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Psicologia dell'arte, Appunti di Psicologia Generale

Appunti completi dell'esame di Psicologia dell'arte

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 28/10/2020

Mollystudente
Mollystudente 🇮🇹

4.1

(16)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Psicologia dell'arte e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Lezione 1: DEFINIZIONI The psychology of art is an interdisciplinary field that studies the perception, cognition and characteristics of art and its production. For the use of art materials as a form of psychotherapy, see Art Therapy. è una disciplina che si occupa di indagare e spiegare i processi psicologici coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di un'opera d'arte. Dato il suo carattere intrinsecamente pluri interdisciplinare, è difficile delimitarne a priori i settori di pertinenza e definirne lo statuto teorico e metodologico. Molteplici e variabili (in base agli interessi e alle prospettive) sono i suoi territori di confine: dall'estetica alla storia, alla teoria e alla critica dell'arte, dalla letteratura alla medicina e alla psichiatria, attraverso antropologia, sociologia, pedagogia e semiotica, per non parlare delle diverse pronunce e declinazioni riferibili all'ambito storico, teorico e disciplinare relativo all'universo stesso della psicologia e dei suoi diversi indirizzi. L’arte non è solo espressione dell’artista, ma è lui che libera il significato nell’incontro con un elemento, è un’interpretazione e non semplicemente un’espressione. Nel suo significato più sublime, l'arte è l'espressione estetica dell'interiorità umana. Rispecchia le opinioni dell'artista nell'ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico. Bisonte, Grotte di Altamira, oltre 18000 a.C.: qual è la spiegazione dietro questa immagine? Non si sa, noi oggi la chiamiamo arte. Stele di Ur-Nammu (III millennio a.C.): mostra un re con qualità divine, ha una funzione politica e religiosa. Lezione 2: TASSONOMIE Branca della biologia che studia comparativamente i diversi organismi viventi e li raggruppa in base a caratteristiche comuni. Il termine è stato esteso anche ad altri studi. La tassonomia è quindi un metodo e un sistema di descrizione e classificazione. Il termine può essere esteso ad indicare classificazioni sistematiche anche di entità non naturalistiche. Affinché una tassonomia sia efficace e abbia senso, si devono poter individuare, e quindi distinguere, le caratteristiche comuni interclasse e le specificità intraclasse. In linea generale, le tassonomie partono da macro aspetti della realtà, affinando poi la classificazione tramite l’individuazione di caratteristiche distintive. Per esempio, per quanto concerne il regno naturale possiamo distinguere tra entità biologiche (che cioè hanno bisogno di un apporto energetico per svilupparsi) da entità non biologiche. Tra le entità biologiche possiamo distinguere poi il regno animale da quello vegetale, e così via. Si possono tuttavia determinare tassonomie partendo da altre caratteristiche. Per esempio nel regno animale possiamo classificare in base al modo in cui l’animale si sposta nell’ambiente, al modo in cui si riproduce, in base ai colori o ad altre caratteristiche della livrea. Come classificare l’arte:  Classificazione classica (le sette arti + altro)  Pittura: oltre alle varie tecniche pittoriche, comprende il disegno, l’incisione. Problema: comprende anche la grafica digitale?  Scultura: comprende molte delle cosiddette arti plastiche. Problema: Land art?  Architettura: tutto ciò che ha a che fare con la progettazione e costruzione di ambienti e luoghi. Problema: Land art?  Teatro: tutto ciò che ha a che fare con la rappresentazione teatrale. Problema: La lirica?  Letteratura: tutte le arti che si avvalgono del linguaggio scritto. Problema: il testo teatrale? Il fumetto?  Musica. Problema: le colonne sonore scritte per il cinema? Lo spartito? La lirica?  Cinema: tutte le produzioni cinematografiche. Si possono includere anche le produzioni televisive. Problema: esiste un’arte radiofonica?  Caratteristiche “materiali” dell’opera  Modalità di fruizione  Dinamicità o evoluzione temporale dell’opera  Simultaneità o Presente fenomenico (hic et nunc)  Fruizione “diacronica”  È assai arduo classificare l’arte in base alle sue caratteristiche temporali e dinamiche Lezione 3: IL BELLO E IL BRUTTO NELL’ARTE C’è una classe di oggetti che ha la proprietà di indurre in chi li osserva, o si intrattiene con essi, uno stato psicologico particolare, fatto di attrazione, ammirazione, piacere, L’opera sul lettino: Psicoanalisi e arte L’articolo espone una particolare applicazione all’arte ed alla letteratura della teoria psicoanalitica, la quale ha promosso importanti sviluppi in questo settore, approfondendo in particolare gli aspetti che legano la creatività alle motivazioni profonde. L’emozione in genere è considerata in questo modello come un affetto, ovvero una quota di energia legata alle idee, la quale interferisce nell’adattamento e altera l’equilibrio psichico. Freud si dedica allo studio della personalità creativa, introducendo così i temi riguardanti l’origine dell’opera artistica e scorgendo analogie e differenze tra arte, sogno e fantasia. Solo il grande artista, per Freud, è capace di trasformare i propri contenuti inconsci inaccettabili in opere d’arte di cui il pubblico possa usufruire per una catarsi immediata; solo il grande artista è capace di rendere globalmente tollerabili contenuti psichici rimossi ed inaccettabili. Oltre ai classici contributi di Klain, Winnicott e Bion, sono qui inoltre illustrate l’analisi fatta da Trabucco sulla vita e le opere di Edvard Munch, e le interessanti ipotesi interpretative di Montani che affiancano a Freud l’opera di Franz Kafka. A proposito di psicoanalisi e arte, Rudolf e Margot Wittkower hanno scritto di quanti attribuiscono troppa importanza all’inconscio nella formazione dell’opera d’arte, definendoli “manipolatori faciloni del materiale storico”, che “sanno giungere a vertici di cecità e storture”. Wittkower: Se la psicologia ha contribuito, bene o male che sia, a foggiare genericamente la personalità e il carattere degli artisti moderni, essa non potrà mai risolvere il problema storico che sta al centro di questo libro. Abbiamo voluto far conoscere quel che ci dicono le fonti sul carattere e sulla condotta degli artisti. Per giudicare e valutare questo materiale è necessaria una conoscenza dell’atmosfera in cui costoro respirarono, delle credenze e delle opinioni, del pensiero filosofico e delle convenzioni letterarie, diffuse in un determinato periodo. Quello che vediamo affiorare è un disegno valido per tutti i rapporti umani: un intreccio di mito e realtà, di congetture e di osservazioni, di finzione e di esperienza, che ha determinato e determina tuttora l’immagine dell’artista. Non c’è mai stata e non ci sarà mai una risposta all’enigma della personalità artistica: perché – per chiudere con una citazione d’un pittore tanto grande quanto, il Turner – “l’arte è una buffa faccenda” (p. 320). Lezione 4 (parte 2): es. Del Sarto con le arpie, del tutto fuori luogo nell’opera ma se si riferisce al rapporto con la moglie potrebbe avere senso. In realtà arpie, sirene e sfingi sono comuni nelle opere dell’epoca poiché’ essi rappresentano il paganesimo sopraffatto dal cristianesimo, della Vergine sul peccato. Jones riferisce che andava a fare la spesa (come dice il Vasari) e questo era una sua mascherazione dell’omosessualità, mentre Wittkower riporta che questa funzione è sempre stata prevalentemente maschile. Mulino ad Acqua di Hobemma, citazione del Gombrich: discorso psicoanalitico sull’arte primeggia l’analogia fra opera d’arte e sogno. Inoltre Gombrich riporta che “dovrà sempre esistere, e che è sempre esistita [nell’arte], una determinante personale; cioè, che analizzando Hobemma potremmo scoprire perché preferiva ispirarsi ai mulini di Ruysdael piuttosto che ai panorami di Koninck (...). Ma in fondo, che cosa ce ne importa? Chiederlo sarà un’eresia, ma dalla risposta a questa domanda dipende tutto il rapporto fra la psicoanalisi e la storia dell’arte. (...) Perciò quei tentativi che vi sono stati di traversare come funamboli (...) l’abisso dei secoli, servendoci di notizie d’accatto come di una fragile corda, non potrà essere altro che un jeu d’esprit (...). E perciò ripeto la domanda: è poi tanto importante sapere che significato abbia avuto l’opera per l’artista? Perché ciò sia importante, occorre una sola premessa, questa: che il significato privato, personale, psicologico del quadro, sia l’unico significato vero -sia quindi quello che esso trasmette, se non alla coscienza, almeno all’inconscio dello spettatore”. Sono supposizioni che non si basano su nulla perche’ non esiste un livello zero di interpretazione. Ancora, il significato dell’opera è spesso legato alle richieste del committente. Capire il significato reale per il committente, per l’artista e i possibili fruitori. L’approccio psicoanalitico all’arte ha come obiettivo quello di individuare le pulsioni sottostanti l’atto creativo, nella convinzione che siano questi il motore della creazione artistica. In sintesi, l’idea è che tramite le forme scelte o inventate l’artista condensa le proprie pulsioni e nevrosi, a livello inconscio. La creazione artistica, quindi, rappresenterebbe una risposta dell’artista a drammi interiori, perlopiù sepolti sotto la coltre della coscienza. La creazione dell’opera si costituisce come una forma di catarsi, e mediante processi empatici tale processo sarebbe esteso al fruitore che, anche a sua insaputa, soffre di drammi interiori simili. Perciò l’approccio psicoanalitico si è concentrato sulla FORMA in quanto veicolo del contenuto. La forma diventa il contenuto solidificato, nelle arti plastiche. In letteratura, invece, è il contenuto l’oggetto principale di analisi: ciò che lo scrittore ha inteso rappresentare è letta come metafora o insieme di simboli che permetterebbero di individuare pulsioni e drammi personali, perlopiù inconsci, dell’autore. Il ruolo dello stile: La pura forma, intesa come oggettivizzazione della rappresentazione, è una chimera. Le forme scelte da un artista sono ampiamente condizionate dallo stile dell’artista, che a sua volta è condizionata dallo stile imperante che caratterizza la società in cui l’artista si trova a vivere, nonché il suo periodo storico. Lo stile è una caratteristica complessa, che contribuisce sia a modulare che a creare il contenuto, cioè il significato dell’opera. Gombrich si chiede se sia artisticamente più interessante l’originale di Bonnencontre, assai leziosa e stucchevole, o l’opera vista attraverso lenti deformanti, con una resa simile all’impressionismo. n.b. Impressionismo: Il movimento trova le sue fonti di ispirazione nella pittura romantica (E. Delacroix), nel verismo di G. Courbet, nell’osservazione del vero dei paesisti di Barbio, nel lirismo pittorico di J.-B.-C. Corot. Si oppone alla pittura accademica ufficiale operando per la costruzione di una diversa e precisa concezione dell’arte. Il riferimento esplicito a teorie scientifiche sulla visione, come le indagini di M.-E. Cheverel sul complementarismo dei colori, o all’arte giapponese (conosciuta attraverso le incisioni di Hokusai e Hiroshige), prova come gli impressionisti ricercassero nuovi e più attuali valori della visione, in un assunto essenzialmente naturalistico e antiaccademico, rifiutando ogni nozione acquisita dell’oggetto per affidarsi all’immediata impressione del vero. Essi tendono a cogliere gli effetti di luce, come l’impressione più immediata della visione; negano l’illuminazione artificiosa dell’atelier, sostenendo la pittura all’aria aperta (en plein-air), rinunciando al chiaroscuro artificiale in favore di ombre colorate, usando una maniera rapida e sciolta. Il risultato è una fusione totale di oggetto e spazio, inteso come fenomeno cromatico e luminoso. Emerge l’interesse per la realtà attuale, la ricerca di una libertà totale, nel soggetto e nell’espressione, nel rifiuto di ogni processo ideologicamente canonico di rappresentazione; donde lo scandalo suscitato da dipinti come Le déjeuner sur l’herbe di E. Manet. Es. Tema mitologico usato come pretesto per una rappresentazione erotica, privata cioè del simbolismo che caratterizzò la pittura rinascimentale. David Hamilton, Le tre grazie, omaggio a Raffaello (1988). Nonostante il richiamo esplicito a Raffaello, l’opera è più vicina a quella di Bonnencontre come valore artistico. Commissionato da Guidobaldo della Rovere, erede di Francesco Maria della Rovere, Duca d’Urbino. Il quadro, La Venere di Urbino, è un’allegoria del matrimonio (il cane rappresenta la fedeltà coniugale). Il non troppo velato erotismo (la posa invitante, lo sguardo al contempo malizioso e ingenuo della giovane donna, inserito però in un contesto domestico e protetto dalle incursioni esterne (le due domestiche che armeggiano con il baule, simbolo anche di augurio di maternità) serviva a ricordare alla giovane moglie, Giulia Varano, i doveri matrimoniali nei confronti dello sposo. La Venere dormiente di Giorgione (1510, completato da Tiziano dopo la morte di Giorgione) servì sicuramente da modello alla Venere d’Urbino di Tiziano. Tuttavia è bene notare che la Venere del Giorgione rappresenta una bellezza idealizzata, mentre quella di Tiziano rappresenta una bellezza concreta, carnale, calata nel quotidiano, che guarda direttamente l’osservatore: tutte cose che accentuano l’erotismo del dipinto. Lezione 4 parte 3: Picasso, Movimento della pace e Le damigelle d’Avignon, non possono essere state studiate da Freud. Come si passa fa un’abilità pittorica così elevato tecnicamente al cubismo? È la ricerca di trovare una strada tutta sua per diventare “qualcuno” a Parigi facendosi notare e diventano un punto di riferimento per tutta l’arte del ’900. Stessa cosa per le auto ritratti di Van Gogh e Caravaggio in Davide e Golia come augurio che il figlio possa sopportare il padre. L’autoritratto quindi deve rappresentare il proprio essere/anima, mettendosi in gioco in tutto. Freud (1856-1939) e il surrealismo (1938, Lettera a Stefan Zweig): “Devo realmente ringraziarla per quello che il visitatore di ieri mi ha rivelato. Fino a ora ero incline a considerare i surrealisti, che sembra mi abbiano prescelto come loro santo patrono, dei puri folli, o diciamo puri al 95 per cento, come l’alcool... Il giovane spagnolo con i suoi occhi evidentemente sinceri e fanatici e la sua innegabile maestria tecnica mi ha suggerito una diversa valutazione. Sarebbe davvero assai interessante esplorare analiticamente le origini di una pittura del genere. Eppure come critico uno potrebbe avere il diritto di dire che il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti. Tuttavia, questi sono problemi psicologici seri.” Il grande artista puo’ arrivare alla comprensione piu’ completa e concreta dell’arte, ignorando, dunque, l’arte surrealista (es. Dali’) Le riserve ed i dubbi di Massironi: 1. È necessaria una nevrosi per produrre un’opera d’arte? 2. Aver constatato la nevrosi in alcuni casi consente di generalizzare il principio? 3. In che rapporto sta la nevrosi dell’artista con quello del critico? 4. In che rapporto stanno queste due nevrosi con quello che caratterizza gli spettatori? La rappresentazione di figure umane nelle opere d’arte è spesso accompagnata da un tentativo di riprodurre stati d’animo ed emozioni. Questi sono oggetti di studio della psicologia. Tuttavia, risalire dalla rappresentazione di stati d’animo ed emozioni alla scoperta delle motivazioni profonde ed inconsce che sottostanno all’atto creativo dell’artista è un’operazione del tutto arbitraria. Il rischio di mistificazioni è altissimo, come già hanno sottolineato a loro tempo i coniugi Wittkower. La psicoanalisi non è forse il metodo migliore per indagare le personalità degli artisti, e come approccio per spiegare l’arte, oppure l’atto creativo, ha indubbiamente più limiti che pregi. Tuttavia, proprio la psiche malata diviene un motivo, quando non proprio un tema, analizzato dagli artisti. La follia, infatti, è un tema presente nell’arte. Il tema della follia è già stato oggetto di raffigurazione nell’arte europea prima degli scritti di Freud. Es. i pazienti psichiatrici di Gericault. La sezione aurea Dato un segmento AC, si ottiene una sezione aurea quando il suo tratto più corto BC sta a quello più lungo AB come il tratto più lungo AB sta al segmento intero AC. Si ritiene che molti capolavori tramandati a noi attraverso i secoli siano strutturalmente basati su rapporti “aurei”. Come nel caso della facciata del Partenone. La convinzione che la seziona aurea sia la misura matematica della bellezza è talmente diffusa anche al giorno d’oggi che si moltiplicano le dimostrazioni della sua applicazione. Poiché Dio portò in essere la virtù celestiale, la quinta essenza, e attraverso di essa creò i quattro solidi ... la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco ... così la nostra sacra proporzione diede forma al cielo stesso assegnando al dodecaedro ... il solido costruito con dodici pentagoni, che non può essere costruito senza la nostra sacra proporzione. Luca Pacioli, De divina proporzione (1498) Le cinque proprietà di questa meravigliosa proporzione che la rendono divina: 1) Come Dio, è unica; 2) Come la Santa Trinità è una sostanza in tre persone, così la sezione aurea è una proporzione in tre termini facenti parte di uno stesso segmento. 3) Comme Idio proprialmente non e po definire né per parolle a noi intendere, così questa nostra proportione non se po mai per numero intendibile assegnare, né per quantità alcuna rationale exprimere, ma sempre fia occulta e secreta e dai mathematici chiamata irrationale. 4) Come Dio, è sempre simile a sé stessa. 5) Permette di formare il “duodecedron” (volume formato da 12 pentagoni) che Platone nel Timeo definisce l’espressione stessa della quintessenza. Nel cercar di dimostrare che un sistema di proporzioni è stato deliberatamente applicato da un pittore, uno scultore o un architetto, si è facilmente portati a trovare in una data opera proprio i rapporti che si cercano. Il compasso, in mano al ricercatore, non si ribellerà. Se vogliamo evitare le delusioni della speculazione oziosa, dobbiamo cercare le nostre direttive nei rapporti forniti dagli stessi artisti. Cosa curiosa, non è mai stato fatto sistematicamente. Rudolf Wittkower, 1964 Fechner ha utilizzato tre metodi di indagine: 1) metodo della scelta: scegli tra i 10 rettangoli quella esteticamente più piacevole. Nel caso non riesci a deciderti, puoi sceglierne più di una che secondo te sono piacevoli in modo uguale; 2) metodo della produzione: disegna un rettangolo in modo tale che risulti piacevole; 3) misurazione di artefatti umani: determinare le proporzioni espresse maggiormente nelle opere d’arte. Lezione 6: Dopo Fechner, e in seguito agli sconvolgimenti nel mondo dell’arte legati sia all’invenzione e all’affermarsi della fotografia, sia alla nascita delle avanguardie artistiche, il concetto di esperienza estetica subisce una lenta mutazione, in particolar modo quando si riferisce al campo delle arti: da esperienza legato al bello e al sublime diviene nel tempo esperienza che dona piacere a livello affettivo e/o a livello intellettuale. Diffusione e perfezionamento della Fotografia Avanguardie Artistiche Mutamenti lenti ma profondi nella concezione della fruizione artistica. Tentiamo quindi di formulare una nuova definizione di “estetica” applicata alle arti, o meglio di una “esperienza estetica-artistica”. Prima però cerchiamo di definirne le caratteristiche. Per esperienza estetica- artistica ci si riferisce ad una particolare sensazione di piacere legata alla fruizione di opere d’arte. Questa sensazione di piacere non è determinata in modo esclusivo da rappresentazioni del “bello”, e di norma si caratterizza come una modifica di stati affettivi e cognitivi nel fruitore. In sostanza, il fruitore esperisce a livello cognitivo/intellettuale una sensazione di accrescimento/arricchimento quando entra in contatto con un prodotto il cui contenuto è imprescindibile dalla sua struttura formale. Definizione di “esperienza estetica-artistica”: L'esperienza estetica-artistica è un piacere insieme affettivo e intellettuale emergente dalla fruizione di opere d'arte. La definizione è nuova, e non la troverete altrove perché in generale chi pratica l'estetica empirica di norma non distingue tra esperienza estetica ed esperienza estetica-artistica, dove la prima si riferisce al pensiero estetico kantiano, mentre il secondo è un piacere che emerge solo dalla fruizione delle opere d’arte. A livello teorico, se si riuscisse a definire i parametri che inducono un'esperienza estetica-artistica, si riuscirebbe anche a definire alcuni dei parametri che costituiscono l'essere 'opera d'arte'. George David Birkhoff (1884-1944) propone un approccio matematico all’estetica, con una formula che esprime il valore estetico (1932): M = O/C M = misura estetica, cioè il grado di piacere estetico suscitato da un’opera d’arte O = il grado di ordine di un oggetto C = il grado di complessità di oggetto L’assunto base della formula proposta da Birkhoff è che il valore estetico di un’opera d’arte dipende dall’esatta misura delle sue componenti. Tanto maggiore è il grado di ordine rispetto al grado di complessità, tanto maggiore è l’esperienza di piacere con l'oggetto. Quando si valuta sul piano estetico un’opera d’arte bisogna considerare 3 fattori di natura psicologica: 1- Lo “sforzo”, che l’osservatore di un oggetto artistico compie per coglierne percettivamente la struttura. Lo sforzo sarebbe direttamente proporzionale al numero delle componenti elementari di quell’oggetto. Dato che Birkhoff identifica con il numero delle componenti la misura della complessità di un’opera, lo sforzo sarebbe direttamente proporzionale alla complessità dell’opera. 2- La “percezione dell’ordine”, inerente alla configurazione o alla struttura dell’oggetto e alle sue componenti elementari. Anche l’ordine, come la complessità, sarebbe quantificabile. 3- La “sensazione di piacere”, che la percezione dell’oggetto provoca, compensando lo sforzo compiuto, tramite la percezione di ordine. Problema: Birkhoff attribuisce del tutto soggettivamente i valori numerici ai parametri individuati per stabilire la quantità di ordine e di complessità delle opere d’arte. n.b. Wikipedia: Information entropy is the average rate at which information is produced by a stochastic source of data. Generally, entropy refers to disorder or uncertainty, and the definition of entropy used in information theory is directly analogous to the definition used in statistical thermodynamics. The concept of information entropy was introduced by Claude Shannon in his 1948 paper "A Mathematical Theory of Communication" Nella teoria algoritmica dell'informazione, la complessità di Kolmogorov di un oggetto (assumendo che possa essere rappresentato come una sequenza di bit, per esempio un pezzo di testo), è la lunghezza del più breve programma informatico (in un dato linguaggio di programmazione) che produca oggetto come output. La definizione della complessità di Kolmogorov suppone che si possa descrivere, e quindi riscrivere, un'opera d'arte come una sequenza di bit (in teoria dell'informazione il bit è definita come la quantità minima di informazione che serve a discernere tra due eventi equiprobabili). Correzione di Hans Jürgen Eysenk (1916-1977): M = O•C La misura estetica è cioè determinato dal prodotto di Ordine per Complessità: - Che cosa s’intende per Ordine e che cosa s’intende per Complessità? - Come si misurano tali dimensioni, sia a livello percettivo che cognitivo? - Quali sono i fattori sottostanti le loro definizioni? Lezione 6 parte 2: ORDINE: Zanichelli (1984): Assetto, disposizione o sistemazione razionale e armonica di qualcosa nello spazio o nel tempo secondo esigenze pratiche o ideali. “Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione. Disposizioni quali la planimetria di una città o di un edificio, un insieme di utensili, un’esposizione di mercanzia, la manifestazione verbale di fatti o di idee, ovvero quali un dipinto o un brano musicale, sono disposizioni dette tutte ordinate quando sia possibile a chi le osservi o le ascolti coglierne la struttura generale ed anche il diramarsi di essa in una certa articolazione di dettaglio”. (Arnheim, Entropia e arte,1971, p. 2) n.b. Esempi di ordine: • Bibliografia e citazioni: opere sono citate in ordine alfabetico in base all’elenco degli autori: Es. Zavagno D. (2011); Zavagno D., Daneyko O. (2008); Zavagno D., Daneyko O. (2012); Zavagno D., Daneyko O., Actis- Grosso R. (2015); Zavagno D., Daneyko O., Sakurai K. (2011). • Indice: mostra l’ordine di esposizione di un testo scritto. Quando l’indice è fatto bene, permette di comprendere la macrostruttura degli argomenti trattati. • Catalogo di una mostra: percorso ragionato delle opere esposte. • Collezionismo: di solito il vero collezionista ci mette del metodo nella raccolta ed esposizione della propria raccolta. In che modo possiamo misurare l’ordine? Quali sono i fattori che ci possono informare circa l’ordine che tiene insieme, in una struttura logica o percettiva, un gruppo di elementi. Un fattore principale nella percezione di ordine è data da regolarità sottostanti la struttura ordinata. Principi organizzativi sul piano visivo (e anche uditivo) possono essere, per esempio, le leggi di segmentazione del campo studiati dalla psicologia della Gestalt. Anche la simmetria è un fattore che introduce regolarità all’interno di strutture, ed è quindi un fattore che crea ordine. Tuttavia, è bene tenere presente che l’ordine percepito è anche una condizione contestuale, spesso determinato da schemi di riferimento. Esempio: L'ordine dato da simmetrie e ripetizioni può essere anche piuttosto complesso. Nel caso di Alcazar in Siviglia prevale la ripetizione uniforme, nel caso della Loggia d'onore la ripetizione dà luogo ad un ritmo. Se a ciascuna raggruppamento di elementi e interruzioni ritmate dessimo dei suoni, avremo un perfetto ritmo acustico che si ripete. Anche se nessuno lo ha mai detto prima d'ora, queste pareti sono come uno spartito. Lezione 6 parte 3: COMPLESSITA’: Complessità Zanichelli (1984): Che risulta dall’unione di varie parti o di diversi elementi… Complicato, difficile da comprendere. Si può comprendere il termine “complessità” in relazione al termine La semplicità di una figura non dipende tanto dal numero degli elementi costituenti, bensì dal numero delle caratteristiche strutturali presenti, cioè del rapporto tra il tutto e le sue parti in relazione al contesto entro cui sono osservate. Il sistema visivo è sintonizzato sulla terza dimensione: la soluzione tridimensionale è favorita quando tale esito semplifica la struttura dell’oggetto visivo. Gli psicologi di indirizzo gestaltista chiamano il principio del minimo pregnanza e affermano che il campo visivo viene segmentato in funzione di una massima omogeneità e una minima eterogeneità. Quando consideriamo strutture più complesse, quali sono per esempio le opere d’arte, entrano in gioco dinamiche e tensioni visive che possono semplificare o complicare la scena visiva. La lode alla semplicità emerge soprattutto nell’ambiente del design, della tecnologia (usabilità) e dell’economia. La semplicità è una categoria fondante della ricerca artistica? Se sì, in quali termini? Le arti mirano forse ad una semplicità relativa più che ad una semplicità assoluta. Secondo Arnheim, la semplicità relativa implica economia e ordine. In un certo qual senso, anche le scienze applicano il principio del minimo: di solito si predilige l’ipotesi più semplice (quello con meno eccezioni) alla spiegazione di un fatto. In linea generale, un’ipotesi è più semplice di un’altra in base al numero di elementi primari che la compongono. Ha forse senso parlare di un principio del minimo anche in arte: l’artista non deve andare oltre a quanto è necessario per lo scopo che vuole raggiungere. In altre parole, un’opera d’arte non deve essere più complessa di quanto necessario nella rappresentazione del proprio contenuto. Ecco dunque il terreno della sfida su cui si gioca il valore intrinseco di un’opera d'arte: una giusta compenetrazione di semplicità e complessità. Le grandi opere d’arte sono complesse, eppure sono lodate per la loro semplicità. Il dosaggio di questi aspetti avviene mediante il principio dell’ordine. “Elementi semplici in sé stessi possono (…) venir disposti in modo da costruire un “tutto” assai complicato; e tali scelte compositive possono a loro volta essere unificate da un ordine semplificatore”. Arnheim, p. 69 Nel dipinto di Klee, Giardino di Rose (1920), gli elementi semplici sono rettangoli, triangoli, losanghe, ecc. L’ordine semplificatore è dato da una griglia principale di disposizioni verticali, e una griglia secondaria di linee tendenti all'orizzontale. Infine, scelta cromatica è molto ristretta. Gli oggetti d’uso comune hanno una funzione, e la loro semplicità non si riferisce solo al loro aspetto ma alla corrispondenza tra l’immagine del sistema e l’operabilità del sistema che ne garantiscono l’usabilità. “Nel linguaggio, la frase che con la sua complessa struttura verbale corrisponde esattamente alla complessa struttura del pensiero che deve esprimere è di una invidiabile semplicità, mentre qualsiasi discrepanza tra forma e significato interferisce con la semplicità”. (Arnheim, p. 70) Gli oggetti artistici hanno tutte un significato: figurativo o astratto, l’opera d’arte è un’asserzione. Il problema della semplicità si annida tra la forma e il significato dell’opera. La discrepanza tra forme semplici e significati complessi può generare opere molto complesse. Tale complessità non è però necessariamente negativo in arte. Anzi, è spesso la calamita che attira l’attenzione del fruitore. Ambiguità e semplificazione Che cosa ci ricordiamo dopo aver osservato e studiato una configurazione complessa? È probabile che il sistema cognitivo, nella codifica in memoria, semplifichi la configurazione in modo tale da massimizzare o l’omogeneità strutturale (simmetria, regolarità), oppure l’eterogeneità (asimmetria, disomogeneità). Una tendenza alla massima omogeneità può essere un metodo per economizzare la trascrizione nella memoria di immagini geometriche e di caratteristiche ambientali, per cui si può ipotizzare che la regolarità dello spazio permette di semplificare i rapporti tra gli oggetti ivi collocati e gli oggetti e lo spazio stesso. La tendenza invece alla massima eterogeneità, o meglio alla accentuazione di caratteristiche distintive può invece risultare più conveniente quando si devono immagazzinare immagini altamente significative sotto il profilo della vita sociale ed emotiva. Semplicità e segmentazione “Il tutto è più della somma delle sue parti” Questa affermazione può indurre in inganno: molti infatti intendono che una unità percettiva è data dalla somma delle sue parti più un qualche cosa di misterioso. In realtà il motto gestaltista indica che esiste un rapporto molto stretto tra il tutto e le sue parti: l’aspetto del tutto influenza il modo in cui le parti appaiono, e l’aspetto del tutto è a sua volta influenzato dalla conformazione delle parti. Provate ad immaginare cosa significhi questo sul piano creativo: ogni volta che si aggiungono o si tolgono elementi da un’opera in fieri l’artista, almeno a livello di possibilità sul piano teorico, si ritrova con un’opera “diversa”. Chi ha avuto la possibilità di assistere ad atti creativi (cioè alla lavorazione di un’opera non ancora compiuta) si sarà chiesto come mai l’artista non si ferma a un certo punto, ma prosegua nella lavorazione. È evidente che l’artista guarda l’opera in fieri con occhi diversi dai nostri. Ha un obiettivo da raggiungere, e l’interazione “tutto-parti” assume un aspetto diverso. Diviene quindi interessante soffermarsi sulla definizione di “parte”. Una parte non è una suddivisione arbitraria di una struttura. Una parte intesa come elemento strutturale è un qualche cosa che ha caratteristiche figurali sue proprie. Un viso umano, per esempio, è composto da molte parti, tra cui guancia, mento, fronte, eppure queste “parti”, sebbene abbiano un nome, sono di riempimento, non hanno una conformazione oggettuale precisa che li rende immediatamente riconoscibili. Gli egiziani hanno usato l’occhio nei loro ideogrammi; Gogol ha scritto un capolavoro satirico creando un personaggio sfrontato, ovvero il Naso di un assessore; le labbra diventano divani; le gote, invece, al massimo possono arrossire, non avendo in sé caratteristiche "oggettuali". Es. Uno scheletro ha una “qualità di compiutezza” che si oppone ad aggiunte od omissioni, mentre le singole ossa hanno solo un certo grado di compiutezza in quanto le loro forme implicano la congiunzione con altre ossa. Lezione 6 parte 5 Le leggi del tutto Nel 1923, lo psicologo gestaltista Wertheimer individuò le leggi di segmentazione (o di unificazione) del campo visivo. Oltre venti anni più tardi Cesare Musatti argomentò che i principi individuati da Wertheimer possono essere ridotti ad uno solo, il principio di omogeneità. Arnheim descrive il principio di omogeneità di Musatti in termini di un principio di somiglianza, nel senso che fattori isolati da Wertheimer, per esempio la buona continuazione, possono essere descritti in termini di una somiglianza, che nel caso della buona continuazione sarebbe di direzione. In verità, mi pare che il principio di omogeneità di Musatti implichi molto più della sola somiglianza. Per certi versi assomiglia al principio di pregnanza, che sarebbe quel principio sovraordinato che controlla l’esito dei raggruppamenti compiuti con i principi di somiglianza, vicinanza, ecc. Che si chiami principio di omogeneità o di pregnanza, risulta evidente che vicinanza, chiusura, somiglianza (di qualsiasi tipo: colore, velocità, direzione, grandezza, ...), ecc. non sarebbero quindi dei veri principi bensì dei fattori emergenti dal contesto, la cui presenza determina il modo in cui il campo visivo viene segmentato in unità significative. Nei libri di testo è abbastanza comune che gli autori scelgano di mostrare situazioni semplici in modo da favorire l’apprendimento dei cosiddetti principi di segmentazione (organizzazione, unificazione). È un approccio dal basso. Nello studio dell’arte, però, risulta molto più proficuo un approccio dall’alto, per cui partendo dall’unità dell’opera la si segmenta in sotto-unità per facilitarne la lettura e valutare la coesione tra forma e significato. È opportuno però ricordare che l’unificazione dal basso e la segmentazione dall’alto sono concetti reciproci. La differenza tra i due approcci sta nel modo in cui si può applicare il principio di omogeneità, che nell’organizzazione dal basso riguarderà essenzialmente la somiglianza tra elementi ed unità, mentre con l’approccio dall’alto concerne anche l’organizzazione globale della struttura, cosa che è intimamente correlata con lo stile dell’artista. Semplicità e complessità sono due estremi di un continuum, oppure sono fattori disgiunti? Affermare che complesso è ciò che non è semplice implica un continuum. Tuttavia il costrutto di semplicità è multidimensionale e si applica a diverse dimensioni del reale. In tal senso i continuum sono molteplici e qualsiasi generalizzazione rischia di banalizzare un problema che invece riguarda i livelli di comprensione e di interpretazione di un’opera d’arte. All’interno del paradossale rapporto tra semplicità e complessità vi è pure un altro paradosso: se ciò che è complesso appare tale in quanto contrapposto alla semplicità, costrutto la cui definizione risulta complessa (sia sul piano teorico che su quello operativo), ciò che è semplice appare semplice e basta. La semplicità si impone da sé, e non necessita del costrutto di complessità. Semplicità e complessità Abbiamo più volte evidenziato che il sistema visivo segmenta la scena visiva in base a leggi che tendono a favorire la “semplicità” dell’esito percettivo. Il costrutto di semplicità è però complesso: la semplicità dipende dal numero di elementi costituenti l’oggetto; dall’orientamento di assi, bisettrici, diagonali; dall’orientamento di lati, contorni, margini; dai rapporti tra le parti; dal rapporto tra le superfici ed il tutto . Appare evidente che una definizione operativa del costrutto di semplicità non è facile; quindi è complessa. Il costrutto di complessità è invece paradossalmente semplice da definire: è complesso ciò che non è semplice, ovvero ciò che è costituito da molti elementi, da numerosi rapporti, da dinamiche che sfuggono all’equilibrio, ecc. Quindi, dato che non esiste una definizione operativa universalmente valida con cui identificare il costrutto di “semplicità”, non esiste a tutt’oggi neppure una definizione operativa, cioè matematica, in grado di quantificare la complessità che sia universalmente valida. Va da sé che vi è una forte assonanza tra l’impossibilità di definire in maniera operativa concetti-esperienza quali semplicità e complessità e l’impossibilità di definire a priori che cosa sia o non sia arte. L’arte ci intriga per la sua complessità, ma ci affascina con la sua semplicità. Il valore estetico si annida in questa contrapposizione, che è giocata sul fattore ordine. Es. Il Modulor di Le Corbusier segue la tradizione che era già di Vitruvio, e cioè di porre l’uomo quale metro di proporzione ideale. Dietro l’apparente semplicità dell’architettura razionale di Le Corbusier vi è dunque un sistema complesso di rimandi a moduli basati sia sull’uomo ideale, sai sulla sezione aurea Le Corbusier dimostrò sempre molta attenzione alle proporzioni. In realtà fu un grande musicista. Ma la sua musica, invece di svilupparsi nel tempo, si sviluppa nello spazio a tre dimensioni. E, come il musicista, egli si esprime attraverso rapporti. Si può dire che il Modulor è una scala, paragonabile approssimativamente alle scale musicali anche se, invece di essere una scala di suoni, è una scala di grandezze spaziali (André Wogenscky, architetto allievo di Le Corbusier). Oppure, le piramidi sono da considerarsi opere d’arte? Secondo Arnheim, la resistenza che si incontra quando si tenta di classificarle come arte consiste nella loro estrema semplicità. La piramide del Louvre progettata da Ieoh Ming Pei è un’opera che ha suscitato molte polemiche, ma non vi è dubbio che si tratti di una commistione tra architettura, ingegneria e arte (come d’altronde accade sempre in architettura). A livello figurativo, l’iperrealismo (ultrarealismo, superrealismo) è una corrente che si caratterizza per una aderenza alla realtà che va oltre la rappresentazione fotografica. L’eccesso di fedeltà al reale crea una tensione psicologica particolare nel fruitore che a stento riesce a vincere un innato senso di imbarazzo di fronte ad un atto di voyeurismo pubblico. La complessità quindi s’insinua tra la componente tutto sommato semplice della fedele resa visibile del soggetto e la confusione instaurata nel fruitore chiamato a giocare il ruolo del voyeur. Semplicità e complessità si compenetrano nell’opera d’arte. Opere d’arte strutturalmente complesse sono semplificate tramite accorgimenti grafico-pittorici che guidano la loro segmentazione interna, operazione che facilita la fruizione e l’interpretazione dell’opera. Le opere apparentemente semplici contengono livelli di complessità nel contenuto che emerge dall’incontro tra forma e fruitore. L’opera concettuale si avvale proprio del contrasto tra soluzioni visive semplici e contenuti complessi per determinare nell’osservatore un complesso gioco di tensioni cognitive ed emotive. Boselie e Leeuwenberg (1984) rivedono la formula di Birkhoff-Eysenck: M= Um (Ue) (Cm,e) M = grado di bellezza (intesa come esperienza estetica); Um = grado di non ambiguità dei mezzi; Ue = grado di non ambiguità dell’effetto; Cm,e = contrasto tra effetto e mezzi Intensità del vissuto di bellezza come funzione del rapporto tra mezzi e fini: ogni esperienza estetica secondo i due autori ha alla base un sentimento di sorpresa e sconcerto. Tesi # 5: L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Ne segue che il perché e il come le creazioni artistiche suscitano un’esperienza estetica può essere intesa pienamente soltanto in termini neurali.  A prescindere da un feroce neuroriduzionismo, il problema qui è che si è dato per scontato il significato di esperienza estetica, tra l'altro facendola coincidere spesso con l'esperienza del bello, quando l'esperienza estetico-artistica è ben più complessa. Questa linea di pensiero conduce nuovamente l’estetica sperimentale (di cui la neuroestetica è una delle ultime evoluzioni) a considerare soltanto casi limite, a porre barriere piuttosto rigide nei confronti dell’arte, definendo ciò che funziona sul piano estetico da ciò che non funziona. Scritto così, il piano scientifico sembra importante, ma è nei dettagli che si annida il diavolo. Nel suo libro Zeki afferma, per esempio, che il cubismo è stato un fallimento perché ha operato delle scelte formali non basate sul modo di funzionamento del cervello, ma l'affermazione ha del ridicolo. Un altro punto debole, reminiscente di un’idea ‘romantica’ dell’arte e dell’artista, è l’insistere sul carattere istintivo dell’artista, come se l’artista non avesse piena consapevolezza dei propri mezzi e del proprio operato. La conseguenza di questo tipo di ragionare non è quello di alzare l’artista al rango di “neuroscienziato”, bensì di svilire il suo apporto intellettuale nella creazione dell’opera. L’artista avrebbe delle abilità, ma per lo più opererebbe in modo inconscio. Noi usiamo il termine “arte concettuale” per definire un certo tipo di arte visiva. E tuttavia, non si dà alcun prodotto artistico che non sia infine anche un’opera concettuale. Anzi, si può ben ritenere che siano proprio il background socio-culturale, le pulsioni sociali attorno all’artista, nonché la sua impostazione intellettuale a guidare la forma data all’opera, la cui funzione è di convogliare “significato”, nel senso più ampio del termine, e cioè senza confini. La forma, in arte, è anche una componente fondamentale del contenuto. In tale senso l’arte vera non è mai istintiva, ma premeditata, anche quando si avvale dell’improvvisazione. Domande su cui riflettere: Lezione 8: LE ORIGINI Arte come re-interpretazione Leon Battista Alberti e le immagini somiglianti: “Le arti di coloro che cercarono di tradurre nell’opera propria figure ed immagini somiglianti a corpi generati dalla natura, penso che abbiano avuto questa origine. Essi forse qualche volta videro in un tronco o in una zolla o in altre cose inanimate di tal genere alcuni tratti che, con pochi cambiamenti, potevano rappresentare qualcosa di molto simile agli aspetti reali della natura. Allora, rendendosene conto ed esaminandoli, diligentemente cominciarono a fare dei tentativi, se mai potessero aggiungervi o togliervi qualcosa e darvi quei tocchi finali che parevano mancare per cogliere ed esprimere completamente il vero aspetto di un’immagine. Così, correggendovi e rifinendovi linee e superfici secondo i suggerimenti della cosa stessa, raggiunsero il loro proposito, di certo non senza piacere. Né meraviglia che, movendo di qui, l’applicazione e lo studio umani s’esercitassero di giorno in giorno nell’esprimere somiglianze fino al punto che, anche quando nella materia a disposizione non scorgevano alcun aiuto di somiglianze allo stato di abbozzo, poterono ugualmente ricavarne la figura che volevano”. Leon Battista Alberti, De Scultura, 1450, p. 3 Le opere presentate del periodo geologico del pleistocene, nell’ultima glaciazione del Wurm, appartennero alla cultura del paleolitico superiore (dai trentamila ai dodicimila anni prima della nostra era). Le ultime ricerche con il metodo del C14 condotte sui vari dipinti dicono che la parte più importante è stata eseguita nell’arco di duemila anni intorno ai quindicimila anni fa. Altro esempio: Lastra di pietra paesina “Se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se avrai a invecionare qualche sito, potrai lì vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure, grandi valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie, e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre integra e bona forma”. Leonardo Da Vinci, 1942 (tratto da Baltrusaitis, Aberrazioni, 1983) Pareidolia: “simile – immagine” La pareidolia è definita in diversi modi: come “un processo automatico della mente”, “una tendenza subconscia”, “un’illusione subconscia”, una tendenza soggettiva, ecc. In pratica si tratta di un fenomeno normale e automatico di organizzazione del campo visivo – scissione fenomenica figura-sfondo, leggi di organizzazione gestaltiche, comparazione con templates (cioè macro modelli di entità percettive rilevanti, come la faccia umana) – che dà luogo alla percezione di raffigurazioni di oggetti, cui è aggiunta una volontà associativa-riconoscitiva conscia e proiettiva che attribuisce un significato particolare alla rappresentazione riconosciuta e che può essere regolata da diversi fattori psicologici: emozioni (es. paura, desiderio), bisogni trascendentali (fede religiosa), auto-intrattenimento. Se l'immagine somigliante è all'origine dell'arte, come argomenta l'Alberti, la pareidolia è un derivato dell'immagine somigliante, in cui si vuole riconoscere, identificare o semplicemente vedere nella configurazione casuale dello stimolo un significato più profondo, una presenza, un segno. Anche quando lo stimolo è ambiguo, il sistema visivo, in automatico, cerca di organizzare i dati in modo da segregare potenziali figure (entità fenomeniche rilevanti) dallo spazio circostante (lo sfondo, il “contenitore” in cui si trovano ad agire le entità, e che ha proprietà tali da definire le relazioni spaziali intercorrenti l’osservatore e le entità fenomeniche). ALLA RICERCA DI SENSO L’arte informale è una corrente artistica diffusasi a partire dagli anni 50 del secolo scorso. All’interno del programma dell’arte informale vi era anche l’idea di una perdita di valore della forma a favore della materia stessa di cui è fatta l’opera. Si potrebbe quindi concludere che per l'arte informale il contenuto è la materia stessa di cui sono composte le opere. Viene meno, spesso, anche la nozione di stile classicamente inteso. E tuttavia, anche se priva di una "forma" riconoscibile, l'arte informale è pur sempre la rappresentazione di una istanza in quanto ricerca artistica. E lo stile emerge sia dal gesto dell'artista che dalla scelta dei materiali. In questo senso, nell'arte informale, forma, stile e contenuto sono un tutt'uno. Es. Cretto G1 di Burri o Apparizione di volto e coppa di frutta in una spiaggia di Dalì. Altro esempio potrebbero essere le tavole del Rorschach, “A tutt'oggi sei milioni di persone all'anno si trovano a interpretare i disegni di Rorschach in un contesto clinico o legale. Esiste una International Rorschach Society che ha sedici affiliati nazionali (dall'Italia al Venezuela). Ma la tecnica di Rorschach è veramente un buon indicatore? Qual è lo statuto scientifico delle tecniche proiettive? Questo è l'argomento di un lungo e dettagliato saggio di Scott O. Lilienfeld, James M. Wood e Howard N. Garb, pubblicato sul numero di novembre 2000 di "Psychological Science in the Public Interest”. L'articolo contiene un esame comprensivo e imparziale della letteratura scientifica sulle tecniche proiettive in genere e dedica ampio spazio al Rorschach. I risultati non sono particolarmente incoraggianti. Gli studi indicano che il Rorschach tende a patologizzare i suoi soggetti, ovvero gli adulti normali tendono ad apparire patologici se ci si basa sul metodo di valutazione del Rorschach. Accade così che un sesto dei soggetti del campione di controllo appare schizofrenico. Non è chiaro perché le norme del Rorschach deviano così sensibilmente. Ma chi ha stabilito le norme interpretative del Rorschach? Stranamente, i manoscritti che descrivono gli studi preliminari di Exner non sono pubblici, per cui non è possibile ricostruire la genesi delle norme. Pare inoltre che il Rorschach sia tendenzioso rispetto a differenze culturali: le comunità afroamericane e indiane degli Stati Uniti danno risposte che deviano sistematicamente dalla norma; il test non sarebbe quindi generalizzabile. Il risultato più interessante riguarda la dipendenza del risultato del test dal numero delle risposte date. "Se un soggetto dà 14 risposte e un altro 28, quest'ultimo ha due volte più occasioni di riferire contenuti aggressivi (che si suppone indichino le caratteristiche di una personalità aggressiva) o immagini morbose (che si suppone indichino la depressione)". Si sa però che il numero delle risposte dipende da fattori culturali ed è correlato con l'intelligenza (misurata con test indipendenti). Il che significa che certe persone finiscono con l'essere considerate patologiche semplicemente perché danno più risposte. Curiosamente si tratta delle persone più intelligenti. La spiegazione di questa insufficienza del Rorschach? Pare semplicemente che non vi siano stati studi sufficienti sulla validità degli indici. Per esempio, le risposte che indicano la presenza di ombre dovrebbero essere un indice di ansietà. Per il senso comune questa teoria sembra proprio perfetta. Ma il fatto è che non si sono trovate correlazioni precise tra le risposte che privilegiano le ombre e la patologia che queste dovrebbero indicare. Fin qui, nulla di particolarmente inquietante. Scopriamo che possiamo giocare al Rorschach come abbiamo sempre fatto, in maniera del tutto innocente; siamo autorizzati a farlo né più né meno di quanto lo siano gli psicologi. Le nostre interpretazioni della maggior parte degli indici saranno altrettanto valide. Il problema delicato è quello dell'uso del Rorschach (e di altri strumenti di valutazione psicologica) nei contesti legali. Negli Stati Uniti è opinione comune tra gli esperti legali che il test, applicato ai bambini, sia in grado di rivelare se sono stati oggetto di violenza (child abuse). Anche qui, gli studi non sembrano probanti. Pare che si tenda a pubblicare risultati che sono statisticamente significativi e a lasciare nel cassetto risultati con poca ampiezza statistica. Questo fenomeno è noto come l'effetto del cassetto. "I redattori possono preferire manoscritti che includono risultati statisticamente significativi. Ma anche i ricercatori possono essere inclini a sottoporre manoscritti che includono risultati statisticamente significativi, pensando che possano essere accettati più facilmente". L'esame degli studi che riguardano l'applicazione del Rorschach all'indagine di violenze sui minori mostrerebbe proprio un effetto di questo tipo”. Roberto Casati, “Le tavole del pregiudizio”, Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2001. La percezione pittorica: La percezione pittorica è quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene raffigurate. Lo psicologo american James J. Gibson, che coniò il termine, parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un’immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere. Egli ha definito questo rapporto come un paradosso. Ruolo dell’esperienza passata: FONDAMENTALE TRASCURABILE TEORIA ECOLOGICA DI Gibson Non sono esempi di mascheramento, bensì giochi visivi non dissimili dai dipinti suggestivi di Salvador Dalì. La cosa interessante riguardo al mascheramento sta nell’osservare che il sistema visivo procede ad una organizzazione automatica dell’informazione visiva derivante dagli stimoli, usando in modo dinamico principi quali la buona continuazione, la somiglianza, l’avvicinamento, insomma quegli stessi principi che garantiscono una segmentazione appropriata del campo visivo in unità discrete dotate di proprie caratteristiche figurali. I casi più spettacolari di mascheramento sono il mimetismo animale e di camouflage o camuffamento militare. In entrambi i casi lo scopo è quello di nascondersi agli occhi di un potenziale predatore o nemico, per mezzo di una integrazione mimetica con l’ambiente circostante. In tal modo, infatti, vi è una certa probabilità di passare inosservati in quanto scambiati come parte dell’ambiente (sfondo) o come parte di un oggetto poco interessante sul piano alimentare (per esempio essere scambiati per una foglia, ramo o, un sasso). Questa figura non maschera l’altra. È semplicemente il negativo dell’altra. Alcuni libri di testo riportano figure simili a questa per parlare di mascheramento, ma non è un vero caso di mascheramento: si vede tutto quello che c’è da vedere. Semmai, è una figura con poca informazione visiva relativa alla struttura di un viso umano. Altri esponenti: Liu Bolin (opere), Vera von LehndorffSteinort, nota più semplicemente come Veruschka (fotografie). lezione 9: LA VEROSIMIGLIANZA: Verosimiglianza: Caratteristica di ciò che è simile o conforme al vero. Tensione costante alla verosimiglianza nell’arte figurativa dai suoi albori. La funzione è quello di rappresentare nel modo più “realistico” possibile ciò che realmente esiste, ma anche ciò che è frutto soltanto dell’immaginazione. Tensioni alla verosimiglianza sono presenti anche nell’arte contemporanea, anche se in forme diverse da come inteso nella definizione classica. Tali tensioni caratterizzano inoltre altre forme di arte, dalla letteratura al cinema, dall’arte radiofonica al teatro. Es. Muech, Gocce d’acqua (Tschang-yeul), Mother and child divided (Hirst), brano di Rosenberg e The Blair witch project. L’Alberti sostiene che l’arte nacque come tentativo di riprodurre il visibile. Il fine potrebbe essere di varia natura: celebrazione di eventi, religioso, racconto. In ogni caso si tratta di comunicazione. È necessario perciò chiedersi se vi sia uno stile migliore degli altri, che sia più fedele nel modo di rappresentare le qualità formali e materiali del mondo visibile. In verità già nell’arte preistorica vi sono non pochi esempi anche di raffigurazioni geometriche. Sono decorazioni o rappresentazioni simboliche? Qualsiasi fosse la funzione che erano chiamate ad assolvere, molti studiosi ritengono che le raffigurazioni geometriche in generale sono importanti esercizi del vedere e del ragionare miranti al controllo della superficie e dello spazio. La psicologia dell’arte e l’estetica sperimentale in passato si sono concentrate soprattutto sull’analisi dell’arte figurativa, individuando nella tensione alla verosimiglianza uno dei motori dell’evoluzione artistica. Quanto è realistica l’arte figurativa? L’uomo da sempre ha cercato di piegare la natura. L’artista tuttavia è sempre andato contro le rappresentazioni realistiche: il mondo infatti presenta irregolarità e imperfezioni, pur suggerendo all’osservatore la bellezza di proporzioni regolari e perfette. Compito dell’artista era quindi di rappresentare una natura perfetta, sostituendo le irregolarità e imperfezioni trovate in natura con regolarità e proporzioni ritenute ideali. In altre parole, l’arte figurativa mirava non tanto a imitare la natura, ma a superarla: il mondo rappresentato diventa luogo simbolico in cui la comunicazione era perseguita seguendo specifici canoni estetici. Si pone una distinzione tra imitazione e ritratto della natura: la prima deve rappresentare ciò che si vede, la seconda deve rappresentare ciò che si dovrebbe vedere se il mondo fosse perfetto. Il secondo rappresenta la vera sfida, che consiste nel perfezionare la natura, superandola in bellezza. È questo il programma implicito dell’arte figurativa, reso esplicito dal manierismo in poi. La natura, quindi, come generatrice e portatrice di “perfezione” va anzi tutto imitata. Ma il grande artista va oltre, supera la natura, appunto per equilibrare e aggiustare le sue disomogeneità e imperfezioni. È esistito quindi un atteggiamento ambivalente dell’arte verso la natura, che se da un lato è maestra da imitare, dall’altro lato è dimensione da giudicare e superare, correggendo la sua apparenza laddove necessario. (Ricordatevi le proporzioni ideali del corpo umano). Non ci si deve però scordare che l’uomo imita la natura anche ritraendo il “brutto”, che in natura si sostanzia in proporzioni esagerate, irregolarità e asimmetrie. Anche qui l’arte, pur ispirandosi alla natura, sembra andare oltre, individuando e perfezionando prototipi, inventando nuove forme come Hieronymus Bosch e Bruegel. LO STILE È una caratteristica formale costante che caratterizza la produzione artistica di un artista, di una bottega, di un gruppo di artisti, di una scuola, di un determinato periodo storico, di un determinato luogo geografico. Il problema dello stile s’interseca con il problema della verosimiglianza, in quanto ne condiziona la resa. Lo stile caratterizza il segno figurativo, costituendosi come elemento che va oltre l’atto di imitare. Ovviamente, ogni epoca tende a vedere negli stili che le sono propri un superamento degli stili precedenti in segno di una maggiore aderenza alla realtà visiva, ovvero una migliore traduzione delle tensioni presenti nel contemporaneo. Dall’Enciclopedia Treccani: Pàolo III papa. - Alessandro Farnese (Canino 1468 - Roma 1549). Papa dal 1534, il suo pontificato fu segnato soprattutto dalla reazione contro il protestantesimo. Approvò l'ordine dei gesuiti, costituì la Congregazione del Sant'uffizio (Inquisizione romana, 1542) e infine, nel dicembre 1545, convocò il concilio di Trento. Fu inoltre grande mecenate e incline al nepotismo. Ritratto di Federico da Montefeltro: Il naso occlude un bel po’ del campo visivo controlaterale all’occhio. Per un condottiero che ha perso un occhio durante una giostra, il naso può costituire un serio problema per il pieno monitoraggio del campo di battaglia. Il problema di Federico fu risolto attraverso un intervento chirurgico (uno dei primi interventi di chirurgia plastica di cui si ha notizia). Gli artisti di ogni periodo storico, almeno fino al 1800, hanno tentato di superare in “realismo” le rappresentazioni pittoriche e scultoree di coloro che li hanno preceduto. In questo senso lo stile, che comunque caratterizza l’artista, è una dotazione per così dire “naturale”, anche quando espresso in termini manieristici. Lo stile diverrà oggetto di ricerca con le avanguardie del ‘900. Anzi, in molti casi lo stile soppianta il contenuto, che diviene solo l’occasione per, appunto, un nuovo esercizio di stile. Es. Michelangelo Buonarroti, Crocifissione di San Pietro (1546-50, Vaticano: Palazzi Pontifici, Cappella Paolina) e Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Crocifissione di San Pietro (1600, Roma: Santa Maria del Popolo, Cappella Cerasi). LA VEROSIMIGLIANZA E GLI UNICORNI Come sono fatti gli unicorni? Es. La dame à la licorne (Dagli arazzi d’Aubusson, XV sec, Parigi, Musée de Cluny), Raffaelo Sanzio, Dama con il liocorno (1505, Roma: Galleria Borghese), Richard de Fournival, Bestiaire d'Amours (1325-1350, Parigi). Dal Phisiologus (testo a carattere enciclopedico volto a spiegare la natura secondo principi religiosi) versione latina risalente al VIII-IX sec. Il testo trae spunto dal Physiologus in lingua greca, scritto tra il II e III secolo d.C.). XVI) L’unicorno, come si cattura C’è un animale che in greco è chiamato monocero, mentre in latino è detto unicorno. Il fisiologo dice che l'unicorno ha questa natura: è un animale molto piccolo, simile ad un capretto, alquanto aggressivo, ed ha un unico corno in mezzo alla fronte; nessun cacciatore è capace di catturarlo, ma con questa furbizia essi lo adescano: conducono una fanciulla vergine nel luogo dove egli si ferma, e la abbandonano sola nella foresta; lui, come vede la vergine, la abbraccia e si addormenta sul suo grembo e lì viene catturato dai suoi cacciatori e mostrato al palazzo del re. Così anche nostro Signore Gesù Cristo, come unicorno spirituale, scende nell'utero di una vergine, attraverso la sua carne ed è catturato dai Giudei e viene condannato a morte in croce, egli che si credeva sino a quel momento invisibile insieme con suo Padre. Com’è avvenuta che l’unicorno da animale simile ad un capretto sia mutato nell’immaginario a un animale considerato molto più nobile come appunto il cavallo? In realtà, questa trasformazione avviene già nel XV secolo. Es. Pisanello, Medaglia bronzea per Cecilia Gonzaga, 1447, National Gallery of Art, Washington; Francesco Di Giorgio Martini, Castità con l’unicorno, Miniatura del 1463, Siena, Carri del Trionfo, dipinti dietro i ritratti di Federico da Montefeltro e di sua moglie Battista Sforza. Artista Piero della Francesca (1465-66). Sono rappresentazioni allegoriche delle virtù dei due membri della famiglia ducale. Oppure Erhard Reuwich, incisione con matrice di legno, 1486 e Luca Longhi, Dama con unicrno, 1535-40, Castel Sant’Angelo, Roma. Il potere dell’evocazione E se il fascino esercitato dalle immagini figurative risiedesse nel loro potere di evocare esperienze fenomeniche, a prescindere dalla reale possibilità di avere certe esperienze o incontri? Non bisogna scordare che spesso a immagini (comprese sculture e oggetti) –in particolar modo scene religiose, ritratti, rappresentazioni figurative –sono state attribuite effetti taumaturgici, apotropaici, e di protezione in generale contro le forze del male o eventi avversi. Es. Unkei (1151-1223): Agyo posto a guardia del tempio Todai-ji in Kyoto. Il potere evocativo è immediatamente riconoscibile nell’arte della musica, ma è anche un fenomeno molto importante nella sensazione odorifera (un particolare odore può richiamare alla mente particolari esperienze del vissuto personale di un individuo). Le immagini figurative, invece, data la loro immediatezza e intrinseca “completezza” come esperienza visiva, possono essere evocative? Oppure ciò che in esse è rappresentato ha una consistenza fenomenica tale per cui non possono essere definite evocative in quanto si costituiscono come esperienza completa? Es. Claude Monet (1840-1926), Il bacino delle ninfee con nuvole (1893, Coll. Gulbenkian) e Debussy, Reflets dans l’eau, 1905. Non si dà esperienza sensoriale collegata alla fruizione artistica che non sia infine anche evocativa sul piano cognitivo e/o affettivo. In altre parole, ogni esperienza sensoriale legata all’arte, che superi la soglia della coscienza, produce una nostra reazione, sia questa fisica (es. allontanamento, avvicinamento), cognitiva (es. attenzione, pensiero, ricordo), emotiva (es. gioia, paura, rabbia), o una combinazione di reazioni. Es. Monet “La passeggiata con il figlio” e Van Gogh “Notte stellata” o “Il nudo Rosso” di Modigliani. Si può tuttavia assegnare a Leonardo da Vinci l’idea che l’osservazione da sola non basta, e che bisogna ‘sperimentare’ per capire come funzionano certi aspetti del reale. Il metodo vinciano, tuttavia, era ancora largamente legata ad interpretazioni del reale basate sull’osservazione. Gli esperimenti erano infatti guidati da domande (cosa succede se? come funziona?), non da ipotesi, le quali sono alle basi della formulazione di teorie, complesso appunto di ipotesi interconnesse, che caratterizza le scienze moderne. La formulazione di ipotesi non è legata a domande generiche (tipo ‘come funziona?’), ma a domande strutturate: Perché succede una cosa? È a causa di A o di B? Con Galileo abbiamo la separazione tra arte e scienze in seguito alla creazione del metodo sperimentale. È Galileo, che contrapponendo il ‘dubbio’ al ‘dogma’, va oltre la semplice ’sperimentazione’, adoperando in modo sistematico l’osservazione sperimentale, ponendo così le basi allo sviluppo del metodo sperimentale. Perché la comparsa del metodo sperimentale ha imposto una divisione tra attività artistica e attività scientifica? In che modo il metodo sperimentale contrasta con l’arte? Perché si dice che arte e scienze hanno preso due strade diverse? In che cosa consiste questa differenza? Queste domande sono centrali, se si vuole indagare il fenomeno arte dal punto di vista psicologico. Servono a comprendere meglio il fenomeno e a incorniciare una nuova tendenza, quella che negli ultimi 20 anni vede un certo un ritorno di fiamma tra arte e scienze. Al fine di comprendere a fondo il nuovo accostamento tra fare artistico e fare scientifico, cioè tra ricerca artistica e ricerca scientifica, conviene porre alcune domande, la risposta delle quali può aiutarci a trovare le risposte alle domande precedenti: 1. Che cosa hanno in comune arte e scienza? 2. Quali sono le differenze tra ricerca scientifica e attività artistica? 3. Quali potrebbero essere i vantaggi in termini culturali-gnoseologici di un nuovo accostamento tra le due discipline? (n.b. Art & Perception Journal). Punti in comune:  Passione  Intuizione  Creatività  Eleganza e semplicità nelle soluzioni  Senso estetico del risultato Quante di questi punti sono in comune con altre attività umane, oltre alla ricerca scientifica o quella artistica? Differenze 1. Scienza: Non può prescindere da un atto di fede realista. Dualismo necessario: vi è un mondo esterno, indipendente dall’osservatore, regolato da leggi basate su relazioni che possono essere indagate. Arte: Può prescindere dal rappresentare la realtà esterna e oggettiva. Anzi, l’opera d’arte, anche quando è realista al massimo grado, è comunque il prodotto di un punto di vista. 2. Scienza: Il mondo esterno è osservabile da tutti, è pubblico. Arte: Non è necessario che i risultati facciano riferimento al un mondo esterno a chi osserva. 3. Scienza: Partendo dall’osservazione e dalla misurazione della realtà è possibile scoprire teoremi e ipotizzare leggi che spiegano il funzionamento delle cose e la loro ragione d’essere. Arte: L’arte non è necessariamente in cerca di risposte; piuttosto tende a rappresentare qualche cosa mediante materiale anche intrinsecamente estraneo da ciò che intende rappresentare. 4. Scienza: Le leggi ipotizzate mediante procedimenti propri a ciascuna scienza devono essere tutte comunque passibili di verifica (giusto/sbagliato) in relazione alla loro corrispondenza con il mondo. Arte: I risultati artistici sono al loro apparire incerti. I passaggi in base ai quali viene stabilito il livello di artisticità di un’opera non sono né stabili né definibili. 5. Scienza: Sulla base di leggi e teoremi corretti vengono costruite teorie che però sono meno certi dei teoremi da cui sono formate, perché le teorie non sono mai completamente verificabili. Le teorie, per quanto incerte, tentano di spiegare il funzionamento di un qualche aspetto del mondo. Arte: Alla fine del processo di valorizzazione, in cui il tempo gioca un ruolo decisivo ma non prevedibile, si giunge alla certezza dell’arte, costituita dall’insieme composito e diversificato delle opere d’arte. Dalla massa delle proposte necessariamente incerte emergono un numero limitato di risultati certi. I risultati non spiegano il mondo, ma possono rappresentare aspetti del mondo, nonché istanze ed esperienze del tutto soggettive eppure in parte condivisibili mediante l’opera stessa. (1)Un risultato scientifico va compreso: la capacità di comprendere è un modo di essere dell’intelligenza. Chi non possiede gli strumenti intellettivi atti alla comprensione profonda di una scoperta scientifica può solo accettarla con un atto di fede. Un risultato artistico va interpretato. Mentre la comprensione è una dimensione che molto si avvicina al “tutto o niente”, l’interpretazione è un continuum che non possiede limite zero. Tutti possono interpretare un’opera d’arte, anche quando non conoscono la storia che sta dietro e/o dentro l’opera stessa. Non vi è alcun criterio oggettivo in grado di stabilire la falsità di un’interpretazione, in quanto chi interpreta lo fa anzi tutto per sé stesso. (2) Un risultato scientifico può essere riportato in diversi modi. Il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. Inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. Un’opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. Può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti. Es. Jorge Luis Borges, (Buenos Aires 1899 – Ginevra 1986). Pierre Menard, autore del ‘Chisciotte’ (1944) è un breve racconto tratto dal volume Finzioni. Si tratta della storia di un bizzarro esperimento letterario, quello tentato da Pierre Menard di riscrivere nel Novecento l’indimenticabile romanzo seicentesco di Cervantes. L’esito è insieme comico e geniale: nello sforzo di reinventare nel presente il famoso capolavoro di Cervantes, Menard finisce con il ripeterlo alla perfezione. Cerca di conoscerlo in tutti i suoi aspetti ma non vede nella storia l’indagine di realtà, piuttosto la sua origine. La verità storica è ciò che giudichiamo che avvenne. Il racconto di Borges in fin dei conti è un racconto divertito sul plagio letterario. (3) Il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. Il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. L’arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. Anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un ancoraggio materiale, senza la quale l’opera non potrebbe esistere. Nel caso de Linea di lunghezza infinita di Piero Manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza dell’opera. Vantaggi Una ri-unificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all’industria culturale, non certo alle due discipline. I modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. L’artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica. Il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. La scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. L’arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. (Tesi di Zeki: Tesi # 2: Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell’arte è dunque un’estensione della funzione del cervello e Tesi # 5: L’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva). Es. Fasciulo de Medicina di Ketham, Commentari alla Materia Medica di Mattioli e MIcrographia di Hooke. ARTE E COMUNICAZIONE Comunicazione: Atto del trasmettere ad altri; Atto del trovarsi in contatto con altri; Processo mediante il quale l’informazione viene trasmessa tra due sistemi; Collegamento materiale. Un processo per mezzo del quale l’informazione è scambiata tra individui per mezzo di un sistema comune di simboli. Informazione: La comunicazione o ricezione di conoscenza; Conoscenza ottenuta mediante l’investigazione, lo studio, o l’istruzione; L’attributo inerente a, e comunicato da, una sequenza o arrangiamento di un insieme di elementi che produce effetti specifici; Un segnale o segno rappresentante dati, cioè entità aventi un contenuto specifico; Qualche cosa (messaggio, dati, immagine) che giustifica un cambiamento di costrutto (come un piano, un’ipotesi, un pensiero) rappresentante esperienze fisiche, mentali, oppure un altro costrutto. Nozioni fondamentali: 1) Rapporti umani mediati dalla comunicazione. 2) Un sistema vivente (che respira, si riproduce e si adatta) è differente per il modo in cui utilizza l’informazione rispetto ad una macchina che funziona in base ai principi della meccanica classica (legame di tipo causa-effetto con esiti prevedibili). 3) Le problematiche inerenti ai processi di comunicazione non risiedono nel contenuto o nella natura dell’informazione, ma nel modo in cui l’informazione è definita, trasmessa, riconosciuta, orientata e utilizzata. I gradi di libertà della comunicazione: 1) Rigida: la comunicazione di tipo meccanica; un solo mezzo, un solo modo. Questo vale anche per tutti gli apparecchi digitali. (es. pistoni) 2) Vincolata: la comunicazione di tipo biologico; numero finito di elementi informativi, risultati virtualmente infiniti ma parzialmente prevedibili. (es. scala cromatica per la luce) 3) Aperta: la comunicazione che caratterizza i rapporti umani; numero infinito di elementi che si rinnovano continuamente. (es. pubblicità) Nella COMUNICAZIONE APERTA le caratteristiche dell’informazione non sono né stabili né rigide. In questo tipo di comunicazione l’informazione che circola deve rinnovarsi di continuo affinché il processo di comunicazione rimanga attivo (Massironi, 218). Forse Massironi fa una leggera svista: non è l’informazione che deve necessariamente rinnovarsi, ma le modalità mediante cui è trasmessa (forma, stile, simbolismo implicito ed esplicito, ecc.) La comunicazione di tipo aperto è libera da regole? La comunicazione di tipo aperto obbedisce alle regole interpretative. L’interpretazione può spiegare gli eventi a posteriori e non ha perciò un potere predittivo. Esempio: la Storia può interpretare la natura dei fatti accaduti, tentare di spiegare quanto sta accadendo, ma può soltanto opinare una ragionevole direzione di sviluppo di eventi in corso. Non può predire il futuro. Nessuna scienza è in grado di predire il futuro. Al massimo si possono delineare possibili percorsi di eventi. Alcune scienze che studiano fenomeni naturali, come la meteorologia, hanno maggiore capacità predittive rispetto a scienze legate al comportamento umano (come per esempio le scienze economiche).
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