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Psicologia delle organizzazioni (riassunto), Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

Capitoli 2-3-4-6-7-8-9-10-11-12-13-14-16

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 11/12/2021

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Scarica Psicologia delle organizzazioni (riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI P. ARGENTERO, C. G. CORTESE, C. PICCARDO edizione 2009 2. CONOSCERE E ORGANIZZARE 1. CHIARIMENTI PRELIMINARI Esistono diverse accezioni del termine organizzazioni: 1. Stato di fatto generato dalla disposizione delle parti nell'insieme che le comprende. es. “l’organizzazione dell'orario non è funzionale” 2. Sequenza di azioni eseguite da una o più persone che producono un certo risultato impiegando risorse. es. “l’organizzazione del convegno è stata faticosa” 3. Processo continuo costituito da numerosi processi parziali. es. “l’Università di Catania è un’'organizzazione” Un processo è un insieme di eventi in cui esiste regolarità e si manifesta intenzionalità da parte dei singoli. Per corso di decisioni e azioni intendiamo una molteplicità di persone che, impiegando strumenti e risorse, agiscono insieme per perseguire uno o più scopi. Fluisce nel tempo ed è sempre altro rispetto a ciò che era prima. Gli attori fanno, pensano, scelgono, mettono in scena il corso di azioni. Sono sempre in relazione con qualcuno e qualcosa. Sono razionali nei modi e nelle intenzioni con cui giustificano le proprie scelte, ma ciò non basta ad assicurare un'azione coerente né una intelligente. 2. RAZIONALITÀ LIMITATA E STRUTTURA Struttura dell’organizzazione: aspetti del modello di comportamento esistenti nell'organizzazione relativamente stabili, che cambiano solo lentamente. L'organizzazione avrà una struttura, nella misura in cui esistono limiti della razionalità. La struttura sarebbe infatti inutile se l'attore possedesse, momento per momento, una conoscenza e un dominio perfetti delle circostanze influenti sul suo agire. Tre momenti a riguardo vanno richiamati: * Routine: permettono di semplificare l’analisi strategica e rendere l'esecuzione più rapida. e Gerarchia: possibilità di rompere in più stadi la catena mezzi-fini, trasformando obiettivi generali in obiettivi specifici. * Scomposizione del compito: segue criteri di divisione sociale del lavoro, un compito frazionato in elementi più semplici può venire più facilmente tradotto in routine o può essere controllato o automatizzato. 3. CONTESTI E TEMPO Le funzioni di ordinamento del processo sono: * Struttura: manifestazione della permanenza del modello, e non viceversa. * Contesto: insieme degli elementi (ripetitivi) della situazione che sono presi come dati per potersi concentrare sul divenire degli altri. 4. EMOZIONI E COLLUSIONE La psicologia cognitiva usa la nozione di copione (script) per alludere a schemi mentali in cui sono condensate le istruzioni che riguardano attività tipiche. Non si può trascurare la forte influenza della simbolizzazione affettiva. L'affetto influisce sulla cognizione indirizzando o mantenendo l’attenzione su certi obiettivi e non su altri; oppure, guidando l’attenzione evoca l'emozione. 5. FATTI ISTITUZIONALI L'ordinamento del corso d'azione comporta, sul piano cognitivo, modelli di segmentazione dell'esperienza in larga misura condivisi e capaci di orientare in modo coordinato e interdipendente le condotte dei diversi attori coinvolti. L'intenzionalità collettiva consente alle persone di creare fatti istituzionali grazie ad un riconoscimento collettivo dell'oggetto come dettato da un certo status. Le differenza tra contesto e fatto istituzionale sono: e Contesto: * Il tempo consente il recupero dell'esperienza e È un frame cognitivo che segmenta e ordina l’esperienza e. Puòservirsi di elementi simbolici e di significati * Fatto istituzionale: e Il tempo favorisce la prevedibilità del futuro * Si esaurisce in un insieme di attributi che aiuta a descrivere parzialmente un contesto * Possono accumularsi Il fatto istituzionale vincola le condotte (nel futuro), ma non le determina (nel presente). A determinarle è il contesto. 6. IN PRATICA Lo specifico organizzativo consiste nell’intelaiatura istituzionale: un insieme di simboli e significati che orienta e coordina le condotte materiali dando forma al corso d'azione. | fatti istituzionali non sono mai direttamente motivi per l’azione. La loro presenza va resa esplicita da qualcuno che conferisce una forma al corso d'azione creando obblighi per sé e per gli altri. Le organizzazioni sono una forma di vita emergente dalle relazioni e dalle azioni con implicazioni cognitive e affettive. Sono strumento, oltre che di produzione, di riproduzione sociale. La fiducia interviene a ordinare il corso d’azioni poiché orienta la condotta di chi esprime la fiducia stessa. Il portatore di fiducia, in quanto soggetto fornito di potere d'acquisto, diventa il mezzo tramite il quale l'azienda che riceve la fiducia migliora la prevedibilità e il presidio del proprio futuro. Avviene mediante due passaggi: e La merce non è più solo il prodotto, ma i gusti del cliente * L'attore viene espropriato di un frammento delle sue competenze che, monetizzate, vengono attribuite come valore di scambio all’intelaiatura istituzionale L'intelaiatura istituzionale è asimmetrica nel rapporto tra gli attori, poiché ne privilegia alcuni a scapito di altri, concedendo un accumulo di risorse a vantaggio di chi ne ha controllo. Questa asimmetria influenza le condotte poiché è messa in funzione dagli attori stessi nell’ordinare il corso d'azione, e viene assimilata dai contesti. insieme di significati condivisi, all’interno dei quali sistemi di simboli condizionano comportamenti, pensieri, emozioni, azioni dei soggetti e vita organizzativa. 2. LE ORGANIZZAZIONI SONO CULTURE: LA METAFORA CULTURALE Selznick: concettualizza la duplice dimensione che appartiene a qualsiasi sistema cooperativo: 1. Dimensione organizzativa: l’organizzazione è uno strumento concepito razionalmente per raggiungere degli obiettivi. 2. Dimensione istituzionale: l’organizzazione è anche una realtà adattiva, prodotto delle esigenze e dei bisogni individuali. 2. CULTURA E CULTURE ORGANIZZATIVE Insieme di significati che racchiudono valori e credenze che un gruppo ha inventato, imparando ad affrontare situazioni problematiche di adattamento all'ambiente esterno e di integrazione interna. Tali valori trovano espressione nei comportamenti, nei linguaggi verbali e negli artefatti materiali. L'interiorizzazione del sistema di significati è ciò che permette all'individuo di orientarsi all’interno dell'’organizzazione. | contesti presentano un materiale predisposto a livello cognitivo, emotivo, etico ed estetico che rappresenta una sorta di ancoraggio a partire dal quale è possibile ottenere orientamento. 3. LA CULTURA ORGANIZZATIVA: CATEGORIE ANALITICHE E FORME ESPRESSIVE Contenuti fondamentali della cultura organizzativa: *. Logos: insieme di credenze che indicano le interpretazioni adottate dai soggetti nei confronti di quanto accade. e Ethos: valori che corrispondono a giudizi di preferibilità, rispondendo alle domande in merito a ciò che è giusto o sbagliato. Pathos: modo di percepire e “sentire” la realtà attraverso tutti i sensi. Aisthesis: percezioni di ciò che è bello e di ciò che è brutto. Genus: campo organizzativo è sessuato, cioè leggibile in termini di genere. Methodos: sapere cosa e come fare. Polis: potere. Le espressioni simboliche indicative dei contenuti culturali sono: *. Linguaggio: insieme di segni vocali che caratterizzano l’esperienza umana. Ogni cultura organizzativa tenderà a sviluppare un linguaggio tipico. e Miti: narrazioni in forma drammatizzata di vicende passate più o meno reali. Rappresentano gli antecedenti che giustificano i comportamenti. e Storie: collezione di aneddoti che caratterizzano la quotidianità della via organizzativa. * Riti: necessitano di un consumo di risorse. Insieme danno origine alle cerimonie. e Artefatti: prodotti tangibili della vita organizzativa. Quanto più credenze, valori e ideologie sono radicati e sentiti dai membri di un’organizzazione, tanto più troveranno un rispecchiamento nella fisicità dell’organizzazione. 6. GESTIRE LA CONOSCENZA E APPRENDERE NELLE ORGANIZZAZIONI Ai nuovi professionisti è richiesta una disposizione orientata a far emergere e originali modi di pensare e agire, con scenari sempre più caratterizzanti da novità, incertezza, nella consapevolezza del carattere imprevedibile dell'emergenza di tale o tal’altra organizzazione. 1. LA SVOLTA PRATICA SECONDO LA SOCIOLOGIA DEL LAVORO E DELLE ORG. Un primo contributo relativo ai processi di produzione e gestione della conoscenza nelle organizzazioni è riconducibile agli studi di sociologia delle organizzazioni. L'idea di fondo risiede nella rilevanza attribuita al conoscere in pratica. Pratica: modalità relativamente stabile nell’ordinare elementi eterogenei, quali persone, conoscenza, tecnologia in un insieme coerente. Gherardi individua tre caratteristiche delle pratiche: * Dimensione indissecale: fa riferimento alle espressioni che risultano comprensibili a partire dal concreto contesto in cui sono prodotte. Equivale a cogliere i significati impliciti che sostengono la reciproca comprensione dei soggetti all'interno dei loro contenuti d'azione. e Accountability: capacità dei partecipanti di offrire motivi, di rendere le loro pratiche osservabili e comunicabili, esprimendo ciò che nel contesto è dato per scontato. * Reflexivity: interroga i modi attraverso i quali i soggetti conferiscono significato alla realtà e lo rendono accessibile ad altri. 2. CONOSCENZA COME RISORSA ANOMALA NELLA PROSPETTIVA ECONOMICA Le principali caratteristiche della conoscenza sono: * Efficacia: interpretazioni che i soggetti danno a eventi e situazioni e ai significati che in tal modo sono attribuiti alle diverse esperienze. e Moltiplicazione: possibilità di riusare la conoscenza, riproducendola in nuovi contesti e situazioni. * Appropriazione: valore generato dalla conoscenza e dalla sua distribuzione, non solo in termini di utilità economica ma anche sociale. 3. DALLA REFLECTIVITY ALLA REFLEXIVITY La riflessività è la funzione che permette di riformulare le pratiche lavorative negli specifici contesti, caratterizzata da una duplice natura: * Self-reflection: operazione cognitiva in cui il sé e le pratiche diventano oggetto di una possibile osservazione. * Self reflexivity: interroga i modi in cui gli attori sociali contribuiscono alla costruzione delle realtà organizzative e di un senso condiviso con gli attori. 7. EFFICACIA PERSONALE E COLLETTIVA Sono due costrutti rilevanti per lo studio dei contesti lavorativi, che hanno influenza sulla produttività organizzativa e sul benessere personale. 1. LA TEORIA SOCIALE COGNITIVA Bandura: la sua è una tra le più moderne teorie psicologiche che si propongono di spiegare e prevedere il comportamento. Pone l'accento sulle proprietà regolative, riflessive e generative della mente umana, enfatizzando la capacità di agire in maniera intenzionale sul proprio ambiente. Sono le stesse capacità che fanno da sostegno all'efficacia personale, ovvero la convinzione di riuscire ad affrontare con successo le diverse situazioni che si prospettano nella propria vita, che si è rilevata fondamentale per il successo in diversi ambiti. La TSC propone un modello per spiegare il funzionamento della mente, assegnando un ruolo centrale ai processi cognitivi che la mente stessa esprime nello scambio con l’ambiente. Gli elementi caratterizzanti la teoria sono: 1. Determinismo reciproco triadico: ogni manifestazione psichica è prodotto di un rapporto di causalità in cui la persona, il comportamento e i fattori ambientali si influenzano reciprocamente. La persona agisce trasformativamente sull'ambiente, ma è sensibile alle condizioni che il contesto predispone e alle pressioni che esso esercita sulle sue decisioni. 2. Human Agensy: si riferisce alla capacitò di far accadere gli eventi, ovvero orchestrare le proprie capacità e le opportunità offerte dall'ambiente in accordo con il raggiungimento dei propri fini e dei valori prefissati. Gli esseri umani sono in grado di contribuire attivamente alla costruzione della propria meta attraverso le: * Capacità di simbolizzazione: le esperienze vengono trasformate in simboli che guidano il giudizio e l’azione, dando significato e continuità al rapporto che la persona instaura con la realtà. e Capacità vicarie: capacità di apprendimento per imitazione, osservando gli altri e le conseguenze dei loro comportamenti. * Capacità di anticipazione: di proiettarsi nel futuro e, dagli scenari prefigurati, trarre le ragioni che motivano la propria condotta e l'impegno. * Capacità di autoregolazione: di orientarsi e motivare se stessi in accordo con gli obiettivi personali. Ciò comporta l’interiorizzazione di sanzioni e richieste che provengono dall'esterno in un sistema interno di regolazione del Sé. L'autoregolazione di motivazioni, affetti e azioni opera attraverso un insieme di processi psicologici definiti come: o Auto-osservazione: attenzione ai processi di pensiero e alla prestazione attuata. o Auto-valutazione: giudizio sulle azioni agite in relazione a specifici standard. o Auto-reazione: reazioni affettive dell'esperienza. 2. L'EFFICACIA PERSONALE PERCEPITA Convinzioni che le persone maturano riguardo alle proprie capacità di organizzare ed eseguire le azioni richieste per produrre determinati risultati. Influenzano il livello di aspirazione, le mete che le persone si prefiggono di raggiungere, le reazioni alle frustrazioni, l'attribuzione della causa di successo e insuccesso, la vulnerabilità allo stress e depressione. L'alternarsi di successi e fallimenti e il modo in cui sono interpretati, le difficoltà incontrate, gli stati d'animo rappresentati rappresentano gli insegnamenti che la persona trae dall'esperienza, che costituiscono il fondamento delle convinzioni di riuscita. Le convinzioni di autoefficacia poggiano fondamentalmente su quattro tipi di credenze: Le trasformazioni che il cambiamento porta con sé determinano spesso una condizione di disagio o di crisi. Il disagio rappresenta l'elemento motivazione che spinge a ricercare un aiuto e può essere espresso come richiesta di intervento, di formazione o consulenza. Nella progettazione dialogica è fondamentale la definizione di un setting: insieme di condizioni che definiscono concretamente la configurazione dell'alleanza di lavoro tra consulente-ricercatore e gruppo. Consente di istituire delle situazioni isolate dal fluire dell'agire quotidiano, in cui diviene possibile interrompere i rituali e creare uno spazio mentale che consenta al pensiero di dare forma a nuove rappresentazioni del contesto professionale. Permette di delineare i limiti del coinvolgimento del consulente nel progetto: da un lato è implicato ed emotivamente coinvolto nella rete di relazioni, dall'altro mantiene la capacità di conservare una certa distanza. Il dispositivo di intervento prevede incontri in piccoli gruppi che si riuniscono a cadenze regolari nell'arco di un periodo sufficientemente esteso. Ciascun partecipante racconta le proprie esperienze professionali, ponendo l'accento sulla dimensione relaizonale. 9. I CLIMI ORGANIZZATIVI Occuparsi di clima organizzativo significa dare centralità all'uomo e preoccuparsi del versante soggettivo, emotivo, psicologico delle organizzazioni nella convinzione che solo conoscendo a fondo i vissuti, gli atteggiamenti, le emozioni, i problemi, le difficoltà, sarà possibile decidere e realizzare un'efficace politica e gestione. 1. IL COSTRUTTO DI CLIMA Atmosfera sociale, Lewin: sistema di percezioni e di attribuzioni di significato che i protagonisti di un campo psicologico giudicano pertinente in uno spazio e in un tempo dato. Clima: metafora per richiamare la somiglianza tra le condizioni psicosociali e le condizioni metereologiche. Negli studi a riguardo vengono distinti quattro approcci: 1. Approccio strutturale: considerano il clima una caratteristica dell’organizzazione, che esiste indipendentemente dai membri e dalle loro percezioni. È una manifestazione oggettiva della struttura organizzativa, che dà luogo a percezioni comuni dei membri di una stessa organizzazione. 2. Approccio percettivo: colloca l'origine del clima all'interno dell’individuo. Gli individui reagiscono e interpretano le variabili situazionali soprattutto sulla base degli aspetti psicologicamente significativi. Percepiscono e interpretano il contesto organizzativo e creano una propria rappresentazione del clima. 3. Approccio interattivo: gli individui, posti all’interno di una specifica situazione, interagiscono gli uni con gli altri, dando origine a percezioni condivise che diventano l'origine del clima. * Fenomenologia, Husserl: all’interno dell’org. vi è un flusso continuo di eventi e azioni in cui gli individui si imbattono, cercando di interpretarli. Creano così una mappa cognitiva con cui attribuire significato a ciò che vedono e sentono. Quando i membri interagiscono tra loro, confrontano e modificano le proprie mappe. L'intersoggettività è quindi un processo fondamentale. * Interazionismo simbolico, Mead: considera la realtà come una costruzione sociale in cui gli esseri umani sono attori che utilizzano simboli attraverso cui comunicano, acquisiscono un'identità e partecipano alla realtà. Il clima è un atteggiamento collettivo, prodotto e riprodotto continuamente con le interazioni fra i membri. 4. Approccio culturale: evidenzia il ruolo fondamentale svolto dalla cultura nella formazione dei processi che conducono al clima. Nell'ultimo decennio si rafforza l’idea di clima collettivo, che propone il concetto di aggregazione climatica, intesa come aggregazione delle percezioni soggettive in unità più complesse. Una delle variabili organizzative significative è quella di soddisfazione lavorativa: uno stato emotivo, interno e individuale, in relazione ad aspetti del proprio lavoro. 2. RICERCHE-INTERVENTO E POLITICHE GESTIONALI Action research: ricerca all’interno del quale si ha equivalenza tra soggetto e oggetto di indagine e l’obiettivo di percepire a un cambiamento attraverso il processo medesimo. Il principio fondamentale è la partecipazione democratica attraverso due principi guida: miglioramento e coinvolgimento. Analisi del clima: Precondizioni. Occorre: 1. Chiarire le ragioni che spingono qualcuno a fare qualcosa in quel momento 2. Definire obiettivi realistici 3. Ricordare che tale intervento comporta elementi di positività, ma anche dei rischi: e Fornisce informazioni sulla realtà organizzativa Stimola i singoli a riflettere Aiuta a razionalizzare i problemi Scatena tensioni latenti Crea resistenze Crea frustrazione e sfiducia verso l’organizzazione Step operativi: 1. Individuazione del gruppo di lavoro Comprenderà ricercatori e membri dell’organizzazione. Deve rimanere costante e i ruoli di ciascuno devono essere chiari. 2. Definizione degli obiettivi generali Condivisione degli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Viene redatto uno scritto riassuntivo alla fine di ogni incontro. 3. Analisi preliminare del contesto organizzativo Osservazione delle prassi organizzative e colloqui con le persone che operano in essi. 4. Definizione degli obiettivi specifici 5. Scelta della popolazione Definire popolazione direttamente coinvolta nel processo di raccolta delle informazioni. 6. Messa a punto della metodologia e scelta degli strumenti di rilevazione Due diversi approcci: * Quantitativo: uso di questionari strutturati, consente raccolta di informazioni da parte dei soggetti e dà la possibilità di quantificare le percezioni e i vissuti. * Qualitativo: consente di prendere in carico gli aspetti soggettivi che emergono dall'incontro tra ricercatori e intervistati. 7. Verifica della funzionalità della procedura e delle tecniche Effettuata su un campione estratto dall’organizzazione. Simulazione molto precisa della procedura, alla fine i partecipanti vengono sollecitati a formulare riflessioni e commenti. 8. Raccolta estensiva dei dati La popolazione prescelta sarà convocata. | dipendenti parteciperanno attivamente, fornendo informazioni. 9. Elaborazioni statistiche Confronto dei risultati complessivi con i dati a livello nazionale e confronto tra le componenti organizzative mediante variabili rilevanti. 10.Prima lettura dei risultati e report provvisorio Avanzate prime ipotesi interpretative. Il report conterrà dati e ipotesi, discusse poi con i responsabili dell’organizzazione. 11.Incontro coi responsabili-committenti Feedback deve essere condiviso con tutti i membri. 12.Ritorno delle informazioni ai partecipanti 13.Stesura del report finale 14.Osservatorio permanente | primi dati raccolti dovranno essere confrontati con quelli raccolti successivamente. 10. LEADERSHIP Bass la definisce come l’azione di avere seguito e, al contempo, di conseguire risultati. Differenza tra: * Leadership: relazione d'influenza tesa a realizzare significativi cambiamenti. e Management: relazione di autorità finalizzata a produrre e vendere beni e servizi come esito di un'attività coordinata. 1. I PRIMI STUDI: LE TEORIE DEL “GRANDE UOMO” Le prime ricerche furono concentrate su quei leader che hanno avuto grande popolarità. Alla base della teoria vi è l’idea che esistano persone che possiedano caratteristiche da “leader naturali”. L'obiettivo è individuare ciò che è distintivo di soggetti riconosciuti come “grandi”. Le caratteristiche prese in esame sono molte: lealtà, socialità, iniziativa, persistenza, autostima, prontezza, adattabilità, estroversione, dominanza, conservatorismo. 2. L'APPROCCIO BASATO SUL COMPORTAMENTO Lewin: approfondisce il problema dell'influenza dello stile di leadership sul comportamento del gruppo. Nel suo lavoro di ricerca coinvolgeva gruppi di bambini per ciascuno dei quali era individuato un leader adulto al quale veniva chiesto di agire con uno specifico stile di leadership. * Autocratico: tende a centralizzare l'autorità, prende potere gestendole attraverso il controllo. Il gruppo guidato da leadership autocratica ha prestazione migliore quando il leader è presente, ma è più probabile che si manifestino sentimenti negativi. le donne manifestano uno stile di leadership più democratico e meno autocratico rispetto agli uomini. Conclusero che gli uomini emergono come leader orientati al compito mentre le donne sono più orientate alla relazione. Un altro tema indagato è la tendenza a valutare le donne leader in modo meno favorevole quando utilizzano uno stile autocratico, quando occupano ruoli tradizionalmente maschili e quando il giudizio è espresso da uomini. Jennifer Cliff e co.: un'analisi mostra che i proprietari d'azienda tendono a parlare come se organizzassero e gestissero le loro aziende in modi diversi, legati a stereotipi di genere, senza poi farlo realmente nella pratica organizzativa. Le conclusioni indicano che uomini e donne leader d'azienda agiscono in modo molto simile, eccetto per il modo di raccontare le proprie attività. Mohr e Wolfram: indagano le modalità di comunicazione attenzionando la “considerazione verbale”: chiedere i punti di vista degli altri e notarne i contributi. | risultati indicano che le donne leader hanno uno svantaggio rispetto agli uomini poiché le espressioni di considerazione hanno un'efficacia minore. 2. STUDI, AREA DIFFERENZE STEREOTIPATE DI GENERE Uomini e donne si differenziano in modo conforme agli stereotipi di genere, mettendo in atto stili di leadership differenti. Eagly, teoria del ruolo sociale: gli stereotipi di genere possono essere spiegati a partire da considerazioni sui ruoli occupazionali. A questo proposito, propone la teoria della congruenza ai ruoli di genere, concentrandosi sulla differenza tra caratteristiche: e Communal: capacità di agire sentendosi parte di un insieme più grande e in sintonia con gli altri organismi. e Agentic: capacità di agire individualmente, ai fini dell’autoconservazione, dell'autoaffermazione e dello sviluppo dell'Io. Jan Grant: propone un modello per descrivere le qualità psicologiche femminili, irrinunciabili per le organizzazioni catalogate in sei aree di esperienza: 1. Comunicazione e cooperazione: maggior capacità di partecipare/far partecipare alle discussioni. 2. Affiliazione e attaccamento: predisposizione a creare e sostenere legami. 3. Potere: le donne lo considerano come la capacità di servizio del, con e per il gruppo. Fisicità Emotività e vulnerabilità: possono consentire una migliore accuratezza, sul piano della qualità di vita aggiungono una dimensione umanizzante che può alleggerire le pressioni e lo stress. 6. Intimità e cura: capacità di maggiore empatia verso gli altri. ns Rosener: secondo lo stile di leadership interattiva, le donne: e. Condividono potere e informazioni, favorendo l’autovalorizzazione negli altri attraverso l’invio di segnali di riconoscimento delle loro capacità * Promuovonola valorizzazione e l'entusiasmo delle persone * Dannoenergia agli altri e Promuovono l’interazione positiva con i collaboratori Tannen: sostiene che uomini e donne comunicano in modo diverso, tanto che le conversazioni si configurano come un sistema cross-cultural. Le donne si esprimono con un linguaggio di connessione ed intimità, gli uomini con un linguaggio di status e indipendenza. Sandra Bem e co.; maschile e femminile sono due costrutti che andrebbero considerati come dimensioni indipendenti, lungo le quali l'individuo può collocarsi in maniera variabile. Le condizioni previste dal modello della Bem sono quattro: e Androgina: alto livello di mascolinità; alto livello di femminilità. * Mascolina: alto livello di mascolinità; basso livello di femminilità. * Femminina: basso livello di mascolinità; alto livello di femminilità. * Indifferenziata: basso livello di mascolinità; basso livello di femminilità. 3. STUDI, AREA OLTRE LE DIFFERENZE DI GENERE Sostiene la possibilità di superare la dicotomia tra leadership al maschile e al femminile. 12. PRENDERE DECISIONI NELLE ORGANIZZAZIONI 1. DIMENSIONI ORGANIZZATIVE Le dimensioni organizzative sono caratteristiche fondamentali della decisione che si influenzano l'una con l'altra individuando la natura la natura e il tipo della decisione stessa. Schemerhorn, Hunt e Osborn: distinguono tra situazioni e. Di certezza: si conoscono bene i fatti e l'esito della decisione può essere previsto in modo accurato. *. Di rischio: si ha una conoscenza parziale delle informazioni e si possono solo fare delle proiezioni sul possibile esito della decisione. *. Di incertezza: non si dispone di informazioni sufficienti nemmeno per una proiezione probabilistica dell'esito della decisione. Le tre principali dimensioni di una decisione sono: * Rilevanza: specifica l'impatto che la decisione ha su tutta l’organizzazione. e Temporalità: esprime il periodo di tempo in cui si avvertiranno le conseguenze. e Contesto: comprende le condizioni ambientali che possono influenzare la possibilità di reperire le informazioni necessarie alla definizione del problema e delle possibili soluzioni. L'interazione tra le tre dimensioni individua due grandi famiglie di decisioni: 1. Decisioni programmate: problemi strutturati, di routine. Non hanno grande rilevanza, hanno effetti a breve termine e non comportano particolari rischi. 2. Decisioni non programmate: problemi non strutturati, su cui si hanno poche informazioni. Possiedono grande rilevanza, hanno effetti a lungo termine e si sviluppano in contesti rischiosi o incerti. Si articolano in: * Decisioni tattiche: questioni con effetti a breve-medio termine che richiedono creatività e improvvisazione. * Decisioni strategiche: la più ampia rilevanza in quanto modificano le strategie a lungo termine, richiedono l’attenzione e la creatività di tutta l'organizzazione. 2. DIVERSI MODELLI DI DECISION MAKING M Indica il processo che i decisori devono seguire per raggiungere la soluzione che soddisfa il principio della massimizzazione dei risultati. Consiste in una serie ordinata di fasi: Ricognizione del problema Definizione del problema e degli obiettivi Definizione dei criteri della decisione Generazione delle alternative Valutazione delle alternative Scelta della soluzione Implementazione della soluzione Valutazione e controllo della decisione QNOUDSWWNE L efficacia si basa su diversi presupposti rispetto al decisore: Razionalità assoluta del decisore Indipendenza dall'ambiente in cui è inserito Irrilevanza dello stato emotivo Disponibilità totale delle informazioni Capacità di valutare informazioni “in parallelo” MODELLO DELLA RAZIONALITÀ LIMITATA Simon: sostiene che gli individui (pur aspirando a decidere nel modo più razionale possibile) sono limitati da costrizioni interne ed esterne, a differenti livelli: * Elaborazione delle informazioni: gli individui tendono ad accontentarsi di una quantità gestibile di informazioni, riducendo così il numero di alternative generate con l’analisi dei dati. * Utilizzo delle euristiche: strategie generali di comportamento costruite a partire dai dati immagazzinati nella memoria a lungo termine a seguito di esperienze passate. *. Principio della soddisfazione: il decisore non dispone sempre del tempo e delle risorse necessarie, così può accontentarsi della prima soluzione che risponda ad alcuni criteri minimi. Simon rielabora le fasi del modello razionale, seguendo la linea della razionalità limitata: Ricognizione del problema Definizione del problema e degli obiettivi Definizione dei criteri della decisione Generazione delle alternative Valutazione delle alternative e scelta della soluzione SRWOWNE * Gruppo delphi (DGT): messa a punto per gruppi in cui i membri non possono incontrarsi di persona. Materiale spedito a moderatore che raccoglie e diffonde i contributi in maniera anonima a tutti i partecipanti. 6. DISFUNZIONI DELLA PRESA DI DECISIONE DI GRUPPO Stoner: descrisse tre fenomeni e Tendenzaal rischio e Tendenzaalla cautela * Polarizzazione di gruppo Janis: espone il pensiero di gruppo: in gruppi molto coesi può succedere che l’obiettivo di prendere una buona decisione viene messo in secondo piano per mantenere un alto livello di coesione. 7.LA “RINASCITA” DEL MODELLO RAZIONALE Le organizzazioni hanno la necessità di rendere il più possibile razionali i propri processi decisionali. La teoria della decisione prescrittiva è un modello decisionale che, assumendo le influenze di fattori interni ed esterni, propone 12 passaggi che consentono di prendere una buona decisione. Il principale punto di forza della teoria è la possibilità di sintetizzare una soluzione capace di trarre i suoi elementi costitutivi da tutte le alternative a disposizione. Alcuni studiosi continuano a occuparsi del modello razionale, poiché credono che esso possa essere un riferimento utile quando si tratta di affrontare problemi non troppo rilevanti e avendo a disposizione poco tempo. 8. IL NATURALISTIC DECISION MAKING E LA RAZIONALITÀ ECOLOGICA Gli autori di questo modello si sono occupati di prendere decisioni in condizioni difficili e complesse, ad esempio caratterizzate da scarsità di tempo, incertezze, ambiguità. L'obiettivo è analizzare le modalità con cui le persone ricostruiscono un senso, analizzando la situazione e pianificando una linea d'azione nei contesti organizzativi reali, caratterizzati da una vera posta in gioco e dalla presenza di rischi effettivi. 13. CAMBIAMENTO E SVILUPPO ORGANIZZATIVO Per promuovere lo sviluppo e l'evoluzione in un’organizzazione è fondamentale la capacità di favorire programmi di cambiamento, sia pianificati, sia imprevedibili. Le organizzazioni cambiano perché sottoposte a molteplici spinte verso il cambiamento. 1. LE DEFINIZIONI DI CAMBIAMENTO Non è facile dare una definizione di cambiamento. Nelle organizzazioni il cambiamento è un atto caratterizzato da un passaggio nel tempo da uno stato presente A, caratterizzato dall’insorgenza di una situazione che interferisce con la stabilità dell’organizzazione, ad uno stato futuro B, rappresentato dalla situazione auspicata in cui l’organizzazione riacquisisce la sua stabilità. Daft e Noe: definiscono il cambiamento come l'adozione da parte di un'organizzazione di una nuova idea, intenzione o comportamento. Per cambiamento si intende dunque un mutamento pianificato e compiuto per modificare il funzionamento del sistema organizzativo. 2. IL MODELLO DI LEWIN Lewin propone un modello dinamico del comportamento che punta l’attenzione sulla tendenza a mantenere uno stato di equilibrio costante nel tempo, anche in presenza di spinte al cambiamento. Esistono varie fasi: 1. Scongelamento: si verifica quando si realizza una rottura tra l'equilibrio esistente, come ad esempio una diminuzione della prestazione, della motivazione, un aumento del malessere e dello stress. Il management è chiamato a individuare le fonti di tale insoddisfazione per attivare lo scongelamento. 2. Cambiamento: quando lo scongelamento è avvenuto, si attivano specifiche azioni di cambiamento che coinvolgono attori, compiti, strutture e tecnologie dell’organizzazione. 3. Ricongelamento: questa fase avrà luogo solo se sarà stato raggiunto un nuovo equilibrio. 3. IL MODELLO DI LUSSIER Lussier integra la proposta di Lewin, proponendo un modello composto da 5 fasi. Egli sottolinea l’attenzione necessaria per sensibilizzare e responsabilizzare tutti gli attori organizzativi, rendendoli partecipi dell'esperienza di cambiamento attraverso processi quali: e Definire il cambiamento: chiarire a quali aspetti è diretto l’obiettivo. Identificare le resistenze al cambiamento Pianificare il cambiamento Promuovere il cambiamento Controllare il cambiamento: accertarsi che sia attivato e mantenuto nel tempo. 4. IL MODELLO SISTEMICO Questo modello è basato sull’assunto che ogni tipo di cambiamento può avere un impatto “a cascata” all’interno dell’organizzazione, intesa come un sistema composto da parti strettamente in interazione tra di loro. Il cambiamento in una qualsiasi delle sue parti provoca modifiche in tutte le altre. Prevede l'azione di tre componenti: * Input: fa riferimento alla missione (ragione dell’esistenza dell’org) e alla visione (cosa un’org vuole divenire). Ogni cambiamento deve essere coerente con esse. * Oggetti di cambiamento: aspetti dell’organizzazione che possono essere oggetto di mutamento e Output: risultati attesi del processo di cambiamento. 5. LE RESISTENZE AL CAMBIAMENTO Questo termine viene utilizzato in tema di cambiamento organizzativo, in relazione agli effetti che il cambiamento stesso genera negli attori organizzativi. Accettare un cambiamento implica una volontà vera di farsi coinvolgere nel processo e di impegnarsi con esso. Il cambiamento può generare una gamma di emozioni che vanno dalla completa accettazione al completo rifiuto. Perciò è importante diagnosticare e gestire le resistenze, siano esse individuali o di gruppo. Per fronteggiarle in modo strategico è fondamentale, innanzitutto, individuare la loro origine. Inoltre, l'informazione relativa alle azioni di cambiamento aiuta i dipendenti a ridurre l'ansia e l'incertezza per il nuovo. LE RESISTENZE INDIVIDUALI Le tre principali fonti di resistenze che l'individuo può attivare di fronte ad un possibile cambiamento organizzativo sono: 1. Incertezza ed insicurezza per il nuovo: come cambiare le consuete attività lavorative, abbandonare il proprio ruolo nell’org, ecc. Questo tipo di resistenze sono ulteriormente classificabili in: e. Psicologiche: quando l'individuo percepisce una minaccia alla propria identità occupazionale * Economiche: teme una riduzione di stipendio, una retrocessione o altro. 2. Selezione percettiva delle informazioni: individui tendono a selezionare le informazioni coerenti con le proprie opinioni e gli schemi consolidati. La resistenza si attiva quando il cambiamento minaccia queste credenze. 3. Abitudini: il cambiamento può creare situazioni poco prevedibili che mettono in discussione le routine e i comportamenti consolidati. | dipendenti generalmente continuano a rispondere agli stimoli mettendo in atto sempre le stesse modalità. LE RESISTENZE DI GRUPPO Le principali fonti di resistenza attivate dal gruppo di fronte al cambiamento sono: 1. Dinamiche legate al potere e ai conflitti: quando il cambiamento viene percepito come occasione per conferire maggiore potere ad alcuni a discapito di altri, si possono attivare forti resistenze di opposizione. 2. Struttura e cultura organizzativa: una struttura organizzativa caratterizzata da suddivisione rigida di ruoli e procedure risulta maggiormente resistente al cambiamento. È quindi difficile intervenire all’interno di tali organizzazioni. Anche i valori e le norme costituenti la cultura di gruppo possono rappresentare una fonte di resistenza. 6. LA RICERCA-AZIONE PER LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO French e Bell: definiscono lo sviluppo organizzativo come un tentativo guidato e sostenuto, nonché condotto in lungo arco temporale, volto a migliorare l’azione di sviluppo della visione dell’organizzazione, l'apprendimento e i processi di soluzione dei problemi, attraverso una gestione collaborativa e continua. Questa definizione sottolinea tre condizioni fondamentali: 1. La possibilità di usare il tempo quale risorsa 2. La lettura dell'’organizzazione come cultura 3. L'uso della scienza comportamentale e della ricerca-azione La ricerca-azione è un modo di intervenire all’interno del contesto organizzativo con un intento trasformativo, prendendo le mosse da una domanda espressa dall’organizzazione. È un metodo di ricerca che permette di conoscere attraverso la relazione e ha come scopo quello di rendere le organizzazioni di cui si occupa un posto migliore in cui vivere. A differenza della ricerca in laboratorio, la ricerca-azione si svolge in contesti attraversati da imprevedibilità. LE PRATICHE Lewin: secondo la sua RA sperimentale la realtà sociale è indipendente dal ricercatore e lo scienziato sociale è colui che testa empiricamente le sue ipotesi dedotte da una teoria a priori. Egli detta la direzione del cambiamento auspicato e promuove il coinvolgimento attivo degli attori. Action science: si pone l’obiettivo di accedere induttivamente alla cultura dei partecipanti alla ricerca, operando all’interno del loro contesto naturale. Prevede l’uso 5. Interpersonale: coinvolge due o più persone. Questi conflitti possono generare soluzioni creative ed essere produttivi, ma possono anche creare grave disagio, stress e infelicità. 6. Nei gruppi di lavoro: conflitto permanente tra esigenze dei membri e del gruppo. Una categorizzazione recente distingue tra: * Task conflict: riguardano dispute circa la distribuzione e l'allocazione delle risorse. * Relationship conflict: riguardano discordanze connesse a gusti e stili personali, preferenze politiche, valori di riferimento. 4. CONFLITTO E VITA ORGANIZZATIVA: ESITI E RICADUTE Una teoria molto accreditata ipotizza che un certo livello di conflitto sia funzionale all’organizzazione, mentre una sua insufficiente o eccessiva presenza causerebbe effetti negativi. Tuttavia, per capire quali elementi spingano il conflitto in una direzione piuttosto che in un'altra, risulta imprescindibile richiamare molteplici variabili: culture organizzative, modalità di gestione dei gruppi di lavoro, dinamiche relazionali. 5. CONFLITTO, SODDISFAZIONE E BENESSERE LAVORATIVO Secondo diversi autori, nel rapporto tra gruppi di lavoro e conflitto, le sue dimensioni si influenzano a vicenda in un circolo ricorsivo. Altre ricerche si sono occupate del malessere dei lavoratori e di come tale disagio possa incidere negativamente sull'impegno, sulla soddisfazione lavorativa, producendo conflittualità verso il contesto. Un prolungarsi della situazione conflittuale sul lavoro produrrebbe sul lungo termine dei disturbi psicosomatici. 6. CONFLITTO ED EFFICACIA PERSONALE E COLLETTIVA Relativamente ai possibili effetti che il conflitto può avere su efficacia e produttività, emergono due prospettive: 1. Information-processing perspective: per il benessere organizzativo è funzionale la presenza di una quota di conflitto che non deve essere né troppo elevata, né troppo bassa. 2. Conflict typology framework: mentre il conflitto relazionale interferisce con i compiti di performance, il conflitto task conduce i soggetti a considerare più prospettive e diverse soluzioni dei problemi e può aumentare la qualità della presa di decisione e l'efficacia personale e di gruppo. 7. CONFLITTO E TEAM DI LAVORO Il gruppo è uno strumento di lavoro in cui i legami tra componenti si muovono tra cooperazione e conflitto. Un numero crescente di studi ha mostrato che, in determinate circostanze, esso può essere funzionale. I due maggiori antecedenti alla base dei modi di gestione dei conflitti all’interno dei gruppi di lavoro sarebbero le reazioni emozionali dei membri del team e le loro percezioni della natura dei conflitti. 8. CONFLITTO, CULTURE ORGANIZZATIVE E PROSPETTIVE DI GESTIONE Per diversi autori la variabile cruciale per comprendere il conflitto organizzativo è la cultura organizzativa. Sono stati studiati due tipi di organizzazioni che producono servizi: * Organizzazioni private - cultura altamente goal oriented: l'alto orientamento al risultato mitiga i potenziali effetti negativi del conflitto in merito al compito. * Organizzazioni pubbliche - bassa cultura goal oriented: la cultura orientata al supporto e al servizio condiziona e rinforza la valenza minacciosa del conflitto relazionale. 16. LE EMOZIONI NELLA VITA ORGANIZZATIVA La prima teoria sulle emozioni si deve a William James: egli sosteneva che i cambiamenti fisici stimolano i sentimenti. A partire da James, le emozioni sono state definite in modi assai diversi. Non c'è accordo tra i ricercatori in merito alla definizione di un'emozione, si può ricostruirne il senso tramite la differenziazione rispetto alle altre “parole delle emozioni”. * Affetto: termine generico e di ampia portata. In quanto tale, include le emozioni. * Emozione: stato affettivo intenso e di breve durata. Sono messe in relazione a situazioni, persone o a qualcosa che è successo, sta accadendo o accadrà. Le emozioni hanno carattere dinamico, si caratterizzano per una fase iniziale, cui seguono un'evoluzione e, infine, un'attenuazione. Sono accompagnate da modificazioni fisiologiche, espressioni facciali e comportamenti caratteristici. e Sentimento: elemento più soggettivo di ciò che si prova; ciò che sentiamo in maniera autentica e intima. Si distinguono dalle emozioni, che sono ciò che traspare dei nostri sentimenti. e Umore: stato affettivo con intensità minore ma durata maggiore rispetto alle emozioni. 1. ORGANIZZAZIONI COME AREE EMOTIVE La cultura occidentale dell’inizio del ‘900 ha diffidato e sospettato dell'espressione di emozioni e sentimenti, considerati un disturbo per l'efficienza organizzativa. Weber suggerisce che la burocrazia raggiunge la sua massima espressione in termini di efficacia ed efficienza quando è completamente deumanizzata, cioè sottratta all'interferenza dei sentimenti. A partire dagli anni ‘80 qualcosa è cambiato e nell’ambito degli studi organizzativi almeno due prospettive hanno rivitalizzato il dibattito scientifico intorno alle emozioni che gli individui provano nel loro agire organizzativo. Per gli autori che hanno sviluppato questo tema, le organizzazioni sono aree dove le emozioni vengono rappresentate a favore di un pubblico, che si intende influenzare, stupire, impressionare, spaventare. 3. APPROCCIO PSICODINAMICO In psicoanalisi, le emozioni sono considerate forze che condizionano profondamente le vicende degli esseri umani. Sono un impulso profondo che spinge a lavorare, lottare per il potere, appassionarsi alla conoscenza: tutte queste azioni sono mosse e plasmate dalle emozioni. L'ansia è l'emozione posta in primo piano negli studi classici. Jacques e Menzies realizzano il paradigma delle difese contro l’ansia: il tema dominante coincide con la convinzione che gli individui costruiscono le organizzazioni per ripararsi da due tipi di ansie: 1. Ansie paranoidi: forme più primitive di angoscia, che coincidono con la paura di essere annientati e distrutti; 2. Ansie depressive: profondi timori per la perdita di un oggetto desiderato e amato intensamente. Altro elemento centrale dell'approccio psicodinamico è la visione strumentale dell’organizzazione. Gli individui, secondo Jacques, si uniscono in organizzazioni per proteggersi da angosce, paure, ansie. E in tal modo si sfruttano reciprocamente, si offendono reciprocamente, attribuendo agli altri poteri, ruoli, atteggiamenti e desideri che non possiedono alcun fondamento reale e che sono, piuttosto, il risultato di meccanismi di proiezione messi in atto da loro stessi. L'organizzazione offre meccanismi di difesa dalle forme di angoscia primaria, ma in realtà genera altrettanta ansia. Questa elaborazione è sottolineata e approfondita da alcuni studiosi che si rifanno soprattutto a Freud. Freud concepisce le emozioni in termini dinamici, potendo essere cambiare oggetto e trasformarsi sia in altre emozioni sia in altre forme d'ansia. La posizione di questi autori si esprime nell’idea che entrare in organizzazione implica il riattivarsi di antiche ansie primarie e genera così nuove angosce. Baum si è occupato in modo particolare delle organizzazioni burocratiche, che presentano alcune caratteristiche che le rendono luoghi in cui l'ansia può attecchire facilmente. Ambigue responsabilità ed eccessiva distanza tra capi e collaboratori creano uno spazio psicologico vuoto che viene colmato dalle fantasie. Inoltre, i soggetti tendono a creare immagini del proprio capo che ricalcano figure di autorità incontrate nei primi anni di vita. La relazione con il capo è così contrassegnata da vissuti infantili, che rimandano a sentimenti di delusione, sospetto, e che contribuiscono a disegnare una relazione segnata dall’incomprensione. 3. APPROCCIO COSTRUTTIVISTA Le emozioni sono apprese nei contesti sociali: alla loro espressione sono associate reazioni corporee, anch'esse apprese, ma con un significato che dipende dalle particolari circostanze e dalle interazioni tra gli attori organizzativi. L'approccio costruttivista enfatizza il contesto sociale e culturale in cui le emozioni sono apprese ed espresse, L'esibizione di un'emozione, con i suoi connotati corporei, è parte di un processo di costruzione di significati che coinvolge più attori ed è soggetto a norme culturali. Sono centrali il lessico e i racconti che veicolano i significati emotivi. Le espressioni verbali e le parole con cui esplicitiamo le emozioni sono cariche di significati sociali. Ciò comporta che si attribuisca un valore positivo o negativo alle emozioni in relazione al contesto culturale in cui esse si presentano. All’interno delle organizzazioni agli individui è richiesto un continuo lavoro di facciata: essi non possono, infatti, esprimere in maniera autentica tutto ciò che provano. La “fatica” o “lavoro emotivo” è lo sforzo psicologico che gli individui sostengono per gestire la discrepanza tra i sentimenti più sinceri che provano e le emozioni lecite nei contesti organizzativi. L'emotion word diventa emotional labour quando l’espressione di un sentimento viene richiesta dal lavoro o dal ruolo ricoperto. Nello svolgimento di determinate professioni, le emozioni sono parte del compito, fino a essere riconosciute esplicitamente all’interno di un contratto. Tuttavia, quando la tensione tra emotion work ed emotional labour diventa insostenibile, il rischio è la caduta nel burnout.
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