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Psicologia dell'infanzia, Sintesi del corso di Psicologia dello Sviluppo

sviluppo del bambino da 0 a 3 anni

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 01/07/2024

irene.correggia
irene.correggia 🇮🇹

Anteprima parziale del testo

Scarica Psicologia dell'infanzia e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! QUANDO I BAMBINI INIZIANO A…. CAPITOLO 1 – CONCEZIONI DELLO SVILUPPO 1.1 CONCEZIONI DELLO SVILUPPO la psicologia dello sviluppo è lo studio scientifico del cambiamento nel comportamento che,con l’età, avviene nei singoli individui e delle differenze che esso presenta da un individuo ad un altro. Obiettivo della psicologia dello sviluppo sono la descrizione e la spiegazione di tali cambiamenti, identificando i fattori che agiscono alla base del funzionamento psicologico umano. Il cambiamento non riguarda solo l’infanzia, ma ogni età della vita, per cui il concetto di sviluppo psicologico comprende tutti i tipi di cambiamento associati all’età e non solo quelli riferibili a condizioni di progresso, miglioramento o accrescimento. Con l’età, infatti, alcuni aspetti possono ridursi o scomparire. E’ opportuno, quindi, concettualizzare come cambiamenti evolutivi, tutti qui cambiamenti che si manifestano dal concepimento fino alla morte. Sviluppo e cambiamento non sono sinonimi, infatti non tutto quello che è cambiamento non corrisponde ad uno sviluppo. Alcuni studiosi hanno distinto tra cambiamenti incrementali (aumentano le diversità, le dimensioni di una caratteristica), e decrementali (le riducono). Lo sviluppo è definibile solo come quei cambiamenti permanenti, sistematici e progressivi. I cambiamenti incrementali sono denominati anche crescita (sviluppo corporeo), maturazione (aspetti genetici), apprendimento (per le conoscenze e le capacità) e socializzazione (acquisizione tramite educazione e imitazione di valori e comportamenti relativi alla propria cultura). Lo scopo della psicologia dello sviluppo è fornire una base di conoscenze relative sia alla natura dello sviluppo in generale, sia alle caratteristiche individuali di ciascuno, funzionale a rispondere a domande relative al quando, come e perché avvengono i cambiamenti evolutivi. Gli interrogativi relativi al QUANDO hanno a che fare con l’individuazione dell’età in cui i bambini dimostrano di aver acquisito una certa abilità e di come tale abilità si modifichi con il procedere dell’età. Sul piano dell’intervento educativo, rispondere al quando, consente di stabilire cosa ci si può realisticamente aspettare da un bambino di una certa età, cogliendo per tempo un disturbo , ma anche evitando da un lato pressioni e frustrazioni nell’esigere qualcosa che il bambino non è ancora in grado di fare, e dall’altro allarmismi per ritardi di sviluppo che invece rappresentano normali variazioni all’interno del range della normalità e delle differenze individuali. Le domande relative al COME riguardano i meccanismi e i processi di cambiamento. Stabilire come avviene lo sviluppo di una certa abilità e quali possono essere le differenze tra individui è un aspetto imprescindibile dell’agire educativo, per saper cogliere e rispettare le caratteristiche distintive di ciascun bambino e saper rispondere in maniera appropriata anche ad esigenze particolari. La psicologia dello sviluppo risponde anche a PERCHE’ si verificano taluni cambiamenti, mostrando quali possono essere le cause dello sviluppo. Conoscere le cause che producono certe differenze può aiutare a programmare interventi idonei che promuovano tali differenze. Tentare di spiegare lo sviluppo significa riconoscere la complessità dovuta al fatto che icambiamenti nello sviluppo psicologico sono il risultato di processi biologici, cognitivi e socio-emotivi e della loro interazione durante la crescita dell’individuo. I PROCESSI BIOLOGICI riguardano i cambiamenti fisici, dall’aumento del peso e dell’altezza, allo sviluppo del cervello e l’acquisizione delle capacità motorie. I PROCESSI COGNITIVI riguardano lo sviluppo dell’intelligenza, del pensiero e l’acquisizione del linguaggio. I PROCESSI SOCIOEMOTIVI hanno a che fare con i cambiamenti riguardanti le emozioni e la loro espressione, le relazioni con gli altri, i tratti della personalità. Questi cambiamenti avvengono all’interno di precisi CONTESTI SOCIOCULTURALI. Lo studio dello sviluppo onfantile si è limitato ai bambini del Nord America, dell’Europa e di altri paesi occidentali. Si è finito per 1 dare per scontato che i modelli di sviluppo studiati dai ricercatori europei e americani siano universali, quando invece la maggioranza dei bambini vive in condizioni diverse. 1.2 LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI DELL’INFANZIA TRA PASSATO E PRESENTE: VERSO IL RICONOSCIMENTO E LA TUTELA DELL’INFANZIA Le fonti principali che ci raccontano la vita dei bambini nel passato sono le FONTI LETTERARIE come diari e lettere, FONTI D’ARCHIVIO come i dati demografici e i registri delle tasse, i FONTI MATERIALI come artefatti culturali, giocattori e vestiti. Nell’antica Grecia e a Roma l’infanzia era riconosciuta come periodo a sé dello sviluppo, anche se i bambini venivano visti solo come una proprietà dellla famiglia e avevano pochi diritti. Nota era la consuetudine spartana di uccidere i bambini maschi che non erano sani e forti. Pratiche diffuse erano anche l’abbandono, che avveniva a causa dell’indigenza della famiglia o perché i bambini erano nati da unioni illegittime o con qualche malformazione, l’infanticidio e il maltrattamento infantile. A quel tempo prevaleva una visione dell’infanzia come debole e informe, bisognosa di essere rafforzata e modellata. Durante il Medioevo la mortalità era molto elevata. I bambini piccoli venivano abbandonati ed esposti, e la legge permetteva ai bambini di vendere i figli come servi. Esisteva, inoltre, la pratica dell’oblazione, che consisteva nel donare un bambino piccolo ad un monastero: questo garantiva che il bambino venisse nutrito ed educato. Nel 500 va affermandosi l’idea che il bambino ideale sia pio, obbediente, disciplinato, ricettivo e ben disposto ad imparare. Nel 600 prevale una visione della fanciullezza come età dell’innocenza, ma allo stesso tempo intrisa di debolezza: l’atteggiamento è da un lato quello di preservare l’infanzia dalle brutture della vita, dall’altro di educarla al fine di rinvigorirla. Modelli di socializzazione - MODELLO DELLA CRETA DA PLASMARE: la socializzazione è intesa come l’esito di processi di modellamento del bambino. La società modella il bambino, che alla nascita è come un pezzo di creta informe, nelle direzioni che desidera. Per comprendere la crescita occorre rifarsi in toto alle influeze degli adulti, i quali attraverso abitudini, modelli comportamentali, ricompense e punizioni determinano il risultato finale dello sviluppo. Il bambino è pensato come essere passivo e del tutto plasmabile. Esempi di questa concezione sono le riflessioni di -LOCKE con il concetto di TABULA RASA con cui descrive la mente del neonato le cui idee possono derivare solo dall’esperienza fornita dagli adulti, e Watson che afferma che l’essere umano alla nascita è un pezzo informe di protoplasma, pronto ad essere modellato. In questa prospettiva apprendimento e addestramento sono le basi della socializzazione. Anche se questo modello di socializzazione non è più sostenibile, rimane vero che la relazione con l’adulto è assimetrica e che il processo di socializzazione è da questo diretto verso una direzione valutata come opportuna, preferibile, desiderabile. I processi, i tempi, le fasi e il risultato di tale percorso sono da ricondursi non solo all’azione dell’adulto, ma anche alla natura del bambino. - MODELLO DEL LAISSEZ- FAIRE: si basa sugli assunti che gli aspetti di base della personalità di un individuo sono prestabiliti alla nascita e si dispiegano lungo il corso dello sviluppo. E’ la natura che determina lo sviluppo del bambino, per cui il ruolo dell’adulto è limitato. Per Rousseau il compito dei genitori era solo quello di provvedere ad un’ambiente di crescita che non interferisse con i processi spontanei di maturazione e di autoregolazione del bambino. Si fa strada dunque l’idea che lo sviluppo proceda secondo un piano di crescita interno che l’ambiente esterno dovrebbe assecondare. - MODELLO DEL CONFLITTO: esso si basa sull’assunto che la socializzazione è un processo di confronto-scontro tra bambini e adulti. Il bambino è concepito come portatore di bisogni, desideri, istanze proprie che non sempre si accordano con le richieste della società: compito del genitore è indurre il bambino a trasformare le sue tendenze naturali in modalità comportamentali 2 Tale dibattito ha visto contrapposti nativismo ed empirismo. La concezione innatista (natura) sosteneva che alla nascita il bambino è dotato di di idee o categorie di conoscenza che lo orientano nella conoscenza del mondo. Quindi concepiscono lo sviluppo come il dispiegarsi di una programmazione biologica prestabilita. Gli empiristi (cultura)sostengono, invece, che non vi fosse nessuna forma di conoscenza alla nascita, ma che ogni conoscenza venisse appresa attraverso l’esperienza e, quindi, gli individui si sviluppano in relazione alle caratteristiche e alle opportunità offerte dall’ambiente. Oggi è condivisa l’idea che non si possa affermare che lo sviluppo è spiegabile solo sulla base della natura o solo sulla base della cultura. Nel XX secolo si è affermato un MODELLO INTERAZIONALE dello sviluppo in cui costituzione e ambiente sono stati considerati in grado di influenzare entrambi lo sviluppo. Dal modello interazionale si è poi passati ad un MODELLO TRANSAZIONALE, che intende lo sviluppo come il risultato non solo di fattori genetici ed ambientali insieme, ma anche delle reciproce influenze. Il modello tranazionale distingure 2 tipi di influenze biologiche: - le influenze biologiche SPECIE SPECIFICHE comuni a tutti gli esseri umani e – le influenze biologiche EREDITARIE SPECIFICHE per ciascun individuo e responsabili delle differenze individuali. Il fatto che il neonato presenti alla nascita specifici tratti comportamentali su base biologica non significa che essi siano immutabili e non influenzabili delle esperienze con l’ambiente. I fattori biologici determinano l’ambito delle potenzialità di sviluppo di un individuo, ma non la loro effettiva realizzazione, che dipende dalle influenze ambientali. Se la struttura o la funzione psicologica non si sono ancora sviluppate al momento dell’esperienza con l’ambiente, questa ne induce lo sviluppo, mentre, se l’esperienza non avviene, la struttura o la funzione non si sviluppano; se invece vi è uno sviluppo parziale della struttura o della funzione, l’esperienza può facilitare e rendere più rapido lo sviluppo, può rallentarlo, o mantenerlo allo stesso livello; se, invece, la struttura o la funzione sono pienamente sviluppate, l’esperienza serve a mantenerle attive, in quanto senza esperienza si ha un decadimento o la perdita della funzione. Il fatto che la maturazione biologica ponga le condizioni e i limiti per lo sviluppo di una certa capacità entro i quali l’ambiente può esercitare la sua influenza pone il problema dell’esistenza di periodi critici oltre, i quali, senza adeguate opportunità ambientali, tali capacità potrebbero anche non manifestarsi. Al momenti attuale non è possibile sostenere l’effettiva esistenza di periodi critici, quanto piuttosto di PERIODI SENSIBILI in cui sono più probabili, in relazione alle opportune esperienze ambientali e apprendimenti. ● Continuità e discontinuità dello sviluppo un secondo tema critico riguarda se lo sviluppo sia rappresentato da un cambiamento graduale e cumulativo, in cui comportamenti precedenti sono incorporati nei successivi (continuità), o da fasi nettamente separate in cui emergono comportamenti del tutto nuovi (discontinuità). In passato veniva sostenuta la tesi della continuità, o attribuendola all’azione dei geni o agli effetti sulla personalità delle prime esperienze di vita. Oggi la continuità psicologica è un tema di ricerca rilevante nell’ambito degli studi longitudinali, in cui ci si interroga in che misura le caratteristiche individuali rimangono costanti nel tempo o vanno incontro a cambiamenti. Da tali studi è emerso che la continuità è un concetto di cui occorre distinguere 2 accezioni: la CONTINUITA’ RELATIVA rappresenta il grado in cui gli individui mantengono la propria posizione relativa all’interno di un campione tra un momento di misurazione e quello successivo; la CONTINUITA’ ASSOLUTA che riguarda invece la stabilità nello stesso individuo di un certo tratto della personalità ad età differenti. Rispetto alla questione della continuità occorre interrogarsi anche su quali siano i meccanismi responsabili: si tratta di processi genetici o è la stabilità dell’ambiente che consente la continuità nel funzionamento della personalità? Al momento è possibile affermare che la continuità delle caratteristiche psicologiche è modesta , mentre prevale la continuità, che una certa stabilità si osserva per i soggetti chd si collocano agli estremi della distribuzione normativa; la continuità 5 dipende dall’età del soggetto e dall’intervallo di misurazione; che la continuità varia a seconda delle dimensioni psicologiche in esame. Inoltre, parlando di continuità e discontinuità emerge l’interrogativo se lo sviluppo sia scandito da una serie di stadi discontinui o da una serie graduale di transizioni. Secondo gli approcci contemporanei, la nozione di stadio è semplicistica in quanto esiste nello sviluppo psicologico una grande variabilità interindividuale tra soggetti della stessa età e una grande variabilità intraindividuale all’interno dei singoli soggetti, cosa che contraddice l’uniformità di funzionamento psichico sottointesa alla nozione di stadio. Tali variabilità sono ancor più evidenti se si considera lo sviluppo lungo il ciclo di vita, per cui è preferibile descrivere lo sviluppo in termini di percosi di percorsi o traiettorie evolutive, piuttosto che di stadi: lo sviluppo è da intendersi come una serie di nessi tali per cui è probabile che le caratteristiche presenti in una fasedi sviluppo siano presenti anche in quella succesiva, tenendo conto però di possibili deviazioni sia in positivo che in negativo. Il concetto di traiettoria evolutiva è utile per spiegare come mai persone che durante l’infanzia hanno avuto esperienze simili si sviluppino poi in modo tanto diverso: si parla a questo riguardo di MULTIFINALITA’ (esperienze precoci uguali non portano necessariamente allo stesso esito di sviluppo), e di EQUIFINALITA’ ( uno stesso esito di sviluppo può derivare da percorsi evolutivi diversi). Il percorso di sviluppo può essere modificato da quelli che vengono definiti punti di sfolta o di transizione: si tratta di momenti evolutivi in cui una persona va ad affrontare delle scelte che portano a una radicale modificazione delle condizioni di vita. 1.4 DISEGNI E METODI DI RICERCA IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Le conoscenze in psicologia dello sviluppo si ottengono grazie a delle ricerche: i metodi variano a seconda degli obiettivi. I ricercatori devono tenere presente il contesto in cui realizzare la ricerca, la tipologia di disegno di ricerca e gli strumenti di misurazione. - CONTESTO O SETTNG si può distinguere tra studi fatti in CONTESTI NATURALI e studi fatti in CONTESTI di LABORATORIO. Nei CONTESTI NATURALI i bambini vengono studiati in un ambiente quotidiano di vita (casa o asilo). Nella maggior parte di questi studi il ricercatore assume il ruolo di osservatore passivo, cioè non interviene per modificare la situazione che sta osservando, altre volte invece assume un ruolo più attivo, intervenendo nella situazione e talvolta inducendo nel bambino comportamenti specifici da osservare. Alcuni studi prevedono l’utilizzo della RICERCA ETNOGRAFICA: dettagliate osservazioni o interviste al fine di comprendere il significato dei comportamenti da studiare, essa ha il pregio di mettere in luce quali aspetti dello sviluppo possono essere considerati universali, riscontrabili in tutti i bambini della stessa età, e quali invece sono effetto delle pratiche di socializzazione tipiche di ogni cultura. I VANTAGGI delle ricerche in contesti naturali sono: - è probabile che i comportamenti siano davvero comportamenti abituali, - i genitori sono a proprio agio in un contesto casalingo piuttosto che in laboratorio, - osservando i contesti naturali possono sorgere nuove idee sullo sviluppo, da sottoporre ad analisi di laboratorio successivamente. Ma presenta anche uno SVANTAGGIO fondamentale: la variabilità del setting di ricerca, infatti è molto difficile tenere sotto controllo i fattori estranei (xes. il continuo suono del telefono); anche per questo si realizzano molte ricerche di laboratorio. Le ricerche di laboratorio hanno il vantaggio di poter osservare il comportamento nei bambini in uno stesso spazio e quello di poter indurre comportamenti che è raro vedere in contesti naturalI. I setting naturali presentano un’alta VALIDITA’ ESTERNA (grado di generalizzabilità dei risultati osservati, cioè quanto rispecchiano ciò che accade nella vita reale) e una bassa VALIDITA’ INTERNA(grado di sicurezza con cui si può affermare che le differenze osservate nella variabile dipendente sono dovute agli effetti della variabile indipendente e non dalla combinazione di altri fattori), vale in contrario per le ricerche di laboratorio (alta validità interna e bassa esterna). - DISEGNI DI RICERCA possono essere longitudinali, trasversali o longitudinali-sequenziali. Nelle RICERCHE LONGITUDINALI, i soggetti vengono seguiti nell’intero percorso del proprio sviluppo, osservando 6 ad intervalli regolari i cambiamenti che si producono col tempo nei comportamenti; è una ricerca che richiede molto tempo. I disegni di RICERCA TRASVERSALI studiano il cambiamento confrontando fra loro, in un unico momento temporale, soggetti di età differenti; in questo caso si ottengono informazioni legate all’età, piuttosto che sui cambiamenti che si producono con l’età. Uno svantaggio è quello di non essere sicuro che le differenze siano dovute all’età piuttosto che ad altri fattori. I disegni di RICERCA- LONGITUDINALI, cercano di risolvere i problemi del disegno trasversale: due gruppi di età diversa vengono seguiti fino a quando l’età dei soggetti del primo gruppo non si sovrappone a quella che avevano i soggetti del secondo gruppo all’inizio della ricerca (l’effetto coorte si controlla confrontando i soggetti che hanno la stessa età ma in epoche differenti). - STRUMENTI DI MISURAZIONE c’è la misurazione di risposte fisiologiche, somministrazione di test per valutare lo sviluppo, uso di interviste e questionari con i genitori e le altre figure che hanno a che fare con il bambino. Ma lo strumento più utilizzato è sicuramente l’osservazione nei contesti naturali e di laboratorio (il limite più comune dell’osservazione è quello che la presenza dell’osservatore non possa produrre comportamenti naturali). IL METODO OSSERVATIVO l’osservazione è stata il fondamento metodologico dei primi studi sistematici sull’infanzia (Darwin e Piaget). Esistono diverse tipologie di osservazione, che varia a seconda: del grado di controllo delle variabili prese in esame (l’influenza che può avere la presenza dell’osservatore sul comportamento del soggetto osservato in termini di innaturalità: periodo di familiarizzazione ), del focus dell’osservazione stessa (dalle distorsioni che introduce nell’osservazione o nella codifica, alle sue competenze, ai suoi stati psicofisiologici) , del livello di analisi prescelto. Anche le aspettative relative alle ipotesi di ricerca formulate possono condizionare l’osservazione. CAPITOLO 2- DALLO SVILUPPO PRENATALE ALLA NASCITA 2.1 LO SVILUPPO PRENATALE ( fasi dello sviluppo prenatale) I 9 mesi di gravidanza vengono suddivisi in 3 periodi distinti: STADIO GERMINALE dal concepimento alle 2 settimane), STADIO EMBRIONALE (dalle prime 2 settimane alla fine del 2° mese), STADIO FETALE (dalla fine del 2˚ mese al termine della gestazione). Questi periodi sono accomunati dal dispiegarsi da processi di sviluppo che conducono a cambiamenti: - nella TIPOLOGIA: formazione di diverse tipologie di tessuto a partire dallo zigote; - nel NUMERO: a seconda dell’organo o della struttura, il numero di cellule aumenta e diminuisce in continuazione; - nella POSIZIONE: l’orientamento e la posizione degli organi nel feto si modificano; - nella GRANDEZZA: all’inizio sono la testa e la ragione del collo a svilupparsi più rapidamente, fenomeno conosciuto come progressione cefalo-caudale; - nell’ASPETTO: dopo il concepimento l’organismo ha l’aspetto di un uovo, settimane dopo ha una forma allungata. Il PERIODO GERMINALE comprende la creazione dello ZIGOTE, cioè l’uovo fecondato, la divisione cellulare e l’impianto dello zigote nella parete uterina. Durante la prima settimana lo zigote è già diviso in venti cellule che andranno incontro ad una prima differenziazione cellulare, cioè una specializzazione in compiti diversi a seconda della loro localizzazione spaziale; questo gruppo di cellule è chiamato BLASTOCISTI. L’annidamento nella parete uterina avviene tra i 10 e 14 giorni dal concepimento: periodo delicato in quanto solo uno zigote su 4 è destinato a sopravvivere. In questo periodo iniziano anche a formarsi i sistemi che sostengono la vita dell’embrione: la placenta, il cordone ombelicale e il liquido amniotico. La blastocisti stimola la creazione dell’ormone Hcg (gonadotropina corionica umana). Il PERIODO EMBRIONALE dura circa 6 settimane: in questo periodo la specializzazione cellulare si intensifica e cominciano a formarsi gli organi. La massa di cellule viene ora chiamata EMBRIONE, composto da tre diversi strati di cellule da cui originano gli organi: l’ENDODERMA ,strato interno da cui si formeranno l’apparato digestivo, respiratorio e urinario, l’ECTODERMA strato esterno da cui si formeranno il sistema 7 del sistema riproduttivo (ma si aggiungono altri fattori quali la povertà, l’inadeguata alimentazione).L’età della madre viene anche associata al rischio di avere bambini con la sindrome di Down: le probabilità sono maggiori se la madre ha raggiunto i 40 anni, e aumentano al raggiungimento dei 50. Lo sviluppo prenatale è anche influenzato dalla DIETA seguita in gravidanza. Una dieta povera di zinco, proteine e acido folico è connessa con difetti del tubo neuronale , prematurità e disfunzioni del sistema nervosa centrale. Bisogna tenere anche presente le INFLUENZE AMBIENTALI PSICOSOCIALI. Uno dei fattori più studiati è lo STRESS materno: esso modifica l’assetto ormonale aumentando i livelli di corticotropina che a sua volta influenza lo sviluppo del feto, inducendo una probabilità 4 volte maggiore di parti prematuri. Inoltre figli di madri ansiose tendono a piangere di più e a mostrare maggiori difficolta’ a regolare le proprie emozioni. Alle influenze dell’ambiente rientrano anche le SOSTANZE assunte dalla madre durante la gravidanza: la caffeina e le bevande gassate aumenta il rischio di parti prematuri, aborti spontanei, basso peso alla nascita ed è associato ad un’accelerazione del battito cardiaco, la nicotina induce, oltre ai rischi citati prima, vasocostrizione della placenta con conseguente minore irrorazione sanguigna ossigenazione del cervello del feto e eccessiva stimolazione del sistema cardiovascolare e una depressione del sistema respiratorio del feto. Un’altra sostanza studiata è l’etanolo: le madri che assumono una grande quantità di alcol durante la gravidanza aumentano il rischio che si sviluppi nei bambini la SINDROME ALCOLICA FETALE,cioè una condizione caratterizzata da malformazioni fisiche, ritardi di crescita, disfunzioni del sistema nervoso centrale e ritardi mentali. Alcuni studi hanno rilevato che l’esposizione all’alcol del feto può portare a conseguenze a lungo termine quali deficit intellettivi, comportamenti antisociali, e da adulti la tendenza alla depressione e ad un comportamento genitoriale trascurante. Altri fattori che influenzano lo sviluppo prenatale sono i FARMACI (tamidoline, contro le nausee mattutine). Inoltre, anche le SOSTANZE ILLECITE ( cocaina e eroina) influenzano lo sviluppo intrauterino. Recentemente è emersa una correlazionetra assunzione di cocaina ed eroina in gravidanza e aumento di rischio di aborti spontanei, nascita di feti morti, basso peso alla nascita,circonferenza cranica e accrescimento somatico inferiori alla norma. Riguardo agli effetti a lungo termine è difficile comprendere quali deficit siano connessi all’esposizione alle droghe durante la vita fetale, in quanto si tratta di bambini che crescono in ambienti familiari disfunzionali, degrado sociale e uno stile parentale negligente e trascurante. L’impatto delle influenze ambientali dipende e varia a seconda del TIMING in cui esse si verificano,cioè il momento temporale rispetto al grado di sviluppo del feto, e a seconda della loro durata. Gli effetti tipicamente irreversibili si verificano nel cosiddetto periodo critico, cioè nel periodo che intercorre tra l’emergere di una struttura e la sua maturazione. In generale, il periodo embrionale è più vulnerabile di quello fetale, in quanto è in corso l’organogenesi e le funzioni e le strutture del bambino si stanno definendo. Dose della sostanza tossica e predisposizione della madre e del feto rendono variabili l’entità del danno. Queste influenze possono avere effetti sia a breve termine, immediatamente visibili, sia effetti silenti a lungo termine, che si manifestano solo più avanti nello sviluppo. 2.2 L’ESPERIENZA DELLA NASCITA Dopo circa 40 settimane di gravidanza, la ghiandola pituitaria comincia a secernere l’ormone oxitcina che induce le contrazioni del parto. La nascita due settimane prima o dopo il termine è considerata normale (anche il nascere dopo può portare a complicanze in quanto, a lungo andare, il liquido amniotico diventa tossico e si esaurisce). Un neonato occidentale nato a termine pesa tra 2,7 e 4,1 chili. Molte delle complicazioni nello sviluppo nel periodo perinatale (da un mese prima a un mese dopo la nascita) sono dovute proprio al processo della nascita stessa. Durante la nascita possono intervenire diversi fattori di pericolo legati soprattutto alla deprivazione di ossigeno, definita ANOSSIA.L’anossia può provocare danni permanenti alle cellule nervose che non possono essere sostituite. Il neonato viene sottoposto immediatamente ad una serie di valutazioni per diagnosticare se sia in grado di sopravvivere o se invece necessita di cure mediche, per evitare eventuali problem a carico del sistema nervosa centrale e periferico, e per valutare la presenza e l’intensità dell’attività motoria spontanea ed in 10 risposta a stimolazioni esterne. Uno dei metodi utilizzati è l’indice di Apgar, che a 1 e a 5 minuti dopo la nascita valuta alcune funzioni vitali del neonato, come il battito cardiaco, respirazione, tono muscolare e riflessi. L’indice di Apgar è il metodo di valutazione più noto, ma ne esistono di più sofisticati, che consentono screening più accurate dello sviluppo del neonate. Tra questi la SCALA DI VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEL NEONATO, di Brazelton e Nunghent, che somministrata entro 24- 36 ore dalla nascita, fornisce una valutazione dello sviluppo neurologico, dei riflessi e delle reazioni del neonate nei confronti delle altre persone. 2.2.1 LA NASCITA PREMATURA Un bambino è considerato pretermine se nasce prima della 37˚ settimana di gestazione e con un peso alla nascita inferiore ai 2,500kg. Esistono due categorie di prematurità: - Peso alla nascita inferiore ai 1000 grammi, il bambino è considerato estremamente sottopeso, tra 1000 e 1500 considerato molto sottopeso, tra 1500 e 2500 sottopeso e superiore a 2500 normopeso. - Età gestazionale inferiore alla 37˚ settimana è una nascita prematura, superiore alla 37 settimana è una nascita a termine, se invece il bambino ha un peso inferiore rispetto all’età gestazionale, in questo caso si parla di ritardo di crescita intrauterina. Le CAUSE di una nascita prematura sono varie: anomalia del sistema riproduttivo materno, gravidanza multipla, sistema riproduttivo materno immaturo (adolescenti), malnutrizione, cure mediche inadeguate o stile di vita non sano. Oggi, gli sviluppi medici e tecnologiche hanno fatto sì che oltre il 90 per cento dei bambini prematuri sopravviva. La nascita prematura rimane una delle principali cause di ritardi nello sviluppo, soprattutto i bambini sotto i 1500 grammi. Tra gli EFFETTI a breve termine della nascita prematura si ritrova sicuramente una maggiore difficoltà di adattamento all’ambiente esterno: è difficile però generalizzare circa le difficoltà dei neonati prematuriessendo essi una categoria variegata, dove le differenze sono dovute al diverso peso alla nascita, alla diversa età gestazionale, alle diverse cause della prematurità e alla diversa qualità delle cure ricevute. I neonati prematuri hanno difficoltà a succhiare da un biberon fino alla 35° settimana, non hanno un’alternanza sonno-veglia ben definito fino alla 34˚settimana e non riescono a rispondere in modo appropriato agli stimoli esterni fino alla 34° settimana. A causa della sua immaturità fisica e neurologica si adatta molto lentamente agli interventi degli adulti, non emette feedback che aiutano le risposte dei genitori, è più irritabile, meno consolabile e partecipa di meno alle interazioni sociali. Questi bambini sono anche esposti ad una serie di stimoli (rumori, procedure invasive) quando i loro apparati sensoriali sono ancora molto immaturi, e quindi si verificano stimolazioni inappropriate che inducono nel neonato reazioni difensive come l’ipercinesia (ingiustificata attività motoria) e l’irritabilità, o all’opposto ipocinesia ( ridotta attività motoria in assenza di compromissioni muscolari), con pianti flebili. Se curati prematuramente i ritardi di sviluppo possono essere recuperati nei primi due anni di vita. Per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, è difficile isolarli alla sola prematurità: vi sono effetti duraturi nei casi di gravi malattie associate alla prematurità, di un basso peso alla nascita e un contesto familiare inadeguato caratterizzato da elevati livelli di stress. Le madri dei neonati nati prematuri mostrano, infatti, più alti livelli di stress nell’accudimento dei bambini e li percepiscono più fragili e bisognosi di cure. Una nascita prematura condiziona le competenze dei genitori durante tutta la prima infanzia: prevalgono un atteggiamento protettivo,modalità compensatorie nei confronti delle esperienze passate e soprattutto cautela nella pianificazione del futuro. 2.3 AGLI ALBORI DELLA VITA PSICHICA Alla nascita il bambino deve adattarsi ad una serie di cambiamenti fisici come la necessità di respirare l’aria, di ottenere nutrimento attraverso la suzione orale, gli stimoli della luce che modificano il suo apporto 11 sensoriale. Il bambino nasce con una serie di competenze: capacità percettive che gli permettono di esplorare l’ambiente e di organizzare le informazioni ottenute, di modalità primitive di azione che fanno da preludio alle azioni volontarie, capacità di apprendimento e di un repertorio di emozioni che stimolano attivamente gli adulti a prendesi cura del neonato . Uno dei primi aspetti dell’organizzazione neurocomportamentale del neonato riguarda gli stati di coscienza o vigilanza e gli stati di alternanza sonno e veglia. Esistono sei diversi stati di vigilanza: - Sonno tranquillo o REM respirazione regolare, movimenti corporei quasi assenti, occhi chiusi. - Sonno attivo REM respirazione irregolare e rapida, movimenti oculari rapidi, tensione muscolare e movimenti corporei. - Sonnolenza palpebre chiuse o semiaperte, sguardo vago e sorrisi. - Veglia inattiva attenzione verso l’ambiente, in questo momento avvengono gli apprendimenti (bambino non distratto dal movimento del suo corpo). - Veglia attiva attività motoria significativa, la sua attenzione è rivolta verso il suo corpo e quindi è meno attenta all’ambiente. - Malessere attività motoria e respiratoria intensa, presenza di pianto e espressioni facciali di stress. Un neonato passa la maggior parte del tempo dormendo, ma già nelle prime due settimane si riducono le ore di sonno: all’inizio i periodi di sonno sono distribuiti nelle 24 ore, successivamente dormirà prevalentemente nelle ore notturne, anche se il permanere di risvegi notturni è comune per tutta l’infanzia. La tendenza a svegliarsi di frequente o a dormire tutta la notte pare essere stabile per alcuni anni. Gli stati di veglia sono importanti ai fini dello sviluppo percettivo e cognitivo perché rappresentano il momento in cui il neonato processa le informazioni provenienti dall’ambiente esterno: alla nascita le risposte a questi stimoli sono di due tipi, una RISPOSTA DI ORIENTAMENTO aumento dell’attenzione verso uno stimolo e la seconda è una RISPOSTA DIFENSIVA ritiro dalla stimolazione in caso di stimoli troppo intensi. CAPACITA’ DI APPRENDERE. Le prime forme di apprendimento avvengono già durante la vita intrauterina: alla nascita sono in grado di riconoscere il suono della voce della madre o un motivo ascoltato prima della nascita. Il fatto che il neonato reagisca ad alcuni stimoli mostrando famigliarità significa che ricorda di aver incontrato tale stimolo in precedenza:nel neonato è osservabile il MECCANISMO DELL’ABITUAZIONE che consiste nella riduzione dell’intensità della risposta alla presentazione ripetuta di uno stesso stimolo. Queste prime forme di apprendimento sono fondamentali per la sopravvivenza del bambino perché gli consente di riconoscere le persone che si prendono cura di lui. Importante per lo sviluppo cognitivo del neonato è anche l’innata capacità di imitare. I neonati sono in grado di imitare le espressioni facciali dell’adulto relative alle emozioni della sorpresa, della tristezza e della gioia. Quando il bambino imita significa che ha la capacità di accordare la propria espressione facciale con quella dell’adulto e quindi è anche in grado di distinguere tra i suoi movimenti facciali e quelli di un’altra persona: secondo alcuni studiosi si tratterebbe di una primissima forma di autoconsapevolezza, mentre altri autori si sono riferiti in termini di Sé emergente. Alla base di questa innata capacità imitativa vi è un SISTEMA DEI NEURONI SPECCHIO: la sola vista di qualcuno che esegue un’azione indurrebbe nel nostro cervello gli stessi stati di attivazione che si verificano quando siamo noi a compiere la stessa azione. Tale sistema sarebbe anche coinvolto nello sviluppo dell’empatia: possiamo collegare l’esperienza emoriva di un’altra persona alla nostra in quanto il sistema dei neuroni specchio si attiverebbe qundo sentiamo o vediamo un’altra persona manifestare un’emozione. La presenza di meccanismi di imitazione sarebbe funzionale a stabilire un contatto di somiglianza tra il bambino e le altre persone. Il neonato è quindi predisposto a entrare in relazione con chi si prende cura di lui, ma ha bisogno di incontrare adulti che facilitino l’emergere dei primi processi di organizzazione dell’esperienza fisica e psicologica,a partire dalla regolazione dei processi biologici di base (alimentazione, 12 - ORIENTAMENTO DEL CAPO se collocato a faccia in giù, ruota la testa per respirare (Scompare 4 mesi); - ROOTING e ROTAZIONE DEL CAPO e suzione se si accarezza la guancia del bambino egli si volterà dalla parte in cui è accarezzato e comincerà a succhiare ciò che si ritrova vicino alla bocca (S 5 mesi); - SUZIONE:se si colloca un piccolo oggetto nella bocca del bambino, egli comincia a succhiare (S. 5-6 mesi); - RIFLESSO DI MORO: in risposta ad uno spavento improvviso, il neonato arcua la schiena, butta indietro la testa e allarga gli arti per poi ritrarli velocemente (S 6 mesi); - GRASPING O RIFLESSO DI PRENSIONE quando qualcosa viene in contatto con la mano del neonato, egli tende a stringere con forza ciò che tocca (S 4 mesi); - MARCIA AUTOMATICA se il bambino viene tenuto in piedi per le braccia in modo che i suoi piedi tocchino una superficie, egli muove dei passi (S 3 mesi); - BABINSKY se si accarezza la pianta del piede del bambino, egli tende le dita e poi richiude (S 12 mesi) - COLLO TONICO il neonato cerca di tirare su il collo. - NUOTO ha una capacità innata di fare movimenti tipici del nuotare (dovuto al fatto che ha vissuto la maggior parte della sua vita in acqua). Le conquiste motorie sostengono il senso di indpendenza che può esplorare l’ambiente autonomamente. Lo sviluppo motorio riguarda le cosiddette abilità grosso-motorie, ossia quelle che coinvolgono ampie attività muscolari, muovere un braccio o camminare, e i movimenti fini, afferrare con le dita. 3.2.1 POSTURA E MOVIMNTI GROSSOLANI Alla base delle abilità grosso- motorie vi è il controllo della postura: si tratta di un processo dinamico che coinvolge segnali propriocettivi, visivi e uditivi, vestibolari. Le tappe dello sviluppo grosso-motorio possono variare anche di 2 o 4 mesi da bambino a bambino. 3 mesi: il bambino è capace di sollevare il capo e la parte superiore del torace appoggiandosi sugli avambracci quando si trova in posizione prona; 5-6 mesi: è capace di girarsi da prono a supino e tra i 6 e i7 mesi da supine a prono; 6mesi: solleva il capo anche in posizione supina e quando gli afferrano le mani per sollevarlo fa forza sulle spalle per mettersi seduto; 9 mesi: si mette seduto da solo, sta seduto senza sostegna ed è in grado di raccogliere un oggetto senza perdere l’equilibrio. Può spostarsi rotolando, strisciando sull’addome o andando a carponi. Può sollevarsi in posizione eretta aggrappandosi a qualche sostegno ma non è in grado di rimettersi seduto per cui cade all’indietro; 12 mesi: sta seduto sul pavimento a lungo e passa da posizione supina a seduta. Si solleva in posizione eretta e si risiede appoggiandosi ad un mobile, si muove lateralmente tenendosi ad un appoggio, ma compie passi irregolari. Cammina se tenuto per mano; 15 mesi: è possible che il bambino cammini da solo ma con passi irregolari. Riesce a rimettersi in piedi da solo; 18 mesi: cammina bene, corre con cautela e mostra ancora qualche difficoltà nell’aggirare gli ostacoli. Può portare un orsacchiotto stretto sè quando cammina. Si arrampica sulle sedie ed è in grado di salire e talvolta scendere le scale se tenuto per mano. Raccoglie un giocattolo senza poggiare le mani sul pavimento; 2 anni: corre sicuro evitando gli ostacoli. Spinge e tira giocattoli di grosse dimensioni con le ruote. Sale e scende le scale tenendosi al comodino. Si arrampica sui mobili per guardare fuori. 2½: sale e scende le scale senza problemi. Si arrampica sulle attrezzature gioco. Calcia una palla di grosse dimensioni. 15 3 anni: sale e scende le scale portando con sè un giocattolo grande, trascina giocattoli di grandi dimensioni in ogni direzione, va con il triciclo usando i pedali, mostra consapevolezza delle dimensioni del suo corpo in rapporto agli oggetti e allo spazio. 2.2 MOVIMENTI FINI SVILUPPO COORDINAZIONE OCCHIO-MANO A 3 mesi: il bambino messo in posizione supina osserva le sue mani e gioca con esse. Allunga le braccia per tentare di afferrare gli oggetti; può tenere in mano per qualche attimo un giocattolo, ma non è ancora presente la coordinazione occhio-mano per cui è raro che sia in grado di osservare l’oggetto che tiene in mano. 6 mesi: osserva le attività di adulti e di altri bambini, nonché oggetti e giocattoli. Testa e occhi si muovono in ogni direzione con coordinazione. Il bambino è in grado di allungare entrambe le braccia contemporaneamente per afferrare un oggetto e utilizza la prensione palmare. È in grado di manipolare un oggetto con entrambe le mani. Se un oggetto cade all’interno del suo campo visivo, lo segue, ma se cade al di fuori tendenzialmente se ne dimentica. 9 mesi: è in grado di percepire la profondità, cogliendo cosi la posizione relativa degli oggetti nello spazio. Cerca di afferrare gli oggetti che gli vengono proposti. Di fronte agli oggetti nuovi che non gli vengono offerti, ma gli sono accessibili, tendea osservarli prima con attenzione. È in grado di afferrare oggetti in movimento, di spingere con l’indice quelli piccole dimensioni, di afferrare una cordicella per tirare a se un oggetto, di raccogliere piccoli oggetti con la prensione a pinzetta e si diverte a lanciare gli oggetti giù dal seggiolone o dal lettino. 12 mesi osserva i movimenti di persone, animali, e veicoli. Riconosce da lontano le persone familiari. Il bambino lancia e lascia cadere intendionalmente gli oggetti guardando nella direzione giust se cadono al di fuori del suo campo visivo. Indica gli oggetti interessanti. DOMINANZA MANUALE 15 mesi chiede oggetti fuori della sua sua portata indicandoli con il dito. Toglie e mette oggetti fuori della sua portata indicandoli con il dito. Toglie e mette oggetti da un contenitore e manipola dei cubi. 18mesi gira le pagine del libro, riconosce gli elementi più semplici raffigurati nel libro e ci mette sopra il dito indice. Scarabocchia e costruisce torri di 3 cubi. 2anni dimostra buone abilità manipolatorie, comincia a fare piccoli puzzle, costruisce torri di sei o 7 cubi. 2 anni ½ costruisce torri usando la mano preferita e incastra puzzle. Tiene la matita con prensione a tripode, ossia pollice in associazione con indice e medio. Traccia linee orizzontali, cerchi e lettere t e v 3 anni il bambino costruisce torri di 9-10 cubi, inizia a disegnare una persona con la testa, usa forbici giocattoli. Motricità fine RIFLESSO DI PRENSIONE dalla nascita. Il neonato stende le braccia verso oggetti vicini CAPACITA’ DI AFFERRARE IN MANIERA COORDINATA 3-4 mesi. Il bambino afferra gli oggetti e li esplora visivamente prima di portarli alla bocca. CAPACITA’ DI AFFERRARE IN MODO SCORREVOLE 5-6 mesi. Il bambino è in grado di afferrare gli oggetti con pochi movimenti mirati e di passare un oggetto da una mano all’altra. ADATTAMENTO DELLA POSIZIONE DELLE MANI 6-8 mesi. Il bambino è in grado di adattare la posizione della mano al fine di afferrare oggetti di diverso tipo. AUMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE 8-9 mesi. La prensione palmare viene sostituita dalla capacità di opporre il pollice alle altre dita. La capacità di manipolare gli oggetti si fa più raffinata. DOMINANZA MANUALE 11 mesi. Il bambino comincia a mostrare una chiara preferenza nell’utilizzo di una mano o dell’altra. ABILITA’ GROSSO-MOTORIE CONTROLLO DEL CAPO 3 settimane- 4 mesi. Il bambino riesce a sorreggere il capo senza farlo ciondolare quando viene tirato su e messo seduto. 16 CONTROLLO DELLA PARTE SUPERIORE DEL CORPO 3 settimane – 2 mesi. Messo prono, il bambino è in grado di sollevare il capo e le spalle spingendo con le braccia. ROTOLARSI 3 settimane – 2 mesi il bambino è in grado di rotolare dalla posizione di fianco a quella supina. RIGIRARSI 2-7 mesi. Messo in posizione supina, il bambino è in grado di rigirarsi. STARE SEDUTO DA SOLO 5-9 mesi. Il bambino sta seduto dritto senza senza sostegno. STRISCIARE 5-11 mesi. Il bambino impara a strisciare usando diverse porture. ALZARSI IN PIEDI DA SOLO 5-12 mesi. Il bambino impara a tirarsi su da solo aggrappandosi con le braccia ai mobili e poi spingendo coon le braccia. CAMMINA DA SOLO 9-17 mesi. CORRERE 18- 24 mesi. Equilibrio e coordinazione sono sufficienti per correre SALTARE 24-36 mesi. 3.3 LO SVILUPPO SENSORIALE E PERCETTIVO Si parla di SENSAZIONI quando l’infomazione proveniente dall’ambiente esterno interagisce con i nostri recettori sensoriali: occhi, orecchie, lingua, narici e pelle. La PERCEZIONE rappresenta l’ interpretazione di ciò che viene sentito, per cui si tratta di un secondo livello di elaborazione dell’informazione. La percezione è un’attività di analisi, selezione e coordinazione delle informazioni che giungono agli organi di senso, che consente di organizzazione in modo coerente e significativo i dati. Tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII sec gli empiristi sostenevano che i nostri organi di senso non ci forniscono informazioni accurate sugli oggetti: gli stimoli provocano sensazioni frammentate, e solo dopo ripetute esperienze tali sensazioni vengono trasformate, attraverso un’attività cognitiva di interpretazione dei dati percepiti, in percezioni dotate di significato. La percezione si svilupperebbe dunque solo grazie all’esperienza, che consente di passare da un indistinto ronzio ad una percezione dotata di senso. Gli innatisti, sostenevano che la percezione del mondo è possibile in modo accurato fin dalla nascita, o solo dopo un minimo di esperienza, in quanto esisterebbe una corrispondenza tra le strutture percettive di cui è dotato l’organismo e la realtà. In anni recenti la ricerca psicologica è riuscita a dimostrare la presenza nel neonato sia di abilità percettive più ampie di quelle ipotizzate dagli empiristi, sia di una capacità di apprendimento decisamente superiore a quella postulata dagli innatisti. Alla nascita sono identificabili complesse abilità percettive, la cui presenza non sottrae importanza all’apprendimento che consente al bambino di comprendere le proprietà permanenti e transitorie di oggetti e persone. 3.3.1 LA PERCEZIONE VISIVA La visione è il sistema sensoriale meno sviluppato, ma il più studiato attraverso la misurazione della modalità di suzione, della lunghezza e direzione della fissazione dello sguardo, del battito cardiacoe dell’attività cerebrale. Lo studio dello sviluppo della percezione visiva si è focalizzato sulla capacità del bambino di cogliere configurazioni, forme e colore degli stimoli visivi, nonché il loro movimento, orientamento e localizzazione nello spazio. Il mondo visivo del neonato non è messo a fuoco e nitido come quello di un adulto. Un neonato è in grado di mettere a fuoco solo il mondo vicino (25cm) a causa di una minore ACUITA’ VISIVA , ossia una minore capacità di percepire i dettagli dovuta ad un’immaturita dei dendriti e degli assoni dei neuroni della retina e del nervo ottico. Entro i 3 mesi percepisce gli oggetti fino ad una distanza di 150 centimentri, ed entro i 6 mesi si sviluppa la vista binoculare, ossia la la capacità di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi, consentendo una corretta percezione della distanza e della profondità. Inoltre i neonato sono in grado di distinguere le varie sfumature cromatiche. I ricercatori si sono chiesti anche se i neonati siano in grado di percepire l’ambiente come stabile, cioè se organizzano le informazioni secondo costanze percettive nonostante cambiamenti di forma, grandezza , luminosità e colore delle immagini visive, o se il loro mondo muti continuamente al variare delle condizioni ambientali. In particolare la COSTANZA DELLA FORMA- identificare un oggetto anche se cambia 17 anche allenando il bambino a fare le proprie piccole scelte, assumendosi le prime responsabilità rispetto a tali scelte e perseguendo degli obiettivi. La soddisfazione, la gioia di essere riusciti in qualcosa, sosterranno poi la spinta motivazionale del bambino a impegnarsi e ad affrontare le sfide e le fatiche che il crescere comporta. TAPPE FONDAMENTALI Nei primi mesi di vita il bambino comincia a essere più attivo e partecipe durante le abituali legate al cambio e alla pulizia personale: cessa di avere un attenggiamento passsivo, manifestando reattività e conspevolezza di quanto sta accadendo. Attraveso il contatto corporeo il bambino assorbe una serie di sensazioni, che si trasformeranno in emozioni e pensieri su di sé. Il neonato, avendo una sensibilità cutanea molto sviluppata, potrebbe essere ferito da gesti troppo bruschi, frettolosi o emotivamente poveri, o all’opposto da sollecitazioni fisiche troppo intense e prolunghate,che generano uno stato di sovraeccitazione. La pelle rappresenta per il neonato un’interfaccia psichica con il reale: il linguaggio della tenerezza gli consente di pervenire a una percezione e a una consapevolezza positive del proprio corpo. Verso i 6 mesi, il bambino partecipa attivamente anche al momento dell’allattamento, ponendo una mano sul seno della madre e quando comincia ad assumerxe cibi semisolidi, si mostra capace di succhiare dal cucchiaino. A 9 mesi, cerca di afferrare il cucchiaio mentre viene imboccato ed è in grado di prendere da solo piccoli pezzi di cibo solido. Lo svezzamento rappresenta un momento di crescita carico di emozioni per il bambino ma anche per la madre, il cibo e l’atto del nutrirsi sono densi di significati affettivi e sociali. Per il bambino confrontarsi con nuovi sapori e nuove consistenze chiama in causa questioni che hanno a che fare con il fidarsi, l’accettare, il conoscere, lo sperimentare. Nelle prime fasi dello svezzamento, il bambino va lasciato libero di toccare il cibo con le mani, giocare con il cucchiaino, sporcarsi e macchiarsi liberamente, ma è anche un’occasione di apprendimento, per scoprire i propri gusti, i propri tempi, per imarare regole sociali e alimentari. Dal punto di vista psicologico, svezzare non si riduce solo alla dimensione del togliere il latte,ma rappresenta un’occasione di scoperta del mondo e di sé in rapporto ad esso. Verso i 12 mesi l’autonomia nel mangiare si fa più evidente: il bambino vuole mangiare da solo con il cucchiaino, anche se non è ancora preciso e sporca intorno a sé, e può bere da una tazza. Sa anche collaborare nel vestirsi, porgendo il braccio. A 15 mesi il bambino riesce a bere da solo da una tazza e diviene più abile nell’uso del cucchiaio, per giungere poi ai 18 mesi a mangiare e bere senza sporcarsi troppo e dopo i 2anni a usare correttamente cucchiaio e forchetta. A 15 comincia anche a togliersi da solo alcuni indumenti, come scarpe, calzini, cappello , ma non è ancora in grado di rimetterseli, capacità che maturerà verso i 2 anni. Tra i 18 e i 24 mesi il bambino comincia ad affrontare anche il controllo degli sfinteri: dapprima indicherà la biancheria bagnata o sporca, per poi cominciare ad avvisare dei suoi bisogni corporali, anche se non ancora per tempo. Tra i 24 e i 36 mesi viene acquisito di norma il controllo sfinterico durante il giorno, mentre successiva è la capacità di non bagnarsi anche di notte. Nel frattempo il bambino ha imparato a lavarsi le mani, i denti, e a tirarsi su e giu i vestiti per andare in bagno. L’educazione al controllo sfinterico deve seguire la maturazione del corpo del bambino e rispettare la sua sensibilità: obbligare il bambino induce il bambino un senso di frustrazione, come anche sgridare il bambino di fronte ai suoi errori. Occorre mostrare fiducia nelle capacità del bambino, che altrimenti finirebbe per vergognarsi e dubitare di sé. Una disciplina troppo rigida e frettolosa, che non tiene conto che il bambino sia pronto o meno, può sortire effetti opposti a quelli desiderati, aumentando l’incidenza di problematiche legame al contollo sfinterico. Il bambino dovrà,infine, raggiungere anche un ritmo sonno-veglia regolare e trovare rituali di addormentamento sempre più autonomo. Difficoltà ad addormentarsi e ripetuti risvegli durante la notte sono comuni durante l’infanzia, in quanto il bambino deve ancora imparare a gestire al meglio il passaggio da uno stato di attivazione a uno stato di rilassamento. La conquista dell’autoregolazione al momento dell’addormentamento è graduale e può essere sostenuta da buone pratiche educative che favoriscano lo sviluppo di un’associazione tra addormentamento e sensazioni di tranquillità. Routine prestabilite e 20 piacevoli, la compagnia di strumenti di consolazione, un coinvolgimento non troppo attivo dell’adulto, possono aiutare il bambino a raggiungere la capacità di addormentarsi da solo. CAPITOLO 4- TEMPERAMENTO, EMOZIONI E SVILUPPO DEL SE’ I bambini sono individui sin dalla nascita e i segnali della loro individualità si riscontrano in ogni aspetto comportamentale. All’inizio le differenze individuali rispecchiano il temperamento innato del piccolo, in termini di stile generale di risposta all’ambiente, dal quale prendono avvio, all’interno del contesto delle relazioni con gli adulti che si prendono cura di lui, diversi percorsi di sviluppo emotivo e di costruzione del Sé. 4.1 DEFINIRE IL TEMPERAMENTO Il temperamento rappresenta le fondamenta su cui poggia lo sviluppo successivo della personalità. il temperamento è un costrutto teorico rispetto al quale vi è stato un intenso dibattito e disaccordo tra i ricercatori, sia per quanto attiene alla sua definizione sia in merito alle modalità per misurarlo. Sono stati compresi nella categoria “temperamento” svariati aspetti del comportamento infantile, quali irritabilità del bambino, il suo livello di attivazione, la più o meno facile consolabilità, la socievolezza, l’adattabilità e la reazione di fronte alle novità. Bates concepisce il temperamento in termini di differenze individuali nelle tendenze comportamentali, radicate nella biologia e presenti precocemente in infanzia, tendenze che rimangono relativamente stabili nel corso del tempo e in varie situazioni. Ciò significa che il temperamento viene inteso come una dimensione latente della personalità, che presenta manifestazioni differenti a seconda dell’età del soggetto. Il primo studio sul temperamento risale al lavoro di Thomass e Chess, uno studio longitudinale con i bambini di 2 e 3 mesi le cui caratteristiche temperamentali sono state descritte utilizzando strumenti che hanno coinvolto i genitori, gli insegnanti, e gli stessi bambini, attraverso il quale gli autori sono pervenuti all’individuazione di 9 diverse dimensioni funzionali alla descrizione delle caratteristiche temperamentali dall’infanzia alla fanciullezza. CATEGORIA DEFINIZIONE LIVELLO DI ATTIVITA’ Quantità di mobilità in situazioni quotidiane, e le proporzioni diurne di periodi attivi e inattivi. REGOLARITA’ Prevedibilità di ciascuna fuzione, come i pattern alimentari e i cicli sonno-veglia. APPROCCIO- ALLONTANAMENTO Natura della risposta iniziale del bambino ad un nuovo stimolo, manifesta attraverso l’umore o l’attività motoria. ADATTABILITA’ Facilità con il quale il comportamento del bambino può essere modificato in una direzione desiderata. SOGLIA DI SENSIBILIA’ Livello di intensità di stimolazione necessaria per suscitare una risposta distinguibile. INTENSITA’ DI REAZIONE Livello di energia delle risposte, indipendentemente dalla loro qualità. QUALITA’ DELL’UMORE Quantità di comportamenti piacevoli, gioiosi, amichevoli, in confronto confronto con comportamenti lamentosi, spiacevoli e ostili. DISTRAIBILITA’ Efficacia degli stimoli esterni nell’interferire con il comportamento in atto. ESTENSIONE DELL’ATTENZIONE Quantità di tempo durante la quale viene seguita un particolare attività. Da tali dimensioni, sono stati messi a punt ìo 3 diversi PROFILI TEMPERAMENTALI: 21 TEMPERAMENTO FACILE i bambini con temperamento facile, vengono descritti come inclini a manifestare emozioni di segno positivo,ad adattarsi facilmente a situazioni nuove e a persone sconosciute ed ad avere reazioni di bassa o media intensità. TEMPERAMENTO DIFFICILE i bambini definiti come difficili manifestano per lo più umore negativo, sono irritabili e si adattano con difficolta a persone e situazioni nuove, hanno reazioni di elevata intensità. TEMPERAMENTO DI LENTA ATTIVAZIONE anche i bambini di lenta attivazione tendono a manifestare soprattutto emozioni negative e ad adattarsi con difficoltà alle novità, ma hanno reazioni di media intensità e livelli bassi di attivazione e se sostenuti ed esposti gradualmente alle nuove esperienze, sono più adattabili dei neonati difficili. Thomass e Chess hanno seguito i bambini ad intervalli regolari fino alla prima età adulta ed hanno concluso che il temperamento ha conseguenze a lungo termine sullo sviluppo, ma non lo determina. Secondo questi autori, dunque, il temperamento è innato, ma ciò non significa che sia immodificabile: esso si modifica infatti con lo sviluppo cognitivo infantile, ed è influenzabile dall’atteggiamento dei genitori. Secondo approcci che si inseriscono nella genetica del comportamento il temperamento sarebbe un tratto stabile con effetti durevoli sullo sviluppo della personalità: secondo tale orientamento l’ambiente può influenzare solo in maniera limitata il temperamento, mentre soprattutto se un individuo presenta caratteristiche temperamentali forti, è il temperamento ad avere un consistente effetto sull’ambiente. Il MODELLO DI GOLDSMITH definisce il temperamento attraverso 5 dimensioni dell’emotività riferibili a bambini tra i 16 e i 36 mesi: PROPENSIONE ALLA RABBIA PROPENSIONE AL PIACERE PERSISTENZA NELL’INTERESSE ( mantenimento della concentrazione nei confronti di un’attività di gioco da solo) LIVELLO DI ATTIVITA’ PRESENZA DI ANSIA SOCIALE ( disagio, pianto in presenza di persone estranee). 4.1.1ANTECEDENTI E CONSEGUENZE DEL TEMPERAMENTO A cosa sono dovute le differenze temperamentali? INFUENZE BIOLOGICHE sono da ascriversi allo sviluppo neurologico e a fattori genetici, nutritivi e biomedici. Sul piano neurologico si ritiene che vi siano specifiche strutture cerebrali e neurotrasmettitori implicati nella genesi e nel mantenimento delle differenze temperamentali: si tratta delle strutture dell’IPPOCAMPO e sell’AMIGDALA e di NEUROTRASMETTITORI come la DOPAMINA e la SEROTONINA nonché si pensa ad un coinvolgimento del sistema nervoso autonomo e dei livelli ormonali. Le influenze genetiche sarebbero responsabili della stabilità dei tratti temperamentali nel tempo e nei diversi contesti, mentre la variabilità sarebbe da ricondursi alle influenze ambientali o all’operato congiunto di geni e ambiente. INFLUENZE AMBIENTALI operano a livello di modificazione del comportamento del bambino. L’ambiente fisico in primis può avere delle ripercussioni sul temperamento, ma è soprattutto l’ambiente relazionale a influenzare la manifestazione dei tratti temperamentali del bambino. Il temperamento del bambino elicita specifiche modalità di reazione da parte dei genitori, che tentano di comprendere, adattarsi, ma anche di canalizzare le caratteristiche temperamentali dei propri figli. SCARR sostiene che il bambino evoca nei genitori delle risposte diverse sulla base del suo temperamento e che tali risposte a loro volta ne modificano lo sviluppo. Bambini socievoli fanno si che gli adulti trovino piacevole giocare con lui cosa che avrà una ricaduta positiva sullo sviluppo a differenza dei bambini irritabili, che elicitano negli adulti risposte di tritiro o di rabbia. Bidirezionalità le reazioni dei genitori sono a propria volta influenzate dall’età e dal genere del bambino,🡪 dalla preferenza del genitore per certi tratti comportamentali. Ciò che si può affermare con certezza è che la natura delle influenze tra temperamento del bambino e comportamento del genitore è bidirezionale: 22 affermare che la felicità, la sorpresa, la tristezza, la rabbia, la paura, la repulsione e il disprezzo appartengono ad un repertorio comune di emozioni, indipendentemente dalla cultura di appartenenza. In psicologia dello sviluppo si contrappongono 2 principali approcci allo studio delle emozioni: -l’approccio che si rifà alla TEORIA DELLA DIFFERENZIAZIONE EMOTIVA che sostiene che alla nascita il neonato presenta solo uno stato generale di eccitamento, dal quale si sviluppano le emozioni; -la prospettiva della TEORIA DIFFERENZIALE, secondo la quale si dalla nascita è presente un numero di emozioni fondamentali già differenziali. TEORIA della DIFFERENZIAZIONE EMOTIVA: lo sviluppo emotivo segue un dispiegarsi ordinato, a partire dai precursori psicologici neonatali, fino alle forme emotive precoci e alle emozioni più complesse dell’infanzia. I precursori delle emozioni sono reazioni globali precoci del neonato, volte a garantirne la protezione nei confronti della stimolazione eccessiva. Tali reazioni pre-emozionali rimandano per lo più ad uno stato di eccitamento generalizzato, che si differenzierà nelle 2 qualità psichiche di base del piacere e del disagio, di cui il sorriso endogeno e il pianto ne sono espressione. A partire dai precursori si delineano 3 percorsi principali distinti: il sistema emozionale della gioia-piacere, quello della circospezione-paura,e della rabbia- frustrazione, che hanno come precursori il sorriso endogeno, le reazioni di dolore e transalimento, il disagio per la costrizione fisica e lo sconforto. Dai 3 mesi emergono le emozioni propriamente dette. Il sistema gioia- piacere vede la comparsa del sorriso sociale, in risposta ad un particolare contenuto ambientale, che viene riconosciuto come significativo dal bambino e produce in lui intenso piacere. Seguono poi la comparsa del riso attivo e della gioia intorno all’8˚ mese, l’esultanza, l’orgoglio,l’amore , e la valutazione positiva di sé sono emozioni più complesse che si verificano nel corso del 2°- 3˚anno. Il sistema della circospezione- paura si spacializza intorno al 4° mese quando è presente la circospezione nei confronti di qualcuno o qualcosa di ignot, che si trasforma in paura vera e propria intorno al 8˚- 9° mese, con reazioni fisiche immediate.E’ in questo periodo che compare l’angoscia dell’estraneo, causata dalla disattesa dell’aspettativa di vedere la madre. La vergogna e la colpa compaiono dopo i 18 mesi con l’emergere del Sé. Infine,il sistema della rabbia -frustrazione vede a 3 mesi la presenza di reazioni alla frustrazione in seguirto all’interruzione improvvisa delle attività del bambino, che diventa rabbia intorno a 7 mesi, seguita dalla collera e dalla sfida dopo i 18 mesi. La TEORIA DIFFERENZIALE delle emozioni fa riferimento al lavoro di izard e sostiene che il neonato possegga, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni fondamentali già differenziate, basate su programmi innati e universali. Izard individua 9 emozioni di base: interesse, gioia, tristezza, disgusto, sorpresa, collera disprezzo, paura, vergogna. Esse hanno valore adattivo: alla nascita consentono al neonato di proteggersi dagli stimoli negativi, per poi evolversi in emozioni adatte a rispondere alle richieste dell’ambiente. Nei primi 2 mesi di vita il neonato manifesta emozioni positive e negative al fine di segnalare i propri biogni (LIVELLO SENSORIO AFFETTIVO dello sviluppo emotivo), mentre a partire dal 3˚ mese emerge una relazione tra emozioni e oggetti e persone del mondo esterno (LIVELLO PERCETTIVO-AFFETTIVO);e dai 9 mesi il bambino raggiunge il LIVELLO COGNITIVO- AFFETTIVO dello sviluppo emotivo, in cui le emozioni si presentano come sempre più legate ad una maggiore consapevolezza di sé e differenzizione dal mondo esterno. Sebbene non vi sia accordo su come proceda lo sviluppo emotive precoce, la maggior parte dei ricercatori concorda sulla presenza, entro i primi sei mesi di vita, delle emozioni primarie o fondamentali: - Gioia: esprime disponibilità ad un interazione amichevole; - Tristezza: stimola gli altri ad offrire consolazione; - Paura: funzionale ad evitare il pericolo e comprendere l’elemento minaccioso; - Rabbia: per superare l’ostacolo e raggiungere l’obiettivo; - Repulsione: evitare l’elemento che origina disgusto; - Sorpresa: prepararsi ad assimilare una nuova esperienza. Il bambino esprime le proprie emozioni attraverso le espressioni facciali, il sorriso e il pianto. Per quanto riguarda il pianto, è uno strumento raffinato di comunicazione sociale: alla nascita il pianto si presenta 25 come una risposta comportamentale che coinvolge tutto il corpo, con espressioni facciali di stress, movimenti di braccia e gambe, cambiamenti nel tono muscolare e nel colore della pelle, alterazione della respirazione. Si possono distinguere diverse fasi del pianto: la loro diversa scansione temporale darebbe origine a pianti qualitativamente differenti, che permettono al genitore di differnziare la causa del pianto stesso. All’inizio il pianto è attivato da stimoli semplici quali la fame o il dolore, verso la fine del primo anno comincia a diventare uno strumento intenzionale di comunicazione intenzionale. Lo sviluppo emotivo comprende anche il riconoscimento delle emozioni degli altri e di reagirne in maniera appropriata. Si pensa che il riconoscimento delle emozioni sia molto precoce: l’interesse per il volto, permette ai neonati di differenziare le espressioni facciali delle emozioni. Già a 10 settimane il neonate è in grado di reagire in modo differenziato e appropriato a 3 diverse espresssioni facciali delle emozioni: alla gioia sorridendo, alla tristezza con segnali di disagio e alla collera con l’aggrottamento. Conferma della precoce capacità di leggere le emozioni altrui deriva dall’esperimento denominato still face – volto immobile – di Tronik, procedura sperimentalein cui alle madri di bambini di età compresa tra i 3 e i 6 mesi veniva chiesto di assumere, dopo alcuni minuti di interazione faccia-a-faccia secondo modalità usuali con il bambino, un’espressione del viso immobile e inespressiva e di sospendere la comunicazione con il bambino, per riprendere l’interazione in modo usuale di nuovo dopo alcuni minuti. L’esperimento ha dimostrato che già a questa età i bambini sono in grado di riconoscere il significato emotivo delle espressioni del volto della madre, modificando il proprio comportamento in base a esse.Durante la fase dello still face il bambino aumenta i propri livelli di arousal e di stress nel momento in cui la madre smette di interagire con lui, mettendo inizialmente in atto delle strategie tese a recuperare il rapporto con la madre (aumentare le volalizzazioni, indicare, muovere le braccia per catturare l’attenzione). Quando il bambino si rende conto che i suoi tentativi vanno a vuoto, sperimenta uno stato di estrema frustrazione, che manifesta urlando e piangendo, e mettendo in atto dei meccanismi per evitare lo stato di frustrazione, come succhiare il pollice o distogliere lo sguardo dalla madre. Il passagggio dal riconoscimento delle emozioni alla loro comprensione non è altrettanto precoce, in quanto sono necessarie abilità cognitive, relazionali e sociali più complesse. Da ricodare il FENOMENO DEL RIFERIMENTO SOCIALE che comprende dopo il primo anno di vita: di fronte a situazioni o ambigue, o di fronte a persone sconosciute, il bambino si rivolge all’adulto per scrutarne il viso e orienta il proprio il proprio comportamento sulla base della sua espressione facciale, per cui il bambino sarà cauto e timoroso se l’adulto manifesta preoccupazione, sarà invece sicuro e tranquillo se l’adulto manifesta un’ emozine serena. Il riferimento sociale ha caratteristiche di selettività, ossia solo gli adulti significativi sul piano affettivo funzionano da riferimento sociale per il bambino. Il corso dello sviluppo emotivo risente non solo delle modificazioni dovute ai processi di maturazione, ma anche delle esperienze di socializzazione: nel corso del 2˚ e 3° anno di vita emergono emozioni nuove definite EMOZIONI AUTOCOSCIENTI. Si tratta della vergogna, dell’imbarazzo, del senso di colpa, dell’orgoglio, che compaiono solo quando il bambino ha sviluppato il senso di sé, cosa che non avviene prima dei 18 mesi. Tali emozioni, definite anche secondarie, rivelano la capacità del bambino di riflettere su se stesso e di paragonare il proprio modo di essere e/o di comportarsi ad aspettative o norme sociali. Le emozioni autocoscienti rappresentano un passaggio fondamentale del processo di socializzazione, processo secondo cui i bambini imparano a comportarsi in modo socialmente appropriato. COLPA E VERGOGNA La vergogna è un’emozione correlata alla percezione che si ha di se stessi, come frutto di un’autovalutazione di un fallimento globale in relazione a modelli, scopi o regole condivisi: l’individuo si sente inadeguato, inferiore, diverso da come vorrebbe essere, inadeguato e impotente. Quando si prova vergogna si vorrebbe diventare invisibili, sottraendosi alo sguardo altrui. Il bambino può reagire alla vergogna arrabbiandosi o isolandosi. La colpa invece un’emozione che riguarda qualcosa che si è commesso, infrangendo delle regole: se la vergogna comporta un abbassamento dell’autonomia, la colpa può dare il via a comportamenti riparativi, che consentono al bambino di pareggiare i conti. Il focus della colpa è ciò che si è fatto e non intacca la 26 valutazione globale di sé. Far leva sul senso di colpa e sostiene la messa in atto di comportamenti riparatori consente al bambino di interiorizzare modelli comportamentali socialmente approvati, mentre atteggiamenti di rimprovero e di umiliazione sortiscono l’unico effetto di svilire il sé del bambino. La SOCIALIZZAZIONE emotiva implica l’acquisizione della capacità di regolare l’espressione delle emozioni secondo le norme sociali della cultura di appartenenza. Si parla al riguardo delle regole di espressione o di ostentazione, le quali indicano quali emozioni è appropriato manifestare, in quali circostanze e con quali modalità. La regolazione emotiva consiste nell’imparare ad esprimere in modo efficace e appropriato le proprie emozioni, al fine di soddisfare i propri bisogni e mantenere relazioni sociali soddisfacenti. La capacità del bambino di regolare le proprie emozioni dipende in parte dal suo temperamento e in parte dalle interazioni con gli altri. LE REGOLE DI ESPRESSIONE DELLE EMOZIONI sono suddivise in 4 grandi gruppi che comprendono: 1) le regole di minimizzazione: ridurre l’intensità dell’espressione emotiva rispetto a quato realmente provato; 2) le regole di massimizzazione: enfatizzare l’espressione di un’emozione, di solito di segno positivo; 3) le regole di mascheramento: ricorrere ad espressioni neutre per nascondere la vera emozione; 4) le regole di sostituzione: esprimere un’emozione di segno opposto rispetto a quello provato. I bambini dapprima imparano ad utilizzare tali regole come risultato della socializzazione in famiglia e nel gruppo dei pari, ma solo più tardi all’inizio dell’età scolare paiono essere in grado di comprendere il funzionamento. Secondo i lavori di Eisemberg, i bambini, almeno per tutto il primo anno di vita, fanno affidamento sull’intervento dell’adulto per regolare le proprie emozioni, poi, con lo sviluppo, coinciano ad utilizzare strategie comportamentali, cognitive e sociali al fine di ridurre le emozioni negative. Per esempio, il riorientamento dell’attenzione, che avviene distogliendo lo sguardo dalla fonte emotigena ed è già presente a 3 mesi. Quando i bambini cominciano a muovere i primi passi possono ricorrere all’evitamento fisico dello stimolo, allontanandosi dalla situazione emotiva che induce sofferenza. Quando poi maturano le capacità simboliche nel corso del 2°e 3˚ anno il gioco del far finta può diventare un modo per esprimere e regolare le proprie emozioni. Nel periodo di acquisizione dell’autoregolazione emotiva il ruolo degli adulti è di fondamentale importanza, soprattutto per affrontare emozioni intense. I genitori possono aiutare i bambini ad imparare a regolare le proprie emozioni a seconda di come loro stessi le maneggiano: si può parlare di un’allenamento all’emozione quando i genitori discutono di emozioni con i figli, dando un nome a ciò che provano e aiutandoli a fronteggiare le emozioni negative considerandole come delle occasioni di apprendimento, e invece di un rifiuto delle emozioni quando i genitori tendono ad ignorare o a negare o falsificare le emozioni negative provate dal bambino. Lo sviluppo procede dalla REGOLAZIONE ESTERNA da parte dell’adulto alla REGOLAZIONE INTERNA AUTONOMA. Si tratta di un processo di sviluppo che dura tutta l’infanzia e consiste nell’apprendimento di strategie funzionali al controllo, orientamento,modificazione delle proprie reazioni emotive. TAB P.112 AUTOREGOLAZIONE DIFFICILE diversi fattori possono rendere più difficile lo sviluppo dell’autoregolazione. Alcuni sono riferibili allo stile relazionale dei genitori, altri più alle caratteristiche temperamentali del bambino. Stile relazionale del genitore: STILE RITIRATO: caratterizzato da mancanza di contatto e di coinvolgimento emotivocon il figlio, tipico di situazioni avverse in cui il genitore è completamente assorbito da sé e dai suoi problemi, la mancanza di coinvolgimento renderà più difficile la possibilità la 27 Secondo le teorie tradizionali dell’apprendimento, lo sviluppo dell’identità di genere avverrebbe sulla base dell’azione del rinforzo da parte dell’ambiente: l’ambiente rinforza i comportamenti adatti al proprio sesso e punisce quelli inadatti. Diversa è la spiegazione della teroia dell’apprendimento sociale, che chiama in causa il meccanismo dell’imitazione: i bambini apprendono i comportamenti tipici del proprio sesso osservando e imitando adulti e coetanei che vedono simili a sé. Altri orientamenti privilegiano invece il ruolo dei processi cognitivi: la teoria cognitivo-ontogenetica, rifacendosi alla teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget, ritiene che il genere sia una categoria sociale che emerge come frutto della maturazione cognitiva ed è funzionale alla classificazione e organizzazione della pluralità di informazioni che provengono dall’ambiente. Una volta costruito il costrutto di genere il bambino lo riempirà con le informazioni rilevanti e imparerà a imitare i comportamenti appropriati. CAPITOLO 5- SVILIPPO SOCIALE E MORALE: BAMBINI E BAMBINE TRA FAMIGLIA, NIDO E GRUPPO DEI PARI La famiglia è il primo luogo di esperienza del bambino, ma a partire da età precoci il bambino cresce all’interno di un’ampia rete sociale, formata da molte persone (nonni, gruppo di pari, caregivers professionali). Inizialmente, gli psicologi, studiavano il processo di socializzazione tenendo conto solo del contesto famigliare, in particolare del rapporto madre-bambino; solo gradualmente si è cominciato a prendere in considerazione anche il padre e i fratelli, per poi tenere conto dei coetanei, educatori, scuola e mass media. All’interno del microsistema famigliare, i genitori ricoprono un ruolo fondamentale nel soddisfare due dei bisogni irrinunciabili dei bambini: il bisogno di protezione e sicurezza affettiva e la regolazione normativa. 5.1 I BAMBINI IN FAMIGLIA: BISOGNO DI PROTEZIONE E SICUREZZA Winnicot affermava che non esiste un bambino senza cure materne, per intendere che non è possibile studiare lo sviluppo emotivo del bambino al di fuori delle relazioni sociali in cui egli è coinvolto. Oggi l’immagine si è arricchita del padre e delle altre persone con cui il bambino viene in contatto. Questo circuito relazionale costituisce l’ambiente psichico in cui il bambino viene a nascere e crescere, cioè quell’insieme di emozioni e rappresentazioni che danno forma alle relazioni tra il bambino e chi si prende cura di lui nella prima infanzia. Solo recentemente la psicologia ha riconosciuto l’importanza del genitore come oggetto di rapporto e il suo ruolo di accudimento nei confronti del bambino: ad esempio la psicoanalisi classica sosteneva che l’importanza del legame madre-bambino era da ricondursi esclusivamente al soddisfacimento che la figura materna procura ai bisogni fisiologici del figlio (teoria della pulsione secondaria). Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, Anna Freud (che si occupò di bambini orfani e istituzionalizzati), riconobbe che i bambini hanno bisogno di rapporti e interazioni sociali, e che il legame con la madre è un bisogno istintuale e non finalizzato al puro soddisfacimento dei bisogni fisiologici. Dopo daranno il loro contributo anche Sullivan, che afferma che la relazione con l’ambiente è un bisogno primario del bambino; più tardi, fu soprattutto Winnicot a riconoscere l’importanza della qualità delle cure materne per un sano sviluppo della personalità del bambino, e a introdurre concetti come madre sufficientemente buona e di preoccupazione materna primaria, che rimandano a quelle caratteristiche fondamentali di sensibilità e responsività delle cure materne. La TEORIA DELL’ATTACCAMENTO nasce dall’opera di John Bowlby. La sua idea di legame di attaccamento in termini di disposizione innata del bambino trae origine dal confluire delle osservazioni di Anna Freud e Dorothy Burlingham sui bambini separate dai genitori o rimasti orfani e istituzionalizzati e del pensiero di quegli psicoanalisti che, come Winnicott, riconoscevano il primato delle relazioni oggettuali nello sviluppo psicoaffettivo dell’individuo, con le influenze derivanti dalla teoria etologica, con Lorenz, sull’imprinting. 5.1.1 LE ORIGINI BIOLOGICHE DELL’ATTACCAMENTO Secondo Bowlby l’attaccamento alla madre emerge come conseguenza del bisogno primario che il bambino ha di tenersi in contatto con un’altra persona e di attaccarsi ad esso indipendentemente dalle cure fisiche 30 ricevute. L’attaccamento avrebbe la funzione di garantire la protezione del piccolo dai predatori. Il legame di attaccamento emerge, quindi, come il risultato della pressione evolutiva, in quanto incrementa le probabilità di soppravvivenza della specie. Egli definisce l’attaccamento un sistema di controllo cibernetico basato su processi di elaborazione dell’informazione: in presenza di alcune circostanze (lontananza eccessiva dalla figura di cura), i comportamenti che derivano da questo sistema si attivano, e cessano nel momento in cui se ne verificano altre (distanza ottimale dall’adulto di riferimento). Ciò permette al bambino di mantenere una distanza ottimale dalla figura di attaccamento a seconda della pericolosità dell’ambiente e del grado di accessibilità della figura di riferimento. I comportamenti di attaccamento sono preprogrammati, cioè si sviluppano secondo certe linee evolutive quando le condizioni ambientali lo consentono e vengono suddivisi in due classi: comportamenti di segnalazione che hanno come fine hanno quello di avvicinare l’adulto al bambino: sorriso, pianto, lallazione e il richiamo e comportamenti di accostamento avvicinano il bambino all’adulto: aggrapparsi, suzione non alimentare e l’avvicinarsi. La vicinanza fisica viene percepita dal bambino come sicurezza: il legame di attaccamento nelle definizioni di Bowlby e Ainsworth è visto sotto forma di legame affettivo, emotivamente significativo e persistente nel tempo, che un individuo costruisce con una persona specifica, non sostituibile da altre e percepita come più forte e saggia. Quando la persona è in relazione con la sua figura di attaccamento si sente al sicuro e confortata, mentre sperimenta stress se è costretta a separarsene. La ricerca ha indagato soprattutto il legame con la madre biologica come figura di attaccamento principale, in quanto nella maggior parte dei casi è lei che prende cura del bambino piccolo, ma oggi sappiamo che in molte culture è il padre, ma anche i fratelli più grandi, I nonni, gli zii possono essere figure di attaccamento. BASI ETOLOGICHE DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO Bowlby, per elaborare la teoria dell’attaccamento si ispirò al lavoro di alcuni etologi (etologia:studio del comportamento di una specie nel suo ambiente naturale): Lorenz, condusse uno studio sulle oche selvatiche, che lo portò ad elaborare il termine di imprinting, cioè la spinta a seguire la madre nei primi giorni successivi alla schiusa delle uova, esso aumenta le probabilità di sopravvivenza (il legame con il genitore promuove la sicurezza del piccolo). Harlow fece uno studio sulle scimmie, che gli dimostrò come il legame con il genitore non è dovuto al nutrimento ma al tipo di interazione affettiva e sociale che si instaura con il piccolo (uno scimpanzé venne lasciato libero di muoversi con due simulacri di madre, una di fili di metallo con un biberon di latte sempre in mano e una fatta di cotone: preferì quella in cotone). 5.1.2 COSTRUIRE I PRIMI LEGAMI DI ATTACCAMENTO Lo sviluppo dell’attaccamento avviene in tre fasi che si suddividono nel primo anno di vita e una quarta che avviene verso i tre anni: - Prima fase (nascita-2/3 mesi) viene definita orientamento e segnali senza discriminazione della persona: il bambino risponde a tutti gli stimoli, senza modificare la risposta a seconda delle persone con le quali intergisce. Invia i suoi segnali senza prediligere alcuna figura. Si parla quindi di una risposta sociale indiscriminata e di preattaccamento. - Seconda fase (3-6 mesi) chiamata orientamento e segnali diretti verso una o più figure discriminate: il bambino è in grado di distinguere le persone familiari da quelle estranee grazie allo sviluppo della memoria di riconoscimento (3 mesi), inoltre è in grado di esercitare maggiore controllo sull’interazione sociale. In questa fase dirige di più i sui comportamenti verso una o più persone discriminate (xes. sorride di più alle persone prescelte). - Terza fase (7- 12 mesi) prevede il mantenimento della vicinanza con una figura discriminata mediante la locomozione e i segnali. L’acquisizione della costanza dell’oggetto, cioè la consapevolezza che qualche cosa permane anche se smette di essere percepita, permette al bambino di instaurare relazioni differenziate e durevoli. Questa consapevolezza è anche associata all’emergere dell’angoscia da 31 separazione, che è indice della capacità del bambino di sentire la mancanza di una persona assente. L’angoscia da separazione è per Bowlby, letta da una prospettiva etologica, una risposta adattiva del bambino alla percezione di un aumento del rischio connesso con l’assenza della figura di attaccamento. L’angoscia da separazione è accompagnata, infatti, dalla comparsa dell’angoscia per l’estraneo. In questa fase l’attaccamento si consolida verso una o più persone preferite, e la possibilità di muoversi autonomamente fa sì che il bambino abbia un maggiore controllo sulla vicinanza del caregiver. In questo periodo si manifesta il comportamento a base sicura, che è considerato da Ainsworth il marchio dell’attaccamento. Il comportamento di base sicura, osservabile da quando il bambino è in grado di spostarsi autonomamente nello spazio, consiste in ripetuti movimenti di allontanamento dal gentore per esplorare l’ambiente seguito da momenti di riavvicinamento al genitore per una sorta di “ rinforzo affettivo”, che rassicura il bambino sulla presenza e accessibilità dell’adulto e al contempo lo sostiene nella fiducia di esplorare. Il primo anno di vita è considerato da Bowlby un periodo sensibile per la costruzione del legame di attaccamento, anche se oggi si sa per certo che non esiste un periodo critico oltre il quale non si possa più sviluppare una forma di attaccamento, anche se come si deduce dai dati sui bambini istituzionalizzati, al prolungarsi di tale difficoltà ad instaurare un legame di adattamento preferenziale diviene maggiore il rischio di un’organozzazione didadattiva dello stesso. - Quarta fase: Il poter ricorrere ad una base sicura è un fattore di sicurezza in un mondo fisico e sociale che si espande rapidamente. Verso i 3 anni i bambini cominciano a mostrare meno stress per brevi separazioni e a 4 anni il loro disagio alla separazione è in relazione all’aver potutoo meno negoziare con la madre il distacco e programmare con lei il ricongiungimento. Aumenta la distanza che i bambini possono tollerare dalla figura di riferimento e l’esplorazione diviene una motivazione crescente. Gli anni prescolari sono quelli della quarta fase dello sviluppo ontogenetico dello sviluppo dell’attaccamento definita formazione di un rapporto reciproco corretto secondo lo scopo: il bambinoè in grado di cogliere gli obiettivi altrui, per espempio i motivi che inducono la madre a separarse, e di negoziare con l’altro la vicinanza. Ciò riduce l’attivazione dei comportamenti di attaccamento: con la maturazione l’obiettivo del sistema di attaccamento non sarà tanto la vicinanza fisica, quanto la certezza della disponibilità della figura di attaccamento in caso di bisogno. Attaccamenti multipli molti bambini ricevono cure non solo dalla madre, ma anche da altri adulti presenti🡪 nel loro contesto di vita, come il padre, i nonni, i fratelli maggiori questo significa che per il bambino è possibile costruire più relazionidi attaccamento contemporaneamente. Lo stesso Bowlby afferma che molti bambini dirigono il proprio comportamento di attaccamento verso più persone e che il ruolo di figura di attaccamento principale può essere ricopreto anche da una persona diversa dalla madre naturale. Il fatto che il bambino costruisca più relazioni di attaccamento non significa però che si tratti di relazioni equivalenti fra loro. Egli ritiene che esista una GERARCHIA tra le figure di attaccamento del bambino, che permette di distinguere tra una figura di attaccamento principale e più figure di attaccamento secondarie, e che il bambino scelga di riferirsi a una all’una o alle altre a seconda della disponibilità dei caregiver, della propria età, del suo bisogno e delle circostanze ambientali. Tali legami di di attaccamento sono organizzati in senso gerarchico, in relazione al tempo che il bambino trascorre con ciascuna figura di riferimento, alla qualità delle cure, all’intensità dell’investimento emotivo da parte dell’adulto e al livello di stimolazione sociale che caratterizza l’interazione. Nella cultura italiana è molto porobabile che la figura di attaccamento sia la madre e che il ruolo di figure di attaccamento secondarie compete al padre, ai nonni, ai fratelli maggiori. I dati a disposizione sullo studio della qualità delle relazioni di attaccamento secondarie fanno propendere per un modello che consideri la qualità dell’attaccamento come strettamente dipendente dalla relazione del bambino con il caregiver: ciò 32 Bowlby e Ainswort considerano la sensibilità come fattore critico nello sviluppo di un attaccamento sicuro o insicuro e diversi altri studi hanno confermato che la sicurezza nell’attaccamento dipende dalla sensibilità e responsabilità della figura di cura. Il fatto che la sensibilità del genitore possa essere considerata un fattore causale critico, non esclude l’influenza di altre variabili costituzionali riferite al bambino o ai genitori, e fattori contestuali. Per quanto riguarda il temperamento del bambino, non sono descrivibili legami diretti tra temperamento infantile e sicurezza dell’attaccamento. Il legame tra temperamento del bambino e sicurezza è mediato dal contesto sociale di riferimento della diade madre-famiglia: un temperamento difficile può condurre ad un attaccamento insicuro solo se la sensibilità del genitore associato a scarsa sensibilità del genitore e a bassi livellidi supporto sociale, mentre non impedisce che si sviluppi un attaccamento sicuro se la sensibilità del genitore è elevata e il supporto sociale buono. Per quanto concerne le caratteristiche psicologiche della figura di attaccamento,la qualità delle cure che il genitore può offrire è connessa con il suo benessere psicoaffettivo. Studi più recenti, influenzati dalla prospettiva ecologica di Bronfenbrenner, hanno esteso la ricerca al di là della relazione madre-bambino per esplorare il ruolo svolto da variabili contestuali nel promuovere o meno la sicurezza infantile attraverso l’influenza che esse esercitano sugli scambi interattivi quotidiani. Una relazione con il coniuge basata sul reciproco rispetto correla con una maggiore sensibilità materna e con l’attaccamento sicuro. La qualità della vita matrimoniale non ha però un effetto diretto sull’attaccamento, bensi indiretto attraverso la soddisfazione della madre per per il proprio ruolo genitoriale. Lo stesso effetto indiretto può essere attribuito al sostegno ricevuto dalla madre daaltre persone della famiglia, della comunità e da figure professionali. Una ricerca contemporanea ha evidenziata l’effetto di influenze culturali sulla qualità dell’attaccamento. Il ruolo della famiglia nello sviluppo dei bambini, le pratiche di cura da parte degli adulti di riferimento, nonché gli obiettivi di crescita ritenuti importanti non sono omogenei tra le varie culture, né nelle diverse nicchie sociali di una stessa cultura. ciò che è emerso dalla ricerca cross-culturale è che il legame di attaccamento con una base sicura nella prima infanzia è un fenomeno universale, presente in tutte le culture studiate. Anche le tipologie di attaccamento sono similmente presenti nelle culture occidentali: l’universalità della distinzione tra attaccamento sicuro e attaccamento insicuro e la normatività, nonché la desiderabilità sociale, del primo rispetto al secondo. L’attaccamento sicuro è il più rappresentato, mentre esistono differenze influenze culturali sulla distribuzione dei pattern insicuro-ambivalente ( C ) più diffuso in culture orientali e in Israele ed insicuro evitante (A) più presente in culture dell’Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Esiti a lungo termine della qualità dell’attaccamento alcuni domini dello sviluppo infantile sono🡪 maggiormente influenzati dalla qualità delle relazioni di attaccamento precoci. L’ipotesi della competenza afferma che l’attaccamento sicuro predice un migliore sviluppo e adattamento dando forma a processi emergenti della personalità che esercitano un’influenza costante sul funzionamento psicosociale dell’individuo. Tra questi troviamo la sicurezza in se stessi, l’autostima, la capacità di recupero, la socievolezza, la cooperazione e l’empatia nella relazione con i pari; l’indipendenza e la fiducia nella relazione con gli adulti; la regolazione degli affetti; e il controllo degli impulsi; aspetti cognitivi come curiosità, i tempi di attenzione,la complessità del gioco, l’adattamento e la metacognizione Ciò però non significa che la sicurezza garantisca l’invulnerabilità anche se è un fattore protettivo. Occorrere assumere una prospettiva contestuale che tenga in conto l’influenza di successivi fattori di mediazione, tra cui la stabilità nel tempo della qualità della relazione genitore-bambino, oppire cambiamenti dovuti a transizioni del ciclo di vita, crisi familiari o altri eventi critici. Per comprendere l’influenza delle prime relazioni di attaccamento sullo sviluppo, è opportuno riferirsi al MODELLO DEI PERCORSI DI SVILUPPO di Bowlby. Secondo questo modello, alla nascita i percorsi di sviluppo sono potenzialmente tutti possibilili; via via che lo sviluppo procede il numero dei percorsi possibili 35 diminuisce sulla base dell’esperienze pregresse. Per Bowlby la qualità dell’attaccamento è un fattore che contribuisce alla selezione di un percorso di sviluppo in quanto modifica il modo in cui un individuo percepisce e organizza il mondo che lo circonda. Non si tratta di riferirsi alle esperienze affettive dei primi anni di vita come causa di effetti irreversibili sullo sviluppo, quanto piuttosto di pensarle come occasione in cui si acquisiscono o meno delle competenze, nel caso dell’attaccamento competenze di tipo sociale, che potranno essere usate in altri ambiti. E’ per questo che motivo che l’insicurezza è vista come come un fattore che aumenta la probabilità di disadattamento e psicopatologia. Le esperienze precoci non causano direttamente lo sviluppo successivo, ma rappresentano l’inizio di sentieri probabilisticamente connessi con certi esiti di sviluppo. I fattori responsabili degli effetti a lungo termine nello sviluppo della sicurezza/insicurezza infantile, sono da ricondursi principalmente alla stabilità dell’ambiente di cura e alla tendenza dell’individuo a selezionare o interpretare gli eventi dell’ambiente in maniera concordante con la rappresentazione delle sue esperienze pregresse. Lo sviluppo dell’attaccamento prevede la costruzione da parte del bambino di MODELLI OPERATIVI INTERNI, modelli affettivi e cognitivi di sé e della figura di attaccamento costruiti sulla base della qualità degli scambi emotive con il caregiver. Un bambino con attaccamento sicuro costruirà un modello interno della figura di cura come amorevole e disponibile e di conseguenza di se stesso come degno di cure e amore. Un bambino con attaccamento insicuro costruirà, invece, un modello operative interno del caregiver come imprevedibile (pattern C), inaccessibile e rifiutante (pattern A), o minaccioso (pattern D) e di sè come indegno di amore e aiuto. I modelli operative interni, una volta organizzati, tendono ad operare anche senza consapevolezza, rimanendo relativamente immutati nel tempo e funzionando secondo il meccanismo cognitivo della assimilazione (Piaget) inducendo l’individuo a selezionare dall’ambiente le informazioni congrue con il proprio modello operative interno e ad escludere quelle incongrue. Per questi motivi i modelli operativi interni sarebbero responsabili della stabilità e delle conseguenze a lungo termine della qualità dei primi legami. 5.2 I BAMBINI IN FAMIGLIA: STILI EDUCATIVI E PRATICHE DISCIPLINARI GENITORIALI La famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma è anche la sede della socializzazione cognitiva e morale del bambino , ossia il contesto in cui, attraverso l’interazione con le figure adlte, vengono trasmessi i modelli comportamentali e le regole di vita propri di ciascuna società. Rientrano in questo ambito le ricerche relative alle modalità di parenting, intese come la capacità del genitore di soddisfare i bisogni fisici e psicologici fondamentali del figlio, che hanno approfondito l’influenza esercitata dagli stili educativi e dalle pratiche disciplinari genitoriali sullo sviluppo sociale, cognitivo e morale dei bambini. 5.2.1 GLI STILI EDUCATIVI GENITORIALI: DETERMINANTI ED ESITI DI SVILUPPO Ci sono alcuni fattori genitoriali che influenzano l’adattamento socioemotivo del bambino. Gli studi classici hanno individuato alcune dimensioni di base della funzione genitoriale: - Permissività: viene definita come il grado di libertà che i genitori lasciano ai propri figli, tollerando ogni comportamento ed evitando di proporre delle regole di condotta; - Severità:contrapposta alla permissività, è l’imposizione da parte dei genitori di un numero elevato di restrizioni ai bambini, da cui esigono l’obbedienza; - Sollecitudine: la misura in cui i genitori sono affettuosi nei confronti dei bambini; - Ostilità:è l’opposto della sollecitudine e interviene quando i genitori appaiono freddi e disinteressati nei confronti dei figli; - Responsività:il limite cui i genitori arrivano nel promuovere intenzionalmente l’individualità del figlio, la sua autoregolazione, adattamento e supporto che essi offrono; - Capacità di porre dei limiti:le richieste che i genitori fanno ai bambini affinché essi diventino parte integrante della famiglia, che si concretizzano in richieste di maturità, di controllo, di sforzi disciplinari e di volontà. Queste dimensioni, se combinateinsieme, determino diversi stili educativi: 36 1. Funzione genitoriale autoritaria : vi è affermazione del potere parentale, presenza di distacco affettivo; i genitori non sollecitano l’opinione del bambino e raramente mostrano apprezzamento per ciò che fa; i genitori tendono ad essere direttivi, ad usare atteggiamenti intimidatori e a richiedere obbedienza agli ordini senza dare spiegazioni. I bambini con genitori autoritari tendono ad essere insolenti, dipendenti e socialmente incompetenti, antisociali ed aggressivi, hanno difficoltà a mantenere relazioni stabili ed affettuose. Mancano di curiosità e spontaneità ed hanno bassi libelli di autostima; obbediscono per paura delle punizioni, ma in assenza dell’adulto perdono il controllo in quanto non hanno interiorizzato le norme di comportamento. 2. Funzione genitoriale permissiva: i genitori sono amorevoli e affettuosi verso i figli ma esercitano un controllo piuttosto limitato sul suo comportamento; essi tendono ad essere poco severi e poco coerenti rispetto alle regole e alla disciplina e a consultare i bambini per questioni che riguardano gli adulti. I bambini successivamente tenderanno ad essere privi di obiettivi, impulsivi e irresponsabili; tendono a riflettere poco sulle azioni e sulle loro conseguenze. I figli di genitori permissivi tendono ad essere privi di obiettivi, poco assertivi, non interessati ai risultati, impulsivi e irresponsabili; riflettono poco sulle proprie scelte e sulle conseguenze delle proprie azioni, presentano scarsa autostima e fiducia in se stessi. 3. Funzione genitoriale autorevole: i genitori combinano elevati livelli di sollecitudine con un controllo risoluto sul comportamento del bambino e con elevati livelli di richiesa di risultati. Essi non usano maniere punitive, incoraggiano gli scambi verbali con i bambini, hanno manifestazioni di affetto calorose e rispettano i desideri del bambino, al quale comunichiamo i criteri di condottada seguire. Questo stile educativo rappresenta un fattore di protezione per lo sviluppo del bambino, rispetto agli altri. I bambini crescono più capaci, più fiduciosi nelle proprie possibilità interessati ai risultati da conseguire, socialmente responsabili e competenti, dotati di autocontrollo, e cooperativi con coetanei ed adulti. Inoltre presentano maggiori livelli di autostima, non si arrendono di fronte alle difficoltà, si impegnanoper raggiungere gli obiettivi, riflettono sulle proprie azioni e sulle loro conseguenze e si sentono liberi di esprimere le proprie emozioni. 4. Funzione genitoriale trascurante:i genitori assumono una condotta disimpegnata, non sono emotivamente disponibili e non avanzano richieste ai bambini. Non controllano le attivià del figlio, ai quali non forniscono adeguati strumenti di comprensione del mondo, né chiare regole sociali da seguire. I figli di genitori trascuranti presentano immaturità sul piano cognitivo e sociale. Lo stile educativo autorevole rappresenta un fattore di protezione per lo sviluppo del bambino, mentre gli altri stili educativi sono fattori di rischio che rendono più probabili percorsi di sviluppo disadattivi. Gli effetti descritti variano in relazione al genere e all’età del bambino. Inoltre funzione genitoriale, funzione coniugale e comportamento e sviluppo del bambino sono variabili che si influenzano reciprocamente anche le caratteristiche del contesto sociale e fisico sono fattori che possono modifiare la relazione tra stile educativo genitoriale e sviluppo del bambino. 5.2.2 LE TECNICHE DI CONTROLLO DEI GENITORI E LO SVILUPPO MORALE DEL BAMBINO Alcune ricerche hanno analizzato la relazione tra funzione genitoriale e sviluppo nel bambino dei processi che consentono di impararee ad assumersi la rsponsabilità del proprio comportamento, interiorizzando le norme proposte dalla famiglia e dalla società. E’ un processo che comincia con l’adulto che aiuta il bambino a controllare il proprio comportamento e si conclude con l’acquizisione dell’autoregolazione, cioè il controllo autonomo della propria condotta. Secondo Kopp nei primi 2/3 mesi di vita la regolazione del comportamento viene garantita dal controllo della stimolazione. Intorno ai 3 mesi il bambino invece comincia ad adattare il proprio comportamento ai vincoli ambientali, si tratta di una modulazione sensomotoria finalizzata ad uno scopo (xes. afferrare un oggetto). Solo verso il primo anno di vita, il bambino diventa capace di un controllo volontario del comportamento, quindi diventa in grado di obbedire alle richieste dei genitori, solo in presenza di questi 37 Oggi l’asilo nido si pone come opportunità di crescita intellettiva e sociale per i bambini in età prescolare e non più come luogo di semplice custodia in assenza del genitore. Il decreto legislativo 65/2017 ISTITUZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI EDUCAZIONE E DI ISTITUZIONE DALLA NASCITA SINO AI 6 ANNI recita agli art. 1 e 2 che alle bambine e ai bambini, alla nascita fino ai 6 anni, per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivio, ludico e cognitivo, sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco,superando disugualianze e barriere territoriali, economiche etniche e culturali. Per tali finalità viene progressivamente istituito, in relazione all’effettiva disponibilità di risorse finanziarie, umane e strumentali, il Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e bambini in età compresa dalla nascita ai 6 anni. Perché il nido possa essere contesto di crescita è indispensabile che gli STANDARD di cure offerte siano di QUALITA’ elevata. Gli effetti sullo sviluppo del bambino delle cure extrafamiliari hanno una relazione di interdipendenza con le qualità delle cure offerte in famiglia. L’inserimento full-time del bambino nei servizi educativi ha effetti negativi sulla qualità della relazione di attaccamento con il genitore solo se il bambino è esposto a cure di scarsa qualità per più di 10 ore settimanali e contemporaneamente ad uno stile di accudimento materno poco sensibile. Sono importati, nel determinare l’impatto che l’esperienza di cure exrafamiliari avrà sul bambino, la MODALITA’ dell’AFFIDAMENTO, cioè la modalità con la quale il genitore affida il bambino alle cure professionali dell’educatrice. Fruggeri descrive lo scenario dell’affidamento del bambino alla cura di persone diverse dai genitori in termini di SVINCOLO-AFFIDAMENTO-ACCOGLIENZA-COINVOLGIMENTO: l’esperienza del distacco, che nel contesto diadico genitore-figlio assumerebbe un significato di abbandono e di vuoto, diviene nel contesto triadico della relazione bambino-genitore- educatore complementare all’affidamento e all’accoglienza da parte dl terzo. Si tratta di costruire un contesto sicuro in cui sperimentare la possibilità e la capacità di uscire dalle relazioni ed entrare nelle interazioni, capacità base per lo sviluppo dell’autonomia. Tale dinamica è influenzata dalla QUALITA’ della RELAZIONE tra GENITORI ed EDUCATORI, dalle reciproche percezioni e rappresentazioni, in cui assumono rilevanza la dimensione istituzionale e quella della professionalità. Se il genitore è convinto che sia bene per il bambino affidalo alle cure del neonato tale processo di svilcolo ed affidamento sarà di granlunga facilitato. Se invece il genitore vive l’inserimento del bambino al nido come una scelta obbligata e non ha fiducianei confronti dell’istituzione, finirà con il sentirsi in colpa nell’affidare a terzi la cura del figlio, stato d’animo che rendereà meno agevole la dinamica di svincolo- affidamento. Inoltre,se i genitori hanno costruito un legame sicuro con il bambino, saranno più disponibili ad affidarlo alle cure degli educatori, costruendo una relazione basata sulla condivisione della cura e sulla cooperazione. Pensare all’intervento educativo come espressione di una relazione triadica significa significa andare oltre il MODELLO DELLA CONTIGUITA’ SEPARATA. In questo modello genitori ed educatori sono pensati come soggetti separati, ognuno dei quali intrattiene relazioni significative con il bambino, ma in ambiti diversi e paralleli. Il bambino è collocato al vertice di 2 relazioni diadice genitore- bambino ed educatore-bambino, e genitori ed educatori sono ritenuti responsabili i primi per ciò che accade in famiglia e i secondi per ciò che accade al nido. La relazione tra educatore e genitore è pensata in termini di RACCORDO ORGANIZZATIVO, per cui i genitori trasmettono agli educatori le informazioni che ritegono utili o necessarie e gli educatori riferiscono l’andamento della giornata e i risultati conseguiti dal bambino. L’idea che orienta l’azione educativa è che vi sia separatezza tra i rispettivi contesti d’azione. Tenere conto che il proprio intervento educativo ha effetti che vanno oltre il contesto del nido significa pensare in termini di interdipendenza dei contesti interattivi: secondo un MODELLO CO-EVOLUTIVO che valorizza la natura triadica della relazionee cicolare dei processi, l’intervento educativo non è pensato solo in relazione a cosa si ritiene utile ed evolutivo per i bambino, ma sulla base di ciò che si ritiene utile ed evolutivo per il bambino come componente di un sistema familiare. Ciò si traduce nella consapevolezza che 40 quanto avviene nella relazione educatore bambino modifica la relazione genitore-figlio e che tale transizione a sua volta incide sul rapporto educatore e bambino. Si tratta di accompagnare lo sviluppo del bambino tenendo conto dell’intero contesto relazionale in cui esso è coinvolto . Per offrire un accudimento di qualità è fondamentale che l’educatore tenga conto dell’unicità di ogni bambino, in termini di caratteristiche personali ed esperienze vissute, e che coltivi una comunicazione costante con la famiglia per conoscere le abitudini del bambino e riallacciarsi così alle routine familiari: buone prassi che facilitino l’adattamento del bambino al nido, l’inserimento che rappresenta per il piccolo una TRANSIZIONE ECOLOGICA ( Bronfenbrenner), che comporta l’assunzione di un nuovo ruolo e la richiesta di nuove acquisizioni e competenze. Prendersi cura di un bambino non comporta automaticamente la costruzione di un legamen affettivo con esso. È importante individuare le caratteristiche del caregiver professionale che possano far sì che la relazione che egli instaura con il bambino sia una relazione di attaccamento. L’educatrice di nido, oltre alle sue funzioni didattiche, condivide con la figura materna funzioni di accudimento e sostegno fisico ed emotivo nei confornti del bambino. Lo sviluppo del legame di attaccamento con il caregiver professionale segue le stesse tappe del legame di attaccamento con la figura principale: nel primo periodo dell’inserimento, vi è una manifestazione indifferenziata verso più educatrice, seguita da una fase di transizione in cui il bambino comincia a orientare i propri comportamenti verso alcune educatrici preferite, fino all’attaccamento preferenziale verso un’educatrice specfica. La qualità della relazione di attaccamento che il bambino costruisce con l’educatore è indipendente dalla qualità della relazione di attaccamento con la madre, per cui il bambino può avere un attaccamento sicuro con la madre ed insicuro con l’educatrice o viceversa. La qualità della relazione di attaccamento con l’educatrice dipende dalla sua senensibilità, definita come nel caso della sensibilità materna, in termini di capacità di cogliere i segnali del bambino e di rispondervi in maniera appropriata. Se l’educatrice è adeguatamente sensibile, il bambino vi ricorrerà come base sicura e tale sicurezza avrà effetti positivi sullo sviluppo cognitivo del bambino e sulle sue competenze sociali nella relazione con i pari. Nei casi in cui il bambino sia esposto a cure di bassa qualità, aumenta il rischio di sviluppare un attaccamento insicuro con l’educatrice, con un aumento dell’incidenza di problematiche comportamentali, soprattutto nei bambini ipersensibili e dal temperamento difficile. Gli esiti di sviluppo possono aggravarsi quando a ciò si aggiunge una difficoltà dei genitori a rispondere con sensibilità ai bisogni del bambino. 5.4 I LEGAMI SOCIALI CON I PARI: COMPAGNI DI GIOCO E AMICIZIE INFANTILI Crescendo i bambini allargano le relazioni interpersonali. I legami costruiti con i coetanei svolgono un ruolo significativo e rappresentano una seconda fonte di socializzazione. Le relazioni tra pari sono relazioni che intercorrono tra individui di pari status sociale; esse si basano su interazioni reciproche, in cui i ruoli possono essere scambiati e sono funzionali all’apprendimento di abilità quali cooperazione e competizione, abilità di risolvere i conflitti, l’assunzione della leadership, che non possono essere apprese nelle relazioni verticali. Si definiscono RELAZIONI VERTICALI le relazioni che il bambino instaura con un partner sociale che ha maggiori conoscenze e potere: esse sono di natura complementare ( l’adulto fornisce aiuto, il bambino lo riceve) e sono funzionali al fornire sicurezza e protezione al bambino, oltre a consentirgli di acquisire conoscenze e abilità. Anche se alla relazione tra pari è dedicato poco spazio nelle trattazioni, sin dalla prima infanzia i bambini mostrano interesse gli uni per gli altri, si guardano, si toccano e quando sono ai primi passi imparano a giocare insieme. Nella prima infanzia i bambini non possono avere compagni di gioco abituali se i genitori non ne creano le condizioni, iscrivendoli ad un nido, o frequentando regolarmente centri ludici. Ciò significa che l’appartenenza o meno dei bambini ad un gruppo durante l‘infanzia ad un gruppo dei pari è dipendente dai valori e dalle pratiche genitoriali. I genitori possono avere influenze dirette sulle amicizie infantili ( scegliere quali contesti e quali bambini frequentare), ma soprattutto influenze indirette, come nel 41 caso della qualità della relazione di attaccamento e degli studi genitoriali che influenzando lo sviluppo affettivo e sociale del bambino, ne condizionano anche le relazioni interpersonali al di fuori della famiglia. Un primo filone di ricerca sulle relazioni tra pari ha avuto inizio negli anni 70, proponendosi di descrivere ciò che i bambini sanno fare nel corso dell’interazione reciproca. Obiettivo era descrivere la struttura degli scambi sociali tra coetanei e come questa si modifica con l’età. Verso la fine degli anni 70 l’attenzione si sposta verso lo studio dei contenuti delle interazioni tra coetanei al fine di comprendere a quale età e in che modo i bambini cominciano a condividere dei significati. Ad oggi, i risultati di ricerca, basati su metodologie di tipo osservativo, depongono a favore della presenza di precoci capacità di interazione sociale tra coetanei, fino a quando, dai 2 anni, tali interazioni divengono più frequenti e più complesse: i giochi si fanno reciproci e gradualmente i bambini imparano a giocare insieme con un giocattolo, competenza che richiede la capacità di prestare contemporaneamente attenzione al partner e al giocattolo. Alla fine del 2° anno di vita i bambini trascorrono più tempo in attività di gioco sociale rispetto al gioco solitario. LE INTERAZIONI SOCIALI PRECOCI TRA COETANEI A 3 mesi il neonato osserva un altro bambino piccolo per un tempo più lungo rispetto a quello riservato all’osservazione dell’adulto. Verso la seconda metà del primo anno di vita il bambino mette in atto i primi comportamenti interattivi, anche se all’inizio si tratta di avvicinamenti non reciproci, perché in questa fase la difficoltà maggiore consiste nel coordinare il proprio comportamento con quello del partner. Uno studio ha evidenziato che i primi contatti socialitra pari sono centrati su un oggetto che attrae l’attenzione di entrambi i partner; in seguito le azioni dell’uno divengono contingenti rispetto all’azione dell’altro e i bambini manifestano di essere in grado di rispettare l’lternanza dei turni; verso i 16 mesi i bambini possono già impegnarsi in interazioni sociali che presentano un tema condiviso. In un lavoro sui tipi di interazione, di natura complementare e imitativa, è stato evidenziato che i bambini tra i 12 e i 24 mesi manifestano, per quanto riguarda le interazioni di natura complementare, interazioni basate sullo scambio di oggetti o sul conflitto per il possesso di un oggetto e, per quanto riguarda le interazioni di natura imitativa, interazioni basate su imitazioni di gesti con oggetti. Il passo successivo nello sviluppo consiste nell’utilizzo dei simboli nel gioco condiviso. Il GIOCO SIMBOLICO con un partner implica non solo la capacità del bambino di manipolare e trasformare i simboli ma anche di comunicare i significati simbolici al partner. La complessità del gioco dipende dal livello di abilità raggiunto dai vari partner: infatti il livello di complessità del gioco è maggiore quando i bambini sono in gruppi misti per età (SEZIONI VERTICALI) e possono interagire con bambini più grandi. I VANTAGGI DELLE SEZIONI VERTICALI AL NIDO D’INFANZIA l’appartenenza ad un gruppo non omogeneo per età può avere un’importante influenza sullo sviluppo cognitivo e sociale dei più piccoli. I bambini più grandi contribuiscono allo sviluppo dei più piccoli attraverso diversi processi: -COLLABORAZIONE: ossia una modalità di costruzione interattiva che si basa sull’accordo dei partner, dove il ruolo delpiù grande è quello di fornire un contributo diretto alla costruzione dell’attività in corso. Dove i gruppi sono composti da bambini di età eterogenea, il contributo dei 2 partner non è simmetrico: il bambino più grande di norma fornisce più idee e governa l’organizzazione in modo più efficace; -ORGANIZZAZIONE PER TUTELA: nei rapporti di tutela, il bambino più grande è attento all’attività del più piccolo e interviene per far progredire il lavoro del più piccolo attraverso interventi verbali (consigli o spiegazioni); o interventi pratici ausiliari (dimostrare come si fa). il partner è libero di accettare o rifiutare tale aiuto sia a causa di precedenti conflitti, sia per il desiderio di agire da solo; - IL PIU’ GRANDE COME MODELLO DI RIFERIMENTO: anche se il bambino più grande non interviene direttamente, il suo comportamento può funzionare da organizzatore del comportamento per i compagni più piccol, i quali possono riprodurre le azioni o trasformarle. 42 successione da uno stadio all’altro non sia esnte dalle influenze ambientali e culturali, che molte competenze nella comprensione del mondo siano più precoci rispetto alle età indicate da Piaget, che uno stadio successivo possa non essere raggiunto e che all’interno di uno stesso stadio sia possibile avere una grande variabilità intraindividuale e interindividuale. 6.1.1 LO STADIO SENSOMOTORIO Questo periodo prende il nome dal fatto che i bambini all’inizio conoscono il mondo grazie alle azioni che effettuano sull’ambiente (succhiare, prendere…) e alla coordinazione delle esperienze sensoriali (ascoltare, guardare…). Si tratta quindi di un’intelligenza pratica in cui gli schemi di azione sono legati alla motricità e al funzionamento dei sensi. In questo stadio, lo sviluppo segue alcune direzioni: -Dalla rigidità alla flessibilità dei pattern di azione: riflessi che alla nascita sono attivati da stimoli ben specifici, successivamente sono attivati anche da altri stimoli; -Dai pattern di azione isolati ai pattern di azione coordinati: all’inizio compiranno una sola azione per volta su un oggetto e poi sarà in grado di coordinare più azioni contemporaneamente (guardare un oggetto che ha in mano); -Dal comportamento reattivo al comportamento intenzionale: l’intenzionalità e la pianificazione del comportamento compaiono verso la fine del primo anno; -Dalle azioni manifeste alle rappresentazioni mentali: verso i 18 mesi il bambino è in grado di rappresentarsi mentalmente la realtà attraverso l’uso di simboli per cui il pensiero non si esprime più attraverso prove ed errori. Piaget ha diviso questo periodo in 6 stadi che descrivono il passaggio graduale da organism riflesso a organismo riflessivo ● I stadio, dell’esercizio dei riflessi (0-1 mesi): alla nascita il neonato è dotato di schemi riflessi, cioè attività geneticamente determinate, che vengono esercitati in modo del tutto isolato gli uni dagli altri. L’esercizio e l’esperienza con gli oggetti dell’ambiente affinano, stabilizzano o possono modificare I riflessi. Non vi è traccia della PERMANENZA DELL’OGGETTO, ossia della comprensione del fatto che gli oggetti e le persone esistono indipendenyemente dalla nostra percezione o consapevolezza e che continuano a esistere anche se noi non li vediamo o tocchiao. Inoltre se il bambino stava guardando un oggetto e questo scompare, il bambino perde rapidamente interesse e non mostra di ricercare l’oggetto scomparso; ● II stadio, delle reazioni circolari primarie e dei primi adattamenti acquisiti (1-4 mesi) : in questo stadio il bambino scopre un risultato nuovo e interessante cerca di conservarlo mediante la ripetizione (reazioni circolari primarie). Con l’aggettivo Circolari si fa riferimento al fatto che le azioni vengono ripetute più volte: formando le abitudini; con Primarie fa riferimento al fatto che le azioni sono rivolte al corpo del bambino e non ancora agli oggetti del mondo esterno. In questo stadio compare una rudimentale permanenza dell’oggetto: il bambino reagisce con una forma di aspettativa passiva quando un oggetto o una persona che destava il suo interesse scompare; ● III stadio, delle reazioni circolari secondarie : cerca di ripetere azioni interessanti scoperte per caso durante l’interazione con l’ambiente. Le azioni centrate sulle cose consentono lo sviluppo di una prima differenziazione dei mezzi dai fini: procedimenti finalizzati a far durare spettacoli interessanti.vi è un inizio di permanenza dell’oggetto, ma ancora vincolata alle azioni che il bambino sta compiendo su di esso: per esempio cerca un oggetto caduto a terra se lo ha lasciato cadere lui stesso, per cui continua ad esistere soltanto in rapporto alla propria azione. Vi è una prima idea di INTEGRITA’ DELL’OGGETTO: se esso è parzialmente nascosto, il bambino rimuove ciò che lo nasconde per vederlo nella sua interezza. Comincia a èercepire le relazioni spaziali tra gli oggetti, ad essere consapevole dei propri spostamenti rispetto ad essi, a mostrarsi interessato alla 45 comprensione delle relazioni causali circa le azioni esercitate sul proprio corpo, le azioni del proprio corpo sugli oggetti,e le azioni degli oggetti gli uni sugli altri; ● IV stadio, della coordinazione degli schemi secondari (8-12 mesi) : gli schemi delle reazioni circolari secondarie vengono coordinati tra di loro e applicati a situazioni del tutto nuove, e c’è una chiara distinzione dei fini dai mezzi e una coordinazione intenzionale degli schemi per raggiungere il fine. La permanenza dell’oggetto si fa più chiara: il bambino ricerca oggetti nascosti purchè essi siano nascosti sottoi suoi occhi. Nella ricerca attiva dell’oggetto però, intercorre l’effetto della posizione privilegiata, cioè il bambino ricerca l’oggetto nella prima posizione in cui è stato nascosto e trovato la prima volta, senza tener conto di successivi spostamenti anche se a lui visibili. Inizia a comparire la costanza della grandezza e si interessano ai cambiamenti di prospettiva. ● V stadio, delle reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) : caratterizzato dalla ricerca delle novità, in questo caso l’azione non solo viene ripetuta ma anche intenzionalmente modificata. Il bambino scopre mezzi nuovi attraverso la sperimentazione attiva. La scoperta di mezzi nuovi è evidente tin alcune condotte del bambino, come la condotta della cordicella (avvicinare un oggetto tramite una corda), la Condotta del supportoavvicinare un oggetto attirando a sè il support), la Condotta del bastone. Inoltre gli oggetti nascosti non vengono più cercati in una posizione privilegiata, ma nell’ultimo posto in cui è stato spostato a lui visibile, anche se non sono ancora in grado di percepire gli spostamenti invisibili. Il bambino è interessato ai rapporti spaziali tra gli oggetti (mette le cose le une dentro le altre, le une sopra le altre…). Il bambino percepisce le persone e gli oggetti come dotati di potere causale e differenzia tra causalità fisica e psicologica. ● VI stadio, dell’invenzione dei mezzi nuovi mediante combinazione mentale (18-24 mesi) : avviene il passaggio dall’intelligenza pratica a quella rappresentativa, si attua quindi il passaggio dalle azioni alle azioni interiorizzate. Le condotte del bambino non procedono più per tentativi ed errori manifesti ma per invenzione: è capace di prevedere mentalmente quali azioni andranno a buon fine e quali falliranno. L’invenzione è possibile grazie alla conquista delle rappresentazioni mentali: oggetti ed eventi assenti dal campo percettivo, possono essere evocati mentalmente. La permanenza dell’oggetto è del tutto acquisita, quindi il bambino ricerca un oggetto anche quando sottoposto a spostamenti non visibili e gioca lui stesso a nascondere i giochi all’adulto. Dai 18 mesi il bambino quindi passa dall’intelligenza sensomotoria a quella rappresentativa e alla possibilità non solo di agire sulla realtà, ma anche di pensarla e descriverla. 6.1.6 GLI ESORDI DEL PERIODO PREOPERATORIO A 2 anni il bambino entra nel periodo preoperatorio, così denominato perché il bambino non è ancora in grado di compiere azioni mentali che vanno oltre il puro dato percettivo. In questo stadio mergono il ragionamento mentale e il pensiero simbolico, ma le rappresentazioni mentali che il bambino costruisce sono ancora limitate a oggetti ed eventi della realtà non sono coordinate fra loro, prendono in considerazione un unico aspetto della realtà alla volta, fenomeno definito CENTRAZIONE DEL PENSIERO, e non consentono di intervenire o annullare le fasi del ragionamento IRREVERSIBILITA’🡪 DEL PENSIERO. Questo è anche il periodo della CREATIVITA’ e dell’IMMAGINAZIONE, che rendono unica la comprensione del mondo che il bambino manifesta a questa età. Tra i 2 e i 3 anni siamo nel primo sottostadio del periodo preoperatorio, definito sottostadio della FUNZIONE SIMBOLICA in cui il bambino manifesta chiaramente la capacità di rappresenare mentalmente oggetti, persone ed eventi non presenti. L’uso dei simboli permette l’emergere dell’IMITAZIONE DIFFERITA, cioè la capacità di giocare a far finta, del linguaggio e della produzione dei primi scarabocchi. E’una fase di grandi progressi cognitivi, ma caratterizzata ancora da alcuni limiti: questi sono gli anni in cui il pensiero del bambino è condizionato 46 - Dall’EGOCENTRISMO INTELLETTUALE cioè la difficoltà del bambinodi cogliere punti di vista diversi dal proprio: egli è centrato su di sé e non riesce a comprendere che agli altri la realtà possa presentarsi in maniera diversa e quindi a distinguere il proprio punto di vista da quello altrui; - Dall’ANIMISMO cioè la convinzione che gli oggetti inanimati abbiano caratteristiche vitali e possono compiere azioni come esseri umani ( orsacchiotto che ha fame); - Dal FINALISMO ossia la convinzione che i fenomeni (soprattutto quelli naturali) accadano per garantire all’uomo condizioni di vita serene (esce il sole per permettere di uscire giocare); - Dall’ARTIFICIALISMO ossia la tendenza a pensare che tutto il mondo, anche quello naturale sia frutto dell’azione umana. 6.2 L’APPROCCIO SOCIO-CULTURALE ALLO STUDIO DELLO SVILUPPO COGNITIVO: VYGOTSKIJ E BRUNER Piaget, nonostante avesse inserito nella sua teoria fattori che influenzano lo sviluppo anche l’esperienza con il mondo sociale, in realtà egli descrive un bambino che costruisce le sue conoscenze sulla realtà in modo isolato sottovalutando il ruolo dell’esperienza sociale e culturale. Lev Vyggotskij pur concordando con Piaget nel ritenere che lo sviluppo intellettivo non ha luogo nel vuoto e che la conoscenza viene costruita attivamente dall’individuo, si differenzia dall’approccio piagetiano per il ruolo riconosciuto dalla dimensione sociale dello sviluppo cognitivo. Secondo Vygotskij lo sviluppo cognitivo è un processo sociale che si realizza attraverso strumenti culturali, oggetti tecnologici e abilità psivologiche, che ciascuna società utilizza per tramandare le proprie conoscienze. Lo sviluppo del singolo bambino dipende dal contesto storico-culturale in cui vive e dalle opportunità che tale contesto gli offre di padroneggiare gli strumenti della propria cultura. Vygotskij propone come legge fondamentale dello sviluppo della conoscenza il processo di transizione di ciascuna funzione psicologica dal piano inter-individuale al piano intra-individuale. La vita mentale prende forma prima nelle interazioni sociali con gli altri e poi viene interiorizzata dal bambino: es. il linguaggio nasce come strumento di comunicazione e solo in un secondo momento verrà interiorizzato e diventerà quel pensiero verbale o linguaggio interiore che organizza l’attività cognitiva. Lo sviluppo, che avviene tramite l’acquisizione di strutture psichiche a complessità crescente, comporta la maturazione delle funzioni psichiche inferiori determinate biologicamente ( percezione, motricità, emozioni, attenzione spontanea, memoria non volontaria) e l’affermarsi delle funzioni psichiche superiori che invece si sviluppano grazie alla comunicazione e all’interazione sociale ( attenzione volontaria, pensiero, calcolo, memoria, ragionamento). È proprio il linguaggio, nel suo ruolo di mediatore simbolico, che per Vygotskij consente tale progressione dalle funzioni psichiche inferiori alle funzioni psichiche superiori. L’approccio di Vygotskij allo studio dello sviluppo cognitivo si contrattistingue per l’attenzione non tanto a ciò che il bambino è capace di fare attualente, quanto piuttosto a ciò che il bambino sarà in grado di fare in seguito a nuove esperienze sociali e culturali: si tratta del concetto di ZONA DI CONFORT PROSSIMALE, definita come la differenza tra il livello effettivo di un individuo, manifestato quando risolve un compito da solo, e il suo livello di sviluppo potenziale che potrebbe esprimere risolvendo lo stesso compito con l’aiuto di un adulto o di un pari più competente. Tale distanza tra sviluppo effettivo e sviluppo prossimale è spiegabile in base al dislivello che si ha tra comprensione e produzione in molti ambiti dello sviluppo: l’adulto o il coetaneo più competente possono mostrare al bambino come si fa qualcosa che però lui già comprende. Nel momento in cui il bambino fa da solo ciò che precedentemente faceva con il supporto altrui, significa che tale abilità o competenza è stata interiorizzata. La capacità di pensare e di risolvere i problemi si evolve grazie alla guida di persone in grado di insegnare al bambino ad usare gli strumenti culturali adeguati. Per esercitare un effetto significativo sullo sviluppo del bambino, però, l’intervento educativo deve collocarsi all’interno della zona prossimale, e non al di sotto del suo limite inferiore in quanto causerebbe noia e assenza di progressione, né al al di sopra del suo limite superiore, in quanto ciò causerebbe frustrazione eccessiva. 47 1.Registro sensoriale: trattiene per un breve tempo gli stimoli che arrivano dagli organi di senso; 2.Memoria a breve termine: prende le informazioni dal registro sensoriale, non ha una capienza illimitata (contiene solo 7 unità di informazione detti chunk) e è anche limitata di durata della ritenzione dell’informazione (15 sec.), se non vengono applicate specifiche strategie per evitare il decadimento, come la reiterazione dell’informazione. Viene anche chiamata working memory, in quanto riferita all’assemblare informazioni per risolvere problemi e si prendono decisioni; 3.Memoria a lungo termine: è un magazzino illimitato e permanente. Secondo il modello di Tulving, essa si distingue in memoria semantica, la conoscenza del mondo che si organizza in forme concettuali, memoria episodica, che riguarda il ricordo di eventi connotati temporalmente, in ordine cronologico (autobiografia, se si riferiscono alla nostra persona), e una memoria procedurale, cioè il ricordo di abilità e abitudini. Si è, però, riscontrato che solo la capacità della memoria a breve termine aumenta, mentre rimane invariata quella degli altri due magazzini nei bambini e negli adulti. Infatti, grazie all’utilizzo di strategie come la reiterazione l’organizzazione (dopo i 3 anni), i bambini ottimizzano l’utilizzo della memoria a breve termine. La miglior performace mnestica è dovuta anche alle maggiori conoscenze di base possedute dal bambino più grande, che consente di ricordare più facilmente i contenuti. Inoltre, il processo di memorizzazione viene anche facilitato dallo sviluppo della cosiddetta METAMEMORIA, cioè la conoscenza del funzionamento della memoria (xes. che la memorizzazione è influenzata dalla stanchezza, stress…). Alcuni esperimenti, basati sull’abituazione (ripetizione di uno stimolo) e disabituazione, hanno dimostrato come nei bambini esiste una forma precoce di MEMORIA DI RICONOSCIMENTO (2-6 mesi), relativa in particolare alla conservazione di schemi motori acquisiti e al riconoscimento di persone e oggetti familiari. Si parla di MEMORIA IMPLICITA quando si crea una connessione automatica tra uno stimolo e la nostra risposta ad esso, senza che vi sia una sensazione soggettiva di ricordare. Per affermare che sia presente la MEMORIA RIEVOCATIVAcioè la capacità di richiamare alla mente l’immagine di un oggetto o di una persona percettivamente assente occorre attendere la seconda metà del primo anno di vita, quando si osservano comportamenti quali il cercare un oggetto in un luogo dove è stato riposto giorni prima o l’imitazione differita, cioè la capacità di riprodurre azioni eseguite da altri quando queste non sono presenti. Intorno ai 2 anni,con lo sviluppo del lobo frontale e della corteccia orbito-frontale, si può parlare di MEMORIA ESPLICITA, caratterizzata dalla sensazione soggettiva di rievocare qualcosa: i bambini cominciano a parlare dei loro ricordi, come per esempio che cosa è accaduto durante la giornata. Lo sviluppo di capacità linguistiche rende possibile l’immagazzinamento di informazioni relative ai significati (MEMORIA SEMANTICA), e agli eventi personali e agli episodi che si verificano nell’ambiente (MEMORIA EPISODICA). Un ruolo importante nella cortuzione dell’identità personale è svolto dalla MEMORIA AUTOBIOGRAFICA quella parte della memoria episodica relativa alle memorie personali di eventi vissuti. La memoria di eventi si sviluppa all’interno della relazione adulto bambino attraverso la narrazione che l’adulto fa di tali eventi, al fine di sottolinearne l’importanza e favorirne il ricordo nel bambino tra i 2 e i 3 anni i bambini parlano di più del loro passato e con lo sviluppo del linguaggio può rielaborare le proprie esperienze in forma narrative e la condivisione dei ricordi con gli altri consente la vicinanza emotiva e il consolidarsi del senso di appartenenza ad una storia commune. 50 Nonostante la memoria funzioni così precocemente, per i ricordi dei primi 3 anni di vita interviene quel fenomeno chiamato AMNESIA INFANTILE, per indicare l’assenza di ricordi relativi a quel periodo della vita. Alcuni autori la spiegano riconducendola all’immaturità dei lobi prefrontali e altri sostengono che quei ricordi siano stati codificati in una forma non più accessibile all’adulto. 6.3.2ORGANIZZARE LA MENTE: I PROCESSI DI CATEGORIZZAZIONE Ogni volta che facciamo nuove esperienze cerchiamo di comprenderle in base alle esperienze già note, valutando le similitudini e le differenze. Si tratta di un processo di organizzazione dell’esperienza, che semplifica le rappresentazioni mentali del mondo, che si manifesta già ad età precoci attraverso due tipi di categorizzazione delle informazioni: Formazione dei concetti: i concetti sono categorie mentali usate per la classificazione di oggetti diversi che condividono delle determinate caratteristiche, sono cioè categorie che raggruppano oggetti ed eventi sulla base di proprietà comuni. I concetti sono utili per organizzare le nostre esperienze in categorie più maneggevoli e memorizzarle in forme economiche. Anche se i concetti sono collegati al linguaggio, la capacità di categorizzare nasce molto prima: a 18 mesi sono in grado di suddividere gli oggetti in base al loro uso. Con la tecnica dell’abituazione si è verificato che già a 3 mesi sono in grado di ricondurre oggetti diversi in una stessa categoria (xes. gatti). Lo sviluppo della categorizzazione implica due tendenze evolutive: -il passaggio da una categorizzazione basata su caratteristiche percettive a una basata sui concetti: i bambini piccolo tendono a classificare gli oggetti sulla base di evidenti caratteristiche percettive (palla e sciarpa insieme perchè rosse. Vi sono ulteriori progressi nel 2° anno quando cominciano ad essere costruite le prime categorie concettuali, che sono inizialmente molto ampie e generalizzate - la maggiore capacità di organizzare i concetti secondo un ordine gerarchico, dapprima vengono costruiti concetti di livello fondamentale, xes. cane, poi categorie ad un livello astratto (livello sovraordinato), xes. animali, e infine un livello più specifico (livello subordinato), xes. cane labrador. Costruzione di copioni: chiamati anche script, sono rappresentazioni mentali di conoscenze di eventi e di azioni di vita quotidiana organizzate spazialmente, cioè azioni abitudinarie che hanno luogo regolarmente nella nostra vita quotidiana e che quindi presentano una struttura ripetitiva e prevedibile. Questi modelli codificano cosa è giusto aspettarsi da una situazione e cosa no, e quali comportamenti e sentimenti sono più appropriati a tale situazione. Gli script sono una sorta di guida del comportamento, indicano la sequenza di azioni da svolgere. Già a tre anni i bambini sono in grado di costruire degli script corretti riguardanti la routine, il che significa che sanno comportarsi in maniera appropriate alle situazioni ma sono anche in grado di raccontarla correttamente nella sua sequenza temporale. Si mostrano turbati da cambiamenti che avvengono nella normale successione degli eventi. 6.3.3PENSARE LE ALTRE PERSONE: LO SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE I bambini sono interessati a comprendere il mondo fisico, ma sono principalmente interessati alla comprensione del mondo sociale e del comportamento delle altre perone. Le descrizioni fornite dai bambini delle altre persone, seguono una linea evolutiva, che vede dapprima il tener conto di caratteristiche esteriori, e solo successivamente in base a caratteristiche interiori, quali i tratti psicologici. All’inizio sono descrizioni generali e sommarie, e che non prendono in considerazione ne carattristiche specifiche della persona, nè la complessità della personalità, nè il fatto che ciascuno di noi è diverso in base alle circostanze. Inoltre, i bambini tendono a valutare le altre persone in relazione a loro stessi, hanno quindi una prospettiva egocentrica. Per comprendere il comportamento altrui sono necessarie quelle abilità cognitive che vengono comprese sotto il nome di TEORIA DELLA MENTE. Per teoria della mente si intende insieme di competenze che permettono di attribuire a sé stessi e agli altri stati interni, come credenze, desideri, emozioni, pensieri sulla base dei quali interpretare e prevedere il proprio e altrui comportamento. Un 51 individuo possiede una teoria della mente se implica stati mentali a se stesso e agli altri e ci si riferisce per fare previsioni circa il comportamento altrui. Si tratta di una conoscenza intuitive dei movimenti psicologici che guidano i comportamenti delle altre persone: la comprensione della mente permette al bambino di distinguere tra comportamenti accidentali e intenzionali, tra desiderio e realtà, tra i piani e le conseguenze reali, tra verità e inganno. Secondo alcune teorie la costruzione di una teoria della mente è fondamentale per lo sviluppo cognitivo: il bambino deve fare due scoperte, cosa è la mente (capire che hanno una mente fatta di pensieri) e che cosa fa la mente (scoprire che la mente costruisce stati mentali). Ci sono alcuni indicatori precoci della comparsa di una teoria della mente studiati nell’interazione tra madre- bambino: attenzione condivisa, comunicazione intenzionale prelinguistica e giochi di imitazione. Per quanto riguarda l’attenzione condivisa fino a 6 mesi, i bambini sono nel periodo dell’intersoggettività primaria, per cui riescono a prestare attenzione o all’interazione con l’adulto o all’esplorazione di un oggetto; dopo i 6 mesi, arriva il periodo dell’intersoggettività secondaria, in cui riesce a coordinare l’attenzione tra un oggetto e un partner sociale. Per quanto riguarda la comunicazione intenzionale prelinguistica, la comparsa dei gesti dichiaritivi nella seconda metà del primo anno di vita dimostra che il bambino ha una conoscenza implicita di stati mentali quali l’interesse. I giochi imitativi fanno capire come il bambino sia in grado di distinguere il piano della realtà dalla sua rappresentazione: I bambini sostituiscono un oggetto con un’altro, attribuiscono per finta caratteristiche agli orsacchiotti. Entro i 4 anni tutti i bambini con uno sviluppo tipico, hanno acquisito una teoria della mente. Verso i 2- 3 anni i bambini riconoscono stati mentali quali percezioni, desideria ed emozioni, sulla base dei quali interpretano il comportamento umano, e sono verso i 3 anni i bambini sono in grado di raffigurarsi azioni umane come il prodotto congiunto dei desideri e delle credenze di chi agisce. Anche il LESSICO PSICOLOGICO segue questo percorso evolutivo: a 2 anni i bambini parlano di desideria, come volere, ma solo verso i 3 anni utilizzano verbi che si riferiscono alle credenze, quali sapere o pensare. Tale comprensione della mente diverrà più articolata con gli anni prescolari, quando i bambini giungono a comprender ei processi sottostanti l’elaborazione e la costruzione della conoscenza, comprensione che viene indicate come sviluppo della metacognizione. IL LESSICO PSICOLOGICO o lessico mentale è una forma particolare di linguaggio che si riferisce a stati mentali interni, propri o altrui, e sono riferibili a stati volitivi ( volere,sperare, preferire), emotivi e cognitivi (pensare, dimenticare). I bambini già dai 24 mesi profucono lessico psicologico nelle conversazioni spontanee e fanno riferimento a stati psicologici per spiegare il comportamento delle persone: i primi termini usati a 2 anni sono quelli di tipo volitivo ed emotivo, seguiti da quelli di tipo cognitivo a 3 anni. Intorno ai 3’-36 mesi i bambini sono in grado di impegnarsi in conversazioni in cui esplicitano un contrasto tra realtà e stato mentale o tra gli srtati mentali di 2 persone. Nello sviluppo i bambini utilizzano il lessico psicologico prima riferendosi al proprio mondo interno poi agli altri. Esistono differenze individuali nella frequenza dell’uso del lessico psicologico dovute a fattori ambientali, soprattutto il lessico psicologico prodotto da e ascoltato in famiglia. Gli adulti paiono usare più spesso termini mentali, soprattutto quello emotivo, con le figlie femmine. Un attaccamento sicuro e uno stile educativo autorevole sono associati a uno sviluppo più ampio del lessico psicologico. CAPITOLO 7- LO SVILUPPO DELLE CAPACITA’ RAPPRESENTATIVE: LINGUAGGIO,GIOCO E DISEGNO Alla base del pensiero si trova la capacità di rappresentare oggetti, persone ed eventi in forma simbolica. Le rappresentazioni simboliche sono strumenti personali di pensiero, in quanto possono essere modificate e rielaboarate dall’individuo senza che ne venga alterata la realtà e consentono di pensare alle cose anche in loro assenza. La capacità di utilizzare dei simboli rappresenta un aspetto fondamentale sia per l’acquisizione del linguaggio verbale, sia per altre abilità cognitive, come il giocare 52 ATTENZIONE CONDIVISA si definisce attenzione condivisa quel fenomeno in base al quale bambino e adulto condividono l’attenzione, ossia guardano lo stesso oggetto o evento esterno alla diade, mantenendo al tempo stesso un coinvolgimento sociale reciproco. nei primi mesi l’attenzione è rivolta principalmente alle persone che si occupano del neonato. Verso i 5 mesil’attenzione del bambino si orienta verso gli oggetti del mondo esterno, finchè intorno ai 9 il bambino diviene in grado di interazioni triadiche che coinvolgono bambino-oggetto-adulto. Il bambino impara ad alternare l’attenzione tra l’adulto e l’oggetto d’interesse. L’assenza di attenzione condivisa è un’indicatore di rischio in quato è stata osservata una correlazione tra tale assenza e l’autismo infantile. Tra i 12 e i 18 mesi il bambino comincia ad avvalersi dei GESTI REFERENZIALI, detti anche RAPPRESENTATIVI o ICONICI, i quali fanno riferimento ad uno specifico referente che rimane immutato, ossia il loro contenuto semantico non varia al variare del contesto in cui vengono emessi. Sono gesti usati per riferirsi ad un’azione, un’evento p un’oggetto che spesso nascondono all’interno di routine sociali o di giochi con l’adulto. È in questo periodo che compaiono le prime parole, ed è stato osservato che mano a mano che la competenza lessicale del bambino aumenta, l’uso dei gesti referenziali diminuisce fino a quasi scomparire. Esiste una relazione tra produzione e comprensione dei gesti comunicativi e successivo sviluppo comunicativo e linguistico. 2.Le prime parole e l’esplosione del vocabolario: tra i 10 e i 15 mesi, viene pronunciata la prima parola: sono parole che descrivono le persone importanti per il bambino, veicoli, animali, vestiti, oggetti di casa. Se a 13 mesi i bambini comprendono 50 parole, non sono in grado di pronunciarne altrettante fino ai 18 mesi: il VOCABOLARIO RICETTIVO è più ampio di quello ESPRESSIVO. Una volta pronunciata la prima parola, il vocabolario PARLATO del bambino cresce rapidamente, tra i 17 e 20 mesi, si assiste all’ ESPLOSIONE DEL VOCABOLARIO con l’acuisizione tra le 5 e le 40 nuove parole alla settimana. L’esplosione del vocabolario si può verificare in tempi e in fasi diverse da un bambino ad un altro e in alcuni anche non verificarsi ed essere sostituito da un’apprendimento graduale del lessico. L’esplosione del vocabolario avviene quando il bambino giunge a comprendere la natura simbolica delle parole e che tutte le cose hanno un nome. Un ritardo del linguaggioin età precoce può rappresentare un fattore di rischio per disturbi specifici del linguaggio in età scolare, per cui è importante valutare lo sviluppocomunicativo e linguistico in infanzia. Il significato delle parole pronunciate dal bambino riflette il livello di categorizzazione della realtà che egli padroneggia, per questo le parole sono soggette ad errori, come quello della SOVRAESTENSIONE (chiamare bau qualsiasi animale a 4 zampe) o della SOTTOESTENSIONE (chiamare bambola solo la propria bambola preferita), o della SOVRAPPOSIZIONE (dire aprire per aprire la porta ma anche per slacciarsi le scarpe). È molto probabile che comincino a conoscere gli oggetti a partire dalle azioni ad esse collegate, e poi aggiungono le caratteristiche funzionali, e successivamente quelle percettive. Non vi è accordo tra i ricercatori riguardo le categorie utilizzate dal bambinoper costruire classi cui riferirsi con una certa parola. Secondo alcuni autori prevalgono le le caratteristiche percettive ( somiglianza di colore, grandezza); secondo altri prevarrebbero le somiglianze funzionali relative all’uso degli oggetti. È più probabile che i bambini comincino a conoscere gli oggetti a partire dalle azioni che si possono compiere con essi e successivamente aggiungono alle loro caratteristiche funzionali anche quelle percettive. Inoltre il lessico varia per il livello di generalità dei nomi utilizzati: prima quelle di livello base, poi categorie subordinate e poi sovraordinate. 3.Le prime frasi: tra 18 e 24 mesi, si passa dall’olofrase, cioè l’utilizzo di una sola parola per indicare un’intera frase, all’utilizzo di espressioni formate da due parole. La comparsa delle prime combinazioni di parole si associa di più con l’ampiezza del vocabolario che con l’età del bambino:i bambini 55 cominciano a combinare 2 o più parole quando il loro vocabolario espressivo supera le 50 parole. Tali combinazioni assumono la forma di un discorso telegrafico, senza l’uso di congiunzioni e articoli. Tra i 2 e i 3 anni avviene la cosiddetta esplosione morfologica in cui il bambino comincia a pronunciare frasi più complesse e sa usare il plurale e coniugare i verbi secondo il tempo e la persona, ad usare gli articoli e i pronomi. Verso i 3 anni si verificano miglioramenti anche nella sintassi, per cui le frasi cominciano a essere complete con il verbo, il soggetto e relativi complementi. Infine, lo sviluppo del linguaggio implica anche lo sviluppo della PRAGMATICA, cioè la capacità di saper utilizzare il linguaggio in maniera contestualmente appropriata, adottandolo alle situazioni e all’interlocutore. tappe dell’apprendimento linguistico 0-2 MESI Pianto dovuto a malessere 2-4 MESI Suoni che esprimono benessere 4-9 MESI Lallazione 9-12 MESI Vocalizzazioni dotate di significato 12-15 MESI Prime parole 18-30 MESI Combinazioni di parole 2 ANNI½- 4 ANNI Sviluppo della sintassi 4-6 ANNI Sintassi adulta tappe età(MESI) INDICE DI RISCHIO LALLAZIONE CANONICA 7-9 Scarsa e indiferenziata prima comprensione di parole 8-10 Può risultare normale gesti deittici 9-12 Ritardo di comparsa gesti referenziali 12-15 Ritardo di comparsa produzione delle prime parole 12-15 Non sempre ritardata, ma limitata. Indice grave: assenza di parole singole a 24 mesi vocabolario di 50 parole 10-20 <50 parole a 24 mesi prime combinazioni di parole 20-24 Assenza di combinazioni di 2 parole a 36 mesi comparsa delle prime frasi 24-30 Assenza progressiva efficienza sul piano lessicale,morfologico e sintattico 24-36 Enunciati con < 3 parole a 38 mesi 7.1.2PRINCIPALI TEORIE SULL’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO TEORIA INNATISTA di Chomsky: gli esseri umani nascono dotati di un sistema di acquisizione linguistica noto come LAD- Language Acquisition Device- ossia un dispositivo innato che racchiude un insieme di principi e regole comuni a tutte le lingue, che l’autore definisce GRAMMATICA UNIVERSALE. 56 L’apprendimento del linguaggio si realizzerebbe scoprendo le regole che governano la propria lingua a partire da quelle più generali e semplici presenti nella conoscenza innata del linguaggio e relative a fonologia,sintassi e semantica, fino alle regole più specifiche e complesse. Quindi il bambino possiede le regole (competenza) prima di saperle usare (esecuzione). È innata quindi la predisposizione ad apprendere qualsiasi lingua. L’ambiente non avrebbe nessun ruolo significativo, né vengono tenute inGENITORI considerazione le influenze dello sviluppo cognitivoe comunicativo. La TEORIA COMPORTAMENTISTA di Skinner sostiene l’importanza dei fattori ambientali, quindi l’apprendimento del linguaggio si basa su catene di risposte acquisite attraverso il meccanismo del rinforzo. Skinner sostiene che i bambini apprendono il linguaggio allo stesso modo con cui apprendono tutte le altre forme di comportamento, ossia tramite il condizionamento operante o strumentale. Oggi questa spiegazione non è più ritenuta plausibile perché lo sviluppo del linguaggio segue tappe comuni che non sarebbero possibili se l’acquisizione del linguaggio si basasse sui rinforzi provenienti dall’ambiente (che ovviamente sono diversi da bambino a bambino), e in quanto i bambini apprendono la sintassi della propria lingua senza essere rinforzati. La TEORIA INTERAZIONISTA (Bruner) Oggi prevale la teoria interazionista secondo cui biologia ed esperienza contribuiscono entrambe allo sviluppo del linguaggio. Bruner sosteneva che il contesto ambientale ha un’importanza fondamentale per la comprensione dello sviluppo linguistico, che avrebbe basi neurobiologiche e che sarebbe mediato dall’insieme di scambi sociali e comunicativi tra adulti e bambini che chiama LASS, sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio. Rientrano nel LASS i formati di attenzione condivisa in cui il bambino impara ad esprimere le proprie intenzioni e a comprendere quelle altrui. L’apprendimento del linguaggio non avviene in un vuoto sociale, anzi, è stato dimostrato che il tempo che i genitori trascorrono a conversare con i propri figli è proporzionale all’ampiezza del vocabolario del bambino. L’INFLUENZA DEI GENITORI SULLO SVILUPPO LINGUISTICO Sono state evidenziate associazioni positive tra status socio economico dei genitori, tempo che i genitori trascorrono parlando ai propri figli ed ampiezza del vocabolario a 36 mesi, tra quantità di dialogo materno ed ampiezza del vocabolario del bambino a 2 anni e tra complessità del parlato dei genitori e sviluppo della competenza sintattica a 4 anni. L’espressione verbale di un adulto quando si rivolge ad un bambino è molto diversa da quella utilizzata nel rivolgersi ad un altro adulto e questo aspetto è cruciale per l’acquisizione del linguaggio: non si tratta solo di ciò che comunica, ma anche come lo comunica. Inizialmente questo linguaggio veniva definito motherese, ma poi ci si è resi conto che tutte le persone che hanno a che fare con il bambino, e non solo la madre, usano questo linguaggio: venne chiamati CDS, linguaggio rivolto al bambino. -Caratteristiche fonologiche: pronuncia chiara, tono della voce più alto, intonazione accentuata, esposizione più lenta, pause più lunghe; -Caratteristiche sintattiche: preferenza per parole brevi, frasi ben costruite, poche frasi subordinate; -Caratteristiche semantiche: vocabolario limitato, riferimento al qui e ora; -Caratteristiche pragmatiche: più direttive, frequenti domande, frequenti espressioni per attirare l’attenzione, ripetizione delle espressioni del bambino. Infine i genitori tendono ad utilizzare alcune strategie conversazionali che agevolano lo sviluppo del linguaggio: il RIMODELLAMENTO, riformulare ciò che viene detto dal bambino; l’ESPANSIONE, ripetere ciò che dice il bambino ma in forma più complessa sul piano sintattico e semantico; la DENOMINAZIONE, cioè la richiesta di individuare i nomi degli oggetti. 7.2LE ATTIVITA’ LUDICHE NELL’INFANZIA E IL GIOCO SIMBOLICO 57 Tra i 9 e i 10 mesi il gioco sociale con un partner adulto si arrichisce: il bambino ora è in grado di avvalersi di gesti comunicativi come il mostrare, l’indicare richiedere, attraverso i quali attira l’attenzione dell’adulto verso un oggetto o un evento specifico. Se nei primi mesi il bambino e l' adulto sono coinvolti in giochi di stimolazione tattile o motoria e di imitazione vocale o gestuale, successivamente il repertorio si amplia, comprendendo giochi come il cucú smettete, del dare e prendere, del gettare e raccogliere. Contemporaneamente si possono osservare le prime forme di interazione ludica con gli altri bambini. Inizialmente sono basate sull'imitazione reciproca, per poi, nel 2° anno di vita, assumere anche una modalità complementare: nel 2° anno passeranno dal giocare con lo stesso giocattolo in maniera indipendente l'uno dall'altro, al rispondere con un'azione diversa ma coerente alla proposta ludica dell'altro bambino. Le azioni diventano contingenti e vengono rispettati i ruoli e i turni. Durante il 2°-3° anno I bambini imparanoanche a condividere un tema di gioco, come accade nel gioco simbolico e successivamente nel gioco di fantasia. In questi primi anni di vita il gioco rappresenta un contesto di gioco in cui vengono rinsaldati i legami affiliativi tra bambino e adulto tra pari, ed in cui si crea un sistema di conoscenze e di significati comuni alla base del successivo sviluppo del linguaggio e di altri processi socio cognitivi. 7.2.1LO SVILUPPO DEL GIOCO SIMBOLICO Dopo i 18 mesi fa la sua comparsa il gioco simbolico o gioco di finzione,in cui viene imitata organizzata e raccontata la realtà sociale. Inizialmente si tratta di stimolazioni delle quptidiane attività di routine ( pappa,fare la spesa), attraverso le quali i bambini sviluppano competenze sociali, l’abilità di formare ed usare simboli e di sviluppare temi narrativi. Il gioco simboico si riconosce perché il bambino mette in atto comportamenti non letterali, di simulazione, che si contrappongono ai comportamenti per davvero. Il gioco simbolico implica che il bambino abbia sviluppato la capacità di agire “come se”al di fuori del contesto normale e l’abilità di collegare schemi di azione differenti in sequenze tematiche coerenti. E’ possibile definire il gioco simbolicoattraverso 6 criteri: -Gli oggetti inanimati sono trattati come se fossero animati; -Le attività quotidiane sono effettuate senza gli oggetti necessari; -Il bambino compie azioni che solitamente sono compiute da altre; -Le attività non giungono al risultato abituale; -Un oggetto è sostituito da un altro; -Il bambino segnala con i suoi comportamenti o espressioni la non letteralità della sua azione. Lo sviluppo del gioco simbolico passa attraverso una serie di stadi: -Livello 1, SCHEMI PRESIMBOLICI: gli oggetti vengono usati in modo appropriato ma al di fuori del normale contesto; -Livello 2, SCHEMI AUTOSIMBOLICI: compare la consapevolezza della differenza tra ciò che è reale e ciò che è per finta. Il bambino segnala la differenza esagerando le azioni, sorridendo, assumendo particolari espressioni del volto. Le prime azioni simboliche sono riferite a routine della vita quotidiana e sono rivolte al bambino stesso; -Livello 3, GIOCO SIMBOLICO DECENTRATO: fanno la loro comparsa gli altri, prima come destinatari passivi del gioco del bambino, poi come coprotagonisti attivi insieme al bambino. Inizialmente gli altri sono altri reali, come la mamma o il fratello, poi altri immaginari (dare vita a una bambola). Il bambino è in grado di mettere in atto una sola azione per volta. -Livello 4, GIOCO SIMBOLICO COMBINATORIO: il bambino esegue e coordina più azioni simboliche alla volta; -Livello 5, GIOCO SIMBOLICO GERARCHICO:l’attività non è più guidata dagli oggetti dell’ambiente, ma diventa processo mentale. le azioni sono organizzate attorno ad un tema secondo un piano preordinato e sequenziale che guida l’agire del bambino. 60 Tra i 24 e i 28 mesi il gioco simbolico autonomo diviene più complesso, e a 3 anni, il bambino comincia a giocare in gruppo strutturando un gioco simbolico senza l’aiuto degli adulti: il copione viene condiviso da più bambini, i ruoli diventano complementari, le trame vengono negoziate.Il gioco simbolico ha importanti conseguenze sullo sviluppo cognitivo, soprattutto sullo sviluppo dell’immaginazione: fingere è un’esperienza che facilita lo sviluppo del pensiero astratto in quanto è un esercizio di manipolzione e ricombinazione di associazioni tra le cose, le persone, le azioni e le paroleusate per indicarle. Inoltre, il giocare a far finta con gli altri consente al bambino di tenere in conto anche il pensiero altrui al fine di giungere ad un piano di gioco comune. Il gioco simbolico permette anche la gestione di conflitti emotivi. Della valenza emotiva del gioco simbolico si è interessata soprattutto la psicoanalisi infantile. Matura così l’idea che nel gioco i bambini riproducono simbolicamente fantasie, desideri, esperienze: le fantasie inconsce troverebbero espressione nelle fantasie ludiche. Nel gioco il bambino costruisce un suo mondo o dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del proprio mondo. Secondo Winnicott, il gioco è un’area intermedia che si colloca tra le cose percepite – la realtà- e quelle concepite- la fantasia, area intermedia in cui il bambino costruisce gradualmente la propria capacità di accettare la realtà. L’OGGETTO TRANSIZIONALE Una manifestazione tipica della prima infanzia è il gioco con l’oggetto con l’oggetto transizionale  un pezzo di stoffa, un lembo di lenzuolo, un orsetto che il bambino succhia, stringe a sé, e che gli permette di affrontare l’esperienza della separazione dalle figue di accudimento. Un oggetto reale che per le sue caratteristiche di morbidezza o per il suo odore, assume un significato simbolico in quanto “ sta per” la madre e l’esperienza di sicurezza emotiva che il bambino sperimenta quando è vicino a lei. Giani Gallino ha dedicato molte ricerche allo studio dell’immaginario infantile e al ruolo che i peluche, eil gioco simbolico con esso assumono nello sviluppo dei bambini. Molti compagni di gioco immaginari altro non sono che il vecchio orsacchiotto che aveva espletato la funzione di oggetto transizionale. 7.3IL DISEGNO INFANTILE: GLI INIZI DELLA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Il disegno è un’immagine grafica che rappresenta qualcosa di reale: esso traduce su uno spazio bidimensionale una realtà tridimensionale e conserva una relazione di somiglianza con quanto rappresentato, a differenza delle parole, che hanno una relazione arbitraria. L’esecuzione di un disegno richiede al bambino la capacità di scegliere, tradurre arrangiare linee, forme colori per trasmettere un pensiero. Per disegnare i bambini attingono alle immagini immagazzinate in memoria ( ciò che si ricordano di una persona, di un oggetto di un’ animale), alla fantasia ( quando riproducono emozioni o storie inventate), alla realtà ( riproducendo gli oggetti che stanno sotto i loro occhi). Di solito i bambini iniziano a produrre segni su carta a partire dai 18 mesi. Questi primi tentativi di lasciare un segno su un foglio vengono definiti SCARABOCCHI: essi sono spontanei, nessuno insegna al bambino a scarabocchiare, e sono correlati ad esperienze cinestetiche e alla coordinazione tra attivit motoria e visiva. Alcuni ricercatori sostengono che gli scarabocchi altro non sono che scariche motorie: essi sono eseguiti per il puro piacere di farlo e come primi tentativi di padroneggiare il mezzo espressivo, al punto che Arnheim definisce i primi scarabocchi “ presentazioni” e non rappresentazioni. Come sostiene Giani Gallino, già l’uso del termine scarabocchio presenta in sé una certa connotazione negativa, che induce ad attribuire scarso valore rappresentativo ai primi segni grafici dei bambini: secondo l’autrice gli scarabocchi raffigurano invece qualcosa di significativo per il bambino, anche se non per forza una rappresentazione pittorica. Essi possono raffigurare un suono, un movimento, un’emozione del momento. Importante il ruolo ricoperto dagli adulti: essi possono aiutare il bambino a cogliere somiglianze e significati nei suoi primi disegni, ma soprattutto è importante l’attenzione autentica mostrata 61 dall’adulto per i segn tracciati dal bambino e la sua capacità di sostenere e incoraggiare il piccolo nei suoi primi tentativi di disegnare. Alcuni autori hanno proposto delle classificazioni degli scarabocchi. Lowenfeld ha distinto gli scarabocchi in: -disordinati: caotici, senza nessun controllo motorio; -longitudinali: con la comparsa di un primo controllo motorio e della coordinazione; -circolari: a complessità e coordinazione più elevate; -significativi: che rappresentano il passaggio dalla fase cinestetica del disegno a quella immaginativa. Un’altra classificazione degli scarabocchi infantili risale a Kellogg, che individua ben 20 tipi di scarabocchi, che vannodal semplice punto, a linee singole verticali o orizzontali, a linee multiple, fino a spirali e cerchi sovrapposti. È solo verso i 2 anni, nella fase dello sviluppo del grafismo che Luquet ha definito del REALISMO FORTUITO, che i bambini si rendono conto che alcuni segni tracciati senza alcuna intenzione rappresentativa somigliano ad un qualche oggetto della realtà. Il bambino interpreta a posteriori il disegno. Tra le prime forme che il bambino disegna troviamo il cerchio, seguito, verso i 2 anni e ½, da forme che possono essere identificate come quadrati, triangoli, croci. È dal cerchio che emerge la prima rappresentazione della figura umana, che assume una configurazione grafica definita dell FIGURA GIRINO, dove una forma circolare rappresentante la testa è collocata su 2 linee verticali. Solo verso i 3-4 anni i bambini comincerebbero a disegnare con un chiaro obiettivo rappresentazionale, anche se le loro abilità pittoriche non sempre consentono di realizzare appieno il progetto grafico. Le intenzioni rappresentative sono dichiarate prima di cominciare a disegnare, ma capita che, se in corso d’opera il disegno pare assomigliare ad altro, i bambini modifichino in modo flessibile l’interpretazione del disegno, allontanandosi da quello che era l’intento rappresentativo originario. L’esperienza grafica è soggetta ad importanti influenze ambientali, dal contesto socio-economico culturale, alle stimolazioni offerte dai genitori, fino all’influenza esercitata dall’ambiente in cui si disegna e dal materiale a disposizione, tutte variabili che modificano le motivazioni dei bambini a disegnare e i contenuti dei disegni infantili. 62
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