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Processo esecutivo sintesi manuale Luiso, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

sintesi completa dei processi dell'esecuzione

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 04/04/2020

FJosiah
FJosiah 🇮🇹

4.6

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Scarica Processo esecutivo sintesi manuale Luiso e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCESSO ESECUTIVO L’ESECUZIONE FORZATA nel quadro dell’ordinamento L’esecuzione forzata è disciplinata nel Libro III cpc. Per delinearne la funzione occorre richiamare alcune nozioni generali. Nell’ordinamento, alcune norme danno la facoltà di compiere certe attività e altre invece vietano il compimento di altre attività. Di solito, al di fuori del settore penale, il legislatore prevede un comportamento doveroso in funzione della realizzazione di un interesse altrui, che è quindi una situazione sostanziale protetta (legislatore garantisce una certa utilità/bene della vita al soggetto). Dobbiamo fare la prima distinzione fra SITUAZIONI FINALI  situazioni sostanziali protette che si attuano fornendo al loro titolare dei poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e semplicemente ponendo a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento l’obbligo di astenersi, di non inframettersi fra il titolare del diritto e il bene garantito (ad es pensiamo alla struttura del diritto di proprietà o di un diritto personale di godimento come la locazione: il proprietario e il conduttore non hanno bisogno della cooperazione di nessun altro per tratte dal bene l’utilità che l’ordinamento garantisce loro, essi hanno bisogno semplicemente che non venga loro impedito di utilizzare i poteri che l’ordimento gli attribuisce; STRUMENTALI  a volte, invece, l’interesse costituente la situazione sostanziale protetta è garantito da un comportamento attivo di un altro soggetto, senza il quale comportamento la situazione sostanziale non viene soddisfatta (ad es nel rapporto di lavoro, i diritti di entrambi gli interessati sono realizzati dai comportamenti attivi delle controparti. Al datore di lavoro interessa che la prestazione venga prestata in concreto, come al lavoratore interessa che il datore gli paghi lo stipendio, gli assicuri un ambiente di lavoro sicuro, le ferie, la tredicesima ecc. A nessuno dei due invece interessa di essere titolare di un rapporto di lavoro e basta). Accanto a questa prima distinzione ne abbiamo poi una seconda, fra DOVERI di COMPORTAMENTO PRIMARI  sono quei doveri che attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale : cioè si tratta di tutti quei casi in cui, sul piano del diritto sostanziale, è previsto come obbligo primario il fatto di tenere un certo comportamento attivo (ad es nel rapporto di mutuo: il mutuatario ha l’obbligo fisiologico di restituire le cose avute in mutuo ed è fisiologico quindi che nello svolgimento del rapporto vi sia un obbligo di adempimento). SECONDARI  sono doveri che nascono da un precedente illecito : nascono dal fatto che esisteva un altro dovere precedente a monte che non è stato rispettato, è stato inadempiuto ed hanno funzione ripristinatoria (ad es art 2043 risarcimento del danno per fatto illecito: la norma prescrive in primis il dovere di non ledere i diritti altrui; se il dovere primario viene violato, nasce allora un obbligo risarcitorio che è quindi un obbligo secondario). Che cosa accade quando il soggetto, che dovrebbe tenere il comportamento satisfattivo del diritto altrui, non tiene tale comportamento contravvenendo così all’obbligo impostogli dall’ordinamento (cioè quando il soggetto realizza un ILLECITO)? Per quello che interessa a noi, è irrilevante che i doveri di comportamento violati siano omissivi o commissivi (cioè correlati ad una situazione finale o strumentale) oppure che siano primari o secondari! Infatti, ai fini della TUTELA ESECUTIVA è sufficiente che sul piano del diritto sostanziale non sia tenuto quel comportamento che è necessario per dare al titolare del diritto l’utilità che l’ordinamento gli garantisce riconoscendo una situazione sostanziale protetta rispetto ad un certo bene della vita. Quando si ha la violazione di un dovere di comportamento previsto a favore di un altro soggetto (fenomeno che d’ora in poi chiameremo inadempimento anche se non sempre è tecnicamente corretto) NON serve una tutela dichiarativa (disciplinata nel Libro II cpc che porta a statuire circa gli specifici diritti e obblighi delle parti): qui occorre far sì che l’avente diritto riceva quell’ utilità che, secondo il diritto sostanziale, gli dovrebbe provenire dall’adempimento dell’obbligato ! Oltretutto la tutela dichiarativa è anche insufficiente perché non è detto che l’inadempimento dell’obbligato non permanga anche dopo di essa. A volte il titolare della situazione sostanziale protetta, a fronte dell’inattività dell’obbligato, può, sul piano del diritto sostanziale, fare qualcosa per procurarsi autonomamente quell’utilità che non gli è prodotta dal comportamento dell’obbligato inadempiente, sia prima che dopo l’eventuale processo di cognizione (esempio: il conduttore Tizio ha diritto a che il locatore Caio faccia delle opere di restauro del bene locato, ma caio non compie tali opere. Tizio, prima o dopo del processo di cognizione che ha accertato che il locatore effettivamente è tenuto a farlo, può fare da solo le opere di manutenzione a cui è obbligato il locatore, residuando il diritto al rimborso delle spese sostenute e ai danni eventualmente. Cioè l’avente diritto si sostituisce all’obbligato che avrebbe dovuto agire nel suo interesse). Tuttavia, non sempre sul piano del diritto sostanziale è possibile questa attività sostitutiva (non sempre l’avente diritto è in grado di procurarsi autonomamente, con strumenti di diritto sostanziale, l’utilità che gli era garantita dall’ordinamento, salvo comunque sempre il risarcimento dei danni) e allora serve uno strumento che possa fornire all’avente diritto quell’utilità che non gli perviene a causa del comportamento inadempiente dell’obbligato. Questo strumento è l’ESECUZIONE FORZATA! La tutela DICHIARATIVA non costituisce un antecedente logico e cronologico rispetto alla tutela ESECUTIVA! È un grande errore pensare che in sede esecutiva si attua quando è previsto in sede dichiarativa e che l’oggetto dell’esecuzione sia l’atto di accertamento (sentenza, lodo arbitrale ecc). quest’ordine si ha, ma solo in quei casi in cui dal punto di vista del diritto positivo, l’ordinamento prevede che l’esistenza di un atto di accertamento è presupposto indispensabile per avere accesso alla tutela esecutiva (ad nel processo amministrativo e tributario, l’esecuzione forzata presuppone l’esistenza di un atto volto a impartire tutela dichiarativa come ad es il provvedimento giurisdizionale, loro dell’arbitro ecc). Tuttavia NON è così per quanto riguarda l’esecuzione forzata civile, presupposto della quale possono essere anche atti che non impartiscono tutela dichiarativa (es atti del notaio, titoli di credito). Quindi, il previo ricorso alla tutela dichiarativa da parte del titolare del diritto insoddisfatto, è necessario solo dove non esista già un titolo esecutivo stragiudiziale (e quindi il titolare debba procurarselo tramite il processo di cognizione); se invece il titolare del diritto insoddisfatto ha già un titolo esecutivo stragiudiziale, allora può immediatamente ottenere la tutela esecutiva! Dunque, tutela dichiarativa e tutela esecutiva si pongono su piani diversi (il previo accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare, non è presupposto logico indispensabile per ottenere la tutela esecutiva e neppure un presupposto costante) e non sono necessariamente cronologicamente consecutive! = in SEDE ESECUTIVA NON ci si chiede se esiste o meno l’obbligo di effettuare la prestazione, bensì si dà per scontato che l’obbligo dell’obbligato inadempiente sussista davvero! Proprio per questo allora sono previsti degli strumenti cognitivi che consentono all’esecutato di far valere l’eventuale inesistenza del diritto sostanziale che si vuole tutelare con l’esecuzione forzata (altrimenti tutto ciò sarebbe ingiusto per l’esecutato e incostituzionale. L’importante è garantire all’esecutato strumenti idonei per difendersi). ESECUZIONE DIRETTA e ESECUZIONE INDIRETTA Il diritto di azione e di difesa previsti e garantiti dall’art 24 Costituzione comprendono anche la TUTELA ESECUTIVA! La norma costituzionale ha una portata vasta: garantisce il diritto ad una tutela giurisdizionale efficace che si deve esplicare in tutte le forme necessarie per la soddisfazione dei vari diritti: nella forma di - Processo di COGNIZIONE  laddove è necessario statuire circa i rispettivi diritti e obblighi delle parti e quindi determinare i comportamenti che le parti devono vicendevolmente tenere; invece tiene, quindi viene condannato penalmente. Intanto, in sede di impugnazione la domanda del sindacato è rigettata con sentenza passato in giudicato. Che ne è della sanzione penale del datore Caio?). la risposta è la seguente: qualora nelle successive fasi del processo si accerti che il comportamento era lecito (oppure, più in generale, venga rimosso il provvedimento inadempiuto) VIENE MENO L’ILLECITO: rimanendo inadempienti ad un provvedimento riconosciuto illegittimo o inefficace non si commette alcun illecito. L’interessato ha il diritto di non ottemperare al provvedimento autoritativo (legge, atto amministrativo) che è stato dichiarato illegittimo + non essere sanzionato per il mancato adempimento, dato che la sua inottemperanza era secundum ius.  Quindi, una volta riformato il provvedimento, cade la sanzione penale e se si tratta di sanzione civile le somme pagate devono essere restituite. L’esecuzione DIRETTA si struttura diversamente a seconda del tipo di comportamento che deve sostituire: se il comportamento da sostituire è - Pagamento di una somma di denaro  ESECUZIONE FORZATA (per i crediti di denaro); - Consegna di un bene individuato  ESECUZIONE per CONSEGNA/RILASCIO (per trasferire il potere di fatto su beni mobili e immobili; - Fare qualsiasi altra cosa diversa  ESECUZIONE per OBBLIGHI di FARE (residualmente, per tutti i comportamenti diversi dai due visti finora e che siano fungibili) Se il comportamento da sostituire è infungibile, si fuoriesce dalla sfera di utilizzabilità dell’esecuzione diretta e si deve passare all’esecuzione INDIRETTA (che è utilizzabile anche per gli obblighi fungibili diversi dal pagamento di somme di denaro). PRESUPPOSTI e CONTENUTO delle MISURE GIURISDIZIONALI ESECUTIVE Prima di esaminare le tre forme di esecuzione diretta bisogna premettere alcune norme contenute nel Titolo I del Libro III cpc in quanto tali norme valgono per tutti i tipi di esecuzione forzata. In generale esiste una differenza fondamentale fra tutela dichiarativa e tutela esecutiva, i presupposti affinché diventi doverosa l’attività dell’ufficio giurisdizionale sono nettamente diversi nell’una e nell’altra ipotesi: i PRESUPPOSTI della tutela - Dichiarativa  è costituito dalla semplice affermazione, da parte di chi richiede la tutela giurisdizionale (attore), che esiste una situazione sostanziale che ha bisogno della tutela dichiarativa. L’unico limite è quello dell’interesse ad agire: non si ha diritto a chiedere una tutela dichiarativa quando ciò che si chiede non è utile oppure può essere ottenuto per altra via. Però la sentenza che il giudice dovrà emettere sulla base della sola richiesta può essere di contenuto positivo oppure negativo per il richiedente = dunque il giudice, in base alla mera affermazione dell’esistenza della situazione sostanziale bisognosa di tutela dichiarativa, ha il dovere di emettere la sentenza, ma niente assicura che tale sentenza dia le regole di condotta che l’attore invoca. È possibile che vi sia un rigetto in rito della domanda (qualora non vi siano le condizioni processuali per dare le regole di condotta relative al diritto dedotto in giudizio), cioè una sentenza di rito. Poi, una volta superato positivamente l’esame delle condizioni per la pronuncia di merito, il contenuto della sentenza di merito si bipartisce: da un lato si può avere la sentenza di merito con cui il giudice accoglie la domanda e dà la tutela richiesta dall’attore; dall’altro, la sentenza di merito con cui giudice rigetta domanda e nega la tutela richiesta in quanto accerta che non esiste il diritto meramente affermato dall’attore.  Per mettere in moto il processo dichiarativo è sufficiente che l’attore affermi esistente il proprio diritto. Esecutiva  affinché si possa giungere all’emanazione della misura giurisdizionale esecutiva non è sufficiente che il creditore procedente si affermi titolare di un diritto che, per essere soddisfatto, necessita dell’adempimento della controparte! Sono necessarie ulteriori condizioni oltre all’affermazione del diritto e ovviamente alla sussistenza dei presupposti processuali. Inoltre il tipo di risposte dell’ufficio esecutivo (non è tripartito come nel processo di cognizione) è bipartito, nel senso che l’ufficio esecutivo può o rifiutare o concedere la misura richiesta. Se l’ufficio la concede, il contenuto della misura è sempre e costantemente favorevole a chi la richiede (cioè è l’equivalente di quella che nel processo di cognizione è una sentenza di accoglimento nel merito). La misura giurisdizionale esecutiva di merito è sempre e costantemente a senso unico, cioè favorevole all’istante (invece la sentenza di merito può anche dare torto a chi l’ha richiesta). L’ufficio esecutivo o non opera oppure, se opera, lo fa necessariamente con una misura che ha contenuto favorevole all’istante , perché la funzione dell’esecuzione forzata (non è stabilire i comportamenti leciti e doverosi delle parti in riferimento ad una situazione sostanziale protetta, bensì) è tutelare un diritto allorquando la sua realizzazione presuppone l’attività di un altro soggetto che nel caso concreto è mancata (perché il soggetto è rimasto inadempiente). Dunque, nel processo esecutivo NON è rilevante accertare se esiste o meno il diritto, si presuppone che il diritto esista e che abbia bisogno della tutela esecutiva! Al titolo esecutivo, che è presupposto necessario per l’esecuzione forzata, corrisponde (ove il processo esecutivo abbia luogo) l’effetto a senso unico di fornire la tutela esecutiva richiesta. La tutela dichiarativa attraverso strumenti autoritativi può essere esclusivamente giurisdizionale, ma esistono anche strumenti non autoritativi che producono gli stessi effetti; la tutela esecutiva invece è necessariamente autoritativa ma può anche non essere giurisdizionale. Infatti esistono forme di tutela esecutiva affidate alla pubblica amministrazione. Questa non necessaria giurisdizionalità della tutela esecutiva consente un più ampio affidamento a soggetti diversi dal giudice delle attività da compiere in sede di esecuzione forzata. Il TITOLO ESECUTIVO (art 474 cpc) L’esecuzione forzata può aver luogo esclusivamente in virtù di un titolo esecutivo. Il titolo esecutivo è la fattispecie da cui nasce l’effetto giuridico della tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale, cioè è la fattispecie dalla quale nasce la pretesa alla tutela esecutiva nei confronti dello Stato (non basta che tizio dica “caio mi deve tot soldi/mi deve consegnare il bene x” bensì è necessario che tizio abbia a suo favore un titolo esecutivo). In presenza di un titolo esecutivo, l’ufficio esecutivo è obbligato a fornire la tutela esecutiva richiesta. Tuttavia l’ordinamento non fornisce la tutela esecutiva a tutti i diritti per il solo fatto che strutturalmente si trovino nella condizione di essere soddisfatti tramite l’adempimento di un altro soggetto! La fattispecie da cui nasce il diritto alla tutela esecutiva è diversa e ulteriore rispetto alla fattispecie da cui nasce il diritto da tutelare in sede esecutiva. Quindi, dobbiamo distinguere il diritto alla tutela esecutiva dal diritto oggetto della tutela esecutiva! - Il diritto oggetto della tutela esecutiva = è il diritto sostanziale. la pretesa da eseguire è il diritto sostanziale; - Il diritto alla tutela esecutiva = è il diritto processuale a che l’ufficio si metta in moto e ponga in essere le misure giurisdizionali previste. La pretesa ad eseguire è il diritto processuale in presenza del quale l’ufficio esecutivo è obbligato a fornire la propria opera a tutela del diritto sostanziale (ad es uno dei titoli esecutivi che fondano il diritto alla tutela esecutiva è la sentenza di condanna). Dunque, al fine di ottenere la pretesa a che l’ufficio esecutivo si attivi sostituendosi all’inerzia dell’obbligato non basta la mera nascita, sul piano del diritto sostanziale, della situazione protetta! Occorre un titolo esecutivo, il quale deve sorreggere tutto il processo esecutivo, cioè deve esistere al momento dell’inizio e permanere durante tutta la durata del processo, costituisce l’energia del processo esecutivo (infatti, se l’esecuzione ha inizio sulla base di un atto che acquista efficacia esecutiva nel corso del processo esecutivo, l’esecutato può vittoriosamente opporsi). Esempio: il creditore procedente ha un titolo esecutivo e inizia l’esecuzione forzata, tuttavia nel corso di essa il suo titolo perde efficacia esecutiva (perché ad es si tratta di una sentenza di primo grado che viene riformata dal giudice d’appello) e allora il processo esecutivo no può andare avanti perché dal momento in cui la sentenza di appello viene pubblicata esso perde la sua energia (il titolo esecutivo, che deve sorreggere l’intera attività esecutiva). Art 474: l’esecuzione forzata può aver luogo esclusivamente in virtù di un titolo esecutivo “per un diritto CERTO , LIQUIDO ed ESIGIBILE ” . - Diritto CERTO = la certezza consiste nell’individuazione del bene oggetto dell’intervento esecutivo e del fare che deve essere compiuto , dunque si riferisce essenzialmente all’esecuzione per consegna/ rilascio, all’esecuzione per obblighi di fare e all’esecuzione indiretta. Nell’esecuzione per consegna/rilascio non è necessario individuare ciò che deve essere compiuto perché questo è già tipizzato dal legislatore (cioè si tratta sempre di trasferire la materiale disponibilità di un bene mobile/immobile da colui che esercita attualmente la materiale disponibilità ed è obbligato alla consegna/rilascio a colui che ha diritto ad ottenere la materiale disponibilità); Invece, l’esecuzione per obblighi di fare non è tipizzata dal legislatore (il fare può consistere in varie cose) e quindi il titolo esecutivo deve contenere l’individuazione non solo del bene su cui si deve operare ma anche del tipo di intervento necessario. Nemmeno l’esecuzione degli obblighi omissivi non è tipizzata. - Diritto LIQUIDO = l’espressione si riferisce essenzialmente ai crediti di somme di denaro (o, più in generale, a quantità di cose fungibili). Il credito che spetta al creditore deve essere quantificato - Art 12, Dlgs 124/2004: ove il personale delle direzioni provinciali del lavoro, mentre svolge le proprie attività di vigilanza, verifichi l’inosservanza da parte del datore di lavoro di disposizioni dalle quali scaturisce un credito a favore del lavoratore, diffida il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore quando dovuto a causa della determinata inosservanza. Tale DIFFIDA (decorsi 30 giorni senza che datore e lavoratore abbiano trovato un accordo) acquista efficacia di titolo esecutivo a favore del lavoratore per le somme indicate (l’atto amministrativo della p.a. costituisce titolo esecutivo a favore di un terzo). Ma perché il legislatore attribuisce efficacia di titolo esecutivo a certi atti e non ad altri? Cioè perché individua certe fattispecie, e non altre, come costitutive del diritto alla tutela esecutiva? In dottrina, secondo l’opinione prevalente il motivo è che quegli atti fondanti il titolo esecutivo darebbero sufficiente certezza dell’esistenza del diritto: il legislatore attribuisce efficacia esecutiva a certi atti e non ad altri in ragione dell’efficacia di accertamento propria degli uni e non anche degli altri. Tuttavia, questa ricostruzione NON convince poiché la certezza dell’esistenza del diritto da tutelare non è l’elemento fondamentale unificante che sta alla base della scelta del legislatore. In realtà, ciò che conta è che il legislatore ritenga, per motivi vari (tra i quali uno soltanto è la certezza dell’esistenza del diritto), meritevole di tutela esecutiva una certa situazione sostanziale! una situazione sostanziale può essere ritenuta meritevole di tutela per varie ragioni: quando il diritto è sufficientemente certo; quando il diritto appartiene ad un ente pubblico o previdenziale; quando il diritto appartiene ad un soggetto che abbia necessità di rapida tutela esecutiva del proprio diritto; quando si vogliono raggiungere fini fiscali.  Dunque, gli elementi che il legislatore prende in considerazione per attribuire la tutela esecutiva sono disomogenei: indubbiamente rileva sì anche la certezza del diritto ma solo come uno dei tanti fatti presi in considerazione dal legislatore, il quale quindi attribuisce efficacia esecutiva ad un certo atto quando ritiene che il diritto in esso contenuto sia meritevole di tutela esecutiva. In questo giudizio di meritevolezza, il legislatore prende in considerazione vari e diversi fattori e la sua scelta è difficilmente sindacabile da punto di vista della legittimità costituzionale! Teoricamente, niente impedirebbe un sindacato di costituzionalità sotto il profilo dell’art 3 Cost ma sta di fatto che la Corte Costituzionale NON ha mai accolto questioni che riguardavano l’attribuzione dell’efficacia esecutiva a certi atti e non ad altri.  Dunque, proprio a causa della varietà e disomogeneità degli elementi che concorrono nel giudizio di meritevolezza di tutela esecutiva, è molto difficile controllare le scelte del legislatore! Rapporti fra tutela esecutiva e tutela dichiarativa Abbiamo detto che per accedere alla tutela esecutiva occorre avere un titolo esecutivo. Se l’interessato non ha un titolo esecutivo stragiudiziale deve procurarsene uno e ciò può farlo soltanto attraverso un processo di cognizione (ordinario o sommario). Dunque in questo caso il processo di cognizione si prostituisce ad una funzione diversa da quella sua propria (che sarebbe quella dichiarativa): all’attore non interessa che siano stabilite le regole di condotta fra lui e la controparte relativamente alla sua situazione sostanziale protetta, bensì a lui interessa di procurarsi l’accesso alla tutela esecutiva tramite la formazione di un titolo esecutivo. Il provvedimento dichiarativo è solo una tappa verso la meta finale dell’esecuzione forzata, tappa resa necessaria dal prn nulla executio sine titulo . Quindi è evidente che, quanti più titoli esecutivi stra-giudiziali sono previsti nell’ordinamento, tanto più si alleggerisce il processo di cognizione da tutte quelle domande strumentali che hanno come scopo la formazione di un titolo esecutivo! Infatti, negli ultimi anni il legislatore ha preferito moltiplicare i titoli esecutivi al fine di evitare tutte quelle richieste di tutela dichiarativa meramente strumentali ad ottenere la tutela esecutiva! Il TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE e DOCUMENTALE Bisogna ora chiarire i rapporti fra il titolo esecutivo e il diritto sostanziale che si vuole tutelato tramite l’esecuzione: il titolo esecutivo sta fuori e prima dell’esecuzione (non è l’oggetto dell’esecuzione, bensì la fattispecie in presenza della quale si ha l’azione esecutiva), è il diritto processuale alla tutela esecutiva del diritto sostanziale. Oggetto della tutela esecutiva è il diritto sostanziale da tutelare. Ciò significa che l’esecuzione forzata è l’attuazione della situazione sostanziale protetta (non del provvedimento del giudice), precisazione che è avvenuta in sede di processo civile e non in sede di processo amministrativo o penale perché in questi ultimi l’esecuzione presuppone sempre un provvedimento giurisdizionale (invece nel processo civile l’esecuzione può prescinderne in quanto esistono anche i titoli esecutivi stragiudiziali). Dunque si può parlare di esecuzione in base alla sentenza, ma non della sentenza. Dunque la struttura del processo esecutivo si deve adattare al tipo di diritto che si vuole tutelare (nello specifico, al tipo di dovere correlato al diritto che si vuole tutelare). Il titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva e chi ha a suo favore il titolo esecutivo ha diritto a pretendere l’intervento giurisdizionale (nel rispetto delle regole del processo esecutivo). Tuttavia, non è sufficiente che sussista un titolo esecutivo affinché l’intervento degli organi esecutivi (che è dovuto sul piano processuale) sia lecito sul piano sostanziale. a questo fine, è necessaria l’esistenza effettiva del diritto da tutelare (se il diritto sostanziale non esiste, quanto l’ufficio esecutivo compie costituisce sul piano del diritto sostanziale un illecito di cui risponde chi ha chiesto all’ufficio esecutivo di intervenire). Ciò si ricava dall’art 96, comma 2 cpc: se può fruire della tutela esecutiva e tuttavia essere obbligati al risarcimento dei danni se non esiste il diritto di cui si è richiesta la tutela esecutiva.  Dunque bisogna distinguere il diritto processuale alla tutela esecutiva e la liceità dell’attività esecutiva sul piano del diritto sostanziale, perché la liceità dipende dall’esistenza del diritto che si vuole avere tutelato e non dall’esistenza del diritto alla tutela esecutiva! LEGITTIMITA’ PROCESSUALE = l’esistenza del titolo esecutivo è condizione sufficiente per ottenere la tutela esecutiva; LICEITA’ SOSTANZIALE dell’attività esecutiva = sussistenza del titolo esecutivo + effettiva esistenza del diritto da tutelare. È possibile una utilizzazione illecita della tutela esecutiva. Chi fa uso di uno strumento messogli a disposizione dallo stato per tuttavia tutelare diritti inesistenti commette un illecito dal punto di vista del diritto sostanziale (se usi male l’arma che lo stato ti fornisce ne risponderai sul piano del diritto sostanziale). TITOLO ESECUTIVO in senso SOSTANZIALE = si intende la fattispecie dalla quale sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione sostanziale protetta. Il titolare di questa situazione ha diritto all’intervento degli organi giurisdizionali che hanno l’obbligo di attivarsi. Dunque, l’esistenza del titolo in senso sostanziale nel rapporto istante-organi esecutivi  fa sì che l’istante abbia una pretesa fondata ed un dovere di comportamento dell’organo esecutivo; invece nel rapporto istante-esecutato  non è idoneo a modificare la situazione di diritto sostanziale ed a rendere lecito un intervento esecutivo che, mentre doveroso sul piano processuale, è illecito sul piano del diritto sostanziale. dunque, il titolo esecutivo in senso sostanziale costituisce un istituto di diritto processuale ed è costituito dalla fattispecie da cui sorgono il diritto dell’istante ad ottenere tutela esecutiva e il dovere dell’ufficio esecutivo di attivarsi per fornirla. Come tutte le fattispecie produttive di effetti giuridici, è composta di elementi che possiamo distinguere in due settori: - Elementi costitutivi dell’effetto giuridico (l’effetto giuridico si produce quando è completata/integrata la fattispecie costitutiva); - Elementi impeditivi, modificativi, estintivi in presenza dei quali l’effetto giuridico o non sorge, oppure, una volta sorto, si modifica e si estingue (ad es la riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice di appello toglie ad essa l’efficacia esecutiva). TITOLO ESECUTIVO in senso DOCUMENTALE = è un documento che rappresenta in modo non completo la fattispecie del diritto a procedere ad esecuzione forzata. È una rappresentazione parziale della fattispecie del titolo esecutivo in senso sostanziale perché tale rappresentazione può essere carente di alcuni elementi, es di un fatto costitutivo (ad es nel titolo esecutivo in senso documentale manca costantemente l’eventuale decorso del termine che è fatto costitutivo del diritto a procedere ad esecuzione forzata. Il titolo esecutivo cambiario ha efficacia esecutivo al momento della scadenza del termine in esso previsto. L’avvenuta scadenza di tale termine non risulta dall’atto stesso, bensì va calcolata, cioè manca l’accertamento che il termine è scaduto). Ma la principale divergenza fra titolo esecutivo in senso documentale e titolo esecutivo in senso sostanziale si verifica nel settore dei fatti estintivi e modificativi del diritto di procedere a esecuzione forzata. Ad esempio, nella sentenza di primo grado sono documentati solo i fatti costitutivi del diritto di procedere ad esecuzione, ma il titolo esecutivo in senso documentale non può riportare l’eventuale sospensione dell’esecuzione da parte del giudice d’appello, oppure la riforma della sentenza di primo grado in appello. Questi ed altri sono elementi successivi alla formazione del documento e come tali non possono in nessun modo essere rappresentati nel titolo esecutivo in senso documentale. Tuttavia, tali elementi sono rilevanti per l’esistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale (cioè per l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata). Dunque, quando le norme parlano di “titolo esecutivo” bisogna distinguere a seconda che il riferimento sia al titolo esecutivo in senso sostanziale o documentale: Nell’art 474 il legislatore si riferisce al titolo esecutivo in senso sostanziale (quindi alla fattispecie del diritto di procedere a esecuzione forzata completa dei suoi elementi costitutivi, impeditivi, estintivi e modificativi); nell’art 475 comma 1 invece il legislatore, nel prescrivere che il documento deve essere redatto secondo certe modalità ed avere certi contenuti, si riferisce al pezzo di carta (documento) rappresentativo del diritto di procedere ad esecuzione forzata, non all’attuale esistenza o meno di tale diritto (cioè si riferisce al titolo esecutivo in senso documentale). FUNZIONE del titolo in senso documentale  è stato creato dall’ordinamento al fine di rendere edotto l’ufficio esecutivo dell’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, semplificando le operazioni cognitive tale ufficio esecutivo deve compiere per rendersi conto se il soggetto che chiede l’esecuzione forzata ne ha diritto oppure no. La semplificazione della siamo certi di aver trovare un’ipotesi di efficacia del titolo esecutivo a favore di terzi (perché non ha senso che il successore si possa far rilasciare il titolo documentale senza poi poterlo utilizzare).  La successione nel diritto porta alla nascita, a favore dell’ avente causa , di un diritto diverso oggettivamente e soggettivamente da quello del dante causa ma a questo connesso per pregiudizialità-dipendenza! Cioè, sul piano sostanziale si verifica questo: esiste il diritto (pregiudiziale) del dante causa, viene in essere una successione e allora in capo all’avente causa sorge un diritto diverso ma dipendente. Insieme alla successione nel diritto sostanziale si ha anche la successione nel diritto processuale alla tutela esecutiva che spettava al dante causa (cioè la situazione del successore, oggettivamente diversa da quella del dante causa ma connessa per pregiudizialità dipendenza, acquista la medesima tutelabilità esecutiva che aveva la situazione pregiudiziale). Inoltre, poiché la successione è avvenuta dopo la formazione dell’atto-titolo esecutivo, l’atto ha, nei confronti del successore e relativamente al modo di essere del diritto pregiudiziale, gli stessi effetti preclusivi che ha verso il dante causa (es al cessionario del credito portato nell’atto pubblico possono essere opposte le stesse eccezioni che potevano essere opposte al cedente); invece, l’efficacia preclusiva riguarda solo il diritto pregiudiziale, non anche il diritto dipendente poiché il titolo esecutivo viene utilizzato per la tutela esecutiva di un diritto oggettivamente diverso da quello consacrato nel titolo stesso (che è pero connesso per pregiudizialità dipendenza al diritto di cui al titolo)  Riassumendo, art 475 cpc: il titolo esecutivo esistente a favore di Tizio per il diritto X è utilizzabile da Sempronio per il diritto Y quando fra X e Y vi è un rapporto di pregiudizialità- dipendenza e l’esistenza del diritto X è accertata dall’atto-titolo esecutivo nei confronti di Sempronio con efficacia preclusiva identica a quella che tale atto ha nei confronti di Tizio. Il SUCCESSORE non ha l’obbligo di dimostrare, neppure documentalmente, al soggetto che deve spedire il titolo in forma esecutiva la propria qualità di successore. La tutela contro i falsi successori (che hanno cioè ottenuto la copia esecutiva affermando esistente una successione che in realtà non è mai avvenuta) è data dall’opposizione all’esecuzione (che può essere proposta da chi si vede minacciata l’esecuzione da un falso successore). FUNZIONE dell’efficacia a favore dei successori  l’efficacia a favore del successore del titolo esecutivo formatosi a favore del dante causa ha la funzione di evitare di dover instaurare un processo di cognizione nei confronti del debitore, al solo fine di accertare l’esistenza della successione (questo è superfluo se il debitore non contesta che la successione sia avvenuta, altrimenti bisogna aprirlo e in tale processo vi sarebbe solo da accertare l’effettiva esistenza della successione). L’ordinamento rimette l’iniziativa dell’accertamento dell’effettività della qualità di successore (a chi?) all’eventuale contestazione dell’esecutato: se l’esecutato NON si oppone  non c’è contestazione e quindi si evita un processo di cognizione che sarebbe inutile. Se invece l’esecutato si oppone  c’è contestazione e quindi si apre il processo di cognizione (nel quale spetta comunque al creditore dimostrare ciò che ha affermato nel momento in cui ha chiesto la spedizione del titolo esecutivo e cioè la sua qualità di successore di colui che risulta creditore secondo il titolo esecutivo). A) EFFICACIA CONTRO gli EREDI Art 477 cpc: il titolo esecutivo contro il de cuius ha efficacia anche contro gli eredi. Sul piano sostanziale si ha una situazione simile ma rovesciata rispetto a quella prevista dall’art 475, cioè si ha la successione nell’obbligo. L’erede è titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità-dipendenza con l’obbligo del de cuius. Il creditore non deve provare che l’esecutato è effettivamente l’erede, bensì è sufficiente che colui che vuole procedere ad esecuzione forzata affermi che l’esecutato è l’erede di colui che risulta debitore dal titolo esecutivo. Eventuali false dichiarazioni del creditore sono fronteggiabili dall’esecutato con l’opposizione all’esecuzione e l’onere della prova è a carico di chi procede a esecuzione forzata. FUNZIONE dell’efficacia contro gli eredi  evitare al creditore la necessità di instaurare un processo di cognizione esclusivamente per far accertare la qualità di erede dell’esecutato, sarebbe un processo inutile se l’esecutato non contesta la propria qualità di erede! Instaurare il processo di cognizione è necessario solo qualora la contestazione viene effettuata. Al contrario dell’art 475 che ricomprende qualsiasi ipotesi di successione in cui si crea un nesso di dipendenza tra obbligo contemplato nel titolo esecutivo e obbligo di cui è titolare il terzo, l’art 477 prevede solo una delle tante ipotesi che generano tale dipendenza: la successione a titolo universale . Ma la previsione è estendibile analogicamente a tutte le altre ipotesi di successione (a titolo particolare) quando sussiste la medesima ratio . Infatti, se concentriamo l’attenzione sul singolo obbligo rispetto al quale si verifica la successione, notiamo che non c’è nessuna diversità fra una successione a titolo universale (caratterizzata dal fatto che ha come potenziale oggetto tutta una serie di rapporti, tra i quali anche quello contenuto nel titolo nel titolo esecutivo) e qualunque altra ipotesi di successione nell’obbligo: in entrambi i casi, l’obbligo pregiudiziale è un elemento della fattispecie costitutiva dell’obbligo dipendente.  Quindi si deve concludere che la parte originaria vittoriosa ed i suoi successori possono usare come titolo esecutivo la sentenza non solo contro l’erede (colui che subentra al testatore in tutto il suo patrimonio o in una quota di esso) ma anche contro il legatario (colui che acquista diritti patrimoniali specifici) e l’ acquirente (ipotesi di successione a titolo particolare). La previsione restrittiva dell’art 447 ha ragioni storiche, si è mantenuta inalterata dal cpc napoleonico attraverso il nostro codice unitario fino a quello attualmente vigente, nonostante siano venuti meno i presupposti che all’epoca ne determinarono l’introduzione. Però, come detto, niente impedisce di estendere la disciplina dell’art 447 al di là dell’ipotesi espressamente prevista ai casi in cui si verifica lo stesso fenomeno sostanziale, cioè la nascita di un obbligo dipendente. = Riassumendo, il titolo esecutivo è utilizzabile DA o CONTRO un TERZO quando costui è titolare di un diritto/obbligo dipendente dal diritto contenuto nel titolo esecutivo , a condizione però che l’atto (che funge da titolo esecutivo) abbia verso il titolare della situazione dipendente e con riferimento alla situazione pregiudiziale gli stessi effetti che ha nei confronti del dante causa. Adesso riprendiamo le norme che inizialmente abbiamo scartato. Art 2909 si applica quando viene pronunciata sentenza di condanna ed il terzo, dopo il passaggio in giudicato della stessa, diventa titolare di un diritto/obbligo dipendente da quello oggetto della sentenza; art 111 si applica quando lo stesso tipo di successione ha luogo durante il corso del processo; [esempio: Tizio locatore del bene agisce contro il conduttore caio per restituzione del bene locato. In corso di causa oppure dopo il passaggio in giudicato della sentenza, Tizio vende il bene a Sempronio che quindi diventa successore anche nel rapporto di locazione. La sentenza che condanna Caio alla restituzione del bene a Tizio può essere usata da Sempronio contro tizio per ottenere la riconsegna del bene, ex art 475. Sempronio deve affermare (senza dover dimostrare) all’ufficio esecutivo di essere acquirente del bene. Se Caio (tramite opposizione all’esecuzione) contesta a Sempronio la sua qualità di successore, allora si apre il processo di cognizione nel quale Sempronio deve dimostrare di essere acquirente del bene locato.] Art 1595: la sentenza pronunciata fra locatore e conduttore ha effetti anche contro il sub- conduttore [il locatore che ha ottenuto sentenza di condanna alla restituzione del bene da parte del conduttore, ex art 447 ha tutela esecutiva anche contro il sub-conduttore. Se il terzo contesta di essere sub-conduttore (sostenendo ad es di essere cesisonario della locazione con titolo anteriore alla litispendenza a che quindi la sentenza che obbliga il conduttore alla restituzione del bene non ha effetti nei suoi confronti) allora il locatore dovrà dimostrare che il terzo è veramente subconduttore] Art 2495: dopo la cancellazione della società, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Se al momento della cancellazione un creditore aveva già un titolo esecutivo contro la società cancellata, può utilizzarlo contro i soci nei limiti delle somme da questi riscosse in sede di liquidazione. L’efficacia del titolo esecutivo a favore e contro terzi è un’ulteriore ipotesi di NON coincidenza fra titolo esecutivo in senso sostanziale e titolo esecutivo in senso documentale. - Nei casi in cui l’esecuzione a favore/contro terzi è consentita dall’ordinamento, infatti, dal titolo esecutivo documentale utilizzato NON risulta che il terzo , il quale pretende di utilizzare/o contro il quale si pretende di utilizzare il titolo stesso è effettivamente il successore e quindi non risulta neppure l’esistenza del diritto che si vuole vedere tutelato con l’esecuzione. Cioè il titolo esecutivo documentale rappresenta una situazione che sta a monte della situazione oggetto dell’esecuzione. L’efficacia del titolo esecutivo a favore/contro terzi NON comporta problemi di diritto di difesa e contraddittorio, come invece accade per il parallelo ma diverso fenomeno dell’efficacia della Il precetto perde efficacia se entro 90 giorni dalla notifica non è iniziata l’esecuzione forzata . L’opposizione contro il precetto non sospende necessariamente il processo esecutivo, però il creditore procedente non è obbligato a dar corso all’esecuzione forzata: egli può procedere comunque all’esecuzione nonostante l’opposizione (e sempre che il giudice non sospenda l’esecuzione) assumendosi la responsabilità dei danni per l’esecuzione ingiusta oppure può aspettare l’esito del processo di opposizione. se scegli di aspettare, gli è garantito (dall’art 481 comma 2) che il precetto non perde efficacia, permane per tutta la durata del processo di opposizione in modo tale che, se a distanza di tempo l’opposizione viene rigettata, il creditore può iniziare l’esecuzione forzata senza bisogno di notificare un altro precetto. La STRUTTURA GENERALE del PROCESSO ESECUTIVO Gli artt 483 – 490 cpc sono redatti con riferimento all’espropriazione forzata ma sono utilizzabili come parte generale del processo esecutivo, quindi anche con riferimento all’esecuzione forzata in forma specifica (cioè per gli altri due tipi di esecuzione, per consegna/rilascio e di obblighi di fare/non fare). L’esecuzione forzata ha lo scopo di procurare la soddisfazione di diritti correlati ad obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti e obblighi, quindi sugli effetti delle misure giurisdizionali esecutive NON si può formare il giudicato (art 2909 cc, il quale presuppone che la funzione esercitata dal processo sia dichiarativa, cioè di statuire circa i diritti e gli obblighi delle parti, che appunto è assente nel processo esecutivo)! Dunque nel processo esecutivo si dà per scontato che il diritto e l’obbligo esistano, non è compito dell’esecuzione forzata accertare che l’adempimento coattivo è effettivamente dovuto sul piano del diritto sostanziale. Compito dell’esecuzione è far avere la prestazione, non anche accertare che tale prestazione è dovuta sul piano del diritto sostanziale. Cognizione dell’ufficio esecutivo  l’ufficio esecutivo si muove accertando preventivamente che sussistano i presupposti per la propria attività (cioè si muove in base ad una “cognizione”, che qui non ha il significato di dichiarazione autoritativa delle regole di condotta delle parti, come nel processo dichiarativo): prima di emettere una misura esecutiva fa la ricognizione della sussistenza dei presupposti per emetterla. Ciò che è escluso dalla ricognizione dell’ufficio è l’effettiva esistenza del diritto da tutelare, il quale è dato per esistente! Se qualcuno afferma che in realtà l’esecuzione non deve avvenire perché il diritto da tutelare non esiste, deve aprire un processo dichiarativo e portare tale controversia nella sede propria che è in grado di accertare il modo di essere di tale diritto. Dunque, l’ufficio esecutivo, di fronte alla domanda di tutela esecutiva, procede ad accertare i presupposti per concedere la tutela esecutiva e deve dare una sua risposta positiva o negativa. - Nel processo dichiarativo, proprio perché esso ha la funzione di statuire sul modo di essere della realtà sostanziale, la risposta negativa del giudice (rifiuto di dare tutela dichiarativa richiesta dall’attore) si distingue in risposta negativa di rito (mancano le condizioni processuali per statuire sulla realtà sostanziale) oppure di merito (manca la situazione di cui è richiesta la tutela). Tali pronunce negative hanno diversi effetti: il rigetto in rito (ha effetti solo nel diritto processuale) non forma il giudicato e non impedisce al soccombente di riproporre la domanda per chiedere la tutela del medesimo diritto sostanziale; il rigetto in merito invece (ha effetti nel diritto sostanziale) forma giudicando impedendo al soccombente di affermarsi titolare della situazione sostanziale che il giudice ha accertato essere inesistente. Dunque il processo di cognizione ha funzione dichiarativa e struttura decisoria. - Nel processo esecutivo le cose cambiano: non avendo funzione dichiarativa e non avendo struttura idonea a decidere, le risposte dell’ufficio esecutivo sono sempre due, affermativa o negativa (emissione oppure rifiuto della misura esecutiva richiesta) e quella negativa non distingue il rifiuto per motivi di rito o di merito, bensì costituisce un rifiuto unitario della tutela esecutiva richiesta dal proponente. Tale rifiuto ha sempre gli stessi effetti, qualunque sia il motivo del rifiuto, perché nell’esecuzione forzata manca la funzione di accertamento (la stessa cosa vale per il processo cautelare). Anche dal punto di vista della FORMA del PROVVEDIMENTO vi è differenza: - Nel processo dichiarativo la forma del provvedimento è sempre la sentenza, indipendentemente dal suo contenuto; - Nel processo esecutivo invece la forma del provvedimento è diversa a seconda che la risposta dell’ufficio esecutivo sia negativa o positiva. Se risponde alla richiesta Positivamente  emette la misura esecutiva che ha la forma prevista dalla legge (pignoramento, ordinanza di vendita ecc); Negativamente  rifiuta di compiere l’atto richiesto, rifiuto che è un non-provvedimento che può avere forma diversa dal provvedimento. Se il soggetto interessato si lamenta del comportamento dell’ufficio sostenendo che la misura esecutiva è stata illegittimamente rifiutata/concessa, la relativa controversia non può mai essere decisa nel processo esecutivo (come accade invece nel processo di cognizione), bensì deve essere aperto un processo di cognizione incidentale , in cui si stabilirà se gli atti compiuti sono o meno conformi alla legge processuale (come già detto, infatti, il processo esecutivo non ha la struttura idonea a decidere controversie circa le condizioni processuali; invece nel processo di cognizioni, le questioni di rito e di merito possono essere cumulate e risolte perché ha funzione dichiarativa e struttura decisoria)! PRESUPPOSTI PROCESSUALI del processo esecutivo Le condizioni minime ed indispensabili affinché sia emessa la misura esecutiva equivalgono alle condizioni per la decisione di merito nel processo dichiarativo e se mancano il processo risulta viziato e quindi la richiesta di tutela esecutiva non può essere accolta. Infatti, anche nel processo esecutivo: - l’ufficio esecutivo deve avere giurisdizione e competenza - le parti devono essere capaci, legittimate e rappresentate tecnicamente ecc. la rilevazione dei presupposti processuali segue la disciplina del Libro I cpc che stabilisce da chi e fino a che momento può essere rilevata l’eventuale carenza di un presupposto processuale. La regola generale è che i vizi dei presupposti processuali sono rilevabili anche d’ufficio. A tale regola fanno eccezione le norme che restringono la rilevabilità del vizio quanto ai soggetti e alle fasi del processo nelle quali il vizio deve essere rilevato. Talvolta il legislatore prevede la prima udienza come termine ultimo per rilevare i vizi di certi presupposti processuali (es l’incompetenza del giudice). Alla prima udienza di trattazione del processo dichiarativo corrisponde, nel processo esecutivo, la prima udienza di fronte al giudice dell’esecuzione: Nell’espropriazione forzata, è l’udienza in cui si decide circa la vendita del bene; nell’esecuzione per obblighi di faare/non fare, è l’udienza fissata a seguito della presentazione del ricorso (ex art 612 cpc); invece, nell’esecuzione per consegna/rilascio, dato che non ci sono udienze, le preclusioni riferite alla prima udienza non operano! Al di là dei casi previsti espressamente, la carenza di un presupposto processuale è rilevabile anche d’ufficio dal giudice senza limiti di tempo (ad es l’ufficio giudiziario carente di giurisdizione deve rifiutarsi di emettere il pignoramento).  In conclusione: se un VIZIO del PROCESSO esecutivo, consistente nella carenza di un presupposto processuale, viene rilevato TEMPESTIVAMENTE e nei MODI PREVISTI, allora l’ufficio esecutivo deve RIFIUTARE l’emanazione della misura che gli è stata richiesta. NULLITA’ FORMALI L’ufficio esecutivo deve anche esaminare la questione attinente alla nullità dei SINGOLI ATTI del processo. La differenza è la seguente: la mancanza di un presupposto processuale produce la nullità di tutti gli atti del processo; invece, alla nullità di singoli atti bisogna applicare gli artt 156 ss cpc (norme che dal processo dichiarativo possono essere estese anche al processo esecutivo). Art 157 cpc: la nullità dei singoli atti del processo è rilevabile dall’ufficio solo se lo prevede la legge (all’opposto dei vizi processuali, che sono rilevabili anche d’ufficio salvo diversa disposizione della legge). dunque, il rifiuto da parte dell’ufficio della misura esecutiva può basarsi sulla nullità dei singoli atti solo se la legge prevede che tale nullità è rilevabile d’ufficio oppure se è stata eccepita tempestivamente dalla parte che aveva il potere di farlo. (nel processo dichiarativo, quando viene sollevata questione relativa alla nullità formale o extra-formale di un atto, il giudice la decide col medesimo provvedimento con cui decide il merito della controversia, invece) La cognizione dell’ufficio esecutivo, che controlla se sussistono i presupposti per la propria attività (e quindi controlla se manca un presupposto processuale oppure se un singolo atto è nullo) non è finalizzata a pronunciare un provvedimento decisorio, l’esito di tale ricognizione non può considerarsi come decisione della questione: la ricognizione serve solo per stabilire se è possibile emettere o meno la misura esecutiva richiesta (cioè l’esito è l’emanazione o il rifiuto dell’emanazione della misura esecutiva a causa di nullità). Esempio: il giudice rileva la propria incompetenza (mancanza di presupposto processuale) oppure che manca/è viziato l’avviso ai creditori e quindi non emette l’ordinanza di vendita del bene. OPPOSIZIONE agli ATTI ESECUTIVI Nel processo dichiarativo  le questioni di rito vengono decise; nel processo esecutivo  le questioni di rito vengono delibate , per orientare l’azione dell’ufficio esecutivo senza che ciò costituisca un’attività decisoria (dato che il processo esecutivo non ha struttura idonea a decidere). Quindi occorre che vi sia uno strumento per decidere le contestazioni riguardanti la correttezza o meno dell’ operato dell’ufficio esecutivo . COMPETENZA Gli uffici giudiziari competenti per l’esecuzione forzata sono indicati dagli artt 9, 26 e 26 bis cpc. Competenza verticale  per l’esecuzione forzata è competente sempre il Tribunale. Competenza orizzontale  territorialmente competente per l’espropriazione immobiliare e mobiliare (compresa l’espropriazione dei beni presso terzi) è il giudice del luogo dove si trova il bene; l’esecuzione forzata su autoveicoli e motoveicoli, il giudice della residenza dell’esecutato; l’esecuzione forzata degli obblighi di fare/non fare, il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto; l’esecuzione forzata per consegna/rilascio, il giudice del luogo dove si trova il bene. Per l’espropriazione forzata dei crediti bisogna distinguere: a) è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore, se il debitore esecutato è una pubblica amministrazione; b) è competente il giudice del luogo dove risiede il debitore esecutato in ogni altri caso. (distinzione stabilita dal legislatore al fine di evitare un’eccessiva concentrazione sul Tribunale di Roma delle espropriazioni di crediti quando il debitore è una pubblica amministrazione. La competenza territoriale (orizzontale) è INDEROGABILE dalla volontà delle parti (art 28 cpc). L’incompetenza è rilevabile d’ufficio dal giudice e anche dall’ufficiale giudiziario. Questa competenza non deve essere confusa con la competenza per le cause di cognizione incidentali all’esecuzione (che sono veri e propri processi di cognizione). Art 17 stabilisce la competenza per valore; art 27 la competenza territoriale. Tutti i processi incidentali all’esecuzione forzata sono decisi dal giudice monocratico. COMPOSIZIONE dell’ UFFICIO ESECUTIVO L’ufficio esecutivo è composto da uno o più giudici ai quali vengono attribuite le mansioni di giudice dell’esecuzione (anche il cancelliere fa parte dell’ufficio esecutivo). Nel processo esecutivo assume un ruolo importante (molto di più rispetto al ruolo che ha nel processo dichiarativo) l’ufficiale giudiziario che, in alcune forme di esecuzione forzata, è l’unico soggetto a svolgere attività. Le mansioni affidate al giudice dell’esecuzione e all’ufficiale giudiziario variano a seconda dei vari procedimenti (vedremo volta per volta che cosa compiono l’uno e l’altro). Abbiamo finito di esaminare i profili comuni a tutte le forme di esecuzione forzata. Adesso vediamo la tutela esecutiva per i CREDITI PECUNIARI, cioè l’ ESPROPRIAZIONE FORZATA È disciplinata dal Titolo II del Libro III. Il fondamento dell’espropriazione forzata sta nel Codice Civile, nell’art 2740 (punto di vista del debitore) che va letto insieme all’art 2910 (punto di vista del creditore). In queste due norme sta la regola secondo cui i beni del debitore rispondono dell’adempimento delle obbligazioni e quindi il creditore ha il potere di farli espropriare. Art 2740 disciplina cioè la RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE del debitore , la quale costituisce il fondamento di ogni forma di espropriazione forzata. Per poter concepire un principio come la responsabilità patrimoniale occorre affermare la prevalenza del credito sulla proprietà e che quindi i beni del debitore sono assoggettati al potere del creditore (questo risultato è frutto di un’evoluzione secolare. I sistemi antichi concepivano la possibilità che il creditore potesse soddisfarsi sulla persona del debitore ma non sui suoi beni); art 2910 (norma speculare al 2740, vista dal lato del creditore) attiene al tipo di potere che il creditore ha sui beni del suo debitore, stabilendo che il creditore può far espropriare i beni del debitore (non espropriare): cioè il creditore non ha un diritto sostanziale sui beni del debitore , bensì ha un diritto processuale verso lo Stato a che lo Stato eserciti il suo potere espropriativo nei confronti del debitore. Quindi si crea un triangolo fra CREDITORE – DEBITORE – STATO: - lo Stato  ha verso il debitore il potere pubblicistico di espropriare - il creditore  ha verso lo Stato il diritto processuale di ottenere che questo eserciti il suo potere di espropriare + e verso il debitore il diritto sostanziale di credito. - Il debitore  risponde dei suoi debiti con i propri beni (non nel senso che i beni non sono suoi bensì) nel senso che i beni sono soggetti al potere espropriativo dello stato, esercitato allorquando lo richieda un creditore che ne ha diritto. Il processo di espropriazione è forse il più complesso di tutti perché passa necessariamente attraverso 3 momenti indispensabili e (di solito) non sostituibili: 1) Individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore Quando l’art 2740 stabilisce che il debitore risponde con tutti i suoi beni ovviamente non fa riferimento al bene materiale bensì al diritto sul bene materiale! Oggetto dell’espropriazione forzata non è il bene materiale, bensì è il diritto che il debitore ha sul bene (non un diritto generico su tutti gli elementi attivi del patrimonio, bensì) un diritto specifico e concreto del creditore su singoli ed individuati elementi attivi del patrimonio del debitore; 2) Trasformazione del diritto pignorato (= liquidazione ) L’elemento attivo, come individuato e conservato, deve essere liquidato (cioè trasformato in una somma di denaro). La liquidazione ovviamente non è necessaria quando oggetto del pignoramento è la proprietà del debitore su una somma di denaro (che è già liquido). 3) Distribuzione del ricavato il diritto del debitore oggetto del pignoramento viene liquidato in denaro e con tale somma di denaro viene pagato il creditore. Questa ultima fase non è possibile quando non viene realizzata la liquidità, quando la fase di liquidazione non dà un risultato utile (ad es perché non si trova nessun soggetto che acquista il bene pignorato) e allora la distribuzione non può avere luogo.  Dunque il processo di espropriazione opera giuridicamente sull’elemento attivo del patrimonio del debitore, individuando, conservandolo, liquidandolo e infine distribuendo il ricavato al creditore. L’espropriazione è più complessa delle altre forme di tutela esecutiva perché entrano in gioco due situazioni sostanziali: - Il diritto del creditore da tutelare e - Il diritto del debitore, cioè elemento attivo del patrimonio del debitore che deve essere individuato, conservato, liquidato. Alla fine del processo di espropriazione, se tutto è andato bene, il diritto di credito viene soddisfatto e il diritto del debitore (cioè l’elemento attivo del suo patrimonio) di cui prima egli era titolare, dopo l’espropriazione è nella titolarità di un terzo (che ha acquistato il diritto sul bene)! L’espropriazione si differenza dall’esecuzione in forma specifica (che opera su una sola situazione sostanziale, cioè solo sul diritto che deve essere tutelato) proprio perché opera su due situazioni sostanziali! L’esecuzione si deve adattare al diverso modo di circolazione dei diritti sul piano del diritto sostanziale: esistono infatti 3 diverse forme di espropriazione forzata 1. per i beni mobili 2. per i beni immobili 3. per i crediti il nostro ordinamento poi prevede altre due forme speciali di espropriazione per ipotesi particolari: si ha l’espropriazione di beni indivisi (quando oggetto dell’esecuzione è la contitolarità di un diritto su un bene); l’espropriazione contro il terzo proprietario esecutato ma non debitore (quando si ha il particolare fenomeno della responsabilità senza debito, art 2910 comma 2 cc: “possono essere espropriati anche beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia”). Il PIGNORAMENTO (art 491) = È l’atto iniziale dell’espropriazione forzata. Il processo esecutivo comincia con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto; l’espropriazione, invece, inizia col pignoramento, che è l’atto col quale si individuano e conservano i diritti del debitore sottoposti a espropriazione . Gli elementi patrimoniali, per essere espropriabili, devono essere TRASFERIBILI sul piano del diritto sostanziale (un diritto non trasferibile NON è pignorabile perché non può essere venduto né volontariamente né coattivamente. Ad es il diritto di uso e abitazione sono intrasferibili quindi anche impignorabili). Ai sensi dell’art 492 bis cpc il creditore procedente (o un altro creditore munito di titolo esecutivo) una volta decorso il termine dilatorio (previsto dall’art 482) deve innanzitutto munirsi dell’ autorizzazione del presidente del tribunale del luogo ove il debitore ha la residenza/domicilio/dimora/sede presentando un’istanza ed esibendo un titolo esecutivo . Il tribunale deve verificare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (nello stesso modo in cui questo diritto viene verificato dall’ufficiale giudiziario, cioè) attraverso l’esame del titolo esecutivo documentale. Dopo di che, il presidente del tribunale autorizza l’ufficiale giudiziario a procedere alla ricerca telematica. (in realtà si tratta di una autorizzazione superflua perché la verifica del presidente del tribunale circa l’esistenza del titolo esecutivo non può essere più approfondita di quella fatta dall’ufficiale giudiziario; inoltre, non si vede come il presidente del tribunale possa negare l’autorizzazione una volta appurato che l’istante ha un titolo esecutivo) = dunque, questa autorizzazione diviene un passaggio inutile e costoso (perché occorrerà pagare un contributo unificato. Ottenuta l’autorizzazione, l’ufficiale giudiziario accede a tutte le banche dati tenute dalle pubbliche amministrazioni o alle quali esse possono accedere (registri immobiliari, beni mobili registrati, anagrafe tributaria compreso l’archivio dei rapporti finanziari e le banche dati degli enti previdenziali dalle quali si potrà ricavare l’esistenza degli elementi attivi del patrimonio del debitore nei confronti delle banche e di altri istituti finanziari. Una volta individuati gli elementi attivi del patrimonio, l’ufficiale giudiziario può immediatamente procedere al pignoramento degli stessi oppure indicarli al creditore affinché questo faccia una scelta fra i più elementi attivi. Abbiamo terminato di esaminare le disposizioni generali sul pignoramento, dunque adesso vediamo le singole fattispecie di: a. Pignoramento mobiliare b. Pignoramento immobiliare c. Pignoramento dei crediti A) PIGNORAMENTO MOBILIARE (art 513 ss cpc) La richiesta di effettuare il pignoramento mobiliare viene fatta dal creditore procedente all’ufficiale giudiziario in forma libera che, di solito, è orale. Oggetto del pignoramento sono i diritti del debitore esecutato sul bene. Pignorabile è il dritto di proprietà e qualunque altro diritto reale minore che sia trasferibile. L’art 2740 prevede la responsabilità patrimoniale in relazione a situazioni sostanziali appartenenti al patrimonio del debitore. Ai fini del pignoramento non c’è bisogno di accertare previamente che il debitore abbia la proprietà del bene, bensì c’è bisogno di accertare l’ APPARTENENZA (elemento processuale rilevante soltanto nel processo esecutivo) = la cui nozione si ricava dalla dislocazione spaziale dei beni mobili che si trovano collocati in beni immobili di cui il debitore esecutato ha la diponibilità . Tutte le volte in cui l’appartenenza non coincide con la proprietà del bene si può utilizzare lo strumento idoneo a far valere la non coincidenza fra il diritto processuale (per il quale è rilevante l’appartenenza) e il diritto sostanziale (per il quale è rilevante la proprietà o altro diritto reale trasferibile, del bene) e cioè l’opposizione di terzo (art 619 cpc). L’appartenenza costituisce un criterio di semplificazione che evita di esperire, prima del pignoramento, indagini incerte e difficoltose circa la proprietà dei beni da sottoporre a pignoramento. Dunque bisogna distinguere Oggetto dell’esecuzione = è la titolarità, in capo all’esecutato, di un diritto sostanziale trasferibile sul bene pignorato, Oggetto del processo esecutivo = l’appartenenza del bene mobile. Ovviamente l’ordinamento spera che i due elementi coincidano! Se non coincidono sono previste delle adeguate contromisure. L’art 513 fornisce la nozione fondamentale di appartenenza. Pignoramento DIRETTO a) Possono essere pignorati i beni mobili che si trovano in un bene immobile (casa o altri luoghi) appartenente al debitore esecutato. Non si parla della proprietà di tali beni immobili, bensì della loro mera disponibilità materiale da parte del debitore, a prescindere dal titolo che legittima tale disponibilità. b) Su ricorso del creditore, il giudice può autorizzare il pignoramento mobiliare anche in relazione a beni che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore ma dei quali egli può direttamente disporre senza che colui, al quale l’immobile appartiene, possa rifiutare all’esecutato di disporre direttamente di tale bene mobile (ad es l’autovettura nella rimessa, valori nella cassetta di sicurezza della banca) c) L’ufficiale giudiziario sottopone a pignoramento le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli. Cioè, della cosa mobile il debitore non ha disponibilità materiale perché tale cosa è nel possesso o nella detenzione di un terzo (ad es a titolo di locazione, comodato, deposito). Le possibilità in questi casi sono due: - o il terzo riconosce volontariamente che il bene posseduto è di proprietà del debitore esecutato e ne consente il pignoramento; oppure - se il terzo rifiuta il consenso al pignoramento diretto, diviene necessario ricorrere al pignoramento presso terzi in quanto occorre accertare la proprietà del bene mobile in capo al debitore nel contraddittorio del terzo detentore/possessore. LIMITI al pignoramento - artt 514-516 indicano una serie di cose mobili in relazione alla quale la pignorabilità è assolutamente o parzialmente esclusa oppure consentita in condizioni particolari di tempo (sono norme riguardanti beni di primaria necessità per il debitore e/o di scarso valore economico). Le questioni che nascono riguardo la pignorabilità o meno dei beni danno luogo all’opposizione all’esecuzione (art 615, comma 2). INDIVIDUAZIONE dei BENI Il pignoramento mobiliare si svolge tramite la ricerca dei beni mobili nei luoghi previsti dall’art 513 e nei limiti stabiliti dagli artt 514-516 dall’ufficiale giudiziario. Sono irrilevanti eventuali affermazioni del debitore esecutato circa la non corrispondenza fra appartenenza e proprietà (cioè se anche il debitore afferma che i beni che si trovano in quei determinati luoghi non sono suoi, questo non esime l’ufficiale giudiziario dal procedere lo stesso a pignoramento, eccetto che il creditore, presente al pignoramento stesso, non decida di rinunciare perché convinto della fondatezza delle affermazioni del debitore. Il debitore non è legittimato a far valere diritto altrui, spetta a chi si afferma proprietario dei beni tutelati tutelare il proprio diritto nella forma prevista dal processo esecutivo (cioè tramite l’opposizione di terzo, 619 cpc). SCELTA dei BENI Art 517: l’ufficiale giudiziario deve preferire i beni di maggior valore e di più sicura realizzazione (denaro, oggetti preziosi, titoli di credito) e al di fuori di tali beni deve scegliere le cose che possono essere liquidate più facilmente. La quantità dei beni pignorati deve corrispondere ad un presumibile valore di realizzo pari all’entità del credito indicato nel precetto, aumentato della metà. DESCRIZIONE e CUSTODIA  l’ufficiale giudiziario, man mano che individua i beni, li descrive mediante rappresentazione fotografica o altro simile strumento, con l’assistenza di uno stimatore: l’ufficiale prima effettua un provvedimento provvisorio, poi interviene lo stimatore che può accedere al luogo dove si trovano i beni pignorati. Una volta effettuata la stima, l’ufficiale giudiziario procede al pignoramento definitivo e trasmette copia del verbale di pignoramento al creditore e al debitore che lo richiedono. Art 518, comma 7: ricorrendo al giudice, il creditore può ottenere un riesame delle valutazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento; art 540 bis: qualora, all’esito della vendita, la somma ricavata non sia sufficiente, il giudice dell’esecuzione, su istanza di uno dei creditori, ordina l’integrazione del pignoramento. Così i beni pignorati vengono venduti senza che sia necessaria un’altra istanza di vendita. Al pignoramento può partecipare il creditore a proprie spese. Dopo aver redatto il verbale di pignoramento, l’ufficiale giudiziario provvede ad asportare i beni per collocarli in un deposito (esportazione fatta al fine di evitare che il bene mobile venga sottratto all’esecuzione). Art 521: non può essere nominato custode il creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore, né il debitore o familiari conviventi con lui senza il consenso del creditore. Infatti, dato che i diritti sui beni mobili sono acquistabili a titolo originario ex art 1153 cc, colui che ha la materiale disponibilità del bene è in grado, consegnando il bene mobile all’acquirente in buona fede in base ad un titolo astrattamente idoneo, di far acquistare a costui un diritto prevalente su quello del creditore. Ecco perché il bene mobile deve essere custodito da una persona fidata! Art 521 bis PIGNORAMENTO di AUTOVEICOLI , motoveicoli, rimorchi (che sono beni mobili registrati, ciò significa che il pignoramento si effettua come per gli immobili, cioè tramite un atto notificato e poi trascritto. Quindi non è necessario apprendere materialmente il bene, come accade riguardo gli altri beni mobili). È necessaria invece l’apprensione La liberazione è disposta dal giudice dell’esecuzione quando - non autorizza l’esecutato a continuare ad abitare l’immobile - revoca l’autorizzazione ad abitare l’immobile concessa in precedenza - e in ogni caso quando pronuncia il provvedimento di aggiudicazione o assegnazione . Il custode allora provvede alla liberazione in via amministrativa cioè utilizzando i propri poteri autoritativi e se necessario con l’ausilio della forza pubblica. Se l’immobile è nella disponibilità di un terzo il cui diritto è opponibile all’esecuzione, questo terzo può proporre l’opposizione agli atti esecutivi per far accertare l’esistenza e l’opponibilità del proprio diritto ed evitare quindi il rilascio del bene. Si tratta di ipotesi in cui l’ufficio esecutivo non si è accorto della presenza del terzo oppure ritiene che il titolo del terzo non sia opponibile all’esecuzione. (esempio: tizio debitore esecutato ha concesso il bene immobile in locazione a caio in data anteriore al pignoramento. Tuttavia l’ufficio esecutivo ritiene il contratto di locazione non opponibile all’esecuzione perché non ha data certa. Caio invece sostiene che l’atto ha data certa e allora propone opposizione agli atti esecuti contro il provvedimento di liberazione dell’immobile). Da notare che qui, per la prima volta, troviamo l’utilizzazione dell’opposizione agli atti esecutivi per risolvere (NON una controversia di diritto processuale come accade di solito, bensì) una controversia di diritto sostanziale! A) Pignoramento dei CREDITI Qui l’ordinamento non si accontenta della semplice affermazione del creditore e non è sufficiente neppure quell’indice di appartenenza (che forma il presupposto del pignoramento mobiliare) bensì il legislatore istituisce un meccanismo variegato che può avere una diversificata disciplina. Se il debitore è solvibile, il pignoramento dei crediti è la forma più sicura e meno dispendiosa di espropriazione forzata alla quale si deve ricorrere di preferenza! Tuttavia, vi sono dei limiti alla pignorabilità dei crediti (art 545). ATTO di pignoramento  (art 543) il pignoramento dei crediti si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere l’indicazione di - Credito per il quale si procede - Titolo esecutivo - Precetto - Somme e cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato Inoltre, nell’atto di pignoramento, deve essere fissata un’ udienza dinanzi al tribunale competente e deve essere indicato l’indirizzo di pec (posta elettronica certificata) del creditore procedente (o meglio del suo difensore). Art 26 bis, comma 2 cpc: competente è il giudice del luogo dove il debitore esecutato ha residenza/ domicilio/dimora/sede (eccezionalmente, se il debitore è una pubblica amministrazione è competente il giudice dove il terzo debitore ha residenza/domicilio/dimora/sede, al fine di evitare che si concentrino sul tribunale di Roma la maggior parte dei pignoramenti contro la pa). Il debitore esecutato viene citato a comparire all’udienza fissata, mentre il terzo debitore è invitato a rendere la dichiarazione di cui all’art 547 mediante raccomandata o pec da inviare al difensore del creditore entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di pignoramento (cioè deve specificare di quali somme/cose è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire pagamento/consegna). Inoltre deve essere avvertito delle conseguenze della sua eventuale inerzia. Con la NOTIFICA dell’atto di pignoramento si producono tutti quanti gli effetti del pignoramento. Tale produzione degli effetti, però, è provvisoria e condizionata al completamento del procedimento che illustreremo . L’atto di pignoramento contiene l’ingiunzione al debitore di non disporre del bene (ai sensi dell’art 492). La posizione del terzo debitore , dal momento in cui gli viene notificato il pignoramento, è quella di CUSTODE = egli non deve più adempiere nei confronti del debitore esecutato (l’eventuale adempimento è inopponibile al creditore procedente e quindi il terzo sarebbe costretto a ripetere l’adempimento al creditore). Vi è però un limite agli effetti del pignoramento: il credito dell’esecutato è pignorato per l’entità massima del 150% della somma oggetto del pignoramento. Dunque, se il credito pignorato è superiore a tale identità, il terzo non è soggetto agli obblighi di custodia per la parte eccedente! L’ulteriore sviluppo del procedimento di pignoramento dei crediti differisce a seconda che il terzo debitore renda o meno una dichiarazione conforme a quanto il creditore ha affermato nell’atto di pignoramento: - Se il terzo rende una dichiarazione conforme a quanto affermato dal creditore nell’atto di pignoramento, il pignoramento si perfeziona e si consolidano gli effetti che si erano provvisoriamente prodotti con la notifica dell’atto di pignoramento; invece, - Se il creditore non riceve risposta dal terzo/riceve risposta non conforme e dichiara ciò all’udienza, il giudice, con ordinanza, fissa un’ udienza successiva (ordinanza che viene notificata al terzo almeno 10 giorni prima della nuova udienza fissata)  Dunque vediamo che il pignoramento dei crediti costituisce una FATTISPECIE a FORMAZIONE PROGRESSIVA: gli effetti si producono provvisoriamente dal momento della notificazione dell’atto di pignoramento e sono condizionati al perfezionamento della fattispecie. Se invece la fattispecie non si perfeziona , gli effetti sono eliminati retroattivamente (vengono meno anche quegli effetti provvisori che si erano prodotti fino all’udienza)!!! Quindi cosa succede se il terzo rende una dichiarazione NON CONFORME (oppure non la renda proprio) a ciò che il creditore procedente ha affermato nell’atto di pignoramento? (con questo si intende l’ipotesi in cui il terzo rimanga inerte oppure renda una dichiarazione non conforme) per capire bene la disciplina che è stata introdotta nel 2012 bisogna esaminare brevemente la Disciplina previgente  nella versione originaria del cpc del 1942 il terzo debitore era sempre chiamato a partecipare all’udienza per rendere la dichiarazione, motivo per il quale la competenza era sempre determinata dalla residenza del terzo debitore (per facilitare la sua presenza all’udienza). se il terzo si presentava e rendeva dichiarazione conforme, il giudice assegnava il credito; se invece il terzo non si presentava oppure presentandosi taceva/rendeva dichiarazione non conforme, il creditore procedente aveva l’onere di proporre una domanda di accertamento dell’obbligo del terzo, domanda che sospendeva automaticamente il processo esecutivo ed apriva un processo di cognizione al termine del quale poteva accadere che l’obbligo del terzo fosse accertato Esistente  pignoramento si perfezionava Inesistente  processo esecutivo si estingueva ed il pignoramento perdeva effetti (trattandosi di una fattispecie a formazione progressiva che non si era completata).  Dunque nell’espropriazione dei crediti il pignoramento si perfezionava alternativamente sulla base di una sentenza di accertamento oppure in base alla dichiarazione del terzo debitore di natura confessoria e che valeva (come vale tutt’oggi) ad accertare l’esistenza del diritto del debitore oggetto del pignoramento. Quindi l’accertata esistenza del credito pignorato si raggiungeva o tramite dichiarazione del terzo conforme all’atto di pignoramento del creditore procedente oppure se difforme non contestata dal creditore oppure in virtù di una sentenza. Dunque quando il creditore, a fronte dell’eventuale inadempimento del terzo, fosse stato costretto a procedere ad esecuzione forzata contro di lui, il terzo avrebbe potuto, per negare l’esistenza del proprio debito, solo allegare fatti modificativi/estintivi successivi alla sua dichiarazione o all’udienza di precisazione delle conclusioni del processo da cui era scaturita la sentenza che aveva accertato il suo credito. L’ordinanza di assegnazione del credito era sottoponibile all’opposizione agli atti esecutivi solo per i vizi processuali della stessa (NON per contestare l’esistenza del credito pignorato); la riforma del 2012 si innesta proprio qui. Riforma del 2012  (art 548 comma 2) il legislatore allora ha previsto che Se il terzo non invia la sua dichiarazione e neppure si presenta all’udienza e il creditore dichiara che non ha ricevuto la dichiarazione del terzo, il giudice fissa un’altra udienza alla quale il terzo è invitato a comparire. Se il terzo non si presenta nemmeno a questa udienza oppure presentandosi rifiuta di fare la dichiarazione, allora “il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, se l’allegazione del creditore consente di identificare il credito o i beni appartenenti al debitore e in possesso del terzo” = la parte in corsivo significa che l’ordinanza in questione ha l’ efficacia propria di un atto esecutivo (non può produrre efficacia di accertamento in ordine all’effettiva esistenza dell’obbligo del terzo!), quindi il terzo potrà sempre contestare di non essere debitore attraverso un processo dichiarativo! Resta da chiarire questo: nei processi dichiarativi idonei a risolvere, fra creditore assegnatario e terzo assegnato, la controversia relativa all’effettiva esistenza del credito oggetto di assegnazione c’è anche l’opposizione all’esecuzione instaurata dopo l’ordinanza di assegnazione? tipo di credito si tratti, né di che entità esso sia! Il credito può comunque essere assegnato a Tizio per 1000euro più le spese del processo esecutivo). Le cose, invece, cambiano per i BENI  poiché essi, una volta perfezionato il pignoramento, dovranno essere prelevati dal terzo e venduti, quindi occorre sapere con esattezza quali sono i beni!! (esempio: altrimenti come può il delegato alla vendita prelevare nel magazzino del terzo pieno di beni mobili, il bene mobile di proprietà del debitore esecutato?) Quindi, riguardo i beni, oltre che per la contestata dichiarazione, anche in caso di mancata dichiarazione può essere necessario individuare preventivamente il bene. Gli EFFETTI CONSERVATIVI del PIGNORAMENTO La disciplina è contenuta nel Codice Civile per tradizione storica. La disciplina che stiamo per esaminare (come quella degli effetti sostanziali della vendita, che vedremo) è comune all’espropriazione singolare, alle esecuzioni concorsuali e alle espropriazioni speciali. Per capire meglio i meccanismi occorre individuare i pericoli che il creditore corre per il fatto che la tutela esecutiva che egli richiede non gli è concessa subito, bensì dopo un determinato periodo di tempo. Infatti, non è possibile accordare al creditore la tutela esecutiva che richiede nel momento stesso in cui la richiede: inevitabilmente ci sarà un certo intervallo di tempo fra il pignoramento e la vendita forzata in cui possono verificarsi eventi capaci di pregiudicare la tutela esecutiva richiesta! I pericoli che il creditore corre sono due: 1) Da una parte vi sono le modificazioni della realtà materiale che riguarda il bene su cui cade il diritto pignorato. A tale pericolo si fa fronte tramite la custodia (esempio: sottrazione del bene mobile, danneggiamento del bene pignorato, mancata amministrazione e custodia del bene immobile pregiudicano il diritto del creditore. Per questo motivo il bene viene affidato alla cura di un custode che garantisce la sicurezza del bene stesso); 2) Dall’altra vi sono le modificazioni attinenti alla titolarità del diritto pignorato , attraverso gli atti di disposizione idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito (esempio: se il bene viene alienato, venduto dal debitore esecutato non figurerebbe più nel patrimonio del debitore come elemento attivo e il creditore sarebbe costretto a rinunciare all’esecuzione forzata ed agire su un altro elemento attivo del patrimonio). L’ordinamento fa fronte a questo secondo pericolo modificando la disciplina ordinaria degli atti di disposizione prevedendo una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato dopo il pignoramento! E nell’individuare tale disciplina occorre seguire il principio del MINIMO MEZZO = l’alterazione delle regole ordinarie deve essere contenuta nei limiti strettamente indispensabili per raggiungere lo scopo. Cioè, di fronte alle varie astrattamente possibili alterazioni della disciplina sostanziale ordinaria, bisogna scegliere l’alterazione minima sufficiente a raggiungere lo scopo di tutelare il creditore e che allo stesso tempo altera meno delle altre la disciplina di diritto comune. Dunque esaminiamo gli artt 2912 ss. cc. tenendo conto del fatto che il pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che effettua il pignoramento. Ex art 2912 il pignoramento comprende: le PERTINENZE , gli ACCESSORI e i FRUTTI del BENE pignorato. I frutti (sia civili che naturali) che maturano dopo il pignoramento vengono acquisiti all’esecuzione poiché dal momento del pignoramento il bene viene affidato alla custodia di un soggetto che ha l’obbligo di amministrarlo nell’interesse dell’esecuzione (quindi anche percependone all’uopo i relativi frutti). Al termine dell’espropriazione il custode dovrà rendere il conto. Ex art 1148 cc i frutti sono percepiti dal possessore (cioè la percezione di frutti è una conseguenza della situazione possessoria). Col pignoramento, il debitore pignorato perde il possesso del bene, bene che viene affidato ad un custode (e se anche il custode è il debitore stesso, egli non esercita più il possesso come espressione di un diritto reale bensì esercita la detenzione nell’interesse dei terzi ed è quindi obbligato al rendiconto). Tuttavia, mentre nel pignoramento dei beni MOBILI l’art 513 fa coincidere la disponibilità materiale col pignoramento (cioè i beni mobili pignorati sono quelli che appartengono all’esecutato e col pignoramento esso ne viene spossessato); riguardo i beni immobili, è possibile che il pignoramento vada a ricadere su beni di proprietà dell’esecutato ma di cui l’esecutato non ha il possesso (perché il pignoramento immobiliare non presuppone che il bene immobile sia posseduto dall’esecutato). In tal caso, l’esecutato non perde il possesso dell’immobile (semplicemente perché non lo aveva nemmeno prima) e quindi l’art 2912 non può operare e gli eventuali frutti continuano ad essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione!! Quindi, se il bene IMMOBILE pignorato - È in possesso dell’esecutato  si applicano le norme sulla custodia = Il debitore esecutato diventa custode del bene coi relativi obblighi ex art 2912 cc + i frutti maturati dopo il pignoramento vengono percepiti dall’esecutato solo materialmente perché poi in realtà egli deve conservarli nell’interesse dell’esecuzione! - È in possesso di terzi  il debitore esecutato NON può diventarne custode perché non ne ha il possesso originariamente e come non percepiva già prima i frutti dell’immobile (perche non ne era in possesso) non li percepirà neppure dopo il pignoramento. Infatti, i frutti, nonostante il pignoramento dell’immobile, continueranno ad essere percepiti dal possessore del bene immobile. POSSESSO del BENE PIGNORATO dunque il debitore esecutato che possiede il bene al momento del pignoramento perde il possesso del bene ! (Se mai ne mantenesse il possesso, ciò avviene a titolo di custodia). Il possesso del bene (non viene acquisito dal creditore procedente, né dall’esecuzione) semplicemente si congela: l’esecutato perde il possesso del bene, possesso che però nessuno acquisterà (nemmeno appunto il creditore procedente perché egli acquista un diritto processuale inidoneo quindi a far sorgere il possesso e non un diritto sostanziale!). il possesso del bene cioè rimane in una specie di limbo fino a che, una volta effettuata la vendita forzata , il bene verrà poi consegnato al soggetto aggiudicatario che acquisterà il possesso del bene (possesso che corrisponde al diritto sostanziale acquistato dall’aggiudicatario in sede di vendita forzata)! INOPPONIBILITA’ degli ATTI di DISPOSIZIONE Ex art 2913 cc gli atti di alienazione dei beni pignorati NON hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente, né degli eventuali creditori che intervengono successivamente nell’esecuzione! Eccetto, però, il possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. Infatti, il debitore esecutato (e più in generale, chi ha disponibilità materiale del bene) potrebbe far nascere a favore di un terzo, a titolo originario, un diritto sul bene pignorato, in base all’art 1153 (acquisto in buona fede di beni mobili a titolo originario). Tale regola vale anche quando all’alienante manca il potere di disporre del diritto (pur essendone titolare, come in questo caso) = cioè l’art 1153 sana sia il difetto di titolarità che un difetto di potere dispositivo!!! Dunque, se il un terzo acquista il bene mobile pignorato e riceve il possesso in buona fede (cioè non sapendo che l’alienante dante causa non aveva il potere di disporre di quel bene) acquista un diritto che è opponibile anche al creditore procedente (quindi che travolge gli effetti del pignoramento). Di conseguenza, il legislatore, riguardo il pignoramento dei beni mobili, ha posto particolare attenzione alla custodia del bene in quanto il custode dei beni mobili, avendone materiale disponibilità, può sempre sottrarre il bene all’esecuzione consegnandolo ad un terzo di buona fede (facendo così scattare l’acquisto a titolo originario ex art 1153).  Al di fuori dell’art 1153, qualsiasi atto di alienazione dei beni pignorati effettuato dal debitore esecutato NON ha effetti in pregiudizio del creditore pignorante !!! E dato che la regola 1153 rimane valida, il legislatore ha previsto particolari regole per la custodia dei beni mobili. Evidentemente il pregiudizio al creditore si verifica perché fra il pignoramento e la vendita decorre necessariamente un lasso di tempo. Gli strumenti che l’ordinamento ha astrattamente a disposizione sono svariati. - Si potrebbe qualificare come nullo l’atto di alienazione del bene pignorato (l’acquirente non ne diverrebbe proprietario perché l’atto non produrrebbe alcun effetto) ma tale soluzione è esagerata, viola il prn del minimo mezzo! - Un secondo meccanismo potrebbe essere l’inefficacia relativa sostanziale dell’atto di alienazione (che sarebbe efficace nei confronti dei terzi ma inefficace nei confronti del creditore procedente per il quale la proprietà rimarrebbe del debitore esecutato) ma anche questa soluzione si rivela eccessiva perché l’atto di disposizione deve avere effetti sul piano del diritto sostanziale anche nei confronti del creditore procedente! L’importante è che non abbia effetti sul piano del diritto processuale (cioè all’interno del processo esecutivo, in particolare nel processo di opposizione ex art 619 che l’acquirente del bene pignorato eventualmente propone per chiedere la liberazione dal pignoramento del bene da lui acquistato). - In realtà la regola giusta da seguire è quella dell’ INEFFICACIA RELATIVA PROCESSUALE dell’atto di alienazione del bene pignorato, che trasferisce efficacemente la proprietà sul piano sostanziale erga omnes (anche nei confronti del creditore procedente) ma tale trasferimento di proprietà non è idoneo a fondare un’opposizione di terzo (art 619cpc)!!! Una volta venduto il forzatamente il bene, subentra l’art 2919 cc (lo vedremo) l’art 2913 cc estende l’inopponibilità degli atti di disposizione del bene pignorato anche ai creditori che intervengono nell’esecuzione. Stabilisce cioè che il pignoramento è un VINCOLO “A PORTA forzata l’assegnatario-acquirente del bene riceverà in consegna il bene e instaurerà un possesso come specchio del suo diritto di proprietà/reale minore che ha acquistato, allora è evidente, per questo motivo, che non può scattare a favore del creditore procedente la fattispecie dell’art 1155 (perché il creditore col pignoramento non acquisisce il possesso del bene) e allora la posizione del dante causa del debitore esecutato (che ha titolo di data certa anteriore e che non ha conseguito il possesso del bene) continua ad essere prevalente fino alla vendita forzata (perché fino alla vendita forzata?) perché con la vendita forzata poi, l’aggiudicatario acquisisce il possesso del bene che, in base all’art 1155 gli dà un titolo prevalente sull’avente causa del debitore esecutato!!!  Riassumendo: siccome il creditore procedente col pignoramento non acquisisce il possesso del bene mobile, allora prevale, fino alla vendita forzata ( dopo la quale prevale l’ aggiudicatario ) la posizione dell’ avente causa del debitore esecutato che ha un titolo di data certa anteriore al pignoramento, sebbene non abbia conseguito il possesso!!! VINCOLO di INDISPONIBILITA’ Art 2915 detta una disciplina identica a quella che si ha quando un soggetto acquista un diritto sul quale grava un vincolo di indisponibilità (come ad es costituzione di un fondo patrimoniale art 167 cc; cessione dei beni a creditori art 1980 cc). anche in questo caso, Riguardo i beni immobili o mobili registrati  Se il vincolo di indisponibilità è trascritto prima della trascrizione dell’atto di acquisto, allora il vincolo prevale sull’atto di acquisto; se invece è trascritto prima l’atto di acquisto e poi dopo il vincolo di indisponibilità, allora prevale l’atto di acquisto (dunque è rilevante la trascrizione). Riguardo i beni mobili o universalità di mobili invece è rilevante l’atto di data certa anteriore. DOMANDE GIUDIZIALI Più complesso è l’esame dell’art 2915, comma 2. Bisogna far riferimento agli artt 2652 e 2653 cc che prevedono una serie di domande giudiziali soggette a trascrizione per essere opponibili a terzi. La TRASCRIZIONE della domanda giudiziale ha un duplice effetto: un effetto di natura processuale e uno di natura sostanziale. EFFETTI PROCESSUALI Rispetto ai terzi la litispendenza si determina nel momento della trascrizione della domanda. Se la trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto è anteriore alla trascrizione dell’acquisto del terzo contro il convenuto, la posizione dell’avente causa del convenuto è disciplinata dall’art 111 cpc: la sentenza emessa al termine di quel processo (la cui domanda appunto è stata trascritta prima della trascrizione dell’atto di acquisto del terzo) è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto. Il terzo, cioè, non può contestare il contenuto della sentenza emessa contro il suo dante causa! Esempio: Tizio agisce in rivendicazione contro Caio, che vende il bene immobile rivendicato a Sempronio, il quale trascrive il proprio atto di acquisto dopo la trascrizione della domanda di rivendicazione di Tizio contro Caio. La sentenza che dichiara Tizio proprietario del bene immobile è vincolante verso Caio e verso il suo avente causa Sempronio, il quale non potrà, nella successiva lite con Tizio, sostenere di essere proprietario del bene per averlo acquistato da Caio. Invece, se nella medesima vicenda si ha prima la trascrizione dell’atto di acquisto di Sempronio verso Caio e dopo la trascrizione della domanda di rivendicazione di Tizio verso Caio, allora la sentenza tra questi ultimi due NON produce effetti verso l’avente causa Sempronio (il quale è avente causa ante litem e quindi, nel successivo processo contro Tizio, può liberamente affermare che Caio, suo dante causa, era proprietario del bene quando glielo ha venduto)! Adesso mettiamo al posto di Sempronio (acquirente del bene, avente causa di Caio) Mevio (creditore pignorante del bene di Caio): il conflitto fra Tizio (attore in rivendicazione contro Caio) e Mevio (creditore pignorante dello stesso bene contro Caio) si risolve col criterio della priorità delle rispettive trascrizioni: - Se la domanda di Tizio contro Caio è trascritta anteriormente al pignoramento di Mevio contro Caio, la sentenza che accerta la proprietà di Tizio è vincolante verso Caio e anche verso il suo “avente causa” Mevio che è equiparato ad un successore nel diritto controverso (e se nel processo esecutivo ha luogo anche la vendita forzata finale, la sentenza sarà efficace anche nei confronti dell’aggiudicatario Fileno); - Invece, se al contrario il pignoramento di Mevio contro Caio è trascritto prima della domanda giudiziale di Tizio contro Caio, la sentenza fra questi ultimi due non è vincolante contro Mevio (equiparato ad un avente causa ante litem di Caio, come lo era Sempronio nel primo esempio)! E se poi nel processo esecutivo ha luogo la vendita forzata la sentenza non sarà efficace nemmeno contro l’aggiudicatario Fileno. Nella seconda alternativa (trascrizione del pignoramento anteriore alla trascrizione della domanda) si pone un problema specifico connesso al processo esecutivo: Se Tizio (attore) vuole ottenere una sentenza efficace anche contro Sempronio (avente causa ante lite del convenuto Caio) deve instaurare il contraddittorio nei confronti di Sempronio, quindi chiama quest’ultimo a partecipare la processo tramite le tecniche previste (litisconsorzio facoltativo passivo, chiamata in causa). Ma se l’avente causa del convenuto è un creditore procedente (Mevio e non Sempronio), non è possibile proporre la domanda nei modi ordinari (perché l’esecuzione forzata non ha una struttura che prevede un “rappresentante”, come accade nel fallimento col curatore, abilitato a condurre processi con effetti per l’esecuzione). Dato che l’attore (Tizio) non può instaurare un ordinario processo di cognizione contro l’esecuzione forzata, è necessario che egli proponga la propria domanda all’interno del processo esecutivo (come?) tramite l’ OPPOSIZIONE di TERZO (ex art 619 cpc) che consente l’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’esecuzione . La domanda, così proposta, ha identico contenuto della domanda che l’attore avrebbe proposto in un processo ordinario di cognizione se l’avente causa fosse stato un acquirente (avente causa, Sempronio) anziché un creditore pignorante (Mevio)! [Altro esempio: Tizio agisce in rivendicazione contro Caio e in mero accertamento contro Sempronio che è creditore di Caio al quale caio ha concesso ipoteca. La domanda di tizio ha ad oggetto la proprietà che fa valere sia contro Caio che contro Sempronio. Se Tizio vuole agire in rivendicazione contro Caio e contro Sempronio (creditore pignorante di Caio) deve fare opposizione di terzo art 619 (con la quale fa valere la sua proprietà verso l’uno e verso l’altro)]. EFFETTI SOSTANZIALI La trascrizione della domanda ha anche effetti sostanziali, ciò accade nelle ipotesi previste dall’art 2652 cc. la priorità della trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto, rispetto alla trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa del convenuto comporta le stesse conseguenze della rivendicazione (cioè la sentenza è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto, il quale non può quindi contestarne il convenuto). Viceversa, se la trascrizione dell’atto di acquisto è anteriore rispetto alla trascrizione della domanda, prevale sul piano sostanziale l’avente causa del convenuto rispetto all’attore! Art 2915, comma 2  se sostituiamo, come prima, all’avente causa del convenuto il creditore pignorante del convenuto, allora l’attore che trova trascritto il pignoramento prima della trascrizione della sua domanda di rivendicazione è pregiudicato solo per il fatto che deve far valere il proprio diritto di proprietà all’interno del processo esecutivo tramite l’opposizione di terzo (art 619 cpc) ma sul piano sostanziale egli NON incontra ostacoli maggiori a far valere il proprio diritto all’interno del processo esecutivo rispetto a quando lo fa valere contro il debitore in un ordinario processo di cognizione! Altrettanto però non accade quando il creditore pignorante (che è equiparato ad un avente causa del debitore esecutato) abbia acquistato in virtù della trascrizione del pignoramento una situazione sostanziale prevalente su quella dell’attore ! Cioè Nelle stesse ipotesi in cui l’avente causa del convenuto che ha trascritto il proprio titolo prima della trascrizione della domanda acquista sul piano sostanziale una posizione che l’attore non può più attaccare, anche il creditore pignorante del convenuto con la trascrizione del pignoramento acquista una posizione inattaccabile da parte dell’opponente attore (questo non ha, sul piano sostanziale, la possibilità di vincere l’opposizione di terzo ex art 619 cpc, tale opposizione sarà rigettata)!!! esempio: il 17 dicembre è trascritto il pignoramento di Sempronio contro Caio. Il 18 dicembre è trascritta la domanda di risoluzione del contratto con cui Tizio (attore) ha venduto a Caio (convenuto) il bene pignorato da Sempronio. Sul piano del diritto sostanziale, la posizione di Sempronio (e quindi anche quella dell’aggiudicatario) è divenuta intoccabile da parte dell’attore Tizio, il quale ha diritto al risarcimento del danno nei confronti di Caio ma non può sottrarre il bene all’esecuzione (perché la trascrizione del pignoramento è anteriore rispetto alla sua domanda di risoluzione del contratto). Il creditore pignorante Sempronio (e dopo di lui l’aggiudicatario) ha la stessa posizione di intangibilità di un avente causa del debitore esecutato! E quindi se anche l’attore Tizio facesse opposizione di terzo all’interno dell’esecuzione, tale opposizione verrebbe rigettata perché il creditore pignorante ha trascritto il pignoramento prima della trascrizione della domanda di risoluzione fatta da Tizio!! Infatti, il pignoramento dà al creditore Sempronio (e dopo di lui all’aggiudicatario) la medesima tutela che l’atto di acquisto dà all’avente causa Tizio del convenuto Caio. (art 493 comma 2) questo istituto viene ripreso dagli artt 524 (per l’espropriazione mobiliare), 550 (espropriazione crediti) e 561 (espropriazione immobiliare) che dettano le modalità con cui si effettua il secondo pignoramento. Esempio: il creditore Caio sottopone un bene immobile di Tizio a pignoramento. dopo il pignoramento ma prima della vendita del bene, Sempronio (altro creditore di Tizio) munito di titolo esecutivo deve scegliere se limitarsi ad intervenire nel processo in corso (ponendo quindi in essere un’attività più semplice e meno costosa) oppure effettuare un pignoramento successivo sul medesimo bene (ponendo in essere invece un’attività più impegnativa e costosa poiché occorre che il creditore notifichi il titolo esecutivo insieme al precetto e compia un secondo pignoramento). Vediamo la differenza fra le due alternative: ipotizziamo che il 13 gennaio si ha il pignoramento di Caio, il 31 gennaio si ha l’intervento di Sempronio nell’esecuzione, il 15 febbraio il debitore esecutato Tizio vede il bene pignorato a Mevio. a) SEMPLICE INTERVENTO del creditore titolato Se il creditore Sempronio interviene semplicemente nel processo esecutivo subisce la stessa sorte dell’esecuzione che è stata iniziata precedentemente dal creditore Caio: - se l’esecuzione iniziata da Caio va in porto senza che il debitore tizio lamenti vizi del pignoramento, allora sempronio non verrà pregiudicato e parteciperà alla distribuzione del ricavato della vendita forzata del bene pignorato; - ma se il pignoramento effettuato da Caio dovesse essere caducato perché viene dichiarato nullo oppure perché il creditore Caio in realtà non era munito da titolo esecutivo idoneo allora ciò pregiudica anche Sempronio intervenuto semplicemente (primo pregiudizio solo processuale ): egli deve ricominciare di nuovo l’espropriazione notificando titolo esecutivo e precetto facendo un nuovo pignoramento e quindi ritardando la soddisfazione del suo credito. Ma se il debitore esecutato Tizio pone in essere un’ alienazione in pendenza del processo esecutivo , il creditore intervenuto Sempronio subisce un pregiudizio anche sostanziale dalla caducazione del pignoramento (fatto inizialmente da creditore Caio) perché L’atto di alienazione effettuato dopo il pignoramento, che non produceva effetti perché inopponibile sia a Caio (creditore procedentne) che a Sempronio (creditore intervenuto), una volta che il pignoramento sia caducato per qualsiasi ragione riespande i suoi effetti!!! Ed il creditore Sempronio, che si era limitato ad intervenire semplicemente nell’esecuzione (mal) promossa da Caio, oltre a non veder soddisfatto il proprio credito, non potrà neppure instaurare un nuovo processo esecutivo sul medesimo bene perché si troverà impedito dall’alienazione effettuata dopo il pignoramento (i cui effetti sono tornati ad essere opponibili perché il pignoramento è caducato)!!! - PIGNORAMENTO SUCCESSIVO Se il creditore Sempronio fa un pignoramento successivo l’eventuale caducazione degli effetti del primo pignoramento non lo pregiudica perché ci sono gli effetti del secondo pignoramento effettuato da lui! Quindi Sempronio può continuare l’esecuzione fondandola sul proprio pignoramento e dal punto di vista Processuale egli non riceve nessun pregiudizio, sostanziale egli non è protetto dagli atti di disposizione che eventualmente intercorsi fra il 13 gennaio e il 31 gennaio, atti che con la caducazione del primo pignoramento acquistano effetti pieni verso tutti e quindi anche nei suoi confronti, però è protetto dagli atti dispositivi successivi al 31 gennaio (data del pignoramento di Sempronio, momento dal quale il suo pignoramento produce gli effetti conservativi).  Quindi, il creditore Sempronio, per decidere se intervenire semplicemente oppure effettuato un pignoramento successivo deve valutare la situazione: se si fida del pignoramento fatto da Caio e dei suoi effetti e crede che le eventuali opposizioni del debitore esecutato Tizio non saranno accolte, allora può tranquillamente intervenire semplicemente; se invece non si fida del pignoramento di Caio, allora per sicurezza compie un intervento successivo nonostante ciò comporti un dispendio di attività e di spese! se sceglie di effettuare un secondo pignoramento, questo pignoramento, oltre ad avere gli effetti ordinari di un pignoramento, vale quale intervento nell’esecuzione in corso (quindi non c’è bisogno che ponga in esse un atto di intervento nell’esecuzione aperta da Caio). = il pignoramento successivo (cioè il secondo pignoramento) NON apre un altro processo esecutivo bensì viene UNITO al pignoramento che già è in corso e vale come intervento. Quanto appena detto vale indubbiamente per tutti i casi in cui l’atto di pignoramento caduca per un vizio proprio o per la mancanza originaria del titolo esecutivo . Ma vale anche per le ipotesi in cui il titolo esecutivo del creditore procedente, sulla base del quale è stato fatto il pignoramento, viene meno successivamente con efficacia ex tunc (retroattiva)? (Esempio: 13 gennaio pignoramento di Tizio contro caio in base ad una sentenza di condanna di primo grado; 31 gennaio intervento di Sempronio che è munito di titolo esecutivo; il 28 febbraio la sentenza di primo grado viene riformata in appello e quindi il titolo esecutivo di Tizio caduca, quindi l’esecuzione non può più andare avanti alla luce del titolo esecutivo di Tizio. Ma può andare avanti sulla base del titolo esecutivo di Sempronio?) Sentenza Cassazione 2014 ha affermato che nei casi di titolo esecutivo originariamente esistente, le vicende relative allo stesso (riforma della sentenza, sospensione dell’esecuzione ecc) che ne producono la sopravvenuta inefficacia NON impediscono la prosecuzione dell’esecuzione da parte del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo , purché ovviamente il suo intervento sia antecedente all’arresto dell’esecuzione a seguito della sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo del creditore procedente iniziale (che nel caso del nostro esempio è Tizio. Sempronio può continuare l’esecuzione). In effetti, se non si vuole rendere inutilizzabile l’istituto dell’intervento semplice del creditore titolato e costringerlo ad effettuare sempre un pignoramento successivo (con spreco di tempo e costi), bisogna necessariamente distinguere fra i Vizi percepibili che il creditore interventore è in grado di percepire/vedere (in quanto attinenti al titolo esecutivo e al pignoramento) e vizi occulti (non percepibili dall’esame degli atti del processo esecutivo, cioè da quel controllo che Sempronio fa per decidere se intervenire semplicemente oppure facendo un secondo pignoramento)!!! La medesima soluzione vale, a fortiori, quando viene accolta un’opposizione all’esecuzione a causa dell’ inesistenza del diritto sostanziale del creditore procedente (dato che al creditore che interviene gli si può far carico di verificare l’esistenza del titolo esecutivo e la validità del pignoramento ma NON anche di verificare che il diritto sostanziale del creditore precedente verso il debitore esecutato esista davvero). Quanto abbiamo appena visto riguardo il pignoramento successivo consente di individuare un principio fondamentale, cioè il Principio del NE BIS IN IDEM = non possono aver luogo processi esecutivi diversi per il medesimo bene pignorato (o meglio, per lo stesso diritto sul bene pignorato) nei confronti dello medesimo debitore. Il processo esecutivo è unico anche se gli effetti di ciascun pignoramento sono autonomi! (infatti il diritto del debitore che viene pignorato, viene trasferito ad un terzo, che paga il denaro, denaro che poi verrà distribuito fra i vari creditori dell’esecuzione. È chiaro che il non ci possono essere più vendite del medesimo bene)  Quindi ci possono essere più processi esecutivi contro lo stesso soggetto per lo stesso credito su beni diversi (= cumulo dei mezzi di espropriazione, lo vedremo); più creditori intorno al medesimo bene all’interno di un unico processo esecutivo (art 493 pignoramento congiunto); ma NON ci possono essere più processi esecutivi per il medesimo bene nei confronti del medesimo debitore esecutato perché non si possono avere più trasferimenti del medesimo bene !!! Se per errore ciò avvenisse e quindi venissero effettuate più vendite forzate: - Per i beni MOBILI  prevale la prima vendita effettuata - Per i beni IMMOBILI, UNIVERSALITA’ di MOBILI, CREDITI  prevale il trasferimento effettuato nel processo esecutivo che ha il pignoramento di data anteriore (anche se il trasferimento è successivo a quelli posti in essere negli altri processi esecutivi aventi data posteriore) Ciò in virtù dell’art 2919 che vedremo. Quando vengono pignorati diritti incompatibili che hanno ad oggetto il medesimo bene, però nei confronti di debitori diversi si pongono diversi problemi Esempio: creditore Caio instaura un processo di espropriazione nei confronti del debitore Tizio pignorando il bene X; il creditore Sempronio, in un processo di espropriazione contror il debitore Mevio pignora il medesimo bene X. Entrambi i processi possono andare avanti perché i diritti che ne sono oggetto sono diversi e vi saranno due vendite (una contro Tizio e una contro Mevio) e quindi due acquirenti in vendita forzata, dei quali però soltanto uno solo acquisterà il diritto perché i due diritti presi in considerazione sono incompatibili (quindi solo uno dei due può esistere)! Il CONTRASTO fra i due soggetti aggiudicatari sarà risolto tramite ritiene fondata l’opposizione, allora il debitore ottiene il vantaggio che la somma di denaro gli verrà restituita perché è al sicuro nelle casse dell’esecuzione. Al contrario, col pagamento di cui al comma 1 (nelle mani dell’ufficiale) c’è il pericolo che il debitore perda il denaro e poi risulti insolvibile di fronte alla sentenza che riconoscerà fondata la ripetizione la ripetizione dell’indebito!  Se il debitore ritiene di non poter proporre, con speranza di buon esito, l’opposizione all’esecuzione, allora è inutile che effettui il versamento di cui al comma 3: tanto vale che effettui il pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario e via. Art 495 CONVERSIONE del PIGNORAMENTO Qui si ha una sostituzione dell’oggetto del pignoramento: originariamente sono stati pignorati i beni del debitore e il debitore sostituisce ai beni pignorati una somma di denaro , cioè realizza ex post ciò che si sarebbe potuto fare fin dall’inizio col meccanismo dell’art 494 comma 3. Però qui bisogna tener conto che, se sono intervenuti altri creditori, la somma che il debitore deve versare non è calcolata solo sulla base del credito del creditore procedente bensì anche in base ai crediti dei creditori intervenuti, perché altrimenti c’è il rischio che la somma poi non basti per tutti. La conversione può essere fatta da qualunque soggetto, non solo dal debitore bensì anche dal terzo che ad es abbia acquistato i beni pignorati. Il procedimento si svolge in due fasi: all’istanza di conversione del debitore (insieme alla quale dev’essere depositata una somma pari ad 1/5 dell’importo dei crediti del creditore procedente e dei creditori intervenuti) segue una prima ordinanza del giudice che determina la somma definitiva da versare e dà un termine al debitore per il versamento del saldo; poi viene fissata un’udienza successiva al termine in questione, per verificare se la somma è stata effettivamente versata: se il versamento è stato fatto, con una seconda ordinanza il giudice dispone la liberazione dei beni dal pignoramento; altrimenti, dispone che il processo esecutivo vada avanti. In tal caso la somma provvisoriamente versata rimane acquisita all’esecuzione. Il giudice può anche autorizzare un pagamento rateale. Art 496, RIDUZIONE del pignoramento Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti di cui all’art 495, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento. l’ipotesi è che siano stati pignorati più beni, altrimenti la riduzione non sarebbe possibile (se è stato pignorato un unico bene non è possibile ridurre a metà il pignoramento; se invece sono stati pignorati più beni il pignoramento può essere ridotto ad un solo bene). Il valore dei beni pignorati deve essere superiore al credito del creditore procedente, ai crediti degli intervenuti ed alle spese. Con la riduzione del pignoramento alcuni beni vengono liberati dal pignoramento e ritornano quindi nella disponibilità del debitore esecutato. Un istituto analogo è previsto dall’art 546, comma 2 cpc: nel caso di pignoramento di una pluralità di crediti nei confronti di più terzi debitori, il debitore può chiedere la riduzione dei pignoramenti o la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi, qualora la somma dei crediti pignorati ecceda l’entità del credito precettato aumentata del 50%. Ultimo istituto da esaminare è La CESSAZIONE dell’EFFICACIA del pignoramento Anzitutto il pignoramento può perdere efficacia se il creditore procedente non iscrive tempestivamente a ruolo il processo esecutivo. Art 518 per l’esecuzione mobiliare Art 543 per l’esecuzione presso terzi Art 557 per il pignoramento immobiliare Stabiliscono che l’ufficiale giudiziario, effettuato il pignoramento, invia gli atti al difensore del creditore procedente, il quale deve depositarne una copia da lui autenticata nel termine indicato in tali norme iscrivendo la causa a ruolo. Altrimenti il pignoramento perde efficacia; inoltre, la cessazione dell’efficacia del pignoramento può derivare dall’art 497: come il precetto deve essere seguito dal pignoramento in un termine minimo di 10 giorni e di massimo 90 giorni, allo stesso modo all’avvenuto pignoramento deve seguire (in un termine di minimo 10 giorni e massimo 45 giorni) la richiesta di liquidazione del bene da parte del creditore (cioè in pratica la richiesta del creditore di passare alla fase successiva. Ovviamente tale fase non ha luogo e quindi la richiesta non è necessaria quando oggetto del pignoramento è un quid che non deve essere liquidato, cioè è una somma di denaro: in tal caso si passa immediatamente alla fase della distribuzione del ricavato. Quando il pignoramento diviene inefficace dobbiamo tener conto dell’art 562 in materia di espropriazione immobiliare, che prevede la cancellazione della trascrizione del pignoramento: se il pignoramento immobiliare perde efficacia, nel registro immobiliare rimane la sua trascrizione anche se è ormai solo apparente. Quindi occorre procedere alla cancellazione della trascrizione dai registri che si effettua trascrivendo un altro atto nel quale si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace. Pertanto la cancellazione è un’operazione meramente giuridica (non materiale): quindi dai registri immobiliari risultano prima la trascrizione dell’atto di pignoramento e poi la trascrizione dell’ordinanza del giudice con cui si dichiara che il pignoramento ha perso efficacia. RINNOVAZIONE dell’esecuzione Abbiamo visto, trattando del diritto controverso, che la trascrizione delle domande giudiziali ha efficacia per 20 anni, prima della scadenza dei quali la trascrizione essere rinnovata altrimenti perde effetti. L’art 2668 ter cc estende alla trascrizione del pignoramento la disciplina della trascrizione delle domande, quindi si prevede che: se l’esecuzione forzata dura più di 20 anni , prima della loro scadenza (a partire dalla trascrizione del pignoramento), l’esecuzione deve essere rinnovata altrimenti la trascrizione perde effetto! Quindi questa norma consente di non tenere conto delle trascrizioni di pignoramenti effettuate oltre 20 anni prima (chi vuole acquistare il bene oppure la banca che vuole concedere un mutuo garantito da ipoteca può disinteressarsi di tali trascrizioni). Sulla base dei principi che abbiamo esaminato risulta chiaro che colui che subisce l’esecuzione in realtà non sta lì a doverla per forza subire e basta, bensì ha a sua disposizione tutta una serie di strumenti, interni al processo esecutivo (coi quali peraltro non si mette mai in dubbio il “se” dell’esecuzione) tramite i quali (non afferma che l’esecuzione non si deve fare bensì), sul presupposto che sussista il diritto del creditore di procedere ad esecuzione, fa sì che il processo esecutivo vada avanti nella maniera più corretta possibile (ad es infatti si è visto che il cumulo dei mezzi dell’espropriazione si ha quando l’espropriazione è eccessiva rispetto al credito; il pagamento all’ufficiale parte dal presupposto che la mancanza del pagamento si farà il pignoramento; la conversione del pignoramento parte dal presupposto che quell’esecuzione deve andare avanti). Infatti, per contestare il se dell’esecuzione, il debitore deve ricorrere ad un processo di cognizione, incidentale all’esecuzione , nel quale si accerta la sussistenza delle condizioni necessarie per poter procedere all’esecuzione forzata (processo separato ma comunque connesso all’esecuzione), all’interno della quale invece si parte dal presupposto che il diritto da tutelare esista e si adegua il processo esecutivo nel miglior modo possibile allo scopo da raggiungere, affinché si abbia la soddisfazione del diritto ma senza eccedere nell’espropriazione. Un altro elemento importante che si può ricavare da alcuni istituti esaminati riguarda i rapporti fra entità del credito e valore dei beni pignorati. Abbiamo visto che il pignoramento è valido anche se è eccessivo: infatti, gli strumenti a disposizione del debitore, conducono alla liberazione dei beni e mai invece alla dichiarazione di nullità del pignoramento e quindi alla caducazione dell’esecuzione. Quindi possiamo dedurre che Le contestazioni del debitore circa l’entità del credito , di cui il creditore procedente chiede la tutela esecutiva, non possono mai condurre alla caducazione del processo esecutivo poiché il pignoramento è valido anche se il credito, in realtà, è inferiore a quello vantato nel precetto. Affinché il creditore abbia diritto di procedere ad esecuzione forzata è necessario che il credito vi sia, non anche che esso abbia una certa entità. Di conseguenza le contestazioni del debitore circa l’entità del credito del creditore procedente possono essere fatte valere non con l’opposizione all’esecuzione bensì con gli altri strumenti che abbiamo visto e altri effetti (riduzione, cumulo, conversione, conversione in sede di riparto ex art 512 cpc). L’INTERVENTO dei CREDITORI Trova il suo fondamento nell’art 2741 cc che va letto congiuntamente all’art 2740 cc. - Art 2741 cc: il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri I creditori che NON rientrano in una di queste categorie non avranno nessuna possibilità di soddisfarsi, a meno che non ricorrano alla TUTELA d’URGENZA (ex art 700 cpc) allegando il pregiudizio imminente ed irreparabile. La scelta che il legislatore ha preso con la riforma tradisce il principio della par condicio creditorum, principio che non è un optional rimesso alla scelta del legislatore bensì costituisce l’attuazione di un preciso principio costituzionale, quello in virtù del quale il processo deve essere strumento di attuazione (e non di distorsione) del diritto sostanziale. (ad es, se il legislatore sostanziale ha stabilito che i crediti per le retribuzioni ai prestatori di lavoro subordinato devono essere soddisfatti prima degli altri crediti, allora il legislatore processuale non può costruire un sistema di tutela esecutiva che, invece al contrario, impedendo a quei creditori di intervenire e favorendo la soddisfazione dei crediti degli imprenditori commerciali, fa sì che i beni del debitore siano utilizzati per pagare i crediti di questi ultimi e non dei primi!)  Dunque, l’innovazione operata dal legislatore della Riforma del 2006 (che ha eliminato la possibilità di intervenire liberamente nell’esecuzione) è, oltre che ingiustificata, anche incostituzionale perché viola un principio fondamentale dei rapporti fra diritto sostanziale e processo!! EFFETTI dell’INTERVENTO sono previsti in generale dall’art 500 cpc, cui si aggiungono Art 526 cpc per i beni mobili; art 564 cpc per i beni immobili. L’art 500 fa riferimento a due conseguenze dell’intervento: 1) Diritto di prendere parte alla distribuzione del ricavato 2) Diritto di partecipare attivamente al processo esecutivo Queste due conseguenze sono assicurate incondizionatamente solo ai creditori che intervengono e che sono muniti di titolo esecutivo . Il creditore munito di titolo esecutivo ha la scelta pregiudiziale consistente nel se - intervenire puramente e semplicemente compiendo un’attività meno costosa e impegnativa (redigere semplicemente un ricorso e depositarlo in cancelleria) oppure - compiere un pignoramento successivo, che comporta un’attività più impegnativa. Se egli opta per l’intervento semplice, dato che è munito di titolo allora ex art 500 può provocare i singoli atti dell’espropriazione (cioè sostituirsi al creditore procedente nel compiere gli atti necessari alla prosecuzione del processo). Invece, se un creditore interviene senza titolo esecutivo può prendere parte alla distribuzione del ricavato solo se si verificano le condizioni previste dall’art 499, comma 6 cpc e, pur partecipando all’espropriazione, non ha il potere di compiere gli atti necessari per far procedere l’espropriazione verso il suo esito finale (cioè la liquidazione del bene). CREDITORE MUNITO di TITOLO ESECUTIVO Art 526 e 564 cpc stabiliscono che i creditori intervenuti partecipano all’espropriazione e, se muniti di titolo esecutivo, possono provocarne i singoli atti. Da queste due norme e dall’art 500 ricaviamo due elementi importanti: il creditore intervenuto ha diritto di partecipare all’espropriazione (quindi diventa parte del processo esecutivo a tutti gli effetti) + se è munito di titolo esecutivo, può provocare i singoli atti dell’espropriazione. L’atto più importante che il creditore intervenuto, munito di titolo, può compiere è l’istanza di vendita (che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10 giorni e non superiore a 45 giorni dal pignoramento. in mancanza di tale istanza il processo esecutivo si estingue). = in sostanza, tutta la fase che va dal pignoramento fino all’avvenuta vendita, richiede il compimento di atti di impulso, i quali possono essere compiuti, oltre che dal creditore procedente, anche da qualunque altro creditore intervenuto munito di titolo esecutivo! (se costoro non coordinano preventivamente la loro attività vi saranno più istanze di vendita e allora in tal caso una delle attività sarà utile mentre le altre superflue). La posizione dei creditori intervenuti e muniti di titolo esecutivo è confermata dall’interpretazione che la giurisprudenza dà dell’art 631 cpc , secondo il quale la mancata comparizione dei creditori intervenuti muniti di titolo a 2 udienze consecutive porta all’estinzione del processo esecutivo. Ebbene, secondo la giurisprudenza costante, per evitare tale conseguenza, all’udienza deve essere presente almeno un creditore munito di titolo esecutivo (se invece all’udienza si presentano solo i creditori non muniti di titolo, allora l’udienza si considera deserta)! Da tener conto che l’art 631 non si applica però all’udienza di vendita, la quale viene effettuata anche se alla relativa udienza i creditori non sono presenti. La distinzione fra creditori con e senza titolo esecutivo vale finché non viene effettuata la vendita: dal momento in cui il bene viene trasformato in denaro si perde la distinzione! Ciò perché: - la fase di distribuzione avviene d’ufficio, senza necessità di impulso di parte - l’art 629 cpc (che disciplina la rinuncia agli atti del processo esecutivo) stabilisce che la rinuncia, se ha luogo prima della chiusura della fase di liquidazione, deve provenire da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo; invece, se la rinuncia ha luogo dopo la vendita, deve provenire da tutti i creditori che sono intervenuti = Da ciò si ricava che, una volta effettuata la vendita, il diritto di procedere ad esecuzione forzata spetta a TUTTI i creditori , anche a quelli non muniti di titolo esecutivo (tant’è che, affinché si abbia l’estinzione del processo, tutti i creditori devono rinunciare al diritto di procedere all’esecuzione. Invece, prima della vendita, è sufficiente la rinuncia dei creditori muniti di titolo e quelli non muniti di titolo vedranno estinguere il processo per rinuncia senza poter far niente). IRRILEVANZA del TITOLO ESECUTIVO DOPO la VENDITA L’irrilevanza del titolo esecutivo dopo la vendita ha fatto sostenere da parte della dottrina che l’espropriazione sarebbe divisa in due fasi: una fase di aggressione del patrimonio del debitore (che inizia col pignoramento e termina con la vendita) e una fase di distribuzione del ricavato della vendita, che avrebbe, a differenza della prima, caratteristiche di diritto sostanziale (cioè i creditori vi parteciperebbero in quanto semplicemente creditori, perché il titolo esecutivo è in questa fase irrilevante). Tuttavia, vi è una norma contraria a tale divisione bifasica dell’espropriazione e soprattutto alla qualificazione della fase distributiva come attività di diritto sostanziale (e non processuale) e che fa concludere che, anche dopo la vendita, siamo ancora in sede di processo esecutivo: è l’art 632 cpc secondo il quale, - se il processo esecutivo si estingue dopo la vendita, questa è inefficace (ciò a tutela di colui che ha acquistato il bene venduto) e la somma ricavata dalla vendita viene consegnata al debitore; - se invece il processo esecutivo si estingue prima della vendita, il debitore ritorna nella piena disponibilità dei beni pignorati.  Dunque, anche dopo la vendita il processo esecutivo prosegue. L’attività di distribuzione del ricavato non avviene per attività di diritto sostanziale, bensì per la presenza del processo esecutivo. Il processo esecutivo comprende sia la fase espropriativa che la fase distributiva ! CREDITORI PRIVILEGIATI C’è una particolare disciplina riguardante i creditori muniti di ragioni di prelazione (che non vanno confusi coi creditori muniti di titolo esecutivo) Art 498 cpc stabilisce che i creditori muniti di ragioni di prelazione devono essere necessariamente avvertiti della pendenza del processo esecutivo (cioè che è stato pignorato il bene sul quale hanno un diritto di prelazione), ma attenzione, non tutti! Devono essere avvertiti di ciò solo i creditori le cui ragioni di prelazione risultano da pubblici registri. Per comprendere la ratio di tale disposizione bisogna tener presente un effetto tipico della liquidazione forzata. Gli effetti della vendita forzata sono tendenzialmente assimilabili agli effetti di una vendita di diritto comune. Tuttavia, sotto alcuni profili la vendita forzata differisce dalla vendita di diritto comune: per antica tradizione, la vendita forzata ha l’effetto di estinguere i diritti di prelazione che gravano sul bene . Dunque, mentre la vendita di diritto comune mantiene tutti i diritti reali di garanzia esistenti sul bene; la vendita forzata invece li estingue (estingue non tutti i diritti reali che vi sono sul bene, bensì solo i diritti reali di garanzia) e il bene passa nelle mani dell’acquirente come libero.  Dunque, proprio perché la vendita forzata ha questo EFFETTO PURGATIVO, i creditori muniti di ragioni di prelazione risultanti da pubblici registri devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo, affinché possano intervenire e far valere sul ricavato della vendita il loro diritto di credito munito di prelazione che hanno su quel certo bene. - Creditori chirografari TEMPESTIVI  vengono soddisfatti (ovviamente dopo i creditori aventi prelazione) in ragione percentuale del loro credito; - Creditori chirografari TARDIVI  vengono soddisfatti invece sul residuo che eventualmente avanza, dopo che siano stati soddisfatti per intero i creditori chirografari tempestivi! Dunque abbiamo 3 categorie di creditori: creditori 1. con diritto di prelazione 2. chirografari tempestivi 3. chirografari tardivi il momento che determina la tempestività dell’intervento è l’udienza che apre la fase di liquidazione (che è la prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione/vendita : ciò significa che, se per caso all’udienza fissata viene effettuato un rinvio ad un’udienza successiva, rilevante è la prima udienza e non quella in cui effettivamente viene autorizzata la vendita): se il creditore chirografario interviene entro tale udienza allora sarà tempestivo; se invece interviene dopo, allora sarà tardivo. Nella PICCOLA ESPROPRIAZIONE MOBILIARE (che si ha quando il valore dei beni pignorati non supera i 20.000 euro) la tempestività dell’intervento è misurata, invece, sull’istanza (precedente) con cui il creditore pignorante chiede che sia fissata l’udienza per determinare la modalità di liquidazione (cioè qui la tempestività è anticipata rispetto a quella dell’espropriazione ordinaria). Nella ESPROPRIAZIONE dei CREDITI è rilevante l’udienza di comparizione delle parti, fissata dal creditore pignorante col ricorso ex art 543 n4 cpc. In tale udienza (lo vedremo), qualora il terzo renda/abbia reso una dichiarazione conforme, ha luogo anche l’assegnazione del credito ed il processo esecutivo si chiude. Quindi, un intervento tardivo nell’espropriazione dei crediti è possibile solo se la dichiarazione del terzo è omessa o contestata , perché solo in tal caso il creditore avrà la possibilità materiale di intervenire, sia pur tardivamente; se invece il pignoramento si perfezione con la dichiarazione conforme del terzo pignorato, allora il termine per intervenire coincide col momento in cui si chiude il processo esecutivo. La ragione per cui il legislatore distingue fra creditori tempestivi e tardivi è la seguente: l’ordinamento, tramite vari istituti, consente al creditore di scegliere liberamente le varie forme di espropriazione e di individuare liberamente i beni da espropriare. Tuttavia, se il creditore esagera nella sua attività di espropriazione, è possibile ricondurre il valore dei beni pignorati all’entità del credito (tramite la riduzione del pignoramento, il cumulo dei mezzi di espropriazione). Come meccanismo inverso invece abbiamo l’estensione del pignoramento che è provocata dall’intervento dei creditori (lo vedremo tra poco). Ma tali meccanismi possono funzionare soltanto nella fase anteriore alla vendita forzata (infatti, il processo esecutivo non arriverebbe mai alla fine se l’entità dei beni pignorati potesse continuamente essere ridotta o ampliata in base ai creditori che intervengono e al valore dei beni) Occorre cioè un momento in cui ci si ferma e tale momento è il momento in cui si passa alla fase della liquidazione : l’intervento successivo a questo momento sconvolgerebbe tutti i calcoli che sono stati fatti sul presupposto che vi è una certa quantità di crediti da soddisfare , col rischio che i beni di cui è stata disposta la liquidazione risultino poi insufficienti per soddisfare i creditori! Per questo motivo allora, dal momento in cui si passa alla liquidazione, l’intervento del creditore chirografario è considerato tardivo e, come tale, viene soddisfatto solo dopo che sono stati soddisfatti i creditori tempestivi, se ci sono, e in ogni caso dopo il creditore procedente. Tale regola non ha ragion d’essere per i creditori aventi prelazione, i quali in ogni caso hanno diritto di esser soddisfatti prima dei creditori chirografari, anche quelli tempestivi. ESTENSIONE del pignoramento Art 499, comma 4 cpc: ai creditori intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha la facoltà di indicare (all’udienza o con atto notificato) l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. Il creditore procedente ha ovviamente pignorato certi beni con riferimento al valore del proprio credito (altrimenti rischia di subire la riduzione del pignoramento). Ma tali beni, che sono sufficienti per il creditore procedente, diventano insufficienti nel momento in cui intervento altri creditori! - Se i beni pignorati costituiscono tutto ciò che c’è di attivo nel patrimonio del debitore, evidentemente si ha una situazione di INCAPIENZA del patrimonio del debitore (e allora si applicano le regole di diritto sostanziale, cioè si ha una soddisfazione proporzionale: si fa una lista dei creditori che devono essere soddisfatti mettendo prima i creditori con prelazione, poi i creditori chirografari in proporzione ai rispettivi crediti); - Ma se, invece, la quantità dei beni pignorati deriva dalla doverosa scelta del creditore procedente (che giustamente ha limitato il pignoramento in relazione all’entità del suo credito) e nel patrimonio del debitore esecutato vi sono altri beni utilmente pignorabili, è chiaro che abbiamo una situazione di CAPIENZA del patrimonio . In questo caso, il creditore procedente può indicare ai creditori intervenuti l’esistenza di altri beni ed invitarli ad estendere il pignoramento (se hanno titolo esecutivo) oppure (se non hanno titolo esecutivo) ad anticipare a lui le spese per effettuare l’estensione col proprio titolo. Una volta che il creditore procedente ha fatto ciò, la palla passa ai creditori intervenuti che, se non rispondono all’invito ad estendere il pignoramento, diventano POSTERGATI al creditore procedente al momento della distribuzione del ricavato !!! (si tratta cioè di una seconda ipotesi di prelazione di natura processuale; la prima è la tardività dell’intervento dei creditori chirografari). Se l’invito è effettuato dal creditore procedente a un creditore intervenuto non munito di titolo esecutivo e quest’ultimo omette di anticipargli le spese necessarie per estendere il pignoramento, il creditore pignorante acquista una prelazione processuale in sede di distribuzione. La VENDITA e l’ASSEGNAZIONE in generale LIQUIDAZIONE  nella seconda fase del processo di espropriazione, il diritto pignorato viene liquidato cioè trasformato in una somma di denaro, in modo da poter soddisfare il creditore procedente ed i creditori eventualmente intervenuti. La liquidazione non è necessaria se il bene pignorato consiste in una somma di denaro: - ex art 517, comma 2 (bene che l’ufficiale giudiziario deve preferire) - nel caso dell’art 494 (cioè quando il debitore ha consegnato una somma di denaro come oggetto del pignoramento) - nel caso dell’art 495 (cioè in seguito alla conversione del pignoramento) In tutti gli altri casi, invece, bisogna ricorrere alla liquidazione! Nel passaggio dalla fase del pignoramento alla fase della liquidazione è fondamentale l’art 501 cpc che prevede un termine minimo di 10 giorni dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita. Considerando che ex art 497 il pignoramento perde effetti una volta decorsi 45 giorni dal giorno in cui viene compiuto senza che sia chiesta l’assegnazione/vendita, allora si deve concludere che  una volta effettuato il pignoramento, ci sono 35 giorni utili per proporre l’istanza di vendita ! Il termine dilatorio di 10 giorni ha due funzioni: - consente al debitore di reagire al pignoramento (ad es con una richiesta di conversione, istanza di riduzione, opposizioni); - dà agli altri creditori un minimo di tempo per poter tempestivamente intervenire nell’esecuzione. Il termine dilatorio di 10 giorni per proporre l’istanza di vendita NON si applica alle cose deteriorabili, per le quali la liquidazione può essere immediata. ISTANZA di VENDITA  Art 529 cpc stabilisce che, decorso il termine dilatorio di 10 giorni, il creditore procedente ed i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. Per proporre l’istanza di vendita, dunque, occorre essere muniti di titolo esecutivo e può essere proposta dal creditore procedente o da qualsiasi altro creditore. Qualora manchi l’istanza di vendita, il pignoramento perde efficacia. I creditori privi di titolo esecutivo aspetteranno di averne uno. I MODI per procedere alla liquidazione sono la vendita e l’assegnazione. Dal punto di vista degli effetti sostanziali non vi è differenza: in entrambi i casi il diritto pignorato si trasferisce ad un altro soggetto. La differenza è di tipo processuale: nella VENDITA  il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell’esecutato può essere qualunque soggetto (anche i creditori), eccetto il debitore esecutato; nell’ASSEGNAZIONE  il diritto viene trasferito ad uno dei creditori (procedente o intervenuto). Cioè è un affare fatto “in famiglia”, fra soggetti che sono già parti del processo esecutivo. L’assegnazione può assumere due configurazioni: - Assegnazione SATISFATTIVA  il creditore si rende assegnatario soddisfacendosi in tutto o in parte del proprio credito attraverso l’attribuzione del diritto pignorato. Dunque si ha un unico atto con un duplice effetto: l’effetto traslativo del diritto pignorato dal debitore al creditore + l’effetto estintivo, totale o parziale, del credito del creditore assegnatario verso il debitore. Questa assegnazione è il corrispondente, sul piano processuale, della datio in solutum sul piano sostanziale (= prestazione in luogo di adempimento = la prestazione originariamente dovuta viene sostituita con una prestazione di natura diversa). Non si ha la fase della distribuzione del ricavato, il procedimento si Quindi, può darsi che all’udienza siano proposte opposizioni agli atti esecutivi oppure che sia ancora in corso il processo sorto da una opposizione proposta prima. Se le parti raggiungono un accordo sulla nullità, la controversia riguardante i vizi dell’atto viene risolta nel modo con cui le prti si sono trovate d’accordo e il giudice, se l’accordo lo consente, può allora procedere a disporre la vendita del bene. Se invece le parti non si mettono d’accordo, il giudice deve decidere le opposizioni agli atti esecutivi prima di disporre la vendita o assegnazione (quindi il provvedimento che dispone la vendita del bene è successivo alla decisione dell’opposizione agli atti esecutivi). PREGIUDIZIALITA’ fra RITO e MERITO Il legislatore ha ritenuto necessario condizionare l’emanazione del provvedimento di liquidazione al previo accertamento dell’inesistenza di nullità del processo esecutivo! (cioè non è possibile andare avanti con la vendita/assegnazione se non dopo aver risolto le questioni relative alla nullità degli atti del processo esecutivo). Ciò costituisce una caratteristica peculiare del processo esecutivo, in relazione alla quale esso si differenzia profondamente dal processo di cognizione e che deriva dalla struttura del processo esecutivo stesso. Infatti, sia il modo con cui si sollevano le questioni relative alla nullità degli atti, sia il coordinamento fra la decisione di tali questioni e i vari provvedimenti esecutivi che vengono emessi devono necessariamente essere diversi da quelli che si hanno nel processo di cognizione. - In relazione alle modalità con cui sono trattate le questioni relative alla nullità degli atti  il processo esecutivo non è un ambiente idoneo a risolvere controversie , quindi bisogna creare un meccanismo idoneo alla decisione e ciò accade con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi; a differenza del processo di cognizione che ha struttura decisoria (nel quale quindi le questioni relative al rito sono trattate e decise insieme alle questioni relative al merito). - In relazione al fatto che non è possibile procedere alla vendita del bene se non dopo aver deciso le controversie relative alla nullità degli atti del processo esecutivo  bisogna tener conto del fatto che Il processo di cognizione si divide in una fase preparatoria (che si svolge senza che si producano effetti extra-processuali) e in una fase decisoria (pronuncia della sentenza, ultimo atto del processo) dunque può accadere che una parte sollevi un’eccezione di nullità relativa ad un atto del processo stesso e niente impedisce al giudice di poter accantonare per il momento la questione dando luogo all’istruzione della causa (es assumendo testimoni, facendo ispezioni ecc). accantonare la questione però non significa dimenticarla, l’accantonamento cioè non pregiudica nessuno (al massimo si sarà svolta inutilmente l’attività di trattazione del merito della controversia) poiché prima di arrivare alla sentenza finale NON vi sono provvedimenti che hanno efficacia stabile al di fuori del processo! L’accantonamento della questione di nullità può valere solo fino al momento della decisione della causa: il giudice, quando pronuncia la sentenza, deve rispettare l’ordine logico impostogli dall’esame delle questioni e deve emettere la sentenza soltanto dopo aver esaminato l’eccezione di nullità e averla trovata infondata! Se invece il giudice trova l’eccezione fondata, ciò costituisce motivo sufficiente per impedirgli l’emanazione della sentenza di merito (se si tratta di questione attinente ad un presupposto processuale) oppure per imporgli di non tener conto dell’atto nullo nel decidere il merito (se si tratta di nullità formale); Invece, nel processo ESECUTIVO, gli atti NON sono tutti preparatori di un atto finale che è l’unico a produrre effetti stabili extraprocessuali! Al contrario, vi sono 2 atti che hanno effetti extra-processuali di merito : la vendita forzata e la distribuzione del ricavato. Di conseguenza, nel processo esecutivo NON è possibile l’accantonamento della questione di rito in attesa del provvedimento finale, perché nel processo esecutivo ha effetti extraprocessuali di merito non solo l’atto finale (distribuzione del ricavato) ma anche un atto intermedio (la vendita forzata)!!! Se è stata eccepita la nullità di un atto del processo esecutivo e si è quindi aperto un processo di cognizione incidentale per accertare l’esistenza o meno di tale nullità, qualora non vi fosse un meccanismo di raccordo fra i due processi (come invece c’è) niente impedirebbe al giudice del processo esecutivo di effettuare la vendita mentre ancora pende il problema delle nullità (ad es nullità dell’atto di pignoramento. cosa che invece non può fare): se poi, dopo che è avvenuta la vendita forzata e magari anche la distribuzione del ricavato, dal processo di cognizione risulta che il pignoramento era nullo e che il processo esecutivo avrebbe dovuto strutturarsi in modo diverso, allora la conseguenza inevitabile è il travolgimento ex post degli effetti sostanziali prodotti dalla vendita del bene e dalla distribuzione del ricavato (e ciò produrrebbe notevoli inconvenienti, soprattutto con riferimento alla vendita del bene perché difficilmente si troverebbe un acquirente disposto a pagare l’effettivo valore del bene se il suo acquisto fosse condizionato all’esito del processo di cognizione. Il prezzo della vendita sconterebbe il rischio della possibile caducazione della stessa).  In sostanza, gli artt 530 e 569 cpc sono espressione del principio secondo cui, prima di poter emettere il provvedimento di merito bisogna essere sicuri che il processo sia corretto dal punto di vista del rito . Se viene sollevata una questione di rito tramite l’opposizione agli atti esecutivi, bisogna decidere la questione di rito prima di emettere la misura giurisdizionale di merito!!! Come il giudice della cognizione  davanti ad una questione di rito e ad una questione di merito, al momento della decisione, deve affrontare prima la questione di rito e poi quella di merito; allo stesso modo nel processo esecutivo  prima di emettere la misura di merito (vendita) occorre decidere (attraverso l’opposizione agli atti esecutivi) la questione di rito!!! Dunque, prima si ha la decisione (con sentenza) dell’opposizione agli atti esecutivi e solo successivamente la pronuncia dell’ordinanza di vendita/assegnazione (quest’ultima solo se la sentenza che decide l’opposizione accerta che l’atto esecutivo è valido; se invece accerta che è nullo, ciò ovviamente impedirebbe l’emanazione dell’ordinanza di vendita/assegnazione, salva un’eventuale rinnovazione dell’atto nullo, se possibile). Gli artt 530 e 569 cpc non prendono in considerazione l’eventuale possibile impugnazione della sentenza che decide circa l’opposizione agli atti esecutivi (perché nella stesura originaria del codice del ’42 quella sentenza era inimpugnabile) ma, in virtù dell’art 111, comma 2 Costituzione la sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è suscettibile di impugnazione in Cassazione . IMPUGNAZIONE della sentenza che rigetta l’opposizione agli atti esecutivi Pronunciata la sentenza che rigetta l’opposizione agli atti esecutivi (che quindi apre la strada alla vendita forzata) ci sono due soluzioni possibili: - O si aspetta il giudicato (cioè che la sentenza non sia impugnata oppure qualora sia impugnata che venga emessa la decisione della Corte di Cassazione); - Oppure ci si attiene alla lettera degli artt 530 e 569 cpc e si afferma sufficiente la sentenza di primo ed unico grado ed irrilevante la sua eventuale impugnazione. La soluzione migliore sembra essere la prima, cioè che occorre attendere il giudicato, per due motivi: in primo luogo perché il silenzio del legislatore non ha nessun significato (quando gli artt 530 e 569 sono stati scritti, la sentenza che decideva l’opposizione agli atti esecutivi era non impugnabile quindi il legislatore non si poneva nemmeno il problema); in secondo luogo, la pregiudizialità fra rito e merito deve essere mantenuta fin tanto che la parte ha diritto di far controllare con l’impugnazione la sentenza che decide circa l’opposizione agli atti (e l’art 111 Cost dice chiaramente che la parte ne ha diritto), quindi ritenere sufficiente la sentenza di primo grado e consentire al processo esecutivo di andare avanti anche in pendenza dell’impugnazione della sentenza significherebbe negare la ratio del meccanismo previsto dagli artt 530 e 569 cpc. Infatti il legislatore ha imposto la preventiva decisione delle questioni di rito per evitare che si procedesse alla vendita quando è ancora incerta la validità del processo esecutivo e quindi che una successiva (alla vendita) dichiarazione di invalidità (ad es del pignoramento) comportasse la caducazione della vendita stessa. Una volta formatosi il giudicato, invece, si potrà andare avanti nei modi previsti dagli artt 530 e 569. STIMA del BENE Dunque siamo arrivati al punto in cui: - O non ci sono opposizioni agli atti esecutivi - O si è raggiunto un accordo - Oppure c’è stata una sentenza passata in giudicato che rigetta le opposizioni. Il giudice dispone con ordinanza la vendita forzata o l’assegnazione (nei casi in cui ciò è possibile) e questo significa anche attribuire un valore al bene che è stato pignorato , cioè stimare il bene . La stima del bene, fino a questo momento, non è mai avvenuta nell’espropriazione dei crediti, presso terzi immobiliare; nell’espropriazione mobiliare si è avuta solo una determinazione provvisoria del valore del bene pignorato (perché al momento del pignoramento l’ufficiale giudiziario, recatosi nei luoghi di cui all’art 513 cpc, ha sottoposto a pignoramento una serie di beni a ciascuno dei quali ha attribuito un valore provvisorio e si è fermato quando, sommando il valore dei beni pignorati, ha raggiunto l’entità del credito per il quale si procede) ma ovviamente la determinazione del valore fatta in quella sede dall’ufficiale giudiziario non può essere vincolante anche per quanto riguarda la vendita! Sarà necessario procedere alla valutazione del bene ad opera di un soggetto competente (stimatore). Ciò è quanto dispongono gli artt 532-535 e 568 cpc. nell’espropriazione singolare del credito, al contrario di quella concorsuale, l’ufficio esecutivo non cura la riscossione del credito: l’unico modo per liquidare il credito è trasferirlo ad un altro soggetto, il quale poi compirà tutta l’attività necessaria per la riscossione. Il trasferimento del credito costituisce, dal punto di vista del diritto sostanziale, una cessione forzata del credito. L’assegnatario è un cessionario che diventa il nuovo titolare del credito. Il terzo debitore diventa a sua volta debitore dell’assegnatario e si applicano tutte le regole della cessione circa l’opponibilità al cessionario delle eccezioni da parte del debitore ceduto (il debitore ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che può opporre ad un cessionario che sia diventato tale in virtù di un atto di diritto sostanziale, secondo le regole del codice civile). Però c’è una differenza: al contrario della cessione di diritto comune che può aver luogo senza alcun previo accertamento dell’esistenza del credito, qui è possibile avere una vicenda pregressa costituita da una dichiarazione di natura confessoria del terzo debitore, dichiarazione alla quale il terzo debitore è vincolato, quindi le eccezioni opponibili dal terzo debitore all’assegnatario non possono contrastare col contenuto vincolante della dichiarazione; (Esempio: il terzo debitore può opporre in compensazione all’assegnatario un controcredito che egli vanta nei suoi confronti; il terzo debitore non può opporre in compensazione all’assegnatario un controcredito che egli vanta nei confronti del debitore esecutato, suo precedente creditore) Invece, se l’assegnazione è avvenuta senza una dichiarazione conforme del terzo debitore (quindi a seguito della sua mancata o contestata dichiarazione ai sensi degli artt 548 e 549) non sussiste nessuna preclusione alle contestazioni del terzo assegnato. Tuttavia, in virtù degli effetti del pignoramento, il terzo debitore non può opporre all’assegnatario o all’acquirente del credito le eccezioni che non può opporre al creditore procedente. Art 553, comma 1 disciplina dei CREDITI SCADUTI/che SCADONO ENTRO 90 giorni Se il credito è scaduto o scade entro 90 giorni, l’ assegnazione è coattiva (cioè non è necessaria la richiesta dell’assegnatario) ed ha luogo “salvo esazione” (cioè la cessione del credito avviene pro solvendo) quindi al momento dell’assegnazione non si estingue il diritto del creditore assegnatario verso il debitore esecutato, bensì tutti e due i diritti di credito rimangono coesistenti. Il creditore assegnatario mantiene i due diritti (uno verso il debitore esecutato e l’altro verso il terzo debitore assegnato) fino al momento del pagamento! Nel momento in cui il terzo debitore assegnato paga il proprio debito al creditore assegnatario, allora automaticamente si estingue anche, per la quantità corrispondente, il credito che l’assegnatario vanta nei confronti del debitore esecutato (dunque se il terzo debitore assegnato è insolvente, sul piano del diritto sostanziale il creditore mantiene intatto il suo credito nei confronti del debitore originario). Art 553, comma 2 disciplina dei CREDITI che SCADONO OLTRE i 90 giorni I crediti che scadono oltre i 90 giorni possono essere assegnati o venduti: - VENDITA del credito  i crediti vengono venduti se nessuno dei creditori ne chiede l’assegnazione. Se il credito è venduto, ciò significa che si trova un soggetto il quale si rende cessionario del credito pagando una somma ovviamente inferiore al valore nominale del credito, perché l’acquirente del credito deve scontare il ritardo nella riscossione e la solvibilità del terzo ceduto: infatti in questo caso la cessione avviene pro soluto (cioè l’acquirente del credito paga subito e un domani che va a riscuotere dal terzo debitore ceduto potrà anche trovare che il terzo debitore è insolvente!).  dunque, quando il credito viene venduto, il terzo acquirente versa una somma di denaro che poi sarà oggetto di distribuzione nei modi ordinari. - ASSEGNAZIONE del credito  il credito viene assegnato se i creditori ne fanno domanda. Nel caso dei crediti scaduti/che scadono entro 90 gg l’assegnazione è coattiva, invece qui avviene su domanda dei creditori. Ma essa è pro solvendo o pro soluto? Dato che la vendita del credito avviene pro soluto, allora si deve concludere che anche l’assegnazione avviene pro soluto (e allora è chiaro che il valore del credito per il quale si procede all’assegnazione non è il valore nominale, come nel caso dell’art 553 comma 1 in cui l’assegnazione è pro solvendo, bensì è un valore scontato, perché il creditore assegnatario incasserà la somma dopo un certo periodo di tempo e, dato che l’assegnazione è pro soluto, si assume il rischio dell’inadempimento e dell’insolvenza del terzo debitore assegnato).  L’assegnazione del credito chiude il processo esecutivo perché non c’è più niente da fare (come del resto avviene nelle altre ipotesi di assegnazione satisfattiva) non c’è bisogno di passare alla terza fase della distribuzione del ricavato. RISCOSSIONE del CREDITO ASSEGNATO L’assegnatario deve curare (o subito, in caso di credito già scaduto, oppure alla scadenza del credito) la riscossione del credito di cui è divenuto titolare. Nel caso di - assegnazione pro solvendo  curare la riscossione è un onere del creditore assegnatario, che se vuole mantenere tale credito deve fare tutto ciò che è necessario per riscuotere dal terzo debitore assegnato; - assegnazione pro soluto  come nel caso della vendita, il credito nei confronti del debitore esecutato si è già estinto nel momento dell’assegnazione per la somma corrispondente al valore dell’assegnazione stessa, quindi procedere alla riscossione è interesse esclusivo dell’assegnatario. Se il terzo debitore non paga, l’assegnatario deve provvedere alla tutela giurisdizionale del proprio diritto: per poter procedere all’esecuzione forzata nei confronti del terzo debitore assegnato, l’assegnatario deve avere un titolo esecutivo: se il debitore esecutato era già munito di titolo esecutivo nei confronti del terzo debitore, l’assegnatario vi subentra e può utilizzare tale titolo esecutivo (in qualità di successore del creditore originario); invece, se il debitore esecutato non aveva un titolo nei confronti del terzo assegnato, l’assegnatario può utilizzare come titolo esecutivo l’ordinanza di assegnazione. BENI IMMOBILI All’istanza di vendita che il creditore procedente (o altro creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo) deve depositare entro 45 giorni dal pignoramento, deve essere allegata la documentazione prevista dall’art 567 cpc. Dopo la presentazione dell’istanza, il giudice incarica un esperto di stimare il bene e fissa l’udienza nella quale dispone la vendita del bene immobile e ne fissa le modalità. Le modalità di liquidazione del bene immobile sono: 1. vendita senza incanto 2. vendita con incanto dapprima si procede alla vendita senza incanto, se poi però questa non dà risultato positivo, allora si passa alla vendita senza incanto, mediante l’inserimento in un apposito sito del Ministero della Giustizia denominato “portale delle vendite giudiziarie” o anche in appositi siti internet o in quotidiani. 1) VENDITA SENZA INCANTO Consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, offerta che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Possono partecipare tutti gli interessati (anche i creditori) tranne il debitore esecutato (perché non ha senso che egli acquisiti da sé stesso). Una forma particolare di offerta è l’offerta fatta per persona da nominare, ad opera di un avvocato: costui può offrire una certa somma senza indicare il soggetto che è interessato all’acquisto. Dopo che è avvenuta l’aggiudicazione a favore di questo soggetto, entro 3 giorni deve depositare in cancelleria il nome del vero acquirente e da tale momento la procedura prosegue con l’acquirente effettivo. Se non viene dichiarato il nome, allora l’aggiudicazione diventa definitiva a nome dell’avvocato (vi si ricorre quando non si vuole far sapere che si è interessati ad acquistare il bene immobile). Col deposito dell’offerta in cancelleria bisogna versare, a titolo di cauzione , una somma equivalente a 1/10 del prezzo offerto. Una volta scaduto il termine per depositare in cancelleria le varie buste, il giudice dell’esecuzione apre le buste e vede le offerte che sono state fatte, poi convoca tutte le parti del processo esecutivo e se l’offerta maggiore (fra quelle fatte) è pari o superiore al valore di stima, l’immobile viene immediatamente aggiudicato a quell’offerente; altrimenti, si passa alla vendita all’incanto, se il creditore procedente lo chiede oppure se il giudice lo ritiene opportuno. Tuttavia il bene immobile può essere aggiudicato anche se l’offerta è inferiore di non più di ¼ rispetto al prezzo stabilito nell’ordinanza di vendita, se il giudice ritiene che non vi siano serie possibilità di ottenere di più e sempre che ovviamente non vi siano richieste di assegnazione. Quando il giudice ritiene di raccogliere un’offerta, deve emettere due decreti : - col primo decreto stabilisce le modalità di versamento del prezzo DELEGA al PROFESSIONISTA Alcune attività del processo esecutivo possono essere delegate a professionisti. Ciò accade per la vendita dei beni immobili e dei mobili registrati . Qualora il giudice dell’esecuzione faccia uso di tale possibilità, al professionista vengono affidate tutte le attività previste dall’art 591 bis comma 2 che quindi non si svolgono più presso l’ufficio esecutivo bensì presso lo studio del professionista o in altro luogo da lui indicato (quindi anche la vendita non ha più luogo in udienza pubblica). Dunque il professionista provvede a determinare il prezzo della vendita, a dare pubblicità della stessa, ad effettuare la vendita senza incanto ed eventualmente e successivamente quella all’incanto, aggiudicare il bene, ricevere il pagamento del prezzo. Egli predispone anche il decreto di trasferimento che (anche in questo caso di delega) resta atto del giudice dell’esecuzione. Se, nel corso delle operazioni affidate al professionista, sorgono delle difficoltà, il professionista può rivolgersi al giudice dell’esecuzione che provvede con decreto. Le parti possono proporre RECLAMO al giudice dell’esecuzione avverso il decreto di trasferimento emesso dal professionista e agli altri atti in generale. Il reclamo viene deciso con ordinanza, nei confronti della quale può essere proposto reclamo ai sensi dell’art 669 terdecies (reclamo cautelare). questo richiamo al reclamo cautelare è una modifica che è stata apportata con la riforma del 2015, ma la portata di questa modifica è incerta: o si ritiene che il legislatore abbia introdotto un reclamo endo-esecutivo (tipo quello previsto dall’art 624 per la sospensione dell’esecuzione) che non esclude la successiva proponibilità dell’opposizione agli atti esecutivi; oppure si ritiene che il reclamo ex art 669 terdecies debba in realtà qualificarsi come un processo di cognizione di primo grado, il cui provvedimento finale è impugnabile in cassazione ex art 111 Cost. INFRUTTUOSITA’ dell’ESPROPRIAZIONE FORZATA Art 164 bis disp. att. cpc prevede un rimedio estremo in casi di infruttuosità dell’espropriazione. “Il giudice dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo” = Cioè il giudice deve valutare i COSTI e i BENEFICI e se i costi superano i benefici allora non è più utile proseguire l’espropriazione! Gli elementi attivi non liquidati ritornano nella disponibilità del debitore ed i creditori potranno instaurare una nuova esecuzione, ovviamente se vi saranno altri bene da espropriare. I creditori possono comunque chiedere sempre l’assegnazione dei beni pignorati al prezzo di stima. EFFETTI SOSTANZIALI della VENDITA e dell’ASSEGNAZIONE La natura della vendita forzata è stata molto discussa in dottrina: alcuni ne affermavano la natura privatistica, altri pubblicistica, alcuni univano profili processuali a profili sostanziali (ad es qualificando come processuale l’attività dell’ufficio e sostanziale l’attività dell’offerente). Attualmente il problema è sopito in quanto si ritiene prevalentemente che la vendita forzata è un fenomeno essenzialmente processuale: è un procedimento giurisdizionale che però ha effetti di diritto sostanziale (e di questi effetti di diritto sostanziale si occupano gli artt da 2919 a 2929 cc). Art 2919 cc: “la VENDITA FORZATA trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede” = afferma che la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione, che può anche non essere il debitore (gli effetti dell’assegnazione forzata sono identici a quelli della vendita forzata, tranne che per alcune particolarità che vedremo). Dunque, la vendita forzata dà luogo ad un ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO: la misura dell’acquisto è determinata dalla misura del diritto del dante causa. Acquisto a titolo - DERIVATIVO  significa acquisto che postula la sussistenza in capo al dante causa di una situazione sostanziale uguale o maggiore di quella acquistata. Quindi qui il diritto acquistato è dipendente, sul piano sostanziale, dal diritto di colui che ha subito l’espropriazione (diritto che quindi è pregiudiziale) - ORIGINARIO  acquisto che avviene anche se in capo ad un (eventuale) dante causa non esiste un diritto uguale o maggiore di quello acquistato. Quindi il diritto acquistato è autonomo, sul piano sostanziale, dal diritto sussistente in capo a colui che ha subito l’espropriazione. Da questo punto di vista allora la regola generale della vendita forzata è quella dell’acquisto a titolo derivativo: quindi, se colui che ha subito l’espropriazione non era effettivamente titolare del diritto pignorato, l’acquirente in vendita forzata non acquista niente e quindi la vendita forzata non pregiudica il terzo estraneo, effettivo titolare del diritto sul bene pignorato, proprio perché l’acquisto è a titolo derivativo. EFFETTI del PIGNORAMENTO L’ultima parte dell’art 2919 stabilisce che non sono opponibili all’acquirente in vendita forzata i diritti dei terzi che non sono opponibili al creditore pignorante. Ciò significa che l’acquisto in vendita forzata è sì un acquisto a titolo derivativo, però l’aggiudicatario acquista quello che colui che ha subito l’espropriazione aveva (non al momento della vendita bensì) al momento del pignoramento (e si intendono richiamati sinteticamente gli artt 2913 ss cc e gli effetti del pignoramento previsti in tali norme.  Quindi si deve concludere che la vendita forzata è un acquisto a titolo derivativo ma rilevante non è la situazione di diritto sostanziale sussistente in capo all’esecutato al momento in cui si crea il titolo di trasferimento, bensì è rilevante la situazione di diritto sostanziale esistente in capo all’esecutato nel momento in cui viene effettuato il pignoramento. Gli effetti del pignoramento hanno la funzione di conservare il diritto in vista della vendita forzata (cioè hanno la funzione di rendere inopponibili gli eventuali atti dispositivi compiuti dopo il pignoramento: tali atti di disposizione , se e in quanto inopponibili al creditore procedente, sono inopponibili anche all’acquirente in vendita forzata )!!! CREDITORI INTERVENUTI L’ultimo comma dell’art 2919 cc peraltro parla anche dei creditori intervenuti nell’esecuzione. Abbiamo visto più volte che i creditori intervenuti beneficiano degli effetti utili conservativi del pignoramento (è una peculiarità del pignoramento). Quindi, col richiamo ai creditori intervenuti contenuto nella parte finale dell’art 2919 si vuole dire qualcosa di diverso, cioè che in certi casi, alcuni diritti di terzi opponibili al creditore pignorante, NON sono opponibili ad altri creditori che intervengono nell’esecuzione! Vi dovrebbe essere un qualcosa che dà più protezione del pignoramento, tanto che, se il creditore munito di tale protezione interviene nell’esecuzione, può trasferire questa protezione all’acquirente in vendita forzata. Quindi, dobbiamo cercare un meccanismo di protezione del creditore intervenuto che gli rende inopponibili gli atti di disposizione dell’esecutato in modo diverso e maggiore di quanto faccia il pignoramento (perché altrimenti sarebbe inutile il riferimento ai creditori intervenuti contenuto nella parte finale dell’art 2919 cc)! Questo diverso e maggiore meccanismo di protezione esiste ed è previsto a favore del CREDITORE IPOTECARIO dall’art 2812 che distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: 1. I titolari di diritti reali minori (di servitù, usufrutto, uso, abitazione); 2. I titolari di diritti reali maggiori (di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà). Si ipotizza il seguente fenomeno: dopo l’iscrizione dell’ipoteca sul bene, un terzo viene investito o di un diritto reale minore o di un diritto reale maggiore. DIRITTI REALI MAGGIORI Nell’ipotesi in cui il terzo viene investito di un diritto reale maggiore, l’art 2812 comma 3 dà al creditore ipotecario il potere di espropriare il bene anche contro il terzo acquirente: il creditore ipotecario ha il potere di espropriare il bene nei confronti non solo di colui che gli ha concesso l’ipoteca ma anche nei confronti di chi ha acquistato sul bene ipotecato un diritto reale maggiore! L’ipoteca è un diritto reale di garanzia proprio perché il bene può essere perseguito dal creditore presso qualunque successivo acquirente (diritto di sequela). Ovviamente quando sul bene ipotecato esiste un diritto reale maggiore, il processo di espropriazione assume caratteristiche particolari che danno luogo all’espropriazione contro il terzo proprietario. Quindi il creditore ipotecario può e deve agire esecutivamente contro i terzi, titolari di diritti reali maggiori [invece, al contrario, l’art 2812 comma 1 stabilisce che i diritti reali minori non sono opponibili al creditore ipotecario, il quale quindi può far vendere la cosa come libera, dunque i terzi titolari di diritti reali minori non diventano soggetti espropriati, non assumono la qualità di esecutato. Perché? Perché sono titolari di un diritto intrasferibile, iscritti  perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto (reale minore) che si origina da un atto trascritto. = dunque i titolari del diritto reale minore hanno una posizione destinata a trasformarsi in un diritto di credito munito di prelazione (risultante nei pubblici registri) e proprio per questo rientrano nell’art 498 cpc [quindi devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo e quindi possono intervenire nel processo esecutivo come creditori potenziali per effetto della vendita e quindi far valere le loro ragioni sul ricavato. Se poi essi hanno motivi di difesa nel merito (cioè ritengono di non dover subire l’effetto estintivo perché ad es l’ipoteca è nulla, possono far valere le loro ragioni con l’opposizione di terzo ex art 619. Se invece l’ipoteca è valida, il loro diritto si trasforma in un credito avente ad oggetto una somma di denaro]. L’inciso contenuto nell’art 2919 cc “salvi gli effetti del possesso in buona fede” lo abbiamo trovato anche nell’art 2913 cc il quale, disciplinando gli effetti conservativi del pignoramento, stabilisce che gli atti di disposizione del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente né dei creditori intervenuti, salvi gli effetti del possesso in buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri (i beni mobili registrati in pubblici registri infatti non sono assoggettati alla forma di circolazione ex artt 1153, 1155 cc). L’art 2913 si riferisce ad un atto di disposizione che il debitore esecutato (o in generale il custode del bene mobile pignorato) eventualmente pone in essere, facendo realizzare un acquisto a titolo originario a favore dell’acquirente, titolo che prevale rispetto a quello del creditore procedente (cioè idoneo a sottrarre il bene dall’espropriazione).  Cioè, l’art 1153 cc, partendo dal presupposto che il bene pignorato sia effettivamente di proprietà dell’esecutato che compie l’atto di disposizione, serve a sanare un difetto di potere dispositivo (cioè a superare il vincolo di indisponibilità creato dal pignoramento) Ma nell’art 2919 l’acquirente di buona fede non è il terzo al quale il debitore esecutato aliena il bene mobile pignorato, bensì è l’ AGGIUDICATARIO , il quale fonderà il proprio acquisto ex art 1153 cc sul titolo astrattamente idoneo costituito dalla vendita o assegnazione forzata, sulla consegna del bene mobile (che nella vendita forzata di mobili avviene immediatamente) e sulla buona fede , che consiste nella mancata conoscenza che il bene non appartiene a colui che ha subito l’espropriazione. Cioè qui la buona fede consiste nel fatto che l’acquirente in vendita forzata NON sa che il bene è di proprietà di un terzo.  Dunque, nel caso dell’art 2913, buona fede = consiste nel non sapere che il bene è pignorato; nel caso dell’art 2919, buona fede = consiste nel non sapere che il bene non appartiene all’esecutato. (infatti la buona fede va valutata volta per volta con riferimento all’elemento carente che impedisce l’acquisto a domino: tale elemento mancante può essere la mancanza di proprietà, art 2919 oppure l’esistenza di un limite al potere dispositivo del diritto, art 2913 cc). CONFLITTO fra AGGIUDICATARIO e TERZO PROPRIETARIO Nell’ipotesi in cui l’esecutato in realtà non fosse titolare del diritto pignorato e trasferito, il conflitto fra il terzo (vero ed effettivo proprietario del bene) e l’acquirente in vendita forzata si risolve - Normalmente (perché di regola la vendita forzata dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo) a favore del terzo; - Eccezionalmente (quando la vendita dà luogo ad un acquisto a titolo originario) a favore dell’aggiudicatario. a) Quando la vendita forzata dà luogo ad un ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO prevale l’aggiudicatario (quindi soccombente, in questo caso, è il terzo ormai ex proprietario). La disciplina è data dagli artt 2920 cc per la vendita, 2926 cc per l’assegnazione. Art 2920 cc: se oggetto della vendita forzata è un bene mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali sul bene ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’espropriazione, non possono far valere le loro ragioni nei confronti dell’acquirente in buona fede, né possono chiedere ai creditori la ripetizione di ciò che è stato loro distribuito. Il terzo che era proprietario del bene mobile pignorato può soddisfarsi sulla somma ricavata dalla vendita fino al momento in cui la somma ricavata viene distribuita (cioè finché essa è nelle casse dell’esecuzione) (= diritto sulla somma ricavata). Poi è ovvio che il terzo (ex) proprietario non può far valere le proprie ragioni nei confronti dell’aggiudicatario che era in buona fede (il cui acquisto, proprio perché a titolo originario, è inattaccabile nonostante in realtà il bene non appartenesse a colui che ha subito l’espropriazione) = questa del resto è la regola che si applica in generale all’ACQUISTO A NON DOMINO (ex art 1153) a titolo originario che presuppone: - un titolo astrattamente idoneo (in questo caso è la vendita forzata) - la consegna del bene (è facile accertare se vi è stata o no) - la buona fede (qui consiste nel non sapere che l’esecutato in realtà non era proprietario del bene pignorato)  la buona fede è PRESUNTA, quindi in realtà ciò che rileva è la mala fede (che, come tutte le situazioni psicologiche, non si può provare in via diretta bensì soltanto in via indiziaria). Il TERZO PROPRIETARIO del bene mobile pignorato , una volta avvenuta la vendita forzata e la consegna del bene all’aggiudicatario, deve valutare se è in grado o meno di dimostrare che l’aggiudicatario era in mala fede (sapeva che il bene non era di proprietà dell’esecutato): se ha prove sufficienti per dimostrare la mala fede dell’acquirente in vendita forzata (ad es perché si trattava di un bene ben individuabile, come ad es un quadro di cui l’acquirente conosceva il vero proprietario), allora il terzo proprietario può non far valere il proprio diritto sul ricavato ed agire invece in rivendicazione nei confronti dell’acquirente in vendita forzata (dimostrando di essere il vero proprietario + mala fede dell’aggiudicatario). In questo modo, il terzo proprietario dimostra la mala fede, quindi che l’art 1153 non è integrato pienamente e quindi che l’acquisto in vendita forzata NON è a titolo originario bensì DERIVATIVO !! E allora torna applicabile l’art 2919 secondo cui l’acquirente in vendita forzata acquista solo i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. In questo modo il terzo può ottenere la RESTITUZIONE del bene da parte dell’aggiudicatario . (dunque vediamo che non è detto che la vendita forzata mobiliare vada sicuramente a spogliare il terzo del proprio diritto di proprietà, anche se ciò è molto probabile perché normalmente è molto difficile dimostrato che l’aggiudicatario in vendita forzata era in mala fede sapendo che il bene non apparteneva all’esecutato). Oltre al DIRITTO sulla SOMMA RICAVATA dalla vendita forzata, il terzo che ha perso il proprio diritto (poiché si è realizzato un acquisto a titolo originario a favore dell’aggiudicatario) ha altre due possibilità: - PROVARE la MALA FEDE del CREDITORE PROCEDENTE  il quale ha proseguito l’esecuzione nonostante sapesse che il bene pignorato non apparteneva all’esecutato. Prova difficile da dare, ma se il terzo ex proprietario ci riesce può ottenere il risarcimento dei danni. (in questo caso si ha una divergenza fra legittimità processuale e liceità sostanziale: il creditore procedente che chiede la vendita di un bene che sa non essere dell’esecutato, sta tenendo un comportamento che è lecito sul piano processuale ma illecito sul piano sostanziale). - ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA nei confronti del DEBITORE ESECUTATO  perché? Perché il debitore esecutato (che in realtà non era proprietario del bene mobile che è stato pignorato) ha pagato dei debiti che aveva con beni che però in realtà erano di altri (cioè del terzo ex proprietario), quindi praticamente il debitore esecutato si arricchisce a spese del terzo ex proprietario (perché si libera di propri debiti a spese altrui). ASSEGNAZIONE Nel caso in cui il bene, invece che essere venduto, viene assegnato, la soluzione non cambia perché anche il provvedimento di assegnazione costituisce un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà a titolo originario. Art 2926 cc: i terzi che avevano la proprietà del bene mobile che è stato assegnato possono, entro 60 giorni dall’assegnazione, rivolgersi all’assegnatario che ha ricevuto in buona fede il possesso del bene per farsi dare da costui la somma che egli si è trattenuto a soddisfazione totale o parziale del proprio credito ( assegnazione satisfattiva ) . [questa norma presuppone che si sia avuta un’assegnazione satisfattiva (perché nel caso invece dell’assegnazione-vendita, dato che l’assegnatario ha dovuto versare l’intero valore del bene assegnatogli, il problema non si pone perché il terzo ex proprietario trova nelle casse dell’esecuzione la somma corrispondente al valore pieno del bene)] nel cui caso, quando l’assegnatario non ha pagato nulla o ha pagato non l’intero valore della cosa, è necessario reintegrare la somma, per far sì che nelle casse dell’esecuzioni si trovi la somma equivalente al valore del bene. (esempio: supponiamo che c’è stata un’assegnazione per 100 ad un creditore che aveva un credito di 60. Il creditore assegnato si tratterrà 60 per estinguere il proprio credito e verserà allo stesso tempo le altre 40 nelle casse dell’esecuzione. Il terzo ex proprietario che vede accolta la propria opposizione trova nelle casse dell’esecuzione soltanto 40 (che non è la stessa somma che egli avrebbe trovato se il bene fosse stato venduto anziché assegnato) e allora l’art 2926 stabilisce che il terzo ex proprietario può rivolgersi all’assegnatario dicendo: “ok il bene ormai è tuo perché lo hai acquistato ex art 1153 a titolo originario ma devi versare nelle casse dell’esecuzione la somma che ti sei trattenuto (60) a soddisfazione del tuo credito!” (si capisce bene che il terzo proprietario non può, oltre a perdere la proprietà del bene, essere ulteriormente pregiudicato da un fattore del tutto esecutivo, perché altrimenti (se lo avesse saputo prima) avrebbe dovuto proporre l’opposizione agli atti esecutivi (si tratta di una sorta di impugnazione straordinaria della vendita forzata). L’art 2929 cc parla di nullità degli atti esecutivi e non della mancanza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. Perché? Perché come abbiamo ripetuto tante volte, la sussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata del creditore procedente NON è affatto un presupposto per il corretto operare del processo esecutivo !! La contestazione, da parte del debitore esecutato, del diritto di procedere ad esecuzione forzata del creditore procedente, si fa valere tramite l’ opposizione all’esecuzione , che dà luogo ad una sospensione facoltativa del processo esecutivo. Infatti, non esiste un momento di raccordo (come quello previsto dagli artt 530 e 569 cpc, che prevedono che il giudice possa procedere alla vendita forzata solo dopo aver risolto le questioni relative al rito, cioè alle nullità degli atti esecutivi che vengono fatte valere. Pregiudizialità fra rito e merito) che imponga al giudice di risolvere le questioni attinenti alla sussistenza del diritto di procedere a esecuzione forzata prima di procedere alla vendita!! Ed è normale che sia così perché non esiste una pregiudizialità fra il diritto di procedere a esecuzione forzata e i risultati dell’esecuzione stessa. Le NULLITA’ del processo esecutivo sono più gravi della mancanza del diritto di procedere ad esecuzione forzata perché - la mancanza del diritto di procedere a esecuzione forzata non impedisce al processo esecutivo di operare una corretta trasformazione del diritto sul bene in una somma di denaro (nel senso che, magari la trasformazione è ingiusta, ma certamente è attendibile perché operata tramite un processo valido ) . La distribuzione del ricavato della vendita forzata (come vedremo meglio) non impedirà al debitore di contestare, dopo la chiusura del processo esecutivo, la sussistenza dei crediti soddisfatti (agendo in ripetizione dell’indebito): il debitore non ha nessun motivo per chiedere all’aggiudicatario la restituzione del bene, poiché ha la possibilità di farsi consegnare il ricavato che istituzionalmente è l’esatto equivalente del valore del bene. - invece, le nullità del processo esecutivo fanno sì che la trasformazione del diritto sul bene in una somma di denaro istituzionalmente equivalente al diritto trasferito con l’aggiudicazione sia inattendibile, perché (la trasformazione è) operata tramite un meccanismo (il processo esecutivo) che è viziato!!! Quindi è del tutto condivisibile che l’art 2929 cc non faccia riferimento alla carenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata. Ovviamente, quanto è previsto dall’art 2929 cc, opera a tutela del terzo aggiudicatario, e non può operare a favore dell’aggiudicatario/assegnatario che sia anche creditore procedente (perché in questo caso, se all’aggiudicatario creditore procedente manca il diritto di procedere a esecuzione forzata allora viene meno l’assegnazione del credito). Esempio: in un’espropriazione di credito iniziata da Tizio contro Caio, Caio propone opposizione all’esecuzione denunciando l’inefficacia del titolo esecutivo di Tizio. Se, successivamente, l’opposizione di Caio viene accolta, l’assegnazione del credito verrà meno e se Tizio ha riscosso dal terzo debitore dovrà dare la somma percepita a Caio. La DISTRIBUZIONE del RICAVATO La terza fase dell’espropriazione forzata è la FASE DISTRIBUTIVA, la quale non ha luogo quando non è stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando questo è stato assegnato ad un creditore senza che costui abbia versato un conguaglio. La distribuzione del ricavato è disciplinata in generale dagli artt 509-512 cpc Dagli artt 541 e 542 cpc per l’espropriazione mobiliare (alla quale rinvia l’espropriazione presso terzi) Dagli artt 596-598 cpc per l’espropriazione immobiliare Fra tali norme non vi sono grandi differenze: la distribuzione del ricavato avviene più o meno nello stesso modo. Art 509 stabilisce che la somma oggetto della distribuzione è composta da: - quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, - rendita o provento di cose pignorate (ex art 2912 cc, il pignoramento fa sì che i frutti del bene pignorato vengano acquisiti dall’esecuzione), - multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario (si fa riferimento alle ipotesi di inadempimento dell’aggiudicatario nel pagamento del prezzo). Il primo e più rilevante problema riguardo la distribuzione del ricavato è l’ORDINE della DISTRIBUZIONE o graduazione dei crediti, che è il seguente: 1) al primo posto sono collocate le SPESE della procedura esse hanno la precedenza (anche in presenza di diritti di prelazione) perché costituiscono il corrispondente di ciò che è stato necessario fare per poter ottenere la somma da distribuire. Le spese cioè sono quelle del pignoramento, della vendita, della custodia del bene (se la gestione del bene è stata passiva) ed eventualmente le spese delle opposizioni infondatamente proposte dal debitore esecutato; 2) CREDITORI con DIRITTO di PRELAZIONE L’ordine delle prelazioni è stabilito dall’art 2777 cc. se due crediti hanno il medesimo grado di prelazione concorrono proporzionalmente tra loro. Ovviamente ciascun creditore è collocato in via privilegiata sul ricavato del bene sul quale ha prelazione. 3) CREDITORI CHIROGRAFARI TEMPESTIVI Qualora la somma non sia sufficiente per tutti si opera una ripartizione proporzionale. All’interno dei chirografari ci può essere un’ulteriore distinzione in virtù di quanto prevede l’art 499, comma 4 cpc. Se l’intervenuto non segue l’invito del creditore procedente, quest’ultimo viene soddisfatto sul ricavato con precedenza rispetto al creditore intervenuto (cioè fra i creditori chirografari tempestivi si crea una prelazione di natura processuale interna al processo: per primo viene soddisfatto il creditore pignorante e sono a lui postergati i creditori che, pur intervenuti tempestivamente, non abbiano fatto quanto prescrive l’art 527). 4) ESECUTATO, per ciò che eventualmente residua. Quando si rende necessaria la ripartizione proporzionale del ricavato, si sommano tutti i crediti che concorrono nella ripartizione e, fatto 100 il totale, si ricava la percentuale di ciascun credito rispetto al totale. Esempio: la somma di ripartire proporzionalmente è 500. I crediti che concorrono sono: uno di 2000, uno di 1000, uno di 700 e uno di 300. Quindi il totale dei crediti è 4000. Per ciascun credito si fa la seguente proporzione: x:100=2000:4000. Quindi il credito di 2000 ha una percentuale del 50%; quello di 1000 del 25% ecc. Dal punto di vista processuale, occorre distinguere a seconda che vi siano o non vi siano creditori intervenuti: - Se vi è un solo creditore da soddisfare, il giudice dell’esecuzione convoca le parti e dispone il pagamento a favore dell’unico creditore di quanto gli è dovuto; - Invece, se ci sono più creditori da soddisfare, occorre procedere alla formazione di un piano di riparto. Riguardo la formazione del piano di riparto, vi sono alcune differenze fra l’espropriazione mobiliare e l’espropriazione immobiliare. Nell’espropriazione MOBILIARE  i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato fra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti i creditori. In tal caso, il giudice dell’esecuzione provvede in conformità, se non c’è opposizione del debitore. Se il debitore si oppone, si procede ai sensi dell’art 512 cpc; se il debitore non si oppone, l’accordo dei creditori è vincolante per il giudice che non può discostarsene (in realtà il giudice potrebbe anche non approvare l’accordo ma ciò sembra non poter trovare applicazione perché se i creditori sono tutti d’accordo e il debitore non si oppone, allora il giudice non può che prenderne atto, come stabilisce espressamente l’art 598 per l’espropriazione immobiliare). Se manca un piano di riparto concordato, ogni creditore può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata (“ogni creditore” significa qualunque creditore intervenuto, anche non munito di titolo esecutivo e anche se il suo credito è stato contestato dal debitore, purché in quest’ultimo caso abbia tempestivamente proposto domanda volta ad ottenere un titolo esecutivo). Il giudice allora prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti che possono approvarlo e se lo approvano nulla quaestio. Se invece qualcuno lo contesta, si procede ai sensi dell’art 512 cpc per risolvere le contestazioni. [Art 512 cpc “risoluzione delle controversie”: se, in sede di distribuzione, sorge una controversia fra creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione provvede all’istruzione della causa, se è competente; altrimenti, rimette le parti davanti al giudice competente a norma dell’art 17, fissando un termine perentorio per la riassunzione della causa]. Nell’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE  le modalità di formazione del piano di riparto sono diverse perché il giudice procede d’ufficio, senza bisogno dell’istanza di parte o di un piano concordato. Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un’udienza. il cancelliere diritto sostanziale, nel senso che fra creditori dello stesso debitore (sul piano sostanziale) NON esiste nessuna relazione diretta giuridicamente rilevante (il rango dei rispettivi crediti è rilevante esclusivamente al momento della distribuzione del ricavato): una volta che il credito è stato pagato, non vi è nessuna giuridica possibilità che un creditore (munito di prelazione poziore) possa rivolgersi al creditore soddisfatto per far valere la preferenza che l’ordinamento riconosce alla sua posizione. L’unica possibilità che un creditore ha di agire contro un altro creditore consiste nel far valere, in via surrogatoria, le ragioni che il comune debitore ha e che trascura di utilizzare (ad es può agire in ripetizione dell’indebito contro l’altro creditore, se il debitore comune non lo fa). E poiché (come vedremo) il debitore non può mai far valere questioni attinenti al rango dei creditori (perché per lui i creditori sono tutti uguali), allora al di fuori della distribuzione del ricavato non vi è la possibilità per un creditore di far valere, nei confronti di un altro creditore, ragioni che attengono al rango del proprio credito. Vediamo adesso come vengono risolte le CONTROVERSIE in sede di DISTRIBUZIONE Abbiamo detto che la distribuzione del ricavato può essere l’occasione perché nascano delle controversie riguardanti il piano di riparto. Vediamo come vengono risolte, tenendo conto delle profonde modifiche che la riforma del 2006 ha apportato rispetto alla situazione preesistente. In precedenza  se sorgeva una controversia fra creditori, o fra creditori e debitore/terzo assoggettato all’espropriazione riguardo la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti oppure riguardo la sussistenza di ragioni di prelazione, tale controversia veniva risolta tramite un ordinario processo di cognizione, incidentale al processo esecutivo (il quale nel frattempo rimaneva sospeso). Di conseguenza, la sentenza che decideva la controversia formava giudicato ad ogni effetto in ordine all’esistenza e all’ammontare del credito. Quindi, in ogni caso, la sentenza che, decidendo la controversia, accertava l’esistenza del credito aveva l’effetto di stabilizzare il risultato della distribuzione ed era ostativo ad una eventuale ripetizione dell’indebito. Dopo la riforma del 2006  il meccanismo è completamente mutato. L’art 512 cpc stabilisce che adesso, una volta sorta la controversia, “il giudice dell’esecuzione , sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza ” la quale è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi (art 617 cpc). Occorre precisare fin da ora che, a seconda dell’oggetto che si assegna all’opposizione agli atti esecutivi contro l’ordinanza si giunge a conseguenze diverse. Dunque vediamo che le controversie in sede di distribuzione sono istruite e risolte in sede di processo esecutivo (con un provvedimento che non può avere efficacia dichiarativa ) . L’attività svolta dal giudice non è finalizzata ad accertare se esiste o meno il credito (= non ha funzione dichiarativa), bensì solo a distribuire il ricavato. Occorre precisare che quando si afferma che la risoluzione della contestazione distributiva ha effetti limitati al processo esecutivo non si deve intendere che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione accerta l’esistenza del credito limitatamente alla parte soddisfatta (infatti l’accertamento postula l’esercizio di una giurisdizione dichiarativa, che come detto è del tutto carente nella nuova disciplina dell’art 512 cpc), bensì l’espressione “effetti limitati al processo esecutivo” significa che gli effetti della risoluzione della controversia distributiva sono quelli propri dell’esecuzione forzata, cioè produrre la soddisfazione del diritto (e non anche accertare che tale soddisfazione è secundum ius )! Da ciò consegue un’importante conseguenza: dato che l’ordinanza ( con cui il giudice dell’esecuzione risolve la contestazione ) NON ha effetti dichiarativi , essa non produce nessun effetto di accertamento al di fuori del processo esecutivo. Di conseguenza, le possibili reazioni avverso la distribuzione che è possibile esperire a processo esecutivo concluso, sono identiche sia che la distribuzione avvenga senza che sorgano contestazioni, sia che invece tali contestazioni si sono avute e il giudice le abbia risolte tramite l’ordinanza. Dunque, il debitore esecutato potrà agire in ripetizione dell’indebito , sia che abbia o non abbia sollevato contestazioni avverso il piano di riparto del ricavato. Il fatto di confinare le contestazioni all’interno del processo esecutivo risolvendole con strumenti esclusivamente esecutivi è stato una precisa scelta del legislatore della riforma del 2006. Prima della riforma  in sostanza, il debitore poteva scegliere O di tacere, facendo soddisfare il creditore ed agire poi in ripetizione dell’indebito; oppure cercare di impedire la soddisfazione del creditore (ma per far ciò occorreva dal luogo ad un processo di cognizione dichiarativo e se la sua contestazione però veniva rigettata, si formava il giudicato circa l’esistenza del credito e ciò gli impediva di agire successivamente in ripetizione dell’indebito). Ora, invece, dopo la riforma del 2006  la contestazione in sede distributiva ha come unico scopo quello di impedire la soddisfazione del creditore e dall’esterno del processo esecutivo, non cambia niente che il creditore sia stato soddisfatto perché il debitore non ha contestato il piano di riparto oppure perché la sua contestazione è stata rigettata dal giudice. [queste sono le conseguenze prodotte dalla riforma (dall’aver confinato le controversie distributive in sede esecutiva) nei rapporti fra debitore e creditori]. Ma quali sono le conseguenze della riforma nei rapporti fra creditori? Nei confronti dei creditori, invece, la riforma rischia di produrre una sostanziale de- giuridicizzazione dei loro rapporti. Infatti abbiamo visto che al di fuori del processo esecutivo il diritto sostanziale non dà rilevanza all’ordine in cui vengono soddisfatti i creditori (il creditore insoddisfatto, che ha prelazione poziore, non può pretendere niente da un altro creditore soddisfatto, avente prelazione inferiore). Il rango dei rispettivi crediti può formare oggetto di contestazione soltanto al momento della distribuzione (a processo esecutivo concluso un creditore non può contestare il risultato della distribuzione nei confronti di un altro creditore, perché sul piano del diritto sostanziale, fra i creditori del medesimo debitore non vi è nessun rapporto giuridicamente e direttamente rilevante). nel sistema previgente alla riforma  tale controversia veniva risolta tramite un processo dichiarativo. Oggi, dopo la riforma  essendo scomparsa tale possibilità, potrebbe non esservi nessuna sede nella quale una controversia fra creditori relativa al rango dei rispettivi crediti possa divenire oggetto di processo di cognizione (con de-giuridicizzazione del rapporto fra creditori si intende proprio questo). Tuttavia bisogna tener conto del fatto che molti dei principi che in precedenza venivano applicati per risolvere tali contestazioni mediante processo di cognizione, valgono anche oggi che tali contestazioni vengono risolte in sede esecutiva: la regola generale dell’interesse ad agire (= interesse al risultato, è mancante quando l’eventuale accoglimento della contestazione lascia il contestante nella medesima identica situazione in cui si trovava prima) si applica anche all’esecuzione forzata (cioè la contestazione sollevata deve poter essere in concreto utile per il contestante). CONTESTAZIONI del DEBITORE Applicando la regola dell’interesse ad agire, ricaviamo che: - il debitore può sicuramente contestare la sussistenza e l’ammontare dei crediti di tutti i creditori (compreso il creditore procedente) poiché il debitore ha diritto non solo a non pagare debiti che non esistono (o che non esistono per quel determinato ammontare) ma anche tutto l’interesse a che il ricavato vada ad estinguere solo i crediti effettivamente esistenti. - Anche qualora il ricavato non sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori e quindi l’eventuale accoglimento della contestazione del debitore circa l’esistenza/ammontare di un credito non gli porti un concreto nessuna utilità pratica (nel senso che la somma non essendo sufficiente non porta alla formazione di un residuo che se ci fosse gli sarebbe consegnato), il debitore ha ugualmente interesse a porre in essere la contestazione circa esistenza/ammontare del credito (quindi non è necessario che il debitore raggiunga un’utilità monetaria concreta affinché abbia interesse ad agire). - Invece, il debitore NON può contestare l’esistenza delle ragioni di prelazione (perché egli, anche se questa contestazione venisse accolta, non ne riceverebbe beneficio + e soprattutto perché le ragioni di prelazione non sono cosa che riguarda il debitore, il quale è obbligato tanto nei confronti di chi ha prelazione quanto di chi è chirografario. Il debitore può sì concedere certe ragioni di prelazione ma queste, una volta concesse, non operano nei suoi confronti, bensì nei confronti degli altri creditori). CONTESTAZIONI dei CREDITORI (cioè che i creditori possono sollevare l’uno nei confronti dell’altro) - Le ragioni di prelazione possono essere contestate benissimo da un creditore nei confronti dell’altro (perché esse operano nei rapporti fra di loro) - Poi i creditori possono contestare l’ammontare e la sussistenza dei crediti degli altri creditori (ma anche qui si applica la regola dell’interesse ad agire: cioè un creditore può far ciò solo se la contestazione, una volta e se accolta, gli porta un beneficio, è per lui concretamente utile).  Dunque la regola è la seguente: le contestazioni del creditore possono riguardare ESISTENZA AMMONTARE RAGIONI di PRELAZIONE di un creditore collocato, in sede di riparto, o ANTERIORMENTE oppure al MEDESIMO LIVELLO del contestante ed in ogni caso è necessario che, ove la contestazione sia accolta, il creditore contestante ne riceva un vantaggio concreto (cioè deve esserci interesse ad agire). ONERE della prova
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