizzato l’evento per i reati materiali e con quello in cui è stata tenuta la condotta per i reati formali. La celebrazione del processo nel luogo di consumazione del reato risponde a evidenti ragioni di efficienza perché permette una più immediata e agevole raccolta delle prove e permette di celebrare il processo nel luogo in cui è stata violata la base legale della convivenza sociale. Sono previste ulteriori regole: alcune derogano al criterio locus commissi delicti in ragione delle peculiarità della fattispecie di reato; altre invece sono di natura suppletiva, trovando attuazione allorché non sia possibile individuare il giudice territorialmente competente sulla base delle regole generali. Quanto alle prime, qualora dal fatto derivi la morte di una o più persone, la competenza spetta al giudice del luogo in cui si è tenuta l’azione o l’omissione, anziché a quello del luogo in cui si è realizzato l’evento: la ragione risiede nella considerazione che spesso la morte sopravviene in posti lontani da quello nel quale si è attuata la condotta criminosa. In caso di reato permanente, la competenza è del giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione. Per le seconde, quando i criteri generali dell’art. 8 cpp non consentono di stabilire il giudice territorialmente competente entrano i gioco i criteri sussidiari—> vengono in rilievo l’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione; il luogo di residenza, dimora o domicilio dell’imputato; infine il luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato. Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi. Quando non sia determinabile, la cognizione spetta al tribunale o corte d’assise di Roma, se il reato è stato commesso a danno del cittadino e non sussiste un’ipotesi di connessione o collegamento probatorio. Sono poi previste delle ipotesi derogatorie speciali: - Reati a bordo di aeromobili non militari - Reato di diffamazione commessa in tv o radio - Reati ministeriali Va poi sottolineato che le deroghe alla regola generale del locus commissi delicti non compromettono la naturalità del giudice allorché abbandonando la nozione tradizionale, si ricolleghi tale concetto alla predisposizione dell’organo giudicante a cogliere pienamente e in modo imparziale e non prevenuto, il significato della condotta dell’accusato. La competenza per connessione: Può accadere che più regiudicande presentino elementi di collegamento fra di loro: si parla di connessione fra procedimenti—> Art. 12 cpp prevede 3 ipotesi: A) la connessione plurisoggettiva: se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro B) La connessione monosoggettiva: se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione o con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso C) La connessione teleologica: se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. I procedimenti relativi a tutti gli imputati e a tutti i reati connessi sono di competenza di un unico giudice. Si tratta di un criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza non essendo la connessione subordinata alla riunione dei procedimenti e quindi alla pendenza degli stessi nel medesimo stato e grado. materia, territorio e della connessione, viene distribuito il lavoro giudiziario fra giudici penali ordinari. L’incompetenza per materia può essere per difetto o per eccesso: Nel primo caso, essendo il reato di competenza di un giudice ritenuto di maggior capacità tecnico-professionale, l’incompetenza è sempre rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Nel secondo, il vizio essendo meno grave è rilevabile anche d’ufficio fino all’apertura del dibattimento di primo grado. Un regime meno rigido è previsto per l’incompetenza per territorio, in virtù del fatto che il criterio territoriale risponde a ragioni di opportunità legate a faciltà dell’accertamento—> il vizio può essere dedotto dalle parti o rilevato d’ufficio fino alla chiusura delle discussione nell’udienza preliminare o qualora questa manchi o ivi sia stata respinta in dibattimento durante le questioni preliminari. Infine, l’incompetenza per connessione è deducibile o rilevabile negli stessi termini previsti per quella territoriale. Nonostante l’incompetenza sia da valutare intorno alla figura del giudice dibattimentale, la questione può porsi già nel corso delle indagini preliminari: presupposto è che il giudice per le indagini preliminari sia sollecitato a intervenire per il compimento di un atto. Il giudice per le indagini preliminari che riconosce la propria incompetenza restituisce gli atti al PM con ordinanza ma la misura cautelare eventualmente disposta mantiene provvisoriamente la sua efficacia che però cessa se entro 20 gg dall’ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede. L’ordinanza con cui il giudice dichiara la propria incompetenza, non è impugnabile ma produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto e non risolve definitivamente la questione: quindi il Pm può continuare le indagini preliminari e in relazione a una successiva richiesta del PM, il giudice potrà pronunciarsi su di essa, implicitamente riconoscendo la propria competenza. In udienza preliminare e in dibattimento, fasi successive all’esercizio dell’azione penale e quindi caratterizzate dalla piena giurisdizionalità, il giudice dichiara la propria incompetenza con sentenza e trasmette gli atti al PM presso il giudice ritenuto competente affinché provveda a una nuova vocatio in iudicium. Egli, in forza del principio di irretrattabilità dell’azione penale non potrebbe esimersi dalla formulazione dell’imputazione, essendogli impedito lo svolgimento di ulteriori indagini quanto la formulazione della richiesta di archiviazione, pure laddove nel frattempo sia maturato il termine di prescrizione o sia intervenuta la depenalizzazione della fattispecie per la quale si procede. Nel giudizio d’appello, la declaratoria d’incompetenza per materia per difetto comporta l’annullamento della sentenza impugnata e la restituzione degli atti al PM presso il giudice di primo grado ritenuto competente. Nel caso di incompetenza per materia per eccesso, il giudice d’appello non annulla la sentenza impugnata ma decide direttamente nel merito purché la decisione impugnata sia appellabile. Qualora si tratti di incompetenza territoriale o per connessione, a condizione che la questione fosse già stata dedotta in precedenza, il giudice di seconde cure pronuncia sentenza di annullamento con conseguente trasmissione degli atti. Infine, la decisione della Corte di Cassazione sulla competenza o sulla giurisdizione è vincolante nel corso del processo, salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore. Anche nel giudizio di legittimità, la competenza per materia per difetto è sempre dichiarata anche d’ufficio; quelle per territorio e per connessione sono rilevabili, purché la relativa eccezione, tempestivamente proposta in primo grado e riproposta nei motivi d’appello, sia stata riproposta nei motivi del ricorso in cassazione. L’inosservanza delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove già acquisite (art. 26 cpp); tuttavia, le dichiarazioni ripetibili rese al giudice incompetente e per le contestazioni. Un’efficacia provvisoria per le misure cautelari disposte dal giudice incompetente: entro 20 gg dalla trasmissione degli atti al giudice competente, quest’ultimo deve provvedere all’adozione di un nuovo provvedimento cautelare (art. 27 cpp). Il decorso del termine comporta solo la perdita di efficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente ma non impedisce al giudice competente di emettere dopo un eguale misura. Il difetto di attribuzione: Art. 33 quinquies cpp → vizio è rilevabile anche d’ufficio nel corso dell’udienza preliminare o se questa manca o ivi è stata respinta, in sede di questioni preliminari, cioè prima dell’apertura del dibattimento. Se non dedotta nei termini, la questione non può più essere sollevata. Una volta accertata l’errata attribuzione per delineare il successivo sviluppo procedimentale, occorre premettere che, innanzi al tribunale in composizione monocratica, il rito può svolgersi con la celebrazione o meno dell’udienza preliminare. Ciò premesso, con riguardo all’attribuzione per eccesso, possono così prospettarsi 2 diverse ipotesi: se nel corso dell’udienza preliminare viene rilevata la procedibilità con citazione diretta a giudizio, il giudice trasmette gli atti del PM per l’emissione del decreto di citazione a giudizio con la applicazione delle norme relative al procedimento con citazione diretta a giudizio; qualora l’organo collegiale in dibattimento si accorga che il procedimento è di spettanza dell’organo monocratico, provvede alla trasmissione degli atti al tribunale monocratico. Quanto alla violazione per difetto delle regole di attribuzione, se il tribunale monocratico si avveda che il procedimento spetta al collegio, gli trasmette gli atti; se il giudice monocratico ritenga che il reato appartiene alla cognizione del collegio, dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al PM per permettere l’instaurazione dell’udienza preliminare. La questione, tempestivamente sollevata dalle parti e non accolta, può essere riproposta in appello: in caso di attribuzione in difetto, la corte d’appello annulla la sentenza del tribunale monocratico e trasmette gli atti al PM; nell’ipotesi di attribuzione in eccesso, la corte d’appello pronuncia nel merito, senza disporre la regressione del procedimento. Con riguardo al giudizio di cassazione, la corte di legittimità pronuncia la sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado, senza distinzione fra attribuzione in difetto e in eccesso. I conflitti di competenza e di giurisdizione: Se è unico il giudice chiamato a prendere cognizione del processo, nella realtà può capitare non solo che il processo sia celebrato innanzi a un giudice diverso da quello competente ma può altresì accadere che due o più giudici ordinari contemporaneamente prendano cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Si parla di conflitto positivo di competenza. Viceversa, si ha un conflitto negativo di competenza, quando 2 o più giudici ordinari rifiutano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona, ritenendosi tutti incompetenti: il conflitto negativo sorge però solo allorché il giudice al quale l’organo dichiaratosi incompetente ha trasmesso gli atti ritenga che la competenza spetti proprio a uno dei giudici che si sono spogliati del procedimento. Il conflitto può essere rilevato dal giudice d’ufficio o su denuncia, scritta e motivata di parte e una volta riconosciuto deve essere immediatamente comunicato all’altro giudice. Non è prevista la sospensione dei processi allo scopo di evitare un uso pretestuoso dello strumento del conflitto. La risoluzione del conflitto spetta alla Corte di cassazione, salvo che nelle more del procedimento incidentale ex art 29 cpp, uno dei giudici in conflitto riconosca la propria competenza o uno dei giudici o qualora i giudici in conflitto siano più di 2, tutti i giudici del conflitto fuorché uno si dichiarino incompetenti. La corte di cassazione essendo chiamata a decidere sulla base delle regole di riparto della giurisdizione e della competenza, può assegnare il processo anche a un giudice diverso da quelli in conflitto. La sentenza (pronunciata in camera di consiglio) è vincolante. L’incompatibilità del giudice: Incompatibilità rende il giudice incapace di svolgere le proprie funzioni in un determinato procedimento. Artt. 34 e 35 cpp, l’incompatibilità può derivare da motivi personali o dal precedente esercizio sia di altri uffici che della funzione giurisdizionale. In ordine alle prime ipotesi di incompatibilità esse sono determinate da ragioni di coniugio, parentela o affinità o fino al secondo grado fra magistrati che abbiano esercitato funzioni, anche separate o diverse, nel medesimo procedimento per evitare potenziali condizionamenti affettivi derivanti da relazioni interpersonali strette. Infine, con riguardo alle situazioni in cui il giudice abbia già svolto funzioni giurisdizionali nel medesimo procedimento e quindi risulterebbe prevenuto, la ratio dell’incompatibilità è di evitare che il giudizio di merito su un’imputazione sia affidato a colui che sul merito si sia pronunciato, seppur ad altro titolo. Art. 34, co.1 e 2 cpp non può partecipare al giudizio nonché a una udienza preliminare. L’astensione e la ricusazione del giudice: L’imparzialità del giudice è previsto l’istituto dell’astensione in virtù del quale è imposto al giudice un obbligo di rinuncia all’esercizio della giurisdizione ogni qualvolta sussista il pericolo che possa svolgere le sue funzioni senza la necessaria neutralità. Di fronte a una situazione di incompatibilità, il giudice è tenuto ad astenersi o a rinunciare all’esercizio della funzione giurisdizionale. L’obbligo di astensione scatta pure qualora tali situazioni riguardino il prossimo congiunto o il coniuge e i figli. Il giudice ha l’obbligo di astenersi se esistono gravi ragioni di convenienza come una previa conoscenza diretta dei fatti di causa che priverebbe il giudice dei requisiti di imparzialità e terzietà coessenziali alla sua funzione. Se l’astensione presuppone l’iniziativa del giudice, la ricusazione del magistrato è proposta dalle parti: la diversità del soggetto proponente incide sulle forme procedurali poiché mentre per l’astensione è previsto un iter semplificato privo di formalità, per la ricusazione è
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