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2020/2021

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mariangelaaaaa48
mariangelaaaaa48 🇮🇹

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Scarica prova prova prova prova prova prova prova prova prova prova e più Slide in PDF di Diritto solo su Docsity! ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Organizzazione La parola organizzazione può essere utilizzata per identificare un istituto (impresa, pubblica amministrazione) o per identificare una qualità dell’istituto stesso (il funzionamento ordinato di sistemi di attività finalizzate al raggiungimento di uno scopo. L’organizzazione è un sottosistema aziendale e deve contribuire al conseguimento e al mantenimento di condizioni di economicità. Fare organizzazione significa far accadere cose che normalmente non accadrebbero. Gli strumenti dell’organizzazione: 1. Architettura 2. Antropologia 3. Sociologia 4. Psicologia 5. Tecnologia 6. Organizzazione Comportamento Saper gestire il comportamento organizzativo è la competenza manageriale per eccellenza e farlo significa far accadere “cose” che naturalmente non accadrebbero. Il comportamento di una persona è il risultato del prodotto di 3 elementi: le competenze, la motivazione (componenti della persona) e il contesto organizzativo nel quale essa si trova. Il prodotto tra i 3 determina il comportamento e per la legge dell’annullamento del prodotto, se uno di questi manca ne risente anche il comportamento. Per comprendere le cause di un comportamento è necessaria la considerazione di tutti e tre gli elementi. Le competenze sono le caratteristiche che rendono efficace una persona su certe attività, ma da sole non sono sufficienti per manifestare un certo comportamento, in quanto è necessaria la motivazione, l’energia per operare, la voglia di fare per direzionarle. Il contesto è l’insieme degli elementi che qualificano il mondo nel quale la persona si muove (azienda, posizione, ruolo, cultura…), ogni componente del contesto è un input per il comportamento delle persone, alcuni più o meno influenti. Ogni persona ha una propria interpretazione del contesto. Competenze Le competenze sono un insieme di conoscenze, esperienze, capacità o tratti attitudinali (meno visibili e meno leggibili) che consentono alla persona di prendere decisioni e di lavorare. Le conoscenze rappresentano il sapere di una persona, possono essere facilmente modificabili e leggibili e possono essere teoriche o skill. Le esperienze sono l’insieme delle attività e delle condizioni che la persona ha vissuto nel corso della sua carriera, il saper fare. Le esperienze di una persona crescono grazie alle attività che questa fa, permettendo alle conoscenze di maturare e di arricchirsi. Le abilità cognitive (capacità) e la personalità sono caratteristiche innate che qualificano il modo di essere, di pensare, di relazionarsi con gli altri e che rendono la persona più adatta a determinati tipi di attività. Capacità Le capacità possono essere espresse o latenti, entrambe possono rafforzarsi o diventare espresse attraverso l’esperienza. Le capacità sono raggruppabili in 3 aree: 1. Capacità cognitive: modo di recepire ed elaborare le informazioni (es. essere analitici vs essere sintetici; flessibili o testardi) 2. Capacità relazionali: modo di interazione con gli altri 3. Capacità realizzative: le capacità di superare gli ostacoli, di organizzarsi e la capacità decisionale Prendere una decisione significa saper gestire l’ansia e la responsabilità dell’errore, occorre una certa stabilità emotiva. Le persone più intelligenti, analitici e ansiosi prendono con maggiore difficoltà le decisioni. L’insieme delle capacità o tratti di personalità sono difficilmente modificabili perché innate e sviluppate in giovane età, sono difficilmente rilevabili e non sempre le persone sono a conoscenza della loro natura. Job profile: profilo del candidato ideale Motivazione inteso come autostima o come stima delle persone che ci circondano si presenterà soddisfatti tutti i bisogni precedenti, la soddisfazione dei bisogni di stima fornisce all’individuo una maggiore fiducia in se stessi. Al livello più alto della piramide è presente il bisogno di autorealizzazione. Ogni individuo ha un’immagine ideale di sé stesso creata sulla base delle proprie potenzialità; quando l’immagine reale coincide con l’immagine ideale, la persona è autorealizzata. La scala gerarchica implica che chi non ha ancora soddisfatto un bisogno alla base non prova interesse per quelli che vengono dopo (sequenzialità) e che una volta soddisfatto un bisogno questo perde la sua forza motivante. Alla teoria di Maslow sono mosse principalmente due critiche: la prima riguarda la differente percezione di soddisfazione in ogni persona; la seconda è la presenza nelle persone di bisogni diversi da quelli della piramide e diversi dagli altri e la possibilità che tali bisogni siano posizionati in diverso modo nella piramide. Teoria motivazione-igiene (Herzberg) Herzberg parte dall’ipotesi che gli atteggiamenti dei lavoratori sono determinati da una serie di fattori che producono soddisfazione o non insoddisfazione ed evidenzia con uno studio fattori connessi ad atteggiamenti positivi e fattori connessi ad atteggiamenti negativi. I primi fattori sono chiamati motivanti (raggiungimento e riconoscimento dei risultati, responsabilità e contenuti del lavoro, possibilità di avanzamento) poiché determinano maggiore motivazione se presenti e non producono non insoddisfazione se assenti. I secondi sono detti igienici (ambiente di lavoro, relazioni interpersonali, retribuzione, sicurezza e condizioni fisiche, politiche dell’impresa…) evitano l’insoddisfazione se presenti ma non garantiscono maggiore motivazione. I lavoratori possono essere divisi in ricercatori di motivazione, i quali cercheranno soprattutto una soddisfazione intrinseca al lavoro che gli dia una sensazione di una crescita psicologica, e in ricercatori di igiene, sensibili unicamente agli incentivi esterni come remunerazione ed ambiente. Secondo Herzberg solo i ricercatori di motivazione sono avviati verso una maturazione psicologica che porterà alla realizzazione personale. La crescita psicologica è subordinata ad un ampliamento della conoscenza da cui deriva un successivo ampliamento delle relazioni. Le altre condizioni sono la creatività, l’efficacia in condizioni di incertezza (aumento della responsabilità e dell’autonomia decisionale), la crescita reale (azioni compiute direttamente dall’individuo) e il principio di individuazione (la crescita riguarda l’individuo come tale). Combinazione di fattori motivanti e igienici 1. Fattori motivanti presenti, igienici assenti: individuo motivato nello svolgimento del lavoro, insoddisfatto nei bisogni basilari 2. Entrambi i fattori presenti: l’individuo svolge un lavoro per il quale è motivato e non insoddisfatto. 3. Fattori motivanti assenti, igienici presenti: gli individui soddisfano i propri bisogni più alti al di fuori dell’orario di lavoro, durante il lavoro mettono a disposizione le proprie energie per soddisfare i propri bisogni basilari. Job enrichment È l’arricchimento del lavoro tramite l’unificazione di compiti con contenuti di responsabilità diverse. È necessario per soddisfare i bisogni di ordine superiore e consente di mantenere alta la motivazione di chi non ha accesso a dei percorsi di carriera per diversi motivi. Il modello di Herzberg è criticato principalmente per la metodologia di ricerca utilizzata per raccogliere i dati, si contesta che le ricerche siano state condotte inducendo le persone a fare determinate associazioni. Teoria X e Teoria Y (McGregor) Secondo la Teoria X, le persone non sono interessate ad assumersi responsabilità ma ambiscono sicurezza, i manager che credono in questa teoria controllano e sorvegliano i propri dipendenti. Questo tipo di management è destinato al fallimento perché non motiva gli individui in presenza di bisogni sociali, di stima e di autorealizzazione. Secondo la Teoria Y, le persone possono essere autodisciplinate e creative nel lavoro se opportunatamente motivate. Teoria della motivazione al successo (McClelland) McClelland individua tre categorie di bisogni a cui associare diversi tipi di motivazione: i bisogni di successo, i bisogni di affiliazione e i bisogni di potere. Secondo McClelland solo chi ha un’elevata motivazione al successo può ottenere soddisfazione dal proprio lavoro e raggiungere l’autorealizzazione. Il successo non deve essere facile né scontato e dipendere da capacità personali per costituire un traguardo motivante. Le persone motivate al successo sono accomunate dalla capacità di fissare obiettivi difficili ma raggiungibili; da una maggiore preoccupazione per il raggiungimento del successo personale e dal desiderio di ricevere feedback sul proprio operato e non sul proprio atteggiamento. Le persone con bisogni di affiliazione hanno come obiettivo quello di essere accettati e amati dagli altri, per ottenere elevate prestazioni da questi individui è utile far percepire loro una minaccia di allontanamento dal contesto affettivo in cui operano. Le persone motivate dai bisogni di potere hanno come obiettivo quello di influenzare il comportamento delle persona e non operano per l’interesse dell’azienda. Identificazione Il meccanismo dell’identificazione è quello attraverso il quale l’individuo fa propri gli obiettivi dell’organizzazione, quanto più un individuo si identifica con la propria organizzazione tanto più si sente parte di essa e si adopera per essa. Il livello di job involvement è maggiore tanto è più presente un elevato livello di internalizzazione dei valori relativi agli aspetti positivi del lavoro. L’identificazione dipende da fattori quali l’informazione sui processi, l’autonomia, l’autogestione, il poter prendere decisioni e le ricompense. Comunicazione L’efficacia della comunicazione è subordinata alla condivisione dell’oggetto della comunicazione stessa. La comunicazione è un processo a due vie: una è quella dell’attore che comunica l’oggetto, l’altra il soggetto che ha il compito di ricevere l’oggetto. La prima fase del processo di comunicazione è quella con la quale l’emittente trasforma il pensiero in segnali (codifica). Il codice che utilizza l’emittente, come ad esempio le parole, è anche detto significante. La seconda fase della comunicazione è il trasferimento del messaggio da parte dell’emittente al fine di far cogliere e capire dal ricevente il significato di questo. Il trasferimento può avvenire attraverso diversi strumenti di trasmissione, ciascuno con una portata di informazioni più o meno grande: il solo testo quella tra conflitto cognitivo, disaccordo circa il contenuto delle decisioni, e il conflitto affettivo, percezione di incompatibilità a livello personale. All’interno di un’organizzazione il conflitto può svilupparsi a più livelli: 1. Extra-organizzativo: coinvolge soggetti esterni all’organizzazione 2. Intergruppo: tensioni e divergenze tra gruppi diversi a causa di incompatibilità degli obiettivi, elevata interdipendenza organizzativa o limitatezza delle risorse; 3. Intragruppo: divergenze tra i membri del gruppo 4. Interpersonale: percezione di incompatibilità tra due o più individui tipicamente in relazione al ruolo e alle aspettative ad esso collegate 5. Intrapersonale: conflitto interno alla persona per contrapposizione di obiettivi o per adozione di comportamenti incoerenti con valori della persona Il conflitto è utile all’organizzazione in presenza adeguata, un’organizzazione efficace non è quella dove il conflitto è assente ma quella dove è gestito. Fattori che generano un conflitto I fattori possono essere di natura individuale, situazionale e organizzativa. I fattori individuali dipendono dalle caratteristiche delle persone: i valori, gli atteggiamenti, le convinzioni, i bisogni diversi tra persone e i giudizi o l’erronea percezione degli altri. I fattori di natura situazionale sono legati ad un elevato grado di interdipendenza che porta i soggetti a comunicare più frequentemente e aumentando le possibilità di conflitti, la necessità di un grado di consenso elevato (una decisione unanime si raggiunge difficilmente senza conflitti) o ancora ad un elevato grado di ambiguità. I fattori di natura organizzativa risiedono nelle regole, nelle politiche e nel loro funzionamento Conflitto interpersonale Il conflitto interpersonale può manifestarsi secondo 5 stili diversi in base alla combinazione dell’orientamento verso se stessi e verso gli altri della gestione dei conflitti da parte degli individui: 1. Stile integrativo: alto orientamento verso sé stessi e verso gli altri, approccio orientato al problem solving, l’individuo lavora affinché il risultato sia la somma di più punti di vista. 2. Stile obbligante: basso orientamento verso sé stessi, alto verso gli altri. L’individuo è accomodante, affronta la situazione in modo positivo e amichevole e presenta un elemento di auto-sacrificio. 3. Stile dominante: alto verso se stessi, basso verso gli altri. L’individuo mira a far prevalere la propria posizione su quella di un altro. 4. Stile elusivo: basso verso sé stessi e verso gli altri. L’individuo evita il conflitto e ritarda le decisioni. 5. Stile della ricerca del compromesso: stile intermedio tra tutti gli altri, indica mediazione tra il proprio interesse e quello degli altri Fasi del conflitto Il conflitto non è un singolo evento ma è articolato in 5 fasi: della latenza, cognitiva, della percezione emozionale o affettiva, comportamentale e della risoluzione. All’inizio il conflitto è latente poi viene riconosciuto dalle parti, le quali iniziano ad avvertire apprensione e iniziano a manifestare comportamenti quali discussioni o aggressioni. L’ultima fase è quella della risoluzione, emergono le conseguenze del conflitto, il quale, se non risolto può provocarne altri. Risoluzione del conflitto Per affrontare una situazione conflittuale è necessario considerare: l’oggetto della questione, la dimensione degli interessi, la struttura del gioco negoziale, la continuità dell’interazione, la presenza di leadership e la percezione dell’andamento del conflitto. Un conflitto sarà più difficile da risolvere se si basa su questioni di principio, se gli interessi in gioco sono grandi, se la relazione tra le parti non è profonda, se non si possiede una buona leadership. Al contrario sarà più semplice risolvere un conflitto se si incentra su problemi concreti, le parti hanno una relazione a lungo termine o si possiede una leadership forte. Una volta identificato il conflitto si potrebbe pensare che il tempo possa rimuovere le cause, ipotesi che potrebbe risultare controproducente e portare ad un’esasperazione. Il confronto è sicuramente uno strumento utile e nel caso in cui ci siano i presupposti è possibile tentare una negoziazione, nel caso in cui non si abbiano risultati positivi può intervenire un mediatore. Lavorare in gruppo Definizione Un gruppo di lavoro è un insieme di individui anche diversi tra loro, con interessi comuni, legati da un sistema di relazioni sociali che si manifestano nel riconoscimento del contributo del singolo, nello svolgimento di attività che richiedono interdipendenza tra i membri e nel perseguire un obiettivo condiviso. Un semplice gruppo per diventare un gruppo di lavoro deve passare dalla fase di interazione a quella di integrazione, con la consapevolezza he tutti i partecipanti sono interdipendenti. Motivazioni per la formazione Le motivazioni che portano alla formazioni dei gruppi sono principalmente 4: 1. Fattori individuali: i gruppi si formano facilmente tra persone affini tra di loro per valori, atteggiamenti od opinioni ma rappresentano anche un modo per soddisfare i bisogni di affiliazione, stima e accettazione. le organizzazioni possono valorizzare le buone relazioni già presenti per fini produttivi o contribuire alla creazione di nuovi gruppi per soddisfare i bisogni individuali. 2. Obiettivi e natura dei compiti: la presenza di un obiettivo raggiungibile con la coordinazione e la cooperazione stimola la creazione di un gruppo. 3. Potenziale di influenza: il gruppo influenza e controlla meglio l’ambiente del singolo. 4. Opportunità di interazione: le relazioni, la circolazione di informazioni finanche la prossimità fisica spingono le persone a formare un gruppo e una relazione. Oltre ai 4 casi descritti anche fattori come l’esigenza di creare ambienti di lavoro altamente partecipativi, la diffusione delle team based organization, la diffusione di tecnologie di informazione e comunicazione, l’utilizzo di all’uscita di nuovi membri. L’influenza è il processo con cui chi la esercita induce un mutamento nei confronti degli altri. All’interno di un gruppo di lavoro è possibile riconoscere 4 modelli di influenza: 1. L’autorità: chi la subisce sospende i suoi diritti di decisione accettando incondizionatamente le decisioni prese da qualcun altro. 2. La persuasione: cercare di convincere la persona, sollecitazione del giudizio. 3. La manipolazione: influenzare gli altri senza che se ne rendano conto, facendo leva su una relazione diversa da quella principale; 4. L’emulazione: si basa sul carisma del capo, è un meccanismo di imitazione inconsapevole. Un leader è un membro in grado di dirigere coordinare e influenzare i componenti del proprio gruppo, gli studi sulla leadership possono sintetizzarsi in 3 approcci: 1. Qualitativo-funzionale (leader si nasce, non si diventa), 2. Situazionale: non esiste un leader ideale, ma ogni situazione organizzativa richiede uno stile di leadership diverso a seconda del livello di maturità del collaboratore. Gli stili che emergono dalle combinazioni sono lo stile prescrittivo, per un basso livello di maturità, lo stile persuasivo, per una maturità medio bassa, lo stile coinvolgente, per persone competenti ma non pronte a fare quello che richiede il leader e in ultimo lo stile delegante, per un alto livello di maturità. 3. Innovativo (leadership trasformazionale: i leader riconoscono i bisogni dei collaboratori, li coinvolgono e li trasformano in leader per raggiungere performance più elevate; leadership carismatica: il leader coinvolge fortemente il collaboratore, il quale si identifica in lui) Risultati e patologie di un gruppo La coesione è uno dei prodotti del gruppo di lavoro, è l’intensità con cui i membri avvertono il desiderio di rimanere insieme e di impegnarsi per il gruppo. Favoriscono la coesione la prossimità fisica, valori e gusti in comune, obiettivi individuali e del gruppo compatibili e la facilità di raggiungere l’obiettivo. La polarizzazione è la tendenza del gruppo ad assumere posizioni o decisioni più estreme di quelle che avrebbero assunto i singoli membri. Il conformismo è l’adesione e il rispetto assoluto alle norme, si manifesta attraverso un’uniformità di comportamento nell’ambito di gruppo. Il groupthink è la patologia derivante dalla pressione sui membri del gruppo, che non consente loro di esprimere liberamente il proprio pensiero e li porta a cambiare opinione per conformarsi alla maggioranza. Cultura organizzativa La cultura non trova una definizione univoca e condivisa, esiste a diversi livelli ed è un concetto pluridisciplinare; in molti ritengono che sia un qualcosa condiviso tra più persone ma non sono d’accordo per quanto riguarda il contenuto. È possibile affermare che la cultura organizzativa sia l’insieme di valori e di modi di agire sulla cui base un’organizzazione opera quotidianamente. Come detto la cultura opera a diversi livelli: uno visibile (la punta dell’iceberg) in cui troviamo i manufatti e i comportamenti osservabili; uno nascosto in cui troviamo i valori, gli assunti e i processi mentali. Per questo motivo la cultura è intangibile ma produce effetti concreti sul comportamento organizzativo e su diversi aspetti dell’attività di management. Schein individua tre componenti fondamentali della cultura organizzativa: gli artefatti, i valori e gli assunti di base. Gli artefatti e i simboli sono la componente più visibile e comprendono tutto ciò che si vede andando in giro per un’organizzazione. I valori sono leggibili dalle priorità, rappresentano ciò in cui le persone credono, definiscono ciò che è giusto o sbagliato e influenzano la definizione delle norme di comportamento. Gli assunti di base sono gli elementi più difficili da afferrare, sono le convinzioni di fondo, valori non discutibili e dati per scontati. Gli assunti sono il fattore più potente della cultura organizzativa e rappresentano la ragione e l’origine di determinati comportamenti dei membri dell’organizzazione. Simboli La cultura si manifesta nell’organizzazione tramite simboli i quali possono essere classificati in 3 categorie: 1. Strumenti e forme di rappresentazione mentale: rientrano in questa categoria il linguaggio, le storie (aneddoti di vita quotidiana) e i miti (narrazioni di eventi passati che permettono di spiegare le origini e le trasformazioni di qualche cosa. 2. Atti, condotte e stili di comportamento: sono azioni collettive con le quali vengono celebrati i successi e i valori dell’organizzazione, rientrano in questa categoria i riti, le cerimonie, le routine e le abitudini 3. Esperienze sensoriali ed estetiche: espressioni materiali e tangibili della struttura fisica dell’organizzazione, hanno lo scopo di comunicare l’identità dell’impresa sia all’interno che all’esterno. Come si forma la cultura? Lo stesso Schein ha elaborato un contributo con il quale ha voluto spiegare il processo di creazione della cultura aziendale facendo ricorso a diverse teorie: 1. Teoria sociodinamica: secondo questa teoria quando una persona entra a far parte di un nuovo gruppo, o contesto, porta con sé una serie di esperienze e di ruoli facendo sì che si creino problemi di inclusione, controllo e intimità. Col tempo i nuovi membri imparano le tendenze, gli stili emotivi e cognitivi e vi si adattano. 2. Teoria della leadership: sono i leader che danno vita e fanno penetrare nell’organizzazione i loro assunti all’interno delle organizzazioni, è impossibile quindi scindere la leadership dalla formazione della cultura; 3. Teoria dell’apprendimento: ha cercato di spiegare perché alcune soluzioni vengono consolidate e altre scompaiono. Quali sono le funzioni della cultura? 1. La cultura aziendale si forma in risposta ai problemi di adattamento all’ambiente esterno; 2. La cultura integra i membri dell’organizzazione in modo che essi sappiano come relazionarsi gli uni con gli altri. L’integrazione interna consiste nella creazione di un’identità collettiva che aiuta nel mantenimento di rapporti di lavoro efficaci; 3. La cultura fornisce modelli di comportamento specifici che permettono agli uomini di fronteggiare la complessità del reale. Una volta formatasi, la cultura tende a permanere nell’organizzazione: le persone in tal modo si comporteranno sempre in considerazione di ciò che gli altri si attendono (aspettative di ruolo). d'azione si intende la diminuzione dei costi medi unitari di produzione derivante dalla produzione congiunta di più beni o servizi. Variabili che influenzano i costi unitari di produzione e i costi di coordinamento L'incertezza e la complessità, l'insostituibilità e la criticità delle risorse sono fattori che possono influenzare contemporaneamente i costi di produzione e i costi di coordinamento. L'incertezza, fatta coincidere progressivamente col concetto di complessità informativa, può avvenire nelle fasi a monte dello svolgimento di attività; nello svolgimento dell'attività; nella fase di valutazione ex post delle azioni compiute. L’insostituibilità e la criticità delle risorse fanno si che queste risultino particolarmente rilevanti per la vita dell’azienda, le risorse possono avere diversa natura e riguardare l’ambiente in cui l’azienda opera o le persone in essa impiegate. Variabili che influenzano i costi di coordinamento Conflitto di interessi, potenziale opportunismo degli attori e interdipendenza influenzano i costi di coordinamento. L’opportunismo può riguardare sia attori che popolano l’ambiente operativo dell’impresa sia membri dell’organizzazione e quindi il diretto svolgimento di attività compiute in essa. Per interdipendenza si intende la modalità con cui entrano in relazione tra di loro le attività, maggiore è la complessità del coordinamento connessa al tipo dj interdipendenza, maggiore sarà il costo dei meccanismi di coordinamento necessari. Oggetti e caratteristiche della progettazione organizzativa Affinché un'azienda raggiunga i propri obiettivi è necessario che tutti i suoi membri siano messi nelle condizioni di contribuire a tale scopo, per tale motivo la progettazione organizzativa si pone a differenti livelli: 1. Microstrutturale: dedicata all’individuazione dei compiti, attività, obiettivi, responsabilità e comportamenti attribuiti e richiesti singoli individui; 2. Meso-strutturale: definizione dei confini delle unità organizzative; 3. Macro-strutturale: scelta di una determinata combinazione di specializzazione orizzontale, verticale e meccanismi di coordinamento inter-organizzativi. Inoltre, le scelte organizzative devono avvenire nel rispetto dell'esigenza di dover raggiungere gli obiettivi fissati e mantenere l'economicità aziendale. Per questo motivo tali scelte devono essere il più possibile rigorose, ispirate a criteri solidi e a un'elevata conoscenza dei vantaggi e degli svantaggi delle alternative di scelta. Infine, l'organizzazione deve coniugare l'efficienza aziendale con la soddisfazione delle persone, tenendo cioè conto del livello di soddisfazione degli attori coinvolti, nelle scelte di progettazione organizzativa. Data la parzialità delle informazioni e la molteplicità delle decisioni, l’obiettivo di chi è chiamato a progettare le organizzazioni non è quello di prendere la decisione migliore, altamente improbabile, ma quello di non compiere gravi errori in merito agli oggetti fondamentali di progettazione. Oggetti di progettazione 1. Dimensione orizzontale: le scelte afferenti a questa categoria riguardano il grado e il criterio di suddivisione dei compiti tra i membri dell’organizzazione e tra le unità organizzative. Rispetto al criterio di specializzazione è possibile trovare: una specializzazione in base agli input o per tecniche (omogeneità degli input; strutture organizzative specializzate per funzioni) e una specializzazione in base agli output (omogeneità dell’output prodotto; strutture organizzative specializzate per unità autosufficienti per la realizzazione di determinati output). Più il grado di specializzazione è alto, minore sono i compiti attribuiti alla singola persona. 2. Dimensione verticale: decisioni riguardanti il numero dei livelli gerarchici che costituiscono la gerarchia organizzativa e la tipologia di organi che la compongono. Un maggior numero di livelli gerarchici ha come vantaggi un maggior coordinamento e controllo dai parte dei capi ma può comportare maggiori costi di struttura, problemi di comunicazione, problemi di sovrapposizione di ruoli e difficoltà nel comunicare direttamente con i capi dell’organizzazione. 3. Profondità e stabilità della struttura: l’individuazione degli strumenti di integrazione e coordinamento tra le diverse posizioni e unità organizzative. I meccanismi di integrazione possono essere temporanei o permanenti, continui o discontinui, comportare l’impiego di una o più persone all’interno dell’organo di coordinamento, essere frutto della decisione del management o della libera iniziativa. 4. Accentramento: il grado di accentramento/decentramento corrisponde alla distribuzione del potere lungo l’asse verticale della struttura. Un accentramento elevato agevola il coordinamento, il controllo, la coerenza e la rapidità di decisione, riduce il numero di ruoli direttivi e, di conseguenza, i costi ma potrebbe provocare un sovraccarico decisionale e incidere negativamente sulla motivazione di chi è escluso dal processo decisionale. 5. Formalizzazione e standardizzazione: per formalizzazione si intende l’uso di regole codificate finalizzate a definire i comportamenti “giusti”, si vanno a definire cioè standard in riguardo a processi, output e competenze. La creazione di standard permette di coordinare meglio le attività dei membri dell’organizzazione e di aumentare la qualità e la velocità di risposta di fronte ai problemi già noti. Forme organizzative Vista la varietà di possibili scelte organizzative nel tempo sono andate affermandosi delle forme organizzative idealtipiche, queste sono principalmente: la struttura elementare; la struttura funzionale e la struttura divisionale. Strutture elementare La struttura elementare ha un basso grado di differenziazione orizzontale e verticale, un alto accentramento e una bassa formalizzazione, il coordinamento è esercitato dall’organo di governo sugli organi operativi. Per ciò che riguarda la dimensione orizzontale vengono definite unità organizzative che si occupano di compiti omogenei; dal punto di vista della specializzazione verticale sono presenti tipicamente un organo di governo e degli organi operativi. La struttura semplice è assunta da imprese di piccole dimensioni (a conduzioni familiare o aziende artigiane) e ha come vantaggi una spiccata capacità di adattamento e prontezza di integrazione e coordinamento; fornire informazioni ai sistemi operativi o sistemi di direzione (HR, Controllo di Gestione e Sistemi informativi) Ruolo e job profile Il concetto di ruolo nasce per sopperire alla generalità della job description, la quale è suscettibile a diverse interpretazioni. Attraverso il ruolo si descrivono le posizioni organizzative esplicitando anche i comportamenti attesi da chi andrà a ricoprire quella determinata posizione (la posizione riguarda le attività da svolgere indipendentemente dalla persona). Benché la professione sia la medesima, infatti, in base al contesto in cui questa è inserita potrebbe richiedere delle caratteristiche e dei comportamenti diversi. Il job profile (profilo di ruolo) è un documento che descrive le competenze (conoscenze, esperienze e capacità) richieste per occupare al meglio una certa posizione, il candidato ideale. Oltre a cosa è chiamato a fare il candidato comprende anche il come farlo. Interdipendenze Le interdipendenze sono connessioni derivanti dalla tecnologia tra due attività svolte da posizioni o unità diverse. Le interdipendenze possono essere: 1. Generiche: le unità collaborano allo stesso obiettivo ma non entrano in contatto diretto, sono gestite tramite standardizzazione 2. Sequenziali: richiedono programmazione, definizione delle modalità e dei tempi di svolgimento delle diverse attività 3. Reciproche: i soggetti sono uno influenzato dal comportamento dell’altro, è necessario un adattamento continuo e un frequente scambio di informazioni tra i due. Processi Il processo è un insieme organizzato di attività che produce un output riconoscibile e di valore per l’azienda. Tali attività devono essere legate da interdipendenze forti (sequenziali o reciproche), svolte da unità o ruoli diversi e produrre un risultato identificabile e utile per l’azienda o per un cliente esterno. Per comprendere se è necessario migliorare un processo, dove e come farlo è necessaria in primis una sua mappatura (as is), attraverso la quale si scompongono le attività, e relative figure responsabili e si rappresenta il processo graficamente. Una volta effettuata la mappatura si ridisegna il processo inserendo tutte le modifiche organizzative o tecnologiche, la suddetta reingegnerizzazione è definita to be (business process reengineering). L’obiettivo della reingegnerizzazione del processo può essere quello di migliorare l’efficienza (breve periodo) o l’efficacia (lungo periodo). Le azioni che possono essere svolte per migliorare un processo sono: 1. L’eliminazione delle attività duplicate, inutili o in eccesso 2. L’ottimizzazione del flusso: assegnare alla stessa unità organizzativa attività a forte interdipendenza 3. La parallelizzazione. Svolgere in parallelo due attività prima svolte una dopo l’altra 4. Verificare la coerenza tra attività e strumenti informativi Rappresentazione dei processi Per rappresentare i processi graficamente è necessario in primis raccogliere informazioni attraverso le interviste, utilizzando l’organigramma per comprendere chi ascoltare. Una volta scelti gli intervistati occorre predisporre un questionario che fornisca: le attività svolte, le interdipendenze e le modalità di coordinamento, gli input e gli output, i sistemi informativi, elementi di contesto e competenze. Sono altre fonti d’informazioni l’osservazione diretta e l’analisi della documentazione aziendale. Lo schema più utilizzato per la rappresentazione dei processi è il flow chart a corsie, questo contiene: 1. Gli attori del processo: riportati nella prima colonna e divisi per corsie 2. Le attività chiave: descritte nei rettangoli e rappresentate in modo cronologico nella corsia dell’attore che ne è responsabile 3. Le alternative di azione: definite nei rombi, possono far prendere più direzioni al flusso 4. Le frecce: rappresentanti i legami tra le attività. Logica incrementale si parte dal processo esistente e si cerca di migliorarlo, con la logica radicale si riparte da 0 e si delinea un nuovo processo Progettare un'organizzazione Fare organizzazione aziendale significa portare efficienza ed efficacia in un luogo dove le persone lavorano in maniera superficiale agendo sui loro comportamenti. Il primo passo per progettare un’organizzazione è quello di individuare la combinazione migliore di cose da fare e le persone che devono farle, definire quindi i compiti da svolgere. Successivamente si esegue ripartizione dei compiti in sottoinsiemi omogenei e specializzati detti unità organizzative per poi delimitarne ruoli e rapporti gerarchici e dividendo le unità di linea dalle unità di staff. La quarta fase, di definizione della micro-struttura, consiste nell’ulteriore suddivisione delle unità organizzative fino alla singola unità elementare, la posizione. Il risultato delle quattro fasi è l’organigramma, un insieme di caselle contenenti le posizioni, collegate da linee rappresentanti i rapporti gerarchici e che in blocco rappresentano le unità organizzative. L’organigramma è il modo più conosciuto per esplicitare la struttura organizzativa. Sistemi di direzione I sistemi di direzione consentono di mantenere l’efficienza e l’efficacia nel tempo garantendo che la struttura organizzativa sia adeguata alle variazioni nel medio-lungo termine. I sistemi di direzione possono essere divisi (secondo Airoldi) in sistemi di pianificazione e controllo (programmano i compiti futuri e verificano quelli svolti in passato), sistemi di gestione del personale (gestiscono e valutano lo svolgimento dei compiti da parte delle persone) e sistemi informativi (riducono il gap tra informazioni necessarie al funzionamento e informazioni disponibili). I sistemi di direzione segnalano le eventuali problematiche sul chi o sul che cosa e se tali problematiche conducono o possono condurre al disequilibrio. Controllo di gestione Il controllo di gestione è il sistema di direzione che consente di monitorare l’andamento dell’organizzazione rispetto agli obiettivi che si è data. I principali modelli di controllo sono il controllo sui processi, il controllo sui risultati e il controllo di clan; solitamente le organizzazioni utilizzano un ibrido dei 3. Il controllo sui risultati si applica quando i risultati sono misurabili facilmente ma è presente una bassa conoscenza dei processi che li hanno far rispondere una persona alle attese organizzative il più possibile, o di evoluzione quando punta a fornire competenze utilizzabili in ruoli diversi da quello ricoperto. I modelli di apprendimento principali sono il learning by absorbing (uno parla tutti ascoltano), il learning by doing e il learning by interacting with others. I percorsi di carriera riguardano la progettazione del percorso delle persone in azienda, anche definiti sentieri di carriera, sono un insieme coerente di ruoli da ricoprire in sequenza nel tempo. La costruzione dei percorsi di carriera passa per la mappa delle competenze, le tavole dei tempi di sostituzione (tempi minimi per acquisire competenze) e nelle tavole di rimpiazzo (nomi dei potenziali sostituti di una persona e tempo entro il quale potrebbero sostituire il titolare nel suo ruolo). I percorsi possono essere verticali se sviluppati all’interno della medesima unità organizzativa o diagonali se è previsto uno spostamento di unità. Sistema di ricompensa Il sistema di ricompensa, o premiante, serve a mantenere conveniente nel tempo la relazione organizzazione-persona e a mantenere equo il rapporto tra contribuiti e incentivi. L’obiettivo del sistema è quello di attirare, trattenere e motivare il personale con caratteristiche idonee al perseguimento dei fini aziendali. Lo sforzo che il lavoratore impiega nello svolgimento dei propri compiti e nell’adozione di determinati comportamenti dipende dalla probabilità che lo sforzo porti ad una ricompensa e dal valore attribuito a questa. La prestazione realizzata dipende sia dallo sforzo che dal contesto organizzativo e dalle competenze del lavoratore. Le ricompense possono essere intrinseche (riguardanti il contenuto del lavoro) ed estrinseche (amministrate dall’organizzazione), le prime mostrano che la soddisfazione del lavoratore non dipende esclusivamente dal suo stipendio. Livello, struttura e dinamica retributiva Il livello retributivo è il valore medio di retribuzione pagato dall’impresa a gruppi di posizioni, il livello retributivo può essere confrontato con il livello di mercato e il livello previsto dalla contrattazione collettiva. Difficilmente il livello retributivo è pari al livello del CCNL, al di sotto del quale non si può comunque andare, nel caso in cui lo fosse risulterebbe scarsamente interessante per il mercato del lavoro. un livello retributivo al di sopra del livello di mercato è segnale di leadership ma può comportare costi maggiore in considerazione del cuneo fiscale. La struttura retributiva delinea delle fasce costituite dai gruppi aventi una retribuzione analoga, ogni fascia è delimitata da un livello massimo e uno minimo. La struttura retributiva stabilisce le regole per la mobilità retributiva, all’interno della stessa fascia (dal valore minimo al valore massimo) oppure tra fasce diverse (da una fascia all’altra). La dinamica retributiva è la componente della politica retributiva che definisce le variazioni salariali nel tempo dovute a contrattazioni collettive o scelte aziendali. Gli strumenti principali di dinamica retributiva dovuta a scelte aziendali sono: la retribuzione a rendimento, il bonus, il gainsharing (legato al miglioramento della performance aziendale, ne beneficiano tutti), il profitsharing (come il gain ma misurato sul risultato netto) e i fringe benefits (erogazioni in natura o in servizi. Progettare significa prendere decisioni in merito all’organizzazione. Il concetto di universalismo descrive un modo di progettare le organizzazioni avendo a disposizione una soluzione predefinita da applicare nel momento del bisogno: one best way. Max weber Max Weber è l’inventore della burocrazia, nonostante le sue idee siano della fine dell’800 un buon numero di organizzazioni sono costruite sui suoi principi. Max Weber studiò le due organizzazioni che al suo tempo ottenevano i risultati migliori (P.A. e forze armate prussiane), raccogliendo informazioni sulle rispettive modalità di operare delle due. Unendo i tratti comuni tra le due, Weber ottiene un modello organizzativo di successo e lo trasmette ad altre organizzazioni non di successo (prima operazione di benchmarking e sintesi delle best practices). Burocrazia La burocrazia è la modalità che consente un’organizzazione nel minor tempo possibile e al minimo costo, è in sintesi una raccolta di comportamenti da attuare nell’agire quotidiano degli attori organizzativi. Un allievo di Weber sintetizza, a partire dagli studi di questo, i 21 principi della burocrazia, molti superati e non più validi fatta eccezione per due di questi: la standardizzazione (organizzazione formale) e l’autorità legale. La prima determina i comportamenti da seguire, la seconda consente all’organizzazione di assicurare che i comportamenti reali corrispondono a quelli definiti. Formalizzazione (Standardizzazione) Quando un individuo incontra un problema per la prima volta cerca una soluzione e impiegherà un certo tempo e impiegherà una certa quantità di forze; al ripresentarsi dello stesso problema cercherà una soluzione migliore della precedente, più efficiente e che lo renderà più soddisfatto. Secondo Weber le organizzazioni impiegheranno le proprie energie finché non troveranno una soluzione soddisfacente (non necessariamente la migliore) per costruire un insieme di combinazioni problema-soluzioni (pacchetti comportamentali) e poter utilizzare la soluzione più soddisfacente al presentarsi del problema. La costituzione dei pacchetti comportamentali, la standardizzazione, permette di risparmiare energie e tempo nella risoluzione dei problemi. Autorità e potere Il potere comprende qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale la propria volontà a prescindere da dove derivi questa possibilità; l’autorità è la possibilità di trovare obbedienza da parte di un gruppo di uomini per specifici comandi. La differenza tra potere e autorità sta nella legittimazione, il riconoscimento del diritto di comandare e del dovere di obbedire. I tre tipi di potere legittimo individuati da Weber sono: 1. Il potere tradizionale: il capo trova la sua legittimazione in virtù della sua storia, indipendentemente dalle sue capacità di comando. I suoi sottoposti obbediscono per la dignità personale attribuita ad esso dalla tradizione (servitori legati da vincoli di fedeltà). 2. Il potere carismatico: la legittimazione poggia sulle caratteristiche eccezionali del capo, le quali gli permettono di influenzare i componenti dell’organizzazione (uomini di fiducia). Il potere carismatico non è eterno, il capo può perderlo se non consegue i successi che lo hanno reso speciale. 3. Potere legale-razionale: la legittimazione deriva da un sistema di norme che stabiliscono diritti e doveri, anche chi esercita il potere soggiace Selznick percepisce l’organizzazione come lo strumento indispensabile per raggiungere un obiettivo ma anche in grado di deformare l’obiettivo stesso. Le motivazioni alla base della sua critica riguardano la traslazione degli obiettivi, l’aumento della specializzazione e la delega di autorità. La delega dell’autorità favorisce la specializzazione ma porta le unità organizzative e le persone a porsi obiettivi diversi condizionando le decisioni e facendo diventare la burocrazia lo strumento di autoconservazione del proprio territorio specialistico. Critica di Crozier Crozier dedica particolare attenzione ai rapporti di potere all’interno dell’organizzazione. Secondo il modello burocratico, non esistono poteri diversi da quello della legalità organizzativa in quanto una soluzione organizzativa razionale e formalizzata comporta che il comportamento di ogni membro sia prevedibile; nella realtà il potere non può essere eliminato né ignorato. Nel modello burocratico l’acquisizione del potere passa per quegli spazi organizzativi non normati e codificati consentendo al burocrate un certo livello di discrezionalità. Organizzazione meccanica e organica (Burns e Stalker) Il modello meccanico è caratterizzato da un organigramma articolato e vincolante, da una comunicazione top-down, da un’elevata concentrazione del potere, da coordinamento e controllo di tipo gerarchico e dalla presenza di regole e ruoli da rispettare. Il modello organico è caratterizzato dall’adattabilità e dalla variabilità dei compiti individuali, dalla delega di responsabilità, dalle comunicazioni orizzontali e dall’impegno collettivo. Il modello meccanico si adatta a situazioni con condizioni stabili dove tutti come un fast food, il modello organico invece è adatto a condizioni più dinamiche e in trasformazione come un ristorante a conduzione familiare. I 5 modelli di Mintzberg La struttura semplice Azienda imprenditoriale dove proprietà e direzione coincidono, il coordinamento avviene tramite l’autorità o supervisione diretta, il potere è fortemente accentrato. La struttura è efficace in un ambiente semplice e dinamico, comprendibile e maneggiabile da una sola o poche persone. La soluzione divisionale Insieme di divisioni quasi autonome responsabili di un risultato e coordinate da una direzione centrale. Il potere di esecuzione delle strategie è delegato ai manager divisionali sulla base degli obiettivi concordati e il coordinamento avviene mediante il controllo delle performance. La divisione del lavoro è rigida e le comunicazioni sono formali e limitate a standard e risultati. Burocrazia meccanica Molto simile alla burocrazia di Weber, presenta compiti semplici e di routine, regolati da procedure standardizzate. I progettisti sono detti tecnostruttura e posseggono un elevato potere formale; i controllori (capi della linea intermedia) gestiscono i problemi di coordinamento fra i lavoratori, collegano i lavoratori alla tecnostruttura e favoriscono la trasmissione degli standard e dei feedback. Il potere è accentrato al vertice strategico il quale ha il compito di migliorare le prestazioni, individuare i problemi e imponendo l’innovazione organizzativa nella struttura. La burocrazia meccanica si riscontra in aziende mature e di grandi dimensioni, operanti in ambienti prevedibili. Burocrazia professionale Si fonda sulla standardizzazione delle competenze e sui parametri di progettazione organizzativa. Le competenze standardizzate portano ai comportamenti desiderati e a elevate performance dell’organizzazione. Il potere è decentrato, nelle mani dei diversi professionisti che lo possiedono in virtù delle proprie competenze e sono in grado di operare in maniera relativamente indipendente. L’esempio tipico di burocrazia professionale sono le aziende di servizi alle persone, tali organizzazioni evolvono n modo continuo. Adhocrazia È un’organizzazione molto organica e con poca formalizzazione del comportamento; presenta un’elevata specializzazione orizzontale fondata sulla differenziazione delle competenze. Utilizza e dà potere agli esperti e li riunisce in gruppi multidisciplinari per progetti di innovazione. i manager del vertice strategico si occupano soprattutto di gestire le eccezioni e le varianze, i conflitti e di controllare i progetti. L’adhocrazia è adatta ad ambienti dinamici e complessi. Teorie classiche Organizzazione Scientifica del lavoro (Taylor) Frederick Winston Taylor nasce a Philadelphia da una ricca famiglia dalla quale però cerca di distaccarsi, diventa ingegnere e sperimenta in prima persona la vita da operaio comprendendo la natura e la complessità dei problemi del lavoro. Taylor osserva che le aziende sono disorganizzate e il lavoro delle persone è utilizzato male e capisce che la strada da seguire per un continuo miglioramento di un’impresa è quella di innovazioni tecnologiche e organizzative progettate, scientifiche e pianificate. Taylor pone come obiettivo quello di applicare un metodo scientifico ai tempi e ai metodi di lavoro. Taylor distoglie l’attenzione dalla divisione del surplus e la concentra sull’incremento di questo (produttività) affinché sia così grande da non dover suscitare litigi su come debba essere diviso (rivoluzione mentale). Taylor rivoluziona il modo di pensare all’organizzazione, al lavoro e ai rapporti tra i diversi livelli gerarchici. I sindacati si posero in forte contrasto con le idee di Taylor poiché un aumento della produttività avrebbe portato ad una riduzione dei posti di lavoro; secondo Taylor l’aumento della produttività avrebbe portato ad una riduzione dei costi unitari, ad un aumento della retribuzione, ad un conseguente aumento della domanda e dell’occupazione. Principi della direzione scientifica del lavoro Per aumentare la produttività, fattore fondamentale per aumentare il benessere della collettività, è necessaria la trasformazione dell’attività dell’organizzazione in scienza. In virtù di ciò, Taylor introduce 4 principi generali: 1. Sviluppo della scienza: sviluppare una conoscenza organizzativa che sostituisca la conoscenza approssimativa degli operai, combinando conoscenze esistenti e non necessariamente tramite invenzioni. Lo sviluppo deve avvenire attraverso la parcellizzazione, la scomposizione del processo; l’eliminazione delle attività inutili e ricomponendo il processo in maniera più snella. Taylor fa un lavoro di business process L’organizzazione è l’attività attraverso la quale l’impresa si assicura che il personale possa efficacemente svolgere le sei funzioni fondamentali, è la fase di costituzione e formazione dell’organismo sociale. Comando Il comando è l’attività strumentale al corretto funzionamento dell’organismo sociale. Per utilizzare al meglio le persone che lavorano sotto la sua responsabilità, un capo dovrebbe: 1. Avere una conoscenza approfondita del proprio personale; 2. Eliminare gli incapaci; 3. Conoscere a fondo le disposizioni che legano l’impresa e il personale e farle rispettare; 4. Dare il buon esempio; 5. Rivedere periodicamente la struttura gerarchica ricorrendo agli organigrammi, strumento fondamentale per il controllo dell’organizzazione 6. Far partecipare i principali collaboratori a riunioni per assicurare l’unità di direzione e la convergenza di tutti gli sforzi 7. Non lasciarsi assorbire dai dettagli delegando ciò che non è obbligato a fare 8. Cercare di sviluppare l’attività e lo spirito di sacrificio nel personale Coordinamento Il coordinamento è l’attività di armonizzazione di tutte le azioni dell’impresa per facilitare il buon funzionamento e il successo di questa. L’attività di coordinamento deve tenere conto di tutti i vincoli e delle conseguenze che ogni azione provoca nelle altre funzioni di impresa. Un elemento rappresentativo di un’azienda efficacemente coordinata è il grado di informazione che ciascuna delle parti ha dell’opera in comune o sull’aiuto che devono darsi reciprocamente. Controllo L’attività di controllo consiste nel verificare che tutte le funzioni siano svolte secondo il programma adottato. L’attività di controllo deve essere svolta in tempo utile, seguita da sanzioni e da soggetti competenti e imparziali. Principi di direzione Fayol presenta 14 principi che più spesso ha applicato nella sua esperienza personale senza l’idea che questi vengano presi alla lettera in quanto non vi è nulla di assoluto né rigido in maniera direttiva. I 14 principi sono: 1. La divisione del lavoro, 2. L'autorità del leader 3. La disciplina 4. L'unità di comando 5. L'unità di direzione 6. La subordinazione dell’interesse individuale all'interesse generale 7. La giusta remunerazione dello sforzo 8. Il grado di centralizzazione o decentralizzazione 9. La catena gerarchica 10. L'ordine, materiale e sociale 11. L'equità nel modo di trattare i dipendenti 12. La stabilità del personale 13. L'iniziativa 14. Il senso dello spirito aziendale Evoluzione della teoria della direzione amministrativa È possibile osservare, tra gli autori che hanno contribuito allo sviluppo della teoria della direzione amministrativa, cinque principi che regolano la progettazione di un’organizzazione in comune: 1. Il principio della ripartizione del lavoro: le attività devono essere raggruppate in modo da unire attività omogenee tra loro e collegate all’interno della stessa unità organizzativa 2. Il principio dell’unità di comando: ogni partecipante deve ricevere ordine da un solo superiore 3. Il principio scalare: tutti i partecipanti sono legati ad una sola struttura gerarchica piramidale 4. L’ampiezza del controllo: ogni superiore non può avere più subordinati di quanti non ne riesca a controllare efficacemente 5. La distinzione tra line e staff: le funzioni di linea riguardano attività connesse al raggiungimento dei fini organizzativi; le funzioni di staff si occupano di attività di consulenza, ausiliarie e di servizi. Elton Mayo Elton Mayo è stato un filosofo coinvolto anche nella discussione sul Taylorismo, la quale si concentrava da un lato sulla produttività dall’altro sul lato umano del taylorismo. Mayo fu coinvolto negli esperimenti di Hawthorne, finalizzati ad aumentare la produttività e divisi in 5 fasi. La prima fase analizza la relazione tra illuminazione e produttività, dai risultati si evince una correlazione positiva meno che proporzionale. Mayo dimostrò che l’aumento di produttività avveniva anche riducendo l’illuminazione e iniziò a mettere in dubbio il taylorismo. La produttività delle lavoratrici in realtà dipendeva dal fatto che queste lavoravano in un piccolo gruppo (nascita di relazioni e aumento della motivazione), dalla novità della situazione, dall’attenzione ricevuta (sensazione di importanza e nascita della motivazione di stima), dallo stile di supervisione (il capo era interessato a loro) e dai guadagni. L’insieme di questi fattori descrive il cosiddetto effetto Hawthorne, ossia un miglioramento della produttività del lavoratore dovuto ad un’innovazione o dalla sensazione di essere oggetto di attenzioni che abbiano modificato le condizioni di lavoro. Mayo costruisce la sua one best way fondandola sui fattori psico-sociali (le relazioni, la sensazione d’importanza e lo stile di supervisione) evidenziando il ruolo marginale della retribuzione ritenuto fondamentale da Taylor. Le altre fasi degli esperimenti riguardavano la verifica di variazioni della produttività a fronte di nuovi incentivi; la valutazione delle condizioni al di fuori dell’azienda di lavoratrici meno produttive; delle interviste, la raccolta dei dati delle interviste e l’osservazione delle dinamiche relazionali all’interno del gruppo degli intervistati. Roethlisberger e Dickson Secondo Roethlisberger e Dickson i comportamenti degli impiegati sono controllati e regolati da un sistema emozionale che organizza dal punto di vista sociale tutti i componenti dell’azienda. Ogni evento che o particolarità dell’ambiente lavorativo diventa oggetto del sistema e per comprendere il comportamento di un individuo occorre considerare il suo posizionamento sociale, l’organizzazione sociale di riferimento e il suo rapporto al lavoro, determinato sia da fattori esogeni (famiglia e provenienza sociale) sia dal suo carattere. Per comprendere il Seiler è stato un architetto austriaco e ha proposto il sistema socio-tecnico. Le organizzazioni sono sistemi aperti, hanno forti interdipendenze sia al loro interno che con l’ambiente in cui sono inserite e devono considerare sia l’aspetto sociale che l’aspetto tecnico per essere delle buoni organizzazioni. Le aziende vivono in un ambiente operativo (costituito dal settore in cui sono inserite, il mercato in cui operano, la ricerca tecnologica, la cultura e la sociologia) tale ambiente ha rilevanza nel sistema organizzativo dell’impresa, l’ambiente influenza l’impresa e l’azienda in base alla sua rilevanza ha un’influenza sull’ambiente. Il sistema organizzativo è costituito da 5 parti: 1. Variabili strategiche: assetto proprietario (soggetto economico) e scelte strategiche 2. Variabili tecnologiche: tecnologie meccaniche ma anche di tipo manageriali 3. Variabili individuali: competenze, attitudini, valori (persone) 4. Variabili sociali: comunicazione, cultura, valori collettivi (persone in relazione) 5. Organizzazione: la funzione dell’organizzazione è quella di connettere l’aspetto tecnico dell’impresa con l’aspetto psico-sociale. L’organizzazione dovrà quindi essere funzione di tutte le altre variabili, avendo una sua natura unica. Emery e Trist Emery e Trist ritengono che l’organizzazione sia un sistema aperto, in continua interazione con l’ambiente esterno e composto da sottosistemi in interazione tra di loro. I due analizzano la forte connessione tra il sottosistema tecnologico e quello sociale in particolare nel caso delle miniere inglesi dove l’introduzione di una tecnologia produttiva più efficiente di quella utilizzata ha avuto impatti su una sistema sociale stabile. Organizzazione meccanica e organica (Burns e Stalker) Burns e Stalker spiegano come la variabile indipendente, che la Woodward identificava nella tecnologia, in funzione della quale vanno attuate le scelte organizzative è l’ambiente organizzativo. Burns e Stalker individuano due tipologie di ambienti, statico e dinamico, a cui corrispondono due modelli organizzativi, meccanico e organico. La tipologia dell’ambiente è comprensibile analizzando le variazioni che subisce l’impresa in un certo arco temporale, se le differenze sono rilevanti allora l’ambiente è volatile. Il modello meccanico è caratterizzato da un organigramma articolato e vincolante, da una comunicazione top-down, da un’elevata concentrazione del potere, da coordinamento e controllo di tipo gerarchico, dalla presenza di regole e ruoli da rispettare (elevata standardizzazione), da valutazione basata sulla rapidità e sulla conformità. Il modello organico è caratterizzato dall’adattabilità e dalla variabilità dei compiti individuali, dalla delega di responsabilità, dalle comunicazioni orizzontali, dall’impegno collettivo e da una valutazione basata sui risultati prodotti. In un modello organico farà carriera chi avrà elevate competenze e potenzialità; in quello meccanico chi ha un’alta conoscenza delle procedure, quindi il più anziano all’interno dell’organizzazione. Burns e Stalker intendono i due sistemi come i due estremi di un insieme di forme strutturali intermedie, comprendendo la possibilità che un’azienda che opera in un ambiente ibrido può adottare parte di un sistema e parte dell’altro, è molto raro trovare un’azienda integralmente meccanica o organica. L’importante è non attuare un modello organico in un ambiente statico, per evitare l’inefficienza dell’azienda, ma ancora più importante non impostare un modello meccanico in un ambiente dinamico poiché il fallimento dell’azienda. Galbraith Secondo Galbraith è la strategia l’elemento determinante per l’organizzazione. Modello evoluto Considerando corretti i modelli della Woodward; di Burns e Stalker e di Galbraith otteniamo uno schema in cui ambiente, strategia e tecnologia sono le variabili indipendenti che determinano l’organizzazione e le altre variabili indipendenti ossia le persone e tutti gli aspetti sociali. Una volta ottenuta l’organizzazione la scelta delle persone da impiegare al suo interno e le variabili sociali. Analisi comparative Tecnologia e materiale grezzo La tecnologia è l’insieme di azioni che un individuo compiete su del materiale grezzo con o senza l’aiuto di strumenti al fine di apportare delle modifiche. È possibile studiare la tecnologia all’interno di un’organizzazione osservandone due componenti: il numero di casi eccezionali incontrati nel lavoro e la natura del processo d’indagine. Il processo d’indagine può essere logico, analitico e sistematico o, se il problema non lo consente, basato sulle esperienze o congetture. Guardando ai due parametri è possibile ottenere 4 situazioni aziendali ai cui opposti ci sono: la situazione di routine (poche eccezioni e problemi analizzabili) e la situazione non di routine (molte eccezioni e problemi non analizzabili). Il tipo di tecnologia da applicare è determinato poi dalla conoscenza che si ha del materiale grezzo: capire la natura del materiale, il suo grado di variabilità o stabilità consente di controllarlo meglio e di realizzare maggiore prevedibilità ed efficienza nella trasformazione. Struttura dei compiti La struttura dei compiti può essere concepita in due dimensioni: il controllo e il coordinamento. Il controllo è funzione della discrezionalità dell’individuo di eseguire i compiti assegnati e del potere dell’individuo di mobilitare scarse e controllare le definizioni delle situazioni che devono essere affrontate. Il coordinamento può essere eseguito attraverso la programmazione o tramite feedback. Considerando controllo e coordinamento è possibile distinguere 4 tipologie di strutture dei compiti: 1. Struttura decentrata 2. Struttura flessibile policentrica 3. Struttura formale e accentrata 4. Struttura flessibile accentrata Struttura sociale La struttura sociale è l’insieme delle interazioni personali non collegate ai compiti ma pertinenti all’organizzazione. La struttura sociale può svilupparsi per: 3. Orientamento al tempo: più la funzione è complessa più tempo i manager devono dedicare alle problematiche strategiche di lungo periodo. 4. Stili di direzione: lo stile di direzione può essere orientato ai compiti (complessità bassa, concentrazione su modalità efficienti di svolgimento dei compiti assegnati); orientato alle persone (complessità medio-alta, motivazione individuale e clima sociale; orientato alle persone e ai risultati (complessità altissima, rispetto dei tempi e dei costi previsti dall’azienda, obiettivi aziendali nel loro complesso). 5. Orientamento agli obiettivi: i manager delle funzioni critiche devono avere obiettivi concentrati facendo prevalere la propria funzione; i manager delle altre funzioni devono avere obiettivi diffusi rispetto alla funzioni più critiche rispetto alle proprie. Fabbisogno di integrazione Dopo aver deciso come differenziare gli assetti organizzativi bisogna capire quali funzioni debbano essere prioritariamente coordinate con altre. Le relazioni prioritarie sono quelle che legano la funzione con la massima criticità a tutte le altre. Il fabbisogno di integrazione tra due o più organi è frutto del fabbisogno di differenziazione degli assetti organizzativi di questi, della loro interdipendenza e del dinamismo globale del contesto nel quale questi operano. Gli strumenti di integrazione 1. Regole generali di comportamento e procedure operative: 2. Sistemi di programmazione: definiscono i contenuti e i tempi delle attività che le unità organizzative devono svolgere 3. Supervisione gerarchica: 4. Contatti diretti: contatti che prescindono dal passaggio attraverso la gerarchia 5. Riunioni ad hoc: riunioni delle unità interessate per risolvere problemi di coordinamento 6. Comitati: istituzione di riunioni ad hoc ricorrenti 7. Task force: gruppi di lavoro costituiti da componenti di diverse unità organizzative per la risoluzione problemi comuni 8. Perni di collegamento: soggetti che collegano due funzioni per problemi di coordinamento operativo ricorrenti 9. Ruoli manageriali addizionali di integrazione: 10. Organi semplici di integrazione: organi composti da una sola posizione, costituiti per svolgere funzioni di integrazione (product e project manager). 11. Organi composti di integrazione: organi articolati a finalità di integrazione 12. Socializzazione: la presenza di stima personale e professionale facilità i processi di coordinamento. La socializzazione può essere promossa ad esempio con lavori in gruppo, ha effetti duraturi e positivi ma tempi di attuazione lunghi. All’aumentare del fabbisogno di integrazione si rendono necessari strumenti più potenti quali comitati, task force e organi di integrazione, a prescindere dalle problematiche di differenziazione e integrazione è auspicabile in ogni azienda un buon livello di socializzazione. Efficacia dell’integrazione Oltre a concentrarsi sulle funzioni più critiche e all’adozione di strumenti di integrazione coerenti con il fabbisogno di integrazione, per garantire l’efficacia dell’integrazione gli organi integratori devono: 1. Avere orientamenti intermedi rispetto a quelli degli organi da integrare 2. Essere valutati sulla base di obiettivi complessivi 3. Possedere alta autorità fondata sulla competenza riconosciuta 4. Collegarsi agli organi da integrare nei punti in cui sono disponibili informazioni rilevanti per l’integrazione 5. Avere influenza alta ed equilibrata 6. I conflitti vanno risolti col confronto Applicazione Il modello differenziazione-integrazione si applica a tutte quelle aziende che adottano strutture organizzative di tipo funzionale; quindi, non rappresenta un modello di progettazione: tuttavia da esso è possibile derivare importanti scelte di struttura, pur sempre nell’ambito funzionale. Nello specifico il modello interviene nel risolvere problemi legati a unità organizzative che richiedono contemporaneamente un certo grado di differenziazione ed integrazione, in presenza di:  Alta differenziazione e integrazione: o si uniscono gerarchicamente le due funzioni mettendo in atto provvedimenti a favore della differenziazione, oppure si separano gerarchicamente adottando opportuni strumenti integrativi;  Bassa differenziazione e integrazione: la scelta di unire o separare è indifferente. Chandler Chandler ricostruisce l’evoluzione delle aziende del Nord America e divide il periodo storico oggetto della sua ricerca in 3 fasi a ciascuna delle quali corrisponde una struttura organizzativa teorica: 1. Fino al 1850 le imprese erano di piccole dimensioni e a carattere familiare, il volume di produzione poteva espandersi solo in un ramo o in un’area limitata. L’assetto organizzativo ideale è quello della struttura elementare. 2. Dal 1850 al 1900 i trasporti e le comunicazioni si velocizzano consentendo di allargare l’area di azione e la strategia ha puntato sull’integrazione verticale. La struttura ideale è quella di tipo funzionale. 3. Dopo il 1900 le imprese riescono ad ingrandirsi e a diversificare sia i prodotti che i mercati geografici grazie all’ulteriore sviluppo dell’economia. La struttura più adatta è quella multidivisionale, la quale consente di scomporre le funzioni creando unità relativamente indipendenti, le divisioni. Scott Similmente a Chandler, Scott articola il suo modello in tre stadi in cui correla una serie di variabili strategiche a dimensioni dell’assetto organizzativo: 1. Lo stadio 1 è caratterizzato da una strategia incentrata su un solo prodotto, un mercato geografico limitato, un processo produttivo semplice e ricerca occasionale. La strategia riguarda le piccole e medie imprese nelle quali gli obiettivi coincidono con i bisogni e i delle unità funzionali. I tipi di struttura per product management sono due: il primo si ha quando le disomogeneità tra prodotti sono presenti in tutte o quasi tutte le funzioni aziendali e il fabbisogno di coordinamento riguarda tutte le attività aziendali; il secondo si presenta quando tale disomogeneità si concentra in un’unica funzione, tipicamente quella di marketing, e i ritmi di cambiamento elevati richiedono tempi di azione ristretti. In entrambi i casi è presente la figura del product manager. I product manager hanno la responsabilità del conto economico del loro prodotto ma, lavorando in maniera orizzontale sul loro prodotto, non hanno l’autorità formale che una posizione manageriale ha di solito. Nel primo tipo i PM hanno responsabilità molto ampie e poteri formali molto limitati, non avendo autorità gerarchica devono basare il proprio potere sulla competenza professionale, sulle attitudini personali, sulla relazione con la direzione generale, la disponibilità di risorse economiche e di informazioni e la presenza di sistemi di valutazione collettivi. Se i PM sono scelti correttamente l’azienda gode dei benefici della struttura funzionale quali economie di scala e specializzazione ma riesce ad essere focalizzata sui vari prodotti grazie alla struttura divisionale dei PM. Nel secondo tipo i PM ha meno responsabilità ma anche meno potere formale, dipendono dalla direzione marketing o più raramente dal quella commerciale e operano per garantire il coordinamento tra specialisti del mercato. Struttura funzionale modificata per progetto La struttura funzionale modificata per progetto consente di svolgere le attività ordinarie (business as usual), di produrre innovazione attraverso la realizzazione di un progetto. Il progetto è un’iniziativa non ripetitiva, nasce per produrre innovazione, coinvolge più specialisti di unità diverse, con competenze diverse e si deve completare entro un determinato tempo. La struttura presenta uno o più organi responsabili di progetto, questo. Il progetto può essere gestito: 1. Da un organo semplice che non possiede autorità gerarchica, il project manager o project leader: 2. Da un organo complesso parziale, ossia affidato ad un’unità in parte autosufficiente con un project manager avente autorità gerarchica sui membri della project unit; 3. Da un organo complesso completo, la project unit racchiude tutte le competenze e le risorse necessaria per la realizzazione del progetto. Il capo progetto necessita di persone in modo temporaneo da richiedere ai direttori di funzione o ai capi delle linee gerarchiche permanenti; la prima difficoltà di questa forma di organizzazione è la fase di negoziazione tra i due soggetti. Un’ulteriore difficoltà risiede nella duplice dipendenza non contemporanea delle persone partecipanti al progetto, le quali, seppur completamente dipendenti dal project leader per la durata del progetto, potrebbero risentire dell’influenza e delle pressioni dai capi permanenti delle unità funzionali. L’ultima debolezza riguarda la possibilità che le persone partecipanti al progetto, alla fine di questo, trovino un sostituto nella posizione che occupavano in precedenza. Struttura a matrice È l’unica forma organizzativa che prevede una doppia dipendenza gerarchica contemporanea, andando in contro al principio di unità di comando. Nasce con la NASA per le missioni lunari, si diffonde nelle aziende degli anni ’80 ed è presente tutt’oggi nella maggioranza delle aziende multinazionali. La matrice originaria nacque per via di un budget limitato, poco tempo e poca disponibilità di persone qualificato. La matrice si articola su due linee organizzative (dimensione strategiche): una relativa ai prodotti/progetti e l’altra funzionale. I capi della linea di prodotti/progetti si occupano della redditività del prodotto o della realizzazione del progetto; i capi della linea funzionale si occupano di sviluppare e allocare le risorse specialistiche. La linea funzionale può riguardare le aree geografiche, tipicamente nelle aziende multinazionali, o le competenze tecniche, tipicamente nelle società di consulenza. In passato esisteva come figura di collegamento tra i capi delle due dimensioni, il two-boss manager, il quale fungeva da collegamento tra i responsabili delle due strutture e i lavoratori dipendenti da entrambe. Per via della doppia o plurima dipendenza, la struttura a matrice si presenta un’elevata percentuale di conflitti e per farne parte sono necessari dei tratti relazionali rilevanti, per poter risolvere i conflitti e sostenere le pressioni. La matrice si rende necessaria in presenza di più dimensioni strategiche rilevanti e di risorse limitate, evitando di sostenere i costi di una struttura divisionale. Azione organizzativa L’obiettivo di Thompson è sviluppare lo studio dell’organizzazione non come sistema reificato, ma come processo di azioni, orientato secondo razionalità intenzionale e limitata che affronta l’incertezza ambientale. Le organizzazioni per Thompson sono sistemi “indeterminati e che fronteggiano l’incertezza”, ma allo stesso tempo “soggette al criterio della razionalità e perciò richiedenti determinatezza e certezza”. Certezza e incertezza caratterizzano i processi decisionali lungo due variabili fondamentali: 1. le preferenze relative ai risultati attesi del processo organizzativo; 2. le credenze relative alle conoscenze strumentali. Nell’azione organizzativa il percorso della teoria thompsoniana attraversa, i concetti di: campo d’azione, strumentalità tecnica, variabilità strutturale, valutazione dell’azione organizzativa e controllo delle organizzazioni. Ogni organizzazione definisce nella costruzione stessa del processo organizzativo, il proprio campo d’azione, che riguarda l’approvvigionamento di risorse, l’oggetto prodotto, la clientela servita e i servizi resi. In tal modo l’organizzazione stabilisce i punti in cui entra in relazione reciproca con l’ambiente. Per Thompson l’ambiente è il risultato di processi di scelta e soggetto a continue ridefinizioni nel tempo. Il campo di azione diventa operativo solo se l’organizzazione trova nell’ambiente una legittimazione al perseguimento dei propri obiettivi, per via della reciprocità che caratterizza l’azione organizzativa. In base al campo d’azione scelto l’organizzazione può affrontare due tipi di ostacoli: gli ostacoli relativamente stabili nel tempo (vincoli) e gli ostacoli caratterizzati da notevole variabilità (contingenze). Per circoscrivere l’analisi Thompson suggerisce di adottare il concetto di task environment costituito da: clienti, fornitori, concorrenti e gruppi di regolamentazione; così come il campo di azione, poi, anche il task environment cambia da organizzazione a organizzazione. Un organizzazione ha un potere su un elemento del proprio task environment Airoldi presentando gli strumenti di gestione della complessità informativa individua 4 livelli di questa: 1. Complessità nulla: attività di routine, esecutive, ripetibili e stabili 2. Complessità bassa: attività di routine ma situazioni problematiche che necessitano di interventi decisionali adattivi e non innovativi 3. Complessità media/medio-alta: situazioni problematiche frequenti e di varia criticità 4. Complessità alta/altissima: variabili determinanti la complessità tutte a gradi elevati Gestione della complessità organizzativa Galbraith fornisce un elenco di strumenti di potenza e costo crescente da utilizzare nella gestione della complessità, distinguendo tra modalità semplici e modalità complesse per un totale di 9 modalità di gestione. Modalità semplici 1. Regole, programmi e procedure: sono applicabili in organizzazioni di complessità bassa o nulla dove la poca disomogeneità e variabilità consentono di definire in anticipo la modalità migliore di esecuzione conseguendo gli obiettivi di efficacia ed efficienza 2. Gerarchia: in presenza di attività non prevedibili sarà necessaria la presenza di capi che acquisiranno le informazioni ed elaboreranno la soluzione dei problemi che l’organizzazione dovrà affrontare. La gerarchia assume un ruolo complementare rispetto a quello della standardizzazione, la quale rimane necessaria per le attività di routine. La gerarchia può incontrare degli ostacoli se i problemi interessano più parti dell’organizzazione allo stesso livello gerarchico e se le decisioni di competenza dei capi aumentano per l’elevata disomogeneità e variabilità degli elementi da governare. 3. Delega su obiettivi: per superare i problemi della gerarchia, in presenza di una complessità più elevata, può essere delegata agli altri membri dell’organizzazione la gestione delle eccezioni minori (scelte operative), lasciando ai capi le eccezioni più importanti, il compito della standardizzazione e del controllo dei meccanismi di delega (scelte strategiche e direzionali). Modalità complesse Per le situazioni a complessità alta o altissima Galbraith individua due gruppi di strategie: uno volto ad aumentare la capacità di elaborazione delle informazioni, l’altro volto a ridurre il fabbisogno di informazioni. Incremento della potenza elaborativa 1. Sistemi informativi verticali: sistemi volti a migliorare la capacità decisionale delle singole aree della struttura organizzativa. L’efficacia di tali sistemi è subordinata alla selettività (informazioni precise in modo da evitare il sovraccarico informativo), all’adattabilità (prontezza rispetto ad eventuali fabbisogni specifici), alla coerenza tra ciò che viene generato dal sistema e ciò che viene richiesto da chi prende le decisioni e all’accettabilità del sistema informativo da chi lo utilizza. 2. Relazioni laterali: sistemi di integrazione tra le diverse linee gerarchiche. Gli strumenti principali sono i contatti diretti tra manager; la progettazione degli spazi in funzione del fabbisogno di coordinamento (layout); task force e gruppi di lavoro; i comitati; i perni di collegamento e ruoli manageriali di integrazione (risolvono problemi di coordinamento semplici e frequenti); organi di integrazione (product, process e project manager), funzioni di integrazione e struttura a matrice. 3. Relazioni sociali: un’elevata socializzazione spinge le persone al dialogo, alla cooperazione e permette di svolgere i processi decisionali più facilmente. La socializzazione può essere incrementata attraverso una selezione e inserimento di personale con spiccate capacità relazionali, attraverso un sistema di formazione improntato sul rafforzamento di tali capacità e su un sistema di carriera che agevoli le interazioni tra manager. La socializzazione ha effetti molto positivi ma richiede tempi di attuazione molto lunghi. Riduzione della complessità 1. Unità autosufficienti: il passaggio da un assetto funzionale ad uno divisionale consente una migliore elaborazione e distribuzione delle informazioni in presenza di un ambiente instabile e disomogeneo, l’utilizzo di tecniche complesse e un’elevata numerosità e articolazione del personale. In particolare il passaggio da una specializzazione di tipo economico tecnico ad uno per output permette di eliminare alcune interdipendenze tra le unità organizzative e abbassando il fabbisogno di coordinamento e integrazione. 2. Risorse in eccesso: l’impresa se ne è in grado può abbassare la qualità o quantità della performance dotandosi di risorse con costo non critico in misura maggiore rispetto al reale fabbisogno o ridurre l’output prodotto a parità di risorse, ciò al fine di ridurre gli elementi da governare. Queste soluzioni comportano dei costi addizionali o la perdita di competitività e vanno quindi confrontate con la possibilità di creare unità autosufficienti prima di essere intraprese. 3. Gestione dell’ambiente: se la fonte della complessità aziendale è dovuta alle troppe pressioni esterne, l’azienda può creare esternalità negative scaricando sull’ambiente le problematiche che l’impresa non riesce a gestire; effettuare azioni di comunicazione esterna e di pubblicità in grado di far percepire all’ambiente i risultati prodotti come migliori oppure intraprendere delle strategie di cooperazione con i concorrenti in modo da prevederne meglio i comportamenti o ridurne la pressione competitiva.
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