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Tipologia: Versioni

2020/2021

Caricato il 13/03/2023

mariangelaaaaa48
mariangelaaaaa48 🇮🇹

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Scarica prova prova prova prova prova prova prova prova prova prova e più Versioni in PDF di Diritto solo su Docsity! Chandler Chandler ricostruisce l’evoluzione delle aziende del Nord America e divide il periodo storico oggetto della sua ricerca in 3 fasi a ciascuna delle quali corrisponde una struttura organizzativa teorica: 1. Fino al 1850 le imprese erano di piccole dimensioni e a carattere familiare, il volume di produzione poteva espandersi solo in un ramo o in un’area limitata. L’assetto organizzativo ideale è quello della struttura elementare. 2. Dal 1850 al 1900 i trasporti e le comunicazioni si velocizzano consentendo di allargare l’area di azione e la strategia ha puntato sull’integrazione verticale. La struttura ideale è quella di tipo funzionale. 3. Dopo il 1900 le imprese riescono ad ingrandirsi e a diversificare sia i prodotti che i mercati geografici grazie all’ulteriore sviluppo dell’economia. La struttura più adatta è quella multidivisionale, la quale consente di scomporre le funzioni creando unità relativamente indipendenti, le divisioni. Scott Similmente a Chandler, Scott articola il suo modello in tre stadi in cui correla una serie di variabili strategiche a dimensioni dell’assetto organizzativo: 1. Lo stadio 1 è caratterizzato da una strategia incentrata su un solo prodotto, un mercato geografico limitato, un processo produttivo semplice e ricerca occasionale. La strategia riguarda le piccole e medie imprese nelle quali gli obiettivi coincidono con i bisogni e i valori dell’imprenditore e la struttura organizzativa caratteristica è quella elementare. 2. Lo stadio 2 riguarda una strategia articolata su una linea di prodotti su più mercati geografici, processi produttivi integrati verticalmente e una ricerca finalizzata a miglioramenti di prodotti e di processi. Questa strategia si ritrova in imprese di varie dimensioni e la struttura organizzativa si ispira al modello funzionale. 3. Lo stadio 3 prevede una strategia diversificata su più linee di prodotti e diversi mercati. L’impresa può essere concentrata maggiormente su un certo ramo, diversificare in aree tra loro collegate o diversificare in rami non collegati. La struttura coerente è quella divisionale. Sia Scott che Chandler sono dell’idea che struttura e strategia abbiano una relazione sequenziale, la prima segue l’altra. Il passaggio da uno stato all’altro è determinato da una variazione di strategie. L’evoluzione di tale ragionamento ha portato a considerare tra le due variabili una relazione reciproca in quanto anche la struttura è in grado di influenzare le scelte strategiche sia in fase di progettazione che in quella di realizzazione. Organigramma Il primo e più evidente strumento di coordinamento è l’organigramma, questo va disegnato massimizzando l’efficacia della gerarchia come meccanismo di cooperazione. Raggruppare le persone ha un grande effetto positivo perché queste possono comunicare facilmente in quanto hanno lo stesso capo, condividono lo stesso spazio e gli stessi obiettivi. il raggruppamento può avvenire in base alle competenze, ai prodotti, alla clientela, all’area geografica servita o al canale distributivo. Struttura funzionale o divisionale (Galbraith) In primis è necessario vedere il numero ASA (area strategica di affari) all’interno dell’impresa, in presenza di una sola dimensione strategica la scelta ricade necessariamente sulla struttura funzionale. La scelta della struttura più adatta tra quella funzionale e quella divisionale passa poi per 4 principali fattori: 1. Livello di disomogeneità delle attività: di maggiore è la diversità tra le attività di produzione, vendita, marketing, logistica ecc. (le diverse asa), maggiore sarà la convenienza ad orientarsi verso una struttura divisionale. Se il livello diversificazione e la disomogeneità sono limitate occorre guardare al fattore successivo. 2. Possibilità di ottenere economie di scala: se mantenendo integre le funzioni non allocando parti di esse alle divisioni possono ottenersi delle economie di scala (riduzione dei costi unitari all’aumentare dei volumi) di valore e in presenza di scarsa diversificazione e disomogeneità la struttura più adeguata è quella funzionale. Nel caso in completamente dipendenti dal project leader per la durata del progetto, potrebbero risentire dell’influenza e delle pressioni dai capi permanenti delle unità funzionali. L’ultima debolezza riguarda la possibilità che le persone partecipanti al progetto, alla fine di questo, trovino un sostituto nella posizione che occupavano in precedenza. Struttura a matrice È l’unica forma organizzativa che prevede una doppia dipendenza gerarchica contemporanea, andando in contro al principio di unità di comando. Nasce con la NASA per le missioni lunari, si diffonde nelle aziende degli anni ’80 ed è presente tutt’oggi nella maggioranza delle aziende multinazionali. La matrice originaria nacque per via di un budget limitato, poco tempo e poca disponibilità di persone qualificato. La matrice si articola su due linee organizzative (dimensione strategiche): una relativa ai prodotti/progetti e l’altra funzionale. I capi della linea di prodotti/progetti si occupano della redditività del prodotto o della realizzazione del progetto; i capi della linea funzionale si occupano di sviluppare e allocare le risorse specialistiche. La linea funzionale può riguardare le aree geografiche, tipicamente nelle aziende multinazionali, o le competenze tecniche, tipicamente nelle società di consulenza. In passato esisteva come figura di collegamento tra i capi delle due dimensioni, il two-boss manager, il quale fungeva da collegamento tra i responsabili delle due strutture e i lavoratori dipendenti da entrambe. Per via della doppia o plurima dipendenza, la struttura a matrice si presenta un’elevata percentuale di conflitti e per farne parte sono necessari dei tratti relazionali rilevanti, per poter risolvere i conflitti e sostenere le pressioni. La matrice si rende necessaria in presenza di più dimensioni strategiche rilevanti e di risorse limitate, evitando di sostenere i costi di una struttura divisionale. Azione organizzativa L’obiettivo di Thompson è sviluppare lo studio dell’organizzazione non come sistema reificato, ma come processo di azioni, orientato secondo razionalità intenzionale e limitata che affronta l’incertezza ambientale. Le organizzazioni per Thompson sono sistemi “indeterminati e che fronteggiano l’incertezza”, ma allo stesso tempo “soggette al criterio della razionalità e perciò richiedenti determinatezza e certezza”. Certezza e incertezza caratterizzano i processi decisionali lungo due variabili fondamentali: 1. le preferenze relative ai risultati attesi del processo organizzativo; 2. le credenze relative alle conoscenze strumentali. Nell’azione organizzativa il percorso della teoria thompsoniana attraversa, i concetti di: campo d’azione, strumentalità tecnica, variabilità strutturale, valutazione dell’azione organizzativa e controllo delle organizzazioni. Ogni organizzazione definisce nella costruzione stessa del processo organizzativo, il proprio campo d’azione, che riguarda l’approvvigionamento di risorse, l’oggetto prodotto, la clientela servita e i servizi resi. In tal modo l’organizzazione stabilisce i punti in cui entra in relazione reciproca con l’ambiente. Per Thompson l’ambiente è il risultato di processi di scelta e soggetto a continue ridefinizioni nel tempo. Il campo di azione diventa operativo solo se l’organizzazione trova nell’ambiente una legittimazione al perseguimento dei propri obiettivi, per via della reciprocità che caratterizza l’azione organizzativa. In base al campo d’azione scelto l’organizzazione può affrontare due tipi di ostacoli: gli ostacoli relativamente stabili nel tempo (vincoli) e gli ostacoli caratterizzati da notevole variabilità (contingenze). Per circoscrivere l’analisi Thompson suggerisce di adottare il concetto di task environment costituito da: clienti, fornitori, concorrenti e gruppi di regolamentazione; così come il campo di azione, poi, anche il task environment cambia da organizzazione a organizzazione. Un organizzazione ha un potere su un elemento del proprio task environment in base alla capacità che possiede di soddisfare i suoi bisogni: un organizzazione sarà definita forte o debole a seconda della sua capacità di controllare sia gli input che gli output, tuttavia, un maggiore controllo su mercati di approvvigionamento e di sbocco potrebbe essere controbilanciato attraverso agenzie di regolamentazione. L’organizzazione può quindi gestire le contingenze con opportune strategie di interazione con gli elementi del task environment, ma anche attraverso il disegno organizzativo: una modifica di questo, infatti, consentirebbe un cambiamento nella combinazione di tecnologia, popolazione servita e servizi prestati. Thomson afferma che le principali componenti di un organizzazione sono determinate dal disegno dell’organizzazione stessa: tali componenti inevitabilmente sono frammentate e tale differenziazione, assieme all’insieme di relazioni che le legano, genera la struttura. Le relazioni che sottostanno la struttura possono essere distinte in: 1. Interdipendenze per accumulazione: si ha quando gli individui lavorano in modo autonomo, il metodo di coordinamento idoneo è la standardizzazione; 2. Interdipendenze sequenziale: necessità di svolgere compiti secondo una sequenza prestabilita, il metodo di coordinamento idoneo è il coordinamento attraverso programmi; 3. Interdipendenze reciproche: si ha quando due o più compiti sono mutualmente dipendenti, il metodo di coordinamento idoneo è il coordinamento attraverso mutuo aggiustamento. Nel tentativo di rispettare criteri di razionalità ed efficienza economica (minimizzare i costi di coordinamento), le organizzazioni individuano e dispongono vicine tra loro posizioni organizzative che presentano interdipendenze reciproche, poi quelle con interdipendenze sequenziali e, infine, raggruppano le posizioni residuali. Poiché le organizzazioni interagiscono con il loro ambiente e, poiché non è possibile il pieno controllo delle influenze che nascono da questa interazione, allora la struttura delle unità di confine deve consentire gli adattamenti necessari. Quanto più è eterogeneo il task environment, tanto maggiori sono i vincoli incontrati; quanto più il task è dinamico, tanto maggiori sono le contingenze, ma compito dell’organizzazione è essere razionale; quindi, si istituiscono delle unità specializzate nell’affrontare una quantità limitata di contingenze. Le organizzazioni con nuclei tecnici e attività di confine isolabili gli uni dalle altre, saranno più centralizzate e presenteranno un raggruppamento funzionale; mentre la presenza di attività interdipendenti, ma non isolabili, fa sì che l’organizzazione tenderà a essere decentralizzata e presenterà raggruppamenti divisionali. Incertezza e complessità (Galbraith) Galbraith afferma che le scelte organizzative dipendono dalla complessità o incertezza informativa Δi. La complessità (o incertezza informativa) è funzione del numero di dimensioni strategiche; della loro disomogeneità, variabilità e interdipendenza, il tutto moltiplicato dalla pressione sui rispetto ad eventuali fabbisogni specifici), alla coerenza tra ciò che viene generato dal sistema e ciò che viene richiesto da chi prende le decisioni e all’accettabilità del sistema informativo da chi lo utilizza. 2. Relazioni laterali: sistemi di integrazione tra le diverse linee gerarchiche. Gli strumenti principali sono i contatti diretti tra manager; la progettazione degli spazi in funzione del fabbisogno di coordinamento (layout); task force e gruppi di lavoro; i comitati; i perni di collegamento e ruoli manageriali di integrazione (risolvono problemi di coordinamento semplici e frequenti); organi di integrazione (product, process e project manager), funzioni di integrazione e struttura a matrice. 3. Relazioni sociali: un’elevata socializzazione spinge le persone al dialogo, alla cooperazione e permette di svolgere i processi decisionali più facilmente. La socializzazione può essere incrementata attraverso una selezione e inserimento di personale con spiccate capacità relazionali, attraverso un sistema di formazione improntato sul rafforzamento di tali capacità e su un sistema di carriera che agevoli le interazioni tra manager. La socializzazione ha effetti molto positivi ma richiede tempi di attuazione molto lunghi. Riduzione della complessità 1. Unità autosufficienti: il passaggio da un assetto funzionale ad uno divisionale consente una migliore elaborazione e distribuzione delle informazioni in presenza di un ambiente instabile e disomogeneo, l’utilizzo di tecniche complesse e un’elevata numerosità e articolazione del personale. In particolare il passaggio da una specializzazione di tipo economico tecnico ad uno per output permette di eliminare alcune interdipendenze tra le unità organizzative e abbassando il fabbisogno di coordinamento e integrazione. 2. Risorse in eccesso: l’impresa se ne è in grado può abbassare la qualità o quantità della performance dotandosi di risorse con costo non critico in misura maggiore rispetto al reale fabbisogno o ridurre l’output prodotto a parità di risorse, ciò al fine di ridurre gli elementi da governare. Queste soluzioni comportano dei costi addizionali o la perdita di competitività e vanno quindi confrontate con la possibilità di creare unità autosufficienti prima di essere intraprese. 3. Gestione dell’ambiente: se la fonte della complessità aziendale è dovuta alle troppe pressioni esterne, l’azienda può creare esternalità negative scaricando sull’ambiente le problematiche che l’impresa non riesce a gestire; effettuare azioni di comunicazione esterna e di pubblicità in grado di far percepire all’ambiente i risultati prodotti come migliori oppure intraprendere delle strategie di cooperazione con i concorrenti in modo da prevederne meglio i comportamenti o ridurne la pressione competitiva.
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