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Psicologia dei Gruppi: Tipi, Ruoli e Dinamiche, Appunti di Psicologia dei Gruppi

psicologia socialeSociologiaTeoria delle organizzazioniPsicologia del Gruppo

Una panoramica della psicologia dei gruppi, dalla teoria di Freud alle ricerche di Lewin e Sherif. Vengono descritti i vari tipi di gruppi, dai non organizzati ai meno intenzionalmente progettati, e i ruoli che si possono ritrovare all'interno di essi. Inoltre, vengono trattate le norme e le modalità decisionali ancorate a tempi, competenze e importanza della questione.

Cosa imparerai

  • Che tipo di gruppo studia Freud nella sua teoria della psicologia dei gruppi?
  • Quali sono le norme istituzionali e volontarie in un gruppo?
  • Che significato ha Lewin nel concetto di gruppo psicologico?
  • Che tipi di ruoli si possono ritrovare in un gruppo?
  • Come influiscono le modalità decisionali sulle relazioni in un gruppo?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 28/11/2022

Noemiguarnaccia
Noemiguarnaccia 🇮🇹

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Scarica Psicologia dei Gruppi: Tipi, Ruoli e Dinamiche e più Appunti in PDF di Psicologia dei Gruppi solo su Docsity! Psicologia dei gruppi I gruppi sono stati studiati da varie prospettive psicologie come quella dinamica, da parte di Freud, in cui si studiava il gruppo per le dimensioni legate all’inconscio. Una delle critiche fatte a Freud fu quella di aver applicato gli studi di psicologia individuali al gruppo. Gli autori successivi che hanno seguito questo filone si sono focalizzati su quello che non si può osservare, sulla dimensione inconscia. La psicologia sociale invece studia il gruppo dal punto di vista di quello che possiamo osservare nei gruppi.   Quando si parla di gruppi nella psicologia sociale si intende comprendere le azioni del singolo all’interno del gruppo, dato che tiene conto di due discipline legate: psicologia, come psicologia dell’individuo e la sociologa che studia il contesto. La psicologia sociale è quindi un punto d’incontro tra queste due aree. Va a studiare l’intersezione tra la soggettività individuale e la soggettività collettiva, va a studiare l’intersezione tra il mondo psichico e il mondo sociale.   In psicologia sociale si studiano i gruppi negli anni 30 a causa di due condizioni particolari: 1. L’America affronta profonda crisi economica (legata al post - guerra di quel periodo storico) i 2. In Europa erano presenti regimi totalitari che hanno portato a condizioni di guerre importanti.   In quel clima storico-culturale alcuni studiosi in quel tempo, in particolare Mayo che ha considerato importate la dimensione gruppale sotto il punto di vista lavorativo, riteneva che questa dimensione fosse importante per quanto riguarda la soddisfazione lavorativa, è importante per migliorare il lavoro.   Lewin è un autore fondamentale per la psicologia gruppi: è il primo che ha osservato il gruppo e utilizzarlo come strumento per migliorare le condizioni relazionali e innescare un cambiamento sociale.   Ha condotto un importante esperimento: lui era ebreo ed è dovuto scappare in America a causa delle persecuzioni naziste. È dovuto intervenire in America (in un momento di recessione economica) per cercare di convincere la popolazione a mangiare le frattaglie, ovvero organi animali, quindi convincere la popolazione che quelle parti potevano essere utilizzare. Come prima cosa invita le casalinghe a delle conferenze dove ci sono degli esperti che raccontano che quelle parti possono essere mangiate e danno indicazioni su come cucinarli. Accanto a questa strategia organizza piccoli gruppi di discussione in cui le massaie si confrontano su come utilizzare e cucinare queste parti. Di conseguenze viene presa la decisione di provare a utilizzare veramente queste parti.   Cosa succede a distanza di qualche mese? Chi è che continua a usare le frattaglie? Quelli che hanno partecipato ai gruppi avevano preso la decisione di attivare un cambiamento sociale per quanto riguarda l’alimentazione, il gruppo quindi è uno strumento per un cambiamento sociale. Lewin era riuscito a dimostrare che le persone, attraverso il confronto sociale e interazione di gruppo avevano mantenuto la decisione di mantenere quel cambiamento sociale. Da qui Lewin fonda centri di ricerche che andava a sviluppare teorie sulle dinamiche di gruppo.   Secondo Lewin esiste nel gruppo l’equilibrio quasi stazionario e afferma che quando si parla di gruppi non si fa riferimento solo a una somma di individui, ma è qualcosa di più.   Nel gruppo ci sono cambiamenti, ma esso cerca di mantenere in equilibrio le diverse condizioni tra persone, si parla quindi di equilibrio quasi stazionario. I cambiamenti che avvengono nei gruppi sono minimali, ma producono un cambiamento più ampio.   Secondo Lewin il processo di cambiamento avviene attraverso: - Disgelamento = prevede la capacità del gruppo a essere pronto ad accettare il cambiamento e accettare il mutamento - Mutamento = - Consolidamento = mantenere nel tempo il cambiamento   Un aspetto, per quanto riguarda i gruppi, importante da considerare è il pregiudizio epistemologico. Pregiudizio è un giudizio precedente prima di conoscere una situazione o una persona. Secondo Tajfel facciamo riferimento a una situazione in cui ognuno di noi è visto come un individuo razionale preso singolarmente, quando l’uomo è in gruppo perde questa capacità razionale, si comporta in modo prerazionale, primitivo. Il modello razionale viene contrapposto al modello istintivo viscerale: si possono vedere nei comportamenti della folla dove le persone mettono in atto comportamenti regressivi e irrazionali, dove non c’è la razionalità del singolo.Questo è legato all’influenzamento maggioritario, nella folla vengo spinto ad agire in un certo modo perché sono influenzato dalla maggioranza. Le persone si comportano in modo passivo, non hanno riflettuto, sono influenzamenti superficiali, li attiviamo in modo passivo e acquiescenti.Quando ci troviamo davanti a comportamenti di gruppo maggioritari si va a perdere il senso di responsabilità.   Alcuni studi hanno messo in evidenza come la produttività in gruppo può diventare meno efficiente rispetto a un individuo singolo, ciò dipende dal tipo di compito e dalla sua complessità. Possiamo definire il gruppo come aggregato in base al tipo di relazione che si sviluppa tra le persone e al tipo di grandezza del gruppo. Noi faremo riferimento al piccolo gruppo psicologico: quando si parla di gruppi in psicologia si fa riferimento a gruppi di piccole dimensioni (15 persone massimo), altrimenti si parla di aggregato, questo perché in gruppi più numerosi avviene qualcosa di particolare: non c’è più confronto tra i partecipanti, si creano dei sottogruppi, non c’è più la dimensione effettiva di confronto sociale. Nei gruppi più piccoli è presenza l’intenzionalità nei ruoli e le strutture che devono essere realizzate.Quando si parla di gruppi si deve guardare la grandezza e la possibilità di interazione tra persone.    Bales introduce il concetto di obiettivo comune nel gruppo, questo perché ha studiato gruppi specifici, ovvero i gruppi di lavoro. Secondo lui la caratteristica base di un gruppo è l’interazione, dove c’è una relazione faccia a faccia tra gli individui. Quel gruppo esiste perché c’è un obiettivo comune da raggiungere. All’interno del gruppo, Bales afferma anche, che ci sono tensioni inevitabili che portavano a comportamenti socio emozionali positivi o negativi e da qui costruisce una griglia che va a individuare una serie di micro-interazioni nel gruppo che possono essere osservate e fanno capire che clima si sviluppa nel gruppo e che ruolo assumono le persone all’interno di esso.   I comportamenti positivi sono in alto, quelli negativi in basso e al centro ci sono quelli neutrali che sono orientati al compito e non alla relazione. I comportamenti positivi sono orientati al compito in maniera positiva, quelli negativi sono orientati al compito in modo negativo: - Positivo —> sostiene, incoraggia - Negativo —> difendersi - Neutri —> espone idee   Bales e Flatter attraverso questi studi hanno individuato due tipi di leadership: orientato al compito e quello socio emozionale. Quando parliamo di gruppi possiamo descriverli in modi diversi a seconda del punto di osservazione attraverso il quale decidiamo di guardare questi gruppi.   Possiamo parlare di gruppi : - Istituzionali = aumenta la strutturazione, ha un’organizzazione interna e c’è un’ufficialità degli obiettivi da raggiungere - Spontanei = nascono naturalmente, come un gruppo di amici.   Un altro modo di classificare i gruppi è legato alla finalità che il gruppo ha e al tipo di motivazione dei membri: - Gruppi di base = esiste una relazione tra persone, c’è un legame affettivo ed emotivo. - Gruppi di lavoro = cambia la finalità e la motivazione, hanno un obiettivo definito e la motivazione dei membri è legata allo stare insieme per soddisfare un compito. Altra caratteristica per osservare i gruppi è legata alle norme e all’obbligatorietà delle stesse - Gruppi formali = norme più definite e prescrittive, gruppi organizzati e strutturati da qualcuno. - Gruppi informali = le norme sono co-costruite dai partecipanti del gruppo e non c’è ufficialità di formalizzazione all’interno delle stesse.   Un’altra categorizzazione di gruppi è quando si parla di: - Gruppi primari = sono quelli all’interno dei quali ci muoviamo come la famiglia e gli amici, vanno a definire maggiormente la nostra identità sociale - Gruppi secondari = vanno a definire la nostra identità anche loro, ma il legame affettivo è meno presente.   Alcuni autori hanno visto come i gruppi si evolvono nel tempo e cambiano nei loro aspetti interni ed esterni. La classificazione di gruppi primari e secondari inizia a ad essere un po’ stretta, non veritiera.   Allora autori come Degrada hanno iniziato a parlare non più di gruppo primario e secondario, ma di primarietà e secondarietà nei gruppi: - La primarietà è quella condizione che ci lega alle atre persone dal punto di vista affettivo, dove c’è una vicinanza fisica. - La secondarietà va a contraddistinguere quelle condizioni dove lo stare insieme è legato al gruppo di lavoro e quindi il legame affettivo potrebbe non esserci.   In questa concezione di primarietà e secondarietà può essere più rilevante l’aspetto della primarietà e in un secondo momento quello della secondarietà; questo ci restituisce che un gruppo di lavoro che viene definito secondario può avere degli aspetti di primarietà, due persone del gruppo di lavoro iniziano a frequentarsi.   Altra tipologia di gruppi: - Gruppi di riferimento = noi abbiamo molti gruppi di riferimento attraverso i quali ci identifichiamo e costruiamo la nostra identità, tendiamo a far parte di quei gruppi dove avremo un riconoscimento sociale positivo per aumentare la nostra autostima.  Quando siamo all’interno delle condizioni di ricerca possiamo avere altre tipologie di gruppo e si dividono in: - Naturali = osservo dall’esterno un gruppo, ma esiste di natura, vado a osservare un nucleo di persone già costituito come una famiglia, osservo quello che succede nella quotidianità. - Inventati = creati per uno scopo di ricerca, gruppo che discute su una tematica o che simula una condizione lavorativa, si vanno a osservare i processi di influenzamento - Quasi gruppi = a metà tra i due gruppi prima, vado a osservare una famiglia da laboratorio, quindi fuori dal suo contesto.     Lewin definisce il gruppo come qualcosa di più o di diverso rispetto alla somma dei suoi membri, ovvero un insieme di persone che stanno insieme diventano qualcosa che è un’entità sopra i singoli membri; possiamo applicare questa definizione sia a piccoli sia a grandi gruppi. Lo stare insieme delle persone di un gruppo non è il fatto che le persone si somiglino tra loro, quando piuttosto il concetto di interdipendenza, non esiste una dipendenza dell’uno e dell’altro, quindi al cambiamento di un partecipante al gruppo questo innesca un cambiamento anche negli altri componenti del gruppo.    Lewin considera il gruppo come una totalità dinamica, quindi si deve guardare il gruppo nella sua complessità, ma è la totalità che cambia, quindi si introduce il concetto di micro- cambiamenti nel gruppo, questo va a portare piccoli cambiamenti per tutto il gruppo.    Il concetto di interdipendenza è legato a due fattori: - Interdipendenza del destino = facciamo riferimento al concetto di essere tutti nella stessa barca, bisogna collaborare per raggiungere obiettivo, c’è forte senso di coesione per un obiettivo comune, ciò è stato studiato e definito come sindrome di Stoccolma. - Interdipendenza del compito = legato al fatto che essendoci un legame tra le persone del gruppo, i risultati delle azioni di una persona va a implicare sui risultati degli altri, tipo squadra di calcio, le mie azioni devono essere connesse a quelle degli altri (positiva o collaborazione tra i componenti, negativa o competizione, questo può portare a un insuccesso).   Sherif ha introdotto il concetto di architettura nel gruppo, ci ricorda delle condizioni strutturali stabili. Sherif considera il gruppo come una struttura in cui i membri sono legati da rapporti di status e ruoli, che sono elementi stabili nel gruppo, in cui si delineano norme e valori comuni, all’interno dei quali si muovono le relazioni interne del gruppo. Come nasce, si sviluppa e muore un gruppo? Quando parliamo di gruppo facciamo riferimento al concetto di transizione sociale, nel senso che tutte le volte in cui entriamo a far parte di un gruppo mettiamo in atto questa transizione sociale che può corrispondere a dei riti collettivi (tipo festa per maturità). Tutte le volte che avviene una transizione mettiamo in atto un cambiamento di ruolo che porta a un cambiamento di identità, mi definisco in modo nuovo e ciò mi permette di costruire la realtà sociale. Ognuno di noi ha una realtà sociale, una volta in gruppo ci sarà una condivisione di realtà sociali.   Ci sono transizioni all’interno della nostra vita che possiamo fare, alcune come la pubertà legate al ciclo di vita, altre possono essere normative a seconda della situazione in cui ci troviamo, per esempio nella nostra società dopo una certa età ci aspettiamo di sposarci, convivere, fare figli, sono tutte transizioni normative. Il divorzio o il fatto che i figli rimangono coi genitori fino a 40 anni sono transizioni non normative. Alcune transizioni sono legate alla cultura, un matrimonio a 13 nella nostra cultura non è normativa, per altre si.   Quali funzioni hanno le transizioni, gli ingressi nel nuovo gruppo? Entrare a far parte di un nuovo gruppo va a modificare le dinamiche già esistenti. Le transizioni, quindi, hanno la funzione di portare un cambiamento, va a rafforzare i confini del gruppo, maggior senso di coesione e del noi, quindi una maggiore lealtà. A livello lavorativo, quando si entra a far parte di un nuovo gruppo ci porta alla fase di apprendistato, ovvero un momento che fa capire come funziona il gruppo, quindi capire anche le sue regole.   Ci sono una serie di situazioni particolari quando entriamo a far parte di un nuovo gruppo che vengono definite iniziazioni negative, un esempio può essere il fatto di avere un nuovo lavoratore e non riconoscerlo nel suo ruolo, magari gli vengono dati compiti più noiosi da fare che gli altri membri evitano di fare, come riordinare l’archivio… questo fa parte della socializzazione del lavoro, non è una posizione malevola, ma una dinamica di gruppo. L’ingresso all’università è un altro esempio di iniziazione negativa: l’utilizzo di parole particolari come il termine matricola per indicare quelli del primo anno, anche se la matricola viene usata sempre, tuti gli anni. Questo avviene perché il gruppo già esistente mostra resistenza per tutelare la sua identità. Se decido di entrare in quel gruppo vuol dire che sarò più legato a quel gruppo.    Per entrare a far parte di alcuni gruppi è necessario superare l’iniziazione, che rende dipendente il nuovo arrivato dai membri del gruppo. Che risultato otteniamo con iniziazione? Più severa sarà la prova e maggiore interesse ci sarà nella persona nei confronti di quel gruppo, perché da fuori risulta più interessante. La prova di iniziazione è una sorta di tutela che il gruppo mette in pratica, non accetta tutti, vuole selezionarli. Altro aspetto legato al processo di dissonanza cognitiva di Festinger: se ho fatto fatica e sacrifici per arrivare a quella condizione, una volta dentro è difficile tirarsene fuori.   Quando decidiamo di entrare in un gruppo, ci sono tanti gruppi tra i quali scegliere, occorre effettuare una ricognizione: viene fatto o dall’individuo ma anche dal gruppo. Il gruppo magari organizza una prova di iniziazione perché ritiene fondamentale passarla per entrare a far parte di esso, ma anche il singolo individuo valuta quello e altri gruppi in base alle sue caratteristiche per poi scegliere. Altro elemento importante è legato al fatto che quando entriamo in un nuovo contesto una delle caratteristiche è quella di giocare il ruolo del nuovo membro, se entro a gamba tesa in un nuovo gruppo, esso tende a difendersi, ci sarà più resistenza sull’accettazione, se si va con calma, cerco di capire le regole e il suo funzionamento, non si sentono di doversi mettere in difesa.   Altra strategia è individuare nel gruppo dei referenti di fiducia, come i mentor, persona più anziana che ci guida, i tutor, gli sponsor. Altra strategia è trovare dei newcomer, ce ne sono diverse tipologie: - Membri istituenti = fondano il gruppo, entrano tutti insieme - Visitatori = persone che vengono per un determinato periodo e tempo limitato, amico di amico a cena, studenti Erasmus. - Trasferiti = membro che viene trasferito senza data di scadenza in un altro gruppo. - Sostituto = un supplente, sia in positivo sia negativo ci sarà un confronto con la persona che c’era prima, si fanno paragoni. - Regolari = entrano in un gruppo nuovo già costituito. La socializzazione di gruppo è un momento in cui le persone si inseriscono in un gruppo. Ci sono diverse strategie di inserimento nel gruppo in base alle condizioni di inserimento. Nei processi di socializzazione chi si inserisce va a ridefinire la sua identità sociale. Attraverso questo inserimento si andranno a sviluppare nuove capacità e abilità che li rendono in grado di partecipare come membri nel gruppo; si andranno a sviluppare relazioni diversificate all’interno di quel gruppo.   Brown parla di periodo probatorio, ovvero il momento di inserimento nel gruppo in cui la persona nuova deve capire come comportarsi, deve stare in una fase di osservazione in cui cerca di comprendere i comportamenti corretti per partecipare in modo positivo nel gruppo ed essere accettati. Questo ci porta a capire regole formali e informali che il gruppo ha, questo momento probatorio è una tattica efficace per entrare nel gruppo. La teoria di Moreland e Lewin si chiama teoria va a definire le varie fasi di vita di un gruppo e le diverse fasi sono: - Esplorazione = noi abbiamo tanti gruppi tra cui scegliere, valutiamo le caratteristiche dei gruppi in cui vorremmo inserirci, ma lo stesso fa il gruppo, andrà a selezionare le persone che sono più adatte ad una certa mansione. - Socializzazione = una volta superata la fase di ricerca, c’è l’entrata dei nuovi componenti nel gruppo; in questa fase accade che i diversi componenti entrati nel gruppo cercheranno di capire le norme di gruppo e le sue regole, è una fase di osservazione per essere accettati dal gruppo, qui avviene l’accettazione dei nuovi membri, è una fase delicata sia per il gruppo sia per i membri nuovi. - Mantenimento = fase più lunga della vita gruppo perché il gruppo deve mantenersi per un determinato periodo di tempo per raggiungere determinati obiettivi. All’interno di questa fase possono nascere i conflitti; nella fase della socializzazione l’obiettivo del gruppo è di far sì che le persone che fanno parte del gruppo abbiano delle caratteristiche comuni per differenziarsi da chi non ne fa parte, in questa fase di mantenimento abbiamo costruito il noi come gruppo, ma abbiamo necessità di far emergere le individualità dei singoli, necessarie per la costruzione dei ruoli nel gruppo. Possono emergere le divergenze, ognuno sa fare qualcosa, quindi dare un ruolo diverso a tutti per permettere di differenziarsi per mantenere la propria individualità.Questa fase di divergenza può sfociare in due modalità: conflitto non superato e quindi il gruppo si scioglie o qualcuno esce o viene cacciato oppure se le divergenze vengono superate attraverso la negoziazione allora avviene il processo di risocializzazione. - Risocializzazione = si vanno a ridefinire i ruoli e il noi che ci consente di andare avanti. - Ricordo = se le divergenze non vengono superate allora abbiamo l’uscita di uno o più componenti. Il gruppo ricorda come era precedentemente prima dell’uscita di uno o più membri, dall’altra parte il singolo ricorda quali sono le sue caratteristiche di quando era nel gruppo. L’uscita può essere la morte di un membro oppure può essere che gruppo lavoro ha raggiunto obiettivo per il quale era nato e il gruppo si scioglie con valenza positiva.   Tappa importante è far si che ognuno possa sentirsi autonomo rispetto al gruppo. Altra tappa è l’autoregolazione dei singoli componenti del gruppo, sentirsi dipendenti, ma allo stesso tempo anche autonomi.   L’uscita del gruppo è un momento importante perché va a definire la nostra identità, riorganizziamo chi siamo e facciamo una transizione di ruolo e l’uscita dal gruppo sarà significativa quanto sarà stata saliente per quell’individuo quell’appartenenza. Se ho investito molto in quel gruppo e c’era molto affetto quell’uscita sarà dolorosa per me e gli altri, se non mi sentivo partecipe in quel gruppo, non ero valorizzato e non ho investito molto, allora l’uscita sarà più leggera.    Esistono diverse tipologie di uscita: - Uscita da un piccolo gruppo naturale: amici, famiglia, sarà molto faticosa - Uscita da un gruppo di lavoro: si è raggiunto l’obiettivo - Uscita individuale - Uscita perché vengo cacciato   Status e ruoli nei gruppi   Che cos’è lo status? Si riferisce alla posizione che un individuo occupa in una gerarchia di gruppo; la gerarchia è una valutazione che noi diamo di quello status rispetto alla posizione che quella persona occupa in una scala di prestigio, riferita a quel gruppo. Al cambiare dei compiti e le competenze necessarie per raggiungere l’obiettivo cambiano anche gli status, quindi si parla di dinamicità perché una persona può avere status diversi a seconda dell’obiettivo. Nel sistema di status è facile osservare gli estremi, ovvero chi ha uno status alto o basso, sono più riconoscibili, hanno capacità e modi di stare nel gruppo diversi   Chi ha status alto parla di più, riceve più attenzioni e comunicazioni, chi ha uno status basso è più timido, parla meno, hanno meno comunicazioni, fanno meno proposte, seguono la posizione di chi ha uno status più elevato.    Perché è importante lo status? Ci sono due ipotesi: - Ipotesi funzionalista, rende la vita di gruppo prevedibile, consente al gruppo di raggiungere l’obiettivo. Gli altri sanno cosa possono aspettarsi da noi rispetto al nostro status. Altro aspetto legato allo status è che noi attraverso il confronto sociale con gli altri componenti andiamo a definire la nostra identità. Attribuire uno status serve a massificare l’efficacia dello status di gruppo; è normale che in un gruppo c’è chi sa meno e chi più, se tutti sapessimo tutto si innescherebbero dei conflitti. Funzionalità= differenziarsi per raggiungere la prestazione migliore. - Ipotesi etologica = lo status viene attribuito in base alle caratteristiche fisiche. I tratti che definiscono uno status sono la muscolatura, statura, portamento, contegno, voce, sguardo, espressione facciale. Chi ricopre uno status alto avrà un certo portamento, sguardo penetrante, voce forte, chi ricopre uno status basso avrà una voce più flebile, sarà timido e ricurvo. L’assegnazione delle posizioni di status in qualsiasi gruppo è immediata. Il concetto di ruolo è connesso al concetto di status. Il ruolo corrisponde a un insieme di attività; le persone che ricoprono una posizione specifico nel gruppo svolgeranno determinate azioni, diverse da quelle degli altri membri. Sono quei comportamenti attesi, quello che ci aspettiamo dalle persone che ricoprono un determinato ruolo. I ruoli corrispondono alle nostre azioni che facciamo all’interno della società.   Secondo Brofenbrenner le aspettative che le persone hanno rispetto a uno che ricopra un ruolo dipendono da una parte dai contenuti, dall’altra fanno riferimento a tipi relazioni che si instaurano tra soggetti. Dobbiamo cogliere le aspettative su due livelli: ·      contenuto: l’attività che la persona svolge e che noi ci aspettiamo che la persona che ricopre quel ruolo svolga il suo compito. ·      tipi relazioni che persona insatura   Prendiamo come esempio il ruolo del docente: noi ci aspettiamo che insegni, sia competente, che faccia apprendere gli argomenti, che ci metta a nostro agio… Interpretare le aspettative mette in difficoltà, quindi, che deve interpretare quelle aspettative.   Altri tipi di ruoli all’interno di gruppi: ·      ruoli di compito: più orientati al compito che devono raggiungere e all’interno di questa categoria ci sono diversi ruoli come l’orientatore, il cerca-opinioni, dispensa-notizie…. Per ogni ruolo andiamo a chiarire il suo compito che deve svolgere, per esempio l’orientatore deve dare orientamento al compito e la sua tecnica è proporre compiti, finalità e definisce il problema. ·      ruoli di mantenimento: sono quei ruoli che hanno la funzione di supportare il gruppo verso le relazioni che si possono sviluppare nel gruppo e qui troviamo figure come l’incoraggiatore, l’ascoltatore, riconciliatore, intermediario incoraggiatore ha ruolo di valorizzare le opinioni altrui. ·      ruoli egocentrici: hanno una valenza negativa perché c’è l’ostacolatore, il dominatore ha obiettivo di soddisfare i propri bisogni personali a spese del gruppo. Chi ha questi ruoli ha poca dipendenza e molta autonomia. Il ruolo è l’insieme delle aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una certa posizione nel gruppo Ruolo riguarda i comportamenti esibiti e attesi dei vari componenti. All’interno del gruppo possiamo avere alcuni ruoli: ·      relativi al compito ·      relativi alle relazioni ·      più individuali: personalizzazione di un ruolo ·      relativi alla valorizzazione del gruppo: attenzione al noi, cercano di valorizzare le competenze del gruppo, aiutano il gruppo a crescere.   Slater insieme a Bales ha individuato: ·      specialista del compito ·      specialista socio emozionale Secondo loro non è possibile che una persona ricopra entrambi i ruoli, emergono due figure con questi orientamenti distinti, ma complementari l’un con l’altro.   Come nascono i ruoli nel gruppo? ·      in modo spontaneo in base a caratteristiche individuali che emergono ·      ruoli definiti dall’esterno: definisce i ruoli diversi che abbiamo nel gruppo.   Leader e leadership: teorie, modelli e funzioni Noi sappiamo che la psicologia sociale e la psicologia dei gruppi, parte della psicologia sociale più ampia, ha sempre studiato quello che avviene nel collettivo unendolo alla dimensione individuale. Per capire come certe figure storiche sono state in grado di influenzare le masse sia in positivo che in negativo. Che differenza c’è tra il leader e la leadership? C’è la stessa differenza che noi abbiamo tra insegnante e insegnamento? Leader = figura (come l’insegnante), è il ruolo che viene ricoperto da chi ha quel tipo di funzione all’intento del gruppo. Leadership = sono le azioni, i comportamenti che sono messi in atto, è un processo (come l’insegnamento) Vedremo come dal punto di vista storico l’attenzione è passata dal leader, quindi da chi svolgeva quel ruolo all’interno del gruppo, alle funzioni, alle attività, che venivano svolte quindi alla leadership. Quindi non è più una singola persona, ma ci possono essere più persone che svolgono questa funzione all’interno del gruppo in base all’obiettivo che il gruppo si sta ponendo, in base a quello che si deve fare all’interno del gruppo. Quando parliamo di leader a che cosa pensiamo? È colui che: conduce, influenza, guida, domina, ha autorità, ha potere, ha prestigio. Secondo Hollander questo processo di leadership implica tre elementi che devono essere presenti all’interno della dimensione gruppale: 1. Il leader = chi ha questo ruolo 2. I followers = i componenti del gruppo 3. La situazione Brown ci dice che il leader è la persona che può influenzare gli altri membri più di quanto loro possono influenzare il leader stesso (1989). Nel gruppo quindi essendoci interdipendenza (come diceva Lewin) c’è un’influenzamento reciproco tra i membri. Quando parliamo di leader dobbiamo fare riferimento a due eccezioni: 1. Leader formale = colui che è stato designato ad essere leader, quindi gli è stato dato un incarico dall’esterno del gruppo (organizzazione in cui viene dato un incarico specifico dalle persone, per cui è formale, è riconosciuto) 2. Leader informale/naturale = è un leader naturale che nasce dal gruppo in base alle esigenze che il gruppo stesso necessita. Quindi c’è un assegnazione spontanea in quanto il gruppo gli riconosce determinate competenze. Cosa può capitare in un gruppo formale? Può capitare che un leader formale non venga riconosciuto dal gruppo, t’intendo a riconoscere un’altro membro come leader (informale). Per farsi riconoscere deve mostrare le sue competenze, ciò può creare difficoltà dal punto di vista organizzativo e del raggiungimento dell’obiettivo. Nella storia sono emerse almeno due definizioni di leder carismatico e vedremo le differenze sostanziali: Leader Carismatico = è una figura che ha delle caratteristiche particolari che si evidenziano rispetto agli latri e fonda le sue radici nella teoria dei tratti. I tratti sono delle caratteristiche di personalità che emergono rispetto ad altri. Secondo il leader carismatico è stata identificata la teoria del grande uomo, cioè colui che era ed è in grado di influenzare le masse con strategie diversificate. La teoria del grande uomo ci dice che tu hai determinate caratteristiche e quindi sei leader. Leader situazionale = ognuno di noi può diventare un buon leader a seconda della situazione in cui si trova, del contesto, dell’ambiente, delle persone che fanno parte di un gruppo. Secondo le teorie del leader situazionale (o modelli della contingenza) ognuno di noi può diventare leader e possiamo usare lo slogan “l’importante è trovarsi al posto giusto nel momento giusto”. Servono quelle competenze o capacità? Sono li? Posso diventare leader. Negli anni ’40 del novecento viene studiata la teoria dei tratti: Teoria dei tratti = ci dice che io ho delle capacità di leadership innate, non le posso costruire. Le ho? Quindi SARO’ leader. Questa teoria non si preoccupa del contesto nel quale la persona agisce. In quel momento si sta studiando il totalitarismo, quindi perché solo determinate persone sono state in grado di influenzare le masse, portandole a fare dei gesti estremi, insensati, insieme. Negli anni ’60 si studiano gli stili di leadership: Gli stili di leadership = si vuole dimostrare e capire perché un determinato stile di leadership sia più efficiente rispetto ad un’altro. Quale ricadute può avere uno stile autoritario rispetto ad uno democratico o rispetto ad uno permissivo sul gruppo. Tra gli anni ‘60 e gli anni ’80 introduciamo i modelli situazionali, i modelli della contingenza. - Affermano che la leadership efficace è determinata dalla situazione tenendo contro anche dell’interazione fra il leader, i componenti del gruppo e la situazione. - Nei modelli della contingenza si mette insieme quindi l’individuo e le caratteristiche del leader all’interno di quel contesto specifico (obbiettivo, persone coinvolte, relazioni). Dagli anni ’80 in poi si parla della leadership transnazionale, trasformazionale e carismatica. In questo caso il leader carismatico deve avere un’obbiettivo di lungo raggio non finalizzato a quell’unico momento. Deve portare il gruppo, la massa verso qualcosa di più lontano. Negli approcci più recenti si parla di teoria dello scambio tornando al concetto di interdipendenza all’interno del gruppo, quindi ad uno scambio tra i diversi componenti del gruppo (che può essere materiale, psicologico e di comunicazione). In questo caso l’efficacia della leadership deriva dal tipo e dalla qualità di relazione che c’è tra il leader e gli altri componenti del gruppo. Più la relazione è positiva più sarà efficace quel tipo di leadership. L’ultimo approccio è quello dell’identità sociale, la quale ci dice che la caratteristica di base è che il leader deve rappresentare un prototipo per l’ingroup quindi un modello da seguire. Esistono varie teorie sulla leadership : 3. TEORIE DEI TRATTI O TEORIA DEL GRANDE UOMO: Questa teoria segue il motto “ leader si nasce, non si diventa”, se ho quelle caratteristiche non le posso imparare o modificare. Questa teoria ha cercato di capire quali erano i tratti e le caratteristiche necessarie per individuare un leader. Alcuni tratti: intelligenza, vigilanza, intuizione, responsabilità, iniziativa, fiducia in se, grinta, capacità di influenzare gli altri, capacità di tollerare frustrazioni ecc. Tuttavia nessuno si può riconoscere in tutti questi tratti. Sono stati condotti degli studi con test e obiettivi diversi da raggiungere cosicché in ogni test potessero emergere delle sfumature diverse. A seconda del focus sul quale il leader si concentra noi possiamo parlare di leader democratico, autocratico o permissivo. Il leader autoritario è orientato al compito. Il leader democratico è orientato al clima e al compito. Il leader permissivo è orientato all’aspetto socio-emotivo (clima). L’efficacia di n determinato stile di leadership dipende dall’obbiettivo e dalla situazione. 2. MODELLI SITUAZIONALI O MODELLI DELLA CONTINGENZA I modelli situazionali (o della contingenza) introducono un terzo elemento: la situazione. Essi cercano di capire quali debbano essere le caratteristiche del leader e della situazione. Quindi non tutti i leader saranno funzionali, lo saranno quelli che avranno determinate caratteristiche date dalla situazione da affrontare. Per questo motivo possiamo dire che non esiste un leader assoluto come nella teoria dei tratti. Il leader può dipendere dal tipo di obiettivo, dalla storia di un gruppo (se e come conosco il gruppo)dalla sua ampiezza (parlo ad una nazione o da un gruppo classe?), ma anche dalla fase di sviluppo in cui si trova il gruppo. I modelli situazionali tengono conto del leader, dei collaboratori e della situazione. Nella situazione loro considerano il contesto, l’obiettivo, il come si deve raggiungere quest’obbiettivo e i collaboratori. Hollander (1985) afferma che in realtà in questi modelli possiamo trovare molta enfasi sulla situazione e poca attenzione verso le caratteristiche che dovrebbe avere un leader. Ma Hollander ci dice anche il leader stesso è un’elemento della situazione che non viene considerato parte della situazione ma come caratteristiche che la figura deve avere. Inoltre sappiamo che dentro ai gruppi sono presenti delle fasi di evoluzione, per cui anche le relazioni tra i membri e tra membri e leader mutano. Quest'ultimo fattore però non viene considerato nei modelli situazionali in quanto sono visti come dei modelli statici. I modelli di contingenza prendono in considerazione solo l’interazione tra lo stile di leadership e la situazione. Il modello situazionale di Fidler (1965) è il modello più conosciuto. Questo modello è stato ideato partendo da il fatto che ci sono delle persone che sono in grado di collaborare anche con una persona con la quale non sono in sintonia, Da qui Fidler ha ideato una scala LPC (Least preferred Co-worker) ovvero del “Collaboratore meno preferito”. In questa scala si possono avere dei punteggi differenziati ovvero un LPC alto o basso. LPC alto = sono una persona che ha orientata alla relazione: cioè che anche se non sono in sintonia con una persona sono in grado di lavorare con lei in modo positivo. LPC basso = sono una persona orientata al compito: cioè che se non sono in sintonia con una persona cerco di concentrarmi al compito e non sulla relazione. Questa scala è stata costruita con una serie di aggettivi opposti che vanno a valutare quanto io sia capace di stare nella relazione o di orientarmi al compito. Come viene considerato il contesto? Fidler crea una combinazione di situazioni che possono essere o molto favorevoli al leader o poco favorevoli al leader. Per fare questo individua alcuni elementi che sono: 1. Il tipo di relazione che si instaura tra il leader i componenti = possono essere buone o povere. Sono buone se abbiamo un’alta lealtà e fiducia tra i componenti. Sono povere se mancano tutte queste caratteristiche. 2. Il tipo di compito che dobbiamo raggiungere = se il compito è chiaro e strutturato, siamo in una situazione favorevole. Se il compito non è chiaro e strutturato siamo di fronte ad una situazione poco favorevole. 3. Il tipo di potere tra il leader e autorità legittima = se abbiamo un potere ed una legittimazione forte siamo in grado di influenzare il gruppo. Se invece questo potere e legittimazione è debole avremo delle difficoltà a influenzare il gruppo perché non siamo competenti rispetto al compito da raggiungere. Rispetto a queste variabili, Fidler crea una serie di 8 possibili combinazioni che ci possono portare da un massimo ad un minimo di favorevolezza della situazione. - Alta favorevolezza = relazione leader-membri buone, compito strutturato e definito, potere leader alto - Bassa favorevolezza = tutte le alternative sopracitate sono basse. A seconda della situazione, Fidler afferma che dovrò utilizzare più uno stile orientato al compito o più orientato alle situazioni. Quando la situazione è molto sfavorevole o negativa, il leader dovrà concentrarsi sul compito (pessimo clima, non ho potere di influenzare il gruppo, situazione non strutturata e chiara). Quando la situazione è molto positiva o favorevole non mi devo preoccupare dell’aspetto emotivo, in quanto positivo, quindi mi posso concentrare sul compito. Nelle situazioni intermedie devo avere un LPC orientato alle relazioni perché devo andare a tamponare quella situazione emotiva che l’incertezza mi porta a sviluppare. La scala dell’ LPC è una scala il cui punteggio purtroppo è sensibile ai cambiamenti situazionali, non è un punteggio stabile nel tempo. Modello della contingenza di Vroom e Yetton (1973) del modello normativo della presa di decisone. Questo modello si concentra sulla presa decisionale, quindi su una situazione molto particolare, cioè come un gruppo deve decidere. Vroom e Yetton individuano 5 stili di leadership utilizzati nei processi decisionali organizzativi: 1. Autocratico = colui che decide 2. Autocratico con richiesta di informazioni ai collaboratori = io decido e ti chiedo cosa ne pensi 3. Consultivo individuale = chiedo ad ogni componente del gruppo la propria posizione. 4. Consultivo di gruppo = consulto tutti ma a livello gruppale, ma la decisone è del leader 5. Partecipativo = siamo in una dimensione gruppale ma anche la decisone è partecipativa c’è una co-costruzione decisionale. Critiche a questo modello: - Non ha considerato la qualità decisionale (meglio quella autocratica o quella partecipativa?) - Non dice quanto tempo impiego a prendere una decisone di questo tipo? (Autocratico minor tempo decisionale - partecipativo maggior tempo decisionale) - Non viene considerato quanto, a seconda dello stile decisionale, viene accettate dal gruppo quella decisione. Per difendersi dalle critiche Vroom e Yetton ci dicono che questo non è il modello migliore per decidere, ma volevano dirci di utilizzare questo modello per fare formazione, per far discutere delle persone che dal punto di vista organizzativo devono decidere come prendere delle decisioni e farli riflettere su qual’è secondo loro lo stile migliore. Noi sappiamo che il livello di motivazioni subordinati cambia a seconda di quanto questi partecipano o meno al processo decisionale. Una cosa è importa altra cosa è sentito di aver partecipato in modo attivo al processo decisionale. In questo tipo di modello si è cercato di superare la dicotomia che valevamo nel modello precedente tra i leader concentrato sul compito e il leader concentrato sulle relazioni, ci siamo orientati verso il processo decisionale. Teorie transnazionali e dello scambio: Esse ci dicono che esiste un flusso relazionale, uno scambio tra il leader e i diversi componenti del gruppo. Esiste uno scambio reciproco di risorse significative che siano cognitive oppure emotive e relazionali. In questo tipo di modelli il ruolo che attribuiamo ai componenti del gruppo è molto più forte e presente perché arriviamo a dargli uno spazio pari a quello del leader. Queste teorie danno molto rilievo allo scambio sociale che avviene tra i diversi componenti del gruppo dando a tutti un ruolo attivo. Modello del credito idiosincratico: della credibilità personale Hollander. Hollander ha introdotto un modello che viene definito “del credito idiosincratico” ovvero della credibilità personale. Lui ci dice che un leader per poter agire ed essere riconosciuto dal gruppo deve guadagnare la credibilità del gruppo, ma come fa?: 1. Adeguarsi alle norme del gruppo = strategia new comers, devo adeguarmi alle norme formali e informali del gruppo. 2. Soddisfare i bisogni del gruppo = mi devo porre in modo tale che i componenti riescano a identificarsi nel leader. 3. Identificarsi come leader del gruppo Quindi è necessario un conformismo iniziale ma il leader deve essere anche competente, (deve dimostrare la sua capacità di fare) solo in quel modo diventerà legittimato e non imposto dalle istituzioni quindi è un leader che viene eletto dal gruppo e gli vengono riconosciute delle capacità e competenze per raggiungere l'obiettivo. In questo modello l'elemento che lo caratterizza e lo distingue da quelli dei precedenti è la considerazione dei collaboratori. É un modello dinamico che considera l’evoluzione del gruppo perché c’è una interdipendenza tra le parti. Anche in questo modello, una prima critica che viene fatta è che si considerano i collaboratori tutti uguali, non è in grado di cogliere la diversità. Una seconda critica è che considera solo gli elementi interni al gruppo quindi le relazioni e i processi intragruppo. Stili di leadership più recenti: 1. Carismatico = è caratterizzato da specifica relazione che si instaura tra il leader e i seguaci. L’elemento che determina questo tipo di relazione è dato dalle caratteristiche individuali del leader, è carismatico quindi in grado di coinvolgere in modo particolare i diversi componenti del gruppo. 2. Trasformazionale = è in grado di motivare i collaboratori per indurli a un cambiamento che non è individuale, ma è un cambiamento legato a un interesse collettivo. 3. Transnazionale = interviene quando c'è un problema, solo su richiesta (ci ricorda il leader lassista). Lo stile trasformazionale considera sia la dimensione del compito sia la dimensione relazionale, quello che cambia è che non si parla di leader (persona)ma si parla di stile di leadership (le azioni e i comportamenti assunti dalla persona). Quindi si sposta l'attenzione su ciò che si deve fare. Caratteristiche dello stile transazionale : - Bisogna avere una persona carismatica, che ha delle caratteristiche innate e forti. - Deve essere in grado di cogliere i diversi punti di vista degli altri componenti del gruppo - Deve essere uno stimolo dal punto di vista intellettivo e pratico Quando parliamo di leadership trasformazionale e carismatica sono sovrapponibili. Quando parliamo di leader carismatico siamo di fronte a soggetti che vanno a impersonificare un modello di ruolo da imitare, deve avere delle competenze riconosciute dal gruppo. L’ ideologia verso il quale il leader vuole portare il gruppo deve essere chiara e deve far si che si crei un legame con i propri collaboratori. MODELLO TRASFORMAZIONALE = Ci sono quattro caratteristiche fondamentali di questa leadership: 4. Influenza idealizzata Questa è una leadership dall’influenza idealizzata perché ci sono dei modelli di ruolo ben definiti che i collaboratori devono far avanti. Il leader riesce a influenzare gli altri perché ha una condotta morale molto elevata che non può essere messe in discussione da parte del gruppo. 5. Motivazione ispirazionale In questo caso dal punto di vista della motivazione, si parla di motivazione ispirazionale. Questa è una leadership che è in grado di motivare e di coinvolgere i propri collaboratori verso un obiettivo ben preciso. Il leader deve lanciare entusiasmo, spirito di gruppo verso l’obiettivo ci si è predisposti di raggiungere. 6. Stimolazione intellettuale Il leader deve essere in grado di stimolare intellettualmente i componenti dandogli fiducia, pur non avendo le competenze per decidere, ma fidandosi dei dati passati dai membri. 7. Considerazione individualizzata Il leader è attento ai singoli collaboratori e ai loro singoli bisogni, mettendo al centro i collaboratori si consente un’apprendimento individualizzato, ognuno può crescere all’interno del gruppo. MODELLO TRANSNAZIONALE : Questa è una leadership meno positiva rispetto q sulla precedente. Questa prevede che il leader debba premiare o punire i propri collaboratori secondo le loro capacità, dei loro contributi e in base all’adeguatezza della loro prestazione in base all’obiettivo. Quindi il leader premia/punisce i collaboratori: - Posso dare una ricompensa contingente —> do una ricompensa durante il percorso stimolando anche gli altri a migliorarsi rispetto alla prestazione che devono portare - Posso dare una ricompensa alla fine del percorso —> se do il premio o la punizione soltanto alla fine è ovvio che questo non permette ai collaboratori di migliorarsi. In questo caso il rischio è che ci sia una forma di pastorizzazione da parte dei membri del gruppo e quindi si rischi di non raggiungere lo scopo previsto. NON LEADERSHIP : Non c’è leadership all’interno del gruppo in quanto il gruppo può continuare le attività in egual modo. Questo modello però può portare a dei collaboratori poco soddisfatti, a un risultato poco soddisfacente in quanto il gruppo può sentirsi abbandonato o non in grado di perseguire l’obiettivo senza la presenza del leader. In questo caso è come se il leader non si assumesse la sua responsabilità. Alcune ricerche ci portano a definire che i leader più efficaci sono quelli che utilizzano una leadership trasformazionale e transnazionale. Sopratutto quella trasformazionale avrà dei collaboratori molto più soddisfatti con un clima molto più positivo. Questo porta ad avere delle persone più motivate ed impegnate nel raggiungimento dell’obbiettivo in quanto è presente una guida che li supporta e stimola la loro crescita. MLQ = è un questionario consente ai collaboratori di rispondere ad una serie di domande cos’ da poter individuare qual’è lo stile di leadership all’interno del quale loro stanno lavorando. Dal gruppo al gruppo di lavoro, dal gruppo di lavoro alla squadra vincente. La promozione del benessere in un contesto organizzativo e lavorativo. Quali sono gli elementi da considerare? Gli elementi importanti che ci consentono di creare un clima di lavoro positivo dove le persone si ritrovano e lavorano meglio. Partendo da un gruppo quali sono i passaggi che ci consentono di considerare un gruppo un gruppo di lavoro. “Gioco di squadra” (libro da preparare) fa una distinzione molto importante. Associa il gruppo nel contesto nel quale agisce come se fosse un campo di gioco, per arrivare al fatto che il gruppo diventi una squadra efficace, una squadra che vinca. Come fa a vincere? Mettendo in atto tuta una serie di forze che ci consentono di lavorare al meglio e di creare un clima che ci consenta di raggiungere l’obbiettivo.   Quali sono gli elementi di benessere che devono essere all’interno dei gruppi? Il gruppo viene paragonato a un campo di gioco e gli elementi che si considerano necessari all’interno sono: - L’obiettivo = è dove il gruppo vuole arrivare, la meta, il cammino dove il gruppo deve tendere. Esso ha una serie di caratteristiche affinché venga riconosciuto come tale dai partecipanti del gruppo. - Il metodo = ovvero andare a definire insieme (metodo co-costruito all’interno del gruppo) le modalità operative —> come si andrà a lavorare - Le risorse = elementi (strumenti e persone) che possono essere condivise - Il coordinamento = è una modalità di lavoro che definisce le regole e le modalità d’interazione tra i partecipanti.   Questi elementi messi in campo all’interno delle attività ci consentono di creare ordine e prevedibilità (due elementi importanti affinché il gruppo possa mantenersi e raggiungere l’obiettivo.   La fase di mantenimento del gruppo è una fase fondamentale dove possono anche nascere dei conflitti, ma se noi gestiamo al meglio questi quattro elementi riusciremo a gestire meglio gli aspetti conflittuali. Le forze in campo che metteremo in atto sono - Comunicazione = dialogo tra persone e ascolto - Collaborazione = collaborare insieme per un obiettivo comune.Lewin ci dice che il gruppo è qualcosa di già della somma dei singoli membri, perché c’e il confronto, la condivisione ecc. - Motivazione = ci porta a investire le nostre energie nelle attività che devono essere fatte. Essa può essere motivazione individuale (intrinseca o estrinseca) o gruppale. - Fiducia = qualità e reciprocità dello scambio relazionale Quando parliamo di gruppo di lavoro dobbiamo fare una distinzione importante tra: 1. fare insieme = mettere in atto una serie di azioni che un gruppo di osservatori possono osservare in quanto azioni esplicite. Questo però prevede una pianificazione razionale ed oggettiva. 2. Stare insieme = mette un atto tutti quelli aspetti irrazionali e simbolici. Questo è strettamente connesso a ciò che abbiamo pianificato nel fare insieme, in modo da evitare creare malumori. Lo stare insieme mette in atto tutta una serie di aspetti irrazionali e simbolici che possono poi entrare in conflitto con gli obiettivi finali. È presente anche una dimensione latente dell’esperienza del lavoro di gruppo, avviene quando si sta male in un gruppo, quando il fare insieme non è articolato e organizzato portano a malumori. Da una parte il fare = la produzione e l’efficacia del gruppo di lavoro Dall’altra lo stare = la capacità del gruppo di socializzare in modo positivo per raggiungere l’obiettivo.   Cos’è il lavoro di gruppo? È un lavoro di più persone per un obiettivo comune. Vuol dire che ogni componente apporta il suo contenuto e mettiamo insieme tutte le azioni di tutti finalizzandoli all’obiettivo finale. Il gruppo diventa strumento di integrazione flessibile. È flessibile perché i ruoli sono intercambiabili e flessibili perché devono garantire il raggiungimento dell’obiettivo.   Come si passa da gruppo a gruppo di lavoro? - Partiamo da un insieme, un gruppo, di persone che interagiscono tra di loro. - L’interazione porta ad andare a costituire il “noi” del gruppo, un senso di appartenenza, un’uniformità per cui una coesione. - Si crea così una forte coesione e va a svilupparsi l’interdipendenza, ovvero un legame stretto delle parti dove al cambiamento di una parte questa ha un’impatto significativo anche sugli altri componenti del gruppo. - Nella fase di mantenimento sorgono le divergenze i conflitti perché dopo una fase importante di costruzione del noi è necessario che le persone debbano differenziarsi tra loro quindi attraverso la negoziazione arriviamo all’integrazione. - L’integrazione significa che nel gruppo avremo una differenziazione rispetto ai ruoli che può anche portare a situazione conflittuali che però vengono superate attraverso l’integrazione. Siamo quindi integrati gli uni con gli altri.   In un gruppo di lavoro come si può raggiungere questo passaggio? Bisogna tenere i considerazione elementi che ci consentono di costruire un gruppo di lavoro: 1. Obiettivo = deve essere chiaro, definito e condiviso. Deve essere stabile e non cambiarlo solo perché non lo si sta raggiungendo, si devono modificare le azioni che non mi permettono di modificarlo 2. Metodo = ogni gruppo sceglie un metodo affinché sia definito a priori, per creare prevedibilità, bisogna definire come seguire l’obiettivo. 3. Ruoli = ruolo di leader, mantenimento, ruoli egocentrici (se ci sono vanno gestiti dal leader). 4. Leadership 5. Comunicazione 6. Clima = tutti questi elementi sopracitati vanno a definire il clima caldo, freddo, positivo, negativo. Tutta la letteratura ci ha evidenziato come un clima positivo tra i partecipanti abbiamo dei benefici sul benessere delle persone e quindi sullo sviluppo delle competenze. 7. Sviluppo = competenze individuali e di gruppo   Quando si parla di obiettivo si fa riferimento al risultato atteso, che ci si aspetta. L’obiettivo deve essere: - Condiviso = sennò si crea confusione, deve esserci un aspetto temporale (entro quando), una condivisione spaziale (dove raggiungiamo l’obiettivo) e una condivisione geografica. - Definito in termini di risultato = definirlo nel modo più concreto possibile, devo avere organizzazione strutturale, costruire un programma per facilitare il cammino e vedere se viene rispettato dal gruppo. - Costruito sui fatti - Finalizzato in modo specifico - Compiti chiariti e articolati - Obiettivo perseguibile = non posso puntare a un obiettivo che il gruppo sente come irraggiungibile - Valutabile = valutare se è fatto bene o male, se si è osservato tutto Una volta che il gruppo raggiunge l’obiettivo, esso si scioglie perché ha raggiunto l’obiettivo; occorre un nuovo obiettivo per far tornate in campo il gruppo. Metodo di lavoro: come? Quali caratteristiche deve avere il metodo? All’interno di un gruppo è importante definire un metodo di lavoro, sono le regole che il gruppo si dà per raggiungere l’obiettivo. Si fa riferimento ai: - Prestazioni = le modalità tecniche di realizzazione delle attività. Questo crea ordine nelle nostre azioni. - Rapporti interpersonali = la modalità di interazione tra i componenti del gruppo. Questo crea ordine nelle relazioni. Errore frequente dei gruppi —> lavoriamo, poi il resto si sistema. NO, bisogna prima definire le tecniche, bisogna creare ordine dal punto di vista delle prestazioni e dal punto di vista delle relazioni.   Ansia legata alla realizzazione del compito. Però in questo modo si rischia di rispondere solo all’urgenza del fare, si agisce ancor prima di pensare a come agire. La fretta di fare va a scapito delle regole del fare e del fare insieme. Le motivazioni di questo sono date da : - Abitudine = si è sempre fatto così e funziona - Imposizione = coordinatore che dice come fare e agire per fare qualcosa - Improvvisazione I rischi sono : - Dover ripetere ogni volta le cose - Perdere creatività ed energia - Orientamenti poco produttivi - Aumento dell’ansia   Caratteristiche del metodo : - Dedicare un incontro a definire il metodo: è percepito come un lavoro che fa perdere tempo, ma è necessario. Se definisco il metodo il gruppo poi sa come agire. - Mi consente di sviluppare un percorso chiaro, non è una perdita di tempo ma è un aspetto è preparatorio al lavoro effettivo. - Avere metodo co-costruito va a definire il clima del gruppo, un clima favorevole. Il metodo va a definire le diverse attività, le azioni e le prestazioni del gruppo.  Il metodo va presidiato attraverso due elementi : - comunicazione tra gli elementi - collaborazione tra i partecipanti Questi fattori garantiscono al gruppo qualità del metodo.    Per quanto riguarda la tecnica dobbiamo divedere il lavoro in senso : - spaziale = dividere il lavoro in sotto compiti che portano a dei sotto obiettivi - temporale = dare delle scadenze Questo porta al gruppo maggior chiarezza del percorso da compiere.   Dal punto di vista della relazione come faccio a far si che ci sia una buona comunicazione collaborazione nel gruppo? Innanzitutto serve una buona comunicazione, vuol dire mettere in atto metodi che ci consentono di tutelare l’area comunicativa. Per quanto riguarda il miglioramento della comunicazione ci sono vari metodi per facilitarla: - Giro di tavolo = dare a tuti possibilità di dare la loro opinione, se non lo faccio si vanno a creare delle divergenze. È un aspetto che ci consente di tutelare l’aspetto comunicativo. - Sintesi = mettere in evidenza i punti in comune - Interruzione ad arte = colui che si rende conto che bisogna fermare la discussione - Scrittura per valorizzare = è la sintesi scritta, è importante perché ci consente di portare il risultato per l’incontro successivo.   Da punto di vista della collaborazione metodi di lavoro da utilizzare sono: - Libere associazioni = si aumenta la produttività del gruppo, ognuno cerca di trovare una soluzione - Scambio di informazioni = - Punto della situazione =   definire i punto in cui si è arrivati - Scelta tra alternative = porta a tutelare più o meno l’aspetto collaborativo   Quando ci troviamo davanti a un processo decisionale, abbiamo di fronte più alternative; durante la nostra vita dobbiamo compiere molte scelte e a livello individuale ognuno prende le proprie decisioni basandosi sulla propria esperienza scegliendo l’alternativa più opportuna che si ritiene in quel momento. Quando facciamo questa scelta pensiamo che sia la migliore tra le scelte che abbiamo possibili. Quando facciamo scelte a livello individuale ci basiamo sula nostra esperienza, quando siamo in gruppo la scelta è legata a una negoziazione tra le parti che porta a trovare un punto di compromesso tra i vari posizionamenti.   Molte ricerche che sono state fatte sui processi decisionali, hanno evidenziato che nei gruppi di laboratorio (che non hanno una storia e un futuro) si tende alla polarizzazione Il gruppo sposta la decisione sugli estremi, sono decisioni estreme. Nei gruppi reali, dove le persone si conoscono e continuano a stare insieme, le decisioni sono più caute, attente alla relazione anche. Quando si è di fronte a una situazione in cui bisogna decidere si devono valutare le alternative possibili, quali opzioni ho a disposizione. Solo dopo questa analisi si possono soppesare in modo diverso le alternative possibili e eliminare man mano (tecnica a imbuto) l’opzione che ritengo meno adeguata. Per fare questo occorre fare una valutazione, capire quanto valore attribuisco a quell’alternativa, quanto è più o meno significativa e quindi posizionare le mie alternative possibili in un ordine valoriale per decidere cosa eliminare.   In un processo decisionale di gruppo la votazione (valutazione) è una strategia e di solito vince la maggioranza. Ad esempio ad alzata di mano dove vince la maggioranza. L’ultimo punto in processo decisionale è rivalutare la scelta presa (siamo sicuri della scelta che abbiamo fatto?). Quando questo viene a mancare, troviamo delle persone scontente perché non si sentono prese in considerazione, non si sentono più accolte. Il processo di revisione consente di rimettere in discussione la scelta fatta e ridare quindi spazio alle persone che non erano particolarmente convinte o accettare in modo più pieno la decisione presa. La presa di decisione seguendo la maggioranza sembra un metodo democratico, ma è davvero così? No non è un metodo democratico perché non si è stabilito prima il metodo con cui bisognerebbe decidere. A fronte di una soluzione incerta, il gruppo deve definire prima il proprio metodo di lavoro, si può votare a maggioranza solo se il gruppo si accorda prima per scegliere questa tecnica decisionale. Ruolo del coordinatore Si arriva a un ruolo particolare nel gruppo di lavoro che viene definito come “ruolo del coordinatore”. Esso ha delle sovrapposizioni con gli stili che abbiamo visto (come quello più trasformazionale).  La modalità decisionale dipende anche da: - Tempo a disposizione - Competenze all’interno del gruppo - Importanza della questione su cui si sta decidendo - Necessità di responsabilità condivisa - Livello di conflittualità presente   Quali sono i rischi di un gruppo di lavoro? - Il gruppo non si sceglie - Ognuno di noi costruisce identità in base ai gruppi di appartenenza. Se facciamo parte di un organizzazione specifica e ci incontriamo in un equipe multidisciplinare ogni componente dell’equipe proviene da un organizzazione diversa. Ognuno di noi avrà una propria identità. Il rischio è che i nostri sentimenti identitari legati al nostro ruolo professionale possano diventare predominati rispetto al fatto di voler emergere all’intero del gruppo di lavoro. Io li impersonifico gli educatori eccetera. - Non c’è chiarezza sulle competenze dei vari ruoli, cosa ci aspettiamo dai diversi ruoli - Andare a inficiare il risultato a causa delle relazioni - Difficile relazione e integrazione dei compiti - Non condividere il metodo di lavoro   Quali sono i problemi ricorrenti nel gruppo di lavoro? - Coordinamento insufficiente o controverso - Dequalificazione - Sovrapposizione dei ruoli e duplicazioni - Ridotta autonomia funzionale - Sovraccarico dei ruoli - Sistematica mancanza di tempo per il confronto, vissuto come attività che sottrae tempo ed energie ai compiti operativi   Risorse Quali sonno le risorse necessarie a un gruppo per poter lavorare? Le risorse fanno parte degli elementi necessari a un gruppo che devono essere preventivamente analizzati e considerati per capire come muoversi ed eventualmente negoziare con l’organizzazione stessa per avere le risorse che il gruppo ritiene utili per poter raggiungere l’obiettivo. Quali sono le risorse che dobbiamo tenere in considerazione? ? 1. Risorse contenute : - Risorse umane = diversi soggetti che compongono il gruppo - Informazioni = risorse individuali dei singoli componenti; informazioni che circolano attraverso i processi comunicativi che ci consentono di avere informazioni necessarie che diventano delle risorse. 2. Risorse del contenitore : Dove si trova il gruppo? Quali risorse devono essere prese in considerazione dai componenti e in particolare del coordinatore?) - Setting = è molto importante. Si tratta di definire il contesto in cui il gruppo si muove. - Tempo = le scadenze che nei diamo, gli aspetti temporali dedicati. Il tempo diventa risorsa o una mancanza di risorsa (es: con scadenze ravvicinate il rischio è che non si riesca a produrre in quel tempo dedicato e a raggiungere il sotto-obiettivo dedicato.) 3. Sfondo : - Organizzazione = l’università, o l’impresa all’interno del quale il gruppo lavora. Possono diventare tutte risorse del gruppo in quanto mette a disposizione delle risorse oggettive e concrete (aule, microfoni, schermi) del gruppo. Il gruppo di lavoro partendo da un analisi di questi elementi deve cercare di valorizzare le risorse di cui dispone. Per questo è importante l’ascolto reciproco tra i diversi componenti del gruppo, è importante la non valutazione. È importane saper negoziare, capire quali risorse abbiamo e quali in realtà ci mancano, quindi definire i vincoli che ci sono all’interno del quale il gruppo si sta muovendo. Il gruppo deve essere consapevole di quali sono le caratteristiche delle risorse umane che ha a disposizione. Dobbiamo essere consapevoli le risorse che il gruppo ha a disposizione sono condivise del gruppo e appartengono al gruppo. Se si crea un buon clima di gruppo (quindi c’è fiducia, motivazione a collaborare, clima caldo) questo porta moltiplicare le risorse che ci sono nel gruppo. Per capire se stiamo agendo bene all’interno di un gruppo dobbiamo chiederci: le risorse le stiamo utilizzando tutte? Le stiamo utilizzando al meglio? Questa modalità di agire implica che il gruppo si ascolti. Capite le risorse e i vincoli a disposizione noi possiamo negoziare con l’organizzazione (es: per noi quella scadenza non è fattibile). Abbiamo due tipologie di risorse : 1. Risorse tecniche possono essere = - Disponibilità informazioni = vedere se ho a disposizione o meno le informazioni necessarie che mi consentono di raggiungere l’obiettivo. - Adeguatezza strumenti = abbiamo degli strumenti adeguati? Funziona a tutti i componenti del gruppo la rete? - Comfort spazi = essere negli spazi giusti e consoni per affrontare una riunione o un lavoro di gruppo. Avere delle risorse tecniche che garantiscono l’obiettivo finale, porta il gruppo ad avere una maggior fiducia nell’altro e nel lavoro di gruppo, aumenta la motivazione, e porta a un clima sereno e delle risorse umane positive Spesso la situazione delle risorse, la diminuzione dell’impegno è data da una serie di strumenti tecnici che portano a un malessere nel gruppo. Cos’ha a disposizione un gruppo di lavoro? Le persone sono le risorse umane per eccellenza che abbiamo a disposizione dentro un gruppo. Possono essere una risorsa grazie alle competenze che mettono in atto, ma anche un vincolo. Possono essere un vincolo perché hanno degli impegni, non hanno una competenza specifica. Le persone hanno dei ruoli, formali o informali, che nascono all’intento del gruppo in base alle esigenze che il gruppo ha. Le persone agiscono all’interno di un sistema di coerenza rispetto a quello che devono fare, che devono portare a casa come obiettivo. Tendenzialmente abbiamo visto che i ruoli sono dei ruoli complementari. Nella fase di autopresentazione è importante che le persone possano esplicitare quelle che sono le loro competenze. L’obiettivo dei gruppi di lavoro è sempre quello di mettere ordine nelle competenze e nelle risorse che ci sono a disposizione in funzione del raggiungimento dell’obiettivo. È necessario rendersi conto di quali competenze mancano al gruppo ed eventualmente recuperarle dall’esterno. Coordinamento : Coordinare significa: 1. Definire l’obbiettivo = devo renderlo chiaro, scritto, visibile a tutti, ricordarlo di volta in volta. 2. Garantire il metodo = i metodi che il gruppo ha scelto devono essere tali e li devo fare rispettare, garantirli nel tempo e progettare le azioni a secondi di essi. 3. Devo essere in grado di gestire al meglio le risorse e i vincoli che ho a disposizione all’interno dei quali devo agire essendo consapevole di ciò che si ha e di ciò che serve. Il coordinamento crea ordine, ma all’intento di una dinamicità dei ruoli e di sviluppo del gruppo. Il coordinamento si mette al servizio del fare, per raggiungere un obbiettivo. Da una situazione di disordine il coordinamento mette in atto una serie di azioni per cerare ordine. Lo scopo del coordinamento è fare ordine tutti insieme. Se faccio ordine da solo non sto facendo coordinamento, non sto mettendo ordine finalizzato al fare insieme, questo crea disagio nel componenti. Il coordinamento vuol dire modificare le azioni di gruppo, trasformarle per poter lavorare al meglio. Devo monitorare il processo e intervenire durante. Chi è quindi il coordinatore? È un innaffiatore innaffiato. Possiamo definirlo così in quanto fa tutte queste azioni in funzione del coordinamento, ma si può dire che è innaffiato perché c’è uno scambio reciproco, c’è interdipendenza tra le parti. Quindi mentre innaffia per crear ordine, dall’altra parte viene comunque annaffiato (ricompensato) da quelle che sono allo stesso tempo le dinamiche interne al gruppo. Il coordinatore è colui che fa ordine continuamente. Quindi il coordinatore è dentro il gruppo, agisce con il gruppo stesso. Il coordinatore ordina in primo luogo se stesso, deve avere una consapevolezza di quelle che sono le proprie risorse e i propri vincoli. Quindi coordina se stesso e il gruppo. Che cosa alimenta dentro il gruppo chi ha il ruolo del coordinatore? La fiducia reciproca tra le parti, la motivazione dei collaboratori, quindi cercare di fare sinergia tra le relazioni e le attività che vengono svolti. Il coordinatore è immerso dentro alle dinamiche di gruppo ma al tempo stesso è esterno per osservarle. Quando abbiamo un chiaro coordinamento, i confini sono chiara. Tutte le caratteristiche esterne e interne del gruppo si sono attivate. Si attivano quando è stato definito il compito/ l’obiettivo. Quindi noi possiamo definire i nostri confini e l’obiettivo è chiaro da raggiungere, se definiamo i compiti. Quando parliamo delle qualità necessarie che si devono attivare sono le qualità e i componenti nel gruppo. La attivo attraverso la collaborazione, i processi comunicativi, attraverso la comunicazione. Ci sono dei momenti nel gruppo in cui so sente sfiduciato, non ce la fa più. Manca quindi energia, manca un input che li rinvigorisce. Come possiamo ridare energia al gruppo? - Coinvolgendo nuovamente le persone attraverso degli obiettivi specifici più brevi, di breve periodo attivando la motivazione affinché il gruppo possa raggiungere il risultato e giocare sulla determinazione. - Possiamo recuperare energia mentendo attive il ritmo, poco tempo ma in modo frequente. - Verifico i progressi e li esplicito al gruppo. - Un’altro elemento che può venire a mancare è la vicinanza tra i diversi componenti. È importante evitare il giudizio e aprirci all’ascolto. Questo consente di ampliare in modo esponenziale le relazioni. All’aumentare del numero dei componenti aumentano in modo esponenziale i componenti. Ognuno di noi deve intervenire sul modo con cui comunica al gruppo per evitare dissapori, malintesi in quanto ricadono la capacità relazionale. - Il clima è dato anche dagli aspetti strutturali, è dato dalla persone che accoglie e che ti fa sentire importante per quella situazione. Noi dobbiamo garantire un clima positivo dentro il gruppo che porta ad na relazione positiva tra i componenti. Si può parlare di temperatura interpersonale: calda o fredda. Con ambienti caldi sono portato a starci bene e ambienti freddi dove invento molte scuse per non andarci (classe scolastica). Il clima è una dimensione soggettiva, ognuno di noi percepisce un ambiente con un clima e una temperatura diversa e stessa cosa avviene per il clima relazionale. Il clima è una dimensione anche oggettiva che è data dalla collettività. L’obiettivo di un gruppo di lavoro è far si che le persone lavorino e stiano bene insieme. Quali sono le minacce che possono influire e inficiare sul clima di un gruppo? - I conflitti interni tra le persone (es: per cosa chiarezza) - Per il pessimismo (non ce la faremo mai, non abbiamo le risorse adatte) - Un atteggiamento autoritario o autocratico. Per superare il conflitto possiamo andare a negoziare gli aspetti relazionali legati al compito, all’azione. Il clima essendo un aspetto soggettivo e oggettivo lo possiamo legare al sistema, al gruppo, all’organizzazione ed è una qualità del sistema. Il clima è una caratteristica che noi possiamo osservare anche dall’esterno, possiamo capire un determinato gruppo osservandolo e capendo il clima che si vive. Una dimensione che non dobbiamo trascurare è la cura, l’attenzione delle relazioni. Chi ha questo ruolo (ruolo di mantenimento) sta attendo alle relazioni. Il coordinamento sono le azioni che vengono svolte all’interno del gruppo Chi fa coordinamento? Per far si che un gruppo funzioni al meglio è quello di fare ordine insieme e questo è l’obiettivo principale del gruppo di lavoro funzionale al raggiungimento dell’obiettivo stesso. Si possono distinguere due figure che fanno coordinamento: - Il coordinatore = è na figura istituzionale, formale, definita dall’organizzazione - Il coordinamento = le azioni del coordinatore e del gruppo che vengono messe in atto, questo perché si è sempre in un contesto di interdipendenza   Il coordinamento va a definire il senso di appartenenza, crea i confini tra chi sta dentro e fuori dal gruppo. Questo è importante perché attraverso i confini andiamo a definire gli obiettivi interni al gruppo in funzione del raggiungimento di un qualcosa di esterno, quindi un obiettivo finale. Altro aspetto importante è la strategia perché va a definire la finalità verso la quale il gruppo sta andando. Le azioni di coordinamento sono qualcosa che io devo continua ad avere sempre presente lungo tutto il percorso di un gruppo, in ogni momento della vita di un gruppo di lavoro devono essere be presenti questi aspetti, devono essere controllati e ravviviate (Es: energia di un gruppo). Cosa vuol dire coordinare? - Agire per far sì che il gruppo abbia chiaro l’obiettivo da raggiungere, senza un obiettivo non si può fare un coordinamento, bisogna essere garanti di un metodo di lavoro. - Avere sensibilità delle risorse e vincoli che abbiamo a disposizione. - Garantire il metodo di lavoro Perché un obiettivo sia chiaro al gruppo, è necessario che sia visibile, che sia chiaro a tutti. Il metodo invece, una volta che è stato definito, dobbiamo continuare ad applicarlo, utilizzarlo di volta in volta a seconda dell’obiettivo specifico che ci siamo dati. Nella condizione di coordinamento passiamo da una situazione di disordine (dato dalle incertezze, da non aver definito un obbiettivo, un metodo) ad una situazione di ordine (facendo chiarezza su questi aspetti). Come facciamo a superare quest’aspetto? Deve esserci un accordo tra i componenti per evitare di mettere in atto un coordinamento poco efficace. La negoziazione tra i diversi compiti o azioni da raggiungere devono essere raggiunte, deve essere qualcosa che coinvolge tutto il gruppo ecco perché parliamo di coordinamento diffuso. Tutti devono essere consapevoli di dove sta andando il gruppo. È importante che si riesca a passare a un coordinamento operativo che viene assunto da una persona in particolare a un coordinamento diffuso dove tutti danno che stanno agendo per questo coordinamento. Il coordinamento diffuso è il passaggio attraverso il quale il gruppo di lavoro deve arrivare perché si sentano tutti coinvolti e maggiormente motivati. Questi aspetti sono funzionali per una sensazione di ordine e permette al gruppo e al singolo di sviluppare la motivazione nel contesto di lavoro.   Motivazione nei contesti di lavoro : Cosa intendiamo per motivazione nei contesti di lavoro? Motivazione = vuol dire muoversi, essere spinti verso un obiettivo, legata al contesto nel quale vogliamo raggiungere un determinato obiettivo. Può essere: - Intrinseca = quando svolgiamo un’azione a prescindere dal risultato (studio per piacere di studiare, non per il voto) - Estrinseca = affrontare un compito per ottenere qualcosa di diverso dall’attività in sé (studio per prendere un bel voto e passare l’esame)   La motivazione è influenzata da alcuni fattori = - Locus of control = interno o esterno - Stile di attribuzione = alla mia capacità di agire in quel determinato modo - Senso di autoefficacia = quanto mi sento capace e competente nello svolgere quell’azione. - Autostima    La motivazione del gruppo del lavoro è quella spinta ad agire e a impegnarsi in quello che si fa.    Ci sono diverse teorie che hanno studiato il concetto della motivazione e ci sono due grandi categorie: - Legate al contenuto: che cosa motiva le persone ad agire in un determinato modo - Legate al processo: come posso influenzare la motivazione nel gruppo   TEORIE DEL CONTENUTO Ci spiegano quali sono gli elementi che potano un individuo a essere motivato sul luogo di lavoro, ci consentono di identificare i bisogni delle persone.   Teoria di Maslow Maslow sostiene che esiste una piramide dei bisogni che ognuno deve soddisfare; Alla base e andando verso l’alto ci sono: - I bisogni primari quelli che sono legati alla sopravvivenza, come l’alimentazione, sonno, fare sesso. - I bisogni di sicurezza, anch’essi bisogni primari, come la sicurezza fisica. - I bisogni sociali: una volta soddisfatti i bisogni primari si possono soddisfare bisogni quali l’appartenenza a un gruppo o affetto. - Il bisogno di autorealizzazione: è il bisogno più alto, si raggiunge per ultimo Questa teoria è stata applicata anche sotto l’aspetto lavorativo: - Bisogni primari = salario, incentivi, condizioni lavorative - Bisogni di sicurezza = sicurezza del luogo del lavoro, benefici, tipologie contrattuali. - Bisogni di appartenenza = appartenere a una equipe, supervisione, un gruppo di lavoro. - Bisogni di stima = avere riconoscimenti, status, ricompense sociali. - Bisogni di autorealizzazione = successo, contenuti del lavoro   Teoria dei fabbisogni appresi di McClelland Questa teoria si basa sul fatto che ognuno di noi ha il bisogno di soddisfare alcuni bisogni, quali successo, potere e affiliazione. La novità di questo modello rispetto a quelli precedenti è che i bisogni sono appresi, quindi legati al contesto nel quale siamo inseriti. Il modello precedente parte dal pensiero che i modelli sono quelli, sono universali.   Secondo McClelland e Maslow un compito può essere più o meno motivante rispetto alle caratteristiche che ha: - Varietà = il lavoro richiede capacità diverse e talenti, se un compito ci consente di mettere insieme capacità diverse diventerà più motivante - Identità = il lavoro consente di svolgere un’attività dall’inizio alla fine con un risultato identificabile - Significatività = quanto quel lavoro ha un impatto sulle altre persone (vite e lavori) - Autonomia = il lavoro consente una sostanziale libertà, indipendenza e discrezione nella programmazione delle attività e nella scelta delle procedure da utilizzare. - Feedback = quanto l’individuo riceve indicazioni chiare rispetto al compito che deve  fare e quanto il tipo di lavoro trattato è stato efficace o no.   Teoria dei fattori igienici di Herzberg : Ci dice quanto possiamo essere soddisfatti o insoddisfatti a livello lavorativo. Secondo questa teoria ci sono due fattori che possiamo individuare: 1. Motivanti —> incidono la nostra soddisfazione. I fattori motivanti sono = il piacere di svolgere il proprio lavoro, quanto quel lavoro mi fa crescere, riconoscimenti economici, se si ha uno sviluppo di carriera, autonomia 2. Igienici —> definiscono una alta o bassa insoddisfazione lavorativa. I fattori igienici sono i rapporti con i colleghi e con la direzione, lo stipendio, la sicurezza sul posto di lavoro, condizioni dell’ambiente lavorativo.   Stress e Burnout Il tema del malessere è collegato al tema dello stress e burnout. Lo stress è una condizione che persone sviluppano all’interno di un ambiente legato alle richieste considerate dal singolo troppo richiedenti e la persona sente di non essere capace di sopportare peso di tale richiesta. Le richieste che vengono fatte richiedono alla persona un processo di cambiamento per adattarsi a quella situazione. Il non adattamento può causare stress nell'individuo. Questa situazione che si crea porta l’individuo a reagire per trovare una sintonia con questa dimensione richiestiva dell’ambiente. Questo porta a sviluppare una serie di emozioni e reazioni a livello cognitivo e comportamentale da parte del soggetto, per essere allineato con le richieste dell’ambiente stesso. Non sempre queste reazioni sono adattate a questa richiesta e questo porta a reazioni emotive molto intense che si sviluppano poi in risposte fisiologiche che l’organismo mette in atto e risposte psicologiche per adattarsi alla situazione.    L'individuo deve adattarsi attraverso tre livelli: - Sfera cognitiva - Sfera comportamentale - Sfera emotiva   Questo adattamento può creare una condizione stressante perché è necessario attuare un cambiamento. Le condizioni stressanti possono diventare patogene quando la condizione stressante agisce per un periodo lungo nella persona e l’individuo non reagisce. Gli stress ambientali a cui l’individuo è sottoposto sono tre: - Contenuto = compito richiesto al soggetto - Tipo organizzazione = nel quale il soggetto è inserito - Ambiente di lavoro = il clima che si respira.   Quanto la persona non riesce ad adattarsi alle richieste l’ambiente lavorativo diventa stressante.Questa condizione stressante può diventare difficile da affrontare quando la persona non riesce ad adattarsi alle richieste. Lo stress è una condizione molto soggettiva e dipende anche dalle nostre capacità di adattarci all’ambiente.  Secondo Lazarus e Folkman definivano lo stress come uno stato psicologico che si verifica quando c'è uno squilibrio tra quello che sente il soggetto e la capacità di adattarsi alle circostanze, quindi quando le sue capacità di adattarsi vengono meno rispetto alle richieste del contesto. Possiamo avere due tipi di stress: - Eu-stress = ci porta ad aver condizione ansia rispetto a quello che dobbiamo affrontare - Di-stress = è si hanno delle richieste considerate, per noi, superiori rispetto a quello che riteniamo poter agire in quel momento.   L’Eu-stress attiva in noi una condizione di ansia che riusciamo a gestire e ci porta a raggiungere. Il Di-stress ci mette davanti a una condizione in cui le richieste sono talmente elevate che ci si rende conto di non riuscire a gestirle.   Come avviene questo meccanismo legato allo stress? Si parte in una condizione di allarme, quindi ci rendiamo conto che c'è qualcosa che non sta funzionando, si è in difficoltà con le richieste che ci fa l’ambiente in quel momento. Possiamo reagire in due modi: con Eu-stress o Di-stress. Successivamente si attiva la fase dell’esaurimento, c’è l’allarme mi attivo e poi c’è di nuovo l’esaurimento perché la condizione stressante si è conclusa.   Quando abbiamo rischio di cadere in bornout? Rischiamo di cadere in burnout quando non si esaurisce lo stress, ma perdura nel tempo, questo ci porta a una condizione di malessere duraturo.   Perché siamo stressati nel contesto di lavoro? Dipende dall’ organizzazione, difficoltà organizzative che il soggetto ritiene di non poter superare o raggiungere, quindi è un contesto di lavoro troppo richiedente, come orari di lavoro faticosi o compiti poco chiari. Lo stress può essere legato anche a delle difficoltà relazionali all’interno del gruppo di lavoro oppure dei fattori soggettivi. Le nostre reazioni allo stress rispetto a delle difficoltà organizzative possono essere diverse, non è soltanto la difficoltà organizzativa a creare stress, ma anche dei fattori soggettivi, motivo per il quale ognuno di noi può reagire in modi lontani e diversificati tra loro rispetto a una condizione specifica.   Quali sono le reazioni che il nostro corpo mette in atto per reagire ad una condizine stressante? 1. Reazioni fisiche = dermatiti, perdita di capelli 2. Reazioni emotive = sentirsi insicuri, non sentirsi all’altezza e avere poca autostima 3. Reazioni a  livello cognitivo = non ci ricordiamo le cose, cala la concentrazione, diventiamo negativi 4. Reazioni a livello comportamentale = muovere le mani, muovere le gambe, isolamento, difficoltà relazionali  Cosa accade dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro in condizioni stressanti? - Ci può essere ridotta disponibilità a lavoro che richiede una turnazione (io non sono disposto ad adattarmi a quel tipo di richiesta) - Assenteismo, scarso mantenimento dei tempi di lavoro (mettersi ad esempio in malattia) - Peggioramento nella produttività e nel rendimento (quindi nel raggiungimento degli obiettivi) - Aumento dei reclami da parte della clientela - Aumento delle richieste di indennizzo da parte dei lavoratori (sono stressato perché c’è una condizione lavorativa che mi porta a star male, a sviluppare un livello di benessere molto basso).   - Le condizioni di stressor ovvero tutti i fattori di rischio psicosociale, che possono essere influenzati dall’ambiente e percepiti dall’individuo in modo soggettivo (caratteristiche cognitive ed emotive). - Abbiamo degli effetti a breve termine chiamati “Strain” ovvero delle reazioni immediate che possiamo avere rispetto ad una condizione specifica, ma se protratte possono aumentare la condizione stressante e il malessere. - Di fronte a situazioni stressanti l’individuo si attiva attraverso strategie di coping, ovvero le capacità individuali di adattarsi alla situazioni. - Tutto questo percorso ci porta a situazione di benessere o malessere che possono esser legati al burnout (massima espressione di malessere).   Burnout Il termine burnout è stato coniato in ambito sportivo per la prima volta negli anni 30 per quelle situazioni in cui un’atleta che aveva dato il massimo non riusciva a mantenere il rendimento mantenuto fino a quel momento. Negli anni 70 si prende questo termine e si applica anche all’ambio sociosanitario dove la dimensione relazionale ha un aspetto prevalente e viene considerata una sindrome.   Maslag negli anni 70/75 ha cercato di creare una scala per far capire dal punto di vista oggettivo e statistico quanto una persona fosse o no in burnout.   All’inizio degli anni 2000 il termine viene ripreso (dato un precedente abbandono a questo termine) e smette in evidenza come il burnout sia una sindrome che mette in evidenza una patologia comportamentale del singolo che possono essere ricondotte a lavori in cui è presente una dimensione relazionale.   Il burnout, quindi, è una sindrome multifattoriale, ci sono degli aspetti che portano a un rapido decadimento delle risorse individuali sia fisiche che psichiche, è un meccanismo di difesa.   Comunicare in gruppo : strutture e reti di comunicazione Cosa intendiamo per comunicare? Anzitutto possiamo dire che il gruppo esiste se c’è comunicazione, Enza un insieme di persone non si sarebbe nemmeno la comunicazione. È importante affermare che un processo comunicativo di un gruppo avviene attraverso degli scambi di significati, le attribuzioni che diamo alle parole, ai contenuti e che quindi sono condivise all’intento di un gruppo particolare. Attraverso la comunicazione andiamo anche a definire il tipo di relazioni che ci sono tra i diversi componenti nel gruppo. Il processo comunicativo non è soltanto un’insieme di contenuti che vengono trasmessi ma va anche a regolare il tipo di relazione che c’è tra i diversi componenti del gruppo. Ci sono delle distinzioni di reti di comunicazione dalla struttura di comunicazione: 1. Le reti di comunicazione corrispondono a quell’insieme canali che possiamo utilizzare per farci comprendere dall’altro, per far sì che avvenga questo passaggio di contenuti (es. di canali che si utilizzano per comunicare: voce, computer, corpo). Ci sono situazioni in cui, per esempio non c'è un insieme di canali, ma un canale solo, come quando parliamo al telefono perché sentiamo la voce dell'altra persona, il tono, ma non possiamo osservare i movimenti e le espressioni, ci perdiamo la complessità, il linguaggio del corpo. Con la telefonata quindi ci perdiamo un’insieme di informazioni comunicative che ci possono aiutare a comprendere meglio una determinata situazione. 2. Le strutture di comunicazione sono quell’insieme di comunicazione che avvengono in un gruppo, sono i passaggi comunicativi che avvengono tra i diversi concorrenti del gruppo, come le prese di parola. Attraverso le strutture di comunicazione si può capire che parla di più chi parla di meno attraverso le micro interazioni che ci consentono anche di qualificare il tipo di comunicazione.   Cosa vuol dire comunicare? Vuol dire legare insieme, mettere in comune dei contenuti per far partecipe l’altro in un gruppo del processo comunicativo. Quando parliamo di comunicazione ci riferiamo a una comunicazione, ad una partecipazione che avviene all’interno di un gruppo dove avvengono un insieme di relazioni che sono basate sul processo comunicativo. All’interno di un gruppo ci sono dei turni di parola, a seconda di chi sta parlando ottiene il turno di parola. Nel gruppo ci sono regole che vengono gestite in modo formale o informale. Quando si parla di comunicazione bisogna fare riferimento a dei codici specifici che quel gruppo si è dato (per esempio la lingua da utilizzare). Quindi sappiamo che in ogni gruppo ci sono codici particolari che sono legati al linguaggio verbale, ma anche a quello non verbale perché certi segni che usiamo sono diversamente interpretabili davanti ad alcune culture.   Nel processo comunicativo avviene che l’emittente invia un messaggio e il ricevente (possono essere una o più persone) lo riceve. Cosa succede? 1. L’emittente pensa a quello che vuole dire o esprimere, quindi codifica il messaggio nel suo linguaggio e lo emette attraverso i canali comunicativi al ricevente 2. Il ricevente avrà un suo codice specifico e lo codificherà con quest’ultimo. Se però i due codici non sono gli stessi possono esserci problemi tra le persone dal punto di vista comunicativo e informativo.    Inizialmente la struttura comunicativa era stata pensata come un processo lineare, quindi la comunicazione passata dall’emittente al ricevente. Successivamente si è capito che il processo comunicativo è circolare, quindi la comunicazione passa dall’emittente al ricevente, ma il ricevente nel momento in cui gli arriva l’informazione, attraverso un’azione di feedback dà un messaggio di ritorno. Quindi emittente e ricevente si scambiano a vicenda i ruoli, prima l’emittente è emittente e nel momento in cui il ricevente gli invia un feedback diventa ricevente. Come avviene il feedback? - Può essere un feedback verbale, quindi esprimere a voce un’opinione su quanto appena detto. - Può essere un feedback non verbale, per esempio quando un docente fa lezione e gli alunni prendono appunti oppure hanno gli occhi sbarrati e sono distratti si rende conto che qualcosa non sta funzionando nel processo comunicativo.   Quando si parla di emittente e ricevente, tra i due c’è un largo spazio che è il passaggio del messaggio, delle informazioni.All’interno di questo spazio sono presenti dei rumori che possono andare a far si che la comunicazione non arrivi nel modo corretto. Possiamo parlare di rumori: - Fisici = un rumore fastidioso mentre si parla, tipo suono delle sirene - Psicologici = quelle condizioni mentali che non ci permettono di essere concentrati nel modo corretto per quando riguarda l’emittente, ma anche che il ricevente non riesce a cogliere le informazioni. I rumori psicologici possono essere: 1. Immediati —> dovuti a circostanze specifiche, legate a quel contesto particolare 2. A lungo termine —> dati dalla nostra formazione, dai nostri valori   Dobbiamo essere consapevoli di avere questi rumori psicologici e farci attenzione. Quando comunichiamo il nostro processo comunicativo parte dal nostro pensiero: si parte da un’intenzione comunicativa (che cosa voglio comunicare oggi?) che possiamo definire come il 100%. DI quello che vorrei dire ne riesco a dire solo il 70%, all’interlocutore però ne arriva il 40%, di cui un 20% lo capisce e un 10% lo ricorda. Per poterle ricordare con attenzione le cose bisogna rivederle, per capirle meglio devo avere una partecipazione attiva.    Watzlawick ha messo a punto gli assiomi della comunicazione: 1. Non si può non comunicare = tutte le volte che sono in una condizione relazionale, anche col non verbale, sto comunicando 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e relazione = il tipo di relazione viene messo in evidenza attraverso le parole o il tono della voce. 3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura nelle sequenze di comunicazione tra i diversi partecipanti = c’è una dimensione relazionale che passa attraverso il tipo di comunicazione che avvengono tra i partecipanti, c’è sempre uno stile comunicativo nei processi di comunicazione. 4. Comunichiamo attraverso il verbale (numerico) e il non verbale (analogico), ma a volte ci possono essere fraintendimenti = il verbale e il non verbale possono non essere congruenti e ci possiamo essere dei fraintendimenti (persone che piange e litiga i due codici funzionano, se una persona ride e dice che è stato mollato dalla fidanzata c’è qualcosa che non va, non si capisce se è felice o se ci soffre lo stesso) 5. Tutti gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari = simmetria e complementarietà possono variare, una relazione simmetrica può diventare complementare e viceversa.   ASSIOMA 1: “NON SI PUO’ NON COMUNICARE” Il comportamento è un messaggio. Non tutta la comunicazione è volontaria, ci sono degli aspetti non volontari che non sono sotto il controllo dell’individuo ma emergono e mettono in evidenza la propria difficoltà di essere in quella situazione. Per esempio durante un’interrogazione può capitare che una persona non sappia rispondere, quindi sta zitta e diventa rossa. Anche questo ci comunica qualcosa: che è in difficoltà, che sta male in quella situazione. Quindi anche il silenzio ci può comunicare qualcosa. Siamo in qualsiasi caso una sorgente informativa per chi ci guarda.  Le reti di comunicazione in un gruppo Nella prima immagine presente nelle slide i pallini singoli sono gli individui nel gruppo, sono tutti separati.   Nella seconda immagine abbiamo una rete relazionale fitta dove tutti i componenti possono interagire con tutti i soggetti, qui c’è più relazione e passaggi comunicativi.   Possiamo avere diversi modi di comunicare, possiamo avere un partecipazione più consensuale o più normalizzata. All’interno di questi modi di comunicare possiamo avere alcuni tipi di reti di comunicazione come: - Rete centralizzata o a ruota = tutte le informazioni passano per il centro, attraverso il perno della figura, quindi chi sta ai lati della ruota non comunica con gli altri componenti che stanno sulla parte esterna, non c’è uno scambio complessivo tra tutti i partecipanti (è come se fosse un +).              - Rete a Y = abbiamo una sinergia tra la “la rete a ruota” e la “rete a catena”. La “Rete Y” mette insieme la centralizzazione della rete a ruota e la catena nella parte più lunga dell’altra rete - Reta a catena = il flusso comunicativo parte da un punto fino ad arrivare al punto opposto, la comunicazione però potrebbe distorcersi (es: il telefono senza fili) - Rete circolare o a cerchio = tutti i componenti comunicano con tutti, c’è un flusso comunicativo alto in quanto c’è uno scambio complessivo tra tutti i componenti.   Per definire una rete ci sono degli indici: - Indice di distanza = definisce quali sono il numero di passaggi minimi che devono avvenire affinché una comunicazione passi da un soggetto a un altro (più ampio nella rete a catena, minore della rete circolare o a cerchio) - Indice di centralità = misura il flusso di informazioni che avviene nella rete e quanto questo flusso sia centralizzato su una persona (più ampio nella rete centralizzata, minore nella rete circolare definite decentralizzata in quanto l’informazione è patrimonio comune di tutti i membri). Qual è la rete comunicativa più efficace? Dipende dal contesto, quindi da compito. Se ho un compito difficile e complesso la rete più funzionale è la rete a cerchio perché c’è più comunicazione e confronto, le informazioni sono condivise. Dal punto di vista delle tempistiche e della facilità di un compito la rete più funzionale è la rete a ruota o centralizzata, arrivano le informazioni dai collaboratori e la persona che decide è solo una. Se il compito è complesso diventa disfunzionale questa tipologia di rete perché ci sono troppe informazioni che arrivano a chi ha il potere decisionale avendo un forte sovraccarico emotivo e di responsabilità.   Per quanto riguarda la soddisfazione i partecipanti più soddisfatti sono quelli della rete a cerchio perché tutti hanno partecipato e dato il loro contributo. Nella rete a ruota invece la soddisfazione maggiore lo ha chi è al centro, gli altri meno perché sono meno attivi nelle decisioni.   La comunicazione deve avere tre caratteristiche importanti : - Interattivo = aspetto su cui si basa il gruppo - Formativo = deve dare delle informazioni - Trasformativo = porta a cambiare i posizionamenti nel gruppo   Una comunicazione per essere efficace deve essere: - Finalizzata = bisogna parlare di argomenti inerenti all’obiettivo da raggiungere - Pragmatica = basata sui fatti, su ciò che bisogna fare - Trasparente = bisogna evitare incongruenze tra verbale e non verbale, deve essere tutto chiara e precisa - Situazionale = legata a quel contesto particolare   
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