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Progettualità educativa e qualità pedagogica - Barbara De Angelis, Appunti di Pedagogia

Riassunto - Progettualità educativa e qualità pedagogica - Barbara De Angelis

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 24/05/2019

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edoardo-saija 🇮🇹

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Scarica Progettualità educativa e qualità pedagogica - Barbara De Angelis e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Progettualità educativa e qualità pedagogica Barbara De Angelis Capitolo 1 La didattica tra teoria e prassi. Da qualche decennio la didattica riveste un ruolo molto importante per la realizzazione di un efficace comunicazione il cui obiettivo principale consiste nella conquista delle conoscenze per saper essere in una società in continuo rimodellamento. Il moltiplicarsi delle informazioni cui quotidianamente l’uomo è sottoposto e il fenomeno della globalizzazione positivo per certi versi e negativo per altri, hanno prodotto una tale rivoluzione esistenziale da sollecitare una revisione totale dell’educazione e dell’istruzione. Solo un’educazione/formazione può permettere all’uomo di acquisire gli strumenti per saper individuare le variabili tecnologiche che influenzano l’ambiente. La metafora della modernità liquida di Bauman rispecchia perfettamente la società attuale, priva di confini, che si adatta al contenitore. Ad affrontare quindi il problema devono essere le istituzioni, poiché ai cambiamenti non è sempre seguito l’adattamento (riferito soprattutto alla formazione dei docenti). Questo deve influenzare teoria e prassi, che devono necessariamente andare di pari passo. Attraverso il pensiero di Riccardo Massa, si possono riprendere tre concetti: educazione, istruzione e formazione. In questo periodo si ritengono tre concetti distinti e a volte addirittura contrapposti. Bisogna uscire da questa mentalità, poiché esclude i principi stessi dei termini. La formazione, secondo Massa, è il consolidamento dell’educazione e dell’istruzione. Superando il semplice dibattito, bisogna pensare in termini di concetti nuovi: ruolo dell’insegnante, ruolo dell’operatività, processo di strutturazione della personalità nel cammino formativo. Se il termine formazione, quindi, può legarsi al concetto del ruolo del processo di strutturazione della personalità, l’istruzione si rifà al campo cognitivo e affettivo. Queste considerazioni mettono in evidenza l’interesse per l’aspetto prassico della didattica che emerge dalla stessa ricostruzione eziologica e storica del termine didattica. La didattica ha come compito quello di descrivere, spiegare, discutere, individuare i percorsi più adeguati a garantire un processo di insegnamento/ apprendimento, nonché le strategie necessarie per conseguire obiettivi e finalità rispondenti alle attese del soggetto. Per Alessandro Mariani, il trinomio educazione/formazione/istruzione è fondamentale per capire qual è il ruolo della didattica. Questo trinomio costruisce e forma l’uomo e l’uomo nel contesto. Se dunque è così importante, è necessario che sia flessibile in entrambi i campi, sia considerando l’uomo nella sua unicità, sia considerando il contesto che tende a mutare. Franco Cambi affronta questo trinomio sotto un punto di vista filosofico. La sua riflessione nasce da un’analisi della società contemporanea e annovera il trinomio tra i macro-problemi della filosofia dell’educazione. Il sapere, che solitamente è considerato un aspetto prevalentemente teorico, è tale nella misura in cui si fa, si realizza concretamente nella conoscenza ovvero nella capacità di organizzare le informazioni e le nozioni in un sistema organico: per quanto riguarda la forma e la struttura, si può dire abbia una valenza teorica, ma per il fatto che è comune a tutti gli esseri pensanti. La formazione aiuta a superare una visione deterministica dell’esistenza, perché nel progetto di vita che è un progettarsi, è necessario saper cogliere le occasioni che il divenire prospetta attraverso una riflessione sul senso, attraverso il riaccendersi di un bisogno di senso che sembra opacizzato da una visione della vita legata all’ineluttabile. La flessibilità è proprio questo: la capacità di riprogettarsi. Ogni conquista del sapere è legata strettamente alla prassi che trasforma i contenuti in cultura. Come afferma Cambi, la formazione assume un ruolo predominante a discapito dell’istruzione. La scuola che tradizionalmente aveva il compito di rendere praticamente percorribile la strada dell’istruzione, dagli anni ’70 ha avviato un processo di aggiornamento della stessa struttura per essere più incisiva e attiva ai fini di rendere praticamente percorribile la strada per una formazione dinamica delle giovani generazioni. Fra il 1970 e il 1980, sono maturate le condizioni per una revisione dell’intero assetto strutturale e didattico. Il rinnovamento è sancito da Decreti Delegati che in prima istanza chiamano in causa le rappresentanze dei genitori nella scuola dell’obbligo e quella degli alunni e dei genitori al fine di concretizzare un rapporto interattivo sempre richiesto, ma in precedenza scarsamente praticato. L’obiettivo della progettualità è quello di contestualizzare l’insegnamento per dare nuova linfa alle esperienze già consolidate degli alunni. Il progetto per l’organizzazione ha, come osserva Egle Bocchi, ha una connotazione prevalentemente dotta, mentre in ambito scolastico ha la funzione di percorso. Il progetto, per l’organizzazione dell’attività dia del docente sia dell’alunno, si coniuga con quello di ricerca che parte dall’esplorazione del contesto socioculturale e arriva nelle classi. Per l’elaborazione di un progetto educativo e formativo, come afferma Bruno Ciari, è indispensabile stabilire prima di tutto l’obiettivo da perseguire, poi individuare gli strumenti per agire. Il singolo non può interessarsi di tutto quello che comporta la realizzazione di un progetto didattico, ma ha bisogno di dividere i compiti con altri. La socializzazione il senso di responsabilità, prendono consapevolezza dal suo intrinseco valore. In Ciari si avverte l’esigenza di tramutare la classe in una squadra che vede organizzati i singoli in un processo cooperativo. Ne consegue che l’esperienza esecutivo-pratica è efficace e può indicare agli alunni la strada metodologicamente corretta per la significatività delle conoscenze nella misura in cui il progetto è stilato secondo regole scientificamente accreditate. L’aver richiamato le istituzioni scolastiche ad una impostazione operativa che sia l’espressione della ricerca didattico-pedagogica, l’aver sollecitato gli educatori a farsi promotori ed esecutori, insieme agli alunni, della progettualità induce ancora una volta a guardare alla teoria e alla pratica educativa e formativa come a due momenti complementari, così come si diceva all’inizio di questo lavoro. Si tratta di guardare alla didattica come ad un insieme di azioni che inevitabilmente coinvolgono sia il docente che l’alunno. In questo rapporto, soprattutto per quanto riguarda la figura professionale del docente, l’individuazione e la scelta di strategie di comunicazione vanno misurate sulla scorta di una serie di dati sulle caratteristiche peculiari e personali dell’allievo, e ciò comporta, da parte del docente, una rosa ampia di conoscenze teoriche e di esperienze consolidate sul campo. Sezione Antologica Riccardo Massa – Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione. In anni recenti si è sviluppato un ampio dibattito in cui sono venute a contrapporsi direttamente tra di loro la nozione di educazione ed istruzione. L’educazione, nell’opinione popolare, si rifà ad un concetto estremamente tradizione e ideologico. L’idea di istruzione invece si rifà ad un concetto più moderno. L’insegnante è un professionista che agisce in un contesto organizzato. La scuola è un’istituzione ben delimitata. La pedagogia antica, fino ai movimenti studenteschi del ’68, non ha permesso il principio di flessibilità, rimanendo chiusa e dogmatizzata fino a divenire obsoleta. È tornato un po’ il concetto di educazione passato, più ideologico. Come possono allora connettersi due concetti tanto distanti come educazione e istruzione? Un superamento può avvenire solamente riconsiderando l’educazione nella sua “materialità”, slegata da concetti puramente astratti ma connessi ad uno specifico ambito pratico e concreto. Al contempo ridefinire il ruolo dell’istruzione nella semplice funzione degli aspetti cognitivi e di apprendimento. Si presenta dunque un nuovo termine: formazione. Questo si riferisce a molteplici significati, ognuno riconducibile ad un contesto diverso: un contesto si riferisce ad un processo istituzionale orientato, volto all’acquisizione dei fondamenti della cultura; un altro contesto (più radicale) riguarda una formazione rigida (come quella dei militari). Dal punto di vista epistemologico, la formazione viene spesso associata all’istruzione, mentre invece dovrebbe essere associato il trinomio formazione/istruzione/educazione, nelle loro rispettive diversità, attraverso un principio dinamico di interscambio tra questi fattori. • Educazione: processo di strutturazione complessiva della personalità. • Istruzione: processo di strutturazione complessiva dei caratteri affettivi, cognitivi e comportamentali. • Formazione: termine intermedio tra educazione e istruzione. Alessandro Mariani – Elementi di filosofia dell’educazione. e non puramente schematici. La programmazione didattica è chiaramente uno strumento che può farsi carico di innovazione e sperimentazione, basato sull’esperienze e su base scientifica. Capitolo 2 L’educazione come prassi intenzionale. L’educazione in quanto organizzazione sistematica di esperienze che il soggetto realizza nel suo rapporto con il mondo esterno, inteso sia come ambiente fisico, sia come relazioni interpersonali e sociali chiama in causa una intenzionalità comunicativa. Questa è determinata dall’incrocio delle informazioni e della loro rielaborazione. Si può, pertanto, ben dire che l’educazione è fondamentalmente compartecipazione di informazioni che acquistano un senso allorquando si traducono in conoscenze. Nell’atto comunicativo entrano in gioco una molteplicità di fattori che si coniugano con altrettanti molteplici codici che si possono ricondurre a due gruppi fondamentali: comunicazione verbale e non verbale. Nella comunicazione, però, possono intervenire delle interferenze che non fanno arrivare il messaggio uguale a com’è stato mandato. Secondo Schröder, nel delineare il processo di comunicazione, il messaggio necessariamente subisce delle deformazioni prima di arrivare all’altro soggetto. Un sistema che, per quanto possa avvicinarsi all’altro, comunque rimane nel proprio. Il tema della comunicazione, in ambito psicopedagogico, è stato valutato da diverse persone sia in ambito comportamentistico (Pavlov), sia in ambito cognitivistico (Gagné), sia epistemologico (Piaget), sia in merito al processo psicologico culturale (Vygotskij). Per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, ci si riferisce all’elaborazione personale dell’esperienze e delle informazioni ricevute secondo un ordine sistemico. Un elemento fondante della formazione è la realizzazione dell’intersoggettività: avvertire il valore della complementarità del sé e dell’altro per dar senso e concreta realizzazione ad un percorso di formazione. L’altro non è estraneo e/o straniero perché diverso per cultura e per appartenenza ad una diversa etnia, non è oggetto ma alter ego. L’importanza delle esperienze in campo educativo e la necessità che queste vengano armonizzate affinché possano rappresentare l’humus che alimenta e dà senso alla vita di ciascun uomo, che è tale nella misura in cui opera nella e per la società, costruivano il pensiero di Dewey. Nell’era della postmodernità insegnare per conferire forma e sostanza all’apprendere è diventato sempre più una ricerca affannosa e faticosa per l’instabilità di un presente sempre più in crisi, per una organizzazione sociale sempre più disarticolata che contribuisce a smarrire ogni forma di struttura compatta, armonica e con un minimo di durevolezza nel tempo. Il consiglio europeo nel 2000 emanò un documento strategico denominato “Strategie di Lisbona” dove veniva esplicitamente delineato l’impegno ad incentivare il ruolo dell’istruzione degli stati extra-europei per permettere a questi stati di potersi autodeterminare in futuro. L’informazione non è obiettiva. Edgar Morin, di fronte alle conseguenze negative determinate dalla precarietà che inquina la vita individuale, ridiscute sia il concetto di informazione che quello di conoscenza. La prima molto, troppo spesso, è viziata e/o travisata per l’effetto di perturbazioni aleatorie e rumori (noise); la seconda richiederebbe un’attenta riflessione ed una capacità di analisi critica del soggetto che conosce, tende a degradare in sapere generico e talvolta aleatorio. Da questa situazione nasce la necessità di ripensare l’istruzione e l’educazione delle giovani generazioni, perché imparino ad affrontare la complessità attraverso una rivitalizzazione del sapere così che sia autentica conoscenza. Il mondo virtuale, nonostante le incredibili potenzialità, ha amplificato moltissimo le capacità conoscitive e i valori esistenziali. In questa prospettiva le vite tendono a chiudersi in sé stesse fino ad escludere l’altro con il suo contributo di valore e di esperienze. Torna urgente la necessità che l’intera azione educativa si riappropri della sua funzione specifica e determinante di istituzione preposta e predisposta per la formazione di teste ben fatte. Per Lamberto Borghi la necessità di socializzazione era di primaria importanza. In quegli anni di veloce progresso scientifico e tecnologico anche l’educazione doveva fare i conti con un contesto in mutamento, cambiando quella visione rigida dell’istruzione. Se il contesto è dunque questo, sia adulti che giovani si devono trovare, con le rispettive difficoltà, ad affrontarlo. Riformare l’insegnamento, sotto questo punto di vista, è allora necessario., come crede Morin, attraverso anche una riforma del pensiero. In questo ambito, si rende palese la necessità delle materie umanistiche nella formazione culturale. L’impegno di Morin viene ripreso da Martha Nussbaum, che descrive proprio la crisi dell’istruzione umanistica. Anche l’insegnamento scientifico, spesso, corrisponde ad un insegnamento di tipo meccanicistico. Anche lo studio del comportamento umano non si può rifare solo al visibile, senza considerare ciò che c’è dentro. L’apprendimento, dunque, deve necessariamente essere strumento che ha funzione di sviluppare e valorizzare le energie individuali perché sia sempre vivo e dinamico il bisogno di conoscenza. Tra gli studiosi che da qualche decennio affrontano il problema della formazione sia in ambito scolastico che lavorativo, un posto importante è rivestito da Alberto Granese. Egli, avendo capito il disagio dell’uomo sempre più invaso da un mondo tecnologico, ha ridiscusso il problema della formazione alla luce di un nuovo contesto. Il problema più urgente, secondo lui, è ridiscutere il ruolo della pedagogia e dell’educazione. In un contesto sociale aperto alla comunicazione planetaria, l’educazione comunque intesa altro non è che un modo della formazione in senso più generale o che essa è invece il modello più importante della formazione, formando tre ipotesi interpretative del rapporto formazione/educazione. 1. Identificazione delle funzioni di entrambi per poter definire quali sono i fattori intercambiabili e quali no (applicabile solo a contesti micro); 2. Considerazione della formazione come un’attività di coltivazione e cura (applicabile solo a contesti micro); 3. Riflessione fra il formarsi “autonomo” e l’”essersi formati”. I dibattiti si accendono copiosi sugli effetti dell’autoformazione e sugli eventuali problemi che possono scaturire da un processo educativo che sia etero-diretto. La situazione attuale determina per un verso da una tecnologia che ci sorprende ogni giorno per l’introduzione sul mercato di strumenti che permettono di appagare bisogni sempre più indotti da promesse di benefici molto spesso solo voluttuari. Granese di fronte a nuovi smarrimenti determinati da un cambiamento incontrollato e incontrollabile parla anche della necessità di un orientamento morale che consenta un irrobustimento dei soggetti più fragili perché più esposti ad essere schiacciati dall’imprevedibilità degli eventi. L’evolversi della società sollecita un modello educativo concreto che restituisca alla formazione un valore costruttivo e garante di crescita personale e sociale. L’impegno primario consiste nel guidare il soggetto a conquistare la capacità di affrontare le contraddizioni che caratterizzano un contesto nel quale le novità agiscono con la stessa forza sconvolgente dello tsunami. Secondo Laporta, nel processo d’insegnamento è intrinseco il diritto all’apprendimento, in altri termini, si concretizza nel rispetto di quella sistematicità e tende al rispetto dell’unità del sapere che, unica, fa cultura. Il punti di partenza affinché gli alunni apprendano riporta in primo piano il problema della comunicazione che richiede la disponibilità a tener conto che oltre la lingua ci sono i linguaggi con la loro ricchezza di sfumature, ma soprattutto come espressione di intense emozioni. Libertà è un termine che ha bisogno di qualche chiarimento. L’esercizio della libertà di insegnamento, afferma Laporte, chiama in causa la piena responsabilità del corpo docente dell’istituzione scolastica perché dalla progettazione degli interventi didattici ed educativi dipende l’apprendimento. Se necessario, il docente deve essere sempre disponibile ad intervenire e rivedere l’impostazione del progetto formativo per apportarvi eventuali correzioni. Il valore di ogni insegnamento si misura in base ai risultati positivi raggiunti da ogni singolo scolaro e nulla deve essere dato per scontato, ma va verificato e valutato. Le sue parole delineano uno scenario di azioni. Dopo alcuni anni, la professione docente riacquista tutto il suo valore. L’insegnante peraltro realizza a pieno la sua intenzionalità di formatore solo se rispetta i processi dell’apprendere. Ogni intervento didattico, precisa Laporta, richiede il pieno rispetto del diritto ad apprendere per conseguenza insegnare significa rispettare una sistematicità ed organicità delle azioni didattico/educativo/ formativeò. La libertà piena comporta in definitiva una forma di permissivismo che nulla ha in comune con l’apprendimento. Sezione Antologica Edgar Morin – I sette saperi necessari all’educazione del futuro. La teoria dell’informazione mostra come in ogni comunicazione esista il rischio di rumori (noise). Questa conoscenza, a livello di traduzione prima e ricostruzione poi, comporta l’interpretazione, che introduce il rischio dell’errore all’interno della soggettività di chi conosce, della sua visione del mondo, dei suoi principi di conoscenza. La moltiplicazione dei nostri desideri o paura aumenta anche la probabilità di interferenze. Si potrebbe credere di poter eliminare il rischio d’errore rimuovendo ogni affettività, effettivamente i sentimenti possono accecare. Ma gli studi hanno dimostrato che intelligenza ed affettività ignorare. Il ragazzo non subisce l’insegnamento. Quando l’insegnamento arriva, il ragazzo reagisce, non rimane inerte, e la sua reazione è la sua esperienza d’insegnante e insegnamento. Dopo aver parlato di metodo, bisogna definire cosa insegnare. I ragazzi chiedono lezioni di vita. Le direzioni della distruzione e ricostruzione educativa sono due. La prima riguarda il rapporto che lo convalida come uomo, come persona, come libertà. La seconda riguarda il contenuto, la materia, il significato. Libertà e democrazia non sono temi marginali nella scuola. Occorre oggi passare del tempo nella scuola, per viverlo con gli studenti. Se la democrazia è viva e valida, e i giovani non la percepiscono, allora bisogna impegnarsi perché possano apprezzarla. Capitolo 3 La comunicazione come prassi didattica. Lo studio della comunicazione presenta sempre tematiche di cui la riflessione pedagogica deve tenere conto come presupposto conoscitivo dell’impegno educativo. Rilevante a questo proposito è il problema della qualità della comunicazione. L’azione educativo non si risolve però alla semplice comunicazione, poiché ha in sé anche tanti altri fattori quali le emozioni, l’apprendimento, ecc. L’attenzione della riflessione pedagogico-didattica, nei confronti dei fenomeni comunicativi e della loro incidenza nel processo educativo non è nuova. Negli ultimi decenni è andato crescendo, in questo ambito, un interesse più puntuale per i temi del linguaggio, dovuto in larga misura ai significativi contributi che numerose discipline hanno elaborato sulla tematica comunicativa, orientando l’interesse di vari campi di indagine tra cui quello della riflessione educativa. Il processo didattico è un complesso movimento dove si riverberano le esperienze incrociate di apprendimento ed insegnamento. Gli elementi educativi sono più facilmente determinabili studiando il rapporto tra educatore e educando. Ad oggi, il nesso formazione e comunicazione risulta molto complesso, ma anche molto importante. La principale caratteristica di una comunicazione interpersonale finalizzata a fare del destinatario un interlocutore e che abbia quindi una valenza formativa è quella di essere dialogica. Il contesto rappresenta lo sfondo in cui avviene lo scambio di messaggi. La relazione è dunque centrale nei processi di comunicazione dove la ricerca della sintonia è prioritaria per la realizzazione di quel dialogo che rappresenta il carattere saliente di una comunicazione “formativa”. Il discorso ha valenza formativa dal momento che la capacità argomentativa è un diritto uguale per tutti. Habermas pensa all’agire comunicativo come alla costruzione di un dialogo finalizzato alla inter- comprensione e volto all’intesa con l’altro. Su ciò si fonda una delle norme etiche della comunicazione, il concetto di solidarietà, che garantisce all’atto comunicativo il ruolo di veicolo fondamentale per stabilire delle relazioni tra i componenti di una comunità. In questo senso la comunicazione intenzionale si impone come presupposto conoscitivo dell’azione educativa e si fa strumento necessario per attuare una didattica che permetta allo studente di acquisire conoscenze e capacità riflessiva. Ogni individuo è, anche se entità individuale, parte di una rete. Secondo Alba Porcheddu la problematica comunicativa è un’area in cui attualmente convergono gli studi di numerose discipline, quali l’informatica, la cibernetica, la linguistica, la sociologia, ecc. Ne consegue che la comunicazione come il lavoro appartiene all’antropologia universale ed ha una peculiare importanza fra le scienze sociali. L’analisi della Porcheddu conduce a sostenere che la comunicazione ha improntato di sé tutto il percorso storico/antropologico, sociologico dell’umanità. Non esiste il messaggio verbale come unico mezzo di comunicazione, poiché questo è connesso ad altri fattori (mimica, tono di voce, gestualità, ecc.). Ogni messaggio non è mai ricevuto e compreso nella sua assoluta pienezza. Entra costantemente in gioco l’interpretazione che può essere fedele fino ad un certo punto, in quanto essa viene alterata. Nonostante il fattore incomunicabilità possa essere a volte drammatico (non riesco a capire l’altro, gli altri non mi capiscono) può risultare una variabile positiva per l’evitamento del processo di omologazione. Se la comunicazione verbale, non verbale e/o analogica e digitale rappresenta una caratteristica in qualche modo distintiva degli esseri umani, essa costituisce la prima ed essenziale esperienza di socializzazione del bambino. La socializzazione segue una sorta di graduatoria che rispecchia l’itinerario del crescere dell’individuo e gli incontri intersoggettivi organizzati che l’ambiente gli offre. La famiglia nella prima infanzia, la scuola e i pari nella seconda infanzia, i diversi contesti nella vita adulta. L’osservanza dell’iter tradizionale dipende, oltre che da vicende storiche, dagli intenti che una certa società si pone e dal controllo che essa intende e riesce a operare attraverso le agenzie alle quali affida il compito di socializzazione dei cittadini. Il bisogno comunicativo nella società contemporanea è quello che a livello familiare a subito le più vistose restrizioni. Se la famiglia ha perso col tempo la sua capacità di socializzazione, allora la scuola deve compensare tale lacuna. Nella società odierna, zeppa di mezzi di comunicazione innovativi, la comunicazione stessa è più o meno efficace. Rita Fadda descrive come l’era della comunicazione coincida con l’era dell’incomunicabilità. Anche nella scuola, benché gli siano stati forniti i mezzi per una comunicazione efficace, questa è poca e fatta male. Mialaret, infatti l’insegnante educatore deve essere in grado di valutare gli effetti generali e particolari, a breve e a lunga scadenza della sua azione. La società ha sempre più bisogno di essere società della conoscenza. La raccomandazione degli esperti di dattica e di pedagogia è insiste sempre più su un intervento scolastico che sia personalizzato al massimo. Lucia Lambelli ci ricorda che al silenzio di chi impara, al discorso unidirezionale dall’insegnante all’allievo, alla non-comunicazione dell’unico scambio verbale ammesso, cioè l’interrogazione, è stata contrapposta ripetutamente e vivacemente l’iniziativa verbale del ragazzo a qualsiasi livello d’età, la reciprocità della comunicazione tra ragazzi ed insegnante e tra ragazzi tra loro. La didattica del parlare deve essere un obiettivo della scuola. Oltre al fatto che la linguistica, oltre a migliorare la comunicazione, migliora anche le performance di linguaggio scritto e orale. Ogni soggetto si trova, attualmente, di fronte ad una miriade d’informazioni spesso tra loro discordanti. In questo mare di difficoltà si pone il problema dell’identità. La conquista d’identità diventa necessaria ed urgente per recuperare l’interiorità. Una soluzione a questo problema può essere il ricorso alla narrazione esperienziale. Bruner afferma che una soluzione deve esser una teoria dell’istruzione. Secondo lui per ampliare l’intelligenza bisogna usare la mente e potenziarla. Sezione Antologica Alba Porcheddu – Insegnamento e comunicazione. Shanno e Weaver specificarono ben presto il loro atteggiamento nei confronti del processo di comunicazione, essi infatti hanno postulato tre livelli di questa: • Livello tecnico: concerne l’accuratezza della trasmissione dei simboli; • Livello semantico: relativo all’accuratezza con cui i simboli trasmessi esprimono il significato voluto; • Livello di efficacia: inteso ad individuare il grado in cui il significato recepito influenza il comportamento di qualcuno nel modo desiderato. L’analisi del rapporto comunica loro attenzione sul “come” inviare i messaggi stessi e sugli aspetti quantitativi dell’informazione, ossia, sulle possibilità che ha un messaggio di realizzarsi come tale. Una simile limitazione però non impedisce di usare la teoria dell’informazione nei sistemi più complessi. La teoria dell’informazione, per l’alto grado di astrazione e generalità che presenta, ossia per la capacità di estendere il suo campo di applicazione al di là della comunicazione fra meccanismi automatici, testimonia la sostanziale rigidità concettuale di chi pretende di porre in antitesi il mondo dell’inorganico e quello dell’organico. Nel contesto dei processi cognitivi, Piaget è molto vicino alla teoria dell’informazione. Nella teoria dell’equilibrazione, la funzione organizzatrice del caso significa precisamente la progressiva integrazione delle perturbazioni esterne all’interno di un nuovo sistema di variazioni interne. Questo sistema però dipende dalla risposta attiva dell’organizzazione. In definitiva, secondo Piaget, si può parlare di caso organizzato invece che di caso organizzatore. Esiti simili arrivano dal campo della cibernetica (studio della comunicazione nel mondo delle macchine e nel mondo animale). Informatica e cibernetica nel mondo educativo hanno permesso di razionalizzarlo oltre ad aprire alla possibilità di trasferire esperienze valide. La teoria dell’informazione si rifà alla didattica in questo modo: insegnante come origine, alunno come destinatario, apprendimento come messaggio. Alba Porcheddu – Insegnamento e comunicazione. L’attenzione degli studiosi per lungo tempo si è rifatta esclusivamente alla comunicazione verbale. La comunicazione verbale si pone con tale enfasi perché si pone come linea di demarcazione tra uomo ed altri esseri viventi. Secondo Laporta, però, l’educazione va ricercata nella sfera biologica dell’uomo e non in quella “spirituale”. Molti linguisti poi hanno valutato la questione biologica nella comunicazione. L’atteggiamento è stato di glottocentrismo (lingua parlata come unica variabile di studio). Questo atteggiamento, però, comporta seri problemi, poiché impedisce di vedere il potenziale semantico del linguaggio. Capitolo 4 Narratività, storie di vita e narrazione. La narrazione è la forma più affascinante della comunicazione. Essa crea pathos, penetra nella mente con forza tale da far rimanere indelebile il contenuto. Le storie narrate per la loro dialetticità sono essenziali nella formazione culturale. La cultura, d’altra parte, serve alla costruzione di vita sociale e vita collettiva. Questa tendenza è auspicata dagli studiosi delle attività cognitive, che sottolineano la possibilità di insegnare a comprendere attraverso il passato anche il presente e il futuro, dando forma e spazio, attraverso l’uso di metodologie appropriate, agli strumenti concettuali dell’interpretazione narrativa. Per identificare e selezionare metodi capaci di realizzare azioni formative efficaci nel campo educativo, è stato ovviamente necessario fare riferimento ad un particolare modello teorico della formazione, l’autoformazione, nonché al principale orientamento metodologico che ad esso si ispira, cioè il metodo biografico. Per potersi realizzare come soggetto, per dare un senso al proprio divenire e spiegare le proprie esperienze, per poter progettare, è necessario ripercorrere gli itinerari già attraversati, e analizzarli per capire le dinamiche degli eventi accaduti. L’autobiografia permette di avvicinarsi agli altri, capendo che nelle storie c’è l’esperienza comune. Riprendendo un’affermazione ricorrente negli studi di Bruner, si può dire che il pensiero è sempre narrativo, anzi è un modo per esprimere la propria conoscenza. La competenza narrativa è quindi comune a tutti gli individui. Secondo lui la narrativa è piacevole ed utile, poiché costruisce logica e significati. Nel pensiero di Bruner, quindi, la narrazione ha un ruolo fondamentale, per la conquista di un senso di identità e autostima. Questo autore traccia un percorso che gli appare fruttuoso per la costruzione dell’esistenza dei soggetti. È opportuno che i bambini acquisiscano una dimestichezza con i miti, le leggende e le fiabe. Un altro lato importante della narrazione consiste nel facilitare l’integrazione fra culture diverse. Da un punto di vista didattico la narrazione, sostiene Bruner, è uno strumento di tale importanza ed utilità nella creazione di significato che trova una sua collocazione sia nel campo della formazione scientifica propriamente detta sia nel campo filosofico. Conoscere la mente altrui sicuramente non è semplice date le innumerevoli varietà culturali, tuttavia è necessario avventurarsi nell’esplorazione delle stesse usanze popolari per poter capire ciò che pensano di fare gli stessi bambini. La narrazione, per Bruner, rappresenta un susseguirsi di eventi che consentono la scoperta del significato, e questo processo avviene in due fasi: narrazione degli eventi e valutazione di questi. Il paradigma della narrazione ha contagiato tutte le scienze umane, secondo Duccio Demetrio, che si chiedeva se il modello narrativo potesse sostituire il modello educativo stesso. Una sostituzione totale non è chiaramente possibile, però la narrazione costituisce un corollario di valore e significato sia per sviluppare la conoscenza, sia per disvelare il sé a sé stessi. Il presupposto dell’educazione è la comunicazione, ma perché questa sia reale ed efficacie è necessario allestire situazioni favorevoli e la narrazione, per Demetrio, ne rappresenta un elemento privilegiato. Il linguaggio narrativo è quello più arcaico, con il quale l’uomo primitivo è riuscito a comunicare ogni sorta di segnale ai propri simili, senza trascurare il contributo della comunicazione non verbale. L’alunno, consciamente o inconsciamente, avverte il fastidio di sentirsi un ricevente passivo, con il solo compito di prestare attenzione a quanto viene riferito quasi i saperi fossero verità assolute e/o dogmatiche. La sollecitazione di una didattica ampiamente partecipata e orchestrata attraverso il contributo di stili narrativi trova il suo sollecito più convincente nei risultati conseguiti dalle scienze della mente e del linguaggio. L’apprendimento si lega strettamente all’esperienza. Le conoscenze, i concetti presentati con lo stile e la struttura di una “storia” non sono non disattendendo il rigore e la specificità del contenuto e del contesto, ma sono arricchite da quell’emozione che le rende indelebili. Si tratta di conferire una dinamicità agli stessi contenuti dell’apprendimento che si pongono in tutto il loro potenziale intellettivo se si palesano nel saper collegare, combinare insieme uno o più elementi concettuali, saper formulare ipotesi per intraprendere percorsi alternativi e innovativi. Barbara Da Angelis muove la sua riflessione dall’affermazione di quanti hanno ritenuto la scrittura l’unica testimonianza della cultura. La narrazione costituisce la forma più naturale per garantire una continuità tra generazioni. L’adulto che narra, al più giovane le leggende, le storie degli antenati, le sue esperienze personali. L’oralità ha il vantaggio di tutti gli aspetti della comunicazione: timbro di voce, silenzi, carica emotiva. Lo strumento della narrazione occupa un posto privilegiato per la comunicazione, per capire e farsi capire qualunque sia la tipologia relazionale alla quale si fa riferimento (famiglia, scuola, organizzazioni, ecc.). La narrazione ha il pregio di saper dipanare la complessità di molti concetti, aiuta ad imparare a pensare ed è ciò che la scuola chiede ai propri allievi. La narrazione per il fatto stesso che è dialogo costituisce una sorta di facilitatore della conoscenza, e deve trovare un posto anche nell’ambito scolastico, dalla prima infanzia fino all’università. La specificità dell’argomento acquista maggiore significato in questo particolare momento critico della società contemporanea nella quale il singolo è soggetto a opposte sollecitazioni rendendo difficile ogni forma di orientamento. Massa e Demetrio, all’importanza indiscutibile dell’aver cura di sé, indicano l’articolazione tecnica che caratterizza il dispositivo autobiografico. Il raccontarsi carica la parola di emotività, così che le storie di vita apportano un contributo in più rispetto la sola scrittura. Tracciato il valore, il senso ed il significato della narrazione nella formazione dell’uomo ci si chiede se esiste futuro per la pedagogia narrativa. Il processo narrativo può essere molto utile a scuola, per perseguire una didattica basata sul legame insegnante-alunno. L’io contemporaneo è un io debole ed inquieto, che si fa nell’interpretazione e, pertanto, si affida al narrarsi per formarsi; nel narrarsi l’io si rafforza poiché dà senso a ricordi di avvenimenti che sembrano non averne. Ma l’autobiografia svela ancora un altro intento pedagogico: quello di farci conoscere il personaggio narrato, l’altro di e da sé. Mark Zuss, in uno dei suoi lavori, afferma che il “revisioning” (rivisitare storie delle autobiografie) costituisce un canale potenziale per il recupero critico dei valori e delle conoscenze della comunità. L’autore sostiene che aula e metodo narrativo sono strumenti educativi da privilegiare poiché offrono al soggetto in formazione, attraverso le diverse modalità di rappresentazione, gli attrezzi per cambiare la natura della loro concezione si sé e il rapporto individuale rispetto all’ordine prevalente nel contesto in cui vivono. Il metissage autobiografico serve per capire l’interconnessione tra i vari tessuti di identità molteplici e composite. Adriana Cavarero dà una diversa lettura del problema identità-narrativa. L’identità è un procedere quasi all’infinito, richiede la capacità di fare delle scelte, è dinamicità, è vivere vivendo. Da qui nasce, per esempio, la possibilità di rispondere alla ricorrente domanda “chi sei?”. In precedenza, è stato messo in evidenza il bisogno di considerare la vita come un “vivere vivendo”, ovvero essere soggetti dinamici disposti sempre al mutamento, e questo porta l’autrice a rifiutare il racconto della storia di vita come una autobiografia. Ricoeur distingue due forme d’identità: • Identità/idem: si riferisce a qualcosa che resta, forse potremmo aggiungere che è la parte immutabile dell’identità; • Identità/ipse: si riferisce a qualcosa che cambia, è mutevole. Si riferisce al mutamento che avviene nella vita, che genera quella parte narrabile (il vissuto) che influenza il futuro strutturando un continuum nella vita di ogni individuo. Se è inimmaginabile una società moderna senza professioni e professionisti, è pur vero che queste sono state sovraccaricate sempre più di significati e competenze e che la crisi di fiducia e forse anche il declino dell’immagine che il professionista ha di sé stesso sembra dipendere da un crescente scetticismo sull’efficacia che le professioni forniscono al benessere della società. I modelli di valore euristico presentati da Morrison e McIntyre anticipano in un certo senso la prospettiva di Schon, ovvero del docente che sa riflettere mentre agisce e che sa mettere a frutto questo talento. Sezione Antologica Jerome Bruner – La fabbrica delle storie. La narrativa, pur essendo un evidente piacere, è una cosa seria. Nel bene e nel male, è il nostro strumento preferito, forse addirittura obbligato per parlare delle aspirazioni umane e delle loro vicissitudini, le nostre e quelle degli altri. Le nostre storie non solo raccontano, ma impongono a ciò che sperimentiamo una struttura e una realtà irresistibile; addirittura un atteggiamento filosofico. La narrativa è un’arte profondamente popolare, che maneggia credenze comuni circa la natura della gente e del suo mondo. Le storie rendono l’inaspettato meno sorprendente, meno arcano: addomesticano l’imprevisto e gli donano un aspetto ordinario. La domesticazione è un mezzo necessario per raggiungere il fine del mantenimento della cultura. Ma questa non è tutta d’un pezzo, e nemmeno il suo patrimonio di storie. La sua vitalità risiede nella sua dialettica, nella sua esigenza di venire a patti con opinioni opposte, con narrazioni conflittuali. Udiamo molte storie e le prendiamo per usuali anche quando sono in contrasto tra loro. La cultura umana è per sua natura una soluzione data alla vita in comune non meno che, più nascostamente, una minaccia e una sfida a coloro che vivono nel suo ambito. Per sopravvivere, una cultura ha bisogno di mezzi per risolvere conflitti d’interessa alla vita in comune. Duccio Demetrio – Lavoro interculturale e narrazione. Fra i tanti meriti che dobbiamo riconoscere all’immigrazione, ce n’è uno in particolare da sottolineare. I nostri territori urbani che stanno facendo per creare spazi di aggregazione interculturale. Per fare questo occorre andare avanti nel lavoro di molti che nelle scuole, nelle esperienze d’incontro, nel corso di colloqui d’aiuto già hanno compreso che queste narrazioni hanno bisogno di una più solerte attenzione. Ogni riflessione sul presente e sul futuro multietnico che già ci coinvolge, e attende, può imboccare almeno tre vie: il rigetto, l’aiuto e l’educazione, ognuna delle quali è provvista di una sua indubbia legittimità e giustificazione narrativa. Soltanto una ci appare fertile, perché crocevia di altre. La nostra quotidianità è abitata dagli altri anche quando non li desideriamo. L’educazione interculturale è un pensiero antico, è una modalità narrativa, è il segno di una mente abituata ad ascoltare i racconti stranieri, a meravigliarsi, a curiosare nelle mitologie altrui. Il sapere ha una funzione facilitante e di cura, laddove si incontri con le esigenze di chi è alla ricerca di un’identità. Un’attenzione per le “culture della memoria” è difatti cruciale affinché, proprio attraverso un buon rapporto con il passato personale o con quello del proprio gruppo di appartenenza, si possono stabilire quelle integrazioni interiori per l’autorealizzazione e l’autostima. I ragazzi italiani e i loro coetanei, figli o protagonisti dell’immigrazione, vanno quindi stimolati a individuare distanze e affinità non solo servendosi dei libri. Occorre che gli insegnanti facciano in modo che si costruiscano con gli studenti, storie di quotidiana interculturalità. Ciò che più conta è l’identità personale di ciascuno. Ma queste identità sono plurali. Rapportarsi al problema dell’immigrazione tramite i paradigmi pedagogici della narrazione permette di abbandonare l’idea univoca d’identità. Lo spazio del racconto è l’unico, il più vero ed affettivo luogo pedagogico dell’apprendimento linguistico; in un’aula, su un treno, per via dove possano prender forma maturare le radici del pensiero e della speranza interculturali. Tre sono i requisiti che rendono qualsiasi occasione di incontro un rifugio fatto di parole: 1. La possibilità di raccontare, o scrivere, di sé in assoluta libertà e spontaneità; 2. La possibilità di poter sviluppare, ampliare, arricchire il racconto; 3. La possibilità di lasciare a sé stessi e ad altri noti o sconosciuti un messaggio che possa essere raccolto e diffuso. In questi punti si costruisce lo spazio autobiografico. Il lavoro interculturale è soprattutto lavoro volto a inventare spazi autobiografici dove sia possibile declinare la triangolarità narrativa in queste modalità: • Collaborando con le specifiche comunità, affinché le loro storie possano diventare “banche della memoria” dell’immigrazione e momenti di ritrovamento della nostalgia, cose utili, nella loro restituzione, ai figli, affinché si possano sentire ancora legati ad una tradizione fatta non soltanto di mentalità ma di ricordi e immagini che valga ancora la pena di trattenere e trasmettere. • Costituendo piccoli gruppi plurioriginari, italiani inclusi, nei quali sia realizzabile quello scambio di storie che faciliti la scoperta delle reciproche vicende di crescita: storia d’infanzia, di giovinezza, di maturità. • La terza possibilità autobiografica può trasformarsi in un luogo-laboratorio di scrittura finalizzato alla raccolta, sistemazione e stampa del racconto, in rapporto all’una o all’altra delle precedenti condizioni. Una storia di sopravvivenza, di migrazione, può riferirsi a: • Storia di sopravvivenza e conquista di diritti; • Storia d’iniziazione alla vita adulta; • Storia di rifiuto e rivolta; • Storia di ricostruzione d’identità; • Storia di cura di sé. Per finire, è necessario far parlare le parole tanto quanto i silenzi (Yusuf ci propone di far parlare i silenzi di chi emigra). Barbara De Angelis – Comunicazione, linguaggio e formazione. In sintonia con un rinnovato interesse scientifico verso l’oralità e i suoi rapporti con la scrittura la ricerca pedagogica europea, la narrazione ha scoperto una nuova attrazione. Da sempre l’uomo, per rispondere alle domande sul perché del mondo, ha inventato delle storie usando la sua fantasia e il suo intuito, forse perché, quella basata sulle storie, è in realtà la più importante educazione emotiva. Colo che si occupano dell’intervento educativo guardando allo strumento della narrazione, un’antica pratica che da sempre ha fatto proprio l’arte di raccontare. Dopo il secondo anno di vita, compare il sé narrativo che si rende evidente nella sempre più fitta produzione di monologhi. La pratica del raccontare diventa necessaria per chi sta affrontando un percorso di apprendimento, ma diviene addirittura essenziale per imparare a verbalizzare i primi vissuti. Un innovativo paradigma di ricerca educativa nato grazie al lavoro di Riccardo Massa ha proposto un percorso nel quale la narrazione rappresenta lo spunto per avviare un processo di riflessione dell’esperienza formativa. In questa prospettiva, la narrativa consiste nell’attribuire un impianto narrativo al percorso educativo: ciò significa che la narrazione non è più intesa solo come oggetto (contenuto) ma come un nuovo e originale principio epistemico (educare narrando). È molto utile che quindi l’esperienza quotidiana diventi storia narrata. È negli ultimi decenni della seconda metà del secolo ventesimo che le storie di vita, intese ormai come “recit de vie”, racconto, narrazione di momenti della propria vita che coniugano memoria e immaginario, vengono analizzate e utilizzate come strumento di esplorazione e formazione. L’autobiografia è quindi una ricostruzione e una ristrutturazione di sé a partire dal sé narrativo e dal racconto di sé, dispositivi pedagogici di sviluppo e di manifestazione della propria vita e del processo di formazione che l’ha accompagnata e che continuamente l’accompagna. La narrazione è un discorso, e come tale deve avere ragion d’essere. Inoltre, l’obiettivo della narrazione consiste nel risolvere il fatto inaspettato, nel chiarire il dubbio, nel raddrizzare o spiegare. La narrazione ha delle regole, che devono essere perseguite per raggiungere l’obiettivo narrativo: • Ascolto;
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