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Programma Italiano Maturità da Leopardi fino al Neorealismo, con collegamenti per maturità, Appunti di Italiano

Nel Seguente Allegato vedrete riportato in maniera esaustiva oltre che a movimenti letterari (simbolismo, decadentismo, ermetismo, neorealismo, avanguardie ecc..) anche il pensiero, poetica e Opera di: Giacomo Leopardi, Verga, D'Annunzio, Pascoli, Marinetti e Avanguardie, Pirandello, Svevo, Quasimodo, Montale, Ungaretti, Calvino, Pavese, Vittorini, Primo Levi e Fenoglio.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 20/06/2023

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Scarica Programma Italiano Maturità da Leopardi fino al Neorealismo, con collegamenti per maturità e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! GIACOMO LEOPARDI 1798 Collegamenti NIETZSCHE LEOPARDI ERA NICHILISTA? Il nichilismo designa un atteggiamento filosofico che nega l’esistenza di una realtà metafisica: -svalutando il mondo (cristianesimo con il Paradiso e platonismo con l’iperuranio) - come fa Nietzsche abbattendo i concetti errati del mondo occidentale(razionalità, logica, Dio), che hanno segnato la vita dell’uomo. 1) CAMMELLO, l’uomo si piega alla morale tradizionale con la gobba, e obbedisce 2)LEONE si libera dai fardelli aggredendo la vita, ed è LIBERO DA 3) FANCIULLO è LIBERO DI fare, creatore del mondo dopo aver contemplato la distruzione diventando UBERMENSCH. Secondo certi aspetti Leopardi era considerabile nichilista in quanto credeva che il valore dell’esistenza singola fosse nullo nella logica di una natura interessata solamente alla perpetuazione della vita biologica e completamente disinteressata ai bisogni degli individui. Tuttavia, non è possibile considerarlo nichilista perché non c’è rassegnazione davanti ai tormenti della vita ma cerca risposte e combatte davanti all’insensatezza del mondo: non rimane nella sofferenza ma trova conforto, attraverso le illusioni. Nasce il 29 Giugno 1798 a Recanati (piccolo paesino nelle Marche, appartenente allo Stato della Chiesa) e lì le innovazioni della Rivoluzione Industriale non erano ancora arrivate. Era il primo di cinque figli. Suo padre Monaldo era un conte molto colto, autoritario e di vedute fortemente conservatrici; sua madre Adelaide era una marchesa molto assente ed anaffettiva. Studiò principalmente da autodidatta nella biblioteca di suo padre e sin da subito dimostra un’intelligenza fuori dal comune (letture enciclopediche e lingue classiche) à “7 anni di studio matto e disperatissimo” che gli causarono gravi danni fisici cambiando anche il modo di osservare il mondo e la condizione umana. 1816 - avviene la sua conversione estetica ("dall'erudizione al bello" ): scopre la poesia e il bello à inizia ad entusiasmarsi per i grandi poeti, quali Dante, Virgilio e Omero, e inizia a leggere gli scritti di alcuni famosi esponenti illuministici. Inoltre, stringe una forte amicizia con Pietro Giordani, che vede quasi come un'affettuosa figura paterna. Quest’ultimo, nello stesso anno, traduce il saggio di Madame de Stael (Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni) e nasce in Italia il dibattito tra classicisti e romantici, e Leopardi si schiera con i classicisti ma lo fa in maniera del tutto innovativa. In quel periodo oltre alla traduzione si dedicò anche alla stesura di molte opere tra cui lo Zibaldone (raccolta di pensieri, appunti morali, filosofici e letterari che diventerà di oltre 2 mila pagine). Leopardi voleva fortemente lasciare Recanati, ma suo padre glielo impediva sempre, fino a che nel 1819 tenta di fuggire, ma venne scoperto.. 1819 - conversione filosofica (dal "bello" al "vero" dalla poesia di immaginazione alla filosofia): muta completamente il modo di vedere la vita e la letteratura. Leopardi si reputa ateo (non accoglieva le lontane ideologie paterne) ed abbraccia il materialismo ed il sensismo e si lascia guidare dalla ragione (non quella illuministica) MA la ragione che mostra il vero, ossia l’amara verità del mondo che è caratterizzato dalla violenza e dalla sopraffazione del prossimo. · Sensismo = la conoscenza si basa unicamente dalle sensazioni fisiche e non scaturisce da idee innate. · Materialismo = l’unica sostanza esistente è la materia (non esiste dunque l’anima ed altre sostanze spirituali) Dal materialismo Leopardi elabora la “Teoria del piacere”, scritta nello Zibaldone dove si evince il pessimismo leopardiano. 1822 - suo padre gli concede di andare a Roma per qualche mese a casa di uno zio, ma ne rimase fortemente deluso dalla ipocrisia della vita mondana, dalla mediocrità degli incontri e dalla solitudine che prova. 1825/1826 - Intraprende ancora dei viaggi a Milano, Bologna e Firenze ma la rinascita la ritroverà a Pisa dove comporrà opere di grande successo (A Silvia, Il risorgimento). Poi fa ritorno a Recanati. Il riconoscimento del pubblico è del tutto assente e nel 1830 lasciò il suo borgo per sempre: una scelta non priva di gravi ripercussioni in termini economici. Tornò a Firenze dove scrisse il Ciclo di Aspasia (temi: delusione ultime speranze, disincanto e ironia come risposta all’insensatezza del vivere), dopo delusione amorosa. Nel 1833 Leopardi e Ranieri si trasferiscono a Napoli dove sperano che le loro condizioni di salute possano migliorare. Nemmeno a Napoli riesce a sfuggire alla solitudine e all’incomprensione. Le ultime opere che compone prima di morire sono Il tramonto della luna e La ginestra. TEORIA DEL PIACERE: Al centro della riflessione leopardiana c’è l’infelicità dell’uomo, strettamente collegata al piacere ossia la felicità, che per Leopardi ha una natura materiale. L’uomo aspira naturalmente al piacere per sfuggire al dolore. Questo desiderio, illimitato, per durata ed estensione, non può essere soddisfatto dall’uomo, essendo che i mezzi per soddisfarlo da lui, sono LIMITATI, provocando la NOIA, intesa come NULLA o vuoto dell’anima. L’unico modo per colmare l’infinita richiesta di piacere è la POESIA in grado di evocare situazioni piacevoli (illusioni) che offrono un risarcimento dell’esistenza. - PESSIMISMO STORICO 1° FASE: La natura viene inizialmente considerata benigna: L’infelicità dell’uomo dipende dal progresso, gli uomini antichi erano infatti felici poiché in grado di illudersi e poiché vivevano secondo natura, ma con il progresso della civiltà e lo sviluppo della Ragione, non hanno permesso più all’uomo di illudersi e di immaginare (la scienza ha sostituito il mito), portando all’inizio della decadenza della società -PESSIMISMO COSMICO 2° FASE: la visione di Leopardi cambia anche a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute: dal Dialogo della Natura e di un Islandese Leopardi si fa portatore di un pensiero del tutto diverso: il pessimismo cosmico: nemmeno gli antichi erano felici, la felicità è irraggiungibile e la Natura passa ad essere vista negativamente (matrigna) poiché ha creato in noi un desiderio impossibile da colmare e contestazione tradiscono il disagio di un ceto intellettuale che non si riconosce più nei valori della cultura positivista, fiduciosa nelle conquiste della scienza e del progresso. La scapigliatura è un movimento che nasce dal sentimento di delusione e inadeguatezza degli intellettuali dell'epoca. Gli intellettuali scapigliati sono bohémien e provocatori che sfidano la morale borghese. Le tematiche sono: la vita bruciata dal vizio, il rifiuto della normalità borghese, i drammi quotidiani. Emilio Praga - Preludio: manifesto della scapigliatura. Descrizione della condizione spirituale di una generazione post-romantica, priva di ideali e in una società materialistica dedita al profitto economico. → NOIA, SOCIETA’ ESAURITA, TORMENTO, ANGOSCIA, IRREQUIETEZZA, CRISI DEL SISTEMA DI VALORI, SQUALLORE DELLA SOCIETÀ, DENUNCIA DELLA CONDIZIONE SOCIALE, RIBELLIONE. Compiacimento maledetto, tendenza all’autodistruzione, profondo disagio esistenziale, blasfemia. REALISMO FRANCESE (prima metà 800) Vicende di realtà contemporanea, protagonisti di varie classi sociali, forte presenza dell’autore di carattere soggettivo. → Le Réalisme (saggio francese) promuove una narrazione più oggettiva possibile delle vicende: sviluppo del movimento realista influenzato dalla filosofia positivista e dal darwinismo. Sviluppo del Naturalismo 1870. → Madame Bovary, Flaubert (tema della noia data da un marito spento, Charles Bovary; Emma, la moglie, è molto attiva e viene vista come malata mentale. Inizierà una relazione adulterina e si toglierà la vita dopo l’abbandono) Tecnica impersonalità. Analisi clinica della psiche dei personaggi, rimanendo passivo ad ogni espressione sua soggettiva → Emile Zola legato al metodo scientifico REALISMO RUSSO Tolstoj e Dostoevskij. Forte impatto del realismo francese. Descrizione fortemente oggettiva della società russa; analisi morale e religiosa. Tolstoj - Anna Karenina, moglie del funzionario statale Karenin, relazione adultera con il conte Vronskij da cui avrà una figlia. Si ucciderà credendo erroneamente che l’amante l’abbia tradita. (debolezza morale) GIOVANNI VERGA 1840 Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà agraria. Verga cresce imbevuto di cultura romantica e patriottica e sogna una partecipazione attiva per l’indipendenza. Nel 1865 comincia a frequentare la città di Firenze, in cui si stabilisce definitivamente nel 1869 e dove conosce Luigi Capuana e si immerge nella vita culturale della capitale. Nel 1872 Verga si trasferisce a Milano, dove Salvatore Farina lo introdurrà negli ambienti letterari e nei principali salotti dove conosce lo scapigliato Emilio Praga. Nel 1874, però, Verga pubblica Nedda, la storia di un’umile raccoglitrice di olive: qui l’autore inizia a focalizzare la sua attenzione sul mondo popolare siciliano, imprimendo una svolta decisiva ai temi e allo stile della sua scrittura e avvicinandosi al Naturalismo francese. In seguito inizia la stesura dei Malavoglia, pubblica il racconto Rosso Malpelo e annuncia il progetto di scrivere un ciclo di romanzi ispirati alla teoria darwiniana della lotta per la vita e ai romanzi di Zola, sostituito poi con I Vinti, che comprende Padron ‘Ntoni, Mastro-don Gesualdo. La nuova poetica verista di Verga trova pienamente espressione con la pubblicazione della raccolta di novelle Vita dei campi e successivamente Novelle rusticane. In questi anni, però, la sua attività è rivolta soprattutto al teatro con La Lupa e il dramma Dal tuo al mio: da questi testi emerge una forma di sfiducia nei confronti del genere umano, mosso principalmente da egoismo e interesse personale. Tale atteggiamento è una reazione ai mutamenti del nuovo secolo, ai quali oppone una posizione disincantata, chiusa alle novità culturali e sociali. Il 27 gennaio 1922, colpito da paralisi cerebrale, muore a Catania. → Vita dei campi Obiettivo di Verga è riprodurre e ricreare sulla pagina il mondo popolare siciliano → Rosso Malpelo 1878 è considerata una delle massime espressioni del racconto verista, in cui l'autore rappresenta alla perfezione una fotografia delle condizioni dei lavoratori e dello sfruttamento minorile nella Sicilia a lui contemporanea. Rosso Malpelo è un ragazzo di cui quasi tutti ignorano il vero nome, al punto che persino la mamma lo ha quasi dimenticato. Tutti, infatti, lo chiamavano Malpelo per via dei suoi capelli rossi che gli sono valsi non solo questo spiacevole soprannome, ma anche una pessima nomina. Stando alle credenze popolari, infatti, i capelli rossi sono indice di cattiveria. Trascurato e maltrattato da tutti, madre e sorella comprese, Malpelo cresce “torvo, ringhioso, e selvatico" rassicurato solo dal padre, che lo difende spesso, con cui lavora presso una cava di rena. Le cose precipitano quando l’uomo, Mastro Misciu detto Bestia, accetta di abbattere un pilastro considerato ormai inutile. Si tratta di un incarico molto pericoloso, accettato solo per bisogno di denaro, che finisce con il costargli la vita malgrado gli sforzi compiuti dal figlio per liberarlo dalle macerie. Il lutto segna profondamente Malpelo, che decide di meritarsi definitivamente la nomina dovuta al suo aspetto e inizia effettivamente a comportarsi in modo cattivo con tutti e ad avere comportamenti violenti di vario tipo arrivando anche a picchiare il vecchio asino. La sua solitudine fatta solo di duro lavoro, però, non è destinata a durare, perché alla cava arriva Ranocchio: un ragazzo con un femore lussato molto gracile e inesperto. Tra i due nasce uno strano legame: Malpelo maltratta il nuovo arrivato e si rivolge spesso a lui in modo violento ma, d’altro canto, fa di tutto per proteggerlo dandogli il proprio cibo e svolgendo al suo posto le mansioni più pesanti. Il tempo trascorre in questo modo fino a che il cadavere di Mastro Misciu non viene ritrovato consentendo al ragazzo di recuperare almeno gli attrezzi da lavoro del padre, che decide di tenere come ricordo. Si tratta di una magra quanto temporanea consolazione: Ranocchio, malato di tisi, dopo essere finito a terra per via di una spinta del suo compagno di lavoro, peggiora e, nonostante gli sforzi dell’amico che gli porta vino e minestra nel tentativo di farlo riprendere, muore. Ora Malpelo è definitivamente solo. La madre e la sorella sono andate a vivere altrove e a lui non resta che lavorare nella cava dove le giornate sono talmente dure da spingere addirittura un evaso, che lì aveva trovato un impiego e un rifugio, a cercare una soluzione migliore. Senza nessuno che si prende cura di lui, il ragazzo accetta di svolgere le mansioni più ingrate e rischiose al punto che un giorno, portando con sé gli attrezzi del padre, scompare durante un’esplorazione del sottosuolo alla ricerca di un pozzo. Inghiottito dalla terra Malpelo scompare lasciando ai ragazzi una pesante eredità: la paura che il suo fantasma si aggiri per la cava “coi capelli rossi e gli occhiacci grigi". → Ciclo dei vinti Si chiama ciclo dei vinti perché i vinti sono il soggetto dell'opera; essi non sarebbero soltanto i ceti più umili, ma tutti, ovvero gli sconfitti del processo economico. In che modo I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo sono dei vinti? Ciò che accomuna le due opere è che i protagonisti rappresentano uomini sconfitti dalla vita, uomini che nella loro lotta per l'esistenza restano ai margini, vivono situazioni dolorose e desolanti e ne escono battuti, vinti. → I Malavoglia: Il romanzo narra la storia della famiglia Toscano, detta malignamente dal popolo “Malavoglia”, una famiglia di pescatori del piccolo paese siciliano di Aci Trezza. Padron ‘Ntoni è il capofamiglia e l’unità e l’economia familiare sono garantite dalla casa del nespolo e dal peschereccio, chiamato “La Provvidenza”, ma una serie inarrestabile di disastri colpirà la famiglia. Il giovane Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni, deve partire per il militare e la famiglia è costretta ad assumere un lavoratore. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca e il bisogno di una dote per Mena, la figlia maggiore, che si deve sposare. Padron ‘Ntoni decide allora di tentare la via del commercio, ma la Provvidenza - la barca che serve al sostentamento di tutta la famiglia - naufraga e muore Bastianazzo, figlio di Padron ‘Ntoni e futuro capofamiglia. La nave era carica di lupini comprati a credito dall’usuraio Zio Crocifisso. Questo evento causa la rovina economica dei Malavoglia, che perdono anche la casa del nespolo. Poco dopo il colera uccide la madre. La Provvidenza, che era stata riparata, naufraga di nuovo, i membri della famiglia rimangono senza lavoro e sono costretti ad arrangiarsi con lavoretti poco redditizi. Intanto il giovane Ntoni, partito per il militare, entra in contatto con il mondo esterno. Finito il servizio militare si rifiuta di tornare a casa per dedicarsi al duro lavoro che le difficoltà economiche della famiglia gli imporrebbe. Decide di dedicarsi al contrabbando e a una vita dissipata. Finisce in carcere dopo una rissa con la guardia che aveva tentato di sedurre la sorella Lia. L’altro nipote, Luca, muore durante la battaglia di Lissa del 1866. Lia, dopo l’episodio con la guardia, si sente disonorata e fugge a Catania, dove finisce per lavorare come prostituta. A causa di questo Menu non può più sposarsi. Il nucleo familiare è completamente distrutto e Padron ‘Ntoni, ormai malato, si avvicina alla morte. Tuttavia, dopo tanti sacrifici, l’ultimo nipote, Alessi, riesce a ricomprare la casa del Nespolo e tenta di ricostruire il nucleo familiare senza però riuscirci: Padron ‘Ntoni muore in ospedale, lontano dalla casa e dalla famiglia mentre il giovane ‘Ntoni, uscito dal carcere, capisce di non poter più esser parte di quella vita e abbandona per sempre il paese natale. → Mastro Don Gesualdo: punta all’elevazione sociale, vuole sposare una dei fratelli Trao: Bianca. Bianca era però stata sorpresa in camera da letto con il cugino Ninì Rubiera ma la madre di quest’ultimo si oppose al matrimonio riparatore. Mastro don Gesualdo sposa Bianca ma finisce per soffrire di una sorta di esclusione: si sente escluso da una parte dal mondo aristocratico, e dall’altra dal mondo dal quale veniva. Insomma: se per gli aristocratici era sempre rimasto un mastro, per il popolo era diventato un don. Uno dei dolori maggiori gli è però arrecato dalla moglie e dalla figlia, nata in verità dalla precedente relazione della l’atteggiamento dell’autore nei confronti del protagonista è ambivalente: talvolta lo giudica per la sua eccessiva lussuria; talvolta lo ammira, riconoscendosi in lui. LA VERGINE DELLE ROCCE viene pubblicato nel 1896: L’opera è narrata dal protagonista, Claudio Cantelmo, nobile abruzzese ed esteta che disprezza la realtà borghese e il liberalismo politico e sogna la nascita di un uomo potente, da lui generato, che guidi l’Italia verso destini imperiali. Da Roma si trasferisce presso la sua terra d’origine in Abruzzo per unirsi ad una donna: fa visita ad una famiglia siciliana aristocratica, restando a lungo indeciso su chi scegliere fra le tre sorelle vergini (è un esteta perché le sceglierebbe tutte e tre), ciascuna delle quali presenta caratteristiche che egli cerca. Alla fine sceglie quella più adatta al suo scopo; ma lei si rifiuta perché costretta a prendersi cura del padre (fallimento del superuomo). Nel momento in cui il poeta teorizza il ruolo del nuovo intellettuale, ne registra subito l’impossibilità di agire sulla realtà. Nel suo manifesto ideologico, il protagonista-poeta non propone un programma che prenda spunto dal passato; quello del superuomo sarà un messaggio concreto rivolto ai poeti e agli intellettuali, attribuendo, dunque, una funzione pratica e politica alla letteratura. → Il ciclo delle Laudi Cinque libri a cui diede il nome dalle stelle delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope (i primi quattro libri furono pubblicati da D’Annunzio, l’ultimo, invece, venne pubblicato postumo nel 1949). Alcyone: contenuto non più politico, ma lirico; il poeta si immerge nella natura per contemplarla (panismo). Il poeta si spoglia della dimensione umana, ne oltrepassa i limiti, impadronendosi della nascosta energia della natura, da cui acquista una nuova forza: il poeta si fonde con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi. → La sera fiesolana: E’ una sera di giugno, pioviggina, la luna sta per sorgere e tutt’intorno l’atmosfera è densa di profumi e rumori, Gabriele D’Annunzio passeggia nella campagna toscana, tra olivi e vigneti, insieme alla donna amata, l’attrice Eleonora Duse. Il tema centrale della poesia La sera fiesolana è quello del calare della sera, in cui il paesaggio ha una metamorfosi ed assume caratteri ed emozioni umane. Una caratteristica curiosa della poesia è il richiamo continuo alla sfera tematica sacro-religiosa, tramite l’utilizzo di riprese esplicite al componimento “Cantico delle creature” di San Francesco scritto diversi secoli prima, come le tre terzine che ne condividono la struttura della lode. Il motivo per cui D’Annunzio arricchisce la sua lirica con questo valore spirituale è il medesimo che lo spinse nel momento in cui stese “Il Piacere” e i suoi personaggi femminili, cioè unire sacro e profano mescolandosi tra loro in modo quasi sacrilego provocando il pubblico lettore, in particolare quello credente, e anche per soddisfare la sua particolare fantasia di rendere una visione della religione cattolica sotto una luce esteta. Il paesaggio serale scandisce il ritmo della poesia che il poeta descrive attraverso tre immagini, come originariamente indicava lo stesso D’Annunzio nella fase di stesura della lirica, all’inizio di ogni strofa: La natività della luna: la luna appare all’orizzonte; La pioggia di giugno: la pioggia cade leggera sulla campagna; Le colline: lo sfondo delle colline che custodiscono il mistero della vita. → La pioggia nel pineto 1902: Siamo nel momento culminante dell’estate: il poeta e la sua compagna, chiamata con il nome suggestivo di Ermione, passeggiano nella pineta che ricopre la spiaggia toscana. Non appena comincia a cadere la pioggia, il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare il concerto delle gocce, prima rade, poi sempre più fitte e violente sugli alberi e i cespugli; a questo suono si mescolano poi il canto delle cicale e il gracidare delle rane in lontananza. Il poeta ed Ermione camminano per il bosco e lentamente si confondono nella vita della foresta, diventando essi stessi alberi ed erbe. Il primo punto cardine è la descrizione della pioggia che cade, attraverso le sensazioni sonore che i due protagonisti umani ricevono. Il suono della pioggia viene ricreato attraverso il suono della musica e dei versi. Il secondo punto è quello della fusione dell’uomo con la natura, per cui pian piano la persona tende a perdere la propria identità culturale per immergersi nei ritmi della natura; questo sentimento, conosciuto con il nome di panismo, dal dio greco Pan, divinità delle selve e delle foreste, è tipico della poesia di Alcyone; ne la pioggia nel pineto avviene una progressiva trasformazione, appunto quella da esseri umani in alberi e simili, che arriva alla completa realizzazione dell’ultima strofa, quando uomo e natura sono completamente uniti. GIOVANNI PASCOLI 1855 Maggior poeta Decadente del panorama Italiano. Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna (Forlì). Da famiglia benestante, padre funzionario della famiglia Torlonia, il 10 agosto 1867, viene ucciso con una fucilata mentre tornava da Cesena. La morte del padre non è l’unico lutto della famiglia: seguirono madre e 2 fratelli. Stringe forte legame con le sorelle Ida e Maria, cercando di ricostruire il nido familiare. Nel 1879 viene arrestato e ne uscirà fortemente provato, tanto da cadere in depressione e tentare il suicidio più volte. Spinto da Carducci (suo maestro), Pascoli riesce ad ottenere una borsa di studio e si laurea in lettere. Intraprende il cammino dell’insegnamento, Lavorerà all’università di Bologna in seguito al pensionamento di Carducci. In maniera del tutto opposta da quella di D’annunzio, cerca di farsi apprezzare coltivando rapporti personali. Tenta per tutta la vita di ricostruire il nido familiare: porta le sue sorelle Ida e Maria a vivere con lui - rapporto morboso. Muore di cirrosi nel 1912. La produzione poetica è molto vasta, l’opera di maggior rilievo è MYRICAE, caratterizzata da paesaggi campestri, poetica apparentemente semplice, servendosi di complesse figure retoriche, quali, sinestesia, analogia, onomatopee. PASCOLI è anche un saggista, scrisse nel 1903 il più importante scritto: “Il Fanciullino”, fondamentale poiché è un manifesto poetico, che sviluppa una riflessione esistenziale, su come vede la poesia e il mondo intero. Il FANCIULLINO, è in ognuno di noi, e rappresenta l’umanità più buona e semplice. In età INFANTILE, confonde la sua voce con la nostra, ed è dunque più facile ascoltarlo; in età ADULTA non riusciamo ad ascoltarlo, ma è ancora presente. il fanciullino coincide con il SENTIMENTO POETICO, avendo la capacità di individuare nel mondo, significati, nuovi con meraviglia, grazie al suo sguardo puro. Il poeta adulto fa emergere il suo fanciullino quando scrive i componimenti. → Myricae 1891 “Non a tutti sono graditi gli arbusti e le umili tamerici” - Virgilio, egloga 4 Dedica alle realtà semplici e dimesse Le tamerici altro non sono che semplici arbusti, alludendo così, sin dal titolo, alla poesia dimessa di una realtà quotidiana; la raccolta è costituita, infatti, da poesie prettamente simboliste. Sfondo campestre, tempo ciclico e forte connessione con la natura; la natura è buona, ma il paesaggio circostante è costantemente minacciato dalla presenza della morte → centralità della vicenda familiare. Lavandare: Stato morale deprimente e negativo. Il quadro del paesaggio sottolinea la solitudine e l’abbandono rappresentati da un aratro senza buoi, che pare dimenticato nella nebbia leggera sui campi. La parte visiva della poesia si conclude lasciando lo spazio al rumore dell’acqua di un canale d’irrigazione smossa dalle lavandaie che sbattono con forza la stoffa e cantano, ma le cantilene non accompagnano le donne con allegria nel loro lavoro, bensì sono canti tristi e malinconici che richiamano la solitudine dell’aratro citato già all’inizio. Novembre: La lirica parla dei giorni antecedenti a quelli di San Martino. L’aria si fa più calda e ci sembra quasi estate. Guardandoci intorno speriamo di trovare qualche albicocco in fiore, ma guardando più attentamente vediamo solo foglie secche. Pascoli allude ad una situazione di fragilità: l'illusione di un'estate fredda, quella dei morti. L’assiuolo: Uccello rapace per certi versi simile alla civetta, il cui verso si sente lugubre, nelle notti di luna. Secondo la credenza popolare quel suono è un annuncio di disgrazia e di morte. L’inizio non è mai drammatico: la notte è chiara, bella e incantevole. Ma in questa notte incantevole il poeta ode venire dai campi la voce di questo assiuolo, che più passa il tempo più diventa “voce, singulto, pianto”, come descrive il climax ascendente che il poeta utilizza. Anche il cuore sembra trovare in quella voce l’eco della sua angoscia misteriosa e di questo sentimento di morte. Ogni strofa si conclude con quel chiù che ha grande valore simbolico, e va letto ogni volta con un tono diverso di voce. → Il motivo conduttore della lirica, ricchissima di suoni onomatopeici, è il verso dell’assiuolo, voce desolata che emana tristezza. Il linguaggio usato è fortemente connotativo. Non solo trasmette informazioni precise ma suscita suggestioni, allusioni, il senso del mistero, dell’angoscia, dello sgomento. → I Canti di Castelvecchio 1903 “Gli arbusti e le tamerici provocano diletto” Stile più elevato rispetto a Myricae. Sono dedicati alla madre; il tempo è basato sul susseguirsi delle stagioni; ripetersi di morte-nascita. negli ambienti più intimi che ricostruisce nella poesia attraverso l’immagine-simbolo del “nido”, luogo chiuso e protetto da custodire gelosamente. LE AVANGUARDIE, INIZIO XX SECOLO Il termine avanguardia appartiene all’ambito militare, è la prima fila di un esercito, il cui compito è quello di attaccare: l’uso della metafora militare traduce bene la tendenza sovversiva di questo movimento, essi spingono l’innovazione delle forme tradizionali fino alla distruzione. Disegna alcune tendenze letterarie e artistiche, che hanno come intenzione quella di rinnovare la società, sono coloro che ricercano e sperimentano nuove forme espressive: - ESPRESSIONISMO (1905-1925) nasce in Germania e poi 1ww, esprime una solitudine moderna dell'uomo. Ritraggono la realtà con angoscia e la deformano. -DADAISMO, si sviluppa nel 1916 al 1922, fondato durante la prima guerra mondiale, da parte di pacifisti che si rifugiarono in Svizzera, i dadaisti rifiutano ogni razionalità ed estetismo negano anche il buon senso Borghese e il linguaggio con significato, tant’è che anche il nome del movimento DADA, sta ad indicare l’unione di 2 vocaboli infantili. -SURREALISMO nasce in Francia Nascono dal bisogno di rinnovare il linguaggio poetico tradizionale, il modo di fare letteratura e il modo di comprendere l’arte, negando la tradizione e i valori della società di massa. IL FUTURISMO 1909 Il Futurismo, primo movimento di avanguardia in Italia, si sviluppa in particolare a Milano, Roma (dove nel 1925 si trasferisce lo stesso Marinetti) e a Firenze. Il suo fondatore è Filippo Tommaso Marinetti il quale pubblicò, nel 1909 sul giornale francese "Le Figaro", il cosiddetto primo Manifesto del futurismo nel quale egli riassunse i principi fondamentali del movimento che si basano sul disgusto per le idee del passato, in particolare le tradizioni politiche e artistiche. Vogliono bruciare biblioteche, accademie e musei per poter distruggere il passato Marinetti e coloro che aderirono al Futurismo condividevano l’amore per la velocità e la tecnologia. Per i futuristi, infatti, mezzi come l’automobile e l’aereo erano contornati di un'aura che li rendeva veri e propri miti. Come i mezzi, anche le città industriali erano considerate tali, a conferma dell’idea che era avvenuto quello che loro definivano il "trionfo tecnologico" dell’uomo sulla natura. I futuristi hanno come caratteristica la forza e l’energia vitale; si legano al Fascismo e agli interventisti della Prima guerra mondiale, inneggiano alla guerra, alla violenza, al pericolo, alla forza. →. Anche sul piano formale rompono gli schemi linguistici consueti: aboliscono la punteggiatura; distruggono la sintassi e la struttura del periodo; preferiscono il sostantivo all’aggettivo e il verbo all’infinito; mettono in evidenza le parole dal punto di vista grafico, adottando lo spazio della pagina in assoluta libertà e usando diversi caratteri tipografici nello stesso documento, dando vita allo stile del paroliberismo. IL CREPUSCOLARISMO (CONTEMPORANEO AL FUTURISMO) I poeti crepuscolari sono accomunati dal senso di stanchezza per la conclusione di un secolo. → Più che un movimento, si tratta di una tendenza, La parola crepuscolo indica il tramonto della poesia romantico-decadente e, allo stesso tempo, l’alba della nuova poesia novecentesca: i poeti crepuscolari mettono in evidenza, in particolare, il tramonto della figura del poeta-vate e vedono il poeta come un fanciullo che piange perché sa che non può più avere un ruolo e sa che non ha contenuti da proporre. Questi furono influenzati dal Poema paradisiaco di D’Annunzio e dalla poetica in generale del «fanciullino» di Pascoli e si dimostrarono fiacchi, spenti, l’opposto dei poeti attivi futuristi. → Contenuti semplici e banali, lessico umile e quotidiano con un gusto diffuso per i diminutivi e i vezzeggiativi e una sintassi tendente alla paratassi; i paesaggi descritti dai crepuscolari erano spenti, autunnali, di provincia; i luoghi cantati erano vie deserte, vecchie città, ospedali, passeggiate domenicali. Il loro fine era quello di creare un rapporto autentico, colloquiale e intimo con il pubblico come avevano fatto gli scapigliati. FILIPPO TOMMASO MARINETTI → Manifesto del futurismo: Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblica su Le Figaro il manifesto del futurismo che raccoglie in tredici punti le idee fondamentali del movimento. Il futurismo nasce in epoca giolittiana, in un periodo che conosce una spiccata industrializzazione. Non solo: fortissimo è anche il desiderio di rinnovamento, che spinge i futuristi ad appoggiare in un primo momento il fascismo. I futuristi vogliono esaltare una serie di fenomeni: “la bellezza della velocità”, “l’abitudine all’energia”, ad esempio. Hanno come ideale l’uomo che usa la Terra quasi come si trattasse di un’auto lanciata a tutta velocità “sul circuito della sua orbita”. Al contempo desiderano incendiare i musei, le biblioteche, le accademie. Non solo: glorificano la violenza e la guerra, che vedono come “sola igiene del mondo”. Marinetti afferma inoltre che solo le creazioni con un carattere aggressivo possono essere considerate delle vere opere d’arte. ALDO PALAZZESCHI → Chi sono?: Follia, malinconia, nostalgia. Saltimbanco dei sentimenti, buffone di un’anima sofferente, che produce pianto per un riso liberatorio, uno che gioca con le parole, scherza su tutto, perché sa che ormai gli uomini non domandano più niente ai poeti. L’opera più significativa è il romanzo le sorelle materasso. La lirica è caratterizzata dal fenomeno delle avanguardie, cioè si intendono gruppi di intellettuali, pittori, musicisti che si pongono polemicamente e provocatoriamente in contrasto con la tradizione attuale adottando linguaggi nuovi per stupire e scandalizzare il pubblico. L’avanguardia che ebbe maggiore influenza sulla cultura italiana fu il futurismo. È un autoritratto ironico e divertente del poeta. Per tutta la prima parte del componimento l’autoritratto è costruito in negativo. Palazzeschi dichiara di non essere né un pittore, né un musico, né un poeta ci sono 3 parole chiave: la follia, intesa come disposizione al gioco, la malinconia, la nostalgia che delineano una nuova immagine di poeta. LUIGI PIRANDELLO 1867 “Io son figlio del Caos”, Cavusu, Luigi Pirandello nasce a Girgenti l'attuale Agrigento. → Nel 1886 si iscrive contemporaneamente alla facoltà di Lettere e di Legge, entrando in contatto con gli ambienti intellettuali; ma, dopo un anno si trasferisce a Roma per portare avanti gli studi umanistici e abbandona quelli giuridici. → Nel 1889 si trasferisce in un altro ateneo a Bonn, in Germania, dove completa gli studi e due anni dopo si laurea in Filologia romanza, su una tesi su Girgenti → Nel 1894 si stabilisce definitivamente a Roma: fondamentale in questo momento è l’amicizia con lo scrittore verista Luigi Capuana, che lo incoraggia a dedicarsi alla scrittura, collaborando presso varie riviste con romanzi, poesie e novelle, uscirà l’esclusa. → Nel 1924 aderisce ufficialmente al fascismo senza però aderire attivamente alla vita politica e l’anno successivo inaugura a Roma il Teatro d’Arte, finanziato dal regime. Si allontanerà dopo l’omicidio di Matteotti. COMICO, riso leggero, generato dall’ avvertimento del contrario. L’UMORISMO, è un riso amaro, che segue alla riflessione che ci fa riflettere sulle ragioni del contrario che è stato colto. MASCHERA Mistificazione Pirandelliana indice della spersonalizzazione e della frantumazione dell’IO, in molteplici identità in una determinata situazione. L’uomo si nasconde dietro una maschera rendendolo PERSONAGGIO e non PERSONA I FASE (1892-1903) si svolge nell’ambito delle poetiche veriste e naturalistiche, legate al mondo siciliano e all’amicizia con Capuana. → L’esclusa, evidente è la denuncia di un ambiente sociale dove dominano ancora convinzioni arcaiche e provinciali proveniente dall’osservazione del proprio mondo: la protagonista, Marta, è una donna intelligente accusata ingiustamente di tradimento. 1903 -frana con allagamento distrugge le miniere di zolfo, distruggendo il patrimonio di famiglia e la dote della moglie. -malattia mentale della moglie, follia prigione familaria II FASE (1904-1915) è quella in cui Pirandello formula la sua nuova poetica, l’umorismo, e che troveremo nelle forme narrative della novella e del romanzo. Umorismo = comicità dettata da una riflessione propria / Comicità = risata di getto, istantanea. La trappola sociale: la borghesia non permette l’espressione dell’io; la vita è come una enorme pupazzata di cui l’uomo è la marionetta che, per rispettare le convenzioni sociali, è costretto ad indossare una maschera → Il salotto è una tortura, per rispettare i canoni del perbenismo borghese Vitalismo, teoria dello slancio vitale del filosofo francese Bergson, secondo cui, la realtà altro non è che energia continua ed eterno movimento. La vita è un continuo fluire magmatico (necessità dell’uomo di una maschera per convenzioni sociali). per poterla ricordare e omaggiare); Alfonso lascia la città per recarsi al suo paese natale e, una volta tornato a Trieste, trova Annetta fidanzata con Macario, cugino della ragazza. Incapace di affrontare la situazione (inetto) si suicida. Il tempo è lineare. La grande novità del romanzo è quella di analizzare i moti interiori che si riflettono nell’inettitudine del personaggio: il fallimento di Alfonso Nitti è legato al suo stesso modo di essere, è uno sconfitto in partenza; anche quando il destino gli offre una possibilità di riscatto mediante un matrimonio fortunato, lui si sottrae all’impegno (scappa nel suo paese natale). → Senilità: 1898. Il protagonista è Emilio Brentani, un impiegato che coltiva sogni letterari, ma anche uno scrittore ormai fallito (elemento autobiografico che ricorda la fase di vita vissuta da Svevo dopo la pubblicazione del romanzo Una vita), che a trentacinque anni si chiude nel guscio della vecchiaia e vive un’esistenza monotona insieme a sua sorella Amalia (controfigura di Emilio al femminile). A sconvolgere la vita di Emilio arriva Angiolina (anche in questo romanzo si vedano i nomi femminili che iniziano con la a), una ragazza di facili costumi di cui si innamora senza coglierne la vera natura, idealizzandola, anzi, per quello che non è. Il protagonista temendo di lasciarsi coinvolgere completamente, tronca il legame; questa poco dopo parte a Vienna con il cassiere di una banca, così Emilio torna alla sua vita mediocre. → Incapace di sentimenti autentici; egli, infatti, ha coscienza di essere privo di qualità, egoista e vanitoso e non è in grado di conoscersi fino in fondo. Il tempo è lineare. → La coscienza di Zeno: 1923. Crisi di certezze; con La coscienza di Zeno, nasce il romanzo novecentesco e psicologico. La cornice vede una Prefazione fatta dal Dottor S., un Preambolo fatto da Zeno in cui spiega perché inizia la terapia e poi i sei capitoli tematici, di cui, i primi cinque presentano il memoriale di Zeno giovane: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale, l’ultimo, invece, rappresenta il vero e proprio diario di Zeno anziano in cui spiega perché ha abbandonato la terapia: Psico-analisi (si noti che Svevo è uno dei primi scrittori italiani ad essersi avvicinato alla psicanalisi). La storia ha come protagonista Zeno Cosini, un ricco commerciante di Trieste, che, incapace di vivere un’esistenza costruttiva, chiede aiuto al Dottor S. perché vuole smettere di fumare. Il medico gli suggerisce di mettere per iscritto un memoriale sul suo passato, ma Zeno, dopo sei mesi di cura, decide di interrompere le sedute: è convinto che le cure non siano servite a nulla e pensa di essere guarito da solo (funzione conoscitiva della psicoanalisi). Infine, il Dottor S. per vendicarsi pubblica il memoriale di Zeno. Il protagonista subisce un progresso a differenza degli altri due romanzi: parte come malato e chiude il romanzo dichiarandosi guarito, elevandosi socialmente e assumendo una posizione economica favorevole; è un personaggio che, attraverso l’ironia, trasforma l’inettitudine in strategia di sopravvivenza. → Procrastinare la terapia, rimandando sempre l’ultima sigaretta ad un evento importante. Il tempo è altalenante tra passato e presente ed è dettato dalla coscienza. MOVIMENTO ERMETICO 1930(francesco flora, critico x coloro che operano rifugiandosi nella letteratura, non potendo operare attivamente in campo politico) L’Ermetismo si sviluppa in Italia nei primi anni Quaranta del Novecento, in particolar modo, a Firenze, città che si impone in quel periodo come capitale culturale d’Italia. I poeti ermetici non costituiscono un vero e proprio movimento, ma condividono una precisa visione della poesia (enigmatica,oscura, di non facile comprensione) , linguaggio nuovo, rifiuto rime e forma metrica, ricercato , versi brevi.tesa. I poeti ermetici furono influenzati dalle lezioni del Simbolismo francese e del Surrealismo,ricorrendo a simboli e analogie. SALVATORE QUASIMODO 1901 Modica. Considerato il caposcuola dell’Ermetismo. → Il matrimonio della sorella con Elio Vittorini è una fortuna poiché, in questo modo, Quasimodo si reca di frequente a Firenze e si inserisce negli ambienti letterari, dove conosce Eugenio Montale. → Uomo del mio tempo; Quasimodo accusa l’uomo di essere portatore di morte e di violenza; questo atteggiamento dura da millenni durante i quali non è svanito il modo di pensare dell’uomo primitivo, armato di pietra e fionda. L’uomo viene descritto nella carlinga un’analogia, a cui si riferisce l’espressione meridiane di morte; infatti come l’ombra proiettata dalla meridiana colpita dal sole, segna le ore del giorno, così le ali dell’aereo, proiettando la loro ombra, segnano le ore della morte. L’odore del sangue è lo stesso odore del sangue del primo assassinio di Caino e Abele, per cui ciò sta ad indicare che il ricordo continua nei secoli, che l’uomo continua ad uccidere i padri, con la stessa primitiva brutalità, senza pietà. La preposizione “senza” si ripete con insistenza per sottolineare la mancanza di amore e di fede che porta l’uomo ad uccidere e per invitare i giovani a dare una svolta al corso della storia. In questo quadro di morte il poeta definisce l’uomo “senza amore” e “senza Cristo” perché dove c’è violenza non può esserci amore e tantomeno Cristo e qualora il nome di Dio venga usato per convalidare una guerra si afferma una bestemmia. → Questa denuncia riguarda le guerre di tutti i tempi, ma nello specifico egli si rivolge ai tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale. Quasimodo si rivolge alle generazioni future, invitandole a non commettere gli stessi errori del passato e ad impegnarsi per giungere a sopprimere la violenza e la brutalità, costruendo un mondo basato sull’amore, sul rispetto e sulla pace. EUGENIO MONTALE 1896 Genova il 12 ottobre del 1896. Nutre una profonda passione per la musica. Nell’estate del 1917 Montale si arruola offrendosi come volontario e viene mandato a Vallarsa in Trentino in un reggimento di fanteria. Dopo il congedo con il grado di tenente, ritorna a Genova e conosce vari autori, tra cui Italo Svevo e Umberto Saba. Del 1922 è la raccolta Accordi, uno scritto che si pone in linea con il Simbolismo europeo e con gli studi musicali; del 1925, invece, Ossi di seppia. Inoltre, in quest’anno il suo nome compare su “Il Mondo” fra i sottoscrittori del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Nel 1929 Montale è chiamato a dirigere il Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux, un ruolo che ricopre per nove anni fino a quando non viene licenziato nel 1938 per aver rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. → Montale esplora nella sua poetica un vero e proprio disagio esistenziale: il senso di angoscia ed estraneità, rispetto ad uno specifico ambiente, rispecchia il disagio dell’uomo e dell’intellettuale del Novecento, privato di ogni certezza a causa dei meccanismi della società di massa. → Formazioni filosofiche, quella di Arthur Schopenhauer, il cui uomo appare condannato a un profondo disagio. L’unica soluzione è per Montale assumere un atteggiamento di distacco, vivendo isolati, nel tentativo estremo di difendere e preservare la funzione dell’intellettuale. Questo disagio esistenziale viene espresso da Montale con una serie di immagini pregnanti basate su elementi e oggetti della realtà umile e concreta: le cose diventano simboli dell’emozione provata dal poeta (teoria del “correlativo oggettivo” che viene elaborata nel 1919 dal poeta Thomas Stearns Eliot). → La riflessione sul vissuto personale percorre tutta l’opera poetica di Montale; il ricordo è destinato nelle sue poesie a svanire rapidamente (il tempo rappresenta un fattore ostile). → Figure femminili importanti: Anna Degli Uberti (Arletta), Drusilla Tanzi (Mosca), Irma Brandeis (Clizia), Maria Luisa Spaziani (Volpe). → Ossi di seppia 1925 Rappresentano i residui della parte calcarea di quei molluschi, che il mare restituisce alla riva, dopo le mareggiate e rappresentano un perfetto correlativo oggettivo dello stato d’animo dominante nella raccolta: la lucida consapevolezza di un «male di vivere» che non ha vie di fuga; di un vivere in totale disarmonia con la realtà circostante. La traccia di ciò che resta dopo l’azione di erosione operata dalla natura, allude dal punto di vista ideologico ad una condizione esistenziale inaridita: questo sentimento è simboleggiato dal paesaggio ligure, compreso tra il mare e le colline. Se da un lato la secchezza comunica il sentimento doloroso dell’esistenza; dall’altro l’immutabilità del mare diviene emblema di salvezza favorendo la sospensione del tempo. I limoni: A questa lirica, composta a cavallo tra 1921 e 1922, Montale affida alcune fondamentali dichiarazioni programmatiche. La demistificazione dell’aureola dei “poeti laureati” (e della loro reboante retorica, in primis dannunziana), qui rappresentate dalle piante dell’illustre tradizione poetica (i “bossi”, “ligustri” o “acanti” del verso 3), si accompagnano alla celebrazione dell’immagine povera e umile dei limoni, capace tuttavia di provocare un sussulto del cuore, o meglio una vera rivelazione epifanica che dispieghi “il punto morto del mondo” (v. 27), il senso più profondo delle cose: qui si manifesta il relativismo prospettico della filosofia montaliana, il cui anelito più profondo è non tanto quello di trovare la verità assoluta, mai raggiungibile, ma una delle tante verità possibili. Spesso il male di vivere ho incontrato: Montale sfrutta appieno l’espediente cui si è già accennato del “correlativo oggettivo”: alcuni oggetti-situazioni concreti sono usati icasticamente per rappresentare altro, evitando l’esposizione diretta dell’io narrante. Nello specifico, gli elementi che svolgono qui questa funzione sono il rivo, la foglia, il cavallo, la statua, la nuvola e il falco. Il poeta non spiega direttamente cosa sia il male di vivere ma ce lo lascia intendere proprio attraverso quegli oggetti-situazioni della vita quotidiana. Sono aggettivi che rimandano a una condizione di morte, di stanchezza vitale, di impoverimento interiore, e che vengono ripresi da altre efficaci immagini nella seconda parte del componimento. Montale, in questa poesia, parlerà di una Divina Indifferenza; un atteggiamento di impassibilità di fronte al male di vivere. → Le occasioni 1939 → Ungaretti ricorre spesso alla metafora del viaggio dove la sua meta consiste nella scoperta della condizione elementare dell’uomo grazie ad “un viaggio” nella propria interiorità. → L’allegria Il tema fondamentale della raccolta è costituito dalla guerra: le liriche sono disposte come in una sorta di diario di guerra, dal momento che, per ogni testo sono indicati luogo e data di composizione. La tragedia di cui egli è testimone vivo, non lo porta ad estraniarsi, al contrario, la parola trova concretezza nella storia, è immersa nella storia donando salvezza contro la sofferenza. Correlato al tema della guerra, c’è l’urgenza di riconoscersi fratelli, l’identità comune che elimina le differenze, ma anche l’attaccamento alla vita dettato da un’esistenza labile sul fronte. IL NEOREALISMO - LA RESISTENZA In Italia il termine viene usato per la prima volta nel 1941 per definire un film del regista Luchino Visconti, ma presto passa anche a definire una corrente letteraria formata da giovani autori quasi tutti cresciuti e formatisi sotto la dittatura fascista ma profondamente critici verso quell’esperienza politica ed i suoi aspetti culturali. Si tratta di intellettuali accomunati dall’interesse per la letteratura americana contemporanea e dal desiderio di allontanarsi dagli stili predominanti nel Ventennio in favore di una narrativa maggiormente dedita al racconto del mondo popolare e che utilizzi un linguaggio più immediato e diretto. → Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno; Prefazione: descrizione della “smania di raccontare" come necessità di descrivere i traumi causati dalla guerra, in modo da evitare che la memoria di quei momenti venisse completamente dimenticata. → Cesare Pavese La casa in collina; E dei caduti che facciamo? Corrado, un docente torinese che per sfuggire ai bombardamenti che imperversano nella città si è trasferito in collina presso una donna, Elvira, e la madre di lei. Le colline torinesi sono abitate da schietta gente del luogo e da persone di città che, come lui, hanno bisogno di un rifugio. Così, malgrado Corrado prediliga la solitudine e l’isolamento, si unisce ai frequentatori di un’osteria, le Fontane, che scopre essere gestita da un suo amore del passato, Cate, che ha un figlio, Corrado (chiamato da tutti Dino). La situazione è sconvolta da una retata dei nazisti, che all’osteria arrestano Cate e gli altri amici di Corrado, che, di ritorno da Torino, riesce fortunosamente a salvarsi assieme a Dino. Rifugiatosi prima da Elvira, innamorata di lui, e poi in un collegio a Chieri (nei pressi di Torino), Corrado affida Dino alle cure delle due donne. Il ragazzo in seguito raggiungerà il protagonista al collegio ma presto sceglie di arruolarsi nelle fila partigiane. Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, decide di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”. Durante il viaggio di ritorno, incappa in un’imboscata partigiana e la vista dei cadaveri dei fascisti gli suggerisce amare e disilluse riflessioni sul senso della guerra, dell’esistenza umana e della sua crisi esistenziale che, nella conclusione del romanzo, non è destinata a risolversi. → Elio Vittorini Conversazione in Sicilia; Gli astratti furori Silvestro (protagonista del romanzo e creazione autobiografica), è in preda ad “astratti furori”, ovvero a un senso di inerzia e impotenza di fronte alle sofferenze del genere umano, che richiederebbero invece un impegno attivo. Una lettera del padre, che annuncia di aver lasciato la madre per un’altra donna, trasforma quest’inquietudine in nostalgia per la propria terra, abbandonata quindici anni prima. Il 6 dicembre, antivigilia del compleanno della madre, Silvestro decide così di salire sul treno che lo condurrà nel piccolo villaggio di montagna dove ancora abita la donna. Fin dal treno cominciano gli incontri che comporranno l’esperienza di questo “ritorno”, tra i quali spicca il Gran Lombardo, così chiamato per i modi autorevoli e l’apparenza fisica. Arrivato al paese natale, dove resterà un solo giorno, Silvestro fa visita alla madre Concezione, accompagnandola nelle case in cui fa da infermiera ai malati di malaria e tisi: qui ha luogo un’esperienza rivelatrice, perché la vista della sofferenza di uomini e donne rassegnati e indifesi suscita una riflessione sull’intero genere umano. Queste persone rappresentano il “mondo offeso”, cioè la parte di umanità che viene quotidianamente oppressa e affronta con rassegnazione il proprio destino. Questa considerazione trova ulteriore sviluppo nel confronto tra Silvestro e alcuni uomini del paese, come l’arrotino Calogero, il paniere Porfirio, il locandiere Colombo ed Ezechiele. A notte inoltrata, rientrando verso casa, Silvestro, forse ubriaco, si ritrova nei pressi del cimitero: qui viene sorpreso dalla voce del fratello Liborio, che gli racconta di essere partito soldato per conoscere il mondo e di essere morto in guerra. Al risveglio, in una mattina lugubre, la madre riceve la notizia dell’effettiva morte del figlio. Prima di partire Silvestro s’incammina verso il monumento ai caduti, dietro di lui tutte le persone incontrate lungo il viaggio: qui si abbandona al pianto del ricordo, rivolto a tutti gli offesi che non appartengono più al mondo. In questo pianto Silvestro trova la forza per lasciare una Sicilia “fuori dal tempo” e fare ritorno alla vita attiva. → Primo Levi Se questo è un uomo; Il canto di Ulisse Il luogo più marcatamente dantesco è un capitolo intitolato non casualmente Il canto di Ulisse. In tale capitolo, il deportato Levi, insieme a un compagno, Jean, uno studente alsaziano, è incaricato di andare a prelevare la marmitta del rancio. Nel tragitto tra una baracca e l’altra, Jean gli dichiara il suo amore per l’Italia e il suo desiderio d’imparare l’italiano. A questo punto, inspiegabilmente, a Levi viene in mente il canto di Ulisse (Inferno, XXVI) e cerca di recitarglielo, seppure frammentariamente a causa dei vuoti di memoria, e di tradurglielo in francese in forma prosastica. Proprio questa memoria dantesca li illuminerà, come attraverso una folgorazione, sul proprio destino e aprirà anche una breve parentesi che permetterà loro di riscoprire la propria natura di uomini. → Beppe Fenoglio Il partigiano Johnny; L’ultima battaglia Quella di Johnny è la storia di una formazione: prima, in città, nelle discussioni con il professor Chiodi e i suoi allievi sul senso di diventare partigiano, poi, “sul campo”, dove emerge il problema di appartenere a una collettività fatta di uomini diversi per estrazione sociale, provenienza geografica e convinzioni ideologiche. Fin da subito, Johnny si mostra a suo agio nelle privazioni della vita partigiana e molto abile nelle azioni militari; tuttavia matura in lui una forte insofferenza verso il ricorso ingiustificato alla violenza a cui tanti compagni si abbandonano, verso la disorganizzazione dei gruppi combattenti e, soprattutto, verso i tentativi d’imporre alla lotta partigiana un connotato politico specifico. Johnny passa alle brigate “azzurre” dei badogliani,qui Johnny ritrova l’amico Ettore e incontra il tenente Pierre: a loro rimarrà legato fino alla fine. La presa di Alba da parte dei partigiani, il 10 ottobre 1944, e la sua perdita 23 giorni dopo, però, segnano l’inizio di un lunghissimo inverno. I rastrellamenti nazifascisti costringono il protagonista a nascondersi, prima insieme a Pierre ed Ettore, poi, dopo il ferimento del primo e la cattura del secondo, in completa solitudine. Johnny tenta di riscattare Ettore procurandosi un prigioniero fascista; lo scambio però non riesce e Johnny è costretto a riprendere il vagabondaggio, esposto al freddo, alla fame e agli sguardi indiscreti delle spie, ma forte della calma datagli dalla convinzione di soffrire per una giusta causa. Il 31 gennaio 1945 Nord convoca tutti i partigiani superstiti per annunciare la ripresa della lotta, e Johnny si accorge di non sopportare più le difficoltà e i compromessi della vita collettiva. Tuttavia, durante il primo scontro con i nazifascisti, all’ingresso del paese di Valdivilla, Johnny avverte un’euforia per il ritorno all’azione, che si esprime in un senso di distanza rispetto ai compagni. Così, nonostante la chiamata della ritirata, Johnny prende il fucile e si lancia nella battaglia: “Due mesi dopo la guerra era finita”, ma della sua sorte non si sa nulla.
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