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Profilo storico della figura del mercante, Dispense di Storia

La figura del mercante: profilo storico-letterario

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 31/07/2016

remo.trezza
remo.trezza 🇮🇹

5

(1)

3 documenti

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Scarica Profilo storico della figura del mercante e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! Storia La figura del mercante Il ritmo di ripresa economica, divenuto più rapido dopo il Mille, nei secoli XII e XIII favorì l’ascesa del ceto borghese e il prevalere degli ordinamenti cittadini, che si consolidarono nella forma giuridica del Comune. L’economia urbana si era affermata imponendo una svolta nella vita sociale ed economica: tra la classe dei nobili e quella dei servi della gleba, si era fatto strada un nuovo ceto sociale, la borghesia urbana, dedita al commercio, ai traffici e all’artigianato cittadino. In questo processo di profonde trasformazioni nacque una figura tipica della nuova età, quella del mercante che, desideroso di “far fortuna”, comprava e vendeva merci, accumulava capitali e li investiva in proprietà immobiliari o in merci nuove. Spesso il mercante diventava poi banchiere, cioè colui che prestava denaro a interesse ( famosi in tutta Europa erano i banchieri fiorentini, che tra i loro clienti annoveravano anche nobili e sovrani di molti paesi), oppure finiva per produrre egli stesso merci, trasformandosi in imprenditore e produttore. Era una realtà tutta protesa al guadagno e all’ utile personale. Il mercante era una persona dinamica e attiva, che si impose nel contesto sociale grazie alla sua capacità di calcolare e prevedere, alla sua esigenza di concretezza, audacia nel tentare la sorte. Dotato di mentalità pratica, doveva essere in grado di trarre il meglio dalle proprie capacità e avere una vasta esperienza della vita e degli uomini. Il mercante era anche un uomo capace di sopportare disagi di ogni tipo e affrontare i capricci della fortuna o di superare insidie e pericoli per esplorare l’ignoto, alla ricerca di nuovi mercati ed esperienze, come Marco Polo che, con il Milione ( resoconto del suo viaggio in Cina), ci fornisce una testimonianza significativa della mentalità mercantile italiana. Dinamicità, determinazione e spregiudicatezza erano le caratteristiche fondamentali del mercante, la cui attività richiedeva un’esatta misurazione del tempo in ore e minuti. Proprio l’esigenza di programmare e organizzare i traffici portò ad un nuovo concetto di tempo, non più segnato dall’alternarsi delle stagioni e dai cicli naturali, ma dai ritmi di produzione, di trasporto e di vendita. Anche in campo lavorativo ci fu la divisione e la specializzazione del lavoro scandito da orologi meccanici collocati sui campanili. Si cominciò a considerare la giusta misurazione del tempo come indispensabile al buon andamento degli affari. La scoperta che il tempo avesse un prezzo fece sì che molti mercanti utilizzassero capitali accumulati per concedere prestiti a interesse per poi trasformarsi in banchieri. Le attività del cambio e del prestito vennero praticate in maniera sempre più spregiudicata nonostante la condanna da parte della Chiesa che colpiva tutte le forme di prestito a interesse, indicate come “usura” e considerate forme di dannazione. Il prestatore, infatti, ricavava il suo guadagno grazie all’interesse che maturava con il passare del tempo, ma ciò era considerato immorale poiché il tempo, secondo la concezione cristiana, doveva appartenere a Dio, e non poteva quindi essere “venduto” dall’uomo. Tuttavia la posizione della Chiesa si fece via via più tollerante: in una società sempre più regolata dall’economia di credito, al mercante fu data la possibilità di mettere a tacere i propri sensi di colpa con penitenze, pellegrinaggi, opere di bene o donazioni. La leggenda (Marco Polo) Marco Polo nato a Venezia nel 1254, appena diciassettenne, lasciò la sua città per un lungo viaggio nelle terre sconosciute dell’Oriente con il padre Nicolò e lo zio Matteo, entrambi mercanti di professione. Dopo un viaggio estenuante i tre veneziani giunsero a Pechino dove furono accolti benevolmente dall’imperatore Qubilai Khan. Il giovane Polo si guadagnò la fiducia del sovrano che gli affidò delicate missioni e trascorse molti anni viaggiando attraverso tutto il continente asiatico. Diffusa tra molta gente, soprattutto nel continente americano, è la convinzione completamente falsa che sia stato Marco Polo al ritorno dalla Cina nel 1295 ad aver introdotto in Italia e di conseguenza in tutto l'Occidente la pasta. Ma questa storia è appunto solo una leggenda, nata negli Stati Uniti nel 1938 sul Macaroni Journal pubblicato da un'associazione di industriali statunitensi e canadesi, con lo scopo di rendere la pasta familiare ai consumatori americani. Questa storia in realtà è assolutamente smentita da qualsiasi storico e da tutti gli studiosi, per varie ovvie ragioni che sono: gli utensili per fabbricare pasta e le rappresentazioni pittoriche nelle tombe etrusche dal X al VI secolo a.C. presenti nel Lazio ed in Toscana; l'attestazione della presenza e del consumo delle laganon (lagane) tra il IX- VIII secolo a.C. in Magna Grecia (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia), i resoconti dei poeti e filosofi latini del IV- III secolo a.C riguardanti l'arte culinaria che parlano ampiamente delle laganum (lasagne- lasagnette); altra prova inconfutabile è il fatto che al tempo del viaggio di Polo, la corte cinese della quale il navigante fu ospite, e con la quale si relazionò, era composta dalla dinastia mongola di Kubilai Khan, ed i mongoli, allora come oggi, non mangiavano e non mangiano pasta, a differenza del popolo cinese, con il quale Marco ebbe pochissimi contatti, talmente pochi che nel suo libro Il Milione, nemmeno menziona e dà chiari segni di non aver mai visto e di non conoscere i tipici ideogrammi cinesi, né la pasta cinese, né altre usanze dei popoli della Cina, l'unica usanza che Polo descrive dei cinesi (e non dei mongoli) è l'uso alimentare dell'albero del pane, dal quale i cinesi ricavavano masse commestibili che Marco dice somigliassero ad una sfoglia di lagana che quindi lui stesso dimostra già di conoscere ben prima del suo viaggio e che mai portò in Italia, ma si limitò solo a descrivere questo alimento vegetale cinese. In realtà entrambi i tipi di pasta, sia quello italiano che quello cinese, sono entrambi di molto precedenti al viaggio di Polo e non hanno nessuna relazione tra loro, sono solo il frutto di due culture distanti e diverse, quella italiana in
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