Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Profilo di letteratura italiana EPOCA 6-7-8-9-10, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto del manuale G. Alfano, P. Italia, E. Russo, F. Tomasi, Profilo di letteratura italiana. Dalle origini a fine Ottocento, Milano, Mondadori, 2021 delle epoche 6-7-8-9-19 (1600-1900)

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 22/06/2022

cateeerina
cateeerina 🇮🇹

4.4

(137)

19 documenti

1 / 43

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Profilo di letteratura italiana EPOCA 6-7-8-9-10 e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! EPOCA 6 INTRODUZIONE La stagione conclusiva del Rinascimento è un’epoca controversa che risente dei dettami della Controriforma (maggiore controllo della Chiesa) e la fine del Cinquecento è caratterizzata da una varietà di esperienze. Negli ultimi decenni è maturata una visione più equilibrata del secondo Cinquecento, entro cui sono la figura di Tasso e il dossier ampio delle sue opere, tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta, a poter svolgere una funzione esemplare e chiarificatrice. La Gerusalemme liberata è infatti un capolavoro del Rinascimento per la straordinaria libertà con cui interpreta il rapporto con i modelli e con cui assume, filtrandole e in parte attenuandole le leggi della Poetica di Aristotele. Con la produzione tassiana si comprende il peso dei condizionamenti esteri, riflettendo a pieno la crisi delle corti italiane e il rilievo delle preoccupazioni religiose. L’anno della sua morte 1595 può essere adottato, a livello simbolico, come passaggio conclusivo del Rinascimento. Dopo Tasso, il poema simbolo del Barocco italiano è l’Adone di Marino che finirà iscritto nell’Indice dei libri proibiti. L’infrazione che caratterizza Marino si riscontra anche in altri intellettuali che entrano in contrasto con la cultura ufficiale, e ne misurano la rigidità pagando in prima persona. Tratto ravvisabile nel percorso filosofico di Bruno, condotto tramite una dissacrante critica che si dispiega nei suoi scritti, e che scandisce anche il percorso di Campanella, sospeso tra profetismo e utopia. Più complesso il rapporto con la cultura ufficiale di Galilei, poiché si affronta l’apertura a un’inedita visione del mondo e dell’uomo, alla base del pensiero moderno. La condanna del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo del 1633 segna la conclusione di una prima stagione del Barocco italiana. Su un piano letterario, accanto alla schiera di marinisti, si fanno strada proposte culturali più prudenti, caratterizzate da un’attenta selezione dei contenuti e da uno stile meno sperimentale e mirato alla ripresa dei classici. Queste esperienze vivono per alcuni anni in perfetta contemporaneità con poeti che invece portano avanti una ricerca metaforica estrema → Convivenza di autori lontani fra loro aiuta a comprendere come nel primo Seicento il panorama della letteratura sia più composito e ricco di quanto si ritenga. Non tutto il Seicento è dunque Barocco e anche su un piano schiettamente letterario si può individuare una cesura caduta nel corso del secondo quarto di secolo. TORQUATO TASSO (Sorrento 1544 – Roma 1595) Tutta la produzione letteraria tassiana è caratterizzata da una strenua difesa del valore della parola letteraria nel più ampio sistema dei saperi. Necessario riconoscere la presenza di due fasi della sua carriera letteraria tra loro significativamente diverse. Da una prima fase in cui Tasso pensa a una letteratura che attraverso il velo seducente della finzione coinvolga e educhi i lettori, si passa a una seconda in cui persegue l’obiettivo di una letteratura che ambisce a farsi espressione diretta della verità filosofica. Ne consegue l’identificazione di un diverso tipo di lettore: nel primo periodo vi è un atteggiamento inclusivo in cui Tasso si rivolge al più ampio pubblico, da educare tramite il diletto; nel secondo diventa esclusivo, perché ritaglia in senso elitario il destinatario ideale, presupponendo una notevole cultura filosofica e teologica. Rinaldo 1562 → Poema cavalleresco incentrata sul racconto della gioventù dell’eroe Rinaldo. Una sorta di prequel del Furioso, racconto della formazione dell’eroe sul fronte militare e sentimentale. Nella lettera che introduce il poema Tasso dichiara la presa di distanza netta dalla narrativa di Ariosto e manifesta una prudente adesione a un canone selezionato di modelli antichi sulla scorta di una lettura non passiva della Poetica di Aristotele in nome della rivendicazione del diletto quale elemento essenziale del discorso letterario → Mediazione tra Aristotele e moderni: predilige soluzioni improntate all’epica classica, come il racconto di un’unica vicenda narrativa o la scelta di ridurre al minimo la presenza del narratore nel testo; resta ancora alla tradizione cavalleresca il ritratto dell’eroe protagonista, le cui avventure si succedono nel corso del poema in modo quasi meccanico. = Volontà di adeguarsi alle norme poetiche, ai tempi moderni e alla necessità di garantire il diletto nel poema. Discorsi dell’arte poetica 1562-1564 → Trattato incentrato sulla definizione delle regole del nuovo poema epico-cavalleresco, sul difficile tentativo di mediare le forme assunte dal poema moderno, in particolare dal Furioso, e le regole della Poetica aristotelica che poneva i fondamenti del poema epico antico. Tasso invita a trovare un compromesso che, tenendo ferme alcune istanze del poema antico così come normato da Aristotele, potesse però garantire la presenza degli elementi più rappresentativi del moderno romanzo cavalleresco, ritenuti indispensabili per garantire la presenza del diletto e non alienarsi i favori del pubblico. In tre libri dedicati alle categorie dell’inventio, della dispositio e dell’elocutio: 1. Primo libro affronta la scelta del miglior soggetto per un poema eroico → il principio che deve guidare la scelta della materia è il verosimile; il poeta deve trattare un argomento storico vero ma lontano dalla memoria dei lettori, per poter innestare alcuni inserti di fantasia. Tasso però censura il repertorio meraviglioso tipico dei poemi moderni, giudicandolo non degno di fede, specie se letto alla luce del verosimile. La soluzione è agganciare il meraviglioso ai principi della religione cristiana, ospitando miracoli e prodigi considerati credibili e reali nella storia del cristianesimo. 2. Secondo libro si sofferma sulle strategie narrative da adottare per orchestrare un racconto sapientemente drammatico → Si propone di trovare una mediazione tra la moltiplicazione di storie tipica dei poemi moderni e la necessità di selezionare un’unica vicenda narrativa. Adotta l’unità mista, un racconto centrato su una sola storia, che nell’insieme accolga una serie più articolata di altri episodi come parti necessarie di un sistema narrativo coerente. Ideale molteplicità dell’unità. 3. Terzo libro punta alla ricerca di uno stile magnifico, conveniente alla materia epica → Lo stile magnifico serve a coinvolgere il lettore nello spettacolo emotivo e passionale narrato. Tasso immagina che lo stile epico debba assorbire al suo interno latitudini retoriche e stilistiche lontane tra loro, da quelle proprie del linguaggio lirico sino alle asperità del linguaggio grave e tragico. Rime giovanili → Nel 1561 vengono stampati 13 sonetti, all’interno di un’antologia intitolata Rime di diversi poeti toscani, seguita poi da una raccolta più ampia di 42 testi, inserita nelle Rime de gli Academici Eterei. I testi editi nella raccolta dell’Accademia degli Eterei disegnano un racconto di una passione per una donna, Lucrezia Bendidio, ma non trascurano il ricorso a temi e motivi più canonici. Nel 1565 Tasso entra presso la famiglia di Luigi d’Este, nella corte di Ferrara. La corte diviene il luogo ideale del suo mondo letterario. In questo momento distinguiamo due Tasso: il primo spensierato e privo di inquietudini, e il secondo vittima delle sue ossessioni e di un ambiente percepito con ostilità; ma al tempo stesso sono anni di una straordinaria felicità creativa, si dedica all’elaborazione della Gerusalemme Liberata, compone anche Aminta e scrive l’abbozzo del Galealto. Aminta 1573→ Favola pastorale composta per la corte ferrarese che riesce a dare vita a un rinnovamento della recente tradizione, inquadrando il racconto all’interno di più ortodosse coordinate aristoteliche di marca tragica, allargando e complicando il gioco di riferimenti intertestuali con il mondo letterario classico. Così apre la strada al genere misto, la tragicommedia. La favola è ambientata nei boschi vicini a Ferrara, articolata in cinque atti, tutti chiusi da un coro che riflette sulla liceità della passione amorosa: si narra la storia della ninfa Silvia e il pastore Aminta innamorato e disperato per l’ostilità dell’amata. Personaggi secondari sono Tirsi consigliere di Aminta e maschera di Tasso e Dafne tutrice di Silvia. Trama lineare, riscrittura della storia d’amore di Piramo e Tisbe (Ovidio in Metamorfosi) che Tasso priva del finale luttuoso. Si coglie nella mescolanza dei due generi, commedia e tragedia, il centro dell’opera. Il tema dell’amore viene interpretato in forme contraddittorie. Nel coro alla fine del primo atto si nota una conflittuale contrapposizione tra la natura edenica dei tempi remoti e la corruzione della condizione umana dovuta alla cultura, alle regole, condensate nell’onor, che costituiscono una violenta censura alla libera espressione della sensualità. Il finale lieto si carica di sottili tensioni e conflitti che disegnano questo percorso di formazione sentimentale sì come un approdo al mondo adulto di due giovani protagonisti, al prezzo però di un doloroso apprendistato che sembra lasciare delle zone d’ombra irrisolte in nome di una ambigua armonia. La reclusione a Sant’Anna. Nella seconda metà degli anni Settanta, i rapporti di Tasso con la corte estense si fanno via via più difficili, a causa di gelosie e rivalità. Dopo una serie di tentativi per trovare ospitalità in altre corti, Tasso viene trattenuto da Alfonso II e fatto rinchiudere nell’ospedale di Sant’Anna a Ferrara. Il forzato soggiorno influì in modo decisivo sulla personalità del poeta, e contribuì a segnare un mutamento profondo della concezione della poesia e della letteratura. Le opere composte in questo periodo sono condizionate dalla necessità di trovare una via d’uscita. I dialoghi → La prigionia spinge Tasso a moltiplicare le occasioni di scrittura, sia con le lettere, che rappresentano una sorta di dialogo compensatorio con il mondo, sia con le rime di carattere encomiastico. All’interno dei dialoghi compare lo stesso tasso, dietro la maschera del cosiddetto “Forastiero Napolitano”, un’autorappresentazione che si può interpretare come una autodifesa che Tasso sente il bisogno di istituire contro coloro che avevano messo in dubbio le sue qualità intellettuali, soprattutto durante la reclusione. In questi anni vengono date alle stampe un numero ampio di rime, queste sono presentate con fraintendimenti e sviste. Inoltre, vi è una produzione di lirica encomiastica. Insieme a questi testi Tasso inizia un progetto di risistemazione delle sue rime, nella doppia direzione di una selezione di natura antologica per temi e di una revisione della facies stilistica dei testi. Si sofferma di più sulle rime amorose, come documenta il cosiddetto canzoniere “Chigiano”, Tasso cerca di predisporre un libro articolato in due parti, attraverso una seriazione dei testi che definisce una sorta di racconto a tappe, si dipanano alcune vicende sentimentali. Una volta uscito da Sant’Anna, Tasso abbandona il progetto. Nel luglio del 1586 Tasso può abbandonare la reclusione di Sant’Anna grazie a Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova, per dirigersi verso la corte gonzaghesca dove rimane un anno, per poi partire alla volta di Roma e dopo di Napoli, città in cui trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore a Roma nel 1595. Ultima parte della vita è segnata da una diversa idea di letteratura, una nuova idea in virtù della quale deve essere privilegiata la presentazione del vero. Senza quindi ricercare il coinvolgimento emotivo del pubblico, il poeta deve farsi portavoce di verità filosofiche e teologiche, deve saper includere nella sua stessa scrittura un ampio panorama di letture. Re Torrismondo → Negli anni in cui compone l’Aminta, Tasso aveva iniziato a lavorare a una tragedia (comprendente il primo atto e due sole scende del secondo) che viene pubblicata senza il consenso dell’autore. Già a partire dagli ultimi anni del reclutamento, avvia il lavoro di completamento, dedicandola al suo liberatore, il duca Vincenzo Gonzaga. Articolata in cinque atti scanditi dalla presenza di cori che commentano i fatti rappresentati, la tragedia tassiana adotta un soggetto non usuale, dato che non attinge né alla storia antica né al mito classico, ma riprende una storia del Nord Europa. La tragedia è in parte ispirata a fonti storiche tradotte e diffuse in Italia, e pone al centro della vicenda il rapporto tra il re di Svezia, Germondo, e il suo amico stretto Torrismondo, un rapporto che viene complicandosi in ragione dell’amore che Germondo nutre nei confronti della principessa norvegese Alvida, la cui famiglia è da tempo in lotta con quella di Germondo. T per aiutare l’amico si offre di prenderla in moglie e poi cederla all’amico, ma i due finiscono per innamorarsi. Così T propone a sua sorella di sposare Germondo, da cui iniziano una serie di scoperte che riveleranno la parentela diretta tra Alvidia e Torrismondo che fa precipitare la tragedia verso la catastrofe finale: il suicidio. Decisiva è l’influenza dei modelli classici, attraverso l’introduzione del tema dell’incesto, viene ripreso il modello sofocleo. Si tratta di un tema ulteriore che si innesta su quello centrale del dissidio tra amicizia e libera affermazione di sé, tra le leggi dell’onore e quelle dell’amore, tra liceità della passione e cupo presentimento di un destino negativo, cui unico rimedio sembra essere la morte. Lo stesso Torrismondo rappresenta un eroe pensoso, capace più di incertezze e inquietudini che di gesti risoluti. Gerusalemme conquistata → La riscrittura avviene tra il 1588 e il 1593 quando viene pubblicato. La rielaborazione avviene in parallelo ad un lavoro di ridefinizione dei principi teorici. Tasso non modifica il soggetto, ma agisce sulla struttura narrativa, con la cassatura di alcune parti, specie quelle di carattere amoroso, e l’ampliamento di alcune parti decisive per il significato complessivo del poema; a guidare questo lavoro di eliminazione sono quelle critiche che erano state mosse da parte della revisione romana riguardo la Liberata. Significative sono le aggiunte, motivate dalla volontà di imitare l’Iliade omerica, al cui si ispira anche il numero di canti, 24, e dal desiderio di riprendere le fonti storiche. Per parlare di Dio, Tasso attinge dalla letteratura patristica e alla filosofia neoplatonica. Il Giudicio → è un trattato rimasto inconcluso a causa della morte del poeta, qui si ritorna sui principi essenziali del poema eroico, in particolare sul tema del rapporto tra poesia e verità, storica e allegorica, e sul ruolo che deve giocare il punto di crisi dei vincitori nella trama del poema. La parte più interessante è quella dell’autocommento del poema, in cui Tasso offre un accesso privilegiato al suo testo. Negli ultimi anni della prigionia Tasso aveva ideato un piano editoriale per pubblicare le sue rime, l’idea di fondo è quella di suddividere le rime in libri monograficamente dedicati a singoli temi: amoroso, encomiastico e spirituale. Ciò rappresenta la rottura definitiva con il modello del canzoniere petrarchesco. Per la diversa concezione della poesia, Tasso decide di accompagnare le rime con un autocommento. Il progetto risulta essere solo in parte realizzato: escono le Rime amorose, quelle encomiastiche, ma quelle sacre che il poeta voleva suddividere in due toni, rimane inconcluso, a causa della morte del poeta. Mondo creato → è il racconto della creazione del mondo, basato in prima istanza sulla Genesi, il primo libro dell’Antico Testamento, integrato con la traduzione dei cosiddetti “esameroni” (opere che utilizzavano ai fini della predicazione della nascita del mondo per impartire ai fedeli i principi della religione). Il poema ricorre all’endecasillabo sciolto, è articolato in sette giornate in cui si tratteggia la vicenda della nascita della luce e delle tenebre, del cielo, dell’acqua, terra e pianeti, del sole e della luna, degli animali terrestri e acquatici, e infine dell’uomo. Scopo della poesia è quello di farsi rivelazione e spiegazione della complessa multiformità del mondo, illustrata attraverso la forza della parola. Si tratta di un’interpretazione della verità rilevata dai testi sacri. Lo stile è fatto di ripetizioni, strutture polisindetiche e anafore. BATTISTA GUARINI (Ferrara 1538 – Venezia 1612) Vive la conclusione del Rinascimento ferrarese con la fine della signoria degli Este 1597 e la completa rottura della reciproca solidarietà nel rapporto fra principe e l’ormai subordinato cortigiano. L’intera esperienza letteraria converge nel Pastor fido, tragicommedia pastorale destinata a una grande fortuna europea, portatrice di un messaggio di rigenerazione morale tramite il rinnovo, nel singolo e nella società, dello spezzato vincolo fra amore e onore, libertà e legge. Partecipazione alla antologia delle Rime de gli academici Eterei. Il pastor fido 1580-1589 → Tragicommedia pastorale in cinque atti, nasce in competizione con l’Aminta come sua correzione ideologica: ne riprende personaggi e topoi narrativi e spettacolari, rendendo però ogni dettaglio strettamente necessario all’intreccio, costruito con assoluto rigore geometrico, in cui i personaggi valgono come funzioni ideologico-narrative. Il pastor fido è Mirtillo che nonostante le repulse resta fedele all’amore per Amarilli, offrendo la propria vita in cambio di quella della ninfa, condannata a morte per adulterio (promessa sposa di SIlvio). Mirtillo riconosciuto discendente di Ercole può sposare Amarilli discendente di Pan: oracolo per cui il matrimonio tra i due di stirpe divina pone fine al sacrificio annuale di una fanciulla a Diana, imposto dalla dea in riparazione della morte del pastore Aminta causata dall’infedeltà della ninfa Lucrina. L’onore lodato da Guarini è il senso profondo della propria dignità, interiorizzazione della virtù, legge della libertà valida per i singoli e per la società. Amarilli rappresenta onore e fedeltà, mentre Corisca (provoca la scoperta dei due amanti) è il personaggio basso, ma motore dell’azione. Tutti i personaggi sono sottoposti a un destino provvidenziale che ne indirizza le esistenze, rovesciandone sistematicamente piani e azioni. GIORDANO BRUNO (Nola 1548 – Roma 1600) Scoperta dell’infinità produttiva e creatrice che percorre la realtà, Bruno concepisce un nuovo cosmo privo di gerarchie, infinito e infinitamente animato. E alla luce di questa rinnovata prospettiva possono essere comprese le sfaccettature del suo pensiero e la costruzione delle sue opere filosofiche. Candelaio → Commedia in cui viene alla luce la sua posizione: non un rifiuto della tradizione quanto una sua rielaborazione creativa. Mettere sotto una luce ridicola le derive inconcludenti della cultura a lui contemporanea. Lo svolgimento drammatico è preceduto da un paratesto in cui seguono quattro figure deformate del prologo classico che negano il loro ruolo e il valore della commedia. Si tratta di un dissacrante meccanismo meta teatrale di denuncia dell’impossibilità di operare in una realtà ormai profondamente sconvolta. Il modello negativo è rappresentato da Manfurio, con le sue vane enumerazioni di vocaboli che costituiscono una completa distorsione dell’ideale bruniano di una comunicazione concettualmente feconda. Il paradigma positivo è il pittore Gioan Bernardo capace di ristabilire il nesso biunivoco tra parola e cose, che è stato incrinato dalla vuota pedanteria. La lingua bruniana intende rappresentare la realtà in tutta la sua concretezza, ricorrendo anche a vocaboli dialettali, maggiormente atti a descrivere il flusso vicissitudinale che coinvolge tutti gli enti rispetto a un linguaggio elevato ma avulso dalla materialità. De la pausa, principio et uno → dialogo in volgare in cui scardina l’opposizione tradizionale di matrice sia aristotelica che neoplatonica tra la materia passiva (femmina) e la forma attiva (maschio), che agisce sul sostrato materiale inerte. Bruno sottolinea che il seno della materia è un principio vitale e attivo: la materia genera dal suo interno le forme ed è animata da un inesauribile appetito che la induce a produrne sempre di nuove, in un ciclo infinito in cui nessun ente si annulla e tutto viene continuamente trasformato. La materia è la fonte generativa della vita. A doversi confrontare con l’universo infinito è il soggetto conoscente, per cui Bruno cerca nuove vie attraverso le quali l’uomo, pur nella sua finitudine, possa giungere a intravedere l’infinito. Una delle modalità è la mnemotecnica, l’arte della memoria: attraverso la costruzione di immagini mentali Bruno può creare gallerie di immagini metaforiche e tentare di riprodurre nello spazio mentale fantastico il divenire infinito, uno sforzo che non raggiunge mai pienamente il suo obiettivo. La necessità di un lessico che si assimili quanto più possibile ai contenuti, che si faccia immagine, autorizza il filosofo alla creazione di neologismi. Gli Eroici furori → Bruno delinea un altro possibile cammino dell’uomo vero la verità, l’eroico furore appunto: nell’universo infinito all’uomo non basta la capacità intellettiva, per accedere alla verità è necessario ricorrere alla forza della volontà, che spinge il soggetto conoscente oltre i suoi limiti, mettendolo nella condizione di raggiungere per un istante, in un lampo di illuminazione, l’assoluto. E l’azione della volontà deve congiungersi alla potenza della fantasia, una facoltà di confine, che immette il materiale finito proveniente dai sensi in uno spazio mentale in cui esso può riplasmarsi continuamente. → Atteggiamento plastico e poietico nei confronti delle fonti, volto a far scaturire da esse un nuovo potenziale conoscitivo, come emerge dal dialogo che Bruno instaura con Petrarca e il petrarchismo e l’antipetrarchismo. Bruno rifiuta il primo, fatto di vani lamenti per una donna che non conducono a un innalzamento al di sopra del livello degli istinti corporei, ma anche il secondo fine a sé stesso, che non coglie la grandezza del poetare petrarchesco e la forza gnoseologica in esso latente, compito del filosofo portare alla luce. TOMMASO CAMPANELLA (Stilo 1568 – Parigi 1639) È nel ritorno alla comprensione della pienezza delle cose che Campanella individua il compito primario della filosofia che possa dare adito a un rinnovato studio del mondo, libero dalle pedanterie dell’aristotelismo. Egli avverte con drammatica urgenza la necessità di una renovatio mundi, di un rinnovamento al quale giungere attraverso l’elaborazione di una riflessione in grado di mostrare la falsità dei pregiudizi radicati e del senso comune, esposta in una particolare veste linguistica e stilistica, segno di precise posizioni teoriche. L’adesione alla filosofia talesiana permette a Campanella di intendere la filosofia naturale non più -canti IX-XI: dopo l’unione sessuale e il matrimonio, Venere e Adone visitano i cieli della Luna, di Mercurio, di Venere, osservando dall’alto le meraviglie del mondo. -canti XII-XVI: i due amanti vengono separati dall’arrivo di Marte; inizia una serie di avventure e magie per Adone, infine si ricongiunge con Venere e viene eletto re di Cipro. -canti XVII-XX: Venere si allontana da Cipro, Adone viene ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia. Il poema si chiude con una celebrazione in onore del giovane, trasformato in anemone. È definito il “poema della pace”, poiché si distacca dai paradigmi dell’epica, della materia di guerra e di sangue. Adone è un “antieroe” dai tratti femminei, per larghi tratti ricettore passivo di quanto accade intorno a lui; questo personaggio incarna la scelta di Marino di una narrazione sensuale, mirata ai piaceri della passione amorosa. Sulla storia principale si innestano una serie di episodi che Marino aggiunge negli anni successivi, passando dalla struttura in tre tempi a una narrazione che accoglie disgressioni e racconti secondari. L’Adone segna la perdita di una narrazione compatta e logicamente coerente. Nell’opera è presente l’unione di sacro e profano. Dopo otto anni, trascorsi in Francia, Marino torna in Italia nel 1623, convinto di aver superato le difficoltà con il Sant’Ufficio, ma così non è, e nel giro di poche settimane deve incassare una proibizione della ristampa italiana dell’Adone e affrontare la condanna pubblica da parte del Sant’Ufficio. Decide di allontanarsi da Roma, tornando a Napoli, qui tenta di riportare in luce il poema sacro la Strage de gl’Inocenti, ma non viene terminato e rimane inedito. Successivamente il poeta si ammala e muore nel 1625. Nel 1627 l’Adone viene inserito nell’Indice dei libri proibiti. LA POESIA BAROCCA TRA CLASSICISMO E SPERIMENTAZIONE. La stagione della poesia barocca è stata giudicata un’epoca di decadenza, segnata da un eccesso di sperimentazione che sfociava nel” cattivo gusto”. GABRIELLO CHIABRERA: Nato a Savona nel 1522 e morto nel 1638, in piena stagione barocca, dopo essere diventato uno degli autori di riferimento del pontificato di Urbano VIII Barberini. Chiabrera attraversa la transizione che porta al primo Barocco italiano e ne offre un’interpretazione del tutto personale, diversa da quella di Marino. Con Guerre de’ Goti, il poeta fa il suo esordio a stampa nel genere epico. Sul campo dell’epica Chiabrera celebra sia la casata dei Medici, sia la casata di Savoia. Tuttavia, la sezione più importante della sua scrittura è rappresentata dalla lirica, dove riprende i modelli della tradizione classica, dimostrandosi capace di una sperimentazione nell’ambito dei metri e dei ritmi. Realizza una serie di canzoni pindariche con il titolo di Canzonette. Nelle raccolte Maniere di versi toscani (21 componimenti), Scherzi (in tre sezioni, rispettivamente di 14,12 e 44 componimenti) e Canzonette morali (16 testi). Maniere è una raccolta di madrigali e canzonette, Chiabrera fa riferimento all’aspetto tecnico della sua ricerca, mentre gli Scherzi sono tessuti su una ripresa della poesia francese del Rinascimento. In questi testi si consuma una rastremazione dell’esperienza poetica, che lascia da parte il grande modello di Petrarca, e che approda a una ricerca ritmica e fonica. Nella raccolta delle Canzonette morali arriva a rappresentare una riflessione di gusto oraziano. Chiabrera quando vide sorgere la parabola poetica del Marino, se ne discostò, conservando una posizione autonoma. Gli ultimi anni trascorrono in una posizione di rilievo e qui va ricordata la stesura di una breve e interessante autobiografia. Se Chiabrera rappresenta un modello di un’altra generazione, intorno a Marino si muove una serie di nuovi poeti, protagonisti della prima poesia barocca. Nel 1602 vengono pubblicate le Rime di Marino ma già nel 1601 escono le raccolte liriche di Tommaso Stigliani. Uno dei paradigmi della nuova generazione è la spinta a praticare nuovi moduli e nuovi contenuti, con un ricorso marcato all’utilizzo della metafora, impiegata come chiave per prolungare il discorso poetico. Durante il periodo che stiamo trattando, tra Roma e Bologna si profila una linea culturale alternativa che trova il suo centro intorno al cardinale Maffeo Barberini (Urbano VIII). Da quest’ultimo deriva il circolo barberiniano, Maffeo è autore di odi latine e stringe rapporti con alcuni letterati locali. Egli intende tornare a una classicità composta e sorvegliata. Grazie alla sua elezione a pontefice, con il nome di Urbano VIII, nel 1623, il circolo barberiniano diventa realtà e l’opposizione mariniana evidente, così come la proposta di una poesia che congiunga il modello di Petrarca sul piano dello stile con quelli di Orazio e Pindaro. A metà secolo, scomparsi ormai i principali protagonisti, questa proposta perde un po’ della sua forza; tuttavia, rimane il rilievo di un’esperienza che segna una cesura deliberata rispetto alle poetiche pienamente barocche di inizio secolo, tornerà utile alla fine del 1600, quando nuovamente si mirerà al recupero di una misura, cancellando gli esiti del Barocco. La lirica barocca si allontana dai canoni classici, infatti la poesia diventa un gioco, dominata dall’ingegno e non dallo scavo interiore. Segue il rifiuto del modello petrarchesco e l’introduzione del brutto e dell’osceno. Inoltre, si rompono le regole per andare incontro ai gusti del pubblico. Essendo l’ingegno una facoltà creativa, l’acutezza sarà la facoltà per coglierlo. Quadro italiano: nei primi anni del secolo si fronteggiano lo Stato Pontificio sostenuto dalla Spagna e Venezia sostenuta dalla Francia. In Italia, la presenza dominatrice spagnola spinge, oltre che a un dissenso, a una riflessione storica e politica, che ha in Machiavelli un modello ineludibile. I nomi che spiccano all’interno di questo dibattito particolarmente aperto e vivace sono quelli di Sarpi e Boccalini. GALILEO GALILEI (Pisa 1564 - Arceti 1642) Figura fondamentale nella storia del pensiero scientifico è Galileo Galilei, responsabile di una svolta epistemologica che segna la nascita dell’età moderna, un autore che caratterizza anche la storia letteraria del suo tempo. Il padre lo indirizza verso lo studio della medicina, che poi abbandona. Agli studi di questi anni, si datano i primi contatti con la scienza di impostazione aristotelica. Ottiene la cattedra di matematica a Pisa. Le ricerche di fisica e matematica assumono il centro del suo percorso, ma Galileo conserva anche un interesse profondo per le questioni letterarie. A Padova inizia una stagione ricca di indagini ed esperimenti. Galileo è l’inventore del cannocchiale, lui dà inizio ad una serie di osservazioni che segnano un momento decisivo nella storia della scienza. Si accorge di essere il primo uomo a portare avanti lo sguardo sui corpi celesti. Galileo raccoglie le “osservazioni” in un libretto di poche decine di pagine: è il Sidereus nuncius (Venezia,1610) →Adotta un latino semplice nel linguaggio e nella sintassi, tutto mirato a offrire la successione delle osservazioni e delle relative argomentazioni. Il Sidereus nuncius ha un impatto sul piano della diffusione delle conoscenze, attraverso la centralità anche simbolica dello strumento. Galilei decide di lasciare Padova e di tornare in Toscana. Il passaggio presso i Medici garantisce a Galileo una maggiore libertà negli studi, ma gli sottrae la protezione procurata dalla Repubblica di Venezia rispetto alle pressioni che arrivano da Roma. Il confronto diretto tra scienza e fede, procura delle reazioni inevitabili da parte delle gerarchie ecclesiastiche, infatti nel febbraio del 1616 viene promulgato il “salutifero editto”, con il quale si sancisce la condanna della teoria di Copernico che prevede il movimento della Terra intorno al Sole, perché contrastante con la dottrina proposta dalle Scritture. Inizia quindi la terza fase della vita di Galileo, incentrata sui contrasti con la Chiesa. Nasce così il Saggiatore, una sorta di risposta al libro Libra del gesuita Grassi, il quale sostiene che i pianeti girano intorno al Sole, ma Terra e Luna no. Galileo boccia questa teoria di compromesso tra scienza e chiesa e scrive che è vera solo alla visione copernicana. Inoltre, il saggiatore è una bilancia di precisione, più precisa della libra. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Galileo intende fare spazio a molti dei materiali e degli appunti accumulatisi negli anni. Il passaggio dal Discorso al Dialogo è un’innovazione strutturale decisiva, la chiave di volta. Il dialogo tra diversi interlocutori consente una mobilità di toni e di voci, un continuo trapasso di argomenti, con la possibilità di disgressioni e allontanamenti dall’esposizione principale. L’opera è già pronta nel 1630, ma Galileo invia il Dialogo a Niccolò Riccardi, lettore al servizio dell’Inquisizione; a seguito di queste letture, Galileo deve accettare diverse modifiche al testo, a partire da quella riguardante il titolo (Dialogo del flusso e riflusso del mare). L’opera viene ribattezzata Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, e presenta un confronto tra i due sistemi di Tolomeo e di Copernico. L’opera viene dedicata al granduca di Toscana e l’edizione è aperta da un’immagine che rappresenta i tre protagonisti, le figure cui Galileo affida lo sviluppo del dialogo. I tre protagonisti sono: 1. Giovan Francesco Sagredo, nobile veneziano, colto, amico e allievo di Galilei. 2. Filippo Salviati, fiorentino, anch’egli allievo di Galilei. 3. Simplicio, nome che nasconde un “filosofo peripatetico” che Galileo non vuole nominare esplicitamente. Si intravede la figura di un “Accademico linceo”, che rimane senza nome, ma al quale il personaggio di Salviati, fa spesso riferimento come supporto per i suoi discorsi. I dialoghi, articolati in quattro giornate, si svolgono a Venezia, nel palazzo Sagredo, e le dinamiche vedono le argomentazioni di Salviati opposte a quelle di Simplicio, le prime a sostegno del sistema copernicano, le seconde a sostegno del sistema tolemaico. Il confronto dei due sistemi era sviluppato lungo la materia delle quattro giornate, che può essere così schematizzata: a. La prima giornata è dedicata a un’esposizione dei presupposti teorici di eliocentrismo e geocentrismo; b. La seconda giornata è dedicata alla discussione del possibile moto diurno di rotazione della Terra intorno al suo asse; c. La terza giornata è dedicata alla discussione del possibile moto annuo di rivoluzione della Terra attorno al suo asse; d. La quarta e ultima giornata è dedicata alla descrizione del fenomeno fisico delle maree, fenomeno che dovrebbe offrire la conferma al moto terrestre. = Opera letteraria straordinaria sul piano scientifico e letterario. La quarta fase della vita di Galileo inizia con il processo del 12 aprile 1633 e la conseguente sentenza del 22 giugno, che prevede l’abiura pubblica forzata di Galileo. Egli trascorre gli ultimi anni in una condizione di emarginazione e solitudine, tenendo vivi i contatti con interlocutori italiani ed europei solo attraverso lettere. GIOVAN BATTISTA BASILE E LA NARRAZIONE DEL SEICENTO Nel XVII secolo il romanzo è il nuovo genere narrativo in prosa che, in Italia e nel resto del panorama europeo, offre la possibilità di esprimere la complessità del presente, andando incontro alle nuove esigenze del pubblico. In Italia, la produzione del romanzo è nel periodo tra il 1625 e il 1675 e soprattutto in area veneta e ligure. Molti aspetti contraddistinguono il genere romanzesco: l’ampia estensione narrativa, i temi vari-filosofico, storico, politico, avventuroso, morale- che ereditano motivi caratteristici della letteratura cavalleresca e pastorale, la contaminazione (tutta barocca) di generi, il destinatario, cioè un pubblico non necessariamente costituito da letterati. La collocazione degli eventi narrati è variabile: si va dalla dimensione esotica all’ambientazione contemporanea. Tra gli autori di romanzi, vanno ricordati Giovanni Ambrosio Marini con il Calloandro fedele, coniuga in maniera equilibrata vicende cavalleresche e sentimentali; l’opera rappresenta a pieno il romanzo secentesco, Girolamo Brusoni, con la trilogia di romanzi La gondola a tre remi, Il carozzino alla moda e la Peota smarrita e Francesco Fulvio Frugoni a cui si deve l’ideazione del romanzo che ha come oggetto la storia contemporanea; l’opera più celebre di quest’autore è Il cane di Diogene in 7 volumi, si tratta di un romanzo che compendia in sé molteplici generi, come uno specchio della società e della natura, il testo può essere considerato una lunga satira nei confronti del mondo letterario e contro i costumi contemporanei. Lo sviluppo del romanzo è considerevole, a discapito della novella che si presta a una notevole duttilità di forme. Lontano dal modello decameroniano inteso come equilibrata dinamica tra singoli racconti e cornice, il genere novella soggetto a continue metamorfosi, è in questa fase difficile da definire, è possibile individuare due aree principali all’interno delle quali la novella fiorisce, ossia quella veneta e quella ligure; simile è anche il periodo entro il quale i due generi narrativi si sviluppano. Esempio della novellistica prodotta in ambito veneziano sono le Cento novelle amorose de i Signori Accademici Incogniti, queste costituiscono il frutto di un’attività collettiva: si tratta di raccolte nate all’interno dell’accademia lagunare degli Incogniti. Della produzione novellistica in area ligure degna di menzione è la raccolta Le instabilità dell’ingegno, di ispirazione decameroniana. All’inizio del Seicento le espressioni letterarie in dialetto trovano forme più compiute in principi arcadici contribuisce anche la deduzione delle colonie in altre città, cioè la fondazione di succursali nuove. L’Arcadia diviene una fondamentale infrastruttura culturale, mettendo in comunicazione i letterati d’Italia e d’Europa, sollecitando la formazione di un gusto unitario e unificando gli sforzi di riforma letteraria. Le caratteristiche principali sono: l’opposizione alla stravaganza barocca; la funzione moralizzatrice, in quanto per loro i sentimenti devono essere controllati dalla ragione e utilizzano il tema pastorale e bucolico, come evasione dalla realtà. Inoltre, condannano il teatro come subordinazione della poesia alla musica e alla scenografia, per l’assurdità della convenzione scenica che impone ai personaggi di cantare anche in circostanze del tutto inopportune. Zeno rimodula la struttura dei drammi per musica, sacri e profani, secondo norme classiche e gusto arcadico: semplicità, organicità, funzione educatrice della poesia. CRESCIMBENI: Arcadia è per lui il punto di arrivo dal quale rileggere tutta la storia della poesia italiana: ripercorrere il passato vale quindi a celebrare il presente e a dargli autorità. Ciò che per Crescimbeni il secolo ricerca è lo stupore non dello strano ma della perfezione formale, dell’originalità nell’imitazione, dell’esattezza del gusto. Di qui anche l’invito rivolto ai poeti alla regolarità e chiarezza comunicativa, al decoro, necessari affinché la poesia diventi elemento di socialità. GRAVINA: il buon gusto graviniano dipende da una concezione non retorico-sociale a filosofico-civile della poesia. Essa è un medium per comunicare verità sapienziali e contribuisce ad attuare una riforma etico- morale fondata sulla fiducia nella capacità della ragione umana di liberarsi da dogmi e pregiudizi per giungere alla verità. La rappresentazione poetica ha una funzione educatrice. PIETRO METASTASIO (1698 – 1782) Si dedica al teatro per musica riformandolo: opta per un dramma che pone al centro l’uomo e la parola. È tragediografo e i suoi drammi sono rappresentabili anche senza musica, centro del dramma è la vita interiore dell’uomo. La tragedia punta così a una drammaturgia della felicità, sia per il diletto che procura che per l’utile che propone mettendo in scena modelli positivi. Primazia della parola e necessità di coerenza drammatica rispetto alla musica. La Didone abbandonata dramma costruito sulla impulsiva figura di Didone. Si fa poeta delle emozioni e degli stati d’animo, autore di drammi in cui conta il percorso di formazione morale che attraverso il variare costante d’opposti affetti porta al loro contemperamento e alla ragionevole quiete interiore. Scrive per un pubblico colto e internazionale: si concentra su una semplificazione dei drammi, poco concedendo alla spettacolarità scenica ma curando attentamente la funzione drammatica della gestualità dei personaggi e l’approfondimento della loro psicologia, e d’altra parte enfatizzando la riflessione sulla regalità in funzione educativa. Massima semplicità ed essenzialità. Per Metastasio è quindi nella funzione pubblica e sociale dell’opera che risiedono anche la necessità della conclusione felice dei melodrammi, che suggella il governo delle passioni e l’utilità loro e dell’opera del poeta. CRITICI E STORIOGRAFI DEL SETTECENTO Muratori → Il buon gusto diventa anche capacità di indirizzare la cultura per promuovere e migliorare la condizione degli uomini facendosi comprendere da essi con uno stile chiaro che riesca ad arrivare anche ai lettori meno esperti. Conversione allo studio del medioevo, età in cui riconosce l’origine delle istituzioni, dei costumi, delle case regnanti dell’Europa contemporanea. Gigantesca opera collettiva, scelta di fonti storiche poi antologizzate sulla vita medievale dal punto di vista economico, civile, religioso e istituzionale. Vico → è vero solo ciò di cui si è la causa, ciò che si è prodotto. Solo Dio creatore ha perciò piena conoscenza della realtà naturale di cui l’uomo conosce invece solo la superficie, essendo le matematiche e le altre scienze astratte un prodotto umano e convenzionale. La scienza nuova è la storia: scienza perché conosce le leggi eterne del comune divenire storico di tutti i popoli ed è nuova appunto perché per la prima volta è presentata come scienza. Risalire alle verità originarie dell’uomo implica indagare le antiche usanze e forme di espressione, linguistica, poetica in particolare. La scienza nuova è storia dell’umanità e insieme teologia poiché è nei fatti umani che Dio opera, conducendo, indipendentemente dalle intenzioni umane, il corso storico. Conti → proposta di una poesia classicista e filosofica corrisponde all’apprezzamento per l’apertura tematica della poesia dantesca da contemperare cono le forme purissime di quella petrarchesca. L’efficacia della poesia passa per la forza della rappresentazione, l’evidenza o particolareggiamento, che colpiscono la sensibilità e la fantasia del lettore. Rispetto alla prima metà del secolo la critica letteraria del secondo Settecento tende a distinguersi per la scelta di modalità espressive più brillanti e meno strutturate: al trattato succedono saggi, articoli e lettere. L’estetica del secondo Settecento si apre sempre più all’individualità dell’autore e del lettore, alle loro passioni: anche al critico è richiesta, per intendere e giudicare la letteratura, non più solo conoscenza della tradizione e orecchio, erudizione e competenza tecnica, ma sensibilità. LA STAGIONE DELL’ILLUMINISMO TRA IL VENETO E NAPOLI Lo straordinario movimento dell’Illuminismo ha come epicentro Milano e viene applicato a vari ambiti: la politica, la religione, la filosofia, l’economia, oltre che le lettere. Napoli: l’illuminismo si distingue per la direzione riformistica, in particolare nell’economia, commercio e diritto. Il manifesto è il trattato Della Moneta di Galiani, che difende l’invenzione della moneta, soffermandosi sulla sua utilità e comodità. Giannone individua nel periodo medievale il momento in cui ha avuto origine la disastrosa situazione giurisdizionale dei suoi tempi; l’obiettivo consiste nell’offrire una indagine interpretativa delle vicende del Regno di Napoli, con un’attenzione dettagliata ai cambiamenti che hanno investito le istituzioni civili. Mira a difendere l’indipendenza del governo civile del Regno, mettendo in discussione il potere temporale della Chiesa e la sua origine divina e criticandone l’ingerenza e i soprusi e attaccando i privilegi ecclesiastici con argomenti di natura giuridica e filosofica. Veneto: Tendenza verso un atteggiamento conservatore contrario a idee illuministiche, posizione dell’Accademia dei Granelleschi dei fratelli Gozzi. Polemiche contro le mode diffuse e la cultura polverosa esemplificata dall’erudizione settecentesca e la letteratura priva di vivacità. CARLO GOLDONI (Venezia 1707 – Parigi 1793) Il percorso di Goldoni nella letteratura italiana del Settecento è segnato in primo luogo dalla proposta di una riforma, da un’azione di rinnovamento all’interno del teatro comico maturata nel corso di una stagione decisiva., tra mutamenti sociali e il progressivo diffondersi della riflessione illuministica. Di questa riforma Goldoni è l’interprete più significativo ma anche il principale apologeta. È proprio Goldoni ad accreditarsi come protagonista di un rinnovamento, di un passaggio di modernizzazione delle pratiche teatrali; si fronteggiano, da un lato le convenzioni e gli stereotipi della commedia d’arte, dall’altro un nuovo teatro fondato sulla cura dei personaggi e dei testi. Gli studi più recenti hanno sottolineato come in Goldoni la ricerca di riforma conviva con una ripresa rispettosa delle convenzioni teatrali o con la pratica del teatro musicale. Il passaggio tra vecchio e nuovo avviene con lentezza e gradualità, con un’area di convivenza tra pratiche teatrali assai differenti. Venezia rappresenta lo scenario prevalente, il mondo da osservare e proiettare sull’orizzonte ambiguo e spesso carnevalesco del teatro. Carlo Goldoni nasce a Venezia nel 1707. Il padre era medico e spesso si spostava, a Perugia studia dai gesuiti, poi si reca a Rimini per affrontare gli studi superiori, ma fugge con una compagnia di comici. A Pavia riprende gli studi e si laurea in legge, avviando la sua carriera da avvocato. Nel 1734, a Verona, conosce il capocomico Imer, che lo incarica di scrivere testi per il teatro veneziano di San Samuele. Inizia così a sperimentare la sua riforma teatrale, attraverso un rapporto serrato con il pubblico veneziano, da una parte, e insieme con le compagnie degli attori dall’altra. L’alternanza nella produzione goldoniana tra testi più tradizionali e altri più innovativi si può spiegare con il rapporto quotidiano con le compagnie teatrali, con il gusto del pubblico, con le richieste degli impresari e con la concorrenza agguerrita di altri scrittori attivi nella scena teatrale veneziana. Fugge da Venezia a causa dei debiti e si reca a Pisa, dove continuò a lavorare come avvocato ed entra nell’Arcadia. Medebach lo convinse ad accettare un contratto di cinque anni, redigere 8 commedie l’anno con un ricompenso fisso, presso la sua compagnia dal 1748 al 1753. Diventa così scrittore di teatro di professione. Teatro comico → riflessione e rappresentazione della sua riforma. La commedia di impostazione metateatrale mette in scena una compagnia di attori che provano una commedia dello stesso Goldoni e che in questo modo, discutendo del testo, mettono in luce le novità dell’esperienza goldoniana. Riforma si fonda sullo studio delle tradizioni, del “Mondo” come palestra per l’analisi e la comprensione delle passioni dell’uomo nella dinamica continua tra vizi e virtù e nell’inesauribile varietà delle esperienze umane e del “Teatro” per acquisire i colori utili a destare meraviglia a conferma della curvatura morale che Goldoni imprime alla sua istanza di riforma. → Mondo e Teatro diventano i due poli che orientano la scrittura, in una combinazione di analisi di costumi e realtà e di abile resa scenica. Nel 1753 passa al teatro di San Luca e sperimenta tematiche esotiche e avventurose. Nel 1762 si reca a Parigi, ma la sua riforma non viene apprezzata dal pubblico. La prima fase (1738-1753) coincide con il lavoro per la Commedia di Medebach, conserva aspetti della commedia dell’arte (come le maschere). Le sue commedie appaiono policentriche, cioè tutti i personaggi sono importanti. Le opere di questo periodo sono: Mammolo cortesan e La bancarotta, commedie che criticano la nobiltà. La bottega del caffè → una straordinaria commedia corale impostata su un luogo dove diverse persone sono condotte da diversi interessi. Alla bottega del caffè si affiancano sulla strada e sulla scena una bisca, luogo di passioni negative e la sala di un barbiere, luogo di commento e decantazione delle diverse vicende dei personaggi. Gli amori e le infedeltà di Leandro, tra la moglie e l’amante, vengono proiettati in una scena di chiacchiere e di commenti, nella quale si contrappongono lo sguardo bonario del barbiere Ridolfo, e la prospettiva malevola di Don Marzio, caratterizzato da una miopia che ne condiziona le azioni e le battute. Don Marzio è l’eroe di una maldicenza che viene alla fine confitta, ma nella quale Goldoni lascia intravedere margini di ragione, come a lasciare nel pubblico il velo di un sospetto sull’esito positivo della commedia. È in queste punte di ambiguità che il teatro goldoniano risulta di straordinaria efficacia. La seconda fase (1753-1758) è il periodo al teatro di San Luca. Ha delle difficoltà, come la sala più vasta, un impresario non facile da trattare e un pubblico volubile che preferisce passaggi di evasione. Risalgono a questa fase le opere: Trilogia persiana, Commedie di esaltazione della figura del mercante, Commedie di ambiente popolare. Un sottofondo sociale caratterizza anche la commedia più famosa di Goldoni, La locandiera. La locandiera → scritta nel 1752 e messa in scena al teatro di Sant’Angelo. Ad animare e governare la scena è la figura di Mirandolina che, nell’ambiente di una locanda, orchestra una schiera di corteggiatori: con la sua vitalità e con un dosaggio di fascino e vezzi, Mirandolina non solo attrae il conte di Albafiorita e il marchese di Forlipopoli, ma riesce nel fare innamorare un cavaliere misogino, da sempre ostinato nell’odio contro le donne. Compiuto il suo proposito, e di fronte alla possibilità di nozze che sanciscano un’ascesa sociale, la donna alla fine decide di sposare Fabrizio, il giovane cameriere della locanda. Le nozze sanciscono un rientro del carattere di Mirandolina nell’alveo della convenienza e del decoro. Goldoni intreccia uno dei suoi più straordinari ritratti femminili e uno sfaccettato quadro sociale, nella descrizione di una borghesia operosa e di una nobiltà quiescente, ma anche nella proposta di una convivenza di Mirandolina con Fabrizio nella locanda, un’infrazione che solo le nozze verranno a sanare. In questa ambiguità d significati e in questa intersezione di piani la scrittura di Goldoni mostra di aver raggiunto una piena maturità. sostegno della tesi sono l’assurdità della tortura come “purgazione dell’infamia” (disonore) e l’inconsistenza della condanna di un torturato sulla base delle contraddizioni verbali in cui può cadere. Uno dei passaggi più significativi del saggio è la discussione sulla legittimità di comminare la pena capitale, nessun uomo pur avendo acconsentito all’assorbimento della propria volontà particolare all’interno della volontà generale, acconsentirebbe però a lasciare ad altri l’arbitrio di ucciderlo. La pena capitale non è un diritto, è inutile e dannosa, e va sostituita con la privazione perpetua della libertà, benché possa essere applicata quando gi istituti della convivenza civile versino in uno stato di degenerazione e quando ci sia il pericolo concreto che il singolo possa sovvertirli. Come prevenire i delitti? Attraverso leggi chiare e semplici che, uguali per tutti, favoriscano gli uomini e non classi sociali particolari, incutendo allo stesso tempo un giusto timore. Il pamphlet si chiude con una riflessione sullo stadio di sviluppo di un corpo sociale nella sua relazione con l’intensità della pena. Nel 1768 Beccaria ottiene la cattedra di economia e commercio presso le Scuole Palatine di Milano, detta le sue lezioni, edite postume con il titolo di Elementi di economia pubblica all’interno della collezione “Scrittori classici italiani di economia politica”: si discute della ricchezza delle nazioni a partire da una prospettiva fisiocratica, ossia assumendo che motore e base del sistema economico sia l’agricoltura e che quindi il surplus generato dalla modificazione dei beni debba essere reinvestito nella produzione degli stessi. Nelle Ricerche intorno alla natura dello stile Beccaria riflette sul conseguimento e aumento del piacere connesso all’immaginazione, privato e gratuito. Sempre negli stessi anni si dedica a un progetto (incompiuto) di storia filosofica dell’incivilimento, dal titolo provvisorio di Il ripulimento delle nazioni. GIUSEPPE PARINI (Bosisio 1729 – Milano 1799) Giuseppe Parini nasce a Bosisio nel 1729. Dalla provincia brianzola, giunge a Milano dove studia. L’anno in cui si diploma, dà alle stampe un volumetto fitto di versi: Alcune poesie di Ripano Eupilino; l’occultamento del luogo di stampa e l’uso dello pseudonimo (“Ripano” è anagramma di “Parino” e “Eupilino” indica la provenienza dell’autore) rivelano la preoccupazione per l’eco di quei versi. L’auto antologia è divisa in due parti: la prima di sonetti seri, cioè amorosi, magico-pastorali, di traduzione dai classici e sacri, la seconda di Poesie piacevoli, cioè sonetti caudati burleschi o satirici, seguono tre capitoli, un’epistola e tre ecloghe piscatorie. Parini ricorre spesso ad un linguaggio scurrile o basso e insieme alla polemica letteraria, rappresenta ambienti di un’umanità degradata e critica gli usi sociali. È il primo esempio di un’aggressiva satira di costume che coinvolge anche l’impiego della poesia e l’esser poeta. Nel 1754 diventa sacerdote e precettore di Serbelloni. Entra a far parte dell’Accademia dei Trasformati, che ha idee di illuminismo moderato. La prima ode, La vita rustica, il tema tipicamente arcadico, è usato per affermare la superiorità morale del produttivo e pacifico ideale fisiocratico, contrapposto al mercantilismo e per presentare una nuova figura di poeta libero dai ricatti del potere e del denaro e ad annunciare una nuova poesia. Parini loda l’intelligenza del contadino capace di migliorare le tecniche agricole e di rendere più produttivi i campi: l’innovativa scelta del tema si fonda sulla volontà di rifiutare l’adulazione dei potenti e di rendere perenni la virtù e il merito di chi si è reso utile a tutti. Nel 1762 Parini abbandona il servizio dei Serbelloni e diviene il precettore di Carlo Imbonati, evento che segna anche la chiusura dell’Accademia dei Trasformati. Egli si dedica ai versi che con le odi, comporranno la sua opera maggiore. Il Mattino ha per tema le (in)attività d’un giovane aristocratico ed offre un giudizio globale sulla nobiltà lombarda. Parini introduce una nuova modalità di intervento e di critica sociale: copre i panni del poeta satirico con quelli del maestro d’eleganza e di divertimento. Abbandona i toni dell’indignazione e della rivendicazione e costruisce il proprio discorso sull’ironia, sull’uso costante dell’antifrasi e sulla continua celebrazione ed elevazione stilistica di vite e oggetti preziosi ma fatui, che rimandano a una realtà sociale di oppressione e ingiustizia. Il Mattino si apre con l’ironica dedica Alla Moda che governa, da essa dipendono la scelta degli endecasillabi sciolti. Poesia da toilette, Il Mattino ha alle spalle, per il metro, poemi cinquecenteschi e settecenteschi; lo stile elegantissimo fa riferimento ai classici (Orazio, Virgilio). L’attacco del Mattino rivela il suo fascino letterario e la sua sostanza satirica. Molti dei materiali ideologici provengono dal Dialogo sopra la nobiltà. Al fondo della critica pariniana sta il tema del distacco della società aristocratica della natura; per questo è emblematico l’inizio della mattinata del Giovin Signore che reduce dalla nottata di festeggiamenti, si corica al canto del gallo che richiama invece all’opera contadini ed artigiani, presentati come modelli di vita laboriosa e accordata a un ordine superiore ed elementare. La mattinata del nobile sarà tutta occupata dalla preparazione di sé per l’uscita in carrozza. Scopo dei preparativi è la comparsa nel mondo e l’accompagnamento della dama cui il Giovin Signore è cavalier servente. La riflessione sull’amore è il punto fondamentale del poemetto. A fronte della vita familiare degli umili, il cicisbeismo rappresenta il segno della corruttela nobiliare. Alla divisione tra amore e matrimonio viene dedicata la favola di Amore e Imene. Conclusi i preparativi e gli indugi, il Giovin Signore si precipita alla dimora della sua dama, con la quale trascorrerà le altre parti della giornata; il mattino si conclude su una scena di sangue. La vista di sangue rimarca tutta la distanza che la società, e non la natura, ha posto fra nobile e plebeo. Parini continua a vestire i panni del precettore d’un giovane nobile nell’ode L’educazione, composta per la guarigione di Carlo Imbonati e dedicata ai principi di una formazione umana. La prima parte dà conto dell’occasione, qualifica l’ode come particolarmente armoniosa e loda il destinatario cui il poeta vorrebbe poter presentare un dono. Gli offre la seconda parte nell’ode, in cui il maestro-allievo è trasposto nell’analogia mitica di Chirone-Achille. L’ode, celebre per la purezza e l’evidenza neoclassica delle immagini, è una sorta del positivo del Mattino e l’Achille Imbonati rappresenta l’investimento di Parini nella formazione di un’aristocrazia illuminista e riformatrice, che sappia elevare il privilegio della nobiltà di sangue col merito della virtù. Nel 1765 è pubblicato il secondo poemetto sulla giornata del nobile: Il Mezzogiorno. Non muta, rispetto al Mattino, l’impianto formale e ideologico, si arricchisce di nuovi temi, personaggi e di un movimento articolato in quattro tempi: l’arrivo del Giovin Signore presso la Dama, il desinare, il caffè ed il gioco, la passeggiata al Corso. Vengono alla ribalta la Dama, che si è preparata, i corteggiatori che l’attorniano, il marito inebetito cui è vietata la gelosia. Il cicisbeismo, cioè il rituale rapportarsi di Dama e Cavaliere di cui fanno parte infedeltà, litigi e gelosie, e la pittura dei tipi e delle mode che caratterizzano la socialità nobiliare sono le due file da cui dipendono le scene e gli episodi del Mezzogiorno, ovvero le due favole. La prima, inserita al momento in cui la Dama si siede a tavola col Cavaliere, ha funzione sociale con il racconto dell’originaria uguaglianza degli uomini infranta dagli dèi, la divisione fra i nobili e la plebe. La seconda, sull’origine del gioco del tric-trac sferza l’innaturale mancanza di gelosia nei mariti nobili. La scena del pranzo propone vari tipi umani, ciascuno dei quali è latore di tesi o mode presenti nel dibattito culturale. Significativo per comprendere l’Illuminismo non libertino di Parini è il rapporto con i philosophes illuministi (Rousseau e Voltaire), delle cui idee il Giovin Signore si è infarinato durante la toilette. Per farsi bello di fronte alla Dama, egli ne espone le idee più spregiudicate contro la religione. Dopo l’intermezzo del gioco, al tramonto, la gita in carrozza; il Corso dopo aver visto tutto il giorno il via vai dei lavoratori, prende forma una sfilata di nobili, di madri e figlie borghesi, nella quale splenderà il Giovin Signore. Il Mezzogiorno si chiude su lunghe ombre e rintocchi funebri. La notte che sopraggiunge annulla, come la morte nel Dialogo sopra la nobiltà, tutte le differenze apparenti; il nero sipario cala sui viventi e ottunde le possibilità rappresentative del poeta e pittore, la cui parola è la sola capace di sottrarre al buio. Grazie al successo del Mattino e del Mezzogiorno e all’avvicinamento agli ambienti della corte, per Parini è possibile iniziare una carriera come docente. L’ultima ode civile è Il bisogno, in cui sostiene l’inutilità di pene aspre se non si pone rimedio alle cause socioeconomiche del crimine. Nel 1768 abbandona la carriera di precettore, per ricoprire una cattedra nelle Scuole Palatine. La fine degli anni Settanta segna una ripresa dell’attività poetica e letteraria di Parini, che torna a comporre odi d’occasione con La laurea e Le nozze; a questa fa seguito Il brindisi. La ripresa della poesia dopo un lungo silenzio è tematizzata nelle prime strofe della Laurea in cui Parini torna ad enfatizzare l’impegno etico insito nel comporre versi. Il valore assoluto della poesia e la persona del poeta acquisiscono un’importanza crescente, accreditando l’ode sempre più come spazio all’espressione e alla difesa dell’io poetico e dei suoi valori. A questo tema si affianca quello della celebrazione della bellezza, rappresentata in versi di compostezza neoclassica. A questo filone fanno riferimento Le nozze e Il brindisi in cui il poeta celebra l’amicizia che dura fino alla morte. Le odi degli anni Ottanta riprendono la tematica della Laurea precisando il nesso che lega la dignità della poesia e della persona del poeta alla volontà di celebrare chi lo merita. La caduta è il testo capitale, che tematizza, attraverso uno stile complesso e popolare, la diversità, la separatezza di Parini poeta e “buon cittadino”, dalla società nobiliare e plebea in cui vive. Parini si rappresenta come uomo e poeta esemplare, non si è mai umiliato per entrare nelle grazie dei potenti, ma ha serbato intatto il proprio patrimonio d’ideali. La caduta è il tassello più significativo dell’automitografia pariniana. Preceduta da tre odi, quella funebre In morte del maestro Sacchini, l’allegoria piscatoria della Tempesta e La magistratura, l’altra grande occasione celebrativa è rappresentata dalla La gratitudine dove Parini prima vi ringrazia il cardinale Angelo Maria Durini per l’onore che gli ha tributato visitandolo una volta a casa sua, poi ne loda la vita di protettore delle arti e delle lettere. Questo sigilla il volume che raccoglie 22 odi mettendo in apertura L’innesto del vaiuolo. A questa edizione fa seguito una nuova edizione che aggiunge le ultime tre odi del maestro: Per l’inclita Nice per la contessa Maria Litta Castelbarco che aveva mandato a chiedere notizie del poeta infermo; A Silvia contro la moda francese di cingere un nastro rosso al collo e Alla Musa per l’allievo Febo d’Adda. Per l’inclita Nice è uno dei vertici della lirica pariniana, per l’equilibrio fra perfezione stilistica e formale, tra modulazioni tematiche e trapassi temporali e sentimentali. La sensibilità di quest’ode si estende anche A Silvia caratterizzata da un tono familiare in cui vibrano le corde del turbamento per le violenze rivoluzionarie e la corruzione morale. La pace e la pudicizia, interiori e nella relazione con gli altri, assurgono a qualità distintive a coloro che amano la poesia in Alla Musa, il testamento poetico e educativo di Parini. Il ritratto è quello dello stesso Parini, ma anche quello dell’allievo Febo, ora sottratto alla poesia dalle grazie della sua sposa. Il lavoro su Mattino, Mezzogiorno e Sera riprende negli anni Ottanta. In processo di revisione porta a un mutamento strutturale dell’opera che diviene un poema, Il Giorno, in quattro parti (Mattino, Meriggio, Vespro, Notte) del quale restano per le ultime due parti solo frammentari manoscritti autografi ed appunti, che indicano alcuni dei temi che Parini intendeva sviluppare. I frammenti del Vespro e della Notte indicano un indebolimento della funzione del precettore, così viene meno un elemento di unità dell’opera che tende a disgregarsi in una serie di episodi staccanti. Il passaggio a una struttura in quattro parti implica, nelle prime due, soppressioni, cadono la dedica alla Moda, compensate nel Mattino da aggiunte. Il Meriggio si chiude sulla favola del tric-trac, mentre il Vespro si apre sul tramonto e col Giovin Signore e la Dama che escono sul “vespro nascente” dal palazzo in carrozza. Qui la sfilata sul Corso della nobiltà, sono inseriti i doveri della (falsa) amicizia. La Notte aperta da un’introduzione che mette a contrasto le notti del remoto passato e quella odierna e tornando a ribadire la natura artificiale della vita aristocratica. È fissata in questi versi l’azione dipinta nel quarto poemetto: una varietà di occupazioni ludiche in cui ciascuno trova sé stesso. Segue la favola del Canapè che mostra in atto il processo di corruzione: inizia la lunga “sfilata degli imbecilli” in cui smarrisce la figura del Giovin Signore. Forse proprio nell’impossibilità di educare un ceto ormai destinato alla fine sta una delle chiavi per comprendere l’incompiutezza a cui Parini abbandona la sua satira. Muore nel 1799. EPOCA 8. NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO. INTRODUZIONE L’assetto politico europeo di antico regime si sgretola nel corso del Settecento, a partire dalle guerre di successione spagnola, polacca e austriaca fino alla Rivoluzione francese e dall’imperialismo napoleonico, eventi che siglano l’ascesa dell’epoca borghese. All’interno di questa cornice storica, si sviluppano due sensibilità: quella neoclassica e quella romantica. Il Neoclassicismo, con la sua ripresa della classicità recupera la tradizione greco-latina nella prospettiva di una competizione imitativa con la classicità. Viceversa, il Romanticismo guarda sì al passato, ma al passato inesplorato delle saghe medievali, interpretato con originalità dall’artista. È un rovesciamento di paradigma sociale, culturale ed estetico che Nasce vicino Ravenna, nel territorio dello Stato della Chiesa. Durante il periodo all’università di Ferrara si distingue per alcuni componimenti poetici e alla fine degli studi, nel 1778, il cardinale Scipione Borghese lo invita a trasferirsi a Roma. In quel momento la città sta vivendo il momento più alto della sua stagione neoclassica, spinta dal volere di Pio VI, che intende sfruttare il rinnovato interesse per l’antico per esaltare l’Urbe contemporanea. Nel 1799 compone La prosopopea di Pericle, dedicata al Visconti, e la recita in Arcadia. Nel 1781, in occasione del matrimonio del nipote del papa Luigi Braschi Onesti, scrive la cantica La bellezza dell’universo, che colpisce lo sposo che lo prende come segretario. Inseritosi in breve tempo negli ambienti dell’alta aristocrazia romana, diventa una delle sue voci più importanti componendo diverse opere poetiche e due tragedie ispirate a Shakespeare: l’Aristodemo e il Galeotto Manfredi. Le notizie che arrivano a Roma sulla Rivoluzione francese spingono in un primo momento il Monti su posizioni conservatrici: da qui nasce l’idea del 1793 di comporre un poema, la Bassvilliana, in cui vengono raccontati gli eccessi della Rivoluzione. In seguito, però, inizia ad avvicinarsi agli ideali repubblicani e giacobini, al punto di decidere, nel 1797, di abbandonare una Roma ormai sempre più preda dei fermenti anticlericali. Si trasferisce a Milano, dove inizia una nuova fase della sua vita. Divenuto sostenitore del potere napoleonico, ottiene vari incarichi nella Repubblica cisalpina e la cattedra di eloquenza all’università di Pavia, che mantiene fino al 1804: questo periodo è segnato da una fitta produzione letteraria che si limita, però, ai toni puramente celebrativi come ad esempio la Musogonia (1797), che narra la nascita delle muse, e che viene dedicata a Napoleone. Notevoli, invece, sono i risultati raggiunti nelle opere di traduzione: nel 1800 traduce la Pucelle d’Orléans (La pulzella di Orléans) di Voltaire, e dieci anni dopo pubblica una celebre traduzione dell’Iliade che lo rende famoso a livello europeo. → L’apice della celebrazione napoleonica è rappresentato dal Bardo della Selva Nera e dall’Iliade: il Bardo è un esperimento di commistione di diverse soluzioni formali: nell’incompiuto poema convivono endecasillabi sciolti alternati a strofe chiuse e ottave; lo sperimentalismo metrico fa da pendant a quello delle immagini: le imprese napoleoniche, narrate dal soldato Terigi al bardo Ullino, sono calate in un’atmosfera brumosa e sublime, punteggiata di riferimenti alla mitologia germanica. Nella scelta del poema omerico si legge la volontà di cantare epicamente l’imperialismo napoleonico secondo la grammatica del neoclassicismo, di cui l’Iliade montiana è l’espressione compiuta. Nel 1815 Milano ritorna sotto il regno asburgico con cui Monti accetta di collaborare: nel 1816 entra a far parte della rivista filoaustriaca “Biblioteca Italiana” mentre continua la sua produzione letteraria. Tuttavia, il clima culturale è radicalmente cambiato ed è ormai egemonizzato dalle istanze e dalle posizioni romantiche, cosa che, di fatto, lo emargina dal dibattito intellettuale. Il percorso poetico di Monti si conclude con il Sermone sulla mitologia, poemetto in endecasillabi sciolti. In questo componimento ribadisce la propria fedeltà al serbatoio di temi e immagini offerto dalla mitologia lamentando lo strapotere dei romantici, colpevoli di aver sottratto alla poesia i suoi tradizionali materiali costitutivi, a favore dell’austero genio inspiratore, nella consapevolezza della fine di un intero sistema culturale. La Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca di Monti è il prodotto più visibile di una riflessione plurivoca sulla lingua italiana portata avanti dal poeta cesareo e dal suo entourage in quegli anni, in una Milano capitale del Regno Lombardo Veneto. Il volume ricostruisce, ricorrendo a documenti di prima mano, il milieu culturale e letterario da cui l’opera scaturisce e restituisce il quadro della politica linguistica cui è improntata, tra antipurismo, classicismo di marca cinquecentesca e apertura alla contemporaneità. Il racconto storico-letterario è affiancato dalla narrazione del viaggio testuale della Proposta dai manoscritti di lavoro alla stampa, facendo emergere a tutto tondo la figura di Vincenzo Monti lessicografo e teorico della lingua italiana. CLASSICISMO E ROMANTICISMO *Purismo: movimento che vuole ripristinare una supposta puritas linguistica, presente in uno spazio e in un tempo della Toscana del Trecento. Va letto in risposta alla diffusione capillare di francesismi e forestierismi che ha segnato l’italiano settecentesco. MELCHIORRE CESAROTTI (1730-1808): Posizione di prestigio culturale e sociale, esercita un’influenza decisiva sui suoi allievi e non. Nel Ragionamento sopra l’origine e i progressi dell’arte poetica, premessa a due traduzioni di Voltaire, getta le basi della sua estetica letteraria: pur accogliendo il precetto imitativo proprio dell’estetica neoclassica, basato sulla ripresa dei modelli greco-latini, pone l’accento sulla molteplicità delle forme della natura e sulla conseguente possibilità di reinterpretazione creativa da parte del poeta. Questo comporta una priorità dell’intuizione dell’autore rispetto agli strumenti e alle norme dell’arte poetica e alla stessa imitazione, il che a sua volta autorizza la sperimentazione di nuove forme di espressione, in risposta anche a una pressante esigenza di svecchiamento della cultura letteraria italiana. Il suo atteggiamento nei confronti di una visione chiusa e monolitica della lingua è sintetizzato nel Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana. Cesarotti sgombra il campo da qualsiasi obiezione in direzione puristica o protezionistica nei confronti dell’italiano in quanto lingua storico-naturale, che si evolve nel tempo, presentando otto punti cardine di ordine teorico-filosofico in merito al mutamento linguistico: nessuna lingua è pura, nessuna lingua è perfetta e muta adeguandosi a nuove esigenze espressive, autorizza così l’uso del neologismo e il prelievo da altre lingue. Il ritorno degli austriaci a Milano chiude la parentesi giacobina e poi napoleonica. Questa pax mette i leterati in condizione di ingaggiarsi in una polemica che vedrà impegnati nomi illustri su entrambi i fronti, quello classicista, legato alla tradizione e all’imitazione e, di norma, connesso alla nuova compagine governativa, e quello romantico, mirante all’originalità dell’individuo poetante e della creazione poetica e, solitamente, di orientamento politico liberale. Lo spazio della polemica è quello messo a disposizione da due riviste milanesi: La “Biblioteca Italiana” e poi “Il Conciliatore”. Il primo, organo di stampa filoaustriaco, è diretto da Acerbi e si occupa prevalentemente di letteratura. Con il termine Romanticismo italiano si indicano il pensiero e le opere di una serie di autori attivi in Italia nel periodo tra il Congresso di Vienna e l’Unità d’Italia. Questo movimento nasce in piena continuità con il Romanticismo europeo, esaltandone in particolare i caratteri patriottici e politici. La corrente romantica europea era una reazione all’arida poetica illuminista per proporre un ritorno ai valori religiosi, sentimentali e patriottici. Il Romanticismo, infatti, si diffonde in tutta Europa a partire dall’inizio dell’Ottocento e propone il recupero del passato medievale e dell’identità linguistica e culturale dei popoli. Il termine Romanticismo deriva proprio dall’aggettivo romance e roman che, nel francese antico e nello spagnolo, designavano le opere scritte nelle lingue romanze. L’aggettivo romantico ha poi assunto il significato di “incline al sentimentalismo” proprio collegandosi al movimento che nacque nella prima metà dell’Ottocento. Il Romanticismo italiano è stato un momento letterario fondamentale per la storia culturale del paese. Ha dato spunti importanti a due grandi autori della letteratura come Leopardi e Manzoni ed ha contribuito alla nascita di un’ideologia politica improntata sulla coscienza di appartenere ad un unico popolo. Le caratteristiche principali del Romanticismo europeo si diffondono anche in Italia ma in maniera più velata, come era accaduto per quasi tutti i movimenti letterari. In Italia, infatti, lo slancio sentimentale dei grandi romanzieri tedeschi e inglesi era decisamente attenuato. Ciò perché i letterati che si avvicinavano al Romanticismo sceglievano la sua vena realistica e storica. Alcuni letterati italiani possono quindi definirsi preromantici. Una figura che bisogna ricordare è quella di Ugo Foscolo, certamente affine a questo movimento. Tra i preromantici si annovera inoltre Vittorio Alfieri. Le sue opere sono imperniate su alcuni elementi romantici come l’individualismo e la concezione tragica dell’esistenza. La data convenzionale della nascita del Romanticismo italiano è il 1816. Nel gennaio di quest’anno, infatti, venne fondata la rivista «Biblioteca italiana» dove comparve l’articolo di Madame de Staël “Sulla maniera e la utilità delle traduzioni“. Lo scritto avviò la discussione tra sostenitori del Romanticismo e sostenitori del Classicismo. La pubblicazione di questo articolo diede il via alla polemica tra letterati italiani classicisti e romantici. Tale polemica si protrasse fino al 1825. Il primo a rispondere è Pietro Giordani, classicista atipico: pur propugnando ideali estetici classicisti, non estende il suo conservatorismo sul piano politico, nel quale al contrario si distingue per lucidità di ideali progressisti, di ispirazione liberal-borghese. In Italia il Classicismo (“definito è il progresso delle arti”) era una realtà molto presente perché lo studio degli autori classici non era mai caduto in disuso. Esso era anzi una colonna portante da un punto di vista culturale. Quando la ventata del Romanticismo iniziò a diffondersi nei circoli letterari, venne a crearsi molto scompiglio. Madame de Staël, nel suo articolo che apriva la pista a tutte le altre polemiche, affermava che la letteratura italiana non doveva soltanto guardare ai modelli del passato ma doveva svecchiarsi e orientarsi verso i nuovi modelli letterari contemporanei europei. Nonostante le polemiche dei classicisti, molti letterati accettarono le critiche della Staël e cercarono di comprendere il fenomeno romantico per interiorizzarlo. Tra essi si ricorda Giovanni Berchet, autore del manifesto del Romanticismo milanese Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo. La polemica assunse quindi anche caratteri politici. I classicisti sostenevano la dominazione austriaca mentre i romantici professavano gli ideali della libertà e dell’indipendenza della nazione. Il Conciliatore: promotore di un programma nazional-liberale in funzione antiaustriaca. Il Programma della rivista firmato da Borsieri enuncia le mire concrete di giovamento all’utile pubblico e di rottura del giogo austriaco attraverso la creazione di una classe dirigente emancipata, avveduta e colta, spazzata via tutta l’infeconda querelle classico-romantica. Un piano di educazione della borghesia milanese nei diversi ambiti di sviluppo della società, nonché nel campo del teatro e del romanzo. EPOCA 9 LE TRE CORONE E LA CULTURA DELL’OTTOCENTO INTRODUZIONE Il 18 novembre 1799 l’Italia passa sotto il dominio di Napoleone. In questo modo sono aboliti i privilegi e gli istituti feudali, si vendono i beni ecclesiastici, si rafforza la borghesia terriera, si eliminano le barriere doganali dando una spinta al commercio e si modernizzano scuola ed esercito. Ma Napoleone considerava l’Italia come zona di sfruttamento, infatti subordinava la sua economia alle esigenze della Francia. Per quanto riguarda le ideologie, in questo periodo si sviluppano le idee patriottiche o moderate, proprie dei ceti colti, mentre le masse popolari rimasero estranee. In questo momento storico si sviluppa il Neoclassicismo. Le scoperte archeologiche e gli studi dell’arte classica suscitarono un vagheggiamento della civiltà e della bellezza antica. L’arte greca aveva le caratteristiche di nobile semplicità e calma grandezza, che nascevano dal dominio delle passioni e dall’armonia interiore. Inoltre, si riscoprono i valori classici perché i rivoluzionari francese vedevano in Atene, Roma un modello di vita repubblicana libera e forte, che volevano far rivivere nel presente. Nell’età napoleonica non si celebravano più le virtù repubblicane, ma si tende ad assimilare il regime napoleonico alle forme imperiali romane. Il neoclassicismo porta malinconia, in quanto non ci sarà un ritorno al passato. I poeti esprimono un vagheggiamento, cioè il desiderio di qualcosa che non si può raggiungere, dell’antico. I poeti neoclassici italiani sono Foscolo e Leopardi. Romanticismo deriva da “romantic” un aggettivo usato in modo dispregiativo per indicare aspetti fiabeschi, quando perde questo significato diventa sinonimo di sublime, malinconico, sentimentale. Il sublime è la caratteristica dei moderni, alla quale si aggiungono la disarmonia. Quindi si nota la frattura tra antichi, pervasi di armonia, serenità e bellezza, e romantici; anche perché la realtà moderna è caratterizzata dal rifiuto della ragione. Infatti, gli autori si focalizzano sulle emozioni, sul sogno e sulla follia, che sono alternative alla realtà. Si ritorna all’idealismo, sprofondando nell’interiorità, che è l’unica realtà. La natura ha un ruolo importante, perché è la prima ispirazione, la gioia, il rifugio dalla realtà. Solo poeti e bambini capiscono, perché hanno ancora in loro l’innocenza. Il poeta diventa il profeta, perciò utilizza un linguaggio semplice per far capire tutti. Si diffonde il romanzo, che ha carattere sperimentale, attraversa vari generi, è anticlassico ed è rivolto ad un pubblico medio o alto. Ad esempio, il romanzo realistico-sociale di Balzac e Dickens, quello di formazione di Goethe e Stendhal, ma anche il romanzo storico, che punta sul verosimile, di Scott. In Italia, Dopo il congresso di Vienna (1815) iniziano i primi moti rivoluzionari. Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi conquistano l’Italia. Il 17 marzo 1861 nasce il Regno d’Italia. Ma in Italia l’industria non esisteva, questa arretratezza era causata dalla divisione politica, dalle leggi doganali che bloccavano la temi antinapoleonici. Lascia la Svizzera per l’Inghilterra, alla volta di Londra. Dove pubblicherà di nuovo l’Ortis e inizierà a collaborare con diversi giornali e periodici. L’incompiuta Lettera apologetica viene pubblicata postuma; lo scritto è una rimeditazione in forma apologetica delle polemiche del 1810-11 e dei tempi seguenti alla disfatta napoleonica: in questo documento prende forma l’immagine di un uomo provato dagli eventi ma comunque deciso a difendersi da quelle accuse nelle quali non si riconosce. Foscolo è letto come l’eroe perseguitato politicamente e costretto all’esilio. Muore nel 1827. ALESSANDRO MANZONI (Milano 1785 – 1873) Alessandro Manzoni è lo scrittore simbolo della letteratura dell’Italia unita, è il più rappresentativo intellettuale del Romanticismo italiano, con lui si conosce un genere letterario nuovo, il romanzo, mettendo la letteratura italiana al pari di quella europea. Le riflessioni della propria letteratura si articolano su tre cardini: il vero, l’utile e il bello, la letteratura deve avere “il vero per l’oggetto, l’utile per iscopo, l’interessante per mezzo”. Di qui una concezione coerente e mai abbandonata della funzione civile e formativa della letteratura. Per capire il percorso culturale e letterario di Manzoni è necessario considerare la sua esperienza spirituale, che orienta la sua attività intellettuale e la sua vita. La realtà è un dato oggettivo e il suo cristianesimo è la via alla verità più in sintonia con essa. Manzoni è ritenuto il primo intellettuale europeo perché esso si è confrontato con tale panorama; infatti, la sua attività non è affrontata individualmente, ma coralmente, dentro la storia e non più fuori di essa. Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria (figlia di Cesare Beccaria), sposata con il conte Pietro Manzoni che non era il padre naturale di Alessandro, poiché Giulia aveva frequentato Giovanni Verri, il più grande dei fratelli Verri, che era il vero padre di Alessandro. Giulia lascia il marito e il bambino piccolo e se ne va a Parigi dove vivrà con il suo amante Carlo Imbonati. Rincontrerà la madre in età adulta. Per Manzoni la Rivoluzione è un mito positivo. Successivamente si sposterà a Venezia in cui verrà a contatto con il teatro di Goldoni e si immergerà in una lingua viva e vera; sarà in questo periodo che risale l’opera dei Sermoni: poemetti satirici in endecasillabi sciolti, che seguono nei temi le satire di Alfieri e nella forma la satira neoclassica e antifrastica di Parini. Nel luglio del 1805, con la morte di Carlo Imbonati, Alessandro raggiunge Giulia Beccaria a Parigi e le dedica il Carme in morte di Carlo Imbonati: carme scritto dopo la morte di quest’ultimo, segna una nuova fase della produzione lirica, animata dall’affetto ritrovato della madre. La poesia è una dichiarazione di sostegno alla madre e il riconoscimento pubblico di una relazione a lungo chiacchierata e osteggiata; la risposta del poeta, in un immaginario dialogo con l’ombra dell’Imbonati, sul perché avesse disdegnato la poesia, diventa un elogio su Alfieri, Parini e Omero. Dal 1805 al 1810 Manzoni vive stabilmente a Parigi dove stringerà amicizia con Claude Fauriel, che diventerà il principale interlocutore nell’avvicinamento al romanzo. Sempre a Parigi inizierà a frequentare il circolo degli Idèologues francesi, celebri eredi della tradizione illuminista. La corrispondenza con Fauriel, in francese, registra le riflessioni, gli entusiasmi, costruendo uno strumento di interpretazione dei testi; Manzoni presenta una riflessione sullo stato delle lettere in Italia, dove la divisione politica, la pigrizia, l’ignoranza hanno generato un divario tra la lingua parlata e la lingua scritta. I due eventi, la morte del padre e il matrimonio con Enrichetta Blondel, segnano un percorso di riflessione spirituale che conduce alla conversione, che orienterà la vita e l’opera manzoniana. Viene fatta risalire in un episodio successo il 2 aprile 1810 durante le celebrazioni per le nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, dove Manzoni aveva smarrito la moglie nella confusione dell’evento. Gli anni 1812-1815 sono dedicati alla prima opera di argomento religioso, Inni Sacri, in cui la poesia deve diventare forma espressiva di contenuti religiosi che possono essere compresi e condivisi da tutti. Risponde alla volontà di dare espressione letteraria ai contenuti della fede; Manzoni mostra anche la volontà di rinnovamento delle forme religiose, per una poesia che sia veicolo di contenuti teologici ortodossi, ma che possa diffonderli attraverso forme metriche di facile assimilazione con una lingua poetica nuova. Dei 12 titoli di un indice manoscritto del 1812, corrispondenti alle ricorrenze dell’anno liturgico, solo 4 sono gli Inni realizzati: Il Natale, La Risurrezione, Il Nome di Maria, La Passione. Per avvicinare i contenuti religiosi a un pubblico non solo colto e non solo religioso Manzoni agisce sul metro, prima della lingua, scegliendo strofe e versi brevi, derivati dalla poesia cantata settecentesca. il risultato è un linguaggio nuovo, libero e di forte impatto, ritto di ornati retorici (similitudini, iperbati, inarcature) che contribuiscono a creare un impasto popolare, autorevole e arcaico. L’adesione di Manzoni alle nuove idee romantiche comincia nel primo soggiorno a Parigi e non è disgiunta dall’influsso del progressismo illuminista, e trova nella conversione religiosa un punto di partenza in sintonia col Romanticismo europeo. Un primo elemento di rottura con l’Illuminismo è costituito dal prevalere delle istanze spirituali sull’analisi razionale e scientifica e del recupero della dimensione sociale di tali istanze. La storia diviene così il campo d’azione di una divinità non astratta, ma rivelata nelle Scritture e incarnata nell’uomo. Si intreccia in questo periodo la vicinanza con il pensiero di Vico: Manzoni sostiene che se la storia è una “scienza nuova” e la Provvidenza si manifesta nella storia, allora la verità rivelata è la legge trascendente che governa la storia stessa. Altri due temi del pensiero romantico manzoniano sono la nazione e la lingua, dove quest’ultima permette la civilizzazione di una società, intesa come l’espressone di una collettività (degli usi, costumi, abitudini). Dopo la riforma della lingua, il successivo scoglio da affrontare è quello della riforma del teatro, da liberare dalla tradizione classica e mitologica alfieriana e da avvicinare al modello shakespeariano, in cui vi è una rappresentazione di vicende storiche e introspezione psicologica. La nuova drammaturgia si basa sull’ipotesi che lo spettatore, mentre esterna al dramma, non può percepirne l’inverosimiglianza a causa della differenza dei tempi e di luoghi della tragedia rispetto ai suoi propri e ne vede l’unità data dalla coordinata unione delle parti. Solo un’analisi spassionata delle passioni permette all’opera di adempiere al fine morale dell’arte e allo spettatore di formarsi un’opinione ponderata dell’azione rappresentata. Il luogo in cui l’autore potrà riservarsi un “cantuccio” per esprimere il proprio punto di vista è il coro, che costituisce il secondo elemento di novità di questa riforma. Il Conte di Carmagnola: l’opera si svolge tra la Serenissima e il Ducato di Milano nel primo quarto del XV secolo. Francesco di Bussone, nominato da Filippo Maria Visconti conte di Carmagnola, caduto in disgrazia presso i milanesi e passato al servizio della Repubblica di Venezia. Gli viene affidata la guida dell’esercito contro gli antichi padroni, la sconfitta del Ducato di Milano nella battaglia di Maclodio non basta a fugare i sospetti di tradimento verso il conte, che si rifiuta di liberare i prigionieri e viene richiamato a Venezia per un processo che ne decreterà la condanna a morte. Le intenzioni didascaliche della nuova tragedia piegano le vicende storiche all’ideologia dell’autore. Nella parte finale del coro la condanna di ogni forma di violenza, indirizzata alle guerre tra milanesi e veneziani. Il Carmagnola è una finzione letteraria costruita su una verità storica, per denunciare l’irrazionalità della guerra fratricida e l’accettazione cristiana di un’ingiusta condanna. La seconda tragedia è l’Adelchi, nella scelta del periodo storico Manzoni segue l’interesse romantico per il Medioevo, visto come momento fondativo delle nazioni dei popoli e individua nello scontro tra longobardi e franchi per il dominio sulle interne popolazioni italiche, lo sfondo storico di una vicenda più articolata della tragedia precedente, ricca di personaggi e sfumature psicologiche. Viene affrontato il tema della relazione tra le due popolazioni, lombarda e latina, mai veramente fuse e capaci di gettare le basi di una vera indipendenza; nessuna libertà verrà dalla vittoria dei franchi. Adelchi è descritto in maniera molto riflessiva e astratta, simbolo dell’impossibilità di piegare le ragioni della storia al proprio sentire morale. manIl 1821 è l’annus terribilis (l’anno cruciale) per la convergenza della crisi politica con quella personale, da cui scaturiscono le due odi civili e l’inizio del romanzo. La poesia di questo periodo non più essere disgiunta dalla situazione politica: il 6 marzo 1821 in Piemonte scoppia una rivolta, che nonostante gli accordi presi con Carlo Alberto, fallisce: Manzoni scriverà Marzo 1821, in cui immagina che l’esercito sabaudo abbia già varcato il Ticino per unirsi agli insorti lombardi contro gli austriaci. La notizia della morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 nell’esilio di Sant’Elena, porterà Manzoni a scrivere una nuova ode Il Cinque Maggio: il testo presenta un’affinità con la Pentecoste, hanno fatto parlare di un vero “inno sacro” fuori dagli Inni Sacri e di un testo in cui Manzoni si pone con rispetto e orgoglio nei confronti del protagonista rivendicando la propria autonomia di giudizio, senza nascondere la propria ammirazione. Manzoni prende la parola quando Napoleone è trapassato “Ei fu”, dichiara di non aver mai seguito le adulazioni che accompagnarono la sua ascesa al potere e di aver osservato in silenzio. La novità del testo è costituita dalla rappresentazione di Napoleone, in particolare in quella soggettiva della solitudine a Sant’Elena. Del tutto nuova è l’introduzione della Provvidenza, celebrando nella persona del condottiero, il trionfo della Fede, che piega ai piedi della Croce colui che aveva dominato tutta l’Europa. I promessi sposi sono l’opera che possiede la carica innovatrice nei confronti della tradizione letteraria italiana. Manzoni trova nel romanzo lo strumento ideale per tradurre in atto i principi che ispiravano la battaglia romantica per un rinnovamento della cultura italiana in senso moderno. In primo luogo, il romanzo risponde alla poetica del “vero”, dell’”interessante” e dell’”utile”, consente di rappresentare la realtà senza astrazioni e gli artifici convenzionali propri della letteratura classicistica; si rivolge a un più vasto pubblico, perché attraverso un linguaggio accessibile, suscita l’interesse del lettore comune. In secondo luogo, il romanzo permette allo scrittore di esprimersi in piena libertà, senza lottare con regole arbitrarie imposte dall’esterno. Nel romanzo sceglie di rappresentare una realtà umile, ignorata dalla letteratura classica: sceglie come protagonisti due semplici popolani della campagna lombarda e rappresenta le loro vicende in tutta la loro profondità e tragicità. Il personaggio è rappresentato in rapporto organico con un ambiente e momento, in modo che nessun suo pensiero, si possa comprendere se non riferito a quel preciso terreno storico. Manzoni rappresenta individui dalla personalità unica, inconfondibile. Il poeta sceglie il romanzo storico, una forma che in quel momento gode di larga fortuna presso il pubblico europeo, a causa del successo dei romanzi storici di Walter Scott. Con I promessi sposi si propone di offrire un quadro di un’epoca del passato, ricostruendo tutti gli aspetti della società. I protagonisti sono personaggi inventati, quelli di cui la storiografia non si occupa. Manzoni adotta un espediente della tradizione letteraria, che gli permette di garantire la veridicità della storia raccontata: nell’Introduzione, il racconto è anticipato da una digressione teorica sugli effetti della Storia, che egli finge ricopiata da un manoscritto secentesco, un “dilavato autografo” di cui non menziona l’autore, non dà indicazioni possibili per il ritrovamento. La società di cui Manzoni vuole fornire un quadro nel suo romanzo è quella lombarda del Seicento sotto la dominazione spagnola. Manzoni si colloca nei confronti del passato con l’atteggiamento dell’illuminista, nel cogliere l’irrazionalità, ingiustizie. Manzoni risale al passato per cercare le radici dell’arretratezza in cui si trova l’Italia presente e attraverso la critica della società del Seicento, offre alle nascenti forze borghesi il modello di una società futura da costruire. La società che Manzoni vagheggia dovrà ispirarsi sia al liberalismo borghese sia ai principi religiosi del cattolicesimo: solo così potrà evitare le degenerazioni giacobine, violente, già sperimentate durante la Rivoluzione francese. La vicenda prende avvio da una situazione iniziale di serenità: i due promessi sposi nel loro villaggio sulle rive del lago, vivono una vita serena, segnata dalle gioie domestiche, le pratiche religiose e il lavoro. In realtà questa situazione è solo apparente: la condizione dei due giovani è già insidiata, Renzo e Lucia sono strappati dalla loro vita tranquilla e immersi nel flusso turbolento della storia. La loro vicenda si configura come un’esplosione del negativo della realtà storica: Renzo sperimenta il male nel campo sociale e politico, Lucia nel campo morale; ma attraverso questo si compie la loro mutazione. Le vicende dei due protagonisti disegnano una sorta di “romanzo di formazione”. I due percorsi sono tuttavia diversi, infatti Renzo ha tutte le virtù che per Manzoni sono proprie del popolo contadino; il suo percorso di formazione consiste nel giungere ad abbandonare ogni velleità d’azione e a rassegnarsi alla volontà di Dio, e la formazione si attua con le due esperienze della sommossa e della Milano sconvolta dalla peste. Al contrario, Lucia ha la consapevolezza della vanità dell’azione per dono divino, in lei c’è un rifiuto alla violenza, un abbandono fiducioso alla volontà di Dio. Sembra che non debba imparare nulla, ma in realtà Lucia appare prigioniera di una visione ingenua della realtà, le manca quella consapevolezza del male. Attraverso le sue peripezie e sofferenze, arriva alla comprensione che le sventure si abbattono anche su chi è “senza colpa”. La “promessa” è un tema fondamentale, perché concentra l’attenzione sui due protagonisti cui affida la morale, il “sugo” di tutta la storia, che viene suggellata dal personaggio di Lucia. Inoltre, possiamo definire il romanzo, un romanzo “senza idillio”. Definisce I promessi sposi “romanzo della Provvidenza”: Renzo e Lucia hanno una concezione della Provvidenza, per loro Dio interviene infallibilmente a difendere e a premiare i buoni e a garantire il trionfo della giustizia. Manzoni al contrario, afferma che solo in un'altra vita vi è la certezza che i buoni saranno premiati ed i malvagi puniti. Nella sfera terrena la volontà divina può infliggere sventure e sofferenze ai giusti; per l’autore la provvidenzialità consiste nel fatto che la sventura fa maturare in essi virtù e consapevolezza. Per quanto riguarda l’ironia, nel romanzo essa può investire i personaggi del romanzo; si tratta di un’ironia che segna la distanza dal colto narratore dalla gente umile e si tratta sempre alludere: una lingua “vaga”. Leopardi distingue le parole che costituiscono la lingua “vaga”: una lingua capace non tanto di rappresentare la realtà, ma di esprimere la sua finzione, alternativa alla realtà e indefinita, sia spaziale che temporale, perché destano un’idea senza limiti e saranno sempre poeticissime. Sul quadernetto napoletano, Leopardi torna a scrivere La sera del dì di festa, idillio in cui il sentimento di una passione non ricambiata si fonde con il dolore; poi nel 1821 con Il sogno la messa in scena di un sogno vero e proprio, in cui la passione amorosa viene dissolta nella dolcezza del ricordo; e La vita solitaria, un’ampia escursione in endecasillabi sciolti nelle varie parti della giornata, che ribadisce la condanna/necessità per il poeta di isolarsi per potersi obliare nel mondo. Ultimo canto di Saffo Saffo è una figura tragica da cui scaturisce una nuova poetica e che consegna al libro delle Canzoni il suo testo più celebre. Da un lato canzone filosofica, dall’altro elegia, intreccia alla lingua pellegrina quella vaga. Il volume del libro delle Canzoni, ha sette canzoni tradizionali sotto nella forma del metro classico, costruite con un linguaggio “pellegrino”, animate da una oraziana poetica degli “ardiri”, eleganze del discorso provocate dalle inversioni, dagli usi rari e ricercati, dalle metafore, che rinnova classici come Orazio e Virgilio, chiuse da una liquidazione del classicismo montiano. Un libro quindi antimontiano in quanto anticlassicista, cioè innovatore, anche nel disequilibrio tra poesie e prosa. Il 1822 è l’anno del primo viaggio di Leopardi fuori di Recanati. Va a Roma dallo zio Carlo e rimane deluso dal primo confronto con la realtà, ha per la prima volta la consapevolezza della vita vera. Tornato a Recanati, stende l’ultimo che testo che concluderà il libro delle Canzoni: la canzone Alla sua Donna, un capolavoro di poesia in cui Leopardi riassume i temi fondativi del suo “sistema” e attinge a Platone, Dante e Petrarca. Un inno d’amore per giustificare l’impossibilità di una canzone amorosa. Un testo nuovo, che abbandonala poetica del “pellegrino” e con cui suggella il congedo della poesia. Operette morali libro di 24 prose, per lo più dialoghi; vengono composte durante tutto il 1824, dalla Storia del genere umano al Cantico del gallo silvestre, al ritmo di una/quattro al mese. Vengono toccati tutti i punti chiave del suo “sistema”. Una collezione di testi che Leopardi ha voluto pubblicare nello stesso ordine in cui erano stati composti, con due sole eccezioni: il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare anticipato al Dialogo della Natura e di un islandese e il Dialogo di Timandro ed Eleandro, spostato in posizione finale. Il Dialogo della Natura e di un islandese funge da spartiacque tra i testi; in un dialogo serrato tra un islandese in fuga e la Natura, donna gigantesca “bella e terribile”, trovano spazio i temi sviluppati nello Zibaldone: la rinuncia al conseguimento della felicità, l’impossibilità di sfuggire il dolore, l’estraneità della Natura a questo destino di sofferenza. Il primo tema affrontato è quello della constatazione della “vanità della vita” e dell’”infelicità degli uomini”. La tenacia dell’Islandese nel cercare di procurarsi minore infelicità lo spinge a una misantropia, all’abbandono del gruppo umano per sfuggire ai danni provocati dalla vita collettiva, ma senza risultato. La decisione di cambiare luoghi, non ha alcun effetto, anzi rafforza nell’Islandese la convinzione dell’infelicità della propria sorte e della potenza della Natura. Leopardi muove un atto di accusa e segna la differenza tra il suo “sistema” e la filosofia senechiana. Le frustrazioni dell’Islandese nel fuggire i mali inflitti dalla Natura, sono una smentita dello stoicismo. Attraverso la risposta della Natura alla “protesta” dell’Islandese, Leopardi espone il terzo elemento cardine della sua riflessione: la necessità del male. Il mondo non è fatto per l’uomo, la sua felicità o infelicità non sono provocate da azioni volontarie, ma da un principio continuo di produzione e distruzione, che è garante della stessa esistenza del mondo; un principio presieduto dalla Natura, ma non costruito intorno all’uomo. Successivamente va a Milano, a Bologna e poi a Firenze, qui si avvicina a un gruppo di letterati ma non ci si trova; dopo Firenze va a Pisa e ricomincia a scrivere, animato dalla nostalgia della sua città, odio e amore per Recanati. Nei canti pisano-recanatesi ne fanno parte: Risorgimento in cui Leopardi intona un Inno profano per un’autobiografia in versi in cui celebrare il precipitare dell’animo nella disperazione all’interno di un destino di infelicità. L’altro canto è A Silvia, dove quegli inganni del cuore prendono le forme di un’illusione amorosa e dietro un personaggio forse reale, un archetipo di bellezza femminile e della poesia. Questo canto scaturisce da una dimensione autobiografica, dalle rimembranze borghigiane sollecitate dal paesaggio pisano e dalla potenza della poesia come ricordo e felicità del momento del “canto”. La nuova disposizione al “canto” si esprime attraverso l’invenzione narrativa di un personaggio delicato che fornisce al poeta un alter ego della disillusione e della morte delle speranze insieme con quella della giovane donna. Sono invece scaturite dal soggiorno a Recanati le altre poesie che costituiscono il secondo nucleo dei Canti pisano-recanatesi e che vengono composte nel 1829 con il ritmo di una/due al mese: La quiete dopo la tempesta, il Sabato del villaggio e il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, composto per ultimo. Con il Canto notturno, il più sconsolato prodotto del “pensiero poetante” leopardiano, in cui la dimensione metafisica dell’Islandese è riproposta in un deserto dell’Asia e nel dialogo (muto) tra un pastore e la luna. I due testi, La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villaggio fungono da risposta alle molte domande poste dal Canto notturno. Nella Quiete Leopardi tenta di presentare l’esistenza del male come una condizione necessaria per poter vincere la noia e sperimentare il sollievo. Il Sabato del villaggio, è il giorno in cui tutta la comunità si agita nell’aspettazione della festa, adempie alla stessa funzione nello spazio collettivo e in una dimensione temporale proiettata nel futuro. Sono gli anni della passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti. Mal ricambiato da questa donna, disilluso per l’ennesimo inganno amoroso, Leopardi le dedica le più aspre e sentimentali poesie, scritte dal marzo 1832 al settembre 1833: il ciclo di Aspasia, dove la poesia riveste nuclei di puro raziocinio nichilista, in un alternarsi di illusione e disillusione: Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e Morte, A sé stesso, Aspasia. Ciascuno di questi testi sviluppa una diversa gradazione dell’esperienza amorosa: con Consalvo Leopardi sperimenta ancora i toni più sentimentali dell’idillio Il sogno, mettendo in scena un incontro impedito dalla condizione dell’amante, dichiarandosi all’amata sul letto di morte. Con Il pensiero dominante cambia passo, offrendo ai lettori una discesa nelle profondità dell’essere, riconosciuto capace di palpitare e a cui l’esperienza amorosa dona la capacità di vedersi, come in uno specchio. Con Amore e Morte, sviluppa amore e morte in un'unica entità: la morte si offre al poeta nelle vesti di una bellissima fanciulla e l’amore è visto come disciplina che mostra la morte come liberazione; Leopardi con toni eroici si dichiara pronto ad accogliere, in un ultimo appuntamento amoroso, la “Bella Morte”. A sé stesso rivolgendosi al cuore, condanna i suoi ultimi inutili palpiti, maledice la natura che quell’amore continuava ad alimentare, solo per poter disprezzare chi se ne nutriva. Tornando con Aspasia, dieci anni dopo, nel 1823 con Alla sua Donna animata ora da una disillusione e dalla volontà di raziocinio sentimentale. Leopardi recupera la dimensione platonica che lo aveva portato a rivolgersi all’idea della “sua Donna”, un inno tanto appassionato quanto ignoto: l’amore, estremo inganno, è rivolto solo all’idea amorosa che si è incarnata in terra e che adesso l’amante può finalmente rinnegare affidando alla poesia il compito di registrare la resistenza a questa sconfitta. In contemporaneo a questi anni stringe amicizia con un napoletano Antonio Ranieri, si trasferisce così a Napoli e ci rimane fino alla morte, muore a Napoli ed il suo corpo nemmeno da morto torna a Recanati. A Napoli compone gli ultimi canti, tra di essi spicca La Ginestra, quando la scrive è un momento di accesa polemica contro il mondo del suo tempo, con idee progressiste e ottimiste. Nella Ginestra, canzone di 7 strofe ribadisce la necessità della poesia di farsi portatrice di una disincantata cognizione del vero. Sullo sfondo del vulcano minaccioso (il Vesuvio) e di un paesaggio desolato, proietta l’umile fiore del deserto (la ginestra), sviluppa la metafora delle “magnifiche sorti e progressive” dell’uomo, costantemente minacciato dalla natura ostile. (Vi afferma che gli uomini sono legati da un medesimo destino che è l’infelicità quindi devono aiutarsi, devono unirsi per cercare di resistere alla natura. Ad esempio, se uno decide di suicidarsi, spezza la catena e per sé stesso avrà risolto, mentre gli altri ne risentono, perché spezzando la catena il suo anello se ne va ma gli altri anelli che rimangono sono più deboli e in questo modo ha aumentato l’infelicità perché ci saranno persone che soffriranno per la morte di quell’uomo. In questo modo viene spiegato il concetto della social catena.) Leopardi muore nel 1837 dopo un’esistenza molto sofferta. CARLO PORTA (1775-1821) E GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI (1791-1863) Nella prospettiva di una mappatura della geografia letteraria italiana plurilinguistica e pluricentrica, spinte centrifughe rispetto al filone letterario centrale in lingua italiana sono impresse da autori che consapevolmente usano il dialetto come arma nei confronti della tradizione letteraria classicista. L’anticlassicista Porta, insieme con Belii, rappresenta un momento essenziale e artisticamente dei più alti, del primo Romanticismo italiano. Egli ha saputo descrivere alcuni aspetti della vita contemporanea in quadri ricchi di sfumature, animati da uno spirito che non si può chiamare satirico se non dimenticando l’indefinibile umanità del grande poeta, per il quale il maggiore interesse fu quello di ritrarre la vita in tutta la sua potenza e in tutta la sua varietà contraddittoria. La qualità fondamentale della sua poesia è la vitalità gagliarda e comunicativa. Di spirito di romantico e di verista, Porta aveva una innata tendenza alla concezione ben equilibrata dei classici, perciò fu insieme romantico e classico. L’uso in poesia del suo dialetto, liberandolo dal peso della tradizione anti-realistica dell’alta letteratura italiana, gli fece imboccare subito la via che il nostro Romanticismo doveva trovare solo più tardi: un realismo corposo e risentito. Mentre Manzoni avvertiva l’imperativo romantico, di affrontare la vita attuale, ricorrendo comunque al compromesso del romanzo storico, Porta assumeva a protagonisti della sua poesia preti, nobili e prostitute del suo tempo, trovando i suoi don Rodrigo nella vita quotidiana, non nella storia dei due secoli prima. Quadro dei costumi, ritratto. Ci lascia l’immagine della Milan della Rivoluzione francese e della reazione austriaca, osservata nelle sue tre classi: clero, nobili e popoli. Il modello di Porta permette a Belli di abbracciare la causa del dialetto come veicolo di una poesia comica ma allo stesso tempo alta, in funzione anticlericale e antinobiliare. A un’inclinazione politica più filo-rivoluzionaria fa eco la voce dell’anonimo popolano che assolve a una necessità di spersonalizzazione e di deresponsabilizzazione dell’autore. IPPOLITO NIEVO (1831-1861) Scrittore e patriota, visse intense esperienze intellettuali e militari con una forte volontà di presenza nella vita pubblica. I suoi molteplici scritti mostrano la ricerca di un modello positivo di comportamento morale e politico, e insieme un netto rifiuto del Romanticismo sentimentale, c’è in lui un’esigenza di maturità virile, di vigore intellettuale, che realizzò partecipando come soldato al seguito di Garibaldi all’impresa dei Mille. La sua opera più famosa, il romanzo Confessioni di un italiano, è un imponente affresco di un’epoca, una grandiosa saga del Risorgimento italiano, che attesta una caratteristica inconfondibile della poetica di Nievo: la varietà delle voci e degli spazi, degli elementi narrativi e linguistici, degli stili e delle intonazioni, che Nievo vi assume nello sforzo di riprodurre in tutta la gamma delle sue sfumature possibili la molteplicità inesauribile del reale. Esso rappresenta il ponte di passaggio tra il romanzo storico del primo Romanticismo e il romanzo realistico-veristico del secondo Ottocento. Diviso in ventitré capitoli, ciascuno preceduto da una sintetica rubrica. L’insieme costituisce l’autobiografia immaginaria di Carlino Altoviti, le cui vicende personali si intrecciano con gli eventi politici, dalla caduta della Repubblica di Venezia alla dominazione francese, alla Restaurazione, alle cospirazioni e alle battaglie del Risorgimento, fino al 1858. L’importanza storica del romanzo, tra i Promessi Sposi e i Malavoglia, sta nel tentativo, anche se solo in parte riuscito, di fondere l’interesse storiografico con lo psicologico. Al suo realismo sfumato nella fiaba guardò con vivo interesse molta narrativa contemporanea. I Versi → ideale di utilità che anima la scrittura poetica con l’obiettivo dichiarato di una restaurazione civile e morale, perseguito attraverso una denuncia della realtà contemporanea. Entro il costante programma di intervento di Nievo nella cultura contemporanea anche il teatro gioca un ruolo importante. Consapevole della forza dello strumento per la trasmissione immediata di ideali e valori su un pubblico allargato, Nievo si impegna subito nella scrittura teatrale esordendo con Gli ultimi giorni di Galileo Galilei., incentrandosi sulla figura di Galilei come ere del pensiero, disposto anche al compromesso e all’abiura. EPOCA 10 LA LETTERATURA DELLA NUOVA ITALIA INTRODUZIONE Nel 1861 viene proclamato il Regno d’Italia. Il nuovo regno mette insieme aree assai diverse tra loro, a partire dagli assetti politici ed economici distinti e dalle conseguenti divergenze dal punto di vista sociale. La • forme poetiche vicine a quelle del Simbolismo aprendo così la via sia al romanzo verista sia alla cultura decadente. Verga, ad esempio, rimase per anni a Milano e scrisse romanzi di gusto scapigliato). GIOSUE CARDUCCI (Pietrasanta 1835 – Bologna 1907) Nasce il 27 luglio del 1835 e trascorre i primi anni della sua giovinezza nella zona della Maremma, sino ad approdare a Firenze, dove compie gli studi liceali. Questa prima stagione è condizionata dalla figura del padre, con il quale Carducci condivide passioni e ideali. Nel 1853 fonda a Firenze il gruppo degli Amici Pedanti, che testimoniava uno spirito aggressivo e polemico nei confronti della società letteraria del tempo, in particolare contro il manzonismo, in nome di una difesa della cultural classicista. Terminati gli studi universitari Carducci ottiene incarichi di insegnamento, fino alla cattedra di Eloquenza Italiana presso l’ateneo di Bologna. Juvenilia: raccolta di poesie del periodo toscano. Bisogna ricordare che Carducci spesso allestisce le sue raccolte in base a criteri di affinità tematica e stilistica, per offrire un profilo coerente della sua poesia. In Juvenilia si avverte un peso decisivo dei modelli della tradizione classica e italiana, sono presenti temi patriottici, polemici e liriche sentimentali per Elvira Menicucci, che sarebbe diventata sua moglie. Levia gravia: raccolta di 3 libri, dove si avverte l’influenza del clima bolognese, con una presenza di temi civili e politici. Si può registrare il peso dell’eco dei modelli classici e della tradizione letteraria italiana. Giambi ed epodi: nel titolo Carducci esplicita i modelli di riferimento principali, il poeta greco Archiloco per i giambi e il poeta latino Orazio per gli epòdi, ma allude anche ad alcune raccolte di impronta neoclassica dei poeti francesi Chénier e Barbier. I temi sono ripresi da questi modelli, ma Carducci cerca anche di imitare il modulo dei metri classici. I 30 testi che compongono il libro sono caratterizzati da un’intenzione militante, orientata a commentare le principali occasioni della realtà sociale e politica italiana. Carducci assume la postura di vero e proprio censore dei costumi e delle decisioni politiche, scagliandosi contro il potere del papa, ma anche contro le decisioni del governo, su cui grava la responsabilità di aver fatto naufragare gli ideali risorgimentali. Lo spirito della Rivoluzione francese, un giacobinismo acceso che dovrebbe essere per il poeto lo stimolo e modello per la società italiana, viene a più riprese esaltato. Intermezzo: raccoglie i testi scritti tra 1874 e 1886, poi confluiti all’interno di Rime Nuove. È un piccolo poema con dieci capitoli di quartine di endecasillabi alternati a settenari, nei quali Carducci ironizza su alcune forme letterarie tardoromantiche, lette come espressioni di una moda ormai del tutto priva di significato. Vi è il vagheggiamento della natura, riletta attraverso il filtro del mondo classico. Rime nuove: Carducci enfatizza il rinnovamento, quasi a voler suggerire al lettore un cammino evolutivo del suo fare poesia. Nell’assetto finale raggiunto dal volume, scandito al suo interno in 9 libri per un numero complessivo di 105 liriche, si scorge una struttura programmaticamente acentrica e asimmetrica, nella quale il poeta antologizza il suo mondo poetico, articolato e composito tanto per la straordinaria varietà delle soluzioni formali, quanto per la ricchezza esibita dal repertorio tematico, che spazia dalla dimensione lirico-sentimentale, alle intense reminiscenze paesaggistiche, sino alle rievocazioni storiche e a lunghi momenti di riflessione sulla lingua poetica. Odi barbare: i modelli cui guarda Carducci sono i classici, soprattutto Orazio, contrapposto con intenzioni polemiche ai poeti greci. Le intitola “barbare” perché così suonerebbero alle orecchie e al giudizio dei greci e dei romani. La novità carducciana sta nella volontà di riprodurre gli effetti della metrica classica, basata sulla quantità di sillabe, con un ritmo che ne emula le differenze attraverso il succedersi degli accenti tonici. Si avvia in questi testi, un recupero del modello oraziano, del quale intende riprendere il valore etico e conoscitivo della poesia. Rime e ritmi: 29 testi che appartengono all’ultima stagione carducciana, composti tra il 1887 e il 1899. Sul fronte tematico si osserva la compresenza dei temi privati, meditati e di impronta lirica, per i quali adotta i metri rimati, e un’istanza politica e celebrativa, a cui viene riservata la metrica ritmica. Sul finire degli anni Ottanta, Carducci fa scelte politiche che inclinano verso un conservatorismo filomonarchico, in contraddizione con le scelte giovanili. Nel 1906 vince il premio Nobel per la letteratura e nel 1907 muore. PEDAGOGIA E BORGHESIA 1861, in occasione del primo censimento nazionale emerge il dato di alfabetismo diffuso nel 75% della popolazione, con divergenza interna al territorio nazionale tra Nord e Sud, di cui è responsabile la politica della Destra storica. La Sinistra pare affrontare subito 1876 il problema, tramite legge Coppino. Ma il nodo problematico del sistema scolastico italiano è il carattere profondamente classista. Il mondo dell’istruzione conosce forte disparità dal punto di vista tanto geografico quanto sociale. → Progetto pedagogico strettamente legato al progetto di costituire una classe borghese nazionale, in modo da rafforzare il consenso nei confronti del nuovo Stato. Ruolo significativo degli intellettuali: solo l’istruzione rende liberi. La scuola rappresenta un campo di confronti tra Stato e Chiesa e il luogo in cui ci si è sforzati maggiormente di produrre dei discorsi unitari sul senso di appartenenza nazionale degli italiani. Collodi: Si interessa alla letteratura per ragazzi, ispirato da un progetto didattico. La sua fama è legata alle Avventure di Pinocchio, a puntate sul Giornale per bambini tra 1881 e 1883, nonché la storia di una formazione prodigiosa e misteriosa, che trasforma un pezzo di legno animato in un bambino, dapprima colpevole e successivamente redento. La redenzione passa attraverso un percorso formativo che mette in scena anche il mondo scolastico. Collodi si muove dentro le coordinate culturali e psicologiche dell’Italia da poco unita: un mondo a metà tra campagna e città, dove si mescola un orizzonte laico e una attrazione per il magico e demoniaco; un mondo di cambiamenti improvvisi, tenuto insieme da poche istituzioni essenziali, tra le quali spicca senza dubbio la scuola, realtà nuova che le giovani generazioni italiane stavano in quegli anni imparando a conoscere per la prima volta. De Amicis: Costantemente interessato al mondo scolastico, che è al centro del capolavoro Cuore, del 1886. Il libro è concepito come il diario scolastico di Enrico, allievo in una scuola elementare di Torino. La cronaca degli avvenimenti scolastici e domestici, redatta dal bambino, è alternata con commenti inseriti dai genitori e dalla sorella maggiore, nonché dai racconti mensili che gli vengono dettati direttamente dal maestro. GIOVANNI VERGA (Catania 1840 – 1922) Nasce a Catania nel 1840. Si iscrive alla facoltà di legge, ma non la termina e si dedica al giornalismo politico. I testi su cui si forma sono di scrittori francesi moderni. Nel 1878 con la pubblicazione di Rosso Malpelo avviene il suo passaggio al verismo. Assume posizioni politiche dure e conservatrici. Allo scoppio della Prima guerra mondiale era un interventista, nel dopoguerra abbraccia il nazionalismo. Muore nel gennaio del 1922. Alla base della visione di Verga ci sono posizioni pessimiste. La società è dominata dal meccanismo della lotta per la vita, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. Altruismo e pietà sono valori ideali, in quanto gli uomini sono mossi dall’interesse economico, dalla ricerca dell’utile e dall’egoismo. Per Verga la realtà è data senza possibilità di modificarla; perciò, non ritiene legittimo dare giudizi nelle opere, in quanto inutile e il lettore deve vedere la realtà senza veli. Per questo nei suoi testi è presente la tecnica dell’eclissi, ovvero il punto di vista di chi racconta è uguale a quello dei personaggi. Il pessimismo permette a Verga di rappresentare con oggettività le cose. La negatività del moderno è contrapposta al mito della campagna, della civiltà patriarcale, ma il pessimismo induce a pensare che anche questo mondo sia retto dalle stesse leggi del mondo moderno. Nedda: composta nel gennaio 1874, si allontana dalla materia mondana di tutti gli altri romanzi e torna all’ambiente siciliano. L’esito è molto positivo, l’ambientazione siciliana, la storia d’amore di Nedda per Janu e la sua parabola dolorosa colpisce il pubblico milanese. A mediare è un breve cappello introduttivo in cui la figura di un narratore introduce la storia della contadina di Agrigento. Lo sguardo del narratore conserva un tono paternalistico. Ciclo dei vinti. Verga si sofferma sui vinti della società. Composto da due libri: I Malavoglia un romanzo verista, contraddistinto dall’espressione del vero con una rappresentazione obiettiva della realtà. Pubblicato a Milano nel 1881. Trama articolata su 15 capitoli: narra le vicende della famiglia Toscano, detti appunto Malavoglia, è ambientato ad Acitrezza che rappresenta il paese chiuso e rassicurante. Inizia con la partenza di ‘Ntoni e si conclude allo stesso modo, ma non è perfettamente ciclico perché non si ricostituisce il nucleo familiare. Per Verga il tema principale del romanzo è l’affetto familiare. Un altro tema trattato da Verga è il mito dell’ostrica: l’ostrica attaccata allo scoglio e nel momento in cui si vuole staccare viene travolta dalle onde, allo stesso modo i personaggi che tentano di migliorare le proprie condizioni economiche combattendo una lotta continua per la sopravvivenza, si allontanano dal modello di vita consueto e finiscono male. Infatti, vediamo che solo quelli che si adattano alla loro condizione possono salvarsi. Mastro-Don Gesualdo: Gesualdo un muratore che sposa una nobile, ma viene rinnegato dalla famiglia, perché lo invidia, dalla moglie perché non lo ama e dalla figlia perché si vergogna del suo passato e non è la sua vera figlia. Con tutto ciò Verga vuol far capire che la scalata sociale non porta alla felicità. FEDERICO DE ROBERTO (Napoli 1861 – Catania 1927) La vita coincide con la prima fase dell’esperienza nazionale italiana, con l’opera I Viceré realizza una delle più severe rappresentazioni delle storture della nuova Italia. Passando per diverse pratiche di scrittura, lo scrittore siciliano affina la tecnica narrativa dell’impersonalità rafforzando la dimensione interiore dei personaggi. Il risultato è una narrazione polifonica e poli prospettica, segnata dal conflitto di punti di vista ed esaltata dal carattere esorbitante e aggressivo dei protagonisti. L’opera di De Roberto finisce così col proporre una versione lucidamente pessimistica e beffardamente grottesca di quel processo risorgimentale che intanto si fissava nella retorica nazionalista, destinata a precipitare l’Italia prima nella guerra e poi nella dittatura. Incentrato sull’aristocratica Teresa, la cui storia d’amore è analizzata attraverso il punto di vista ristretto del personaggio. La nuova fatica narrativa era invece un romanzo di costume, inteso alla francese come descrizione dei comportamenti umani riferiti a un ambiente preciso, in questo caso la Sicilia del periodo dalla conclusione del Risorgimento al 1882. De Roberto interpreta rigorosamente il principio dell’impersonalità, impedendo ogni identificazione del narratore coi protagonisti. Ne scaturisce un’opera multi-prospettica, in cui le vicende sono viste e rappresentate attraverso i temperamenti e le ossessioni dei diversi personaggi- la scomparsa del narratore è solo apparente: sfruttando la “funzione di regia”, ossia la possibilità di orientare il racconto attraverso il montaggio narrativo, l’autore giustappone i diversi punti di vista e le diverse ambizioni dei personaggi, facendone emergere l’aggressività e la grettezza. Contro la retorica nazionale e nazionalista, che riduceva in termini eroici e agiografici la complessa vicenda che aveva condotto all’Unità d’Italia 1861 e alla conquista di Roma 1870. De Roberto propone la storia di un ambiente circoscritto e delle sue determinanti ambientali, mostrando sia l’inerzia delle popolazioni locali sia le responsabilità dei ceti dirigenti. VERSO LA LETTERATURA DEL NOVECENTO Gli ultimi anni dell’Ottocento conoscono in Italia una politica di stampo fortemente conservatore. Le contraddizioni del partito moderato vengono ereditate da Crispi e Giolitti, la cui azione è ispirata al contenimento dell’avanzata operaia e contadina e mira a un ingresso della nuova nazione tra le potenze coloniali. L’Esperienza di D’Annunzio Gabriele D’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara. Fase di formazione. Abbandona l’università per vivere tra i salotti mondani. Scrive Terra Vergine (1882), un’opera in prosa che si ispira a Verga, ma presenta paesaggi abruzzesi ed è un mondo idillico, con una natura sensuale, nella quale esplodono passioni primordiali. Estetismo. Acquista notorietà in campo letterario sia attraverso una produzione di opere che suscitano scandalo, sia per la sua vita scandalosa. In questa fase rifiuta la mediocrità borghese. Il Piacere è un romanzo scritto nel 1889, nel quale l’artista Andrea Sperelli con il suo estetismo non riesce ad opporsi alla borghesia, ciò causa una crisi accentuata dalle donne: Elena Muti, la femme fatale, e Maria Ferres, la donna pura che funge da sostituto di Elena. A D’Annunzio interessano i processi interiori del personaggio e crea un romanzo psicologico. Mentre nella poesia di questo periodo, la vita si sottrae alle leggi del bene e del male, sottoponendosi alla legge del bello. Fase della bontà. La bontà è una soluzione provvisoria alla crisi estetica ed è influenzato dal romanzo russo di Dostoievtskij. Superuomo. La crisi dell’esteta viene risolta grazie alle
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved