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Guide e consigli
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Psicologia dell'arte, Dispense di Psicologia Della Percezione

Appunti presi durante il corso che mi hanno permesso di passare l'esame a pieni voti.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 17/02/2024

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serena-greppi-2 🇮🇹

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Scarica Psicologia dell'arte e più Dispense in PDF di Psicologia Della Percezione solo su Docsity! Psicologia dell’arte L'arte è una Sfinge: il bello della Sfinge è che devi interpretarla. Quando hai trovato una interpretazione, sei già salvo. L'errore della gente è credere che la Sfinge possa dare una sola risposta esatta. In realtà ne dà cento, mille, forse nessuna. Può darsi che l'interpretazione non ci porti alla verità, ma è un esercizio che ci salva." Saul Steinberg Obiettivi del corso: - Conoscenza e comprensione • Approcci teorici e metodologici della psicologia applicata allo studio delle arti; • Il rapporto tra stile, forma e contenuto; • Struttura e fruizione estetica; • Il rapporto tra arte e comunicazione. - Capacità di applicare conoscenza e comprensione • Declinazione dell’esperienza estetica: componenti percettive, cognitive e affettive; • Capacità di relazionarsi alle opere d’arte a prescindere dal proprio gusto; • Implementazione di esercizi pratici per lo sviluppo di ‘soft skills’ relazionabili sia alla comunicazione nei contesti artistici che alla pratica comunicativa in generale. Argomenti generali del corso: • Definizioni di arte e di psicologia dell’arte; • I rapporti tra estetica sperimentale e arte; • I diversi approcci teorici della psicologia alle arti: materiali e metodi; • Ipotesi sull’origine dell’arte; • Il problema della verosimiglianza.; • Arte e Scienza; • Forma e contenuto: stile e gusto; • Arte e comunicazione; • Arte visiva e spazio; • Arte visiva e luce. Bibliografia • Massironi M. (2013). L’osteria dei dadi truccati. Milano: Mimesis. • Slide delle lezioni e tutto il materiale che sarà messo a disposizione dal docente sul sito e-learning. • Un testo a scelta tra i seguenti: a) Gombrich E.H., Freud e la psicologia dell'arte, Einaudi. b) Arnheim, R. (2005). Guernica. Genesi di un dipinto. Abscondita c) Bonfante, L. (2019). Catastrofi d'arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento. Johan & Levi. Lezione 2 – Definizioni - Da Wikipedia: The psychology of art is an interdisciplinary field that studies the perception, cognition and characteristics of art and its production. For the use of art materials as a form of psychotherapy, see Art Therapy. The psychology of art is the scientific study of cognitive and emotional processes precipitated by the sensory perception of aesthetic artefacts, such as viewing a painting or touching a sculpture. It is an emerging multidisciplinary field of inquiry, closely related to the psychology of aesthetics, including neuroaesthetics.[1][2] The psychology of art encompasses experimental methods for the qualitative examination of psychological responses to art, as well as an empirical study of their neurobiological correlates through neuroimaging. Morale: Wikipedia va bene per prendere delle prime nozioni su un argomento, ma non è una sorgente affidabile, perché chiunque può modificare una voce. Non c'è authorship, e perciò nessuno può essere ritenuto responsabile per ciò che viene scritto. - Da Treccani (definizione di “Psicologia”): Scienza che studia i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi (percezione, attenzione, memoria, linguaggio, pensiero ecc.) e dinamici (emozioni, motivazioni, personalità ecc.) Definire l’arte “A tutt’oggi, non ho trovato miglior definizione dell’arte di questa, L’arte è l’uomo aggiunto alla natura – natura, realtà, verità. Ma col significato, il concetto, il carattere che l’artista sa trarne, che libera e interpreta.” Vincent Van Gogh - Lettera al fratello Theo, 1879. - Da Wikipedia: L'arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza. Nella sua accezione odierna, l'arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni e "messaggi" soggettivi. Tuttavia, non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice inequivocabile di interpretazione. Nel suo significato più sublime, l'arte è l'espressione estetica dell'interiorità umana. Rispecchia le opinioni dell'artista nell'ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico. - Da Treccani: In senso lato, ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati. Il concetto di arte come tèchne, complesso di regole ed esperienze elaborate dall’uomo per produrre oggetti o rappresentare immagini tratte dalla realtà o dalla fantasia, si evolve solo attraverso un passaggio critico nel concetto di a. come espressione originale di un artista, per giungere alla definizione di un oggetto come opera d’arte. Nell’ambito delle cosiddette teorie del ‘bello’, o dell’estetica, si tende infatti a dare al termine arte un significato privilegiato, per indicare un particolare prodotto culturale che comunemente si Lezione 3 - Tassonomie Si tratta di una branca della biologia che studia comparativamente i diversi organismi viventi e li raggruppa in base a caratteristiche comuni. La tassonomia è quindi un metodo e un sistema di descrizione e classificazione. Il termine può essere esteso ad indicare classificazioni sistematiche anche di entità non naturalistiche. Affinché una tassonomia sia efficace e abbia senso, si devono poter individuare, e quindi distinguere, le caratteristiche comuni interclasse e le specificità intraclasse. La domanda a cui si deve rispondere è quindi: “Quali sono le caratteristiche e le specialità proprie delle diverse produzioni artistiche?” - In linea generale, le tassonomie partono da macro-aspetti della realtà, affinando poi la classificazione tramite l’individuazione di caratteristiche distintive. Per esempio, per quanto concerne il regno naturale possiamo distinguere tra entità biologiche (che cioè hanno bisogno di un apporto energetico per svilupparsi) da entità non biologiche. Tra le entità biologiche possiamo distinguere poi il regno animale da quello vegetale, e così via. - Si possono tuttavia determinare tassonomie partendo da altre caratteristiche. Per esempio, nel regno animale possiamo classificare in base al modo in cui l’animale si sposta nell’ambiente, al modo in cui si riproduce, in base ai colori o ad altre caratteristiche della livrea, ecc. Tratto da Massironi M.: “The psychology of graphic images. Seeing, drawing, communicating”. Si hanno diversi modi di classificare l’arte: 1- Classificazione classica (le sette arti + altro) - Pittura: oltre alle varie tecniche pittoriche, comprende il disegno, l’incisione. Problema: comprende anche la grafica digitale? - Scultura: comprende molte delle cosiddette arti plastiche. Problema: Land art? - Architettura: tutto ciò che ha a che fare con la progettazione e costruzione di ambienti e luoghi. Problema: Land art? - Teatro: tutto ciò che ha a che fare con la rappresentazione teatrale. Problema: La lirica? - Letteratura: tutte le arti che si avvalgono del linguaggio scritto. Problema: il testo teatrale? Il fumetto? - Musica. Problema: le colonne sonore scritte per il cinema? Lo spartito? La lirica? - Cinema: tutte le produzioni cinematografiche. Si possono includere anche le produzioni televisive. Problema: esiste un’arte radiofonica? 2- Caratteristiche “materiali” dell’opera 3- Modalità di fruizione 4- Dinamicità o evoluzione temporale dell’opera È assai arduo classificare l’arte in base alle sue caratteristiche temporali e dinamiche. Lezione 4 – Bello – Brutto, Buono – Cattivo “C’è una classe di oggetti che ha la proprietà̀ di indurre in chi li osserva, o si intrattiene con essi, uno stato psicologico particolare, fatto di attrazione, ammirazione, piacere, emozione, curiosità, interesse, meraviglia ... Sono oggetti artificiali costruiti per gli scopi più diversi, che vengono chiamati opere d’arte.” Massironi, 2000 Motivazione e Arte Perché la gente fa quel che fa? Buona parte del comportamento umano è guidato da scopi. Le ragioni, o gli scopi, che appaiono dirigere il nostro comportamento sono i nostri motivi, cioè̀ le ragioni per cui ci “mettiamo in moto”, ovvero attiviamo certi comportamenti. I risultati che il nostro comportamento sembra diretto a raggiungere sono i nostri obiettivi. Si può̀ definire la motivazione come il “processo di attivazione dell’organismo finalizzata alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali presenti”. Due problemi nello studio delle motivazioni: 1. Gli stessi comportamenti possono essere determinati da motivi diversi. Ad esempio, un venditore può̀ ridere alla vostra barzelletta perché è effettivamente divertente, oppure ride per compiacervi in quanto mira a vendervi qualche cosa. 2. Si può non essere del tutto consapevoli delle ragioni soggiacenti alle proprie azioni. Ad esempio, si può̀ pensare di mangiare un gelato perché si ha fame, ma potrebbe essere che il gelato appare piuttosto attraente e vi fa venire voglia, oppure ancora potrebbe essere che si voglia compensare una sensazione di solitudine consumando un dolce che riporta alla propria infanzia. Libero arbitrio e determinismo Da sempre gli esseri umani sono interessati alla questione di che cosa spinge a compiere una determinata azione. Dai tempi di Platone e Aristotele fino a tutto il Medio Evo, e probabilmente ancora oggi, la dottrina dominante è che la mente controlla il comportamento, e che gli esseri umani sono liberi di scegliere che cosa fare. È la dottrina del libero arbitrio: benché́ le decisioni possano essere influenzate da stimoli esterni e da bisogni e desideri interni, le azioni sono controllate dalla ragione. Al versante opposto vi sono le dottrine deterministiche: il comportamento umano, come quello animale, è soggetto alle leggi di causa ed effetto. Una volta specificato in che modo l’ambiente determina il comportamento si è detto tutto quello che c’è da dire sulla motivazione. Prima distinzione: Lo scopo di un’opera d’arte non esaurisce la sua funzione. Esempio: un edificio progettato da un architetto ha certamente lo scopo di accogliere le persone entro uno spazio definito. Tale scopo fa parte della sua funzione, ma non la esaurisce, in quanto lo spazio può essere modulato in funzione simbolica, affettiva, celebrativa, ecc. Concetto di Estetica Estetica: termine con cui, a partire dal 1700, si indica la disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte. Il termine deriva dal greco aistêtikòs = sensibile, capace di sentire, dal tema aisthànomai = percepisco attraverso i sensi, e aisthêsis = sensazione, sentimento. Il termine “Estetica” fu introdotto da Alexander Gottlieb Baumgarten, intesa come teoria della conoscenza sensibile, la quale si occupa sia della mera conoscenza sensibile (attraverso i sensi), sia della “Teoria del bello”. Per il filosofo, l'estetica è la scienza della conoscenza sensibile. E perciò riguarda anche il bello, che è anch'esso dipendente in larga misura dalla conoscenza sensibile. Immanuel Kant, nella Critica del giudizio (1790), intende il termine “Estetica” come il giudizio di bello e di sublime nella natura e nell’arte. Per Kant il bello non è una categoria dell’oggetto, ma un predicato che riguarda l’osservatore che giudica essere bello/a una cosa. Qui trova radici l’idea del bello come dato soggettivo, legato al fruitore. Estetica = il bello e il sublime in arte e natura. Ma qui sorge una domanda: Il bello è l’unico fattore che rientra nell’esperienza estetica suscitata dalla fruizione di un’opera d’arte? Qual è la differenza tra bello e buono? Gli aggettivi “bello” e “buono” indicano entrambi esperienze positive, legate a sensazioni piacevoli. Ma quando è corretto usare l’aggettivo “buono” invece di “bello”, e viceversa? A quali esperienze rimandano quegli aggettivi? Partiamo dal ragionare suo concetti opposti a bello e buono, ovvero brutto e cattivo. Brutto è l'opposto di bello: ciò̀ che è brutto è decisamente non bello. "Dubuffet credeva che l'art brut avrebbe rivoluzionato i musei tradizionali, agendo come un contro- potere. Ma in realtà è avvenuto il contrario: l'art brut è stata inghiottita dal mondo dell'arte, compreso il mercato dell'arte contemporanea" Sarah Lombardi, direttrice della Collection de l'Art Brut a Losanna. Un cattivo dipinto è un dipinto in cui la tecnica pittorica e/o l’abilità dell’esecutore sono mediocri, oppure inadeguati al compito. Un bel dipinto, in quanto a composizione armonica, resa dello spazio, capacità di rappresentazione di “accidenti” e di “moti mentali”. Un cattivo dipinto, in quanto la tecnica adottata da Leonardo non era adatto alla tecnica dell’affresco. Ricapitolando: Bello-Brutto Qualità̀ estetiche che si possono raccogliere mediante i sensi della vista e dell’udito. Buono-cattivo - Qualità̀ morali co-determinate dall’individuo e dalla società̀. - Qualità̀ materiali, per esempio una cosa di buona fattura, una cosa di cattiva fattura. Entrambe le coppie insistono sul piacere ma in modo diverso: buono-cattivo sono qualità edonistiche che si possono percepire tramite qualsiasi dei nostri sensi, e che perciò inducono sensazioni piacevoli: un buon sapore / un cattivo sapore, un buon odore / un cattivo odore, una buona ricezione acustica / una cattiva ricezione acustica, una buona resa visiva / una cattiva resa visiva... In tempi ormai lontani, ciò che era considerato brutto aveva anche scarse qualità morali. Talvolta il brutto era in tutto e per tutto considerato immorale, cioè privo di una condotta morale e quindi qualche cosa che si avvicinava di più al regno animale (contrapposto cioè all’umano). - Definire il bello: canoni che si ripetono e si rinnovano. - Definire il brutto: ciò che riteniamo brutto lo troviamo anche ripugnante e spesso intellettualmente inferiore. Il Male, per esempio, era perlopiù̀ rappresentato come una figura grottesca, orrida, mezzo uomo e mezzo animale, deforme, ecc. Solo in anni più recenti il Male è stato raffigurato tramite sembianze piacevoli, per esaltare la sua forza di seduzione in una società dove l’apparenza sembra contare più della sostanza. Lezione 5 – Psicologia e arte, Arte e psicologia Ogni psicologo che si è interessato di arte si appoggiava ovviamente al suo bagaglio di convinzioni e di teorie. È accaduto perciò che invece di affrontare la questione arte in maniera aperta e problematica, quasi tutti gli psicologi andassero a cercare nell’arte prove a conferma delle proprie ipotesi e convinzioni psicologiche. Poiché il campo dell’arte è ampio e ricco, tutti hanno trovato qualcosa ed hanno ritenuto si trattasse di ciò che cercavano. Il risultato è stato che l’arte ha fornito rassicurazioni alla psicologia, mentre la psicologia non ha contribuito che in modo trascurabile a spiegare l’arte. [...] Il fallimento risiede nel fatto che la psicologia dell’arte non è autonomamente riuscita a stabilire con chiarezza né il suo oggetto di studio, né il metodo o i metodi con cui affrontarlo. Massironi, 2000 A proposito di Psicologia dell’arte… This is a brief sketch of a large and widely scattered subject. It is difficult to summarize, partly because it is not a definitely integrated science or branch of scholarship with consistent methods, accepted aims, and boundaries. Important contributions to it have been made in many other fields: in philosophy, general psychology and psychoanalysis, art criticism, anthropology, and elsewhere. It is hard to draw a line between these contributions and the psychology of art as a subject in its own right. Munro T (1963). The psychology of art: Past, present, future. The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 21, 263-282. à è difficile trattare la psicologia dell’arte come un oggetto da trattare esclusivamente relativo a se stesso. Il problema si trascina negli anni, senza che vi si trovi una soluzione. Perché? La psicologia e l’arte Psychology takes more from the arts (e.g. its materials) than it gives back (i.e. illuminating scholarly and artistic concerns). I argue that, if the scientific psychology of art is to become fully interdisciplinary, it has to take greater account of artistic sensibilities and expertise. Lindauer M S (1998). Interdisciplinarity, the psychology of art, and creativity: An introduction. Creativity Research Journal, 11, 1-10. à se la psicologia dell’arte scientifica deve diventare interdisciplinare devono esserci degli scopi e degli oggetti comuni. Ad esempio, la nascita dell’opera d’arte ha tutt’altro bagaglio rispetto alla fruizione dell’opera d’arte. Il ruolo dello stile La pura forma, intesa come oggettivizzazione della rappresentazione, è una chimera. Le forme scelte da un artista sono ampiamente condizionate dallo stile dell’artista, che a sua volta è condizionata dallo stile imperante che caratterizza la società in cui l’artista si trova a vivere, nonché il suo periodo storico. Lo stile è una caratteristica complessa, che contribuisce sia a modulare che a creare il contenuto, cioè il significato dell’opera. Gombrich si chiede se sia artisticamente più interessante l’originale di Bonnencontre, assai leziosa e stucchevole, o l’opera vista attraverso lenti deformanti, con una resa simile all’impressionismo. Nelle tre immagini il tema mitologico viene usato come pretesto per una rappresentazione erotica, privata cioè del simbolismo che caratterizzò la pittura rinascimentale. Impressionismo Deriva dall’epiteto, inizialmente usato in senso spregiativo contro i pittori del gruppo, tratto dal titolo di un quadro di Monet, “Impression: soleil levant” 1873, Parigi, Musée Marmottan). Il movimento trova le sue fonti di ispirazione nella pittura romantica (E. Delacroix), nel verismo di G. Courbet, nell’osservazione del vero dei paesisti di Barbizon, nel lirismo pittorico di J.-B.-C. Corot. Si oppone alla pittura accademica ufficiale operando per la costruzione di una diversa e precisa concezione dell’arte. Il riferimento esplicito a teorie scientifiche sulla visione, come le indagini di M.-E. Chevreul sul complementarismo dei colori, o all’arte giapponese (conosciuta attraverso le incisioni di Hokusai e Hiroshige), prova come gli impressionisti ricercassero nuovi e più attuali valori della visione, in un assunto essenzialmente naturalistico e antiaccademico, rifiutando ogni nozione acquisita dell’oggetto per affidarsi all’immediata impressione del vero. Essi tendono a cogliere gli effetti di luce, come l’impressione più immediata della visione; negano l’illuminazione artificiosa dell’atelier, sostenendo la pittura all’aria aperta (en plein-air), rinunciando al chiaroscuro artificiale in favore di ombre colorate, usando una maniera rapida e sciolta. Il risultato è una fusione totale di oggetto e spazio, inteso come fenomeno cromatico e luminoso. Emerge l’interesse per la realtà attuale, la ricerca di una libertà totale, nel soggetto e nell’espressione, nel rifiuto di ogni processo ideologicamente canonico di rappresentazione; donde lo scandalo suscitato da dipinti come “Le déjeuner sur l’herb”e di E. Manet (1863, Parigi, Musée d’Orsay) o le “Impression”s di Monet. Freud (1856-1939) e il surrealismo (1938, Lettera a Stefan Zweig): Devo realmente ringraziarla per quello che il visitatore di ieri mi ha rivelato. Fino a ora ero incline a considerare i surrealisti, che sembra mi abbiano prescelto come loro santo patrono, dei puri folli, o diciamo puri al 95 per cento, come l'alcool... Il giovane spagnolo con i suoi occhi evidentemente sinceri e fanatici e la sua innegabile maestria tecnica mi ha suggerito una diversa valutazione. Sarebbe davvero assai interessante esplorare analiticamente le origini di una pittura del genere. Eppure come critico uno potrebbe avere il diritto di dire che il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti. Tuttavia, questi sono problemi psicologici seri. Le riserve ed i dubbi di Massironi: 1) È necessaria una nevrosi per produrre un’opera d’arte? 2) Aver constatato la nevrosi in alcuni casi consente di generalizzare il principio? 3) In che rapporto sta la nevrosi dell'artista con quello del critico? 4) In che rapporto stanno queste due nevrosi con quello che caratterizza i spettatori? La rappresentazione di figure umane nelle opere d’arte è spesso accompagnata da un tentativo di riprodurre stati d’animo ed emozioni. Questi sono oggetti di studio della psicologia. Tuttavia, risalire dalla rappresentazione di stati d’animo ed emozioni alla scoperta delle motivazioni profonde ed inconsce che sottostanno all’atto creativo dell’artista è un’operazione del tutto arbitraria. Il rischio di mistificazione è altissimo, come già hanno sottolineato a loro tempo i coniugi Wittkower. La psicoanalisi non è forse il metodo migliore per indagare le personalità degli artisti; come approccio per spiegare l’arte, oppure l’atto creativo, ha indubbiamente più limiti che pregi. Tuttavia, proprio la psiche malata diviene un motivo, quando non proprio un tema, analizzato dagli artisti. La follia, infatti, è un tema presente nell’arte. Il tema della follia è già stato oggetto di raffigurazione nell’arte europea prima degli scritti di Freud. Ma se è vero che l’arte è stata la miglior fonte d’ispirazione per la creazione della psicoanalisi, è altrettanto vero che l’avvento della psicoanalisi e le sue scoperte sull’inconscio hanno influenzato enormemente il mondo dell’arte in generale, lasciando tracce indelebili che oramai fanno parte del bagaglio culturale del mondo artistico (basti pensare al movimento surrealista, l’Espressionismo austriaco, l’uso del flusso di coscienza in letteratura...). Andreoli, 2020 Surrealismo Dal Primo Manifesto del surrealismo (André Breton): Noi viviamo ancora sotto il regno della logica: ecco chiaramente dove volevo arrivare. Ma i processi logici, ai giorni nostri, s'applicano unicamente alle soluzioni di problemi di secondario interesse. Il razionalismo assoluto che rimane di moda permette di prendere in considerazione nient'altro che i fatti strettamente riferibili alla nostra esperienza. I fini logici, al contrario, ci sfuggono. Inutile aggiungere che l'esperienza stessa s'è ritrovata chiusa tra limiti assegnati. Essa s'agita in una gabbia da cui è sempre più difficile farla evadere. S'appoggia anch'essa all'utile immediato ed è sorvegliata dal buon senso. Sotto il color della civiltà, col pretesto del progresso, si è giunti a bandire dallo spirito tutto ciò che, a torto o a ragione, può essere tacciato di superstizione, di chimera, a proscrivere ogni metodo di ricerca della verità che non sia conforme quello in uso. È stato per un formidabile caso, almeno in apparenza, che recentemente si pose in luce una parte del mondo intellettuale, per me importantissima, verso cui si ostentava trascuratezza. Bisogna ringraziare le scoperte di Freud. In forza di tali scoperte si manifesta finalmente una corrente d'opinioni per cui l'indagine umana si potrà spingere più lontano nelle proprie ricerche, finalmente autorizzata a non tener più solo conto di sommarie realtà. L'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti. Se le profondità del nostro spirito racchiudono strane forze capaci d'aumentare le forze di superficie o di contrapporsi vittoriosamente a esse: v'è tutto l'interesse a captarle prima, per poi sottometterle, se appare necessario, al controllo della nostra ragione. Gli analizzatori stessi non hanno che da guadagnarvi. Ma è indispensabile osservare che nessun metodo è imposto a priori per definire tale impresa e che sino a una nuova rivelazione essa può appoggiarsi tanto sulle energie dei poeti quanto su quelle dei dotti, e che infine il suo successo non dipende dalle vie più o meno capricciose che saranno seguite. Definizione del termine “surrealismo” dato da Breton: Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. Definizione per un’enciclopedia filosofica: Il Surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d'associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita Gustave Theodor Fechner (1801-1887) S = K Log I dove: - S: sensazione; - I: intensità fisica dello stimolo; - K: costante di Weber, specifica per ogni continuum fisico. La psicofisica di Fechner nasce per confutare sul proprio terreno il materialismo: Fechner voleva dimostrare la “falsità” del mondo fisico, sostenendo che l’unica realtà è quella mentale. Opera di Fechner: Elementi di Psicofisica, 1860 Opera di Fechner: Vorschule der Aesthetik (manuale di estetica), 1876 “Controllare le relazioni quantificabili a livello dello stimolo fisico e ricavarne delle valutazioni lungo una dimensione psicologica. Tale dimensione era la gradevolezza, o la preferenza estetica.” Massironi, 2000, p. 57. Nel 1879 Wundt fonda ufficialmente a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale. Con quel trattato, Fechner pone le basi metodologiche e teoriche dell’estetica sperimentale: una psicologia sperimentale che si voleva applicata al fenomeno artistico inteso come oggetto esprimente bellezza e armonia. Fechner intendeva indagare: - le reazioni di piacere dinanzi alle caratteristiche estetiche di stimoli; - le caratteristiche che inducono uno stimolo estetico ad essere preferito rispetto a un altro. Per Fechner, lo studio scientifico dell'estetica (in contrapposizione all'approccio filosofico) deve fondarsi su una procedura dal basso: deve essere basata su una iniziale e progressiva ricerca sistematica delle componenti elementari che determinano le reazioni di piacere/dispiacere nei confronti dell’arte. In questo l’estetica sperimentale (o empirica) si differenzia dall’estetica filosofica, che ha carattere cioè deduttivo. In particolare, gli esperimenti descritti da Fechner hanno cercato la conferma sperimentale della superiorità della sezione aurea come proporzione che influisce positivamente sul giudizio estetico. La differenza minima tra due stimoli che riusciamo ad avvertire (soglia differenziale), varia con l'ordine di grandezza degli stimoli, più precisamente accresce secondo il logaritmo dell’intensità della stimolazione fisica. La sezione aurea Dato un segmento AC, si ottiene una sezione aurea quando il suo tratto più corto BC sta a quello più lungo AB come il tratto più lungo AB sta al segmento intero AC. Poiché Dio portò in essere la virtù celestiale, la quinta essenza, e attraverso di essa creò i quattro solidi ... la terra, l'aria, l'acqua e il fuoco ... così la nostra sacra proporzione diede forma al cielo stesso assegnando al dodecaedro ... il solido costruito con dodici pentagoni, che non può essere costruito senza la nostra sacra proporzione. Luca Pacioli, De divina proportione (1498) Le cinque proprietà di questa meravigliosa proporzione che la rendono divina: 1) Come Dio, è unica; 2) Come la Santa Trinità è una sostanza in tre persone, così la sezione aurea è una proporzione in tre termini facenti parte di uno stesso segmento. 3) Comme Idio proprialmente non e po definire né per parolle a noi intendere, così questa nostra proportione non se po mai per numero intendibile assegnare, né per quantità alcuna rationale exprimere, ma sempre fia occulta e secreta e dai mathematici chiamata irrationale. 4) Come Dio, è sempre simile a se stessa. 5) Permette di formare il dodecaedro (volume formato da 12 pentagoni) che Platone nel Timeo definisce l’espressione stessa della quintessenza. Nel cercar di dimostrare che un sistema di proporzioni è stato deliberatamente applicato da un pittore, uno scultore o un architetto, si è facilmente portati a trovare in una data opera proprio i rapporti che si cercano. Il compasso, in mano al ricercatore, non si ribellerà. Se vogliamo evitare le delusioni della speculazione oziosa, dobbiamo cercare le nostre direttive nei rapporti forniti dagli stessi artisti. Cosa curiosa, non è mai stato fatto sistematicamente. Rudolf Wittkover, 1964 Si ritiene che molti capolavori tramandati a noi attraverso i secoli siano strutturalmente basati su rapporti “aurei”. Un esempio può essere il caso della facciata del Partenone. La convinzione che la seziona aurea sia la misura matematica della bellezza è talmente diffusa anche al giorno d’oggi che si moltiplicano le dimostrazioni della sua applicazione. Fechner ha utilizzato tre metodi di indagine: 1) Metodo della scelta: scegli tra i 10 rettangoli quella esteticamente più piacevole. Nel caso non riesci a deciderti, puoi sceglierne più di una che secondo te sono piacevoli in modo uguale; 2) Metodo della produzione: disegna un rettangolo in modo tale che risulti piacevole; 3) Misurazione di artefatti umani: determinare le proporzioni espresse maggiormente nelle opere d’arte. La misura estetica è cioè determinata dal prodotto Ordine * Complessità. Definizione di “Ordine”: Assetto, disposizione o sistemazione razionale e armonica di qualcosa nello spazio o nel tempo secondo esigenze pratiche o ideali. Zanichelli (1984) Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione. Disposizioni quali la planimetria di una città o di un edificio, un insieme di utensili, un’esposizione di mercanzia, la manifestazione verbale di fatti o di idee, ovvero quali un dipinto o un brano musicale, sono disposizioni dette tutte ordinate quando sia possibile a chi le osservi o le ascolti coglierne la struttura generale ed anche il diramarsi di essa in una certa articolazione di dettaglio. Arnheim - Entropia e arte, 1971 In che modo possiamo misurare l’ordine? Quali sono i fattori che ci possono informare circa l’ordine che tiene insieme in una struttura logica o percettiva un gruppo di elementi? Un fattore principale nella percezione di ordine è data da regolarità sottostanti la struttura ordinata. Principi organizzativi sul piano visivo (e anche uditivo) possono essere, per esempio, le leggi di segmentazione del campo studiati dalla psicologia della Gestalt. Anche la simmetria è un fattore che introduce regolarità all’interno di strutture, ed è quindi un fattore che crea ordine. Tuttavia, è bene tenere presente che l’ordine percepito è anche una condizione contestuale, spesso determinato da schemi di riferimento. Ordine vs disordine: illusione di Giovanelli (1966) Ordine e simmetria Definizione di “Complessità”: Che risulta dall’unione di varie parti o di diversi elementi... Complicato, difficile da comprendere. Zanichelli (1984) Si può comprendere il termine “complessità” in relazione al termine “semplicità”. Se riuscissimo a definire la semplicità forse potremo definire in modo rigoroso il grado di complessità di un oggetto, una scena, un evento. Simplicity and complexity need each other. John Maeda, The laws of simplicity, 2006 Definire in che cosa consista la semplicità non è però così facile, proprio come non è facile definire il suo opposto, la complessità. La tentazione è di concepire le due dimensioni contrapposte come un continuum, con semplicità a un estremo e complessità all’altro. Anche così, tuttavia, resta comunque da definire quali siano le caratteristiche del continuum. Molti possono essere indotti a concepire il continuum semplicità-complessità in termini numerici: meno sono gli elementi in gioco maggiore è la semplicità. Se questo fosse l’unico criterio per la definizione di semplicità dovremo pensare allo 0 come allo stato di maggiore semplicità. Tuttavia, i concetti insiti in "zero" sono duplici: da un lato "assenza", dall'altro lato il "nulla". Quest'ultima è una creazione della psiche umana. In natura non esiste. Lo zero è un paradosso: preso da solo equivale al nulla. Il nostro mondo è fatto di materia, e una materia corrispondente al nulla per ora non c’è (neutrino a parte). In altri termini il nulla non esiste se non come entità cognitivamente concepita. Ma se il nulla non esiste, perché allora possiede un nome e persino una sua forma (0)? Tralasciando gli aspetti filosofici del problema, la semplicità è in realtà una caratteristica multidimensionale, dipendente non solo dalla quantità di variabili in gioco, ma anche dalla loro strutturazione, dalla loro interazione, dalle loro qualità intrinseche, nonché dal soggetto interessato a essa. Complessità = Articolazione? Il termine “articolazione” ha molti significati. In psicologia della percezione sta ad indicare la giunzione e la relazione fra le parti di un qualche cosa che è vissuto come unità percettiva o gruppo di unità. Molti studiosi ritengono che maggiore il numero delle parti in relazione tra loro, maggiore è il grado di articolazione. Altri (in particolare la scuola italiana) ritengono che il grado di articolazione non può prescindere da relazioni funzionali (o contestuali) a livello locale e globale tra le parti e il tutto. Esempio: rete a invarianza di scala delle relazioni proteiche di una cellula. Berlyne (1965, 1971, 1974): misure fisiologiche dell’esperienza estetica. Ciò che è complesso, contraddittorio, inatteso, provoca un aumento del livello di vigilanza. Non conoscendo le leggi che governano la rete delle relazioni, queste ci appaiono come un groviglio confuso. Cogliamo però una struttura sferica fatto da un complesso di nodi che sono però per noi privi di significato. La nostra incapacità di decodificare questa struttura è in qualche modo simile alle difficoltà che molti provano dinanzi a certi quadri astratti? Il grado di attivazione di uno stimolo (l’arousal o grado di eccitazione) dipende da diversi fattori; in particolare: 1) Novità, ovvero ciò che è inatteso, contradditorio Provoca sopresa, il che aumenta il grado di attenzione, e quindi il grado di attivazione del fruitore. 2) Ambiguità, ovvero situazioni che si caratterizzano per un elevato livello di incertezza lasciano aperto l’interpretazione e l’interpolazione dell’informazione da parte del fruitore. 3) Complessità, banalmente definita come numero di elementi in gioco. Berlyne aveva osservato che la relazione tra il grado di attivazione fisiologica e la preferenza estetica è a ‘U’ rovesciata: un’attivazione troppo bassa o troppo alta non produce effetti estetici positivi. In che rapporto sta l’ipotesi di Berlyne con certa arte contemporanea, creata come atto provocatorio in cui si cerca di innalzare il livello di attivazione dell’osservatore? Il caso dell’Op Art (optical art) È un movimento che nasce negli anni Sessanta del secolo scorso in varie parti del mondo. Tra i suoi esponenti si annoverano personaggi come Victor Vasarely, Bridget Riley, Manfredo Massironi, Getulio Alviani. È arte astratta il cui scopo è di sfruttare effetti visivi e illusioni ottiche in modo da rendere il fruitore attivamente partecipe dell’opera d’arte. È una corrente che si ricollega all’arte cinetica. Bridget Riley, Continuum (1963) Il caso dell’Arte Concettuale Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell’arte è, dunque, un’estensione della funzione del cervello. Questa tesi pone 2 problemi su cui vale la pena riflettere: 1. La funzione dell’arte è in modo inequivocabile sempre quello di acquisire conoscenza? Tutte le arti hanno come scopo ultimo incrementare la conoscenza dell’uomo? 2. Che tipo di conoscenza può̀ essere fornita dall’arte? Cosa ha in comune e quanto è diversa questa conoscenza da quella fornita dalla ricerca scientifica? La risposta a quest'ultima domanda verrà̀ affrontata in una lezione a parte. La funzione dell’arte è piuttosto variegata e fluida: - Una delle funzioni di cui poco si parla è che l’arte “intrattiene”, dona piacere al fruitore. - Un'altra funzione è quella di "andare contro", uscire dai ranghi di ciò che è socialmente accettabile. - Un'altra delle funzioni peculiari dell’arte è quello di stimolare l’intelletto, fornendo quindi un piacere ed una esperienza estetica che si estende ben oltre il semplice, ma potente, piacere fornito dal bello. - Infine, attraverso la lettura di un giornale una persona indubbiamente può acquisire conoscenza. Anche attraverso la lettura di un romanzo si può acquisire conoscenza, ma la funzione del romanzo non è quello di incrementare la nostra conoscenza del mondo, bensì quello di calarci in un mondo non nostro che però agisce sulla nostra coscienza (se il romanzo funziona). Tesi # 3 L’arte riflette la capacità di astrazione che è caratteristica di ogni sistema efficiente di acquisizione di conoscenza. Tutta l’arte è astrazione. Secondo questa tesi, l’arte vola al di sopra del particolare per mostrare l’universale, ottenuto mediante un’operazione di astrazione. L’arte rappresenta quindi forme ideali, “astratti” dalla realtà. Tutta l’arte è astrazione. Tutta l’arte è rappresentazione. Astrazione simbolica e imminenza del momento (non astratto per definizione), sono simultaneamente presenti in questa opera. Alcune osservazioni sull’arte fiamminga: Tesi # 4 La conseguenza del processo di astrazione è la creazione di concetti e ideali. L’arte è la traduzione su tela di questi ideali formati dal cervello. Circa questa tesi, dobbiamo riflettere criticamente sulla seguente domanda: l’arte coincide con la rappresentazione di concetti ideali, ovvero universalmente riconosciuti e accettati? Ogni civiltà ha definito in modo più o meno esplicito i canoni della bellezza, tramite cui si possono fare confronti. Ma come si traduce la bruttezza “ideale”? Come si determina il grottesco perfetto? Il “brutto”, che è una deviazione dal cammino verso il bello, è comunque una categoria insistente sull’esperienza estetica. Come lo so idealizza? Tesi # 5 L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Ne segue che il perché e il come le creazioni artistiche suscitano un’esperienza estetica può essere intesa pienamente soltanto in termini neurali. A prescindere da un feroce neuroriduzionismo, il problema qui è che si è dato per scontato il significato di esperienza estetica, tra l'altro facendola coincidere spesso con l'esperienza del bello, quando l'esperienza estetico-artistica è ben più complessa. Questa linea di pensiero conduce nuovamente l’estetica sperimentale (di cui la neuroestetica è una delle ultime evoluzioni) a considerare soltanto casi limite, a porre barriere piuttosto rigide nei confronti dell’arte, definendo ciò che funziona sul piano estetico da ciò che non funziona. Scritto così, il piano scientifico sembra importante, ma è nei dettagli che si annida il diavolo. Nel suo libro Zeki afferma, per esempio, che il cubismo è stato un fallimento perché ha operato delle scelte formali non basate sul modo di funzionamento del cervello. L'affermazione ha del ridicolo... Un altro punto debole, reminiscente di un’idea ‘romantica’ dell’arte e dell’artista, è l’insistere sul carattere istintivo dell’artista, come se l’artista non avesse piena consapevolezza dei propri mezzi e del proprio operato. La conseguenza di questo tipo di ragionare non è quello di alzare l’artista al rango di “neuroscienziato”, bensì di svilire il suo apporto intellettuale nella creazione dell’opera. L’artista avrebbe delle abilità, ma per lo più opererebbe in modo inconscio. Noi usiamo il termine “arte concettuale” per definire un certo tipo di arte visiva. E tuttavia, non si dà alcun prodotto artistico che non sia infine anche un’opera concettuale. Anzi, si può ben ritenere che siano proprio il background socioculturale, le pulsioni sociali attorno all’artista, nonché la sua impostazione intellettuale a guidare la forma data all’opera, la cui funzione è di convogliare “significato”, nel senso più ampio del termine, e cioè senza confini. La forma, in arte, è anche una componente fondamentale del contenuto. In tale senso l’arte vera non è mai istintiva, ma premeditata, anche quando si avvale dell’improvvisazione. La cosiddetta Percezione Pittorica La percezione pittorica sarebbe quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene raffigurate. Lo psicologo american James J. Gibson, che coniò il termine, parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un’immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere. Egli ha definito questo rapporto come un paradosso. Gibson e la Teoria Ecologica della percezione visiva: • La luce contiene tutta l'informazione visiva necessaria già strutturata • Il sistema visivo non elabora tale informazione. Invece la estrae. • Le informazioni estratte si chiamano invarianti di struttura. • Le invarianti di struttura sono rapporti che rimangono invariati (costanti) nonostante le variazioni continue nell'assetto ottico (nella stimolazione prossimale, cioè la cosiddetta immagine retinica) • Sono proprio le variazioni nel flusso luminoso che permettono l'emergere delle invarianti di struttura. Secondo James Gibson, il compito del sistema visivo è quello di rilevare strutture che sono già perfettamente organizzate in forma di informazione ottica che viaggia nella luce. In altre parole, la stimolazione prossimale (cioè la stimolazione a livello di retina) conterebbe in sé tutta l’informazione necessaria, già strutturata, che deve essere soltanto registrata dal sistema senza ulteriori elaborazioni. Ciò che il sistema visivo rileverebbe sono le caratteristiche invarianti dell’oggetto fisico, le quali emergono in funzione della variabilità̀ del flusso ottico. Gibson giustifica l’adozione del termine “ecologico”, affermando che esso serve a far comprendere l’importanza sia dell’adesione attiva all’ambiente da parte dell’osservatore, sia della necessità di comprendere l’ecologia della luce e la struttura fisica del mondo per spiegare i fatti percettivi. Infatti, secondo questo approccio, l’informazione ottica che viaggia nella luce è già perfettamente strutturata e pronta all’uso. Il sistema visivo diventa una specie di rilevatore di segnali (invarianti di struttura) in mezzo ad un mare necessario di rumore (le variazioni nel flusso ottico). Si noti l’assonanza con la posizione di Zeki, secondo cui compito del cervello è quello di rilevare le costanze percettive. Secondo questo approccio teorico, la luce che viaggia verso l’occhio possiede una struttura che le deriva dall’azione di riflessione degli oggetti fisici. È una struttura che subisce continue variazioni sia a causa del movimento di cui sono suscettibili gli oggetti stessi nella scena, sia a causa dei movimenti continui dell’osservatore. Queste variazioni sono essenziali, perché è per mezzo di esse che emergono le invarianti di struttura. Le invarianti di struttura sono senza nome e senza forma: difatti, esse sono meglio descrivibili in termini di rapporti tra gli elementi costitutivi degli stimoli. In tale ottica, il rapporto aureo, sempre identico a se stesso, sarebbe l’invariante di struttura sottostante la percezione di bellezza. La teoria di Gibson presenta diversi problemi dal punto di vista epistemologico. - Un primo problema riguarda l’esistenza di illusioni: se il sistema visivo registra la macrostruttura dell’ambiente circostante, non dovrebbero esserci fenomeni illusori, in quanto le illusioni non fanno parte del mondo fisico. Di fatto, Gibson tratta le illusioni alla stregua di eccezioni, fenomeni che emergono soltanto in laboratorio dove le condizioni di stimolazioni sono particolarmente impoverite, e quindi con pochi invarianti di struttura. Gibson, infatti, ha sottolineato la necessità di condurre studi sperimentali al di fuori dai laboratori, in condizioni appunto “ecologiche”. Si possono fare due importanti obiezioni a questi argomenti: 1) “In una corretta teoria scientifica non vi deve essere posto per le eccezioni: esse devono poter essere spiegate dalla teoria o la teoria va messa in crisi. (...) Molto più produttivo mi sembra considerare questi fenomeni come preziosi indicatori del reale funzionamento del sistema, cioè come «situazioni sperimentali naturali» che possono consentire di scoprire la «logica» secondo la quale funziona quel sistema” (Kanizsa, 1980). Alan Gilchrist, psicologo americano, concepisce le illusioni con una firma del sistema visivo. 2) Il sistema visivo funziona sempre allo stesso modo, sia dentro che fuori di un laboratorio. Il vantaggio del laboratorio è quello di permettere un maggiore controllo su variabili non pertinenti ma che nondimeno potrebbero influire sull’esito dell’esperimento stesso. Uno dei problemi di Gibson: le immagini pittoriche sono assetti ottici congelati. Gibson cercò di ovviare a quest’ultimo problema epistemologico introducendo l’ipotesi di una peculiare abilità percettiva: la percezione pittorica: “Concludo dicendo che un’immagine richiede sempre due abilità percettive che agiscono simultaneamente: una è diretta, e l’altra è indiretta. C’è una percezione diretta della superficie pittorica insieme ad una consapevolezza indiretta della superficie virtuale”. (Gibson 1979) La percezione pittorica sarebbe quindi la facoltà di vedere cose diverse dagli stimoli realmente presenti sul piano fisico. In altre parole, la percezione pittorica sarebbe quel fenomeno per cui invece di una successione disordinata di ombre, o un pasticcio di pigmenti, noi siamo in grado di vedere un film, un dipinto, una fotografia, ecc. A proposito di immagini somiglianti ... La caratteristica delle immagini somiglianti è che mentre parti di una roccia, la trama tessiturale della corteccia di un albero, una serie di macchie casuali su un muro, ecc., possono dar luogo al riconoscimento di pattern significativi (come visi, animali, paesaggi), visi e animali non possono essere visti in altro modo. Esistono i fenomeni di mimetismo animale e di camouflage. In tali casi, tuttavia, l’animale o l’oggetto non è soltanto visto come altro da sé, ma scompare proprio dalla vista, integrandosi come componente di una struttura più ampia o come parte dello sfondo. Al contrario di una roccia somigliante, che invece può mostrare altro pur mostrando sempre di essere una roccia. Una doppia presenza conflittuale imporrebbe che si vedessero due cose simultaneamente: 1) la durezza materiale del marmo 2) la morbida resistenza della carne. Le cose stanno davvero così? Il fenomeno del mascheramento in arte Vicario (2003, p. 151) dà la seguente definizione per l’uso del termine mascheramento nello studio dei fatti percettivi: “Si dà il nome di mascheramento ad ogni processo in cui uno stimolo, identificabile o riconoscibile (...), viene reso del tutto o parzialmente non identificabile o non riconoscibile per mezzo di un altro stimolo”. Per prima cosa, la definizione va aggiustata. Dalla definizione di Vicario, infatti, si potrebbe cadere nell’errore di pensare al mascheramento come a un particolare processo del sistema visivo. Le cose stanno in altri termini: il mascheramento non è un processo, bensì è una possibile conseguenza di certi processi di articolazione del campo visivo (unificazione e segmentazione secondo i principi di Wertheimer, segmentazione figura-sfondo, ecc.). Tuttavia, sempre Vicario, riporta un principio rilevante enunciato da Kanizsa: può essere mascherato soltanto ciò che può essere smascherato. Considerando l’obiezione iniziale alla definizione di Vicario, e il principio di Kanizsa, possiamo giungere ad una nuova, e si spera migliore, definizione del termine mascheramento: Con il termine mascheramento si suole indicare quel particolare fenomeno per cui un oggetto, che sarebbe riconosciuto come tale nella sua unità ed integrità̀ se osservato in “isolamento”, non appare invece visibile quando è compreso in un set di stimoli tali da indurre il sistema visivo a smembrare e/o inglobare l’unità originaria dell’oggetto stesso in nuove unità percettive. La nuova definizione, anche se più complessa, ha il vantaggio di delimitare il fenomeno, in quanto l’oggetto mascherato deve innanzitutto possedere una propria identità strutturale a livello percettivo, che in quanto tale deve poter essere recuperato sempre. Se l’operazione di recupero visivo è possibile solo in seguito ad un grosso sforzo cognitivo, allora non siamo di fronte ad un fenomeno di mascheramento, ma a una sorta di errore dello stimolo, in cui il fenomenologo dice che l’oggetto in questione è mascherato, quando in realtà l’oggetto in questione esiste come unità soltanto a livello cognitivo, ovvero nella mente del fenomenologo. Nell’esempio sotto, la configurazione di 4 punti organizzati a rombo è sicuramente contenuta nell’insieme a sinistra, ma si può parlare davvero di mascheramento? regolarità e proporzioni ritenute ideali. In altre parole, l’arte figurativa mirava non tanto a imitare la natura, ma a superarla: il mondo rappresentato diventa luogo simbolico in cui la comunicazione era perseguita seguendo specifici canoni estetici. Si pone una distinzione tra imitazione e ritratto della natura: la prima deve rappresentare ciò che si vede, la seconda deve rappresentare ciò che si dovrebbe vedere se il mondo fosse perfetto. Il secondo rappresenta la vera sfida, che consiste nel perfezionare la natura, superandola in bellezza. È questo il programma implicito dell’arte figurativa, reso esplicito dal manierismo in poi. La natura, quindi, come generatrice e portatrice di “perfezione” va anzi tutto imitata. Ma il grande artista va oltre, supera la natura, appunto per equilibrare e aggiustare le sue disomogeneità e imperfezioni. È esistito quindi un atteggiamento ambivalente dell’arte verso la natura, che se da un lato è maestra da imitare, dall’altro lato è dimensione da giudicare e superare, correggendo la sua apparenza laddove necessario (Ricordatevi le proporzioni ideali del corpo umano). Non ci si deve però scordare che l’uomo imita la natura anche ritraendo il “brutto”, che in natura si sostanzia in proporzioni esagerate, irregolarità e assimetrie. Anche qui l’arte, pur ispirandosi alla natura, sembra andare oltre, individuando e perfezionando prototipi. Inventando nuoce forme combinando tra loro forme note Lo stile Lo stile è una caratteristica formale costante che caratterizza la produzione artistica di un artista, di una bottega, di un gruppo di artisti, di una scuola, di un determinato periodo storico, di un determinato luogo geografico. Il problema dello stile s’interseca con il problema della verosimiglianza, in quanto ne condiziona la resa. Lo stile caratterizza il segno figurativo, costituendosi come caratteristica che fa da contrappeso alla verosimiglianza. Ovviamente, ogni epoca tende a vedere negli stili che le sono propri un superamento degli stili precedenti in segno di una maggiore aderenza alla realtà visiva, ovvero una migliore traduzione delle tensioni presenti nel contemporaneo, almeno fino all’avvento delle avanguardie. The iconographic fortune of Federico da Montefeltro (1422-1482) Federico Barocci was a manierist artist from Urbino, famous also for his engravings. Paintings like this and the following testify the growing myth around Federico da Montefeltro. Baby Federico, by Federico Barocci (born in Urbino 1535-1612). The painting should be in Palazzo Pitti in Firenze, and it is dated 1605 (see top of the painting). Both paintings by Federico Barocci, depicting the infant Federico da Montefeltro. Both 1607, and both in Detroit. In Museo Nazionale del Bargello in Firenze, datable 1460-1499. It is attributed to Domenico Rosselli FEDERICO FELTRIO By the same artist this portrait of Battista Sforza (1446-1472), datable 1460-1499 and attributed to Domenico Rosselli Attributed either to Domenico Rosselli or to Benedetto da Maiano, Datable 1475-1497. The nose bridge is smoothening. | propend for a post-mortem celebration of the Duke because of the insoription. It is conserved in the Museo di S. Francesco, Marche. Attributed either to Domenico Rosselli or to Francesco Laurana, Datable 1475-1497. 1 think this is is a copy of the previous medallion, as the features are beginning to look less like those portrayed in the paintings with Federico actually modelling. Here the features are becoming “gentle”. ce "TÀ lE A È a de E È EA 4 b Ù o This bronze medallion is atributed to Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) From 1476 he is in Urbino working first for Federico and after fo his son. Painter, sculptor, architect. British Museum, London. ‘Another celebrative medalion. It is a copy of ihe original by Rossell/Miaiano. Same period. Unknown location. Unknown artist from the Urbino area. Datable 1475-1499. It should be in Paris. The nose bridge is quite similar to depictions by Piero and Pedro. FEDERIGO DUCA D'URBINO The father of all medallions? The duke portrayed with his special Secretary Ottaviano Ubaldini. He must have been alive at the time. This is the image portraying Federico. It could be a XIX century engraving, as the book by Bernardino Baldi, finished in 1603, was an unpublished manuscript, till 1824. Unkonwn artist, datable 1570-1599, in Galleria Colonna in Rome, Arte informale: oltre l’astrattismo (geometrico) Quando si parla di arte informale, viene spesso nominato Jean Dubuffet (1901-1985), che però in realtà inventò la corrente nota come Art brut. Altro artista spesso inserito tra gli esponenti dell’arte informale è Giuseppe Capogrossi (1900- 1972). La sua arte porta però in primo piano la tradizione, spesso sottovalutata, della cosiddetta arte decorativa, in cui elementi più o meno geometrici si ripetono ridefinendo lo spazio pittorico. Che cosa si intende con il termine “realtà”? Lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger individua cinque significati per la parola realtà. Essi sono: 1) La realtà del mondo fisico, di cui si occupano appunto i fisici, che ha carattere strettamente meta-empirico, in quanto è al di là dell’esperienza diretta. 2) La realtà del mondo fenomenico. Questa è la realtà dell’ambiente comportamentale, ovvero la realtà fornita dai nostri sistemi sensoriali. È questa una realtà che in molti sensi è indipendente dal nostro io. Fanno parte di questa realtà non solo il mondo percepito, gli oggetti fenomenici, ma anche i dolori “fisici” e quelli “psicologici”, i sogni, i ricordi che ci assalgono all’improvviso, le allucinazioni dotate di vivacità sensoriale. Metzger chiama questa seconda realtà anche realtà incontrata, immediata. È questa una realtà di grande interesse per lo psicologo. 3) La realtà rappresentata. Questa realtà lo si capisce meglio in contrapposizione alla precedente. Mentre la realtà incontrata resiste a qualsiasi nostro tentativo di alterarla, la realtà rappresentata si trasforma a nostro arbitrio. È la realtà creata, per esempio, dalla nostra immaginazione. Anche questa è una realtà di grande interesse per lo psicologo. Anche questa realtà è di natura fenomenica, ma è vissuta come dipendente interamente dall’io. 4) La realtà del nulla, che se vogliamo è un vero e proprio paradosso. Infatti, il nulla è dal punto di vista logico ciò che non esiste, e in quanto non esistente, non ha nessuna qualità che lo rende “reale”. Eppure, per la nostra mente il nulla ha una sua sostanzialità, dei suoi modi di essere e anche di apparire, che influiscono sia sul nostro mondo percettivo che su quello cognitivo (pensato per esempio allo zero). Va da sé che anche questa realtà è di grande interesse per lo psicologo. 5) La realtà del fenomenicamente apparente. Ci sono cose che vediamo o che proviamo, e che tuttavia non ci appaiono “veri”. Un esempio tipico è il sogno in cui siamo coscienti di sognare. Un altro esempio riguarda gli specchi. Un esempio riguardante proprio gli specchi ci fa comprendere che la realtà apparente non dipende dalla realtà fisica in sé. Per esempio, se siamo dinanzi ad uno specchio che riflette un ombrello accanto a noi, noi vediamo due ombrelli che appaiono uguali, eppure soltanto l’ombrello accanto a noi, fuori dallo specchio, ci apparirà reale, mentre l’ombrello riflesso ci apparirà irreale, immateriale. Per contro, se entriamo per esempio in un salone un poco buio con uno specchio gigantesco a muro, e vediamo delle cose riflesse, come delle poltroncine, queste ultime ci appariranno come vere e solide, e anche la stanza ci sembrerà molto più grande. La realtà sarà del tipo “incontrato”, almeno fino a quando non ci renderemo conto dell’esistenza dello specchio. Quali di questi significati attribuiti al termine “realtà” sono vincolanti ai fini di una definizione di “arte figurativa”? I fenomeni visivi come le illusioni sono sicuramente fatti incontrati, anche se non sempre riconosciuti. Utilizzare un fenomeno visivo di tipo illusorio significa intrufolarsi tra le arti figurative o le arti astratte? Op Art: movimento artistico del 900 che è stato caratterizzato dallo studio di fenomeni percettivi (le cosiddette illusioni) e dal loro utilizzo all’interno di opere d’arte. Gli artisti che aderiscono alla Op Art indagano i rapporti causa effetto tra l'immagine e lo sguardo del fruitore. Protagoniste sono le texture (gradients come li chiamava Gibson) e i patterns, che concorrono a suggerire effetti tridimensionali, e/o di movimento. Come si evince dagli esempi riportati, il confine tra astratto e figurativo è sfumato. Ci sono però dei punti fermi: 1. Che venga classificata come astratta o figurativa, un’opera d’arte intende sempre rappresentare qualche cosa d’altro del semplice materiale utilizzato per creare l’opera. Anche nel caso della corrente Informale. 2. Il modo con cui si guarda un’opera può determinarne l’esito in termini di classificazione in astratto/figurativo. La classificazione di un'opera come astratta o figurativa è mutabile, determinata non solo da qualità oggettive, ma anche dal proprio stile cognitivo e bagaglio culturale. 3. La definizione di un’opera come astratta o figurativa poco ha a che vedere con la complessità intrinseca di un’opera. Un risultato scientifico può essere riportato in diversi modi. Il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. Inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. Un’opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. Può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti. Il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. Il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. L’arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. Anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un ancoraggio materiale, senza il quale l’opera non potrebbe esistere. Nel caso de “Linea di lunghezza infinita” di Piero Manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza dell’opera. Vantaggi Una riunificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all’industria culturale, non certo alle due discipline. I modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. L’artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica. Il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. La scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. L’arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. Tesi di Semir Zeki Tesi # 2 Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell’arte è, dunque, un’estensione della funzione del cervello. Tesi # 5: L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Lezione 13 – Arte e comunicazione Comunicazione: - Atto del trasmettere ad altri; - Atto del trovarsi in contatto con altri; - Processo mediante il quale l’informazione viene trasmessa tra due sistemi; - Collegamento materiale. - Un processo per mezzo del quale l’informazione è scambiata tra individui per mezzo di un sistema comune di simboli. Informazione: - La comunicazione o ricezione di conoscenza; - Conoscenza ottenuta mediante l’investigazione, lo studio, o l’istruzione; - L’attributo inerente a, e comunicato da, una sequenza o arrangiamento di un insieme di elementi che produce effetti specifici; - Un segnale o segno rappresentante dati, cioè entità aventi un contenuto specifico; - Qualche cosa (messaggio, dati, immagine) che giustifica un cambiamento di costrutto (come un piano, un’ipotesi, un pensiero) rappresentante esperienze fisiche, mentali, oppure un altro costrutto. Nozioni fondamentali 1) Rapporti umani mediati dalla comunicazione. 2) Un sistema vivente (che respira, si riproduce e si adatta) è differente per il modo in cui utilizza l’informazione rispetto ad una macchina che funziona in base ai principi della meccanica classica (legame di tipo causa-effetto con esiti prevedibili). 3) Le problematiche inerenti ai processi di comunicazione non risiedono nel contenuto o nella natura dell’informazione, ma nel modo in cui l’informazione è definita, trasmessa, riconosciuta, orientata e utilizzata. I gradi di libertà della comunicazione - Rigida: comunicazione di tipo meccanica; un solo mezzo, un solo modo. Questo vale anche per tutti gli apparecchi digitali. - Vincolata: comunicazione di tipo biologico; numero finito di elementi informativi, risultati virtualmente infiniti ma parzialmente prevedibili. - Aperta: la comunicazione che caratterizza i rapporti umani; numero infinito di elementi che si rinnovano continuamente. Nella comunicazione aperta le caratteristiche dell’informazione non sono né stabili né rigide. In questo tipo di comunicazione l’informazione che circola deve rinnovarsi di continuo affinché il processo di comunicazione rimanga attivo (Massironi, 218). Forse Massironi fa una leggera svista: non è l’informazione che deve necessariamente rinnovarsi, ma le modalità mediante cui è trasmessa (forma, stile, simbolismo implicito ed esplicito, ecc.). La comunicazione di tipo aperto è libera da regole? La comunicazione di tipo aperto obbedisce alle regole interpretative. L’interpretazione può spiegare gli eventi a posteriori e non ha perciò un potere predittivo. Esempio: la Storia può interpretare la natura dei fatti accaduti, tentare di spiegare quanto sta accadendo, ma può soltanto opinare una ragionevole direzione di sviluppo di eventi in corso. Non può predire il futuro. Nessuna scienza è in grado di predire il futuro. Al massimo si possono delineare possibili percorsi di eventi. Alcune scienze che studiano fenomeni naturali, come la meteorologia, hanno maggiore capacità predittive rispetto a scienze legate al comportamento umano (come, per esempio, le scienze economiche). I processi che guidano l’interpretazione sono successivi ai processi che raccolgono l’informazione e la strutturano. Gli organismi viventi raccolgono l’informazione attraverso i sensi. I dati derivanti dalla stimolazione sono organizzati e strutturati in forme in modo automatico, secondo modalità largamente indipendenti dalla volontà dell’organismo senziente. Comprendere il modo in cui l’informazione sensoriale (informazione che è in grado di stimolare i recettori sensoriali) è organizzato in unità significative può essere un passo importante nella comprensione profonda delle dinamiche di comunicazione tra organismi viventi. Che differenza passa tra il contenuto di un'opera d'arte (di qualsiasi modalità espressiva) e il contenuto di un articolo di giornale, di una pubblicità, di un testo scientifico, ecc.? La risposta a questa domanda la si può ottenere in due modi: - pensando al ruolo della forma in arte e nelle altre forme di comunicazione; - destrutturando una pubblicità che si richiami a un'opera d'arte. Il laboratorio delle forme Raccogliamo informazione tramite i nostri sensi. L’informazione sensoriale, per essere utilizzata, deve essere organizzata in unità. Il modo in cui i sistemi sensoriali raccolgono ed elaborano l’informazione sensoriale in entrata è specifica per ciascun senso, ma i principi generali sottostanti l’organizzazione dell’informazione è simile nei diversi sistemi sensoriali. Le unità percettive (un oggetto, un suono, un odore, ecc.) sono informative, cioè hanno un dato significato, perché posseggono una data forma. I nostri processi cognitivi lavorano con le forme, cioè con le strutture emerse dai processi di organizzazione sensoriale, non con l’informazione sensoriale grezza. La vita sociale è il risultato di interazione e scambio di informazione tra gli individui. Questo processo articolato è chiamato comunicazione. La vita sociale è caratterizzata dalla comunicazione di tipo aperto. La comunicazione aperta funziona e rimane attiva se è alimentata da una continua invenzione ed immissione di nuove forme. Le forme perdono potere comunicativo in funzione del loro uso: una forma usata molte volte ha, a livello teorico, meno potere di una forma inventata da poco. L’arte è uno di quegli ambiti in cui è portata avanti la ricerca di nuove forme aventi potenzialità comunicative. Lezione 14 – ArteTerapia L’arte che cura - la salute incontra i linguaggi espressivi Quali sono le evidenze sul ruolo delle arti nel miglioramento della salute e del benessere? Sono stati mappati e analizzati oltre 3000 studi nell'arco di venti anni (2000-2019). Le arti e la cultura così classificate: • le arti performative: teatro, danza, canto, musica, film... • le arti visive, il design e l’artigianato: pittura, fotografia, scultura, tessile e altri prodotti di design e dell’artigianato... • la letteratura: scrittura, lettura, partecipazione a festival letterari • la cultura: musei, gallerie, mostre d'arte, concerti, teatro, eventi comunitari, festival e fiere culturali... • le arti online, digitali ed elettroniche: animazioni, film-making, computer grafica... Il Risultato è che esiste ormai una solida base di conoscenze ed evidenze sul contributo delle arti, sia nell’ambito della prevenzione della malattia e nella promozione della salute, sia nell’ambito della gestione della cura e del trattamento delle malattie. Video: Education di Ken Robinson (Educatore morto nel 2020) Fluidita’ – Flessibilità – Originalita’ - Elaborazione Il pensiero divergente è correlato alla creati-vità... è una capacità innata che nella maggior parte dei casi si deteriora a causa dei condizionamenti / indottrinamenti (scuola, religione, famiglia, etc) L’arte è un’esperienza in cui mente e corpo sono collegati... tutti i tuoi sensi stanno operando al massimo tu sei presente nel momento, ti senti...stai ragionando sull’esperienza che stai vivendo...sei totalmente vivo... Cos’è la salute? Il concetto di “salute” è stato stabilito per la prima volta nel 1948 dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e definito come: «Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». La salute non è un concetto statico, ma si modifica a seconda dell’evoluzione umana e della complessità̀ del mondo, tant’è che l’OMS dagli inizi ad oggi ha rivisto più volte la sua definizione... Cos’è la malattia? Cosa sono le arti terapie? Le Arti Terapie sono un insieme di metodi terapeutici ben distinti basati sull’Arte nella sua accezione più ampia, che si sviluppano dal Teatro alla Musica, dall’Arte alla Danza. Ognuno ha una propria specificità ma l’obiettivo rimane comune e riguarda fornire stimoli a sensazioni diverse, coltivare un ambiente sicuro per l’auto-esplorazione e incoraggiare l’auto- espressione, la creatività e l’immaginazione a fini riabilitativi, terapeutici, preventivi. Video: Il pentolino di Antonino Per introdurre il tema dell’arteterapia e la relazione terapeutica. Dal libro di Isabelle Carrier, Il «pentolino» è la rappresentazione concreta della difficoltà in genere: è la forma di un disturbo, di una patologia, di uno svantaggio di qualunque genere: psichico, sociale, economico, culturale, religioso...e di come si può affrontare... Che cos’è l’Arteterapia? IL LINGUAGGIO DELL’ARTE: forme, colori, linee, immagini, suoni, movimenti... ci parla come le parole spesso non sanno fare. L’Arteterapia è un approccio/metodologia psicologica-creativa che utilizza in maniera privilegiata modalità non verbali per costruire una relazione terapeutica che consenta il recupero del nucleo creativo dell’individuo e permetta di affrontare disarmonie, blocchi, disagi psichici e/o fisici. È un mezzo per collegare ciò che abbiamo dentro pensieri, sentimenti e percezioni con la realtà esterna e le esperienze di vita. Inoltre, è un approccio dinamico, che richiede la partecipazione diretta al proprio trattamento, nel caso specifico mediante la produzione artistica. Storia dell’ArteTerapia Fin dalla preistoria, attraverso l’uso delle arti e la creazione di riti, l’uomo ha sentito il bisogno di significare tutti gli avvenimenti che lo facevano sentire fragile e a scoprirne i benefici. Noi conteniamo immagini che non provengono necessariamente dalla nostra esperienza personale, è come se in qualche modo queste immagini fossero già presenti dentro di noi, derivassero dalla storia dell’umanità e si trasportassero a noi dall’infinito del tempo. Da dove nasce l’Arte Terapia? Insieme di Teorie Psicoanalitiche e Studi sulla creatività E. Kramer nel 1976 ha fondato uno dei primi corsi di laurea in arteterapia presso la New York University. Alla fine degli anni ‘50 lui (Zinelli) e altri venti pazienti vengono ammessi all'atelier di pittura creato dallo scultore irlandese M. Noble, da quello italiano P. Castagna, dallo psichiatra M. Marini e dal direttore di allora C. Trabucchi. In questo atelier, i pazienti furono incoraggiati a dipingere o scolpire liberamente. Autori di riferimento in ambito: La figura dell’arte-terapeuta oggi L’arteterapeuta facilita, attraverso l’uso di materiali artistici, in un ambiente protetto, l’auto espressione, la riflessione, il cambiamento e la crescita personale dell’individuo. - Viene da formazioni riconosciute, che fondono studi sulle teorie psicoanalitiche con la pratica del linguaggio artistico/creativo. - Ha l’obbligo di supervisione - Lavora in equipe con altre figure professionali (neuropsichiatri, psicologi, psicomotricisti, logopedisti, educatori, ...) - Si forma permanentemente nei differenti ambiti. Il setting L’atelier d'Arteterapia prevede un’attivazione di sensi ... L’atelier è uno spazio flessibile e adattabile alle più svariate esigenze; un attivatore di sensi, già stimolante di per sé: materiali più vari, colori, suoni, strumenti... in caso di necessità si può costruire ad hoc all’interno di spazi precostituiti (cooperative, enti, scuole…) È uno spazio flessibile ed adattabile alle più svariate esigenze. Senza nessuna abilità tecnica/artistica, in un ambiente facilitante, rassicurante e non giudicante, è possibile attraverso i materiali accedere a contenuti interni più profondi e portare alla luce qualcosa che prima non c’era. Non ci sono modi giusti o sbagliati di esprimere le emozioni attraverso l’arte. Comunicazione: La presenza dell’immagine come terzo oggetto. Chi può beneficiare dell’arteterapia? • I campi di applicazione sono svariati e riguardano ogni fascia di età (da pochi mesi a 100 anni) e ogni ambito... • Gli interventi possono essere individuali o di gruppo, a tema o liberi, all’interno di un percorso o di singoli incontri...a scopo preventivo, riabilitativo, terapeutico, formativo... - Finalità preventive al nido (18-36mesi) Promuove la capacità di essere se stessi anche all’interno di un contesto collettivo. L’esplorazione sensoriale stimola la naturale spinta a creare attraverso un segno, una traccia, un ritmo, una forma... Con i bambini per ... Alfabetizzazione emotiva, integrazione culturale, traumi.. - Preadolescenti Un approccio sul tema dell’albero, che ha permesso a un gruppo di preadolescenti di fare un lavoro di identificazione e di riconoscimento della propria unicità e di relazione e integrazione con il mondo dei pari. - Adolescenti Nell’adolescenza, pensando al concetto d’identità, la sagoma corporea consente di lavorare su come sono, come mi sento, come mi vedono gli altri e di esprimere in modo protetto le emozioni che si muovono in questo particolare momento della vita. - Giovani I giovani e la speranza nel futuro. Dal malessere alle esperienze positive. - Adulti I progetti sono costruiti a seconda del bisogno, nel rispetto delle capacità dei partecipanti. Riabilitazione Psichiatrica Attraverso la manualità e la produzione artstica è possibile promuovere nuovi significati, attvare il mondo simbolico, elaborare le emozioni e ricostruire la propria storia di vita. L’Arteterapia per la cura della psicosi: • migliora il senso di competenza e l’autostima • permette di contenere l’ansia psicotica • è un veicolo verso la formazione di relazioni interpersonali Arteterapia e ictus «I materiali artistici e la creatività vengono in aiuto dell’uomo facilitando movimenti esperienziali ed emotivi per tornare a sentire-percepire che la vita vale la pena di essere vissuta». - La malattia cerebrovascolare (in particolare l’ictus o stroke) continua ad essere la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità - L’ictus comporta delle conseguenze sul piano della riabilitazione motoria e psicologica del paziente - La depressione post-stroke (DPS) è considerata la conseguenza neuropsichiatrica più frequente e importante dell’ictus Gli effetti positivi di trattamenti non farmacologici sono evidenti, in particolar modo l’uso dell’arteterapia risulta efficace nel migliorare i deficit sensi/vo motori e le alterazioni della sfera emozionale comportamentale. Arteterapia e terza età L’Arteterapia può aiutare l’anziano a mantenere la speranza di un presente sereno, nonostante i deficit fisico-cognitivi (alzheimer, parkinson, demenza senile, ...) Arteterapia e adozione L’AT rende possibile trasformare il materiale artistico insieme a quello umano, favorendo la regolazione delle emozioni, la creazione del legame di attaccamento, e l’integrazione delle memorie corporee traumatiche all’interno di una storia che può essere raccontata per immagini e colorata affettivamente. Form-azione - COOPER(A)TTIVAMENTE – Progetto di formazione per operatori Asa e Oss. Co- docenza sul progetto Bando Formazione Continua 2016-2017, Nuovi servizi per nuovi bisogni : Il cambiamento dei bisogni delle famiglie e delle persone fragili e la ridefinizione dei servizi offerti dalle cooperative. - Con SIS – Consorzio di cooperative sociali. La casa sulla roccia – Progetto di formazione realizzato con la psicologa Lucia Salvan per volontari della rete “A casa lontani da casa”. Finanziato dal Bando Associazionismo Regione 2014, il progetto è stato promosso da Casa Accoglienza Betania, Art Therapy Italiana, PIM, Celim e dall’Associazione Passepartout. - VOLONTARIA-MENTE - Associazione Seneca di Milano. Corso di formazione per i volontari dell’assistenza domiciliare in collaborazione con Luigi Di Iorio, docente d’intelligenza emotiva alla LIUC di Castellanza (2008). La formazione esperienziale attraverso la modalità dell’arteterapia è adattabile a diversi contesti ed è progettata e realizzata in base alle necessità e ai bisogni della committenza sia essa una scuola, una cooperativa, una società o un gruppo di professionisti. È un percorso Tailormade che richiede, per essere fertile, la presenza e la partecipazione attiva dei suoi fruitori. WILLIAM UTERMOHLEN • Pittore nato a Philadelphia nel 1933 e morto nel 2007; il suo stile è caratterizzato dalla precisione e dall’alto livello tecnico. • All’età di 57 anni gli viene diagnosticata la malattia di Alzheimer. • D’accordo con i medici, dopo la diagnosi decide di dipingere solo autoritratti ed essendo un figurativo, per i neurologi che l’hanno in cura, diventa più evidente e facile seguire il decorso della malattia. • William fa una scelta coraggiosa: testimoniare la perdita d’identità attraverso la dissoluzione del suo volto dipinto e come essa si accompagni a un vissuto emotivo straziante. Nei suoi ultimi lavori ha raccontato, attraverso i segni, quel che non è più possibile raccontare con le parole: la rottura interiore, la frammentazione umana provocata dalla demenza, un cambiamento desolante e inarrestabile a partire dalla diagnosi. Art Team Building Vedi progetti slide. Conclusione: OMS Report 67 del 2019 Quali sono le evidenze sul ruolo delle ar/ nel miglioramento della salute e del benessere? Le evidenze del report 67 dell’OMS dimostrano come le arti e la cultura sono efficaci, e talora più vantaggiose anche dal punto di visto economico, nella gestione e nel trattamento delle malattie e sono integrative delle cure e dell'assistenza. Questa grande crisi mette in gioco la coesione sociale, la salute bio-psico-sociale delle comunità, in un senso profondo ed è urgente lavorare a una nuova idea di welfare, in cui le Arti e la Cultura possano dare un rilevante contribuito per la ripartenza del Paese. Coinvolgendo attori e portatori di interesse pubblici e privati, lavorando in un’ottica multidisciplinare, multilivello e intersettoriale, per garantire impatto sociale e nutrire le politiche..., gli individui, le comunità, il pianeta/mondo... Il writer si contraddistingue per le scritte illeggibili, un’evoluzione del lettering, ovvero della trasformazione delle lettere per finalità estetiche: le lettere diventano oggetti morbidi, gommosi, duri, metallici, ecc, e la parola, da segno puramente semantico, si carica di dinamicità visiva. Twen e Bros sono forse due stadi di un’evoluzione che da writers porta ad essere artisti urbani. Quasi tutti gli street artists nascono con i tags, ovvero con quelle firme veloci e molto elaborate che si ritrovano un po’ ovunque negli spazi urbani. Scopo di questo tagging ossessvio è quello di farsi notare, dichiarare la propria esistenza, segnare il “proprio” territorio. Pare che la cosa abbia avuto inizio a Philadelphia nel 1967, quando un certo Darryl McCray, in arte Cornbread, ha inziato a segnare tutta la città per farsi notare da una ragazza di cui s’era innamorato. Lo sviluppo successivo è forse quello che siamo più propensi a considerare forma d’arte. Ovvero la creazione di opere visive in cui alla forma figurativa è associato un contenuto che va oltre una mera dichiarazione di esistenza da parte di un writer, per quanto elaborato questo sia. Arte o atto vandalico? Una cosa è certa, il momento in cui un artista di graffiti entra a far parte di una galleria, la sua opera viene immediatamente qualificata come ARTE. http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/14399/IDCategoria/204 Anche in Italia abbiamo i nostri Haring e Basquiat, street artist "prestati" (qualcuno dice "venduti") al sistema dell'arte ufficiale. Dopo aver a lungo praticato l’anonimato e l’attività di riappropriazione degli spazi pubblici, specie nell’area bolognese, oggi Blu ed Erica il Cane, da qualche tempo uniti in un sodalizio creativo particolarmente fecondo, sembrano destinati a passare dalla clandestinità all’ufficialità, dalla frequentazione dei centri sociali a quella dei salotti chic del rutilante mondo dell’arte. Mostre, pubblicazioni monografiche a quattro mani, collaborazioni con riviste specializzate, gallerie che ci stanno facendo più d’un pensierino. L’ultima uscita, la ricorderete, addirittura nella collettiva superfighetta Untitled all’ex Faema di Milano, Zonaventura. Per i più è stata una scoperta, con quel loro muro di fondo “impacchettato” a proteggerlo dal vandalo gesto. Per noi di Exibart, che Blu lo segnalammo già nel 2001 (con un ampio articolo addirittura di Alfredo Sigolo) e dunque in tempi non sospetti, solo la conferma del nostro occhio lungo. Ma per la serie “noi preferiamo ricordarli così”, ci va di cogliere l’occasione di una recente partecipazione dei due ad un festival internazionale di artisti strada in Nicaragua, per mostrarne un lavoro che oltre ad essere bello, ha anche un particolare significato sociale e storico. Il festival “Murales de octubre” infatti è un progetto di arte pubblica, curato da Alicia Zamora e Stefeno Questioli, che ha visto la partecipazione di artisti nicaraguensi, italiani, guatemaltechi e costaricensi per ricordare, commemorare e protestare contro la cancellazione, negli anni ’90, dei murales nella Av. Bolìvar, dipinti negli anni ’80 e divenuti simbolo della rivoluzione sandinista. Una delle caratteristiche degli artisti della street art, o dell’arte urbana, è la riconoscibilità, che talvolta coincide con il segno grafico stesso, ma il più delle volte riguarda il modo di creare i personaggi. I detrattori di queste forme espressive, infatti, affermano che i prodotti visivi sono simili al mondo del fumetto. Ma se guadiamo un Picasso, un Otto Dix, un Klee, o uno Chagall, non possiamo forse affermare la stessa cosa? La cifra della differenza sta invece nella globalizzazione del fenomeno, con lo sviluppo di un linguaggio specifico benché ancora filtrato dalla cultura autoctona. Uno degli aspetti più interessanti è la formazione di sodalizi artistici di breve o lungo respiro. Questo aspetto della condivisione è piuttosto raro tra gli artisti dell’arte ufficiale e forse sta ad indicare l’aspetto più sociale dell’arte urbana. Il modello di riferimento più famoso di muralismo è quello messicano, nato intorno agli anni Venti come espressione di quelli che erano gli ideali circa la politica, l'arte e il ruolo svolto dalla cultura. I "tre grandi" furono Diego Rivera, Josè Clemente Orozco e Alfaro David Siqueiros. Questi credevano in un'arte collettiva che potesse essere goduta da larghi strati di società. Infatti, collocavano le loro opere in luoghi pubblici di larga frequentazione. I temi principali riguardano la narrazione del mondo precolombiano e delle sue tradizioni, che non bisognava dimenticare, e il periodo che va dalla conquista spagnola fino all'avvio dell'epoca moderna, culminata nella rivoluzione del 1910. Dal Manifesto della pittura murale di Mario Sironi: [...] La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista. Infatti: sia la pratica destinazione della pittura murale (edifici pubblici, luoghi comunque che hanno una civica funzione), siano le leggi che la governano, sia il prevalere in essa dell'elemento stilistico su quello emozionale, sia la sua intima associazione con l'architettura, vietano all'artista di cedere all'improvvisazione e ai facili virtuosismi. Lo costringono invece a temprarsi in quella esecuzione decisa e virile, che la tecnica stessa della pittura murale richiede: lo costringono a maturare la propria invenzione e a organizzarla compiutamente. Nessuna forma di pittura nella quale non predomini l'ordinamento e il rigore della composizione, nessuna forma di pittura “di genere” resistono alla prova delle grandi dimensioni e della tecnica murale. Dalla pittura murale sorgerà lo “Stile Fascista”, nel quale la nuova civiltà si potrà identificare. La funzione educatrice della pittura è soprattutto una questione di stile. Più che mediante il soggetto (concezione comunista), è mediante la suggestione dell'ambiente, mediante lo stile che l'arte riescirà a dare un'impronta nuova all'anima popolare. [...] A ogni singolo artista poi, s'impone un problema di ordine morale. L'artista deve rinunciare a quell'egocentrismo che, ormai, non potrebbe che isterilire il suo spirito, e diventare un artista “militante”, cioè a dire un artista che serve un'idea morale, e subordina la propria individualità all'opera collettiva. Non si vuole propugnare con ciò un anonimato effettivo, che ripugna al temperamento italiano, ma un intimo senso di dedizione all'opera collettiva. Noi crediamo fermamente che l'artista deve ritornare a essere uomo tra gli uomini, come fu nelle epoche della nostra più alta civiltà. - Quanta strada separa gli artisti di graffiti dall’arte murale? - Perché la pubblicità è arredo urbano ma non è arte? Eppure le si riconosce una valenza estetica. - Perché i graffiti non sono considerati arredo urbano? - Chi decide quale opera di graffiti è arte, e in base a quali criteri viene presa una simile decisione? Il caso Banksy: fusione perfetta tra semplicità sul piano visivo e complessità sul piano semantico. N.B. La frase attribuita a Picasso ha origine in un articolo intitolato “Imitators and Plagiarists” pubblicato in The Gentleman’s Magazine nel 1892. L’autore, W. H. Davenport Adams, parlava del poeta Alfred Tennyson, dimostrando come il poeta avesse costruito i propri versi basandosi sugli sforzi di poeti antecedenti a lui. Of Tennyson’s assimilative method, when he adopts an image or a suggestion from a predecessor, and works it up into his own glittering fabric, I shall give a few instances, offering as the result and Perché le immagini pittoriche funzionano? Potremmo cercare nei quadri stessi una filosofia figurata della visione, e quasi la sua iconografia. (Maurice Merleau-Ponty, 1989) Il grande e ubiquo deposito che contiene tutte le opere pittoriche prodotte dall’uomo nelle diverse epoche e culture costituisce anche un campionario del nostro mondo fenomenico, una sorta di archivio delle apparenze. Gli oggetti del mondo che ci circonda, ma anche gli oggetti inesistenti della nostra fantasia, le relazioni spaziali che intercorrono fra loro, il peso della loro tridimensionalità, le sfumature delle loro valenze espressive sono state mostrate – invero senza una grande sistematicità, ma di certo con generosa ricchezza – da una miriade di quegli osservatori privilegiati che sono i pittori. In questo immenso deposito si possono perciò trovare non le spiegazioni, ma certamente molte esemplificazioni di quello che vediamo e di come lo vediamo. (Zavagno e Massironi, 1997, p. 141) Le immagini pittoriche ricoprono funzioni importantissime sul piano della comunicazione. La loro forza non sta tanto nel fatto che sono copie di cose o scene reali, bensì nel fatto che il creatore d’immagini può scegliere quali aspetti mettere in rilievo, modulando le tecniche a sua disposizione (Massironi, 2000). Questo è possibile perché l’informazione visiva presente in un’immagine è conforme all’informazione utilizzata dal sistema visivo in generale. Lezione 16 – Lo spazio nell’arte Spazio e tempo: due vissuti fondamentali della psiche umana. La nostra vita si svolge nello spazio e nel tempo. Tempo Una delle caratteristiche del tempo è che esso si coniuga sempre al presente. Viviamo, per così dire, in un eterno presente. Passato e Futuro sono costrutti mentali: - Il passato è un atto del presente che riguarda la facoltà mentale del ricordare. Ma anche rivivere nella propria mente un ricordo significa attualizzarlo, calarlo nel presente. Per fare ciò si deve poter rendere silente il presente reale, astrarsi da esso. Calarsi nel passato significa quindi immaginare, cioè abbandonarsi all’atto di creare immagini mentali. Le immagini mentali si nutrono di ciò che abbiamo esperito, cioè del nostro passato codificato nei registri di memoria a lungo termine. Registri imperfetti che possono essere soggette a modifiche in funzioni di nuova informazione in entrata. - Il futuro non esiste come esperienza. Esiste come proiezione, come tensione e speranza, come timore e ipotesi, come fantasia e, appunto, immaginazione. L’immaginazione del futuro è molto simile all’immaginazione del passato, ovvero al nostro modo di ricordare, che è un’interpretazione del passato. Anche il futuro si nutre del passato: per immaginare il bacio di una persona bramata ma irraggiungibile dobbiamo immaginarci la persona, il che significa utilizzare un ricordo di quella persona. L’immaginazione del futuro si nutre del nostro passato. Spazio Lo spazio è il contenitore delle nostre esperienze, siano queste reali, ricordate o immaginate. In quanto tale, si snocciola nel presente. Le nostre esperienze hanno tutte quante una connotazione spaziale. Qualsiasi opera d’arte è quindi anche una rappresentazione di spazi. Anche la musica, che si svolge nel tempo, determina esperienze di natura spaziale. Per comprendere la natura psicologica che caratterizza un’opera d’arte è opportuno quindi comprendere il modo in cui noi viviamo lo spazio, almeno per quel che riguarda la percezione visiva. Tre tipi di spazio: - Spazio peripersonale: è lo spazio immediatamente intorno a noi. Questo spazio è talvolta anche definito manipolatorio in quanto gli oggetti posti che si trovano in questo spazio possono essere raggiunti direttamente dall’osservatore. Lo spazio peripersonale può essere esteso oltre il limite delle nostre braccia tramite l’ausilio di utensili. È evidente che il grado di controllo che abbiamo delle nostre azioni all’interno di questo spazio diminuisce all’aumentare dell’estensione dello spazio peripersonale. Lo spazio peripersonale è caratterizzata da una metrica euclidea. - Spazio extrapersonale: è lo spazio che non si può raggiungere direttamente, e in cui l’ausilio di un utensile non aiuta ad avere un controllo efficace dell’ambiente e delle cose al suo interno. Questo spazio si caratterizza per una metrica euclidea incerta, condizionata forse da due fattori: 1) dalla prospettiva naturale che tende a comprimere lo spazio in distanza; 2) da un modulo personale (biologico) che potrebbe corrispondere, ad esempio, all’estensione del braccio. - Spazio distante: è lo spazio extrapersonale che si vede in distanza, e che ha come limite l’orizzonte. Questo spazio è ipercompresso, e in tal senso a-metrico. Non è uno spazio piatto, ma appiattito: per esempio si può dire che un edificio sta davanti ad un altro edificio, ma non si riesce a quantificare la distanza tra i due edifici. Il piano pittorico Gibson (1966) coniò il termine percezione pittorica per indicare quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene osservate. Egli parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un’immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere, definendo questa doppia presenza in termini di un vero e proprio paradosso. Da un punto di vista puramente descrittivo, l’esperienza della percezione pittorica descritta da Gibson è per certi versi simile a quella che si ha con una figura impossibile, dove si vede un oggetto tridimensionale che però non può essere sostanzialmente tridimensionale al di fuori della realtà pittorica. Gombrich (1956) aveva parlato di doppia presenza in riferimento ad opere pittoriche, indicandola però in termini di due vissuti percettivi alternativi. Per lui, più che di un rapporto conflittuale si tratterebbe di un’alternanza tra esiti percettivi. In questo senso l’esperienza della percezione pittorica sarebbe simile a quella innescata dalle figure ambigue, le quali mostrano appunto due esiti percettivi possibili - l’uno alternativo all’altro - come nella coppaprofili di Rubin. Wollheim (2003) parla invece della percezione pittorica in termini di twofoldness, e quindi di simultaneità per quanto riguarda l’esperienza visiva del supporto pittorico e della scena ivi raffigurata. Questa posizione trova riscontro in altri studiosi, come per esempio in Pirenne (1970) e in Kubovy (1986), secondo cui la consapevolezza percettiva del supporto pittorico è un requisito essenziale per il funzionamento d’ipotetici processi compensatori atti a correggere distorsioni percettive dovute alle discrepanze tra l’immobile geometria interna alla scena pittorica e le continue trasformazioni dovute alla mutevole geometria dell’osservazione. L’ipotesi di Wollheim richiama alla mente il vissuto di doppia presenza che si ha quando ad un unico livello di stimolazione corrisponde il vissuto di due presenze fenomeniche simultanee, come nel caso della trasparenza. à Il fenomeno della trasparenza è prova che il tutto è più della somma delle sue parti. Concetto che è fondante anche in arte e che ha profonde ripercussioni anche sull'atto creativo. Mausfeld (2003) parla di rappresentazioni congiunte ma in termini antagonistici, per cui i parametri caratterizzanti un particolare aspetto di una delle rappresentazioni costituiscono un vincolo per l’altra rappresentazione circa la stessa caratteristica, e viceversa. In altre parole, parametri specificanti medesimi aspetti nelle due rappresentazioni mentali starebbero in una relazione antagonistica tra loro. L’idea di rappresentazioni congiunte in modo antagonistico rimanda anche alla scissione fenomenica descritta da Koffka (1935), quella cioè relativa all’esperienza simultanea di un colore di superficie e dell’illuminazione della superficie. Questo fenomeno è forse quello che strutturalmente più si avvicina a quella della percezione pittorica. La proprietà di possedere un dato colore è una caratteristica di una superficie opaca, come è propria di una superficie pittorica la caratteristica di essere appunto una superficie. Allo stesso tempo però una superficie opaca può anche mostrarsi illuminata in un certo qual modo, una caratteristica questa che è molto diversa da quello di essere di un dato colore; in modo abbastanza simile, la superficie pittorica mostra altro da sé, con una estensione spaziale che non appartiene alla superficie pittorica in quanto tale. In entrambi i casi si ha quindi una doppia rappresentazione: il colore di superficie e l’illuminazione coesistono simultaneamente nello spazio-tempo fenomenico, rubandosi a vicenda la scena, così Secondo gli studi di ottica di Leonardo, l'aria è più densa («una aria grossa più che le altre») quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte. Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa' che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l'una dall'altra, fa' le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore. Manoscritto A, risalente al 1492 circa, foglio 98 recto - Contrasto di chiarezza: oggetti vicini hanno contrasti di chiarezza più accentuati rispetto ad oggetti lontani. - Contrasto di colore: oggetti vicini presentano colori più brillanti rispetto a quelli lontani. Inoltre, la temperatura dei colori di oggetti vicini è tipicamente più calda rispetto a quelli lontani. - Nitidezza: generalmente, oggetti vicini sono più nitidi rispetto ad oggetti lontani. - Gradiente tessiturale: fu James Gibson che per primo sottolineò l’importanza di questo indice di profondità, che consiste nel fatto che le superfici di cui è composto il nostro mondo visivo presentano spesso delle caratteristiche tissurali, sono cioè composti da elementi che, in media, posseggono tutti la stessa grandezza. L’indice consisterebbe nel fatto che gli elementi tissurali spazialmente più vicini a noi proiettano una immagine retinica più grande (occupano più spazio nel nostro campo visivo) rispetto ad elementi tissurali più distanti. In altre parole, gli elementi tissurali di una superficie sono scalati in profondità, determinando un gradiente scalare di grandezze angolari, il quale aiuta non solo ad incrementare la percezione di profondità, ma anche a stabilire rapporti di distanza tra oggetti visivi. Va da sé che, in ambito di visione naturale, il gradiente tessiturale obbedisce alle stesse leggi ottiche che governano la prospettiva naturale. - Ombre e ombreggiatura: la conformazione di un oggetto tridimensionale colpito dalla luce genera sulla superficie stessa dell’oggetto zone di diversa intensità di illuminazione. In parole povere, oggetti tridimensionali ci appaiono avere zone più illuminate e zone meno illuminate, o ancora zone illuminate e zone in ombra. Inoltre, la percezione dell’oggetto è spesso accompagnata dalla sua ombra, quantunque non sempre prestiamo attenzione a quest’ultima. Si distinguono due tipi di ombre: ombre proprie e ombre di proiezione. 1- Le ombre proprie sono le parti meno illuminate di un oggetto. Di solito si creano ombre proprie laddove non arriva una illuminazione diretta. La densità (scurezza) dell’ombra è in rapporto inverso rispetto alla diffusione della luce nell’ambiente: tanto più è diffusa la luce, tanto minore o cospicuo sarà la presenza di ombre proprie. Le ombre proprie si chiamano appunto proprie perché sembrano essere connaturate alla struttura dell’oggetto tridimensionale. L’informazione che il sistema visivo deriva dalla presenza di questo tipo di ombre riguarda appunto la struttura tridimensionale degli oggetti. Siamo evoluti in un mondo dove la luce proviene perlopiù dall’alto, e questo ha plasmato il modo in cui il nostro sistema visivo risponde alla distribuzione delle ombre proprie sulle superfici. 2- Le ombre di proiezione sono quelle ombre generate da una superficie che fa da schermo, bloccando la traiettoria rettilinea della luce. Queste ombre sono particolarmente evidenti quando l’azione di illuminazione è direzionata, e sono meno evidenti con una illuminazione diffusa. Queste ombre assumono un certo grado di autonomia nella nostra esperienza fenomenica, hanno una qualità oggettuale, al punto che possono apparirci perfino spaventose. Di fatto, in alcune culture arcaiche, pestare l’ombra altrui equivale ad un sacrilegio, e rubare l’ombra ad un uomo equivale a rubargli l’anima. Tra le informazioni che le ombre di proiezioni forniscono al sistema visivo, vi è quello concernente la posizione degli oggetti nello spazio, la loro distanza da noi, e anche la conformazione dell’ambiente. - Altezza relativa rispetto alla linea dell’orizzonte: oggetti più vicini alla linea dell’orizzonte appaiono più distanti. - Grandezza relativa: due oggetti che hanno dimensioni fisiche identiche ma si trovano a distanze diverse rispetto al punto di vista dell’osservatore posseggono dimensioni angolari diversi. In altre parole, l’immagine retinica dell’oggetto più distante sarà più piccola dell’immagine retinica dell’oggetto di uguale dimensione ma più vicino - Grandezza familiare: a volte la grandezza nota di un oggetto può influire sulle nostre percezioni di grandezza e di distanza di tali oggetti. Riassunto indici pittorici di profondità In letteratura sono indicati più frequentemente con il termine “indizi” (pictorial cues). Sono definiti pittorici perché si possono usare per creare uno spazio che è soltanto visivo, non corporeo. Gli indici pittorici di profondità sono i seguenti (per una descrizione più dettagliata vedere l’articolo “Spazio pittorico”): - Occlusione: superfici vicini all’osservatore occludono dalla vista parti di superfici più distanti. - Prospettiva: insieme di regole che consentono di rappresentare corpi tridimensionali su un piano di modo che si determini un’immagine molto simile a quello che si avrebbe osservando direttamente l’oggetto o la scena tridimensionale. - Altezza rispetto all’orizzonte: gli oggetti visti come più vicini alla linea dell’orizzonte sono generalmente visti come più distanti. - Gradienti tessiturali: ogni superficie è caratterizzato da una trama più o meno visibile di elementi che si ripetono in modo più o meno costante sia in termini di grandezza che di densità. Nel mondo fenomenico (non pittorico) a causa delle leggi della prospettiva naturale (ovvero dell’ottica) gli elementi tessiturali più distanti hanno proiezioni retiniche più piccole e più dense. Tali differenze di grandezza e densità sarebbe informazione circa la distanza e l’inclinazione delle superfici. - Prospettiva aerea: questo indice è un altro tipo di gradiente, e si riferisce alla densità dell’aria posto tra un osservatore e la scena osservata. Possiamo immaginare l’atmosfera come una scatola piena di filtri a densità più o meno neutra, dove i filtri rappresentano grossomodo i diversi piani in profondità. I filtri potrebbero avere la stessa trasmittanza, oppure potrebbero essere caratterizzati da trasmittanze diverse. Nei grandi spazi aperti il secondo è il caso più frequente. È come se tra noi e un oggetto posto ad una certa distanza vi fosse una serie di filtri, e l’accorciarsi o l’accrescersi di tale distanza comporta un numero minore o maggiore di filtri interposti tra noi e l’oggetto. Pensiamo ora a che cosa fanno i filtri utilizzati dai fotografi: la loro funzione è quella di “tagliare” una parte di luce proiettata dentro la macchina fotografica. Nel fare ciò, in base alle caratteristiche di trasmittanza, i filtri possono tagliare in modo uniforme (filtri a densità neutra) oppure in modo selettivo la luce (correttori cromatici), e possono influire sui livelli di contrasto (filtri polarizzati, filtri di diffusione), con un notevole effetto sulla nitidezza dei contorni delle figure proiettate sulla membrana fotosensibile interna (pellicola, fotosensore, retina). - Ombre proprie (chiaroscuro): un gradiente di illuminazione che dipende dal tipo di sorgente luminosa, dalla sua collocazione nell’ambiente rispetto ad un oggetto osservato, e dalla forma dell’oggetto. - Ombre portate (o di proiezione): gli oggetti intercettando la luce fungono da schermo, determinando dietro loro una zona più o meno estesa d’ombra - Grandezza relativa e grandezza familiare: il primo indice è assimilabile al gradiente tessiturale e alla prospettiva lineare. Il secondo indice è legato all’apprendimento e all’esperienza: sappiamo quanto è grande un’automobile, se perciò appare piccolo deve anche essere molto distante. Gli indici pittorici di profondità appena descritti sono informazione per compiere delle inferenze quantitative e qualitative inerenti al vissuto spaziale, o sono invece principi che, operando in modo non dissimile dai principi di segmentazione del campo visivo di Wertheimer (1923), determinano le relazioni spaziali intercorrenti tra gli oggetti di una scena visiva rispetto all’osservatore? L’idea di processi inferenziali inconsci presuppone la combinazione d’informazione di input (l’immagine retinica) con informazione interna preesistente, al fine di ottenere un output (l’esperienza visiva) congruo con lo stimolo distale. Il modo medievale di determinare lo spazio ha una sua aderenza all’esperienza visiva del quotidiano, in cui lo spazio è un contenitore la cui apparenza è determinata da strutture, superfici ed oggetti delle più svariate forme e caratteristiche visive. In fondo, una stanza vale l’altra, quello che fa la differenza è la presenza di cose nella stanza, i loro colori, la loro disposizione. Scopo dell’arte medioevale non era tanto quello di dare una forma coerente allo spazio, quanto quello di mostrare la solidità tridimensionale delle forme, le quali modulano lo spazio visivo. In un certo qual senso, quindi, quello dei dipinti medioevali è uno spazio con una propria coerenza. La coerenza dell’approccio medievale allo spazio pittorico consiste nel fatto che gli artisti compresero che gli oggetti sono spazio allo stato solido. Al fine di ottenere una solidità tridimensionale stabile è necessario modulare quella materia che non solo è altamente mutevole ma anche alquanto effimera, cioè la luce. I consigli di Cennini sul modo di adoperare la luce la dicono lunga sull’importanza dell’ombreggiatura nell’arte medievale prima dell’avvento dello sfumato infinito di Leonardo Da Vinci: lo scopo non era quello di cogliere un umore vago, di amalgamare personaggi e cose all’interno dell’atmosfera pastosa dello spazio pittorico, bensì quello di rendere una tridimensionalità tangibile e allo stesso tempo ieratico. Non si trattava di fare dipinti in cui perdersi con lo sguardo, ma di creare personaggi, oggetti, città che dovevano staccarsi dallo sfondo pittorico per co-esistere nello spazio comportamentale. La luce era quindi al servizio dello spazio inteso come presenza solida nel mondo materiale. Il grande vuoto: ombre e penombre Le carenze e le ambiguità spaziali nell’arte medievale sono determinate in particolare da due fattori: l’uso di proiezioni assonometriche, degenerate col tempo in forme di prospettiva inversa, e la mancanza di ombre portate. Uno dei risultati di questi fattori è l’assenza di vuoto inteso come spazio arioso. L’esperienza dello spazio può essere caratterizzata in diversi modi: quello di oggetti solidi tridimensionali, e di vuoti. Alla maggior parte dell’arte medievale è venuta a mancare quest’ultima componente dell’esperienza spaziale-pittorica. Giotto fu il primo a sperimentare lo sfumato in funzione atmosferica e a cercare una geometria tale da rendere la superficie pittorica una finestra attraverso cui guardare all’interno di altri micro-mondi. Con Giotto, lo spazio si fa vuoto dopo mille anni di spazialità solida in occidente. Sono testimoni di questo fatto i due splendidi corretti, noti anche come cappelle segrete, che si trovano nella Cappella degli Scrovegni a Padova, giustamente decantati da Longhi (1952) che per primo riconobbe la loro funzione di finzione architettonica. Quello che più incanta in questi capolavori assoluti è la semplice ariosità dei due vani pittorici, che mostrano un sublime vuoto pieno di luce. Spazio e luce La fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. È un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. È proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. A livello percettivo, però, vi è un legame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. Spazio e luce sono infatti entità incastrate l’una nell’altra. Ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza che emerga un qualche vissuto spaziale. In altre parole, lo spazio c’è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. L’importanza del lavoro di Giotto in relazione alla storia della rappresentazione dello spazio nell’arte occidentale consiste nell’aver portato all’interno della superficie pittorica ciò che gli artisti precedenti mostravano sopra la superficie pittorica, intesa più come un piano sopra cui far emergere le figure (uno scolpire quindi con colori e luce) che come una finestra attraverso cui guardare. Lo spazio rappresentato pittoricamente diventa quindi un contenitore, e come ogni contenitore è possibile che abbia dei vuoti, colmi però di luce. Con il Rinascimento, lo spazio reso pittoricamente si fa sempre più contenitore pieno di giochi di luci e ombre In conclusione, la percezione dello spazio appare essere una caratteristica congenita del sistema visivo. In tal senso ogni segno su una superficie, sia esso accidentale o creato intenzionalmente, è suscettibile di divenire un indice pittorico di profondità e quindi di essere visto come qualche cosa d’altro posto in relazione a quello stesso spazio pittorico che esso stesso contribuisce a determinare sulla superficie materiale. È anche per questo motivo che qualsiasi segno tracciato sopra una superficie è in grado di specificare in termini pittorici un qualche aspetto della “realtà”. Il problema nella produzione artistica è quello di definire semmai l’aspetto o gli aspetti della realtà che devono essere rappresentati, come sostiene anche Arnheim. Nell’arte post-romana, per esempio, la realtà che si voleva rappresentare era la consistenza materiale delle cose. Lo spazio non solo era modulato dagli oggetti rappresentati, esso consisteva in quegli stessi oggetti. La luce era l’utensile per rivelare quel tipo di spazio, ma non fu oggetto di rappresentazione per se stessa (se non come entità simbolica congelata, come nelle aureole). È con l’arte rinascimentale, come fu già nell’arte greco- romana, che si cerca di rappresentare uno spazio in modo “oggettivo”. Mentre nell’arte greco-romana l’oggettivizzazione era un processo lasciato ancora all’intuizione, nell’arte rinascimentale si prefigura come scienza in seguito all’adozione di precise regole geometriche. Tuttavia, l’esito percettivo rende l’opera più soggettiva ed empatica, in quanto più verisimile all’esperienza visiva dello spazio comportamentale. Lo storico dell’arte Panofsky espresse una tesi molto importante, secondo cui la prospettiva lineare non solo assolveva una funzione oggettivante, ma anche una funzione simbolica. Ogni rappresentazione spaziale è, per così dire, una espressione simbolica della cultura che l’ha sviluppata, in quanto è espressione di un punto di vista circa la realtà di cui vuole essere una rappresentazione visiva. Lo sviluppo della fotografia ha determinato una crisi importante nel mondo dell’arte, crisi talvolta sottovalutata dagli stessi operatori. Il mezzo fotografico era in grado di rendere in modo oggettivo la scena osservata, e nel fare ciò furono molti gli artisti che si sentirono privati del loro privilegio creativo. Delacroix descriverà la fotografia come “la matita della natura”, mentre Ingres si chiese, sconcertato, quale artista avrebbe mai potuto raggiungere certi livelli di realismo. Aldilà dello sconcerto iniziale, l’avvento della fotografia libererà gli artisti da certe costrizioni accademiche, lasciando liberi di avventurarsi in ricerche formali che sboccheranno nelle varie avanguardie che hanno caratterizzato la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. La fotografia diverrà primo strumento dell’artista, poi esso stesso mezzo d’espressione artistica. Ben presto si scoprirà che il mezzo oggettivo è in realtà molto soggettivo, nel senso che ripropone il punto di vista dell’artista. Sarà questa nuova constatazione, assieme alle possibilità di manipolare le immagini nelle camere oscure, a rendere la fotografia mezzo d’espressione artistica e non solo strumento di registrazione del reale. Come mezzo artistico la fotografia troverà ancora nuovi modi di rappresentazione spaziali. Sulla robustezza delle immagini pittoriche - Configurazione vs Forma, secondo Arnheim La configurazione riguarda le caratteristiche strutturali di oggetti, ma non di un oggetto in particolare, bensì di una classe cui un oggetto particolare appartiene. In tal senso ogni configurazione è semantica in quanto è una dichiarazione su generi o classi di oggetti. La configurazione è un dato mentale costruito sulla moltitudine dei nostri percetti; è, per così dire, un pensiero visivo. La forma, invece, è un caso particolare: è il punto di vista rivolto ad un oggetto specifico. La forma è una percezione. E infatti si parla di “riconoscimento di forme”. - Forma e orientamento Nella Thatcher illusion, vediamo l’ex primo ministro brittanico sempre sorridente quando l’immagine è capovolta. Quando invece i visi sono orientati secondo la loro posizione canonica, allora una delle due raffigurazioni ci appare grottesco. È ipotizzato che la robustezza delle immagini pittoriche sia legata al fatto che le l’informazione relativa alla superficie di supporto è disponibile. A tal proposito, così scrive Gerbino (1989, p. 121): Accade così che l’osservatore sia consapevole della propria collocazione in due modi. In quanto parte della realtà pittorica, l’osservatore rimane in una posizione costante rispetto alla scena raffigurata. In quanto parte della realtà ambientale, l’osservatore occupa un punto dell’ambiente corrispondente alla propria posizione rispetto alla superficie di supporto. Per semplicità potremmo dire che l’osservatore si scinde, da una parte, in un io pittorico costante e, dall’altra parte, in un io ambientale variabile. Quando la superficie pittorica non è resa visibile (casi di trompe l’oeil, per esempio), l’immagine appare distorta quando non è guardata dal punto di osservazione esatta che garantisce l’appropriata proiezione geometrica sulla retina. Esperimento: la Gioconda ti sta veramente guardando? Le immagini che ci seguono sono una eccezione alla robustezza delle immagini pittoriche? Il fenomeno della robustezza delle immagini pittoriche è una violazione rispetto alle reali condizioni di proiezioni retiniche generate dall’immagine non osservato centralmente: quando ci spostiamo lateralmente davanti ad un’immagine pittorica lo spazio ivi raffigurato dovrebbe deformarsi perché le proiezioni sono distorte, proprio come in una anamorfosi. Tranne che in casi particolari, questo però non accade: oggetti e spazi rappresentati non sembrano deformati. Nel fenomeno del ritratto che sembra seguirci, puntarci di continuo, l’impressione che abbiamo è che lo sguardo ci fissi di continuo, o il dito si muova per puntare sempre noi. Secondo molti diversi autori, il fenomeno dello sguardo omnidirezionale è sostanzialmente diverso dalla robustezza delle immagini pittoriche. - Goldstein, (1987) ritiene che il fenomeno sia un’eccezione alla robustezza, in quanto la struttura rimane rigida, ma la direzione cambia. - Altri, come Gerbino (1989), ritengono che i due fenomeni siano invece da tenere completamente distinti. Tuttavia, i due fenomeni sono invece profondamente relati tra loro. La robustezza dell’immagine fa sì che non appaia distorta, bensì resti costante la sua struttura quando ci muoviamo dinnanzi ad essa. Resta immutata, invariata, la direzionalità dello sguardo o del dito non rispetto all’ambiente esterno, ma rispetto a noi. Il fenomeno dell’inseguimento è anch’esso una forma di resistenza alla deformazione geometrica, che ben si accorda con l’egocentrismo del nostro mondo, di cui noi siamo, appunto, il centro. Come la luce è un simbolo del bene e della conoscenza, così l’oscurità è un simbolo del male e dell’ignoranza, in quanto l’oscurità è appunto assenza di luce. La luce come entità visiva L'esperienza visiva della luce si declina in 4 modi principali: • Luminosità: oggetti che sembrano emettere luce; • Illuminazione ambientale: l'impressione di chiarezza ambientale; • Illuminazione delle superfici: la presenza della luce emerge in contrapposizione alle ombre • Radiazione: l'esperienza visiva di "raggi di luce". Rappresentare l’incorporeo Why do children feel the urge to portray the sun in their artworks? - A reassuring presence in childhood (monsters are less likely to appear in broad day light, especially on a sunny day); - Associated with positive feelings (when it is sunny you can play outside with your friends); - Expression of a cultural archetype, related to the experience of light. Le prime raffigurazioni della luce coincidono con la rappresentazione delle principali sorgenti naturali di luce, il sole (sorgente fisico di emissione) e la luna (sorgente fisico di riflessione, ma che di notte appare luminosa di luce propria). Spicchi e raggi sono metafore visive per rappresentare sorgenti di luminosità, rappresentando l'esperienza della radiazione di luce. Luci e ombre Può un'immagine pittorica produrre una vera esperienza visiva di luminosità? The artists creates the illusion of a luminous object in a picture not so much by painting the object in particularly bright colours as by distributing the light and shadow appropriately with reference to the object within the pictorially represented space. (Katz, 1935, p. 28) ... a colour must be brighter than white under the same conditions of illumination if it is to be characterized as luminous. (Katz, 1935, p.28) Nella stessa pagina, Katz fornisce due spiegazioni che sembrano contradittori. - Nella prima fornisce una descrizione di come possa l'artista visivo creare "l'illusione di luminosità" distribuendo in modo opportuno il gioco di luci e ombre nell'opera. In altre parole, controllando in modo opportuno la distribuzione dell'informazione foto-geometrica. - Nella seconda spiegazione dà voce all'ipotesi formulata da Hering secondo cui la luminosità si ottiene superando la soglia del bianco in una scena visiva. Se le cose stessero come sostiene Hering, allora l'esperienza pittorica di luminosità sarebbe solo una metafora visiva, cioè un costrutto cognitivo. Le rappresentazioni antiche del sole e della luna sono di tipo simbolico, e i raggi raffigurati sono quello che Kennedy definirebbe una “metafora visiva” per indicare l’irraggiamento. Ma queste metafore sono in grado di mostrare effettivamente luminosità? Luminosità e l'effetto abbagliamento Ricerche condotte con stimoli simili a questo hanno dimostrato che la percezione di luminosità non dipende dalla percezione di bianco superficiale. Il valore simbolico della luce non si presenta solo in relazione alla luminosità. Ma affinché la luce possa assolvere a quella funzione, essere deve apparire come una co- protagonista nella scena visiva. Nei loro tentativi di rendere verosimile l'esperienza visiva della luce, gli artisti sono riusciti nell'impresa di tradurre graficamente gli indici visivi usati dal sistema visivo per determinare la presenza della luce come un agente attivo nella scena visiva.
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