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Psicologia Dinamica. La nascita dell'intersoggetività. Manuale di Ammaniti Gallese, Dispense di Psicologia Dinamica

Psicologia Dinamica. La nascita dell'intersoggetività

Tipologia: Dispense

2016/2017
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Caricato il 18/05/2017

roberto_iorio
roberto_iorio 🇮🇹

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Scarica Psicologia Dinamica. La nascita dell'intersoggetività. Manuale di Ammaniti Gallese e più Dispense in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! LA NASCITA DELL’INTERSOGGETTIVITÀ di Massimo Ammaniti e Vittorio Gallese CAPITOLO 1 UN NUOVO APPROCCIO ALL’INTERSOGGETTIVITÀ Fin dal principio viviamo la nostra vita con l'altro. Al momento della nostra nascita siamo insieme ad altre persone, prima fra tutte nostra madre di cui abbiamo addirittura abitato il corpo, condividendolo a volte anche con altri, il proprio gemello. La relazione reciproca con un altro essere umano presuppone lo sviluppo di specifici patterns di organizzazione funzionale cervello-corpo che continueranno a influenzare e ad essere influenzati dai nostri incontri con il mondo. Lo studio del cervello stesso non può essere disaccoppiato da quello inerente il nostro incontro con gli altri. Le neuroscienze cognitive in primo luogo, possono gettare una nuova luce sull'intersoggettività a condizione che siano in grado di dare un senso al modo in cui facciamo esperienza degli altri. Dobbiamo superare il comune equivoco che vede le neuroscienze cognitive come riduzionistiche e totalitarie circa l'identità tra cervello e comportamento, cervello e psicologia, cervello e cognizione. Avvicinare le neuroscienze all'intersoggettività non vuol dire credere che i legami che uniscono reciprocamente gli esseri umani, possano oggi essere spiegati con il riferimento all'ambito subpersonale dei neurotrasmettitori, dei neuroni, delle reti neurali in quanto non ne esaurirebbero la complessità. Se però dovessimo aggiungere alla conoscenza dell'intersoggettività il sapere che neurotrasmettitori, neuroni, reti neurali sono o non sono attivi quando facciamo esperienza di noi stessi in relazione agli altri, ci dà una prospettiva differente della natura umana. Il tema dell'intersoggettività dovrebbe essere inquadrato all'interno di prospettive sia filogenetiche che ontogenetiche. Dobbiamo cioè studiare se e come l'intersoggettività umana si rapporti alle relazioni interindividuali di altre specie e se e come il modo in cui gli esseri umani sviluppano le proprie capacità intersoggettive si relazioni al modo in cui altri animali sviluppano le proprie. Le neuroscienze cognitive, al livello più profondo di analisi, mettono in evidenza come l'intersoggettività si riferisce alla quintessenziale natura degli esseri umani, intesi come corpi che provano sentimenti e compiono azioni. Essere, sentire, agire, conoscere descrivono modalità diverse del nostro modo di relazionarci col mondo. Queste modalità condividono tutte una base corporea costitutiva a sua volta mappata in distinti e specifici modi di funzionamento dei circuiti cerebrali e dei meccanismi neurali. A livello del sistema cervello-corpo, l'azione, la percezione e la cognizione sono la stessa cosa sebbene siano connesse e organizzate diversamente a livello funzionale. Winnicott si è espresso praticamente nello stesso modo quando ha scritto che non è logico contrapporre il mentale al fisico poiché non si tratta della stessa cosa. I fenomeni mentali sono delle complicazioni nella continuità di esistenza dello psiche-soma costituendo ciò che si somma fino a formare il Sé dell'individuo. Guardare alle neuroscienze relativamente alla soggettività e all'intersoggettività, rende possibile aprire sguardi su prospettive diverse. Tuttavia, applicare il riduzionismo di questi metodi a queste tematiche non deve tradursi in un impoverimento del campo di indagine, anzi deve servire ad allontanarsi dalla teoria solipsistica standard dell'intersoggettività offerta dalle scienze cognitive classiche (che chiameremo approccio classico). Numerosi e convergenti studi dimostrano che la natura relazionale umana traspare anche al livello subpersonale neurale, indagato dalle neuroscienze cognitive. Vediamo adesso più da vicino quello che è l'approccio classico che abbiamo appena accennato. 
 Nonostante si discuta della natura sociale dell'essere umano dall'epoca di Aristotele, questa conoscenza non ha tuttavia impedito lo sviluppo di una visione solipsistica della natura umana la quale implica, applicata alla filosofia della mente, che per conoscere la mente appunto, bisogna focalizzarsi solo sulla mente del singolo individuo. Secondo l'approccio classico, l'intersoggettività umana si svilupperebbe ontogeneticamente seguendo fasi maturazionali universali, raggiungendo poi la fase finale con la maturazione della competenza linguistica. La stessa visione, applicata alla filogenesi comporta il risultato che tutte le altre specie, compresi i primati non umani, per orientarsi nel proprio mondo sociale si affidano esclusivamente agli aspetti visibili del comportamento e alla loro ricorrenza statistica in un dato contesto. Questa visione implica una fondamentale discontinuità cognitiva tra gli esseri umani e le altre specie. Si è parlato del cd. Rubicone mentale per indicare una situazione che vede gli esseri umani collocati sulla sponda dei lettori della mente e tutte le altre specie collocate sull'altra dei lettori del comportamento. L'approccio classico propone quindi una soluzione al problema delle altre menti, che consiste nel costruire una teoria della mente degli altri. Questa soluzione presuppone che il comportamento manifesto sia intrinsecamente opaco, incapace di svelare alcunché relativamente al cosa e al perché delle azioni, delle attitudini e dei pensieri degli altri. Per generare questa comprensione, sarà necessario attribuire quel comportamento a stati mentali interni e dunque non direttamente accessibili. Una tale soluzione ha 1 condizionato anche la psicologia evolutiva che si è basata quasi esclusivamente sui racconti verbali dei bambini e sulle prestazioni mediate del linguaggio. Durante la giornata, interagiamo con gli altri e interpretiamo meccanicamente i comportamenti con cui entriamo in contatto. Per l'approccio classico il comportamento può essere pienamente compreso solo se questo è attribuito a qualche stato mentale nascosto. L'immagine della mente offerta dall'approccio classico è quella di un sistema funzionale i cui processi possono essere descritti in termini di manipolazioni di simboli informazionali in accordo a un set di regole sintattiche formali. Di conseguenza la comprensione delle altre menti è un processo inferenziale mentre gli stati mentali vengono concepiti come stati teorici di una teoria psicologica del senso comune, una folk psycology. Comprendere gli altri sarebbe quindi un'attività metarappresentazionale, nel senso che quando si attribuisce un contenuto mentale agli altri, ci si dovrebbe rappresentare anche le loro rappresentazioni mentali. Un approccio neurobiologico plausibile alla cognizione sociale, dovrebbe in questo senso implicare la ricerca degli stati neurali che mappano i desideri e le credenze. Molti neuroscienziati cognitivi hanno fatto esattamente questo, cercare le aree cerebrali in cui risiedono desideri e credenze. Questa strategia epistemica soffre chiaramente di circolarità. Da un lato postula che l'intersoggettività sia in sostanza sovrapponibile alla possibilità di formulare una teoria delle altre menti, cioè si chiede ai pazienti in fMRI di usare atteggiamenti proposizionali mentre i loro cervelli vengono indagati con la metodica. Le aree cerebrali attivate durante i compiti di mentalizzazione vengono quindi considerata come sedi della TdM. La maggior parte degli studi di brain imaging ha ripetutamente affermato la specificità dell'attivazione di diverse aree cerebrali per la TdM, come la giunzione parieto-temporale e la corteccia prefrontale mesiale, come anche la corteccia cingolata anteriore. C'è però da dire che è stato anche dimostrato che la distruzione di tale aree non impedisce la mentalizzazione. Bird e collaboratori dettagliano lo studio condotto su una donna a cui un infarto dell'arteria cerebrale anteriore aveva danneggiato completamente queste aree. La paziente non mostrava alcun deficit relativo alla TdM. I risultati insomma, suggeriscono di utilizzare cautela nell'attribuire la funzione della TdM a specifiche aree cerebrali. L'approccio classico, quindi, non è in grado di spiegare perché durante compiti espliciti di mentalizzazione si attivino le aree mesiali frontali e la giunzione parieto-temporale. Viene quindi messa in seria discussione l'affermazione che la TdM impegni queste specifiche aree. Come suggerito da Tsakiris la giunzione parieto-temporale destra fornisce un senso coerente del proprio corpo ed è parte di una rete implicata nell'integrazione multisensoriale durante eventi ed esperienze riguardanti il sé e l'altro. Quindi si potrebbe ipotizzare che il coinvolgimento sistematico della giunzione parieto-temporale coi compiti di mentalizzazione non dipenda dal fatto che contiene neuroni coinvolti specificamente nell'attribuzione di false credenze ma dal fatto che la differenziazione tra il sé e l'altro è un ingrediente necessario di tale attività di mentalizzazione. Da una rassegna della letteratura neuroscientifica riguardante la mentalizzazione esplicita si ha l'impressione che la nozione standard di mentalizzazione dovrebbe essere messa in discussione in maniera sistematica. L'approccio classico contemporaneo all'intersoggettività si divide in due campi principali:
 1) Il primo è sostenuto dalla teoria della simulazione di cui tratta Goldman e che privilegia il sé come modello dell'altro. In sostanza, comprendere gli altri significa mettersi nei loro panni. Gli antecedenti di questo modello possono farsi risalire a John Stuart Mill secondo il quale attribuiamo stati mentali agli altri perché il loro comportamento evoca ricordi delle nostre esperienze correlate alla situazione. 
 2) Il secondo campo è esemplificato dalla teoria della teoria secondo cui i contenuti mentali possono essere letti dall'esterno mediante il ragionamento. La psicologa evolutiva Vasudevy Reddy, 2008, ha sottolineato che nonostante le loro differenze, sia la teoria della simulazione, sia la teoria della teoria postulano l'esistenza di uno iato tra le menti, entrambe considerano la conoscenza della mente dell'altro come un processo attribuzionale, quindi un processo che richiede qualcosa in più rispetto alla percezione degli aspetti psicologici. C'è però una via alternativa che inizia laddove si metta in discussione l'esistenza di questo gap tra le menti: l'approccio in seconda persona. L'approccio in seconda persona differisce dall'approccio in terza persona poiché definisce un approccio epistemico diverso al problema delle altre menti riducendo lo iato mentale che apparentemente le separa. Michael Pauen ha delineato i tre requisiti minimi che un approccio epistemico dovrebbe avere per poter essere riconosciuto come in seconda persona: 
 1) Deve ricorrere a una riproduzione o immaginazione dello stato mentale, che deve essere riconosciuto; 2) Deve includere una differenziazione tra il sé e l'altro in maniera tale da essere consapevoli che lo stato mentale che si sta riproducendo appartiene all'altro e non al soggetto epistemico; 3) Deve mettere in grado il soggetto di riconoscere la propria situazione epistemica come diversa da quella dell'altra persona. Questi requisiti non presuppongono che il soggetto ne sia consapevole, pare anzi che essi siano in larga misura automatici e subconsci. Come vedremo più avanti, tutti e tre i requisiti sono compatibili con il modello neuroscientifico dell'intersoggettività e del suo sviluppo. 2 rappresentazionale limita il modo in cui il singolo scopo motorio o una serie di essi, vengono rappresentati, un modo che è diverso da una rappresentazione proposizionale degli stessi. LA COGNIZIONE MOTORIA E L'ORIGINE DEL MECCANISMO SPECCHIO La teoria della simulazione incarnata sfida la visione tradizionale dell'intersoggettività e della cognizione sociale sostenuta dall'approccio classico, affermando che la capacità di comprendere il comportamento intenzionale degli altri si fonda su un meccanismo funzionale più basilare che sfrutta l'organizzazione intrinseca del sistema motorio dei primati. Tutte le abilità inerenti la messa in atto di un comportamento al fine del raggiungimento di uno scopo (la rilevazione dello scopo dell'azione, la rappresentazione gerarchica dell'azione, l'anticipazione delle conseguenze) vengono definite nel loro complesso cognizione motoria. Quando l'azione osservata fa parte dell'esperienza motoria dell'osservatore, ciò porta a una più anticipata e più intensa risposta dei neuroni specchio. Vari studi hanno rilevato che l'attività dei neuroni specchio è maggiore quando si osserva un'azione familiare rispetto all'osservare un'azione per la prima volta. Quindi se il comportamento osservato fa parte del repertorio comportamentale dell'osservatore, la risposta dei neuroni specchio sarà più forte. Chiediamoci adesso quando si sviluppa il meccanismo specchio nell'individuo. Le prime prove indirette attualmente disponibili sul meccanismo specchio nei bambini derivano da uno studio del 2006 che ha documentato mediante spettroscopia del vicino infrarosso (NIRS) la presenza di un sistema che mappa l'esecuzione e l'osservazione dell'azione in bambini di 6 mesi. Questo e altri studi successivi suggeriscono come già nelle prime fasi di vita la propria esperienza all'azione sia strettamente correlata al modo in cui vengono percepite le azioni altrui. Non sappiamo ancora come e quando appaia il meccanismo specchio come non sappiamo ancora se i neuroni specchio siano innati oppure se vengano configurati durante lo sviluppo. Gallese ha ipotizzato che prima della nascita si possano sviluppare specifiche connessioni tra i centri motori che controllano i movimenti della bocca e della mano e le regioni cerebrali che ricevono gli input visivi dopo la nascita. Questa connettività potrebbe istruire le aree del cervello le quali, una volta raggiunte dall'informazione visiva sarebbero pronte a rispondere all'osservazione dei gesti della mano e della bocca consentendo quindi l'imitazione neonatale. Neonati e bambini sarebbero così pronti a imitare i gesti eseguiti dai caregivers adulti posti di fronte a loro e sarebbero dotati delle strutture neurali che rendono possibili i comportamenti reciproci che caratterizzano la nostra vita dopo la nascita. Probabilmente un rudimentale meccanismo specchio è presente già dalla nascita per poi essere modulato dall'esperienza motoria e gradualmente arricchito dall'apprendimento visuomotorio. ONTOGENESI DELL’INTERSOGGETTIVITÀ NEGLI ESSERI UMANI Gli esseri umani sono creature sociali e l'azione rappresenta il primo mezzo per esprimere questa vocazione sociale. Molto presto, nella vita, la cognizione sociale viene ancorata all'azione a un livello interindividuale. I neonati sono in grado di riprodurre gesti ed espressioni facciali e in una certa misura i gesti della mano. I neonati sono geneticamente preparati a connettersi con i propri caregivers attraverso l'imitazione e la sintonizzazione affettiva. Essi sollecitano attivamente l'attenzione dei caregiver e si impegnano in attività corporee mostrando una struttura protoconversazionale basata sull'alternanza dei ruoli definita da una struttura simile a quella delle conversazioni tra adulti. La nascita del sé interpersonale sembra avvenire, dunque, prima della nascita. Quando il contesto lo consente, come nel caso delle gravidanze gemellari, l'alterità corporea viene mappata sulle proprie potenzialità motorie in modo simile alle interazioni sociali primarie che hanno luogo dopo la nascita. Una solida evidenza sperimentale mostra come, durante il primo anno di vita, la comprensione dell'azione del bambino sia già ampiamente ben sviluppata e queste forme precoci di comprensione non implicano alcuna capacità metarappresentazionale. 5 CAPITOLO 2 DIVENTARE MADRE Esploriamo lo sviluppo dell’inter-soggettività come capacità delle madri di leggere lo stato mentale dei figli. Questo sviluppo ha comportato dei vantaggi di tipo evolutivo. Sarah Hrdy: con l’inizio dell’allevamento cooperativo la specie umana cominciò trasformazioni a livello sia psicologico che neurobiologico. Tomasello: la differenza fra la cognizione umana e quella animale sta proprio nel fatto che gli esseri umani hanno sviluppato un senso della cooperazione che gli ha permesso di sopravvivere in quanto specie. L’essere umano è una specie svantaggiata da un punto di vista fisico (piccolo, lento e debole) rispetto ad altre specie ed è stato proprio lo sviluppo delle capacità di cooperazione che da un punto di vista neurobiologico sono correlate allo sviluppo della neocorteccia cerebrale, a permettergli di trovarsi in vantaggio rispetto ad altre specie. A differenza delle altre specie gli esseri umani comunicano fra loro condividendo scopi ed intenzioni. Dunque, lo sviluppo della specie ha portato a delle capacità specifiche di sintonizzazione fra i piccoli e i loro caregiver. I neonati sono diventati abili a sintonizzarsi con più adulti accudenti insieme e allo stesso tempo le madri hanno sviluppato una particolare “sensibilità” nel sintonizzarsi con i loro figli. La cooperazione ha portato ad un successo evolutivo nel senso che ha permesso alla specie di espandersi facendo più figli e aumentato le probabilità di sopravvivenza in quanto più persone possono intervenire sui piccoli quando sono in condizioni di disagio o pericolo, oltre che a portare sviluppo tecnico (progettazione e costruzione di utensili e ideazione di processi di produzione). La sintonizzazione (che è reciproca) avviene utilizzando sia l’udito che la vista. Fonagy sottolinea che sono importanti le capacità dei caregiver di comprendere gli stati mentali del bambino. Un caregiver sicuro ha anche sviluppato una teoria della mente ed una empatia che sono necessarie per l’accudimento del neonato. Viceversa, un caregiver che non abbia questa capacità potrebbe creare delle problematiche nel bambino. Il bambino trova nello stato mentale del caregiver sensibile l’immagine di sé potendo anche sviluppare delle capacità autoriflessive. (domanda d’esame con collegamento a video 7) DIFFERENZA FRA COMPORTAMENTO ANIMALE E COMPORTAMENTO UMANO IN RELAZIONE ALL’ATTACCAMENTO Il comportamento animale, ad esempio quello delle scimmie, è focalizzato sulla madre (nel senso che il cucciolo ne controlla intenzioni ed espressioni) anche se per lui esistono anche altre figure, mentre il bambino può avere anche più figure di riferimento secondo una certa gerarchia in cui c’é un caregiver principale (di solito la madre). Quindi per l’umano la madre è al centro ma lui sviluppa anche altri legami paralleli ( legami di attaccamento multipli) come zii , fratelli, nonni etc..Il bambino, dunque controlla intenzioni ed espressioni di più membri del gruppo. I legami di attaccamento multipli generano un fenotipo differenziato in quanto dipendente dall’interazione con più figure di riferimento. ( quindi una maggior ricchezza anche nell’apprendimento). Bowlby conferma la teoria dell’attaccamento multiplo e la Ainsworth ne trova conferme sperimentali in diversi luoghi del mondo (vedi video). Le capacita’ di lettura della mente dei piccoli hanno quindi una importanza rilevante. Secondo la Hrdy con la comparsa della lettura della mente si sono avute: - madri più sensibili e capaci, per cui sono aumentate le capacità di sopravvivenza dei bambini - donne più evolute degli uomini nell’essere empatiche ed intuitive per necessità di leggere nella mente dei piccoli. (domanda: perché queste modalità di accudimento non sono presenti nelle grandi scimmie? Sia gli umani che i grandi primati hanno avuto un analogo sviluppo della corteccia cerebrale…( non si ha ancora risposta) DIFFERENZA FRA MAMMIFERI E PRIMATI A LIVELLO DELLA GENITORIALITA’ Mammiferi: sono molto influenzati a livello ormonale. Il comportamento genitoriale è attivato dagli ormoni gonadici sul cervello limbico e dipende da meccanismi fisiologici determinati da una comunicazione olfattiva (si attivano per connessione fra stimoli olfattivi e zone cerebrali associate alla ricompensa o reward) 6 Primati: il comportamento genitoriale è meno influenzato dagli ormoni: una gravidanza e parto non garantiscono una buona genitorialità. I primati diventano buoni genitori in relazione alle proprie esperienze di vita e familiari e all’influenza del contesto sociale. Nei primati la connessione olfattiva alle aree cerebrali è sostituita con la connessione neocorticale a segnali multimodali (visivi come il viso di un bambino, uditivi come un vocalizzo…) che agiscono sulla regolazione affettiva. Le caratteristiche cognitive ed emozionali dei genitori fanno la differenza perché influiscono pesantemente sullo stile di attaccamento del bambino. Quindi non abbiamo di base dei meccanismi fisiologici ma uno stile di caregiving che si attua in relazione ad esperienze di vita, personalità, stili cognitivi ed affettivi. La lunga dipendenza dei piccoli negli umani necessita la presenta di più figure di accudimento. Una volta c’era solo la famiglia (magari allargata) adesso ci sono le scuole materne. ARCHETIPO DELLA MATERNITA’ Il concetto di maternità ha avuto , in ogni epoca, un significato simbolico. Maternità vuol dire fertilità e quindi espansione della specie per cui questo concetto si veste di significati molto profondi e comuni a tutte le civiltà. Le statuette della Venere Steatopigia, rappresentano una donna con le forme abbondanti, simbolo condiviso di bellezza e di fertilità , anche le madonne rinascimentali richiamano ad un concetto di sacralità. In particolare, l’analisi del quadro dell’Annunciazione del Pinturicchio, riporta una immagine di futura madre (la Madonna) in cui la maternità è vista come una missione a cui si arriva senza l’uso della sessualità. L’Immacolata Concezione ha contribuito a costruire l’archetipo della madre nella civiltà Occidentale. Questo archetipo è presente in forma diversa sia nelle donne che negli uomini: le donne sentono la loro gravidanza (che provoca in loro dei grandi mutamenti sia fisici che psicologici) come una missione, qualcosa che le unisce al loro bambino e le rende per questo uniche, gli uomini si trovano a scindere il mondo femminile in quello delle madri, pure, sante, scevre da ogni peccato, e le altre. L’immagine dell’uomo, per quanto riguarda l’archetipo della maternità, è marginale. Pensiamo ad esempio a Giuseppe. Giuseppe è un padre putativo la cui funzione è sostanzialmente quella di dare un riconoscimento sociale alla condizione di Maria. Jones (allievo di Freud) ha affermato che l’Annunciazione ha evocato nell’inconscio infantile (soprattutto maschile) la concezione che la nostra nascita non è avvenuta per via di un atto sessuale ma con il solo contributo della madre. Secondo Jones questa teoria innesca fantasie incestuose. Durante la gravidanza la sacralità emerge sia a livello esplicito (comportamenti sociali e familiari), sia a livello implicito (sogni e fantasie della madre). secondo Pines la gravidanza riattiva dei conflitti edipici dell’infanzia. DESIDERARE UN BAMBINO Il desiderio di maternità (inizia a delinearsi durante l’infanzia, quando la bambina si identifica con la propria madre e “gioca alla famiglia”. Dobbiamo considerare che i maschi hanno una diversa attitudine, dal momento che preferiscono giochi aggressivi e competitivi. Comunque, una più realistica identificazione con le figure genitoriali ha luogo durante l’adolescenza, quando il maschio e la femmina hanno definito e stabilizzato il proprio orientamento affettivo e sessuale e sono in grado, identificandosi con i genitori, di prendersi cura di una creatura dipendente e indifesa. Quando si verificano gravidanze durante la prima adolescenza nei Paesi Occidentali, spesso è dovuto a un desiderio narcisistico di gravidanza – la ragazza cioè sta dimostrando che il suo corpo funziona, che e fertile come quello della propria madre, più che a un reale desiderio di maternità. Nell’esplorare il legame tra l’attitudine genitoriale e lo sviluppo del bambino, la teoria psicoanalitica ha sottolineato il ruolo del mondo intrapsichico materno e paterno. Questo costrutto teorico della maternità ha i propri antecedenti nel pensiero teorico di Freud, rappresentato dall’ipotesi che ogni relazione vissuta – sia a livello conscio sia inconscio – con i propri genitori durante l’infanzia avrà un’influenza decisiva sullo sviluppo della personalità del bambino. Nel suo lavoro Introduzione al narcisismo, Freud tratta i ruoli genitoriali focalizzando l’attenzione sui genitori con la loro “coazione ad attribuire al bambino ogni sorta di perfezioni”. Nelle righe successive aggiunge: Il bambino deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori: “il maschio deve diventare un grand’uomo e un eroe in vece del padre, la femmina deve andar sposa a un principe in segno di riparazione tardiva per la madre […]. L’amore parentale, cosi commovente e in fondo cosi infantile, non e altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita” È interessante notare che all’interno del concetto di “coazione ad attribuire”, si potrebbero rintracciare gli elementi precursori della successiva scoperta dell’identificazione proiettiva da parte della Klein. Questo meccanismo non è solo intrapsichico ma anche intersoggettivo e può implicare il cambiamento dell’oggetto 7 caratteristiche estreme ma non conscie, ad esempio come colui che “salverà” magicamente la coppia o al contrario come il “parassita” annidato nel corpo materno). Il figlio che nascerà realizzerà in parte le aspettative e fantasie e in parte, necessariamente, se ne discosterà, portando i genitori (se saranno stati in grado di integrare queste immagini fantasmatiche con l’esperienza reale) ad accogliere il “bambino della realtà”. Queste immagini del bambino, che sono presenti durante la gravidanza, interagiranno dopo il parto con il bambino reale, favorendone una più realistica rappresentazione. Stern, ha definito come «costellazione materna» la nuova organizzazione mentale che si crea nella madre fino dall’inizio della gravidanza e segnala la nascita di una nuova identità e determina una nuova serie di azioni, sensibilità, fantasie, paure e desideri che costituiscono la linea dominante della vita psichica della donna. La costellazione materna riguarda tre aspetti diversi e strettamente collegati che richiedono un’importante rielaborazione psichica: il rapporto della madre con sua madre, il rapporto della donna con se stessa in quanto madre e il rapporto col bambino. LE RAPPRESENTAZIONI MATERNE Il concetto di rappresentazione mentale ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo della psicoanalisi e della ricerca clinica. Questo implica la costruzione di un mondo mentale interno, essenzialmente separato dalla realtà esterna, che dà significato alle esperienze personali, per fare previsioni e per prendere decisioni sui comportamenti futuri. Nella formazione delle rappresentazioni è difficile stabilire quanto peso debba essere attribuito alle esperienze direttamente connesse alla realtà e alle fantasie inconsce. Quando si considera la gravidanza nello specifico, si deve tenere presente che l’identità femminile di una donna deve confrontarsi con un processo di trasformazione e riorganizzazione psicologica che porta all’acquisizione di un’identità materna, sostenuta dalle rappresentazioni di sé come madre e del futuro bambino, anche se non ancora nato. Durante la gravidanza il compito centrale della donna è rappresentato dalla rielaborazione del rapporto con la propria madre, mentre si sviluppa un senso di connessione con il bambino e, allo stesso tempo, se ne riconosce la separatezza. La rappresentazione del bambino è contemporaneamente sia integrata all’identità materna sia separata da essa. Negli anni recenti, la ricerca ha proposto interviste e sistemi di codifica che valutano e classificano le rappresentazioni mentali del bambino. Tuttavia, la maggior parte di questi strumenti esplora le attitudini genitoriali dopo la nascita. Solo un ristretto numero di studi si sono focalizzati sulle rappresentazioni materne durante la gravidanza, con lo scopo di valutare le dinamiche mentali delle madri e identificare i markers della relazione postnatale madre-bambino. L’interesse a studiare ed esplorare le dinamiche psicologiche durante la gravidanza è connesso alla possibilità sia di riconoscere gli stili genitoriali che possono predire le attitudini e i comportamenti dopo la nascita, sia di scoprire i fattori di rischio e vulnerabilità in grado di interferire negativamente con il caregiving system. Le interviste semistrutturate, come l’Intervista sulle Rappresentazioni Materne in Gravidanza – versione rivista (IRMAG-R, Ammaniti, Tambelli), esplorano il mondo mentale materno. Questa intervista, somministrata tra il sesto e il settimo mese di gravidanza, esplora le rappresentazioni mentali della donna, focalizzandosi sulle sue esperienze passate, su come ha affrontato la gravidanza e la maternità, e su come ha progressivamente creato un’immagine del feto e del futuro bambino. Le interviste non vengono valutate rispetto ai contenuti, bensì rispetto all’organizzazione narrativa. Durante il corso dell’intervista, vengono poste domande sulle seguenti aree relative all’esperienza personale: (1) il desiderio della donna e della coppia di avere un bambino; (2) le reazioni emotive della donna, della coppia e degli altri membri della famiglia alla gravidanza; (3) le emozioni e i cambiamenti nella vita della donna, della coppia e in relazione alle famiglie di origine, durante la gravidanza; (4) le percezioni, le emozioni positive e negative, le fantasie materne e paterne, e lo spazio interno psicologico per il bambino; (5) le aspettative future e gli eventuali cambiamenti di vita; (6) la prospettiva storica personale. La qualità delle categorie materne avrà un notevole impatto sulla relazione madre-bambino e avrà un ruolo significativo nel determinare il senso di sicurezza del bambino nella sua esperienza con la madre. Di certo, un atteggiamento conflittuale durante la gravidanza può predire, con una certa attendibilità, la presenza di difficoltà nelle condotte di accudimento materno e di fattori di rischio per l’interazione tra madre e bambino. 10 È dunque fondamentale poter riconoscere i fattori di vulnerabilità materna durante la gravidanza: in questo periodo, infatti, è già possibile iniziare un intervento di sostegno in grado di modificare l’atteggiamento delle madri, aiutandole a contenere le proprie ansie e paure, soprattutto nell’ultimo trimestre. Una ricerca sulle rappresentazioni mentali durante la gravidanza (Ammaniti), ha dimostrato che, in campioni di donne in attesa e senza fattori di rischio, la categoria più rappresentata è quella Integrata (56.7%), mentre quella Ristretta raggiunge il 24.3% e quella Ambivalente il 19%. Nei campioni a rischio (depressivo e psicosociale), la distribuzione è invece molto diversa: la categoria più frequente è l’Ambivalente, ossia definita da un approccio conflittuale nei confronti della gravidanza (36.9%), seguita da quella Ristretta (32.9%) e, infine, da quella Integrata (30.2%). Le categorie materne sono caratterizzate da diverse costellazioni psichiche: in questo caso, stiamo utilizzando il termine proposto da Stern di “costellazione materna”, ossia l’insieme delle diverse strategie e dinamiche mentali che organizzano l’esperienza personale della maternità. La categoria Integrata/Equilibrata rappresenta la strategia mentale più coerente con elementi di sovrapposizione con la Madre Facilitante descritta da Raphael-Leff, mentre le altre due denotano una minore flessibilità nell’affrontare la nuova esperienza della maternità. UNA MADRE IN ATTESA CON UNA RAPPRESENTAZIONE INTEGRATA La rappresentazione Integrata/Equilibrata è una narrazione coerente dell’esperienza personale che la donna sta vivendo, ricca di episodi e fantasie che comunicano un intenso coinvolgimento emozionale, in un’atmosfera di flessibilità e apertura nei confronti delle trasformazioni fisiche, psicologiche ed emozionali con le quali la donna stessa si sta confrontando. La relazione con il bambino è già presente durante la gravidanza, e il bambino viene considerato come una persona con motivazioni e un’indole proprie. La sua narrazione comunica anche un forte coinvolgimento affettivo che conferma la descrizione della “Madre Facilitatrice” o della madre “Orientata alla reciprocità” di Raphael-Leff: “Non appena si accorge di essere incinta, si abbandona alla grande emozione della gravidanza, tenendosi lontana dalle situazioni e dalle sostanze che lei teme possano essere dannose”. Manifesta le caratteristiche oscillazioni emozionali della gravidanza e le paure dei possibili malformazioni del bambino, che sono anche le tipiche preoccupazioni descritte da Winnicott degli ultimi mesi della gravidanza. Può già immaginare il volto del bambino e attribuirle specifiche caratteristiche psicologiche. Parla al proprio figlio come se stessero condividendo una conversazione, che anticipa i loro scambi futuri. La gravidanza sia per lei una maturazione della propria identità femminile, a cui si è preparata con un forte desiderio di maternità. La sua esposizione si presenta fluida e coerente, e dimostra una buona capacità di leggere i propri sentimenti e quelli del partner, anche con un certo grado di ironia. UNA MADRE IN ATTESA CHE CERCA DI LIMITARE L’IMPATTO DELLA GRAVIDANZA La rappresentazione Ristretta/Disinvestita emerge da narrazioni in cui prevale un controllo emozionale, con meccanismi di razionalizzazione nei confronti del diventare madre e del bambino. Queste donne parlano della loro gravidanza, della maternità e del bambino in termini poveri, senza molti riferimenti agli eventi emozionali e ai cambiamenti. Il racconto presenta una qualità impersonale, è frequentemente astratto e non comunica emozioni o particolari immagini o fantasie. Pur dando valore alla propria esperienza di maternità, la madre vuole infatti mantenere la propria indipendenza e il proprio autocontrollo e non vuole farsi condizionare troppo dal figlio che sta per nascere. A volte accettano l’idea di una gravidanza più come un bisogno, come una risposta a certe aspettative sociali, che per il loro desiderio di un bambino. Il loro atteggiamento sembra corrispondere a quello descritto da Raphael-Leff in relazione alla Madre Regolatrice “che desidera regolare la propria vita”. Le narrazioni di queste madri sono un po’ fredde, e esse sembrano non riuscire a creare un’immagine del bambino UNA MADRE IN ATTESA COMBATTUTA TRA DESIDERIO E PAURA La rappresentazione Non-Integrata/Ambivalente viene rilevata nelle narrazioni confuse, che svelano elementi di ambivalenza e conflitto con cui affrontano la gravidanza: da un lato, desiderano un bambino, dall’altro, sembrano opporsi a questa idea perché temono la maternità. La coerenza del racconto è molto povera ed è caratterizzata da un coinvolgimento ambivalente della madre nei confronti dell’esperienza che sta vivendo, del partner e della famiglia. Spesso queste donne esprimono atteggiamenti contrastanti verso la maternità o il bambino, che viene frequentemente atteso per soddisfare i bisogni dei genitori. Questo quadro corrisponde alla descrizione clinica della Madre Conflittuale di Raphael-Leff. 11 SOGNI A OCCHI APERTI “Sogni a occhi aperti – Come la fantasia trasforma la nostra vita” è il titolo di uno straordinario libro di Person, che esplora l’area della fantasia, ossia un filtro mentale che dà vita e colore alla vita mentale. Una vita soggettiva intimamente privata e segreta, che crea storie immaginarie sulla propria esperienza personale, sulla propria famiglia e sulle altre persone. In altre parole, potrebbe essere definita come un dialogo interno, che crea un teatro interno fantastico che ambisce a soddisfare desideri sessuali, aggressivi e di grandezza personale, o a dare forma alle speranze personali. La segretezza delle fantasie è una caratteristica intrinseca che Freud ha sottolineato: “l’adulto […] si vergogna delle sue fantasie e le nasconde agli altri, coltivandole entro di sé come cose assolutamente private e intime: in genere preferisce confessare le proprie colpe piuttosto che comunicare le proprie fantasie. Può darsi che per questa ragione egli si ritenga il solo che inventi tali fantasie, non sospettando la generale diffusione negli altri di creazioni del tutto corrispondenti”. Attraverso la gravidanza e i primi mesi del bambino, una donna vive con un’infinità di pensieri consci e fantastici. Questi si presentano perché i cambiamenti fisiologici e psicologici indotti dalla gravidanza e dalla maternità generano percezioni, processi ideativi, sentimenti, fantasie consce e inconsce sul sé, sulla relazione di coppia, la famiglia di origine e, ovviamente, il bambino. Queste fantasie possono essere espresse nei sogni a occhi aperti, che possono comparire nei momenti di attesa, durante i quali la madre cerca di immaginare il viso e l’aspetto del suo bambino. Parafrasando l’espressione di Winnicott, l’immagine della “madre che lavora sufficientemente a maglia”, una madre che dà libero sfogo alle proprie fantasie sul bambino, mentre lavora a maglia avendo in mente il bambino che deve nascere. la madre non dà solo vita al bambino, ma ne costruisce anche il “contenimento”, che deve essere preparato in anticipo per prefigurare e anticipare la realtà personale. La dialettica tra le fantasie materne e la realtà della gravidanza crea una dimensione profonda e intima che caratterizza l’esperienza della Maternità definita da Winnicott con il concetto di “spazio potenziale”: lo spazio potenziale è un’area intermedia dell’esperienza che si colloca tra il mondo interno e la realtà esterna, all’interno di questo spazio potenziale si sviluppano i pensieri e le fantasie della gravidanza; in questo spazio, le rappresentazioni del sé come madre e del futuro bambino prendono corpo e acquisiscono profondità. Nelle situazioni in cui la dialettica tra il mondo soggettivo e la realtà esperita fallisce, può avere luogo un’inflazione del mondo fantastico che può oscurare il bambino reale. PENSARE PER DUE Le interviste hanno dimostrato chiaramente che le Madri Integrate sono in grado di avere in mente il proprio bambino non ancora nato; sono capaci di avere immagini psichiche differenziate del bambino, con il quale intrattengono un dialogo come se fosse già presente fuori dal loro grembo, attribuirgli emozioni e intenzioni, cercare di dare un senso ai suoi movimenti e di interpretarli. L’approccio delle Madri Ristrette è molto diverso: sembrano incapaci di avere un’immagine del bambino, e lo trattano solo come un feto, non come un individuo con cui relazionarsi e dialogare. Questa specifica competenza materna potrebbe essere attribuita alla mentalizzazione: la mentalizzazione si riferisce alla capacità personale esplicita e implicita di riconoscere i propri e gli altrui stati mentali e di distinguerli dal comportamento. Più tardi, con il contributo di Fonagy, la mentalizzazione, definita anche “funzione riflessiva”, ha incluso la capacità di rendersi conto di come gli eventi interni (pensieri, emozioni, desideri e bisogni) possano avere un impatto sulle azioni personali e sugli altri, pur essendo separati da quelle stesse azioni. La funzione riflessiva è un aspetto cruciale del meccanismo interpretativo interpersonale, una qualità umana unica di interpretare l’esperienza interpersonale e di darvi senso: è l’atteggiamento empatico con le emozioni e i bisogni del bambino, e, dunque, la capacità di rispecchiarne in modo appropriato gli stati mentali dopo la nascita. Questa capacità ha una grande rilevanza per la madre e per la relazione con il bambino. Come Slade ha scritto: “La capacità della madre di contenere nella sua mente la rappresentazione del bambino come dotato di sentimenti, desideri e intenzioni propri consente al bambino di scoprire la sua esperienza interiore nella ri- presentazione materna”. La mind-mindedness è stata operazionalizzata da Meins come la tendenza delle madri a focalizzarsi sulle qualità mentali dei propri bambini, piuttosto che sulle loro caratteristiche fisiche o sul comportamento. Inizialmente, la mind-mindedness materna è stata valutata dopo il parto; solo recentemente la ricerca di Arnott e Meins ha esplorato questa qualità prima della nascita del bambino. Durante la gravidanza i genitori possono percepire il bambino come un essere separato (ritenendo che il feto possa agire indipendentemente dalla madre) e interpretarne i movimenti come l’espressione delle sue intenzioni e dei suoi desideri. In questo studio, ai genitori in attesa è stato chiesto di descrivere il bambino a sei mesi dopo la nascita. La ricerca ha evidenziato una correlazione positiva tra il numero dei commenti forniti dalle madri durante la gravidanza 12 Cranley: infermiera che ha costruito una scala di attaccamento materno la “Maternal-Fetal Attachment Scale”(MFAS) al feto che contiene diverse dimensioni fra cui la differenziazione fra sé e il feto, l’assunzione di ruolo, l’attribuzione di caratteristiche al feto. Questa scala è molto utilizzata anche attualmente nelle ricerche fetali. Muller: anche lei infermiera, non era soddisfatta della scala della Cranley perché afferma che dia poco spazio alle fantasie materne. L’attaccamento al feto, dice, è determinato anche da aspetti riguardanti la donna stessa, la sua provenienza familiare e le sue esperienze con la propria madre (in pratica costruisce uno strumento in cui tiene in considerazione le rappresentazioni materne; esso misura l’attaccamento affettuoso fra madre e feto). La sua scala è la “Prenatal Attachment Inventory” (PAI). Condon: non soddisfatto degli strumenti precedenti costruisce uno strumento il “Maternal Antenatal Attachment Scale” che si focalizza sui pensieri e i sentimenti materni verso il feto. Diversi strumenti sono stati sviluppati per valutare l’attaccamento prenatale e successiva attitudine verso la maternità. La maggior parte degli studi condotti in questa area però presentano evidenti limiti metodologici che limitano una comprensione esauriente. Gli studi condotti in questo campo, infatti non considerano aspetti importanti – come, per esempio, l’avere o meno programmato la gravidanza, le dinamiche della relazione coniugale e l’età gestazionale, che potrebbero essere particolarmente rilevanti per l’attaccamento materno- fetale. IL CAREGIVING SYSTEM DAL PUNTO DI VISTA DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO Questo concetto, nel contesto della gravidanza, ha un significato psicologico più ampio, rispetto a quello utilizzato nella cornice della teoria dell’attaccamento da Bowlby (un comportamento che promuove la vicinanza alla figura di attaccamento). In questa prospettiva, durante la gravidanza, per i genitori sarebbe più consono utilizzare il concetto di caregiving system (capacita di fornire protezione, rassicurazione e cure a un bambino immaturo). Come abbiamo discusso precedentemente, l’attivazione del caregiving system dipende dai segnali interni ed esterni che stimolano la funzione protettiva. Ma mentre la motivazione del comportamento di attaccamento è chiara –ossia la ricerca di sicurezza–, ciò non avviene per il caregiving system: il prendersi cura è un’emozione diadica che si sviluppa nel tempo ed è indirizzata verso un partner specifico – in questo caso un bambino – e verso i suoi bisogni. In questo ambito, l’empatia gioca un ruolo decisivo e attiva le condotte di cura, poichè implica la risonanza verso l’altro. Inoltre c’è il piacere e la soddisfazione personale che si prova nel prendersi cura di un’altra persona, soprattutto di un bambino piccolo. Studi neurobiologici hanno riscontrato gli effetti edonici dell’attività della neo-corteccia , in particolare della zona orbito-frontale in particolare quella dell’emisfero destro (Kringelbach 2005, Shore), quando si fa l’esperienza gratificante di prendersi cura di un bambino (connessione con zone cerebrali di reward) . Questo meccanismo neurobiologico è connesso anche con il sistema emozionale e in particolare con l’empatia. Il caregiving system si attiva prima della nascita e la sua attivazione si protrae anche dopo. esso dipende dalle rappresentazioni materne del bambino che la donna si fa durante la gravidanza che si organizzano nell’ultimo trimestre. Theran e colleghi: hanno riscontrato che le madri con rappresentazioni più stabili dei loro bambini, presentano un comportamento, dopo la nascita, più sensibile verso di loro. Una recente ricerca ha stabilito che le madri con rappresentazioni equilibrate dei loro bambini (sempre durante la gravidanza), mostrano comportamenti positivi, mentre quelle con rappresentazioni distorte presentano più comportamenti di rabbia e di ostilità. Infine le madri disinvestite presentano, dopo la nascita, comportamenti più controllanti. Lo stile di regolazione connesso con i modelli operativi interni in gravidanza è correlato con lo stile di regolazione materno. Dayton ipotizza che oltre che correlazionale ci sia una relazione di causalità fra i due stili di regolazione (pre e post-natale) STUDIO DI FONAGY E STEELE-STEELE SULLA INTERGENERAZIONALITA’ DELLO STILE DI ATTACCAMENTO Si è basato sul confronto fra gli stili di attaccamento delle madri misurato con Adult Attachment Interview (AAI) nell’ultimo trimestre di gestazione e gli stili di attaccamento dei loro bambini ad 1 anno di età. I risultati hanno portato ad una correlazione molto forte fra gli stili di attaccamento delle madri e dei bambini ( madri sicure sono associate a bambini con attaccamento sicuro; madri con attaccamento distanziante sono associate con bambini che hanno un attaccamento insicuro). 15 In base a questo studio Fonagy ed altri hanno cominciato ad ipotizzare la relazione fra funzione riflessiva dei genitori ed attaccamento sicuro. Generalmente genitori con alta funzionalità riflessiva, presentano un attaccamento sicuro e anche i loro figli presentano un attaccamento sicuro. Come ha sottolineato Bowlby, il sistema dell’attaccamento è strettamente connesso al processo rappresentazionale e allo sviluppo di una funzione riflessiva del sé. Allo stesso tempo è stata raggiunta una concettualizzazione condivisa, che postula che il sé si sviluppi ed esista in relazione all’altro. Tutto questo è particolarmente vero per le donne che acquisiscono in gravidanza il “senso del noi” che le prepara ad interagire con i propri bambini dopo la nascita. FOCALIZZARSI SUL BAMBINO Come Pines ha messo in luce, durante il terzo trimestre della gravidanza le donne sperimentano malessere fisico e stanchezza, progressivamente alla crescita del bambino nel loro corpo. Si verificano tipiche oscillazioni dell’umore, che vanno dalla gioia e la soddisfazione per l’arrivo imminente del bambino, a forme di ansia conscia e inconscia rispetto sia all’eventuale anormalità del bambino sia rispetto al parto. Nella madre possono comparire delle fantasie riguardanti la possibilità di danneggiare il feto, il quale può essere percepito come un intruso che sta per divorarla. In questo periodo, si sviluppa un peculiare stato della mente, descritto da Winnicott: la capacita di concern per il bambino e la gravidanza. Preoccuparsi si riferisce al fatto che l’individuo si prende cura, o prova apprensione, e sente e accetta la responsabilità: “il preoccuparsi fonda la famiglia in quanto porta ad assumersi, al di la del proprio piacere, la responsabilità delle conseguenze di esso, la capacita di preoccuparsi è alla base di ogni gioco e di ogni lavoro costruttivo”. La capacita di concern si intensifica nel corso della gravidanza: le madri, infatti, focalizzano la loro attenzione sul bambino, cercando di cogliere ogni suo segnale o movimento, e cercando di garantirgli un ambiente confortevole e protettivo all’interno del loro corpo. Non tutte le madri pero hanno la stessa capacita di concern. La situazione differisce in maniera sostanziale con le madri che hanno una rappresentazione ristretta di se stesse e del bambino, che, al contrario, non sembrano capaci di esprimere la capacita di concern: non vogliono essere condizionate dalla gravidanza e continuano a praticare sport, guidare motorini, senza manifestare preoccupazione per le possibili conseguenze sulla gravidanza. La capacita materna di concern è senza dubbio connessa al fatto che le femmine sono più empatiche dei maschi. Un recente studio ha evidenziato che la risata e il pianto dei bambini attivano maggiormente il sistema limbico nelle donne rispetto agli uomini; inoltre, le risposte evocate dai visi dei bambini appaiono più intense e precoci nelle donne rispetto agli uomini e che le donne rispondono più empaticamente degli uomini di fronte a immagini di persone sofferenti. In psicanalisi l’empatia è l’esperienza interna di condividere e comprendere lo stato psicologico attuale di un’altra persona. Per l’Infant Research (Stern): l’empatia si articola in 4 processi - Risonanza dello stato affettivo; - Astrazione della conoscenza empatia dall’esperienza della risonanza empatica; - Integrazione della conoscenza empatica e Risposta empatica; - Transitoria identificazione di ruolo. Questa definizione distingue fra una empatia automatica che consente alla madre di riconoscere automaticamente gli stati del bambino e una empatia nella quale permane la consapevolezza della distinzione fra sé e l’altro che implica quindi una differenziazione. La capacità di concern implica l’empatia della madre verso cui il bambino ha la sicurezza di trovarla sempre e allo stesso tempo di distinguerla come “altra persona” e quindi poter eventualmente assumere comportamenti riparatori. PREOCCUPAZIONI MATERNE E PAURE Sempre molto attento agli stati mentali delle madri, Donald Winnicott, ha proposto un’ulteriore osservazione dello stato mentale della donna durante l’ultima fase della gravidanza, che ha denominato “preoccupazione materna primaria”. Essa si sviluppa a poco a poco per raggiungere un grado di elevata sensibilità durante la gravidanza, e specialmente verso la fine. Dura ancora poche settimane dopo la nascita del bambino. Una volta superato, non è facile che sia ricordato dalla madre. Potrebbe essere paragonato a uno stato di ritiro, a uno stato di dissociazione uno stato di elevata sensibilità, quasi una malattia (che sarebbe una malattia se non vi fosse il fatto della gravidanza), uno stato mentale materno di preoccupazione, descritto come“quasi una malattia”, che ha molte caratteristiche sovrapponibili ai sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo. 16 IL PARADIGMA DI LEKMAN (YIPTA) Leckman ha strutturato un’intervista che desse una verifica empirica alla teoria di Winnicott sulla preoccupazione primaria. Si intervistano i genitori (sani e quindi senza disturbi ossessivi pregressi) a partire dall’ottavo mese di gravidanza fino al terzo mese dopo il parto. Lo strumento è stato costruito per indagare sugli stati mentali dei genitori e le loro preoccupazioni, in particolare si studiano: - i pensieri ; - le preoccupazioni riguardanti il benessere del bambino e/o il suo aspetto; - i comportamenti di accudimento; - la relazione col bambino; - l’evitamento dei comportamenti che potrebbero nuocergli; - il tempo dedicato alle preoccupazioni. RISULTATI: sono in accordo con la teoria di Winnicott, infatti la ricerca ha riscontrato un picco di preoccupazione intorno alla seconda terza settimana dopo il parto per poi manifestare una certa discesa. È risultato, inoltre, che le donne dedicano più tempo alla preoccupazione primaria rispetto agli uomini (pure 14 ore al giorno) . Quasi tutti i genitori si preoccupano del benessere del bambino e i padri sono orientati verso la preoccupazione che gli capiti qualcosa di negativo. Fra i pensieri intrusivi c’è quello di non essere in grado di fare bene il genitore. Possono esserci comunque dei pensieri positivi legati al senso di reciprocità che i genitori hanno col bambino e molti pensano il loro figlio “perfetto”. ALTRO STUDIO LONGITUDINALE: effettuato su 120 coppie al primo figlio, ha riscontrato un picco di pensieri intrusivi appena prima e appena dopo il parto. Questi pensieri riguardano soprattutto le capacità genitoriali e in alcuni casi generano depressione e disturbi ossessivo-compulsivi in entrambi i genitori (i genitori hanno paura di fare del male al proprio figlio in condizioni di rabbia e frustrazione). Gli stati mentali descritti sono specifici del periodo indicato e devono essere distinti dal problematiche di ansia e disturbi ossessivi. Nel corso dell’evoluzione questo comportamento preoccupato si è selezionato proprio affinché i genitori si focalizzassero sul bambino e si riducesse la probabilità di mortalità. Se il fenomeno della preoccupazione primaria persiste per più di tre mesi allora si può pensare ad un quadro patologico. Questo quadro conferma sia la teoria di Winnicott che quella di Stern sulle costellazioni materne. Nel caso di genitori con disturbo ossessivo-compulsivo si osservano gli stessi sintomi ma con intensità maggiore (queste persone tendono al perfezionismo, ad evitare pensieri ripetitivi etc) e i pensieri intrusivi hanno un carattere ego-distonico (creano malessere nei genitori) mentre in soggetti sani hanno un carattere ego-sintonico in quanto le persone sane giustificano i loro pensieri con il particolare stato che stanno vivendo. PUNTO DI VISTA NEUROBIOLOGICO È stato riscontrato un ruolo importante dell’ossitocina per quanto riguarda i comportamenti materni infatti questo neuro-trasmettitore aumenta in prossimità del parto. Nel caso dei disturbi ossessivo-compulsivi sono state ipotizzate due cause: 1) disfunzione del metabolismo della serotonina con caduta brusca di estrogeni e progesterone dopo il parto 2) raggiungimento di alti livelli di ossitocina. Le madri a rischio hanno stati mentali con ansie e disturbi ossessivi più intensi che si protraggono per un tempo maggiore di quello previsto dalla teoria di Winnicott. Le madri normali sono soggette a pensieri intrusivi che non hanno connotazione patologica in quanto specificamente adattavi in questa fase. Bisogna comunque distinguere i pensieri intrusivi dalle ansie fobiche dettate da dati reali come ad esempio una ecografia che determini delle caratteristiche del feto o l’età della gestante. Per indagare su questo tipo di preoccupazioni l’IRMA-G di Ammaniti e Tambelli è stato modificato in modo da indagare sulle paure in gravidanza. Con questo strumento sono state individuate diverse configurazioni dirappresentazioni: una di queste riguarda un’ansia fobica che è presente per tutta l’intervista anche quando non si fanno domande su di essa. In altre interviste possono comparire atteggiamenti difensivi come l’appiattimento affettivo tipico dell’orientamento ristretto/disinvestito a volte accompagnato da ricchi dettagli sensoriali come avviene per gli stati mentali dissociativi. UNA MADRE IN ATTESA TURBATA DA PREOCCUPAZIONI INTRUSIVE E PAURE FOBICHE Spesso donne che hanno avuto precedenti esperienze traumatiche, ad esempio problemi ginecologici come aborti spontanei, non investono molto sulle nuove gravidanze, non preparano le cose per l’arrivo della bambino, temendo che tutto possa finire. Come spesso accade nelle situazioni traumatiche, risperimentano il trauma, temono che possa ripetersi: per questo si mantengono in una posizione di attesa, spesso distaccata, per evitare di affrontare ancora una volta la delusione e la perdita. 17 Studio di Belsky e Fearon: correlazione fra sviluppo del bambino e caratteristiche di coppia coniugale e genitoriale. Essi hanno determinato 5 configurazioni familiari: - Consistently supportive; - Consistently moderate; - Good parently/poor marriage; - Good marriage/poor parently; - Consistently risk. Queste 3 configurazioni familiari (Consistently supportive; Consistently moderate; Consistently risk) presentano un equilibrio fra la qualità della relazione genitoriale e quella della relazione coniugale ma si differenziano per l’intensità della intimità fra partner e la sensibilità verso il bambino (in pratica non c’é una discrepanza fra il comportamento come coppia e i comportamento come genitori nel livello di intimità e sensibilità) In queste configurazioni (Good parently/poor marriage; Good marriage/poor parently) invece c’è la discrepanza nel senso che si può manifestare un buon rapporto di coppia a fronte di una non buona cogenitorialità e viceversa. Le configurazioni 1) e 2) hanno mostrato i migliori effetti sullo sviluppo. Ad ogni modo i bambini sembrano più influenzati dalla qualità dei comportamenti genitoriali che dalle dinamiche coniugali dei loro genitori, anche quando queste ultime risultino conflittuali. La cogenitorialità è influenzata dalla relazione di coppia. L’adattamento reciproco fra genitori e bambino comincia dalla gravidanza e prosegue nelle fasi successive. Possiamo parlare di processo di spillover perché certe dinamiche affettive relazionali del sistema familiare si riversano in altri sottosistemi come quello genitoriale. Durante lo sviluppo del bambino si può presentare la necessità di una rinegoziazione dei ruoli in quanto il bambino è in divenire e possono verificarsi delle modificazioni che richiedono, appunto delle modifiche relative ai ruoli dei genitori. GRAVIDANZA E TRANSIZIONE ALLA COGENITORIALITÀ Sono stati effettuati degli studi sulle dinamiche interattivo-affettive della coppia genitoriale in gravidanza, si è proposto di analizzare la capacità triadica cioè l’abilita della madre e del padre di anticipare le future relazioni familiari senza escludere se stessi o il partner dalla relazione con il bambino. Le coppie sono stati valutate durante l’ultimo trimestre della gravidanza attraverso un’intervista semistrutturata, la Triadic Interview, che viene somministrata congiuntamente alla coppia e che permette di analizzare non solo le rappresentazioni mentali individuali dei partners, ma anche le interazioni e i dialoghi tra i futuri genitori. Quattro mesi dopo la nascita del bambino, si valuta l’interazione triadica una procedura osservativa il Lausanne Trilogue Play, una procedura osservativa standardizzata che misura le interazioni triadiche precoci congiunte di madre, padre e bambino. e risultati mostrano una forte connessione con la qualità delle interazioni triadiche e in particolar modo, alla loro capacita di avere in mente la relazione con il figlio come parte di una relazione triadica in cui si riconosca l’importanza della partecipazione del padre. Van Egeren ha effettuato una ricerca per analizzare i principali fattori individuali predittivi della cogenitorialità durante la gravidanza. La ricerca ha evidenziato come, tra i fattori predittivi della cogenitorialità, giochino un ruolo chiave le caratteristiche individuali materne. Per esempio, la forte motivazione della madre ad avere un figlio può influenzare negativamente il modo in cui questa percepisce il proprio partner: in questi casi, la madre può manifestare un atteggiamento svalutante e di esclusione nei confronti del padre, che alimenta il conflitto all’interno della coppia. Tra i fattori paterni che hanno maggiore influenza sulla relazione cogenitoriale, emerge il livello di educazione e l’occupazione, ma anche le esperienze nella propria famiglia di origine. Mac Hale ha studiato la relazione fra i patterns interattivi della coppia e rappresentazioni mentali individuali (cioè relazione fra funzionamento della coppia e come essa si rappresenta nel futuro). Durante l’intervista si chiedeva alla coppia di descrivere aspetti che avrebbero voluto cambiare, poi si somministrava la Co- Parenting Interview per esplorare le rappresentazioni mentali riguardanti la propria famiglia di origine le aspirazioni e le preoccupazioni rispetto alla nuova famiglia.. Questi dati sono stati confrontati con quelli relativi all’alleanza familiare tre mesi dopo la nascita. Le osservazioni tramite Lausanne Trilogie Play in versione prenatale confrontate con quelle fatte in periodo postnatale hanno confermato che l’alleanza genitoriale prenatale è predittiva di quella postnatale. Tenendo in considerazione la soddisfazione coniugale, è stato notato come i padri siano più capaci di cooperare con le madri nella cura del figlio quando vivono una buona relazione di coppia. Al contrario, le 20 madri sono in grado di orientarsi positivamente sul bambino anche in presenza di un conflitto nella relazione coniugale. I risultati delle principali ricerche sulla cogenitorialità in gravidanza confermano l’importanza di una valutazione precoce della relazione cogenitoriale, per l’identificazione delle situazioni a rischio e per la programmazione di interventi di sostegno (McHale). L’IMPATTO PSICOLOGICO DELL’ECOGRAFIA OSTETRICA SULLA COPPIA IN GRAVIDANZA L’ecografia ostetrica ha un ruolo fondamentale all’interno del processo psicologico dell’attesa, determinando un cambiamento nelle fantasie consce e inconsce dei genitori, che si devono confrontare con le immagini reali del bambino. Essa ha un impatto psicologico positivo sui genitori, in particolare sulle madri, le quali si creano un’immagine del bambino più reale e anche maggiormente condivisibile con il partner. l’ecografia ostetrica è una sorta di rito di iniziazione allla relazione diadica fra madre e figlio e alla cogenitorialità. L’ecografia rende visibile la presenza del bambino a entrambi i genitori e può favorire lo sviluppo della paternità, dal momento che il padre in attesa non è direttamente coinvolto nei cambiamenti fisici della partner. Secondo i ricercatori, il momento migliore per coglierne le caratteristiche del volto è compreso tra la 23 e la 30 settimana di gestazione. In questo periodo gestazionale, infatti, le ecografie 3D e 4D, permettono di cogliere le caratteristiche del feto che, in questa fase, costituiscono il “prototipo infantile” del babyness. Il babyness è una caratteristica universale che distingue i piccoli della specie umana e che, attraverso un meccanismo innato, attrae irresistibilmente gli adulti, motivandoli a prendersi cura di loro (Stern). Il babyness è caratterizzato da una grande testa, sproporzionata se paragonata al resto del corpo, una fronte molto ampia e sporgente rispetto al resto del volto, occhi molto grandi rispetto alle dimensioni del viso, e guance paffute e sporgenti. I movimenti del feto, visibili dalla 14esima settimana in poi, possono dare l’idea di movimenti intenzionali e questo influisce sulle rappresentazioni dei genitori che possono immaginarsi il feto come un bambino, un essere senziente. Durante l’ecografia, tra i genitori si verificano specifici comportamenti interattivi, come il contatto visivo e la responsività reciproca. Alla luce di queste osservazioni, potremmo ipotizzare che la qualità della relazione della coppia in gravidanza durante l’ecografia 4D possa costituire un fattore predittivo della qualità della relazione cogenitoriale dopo la nascita del bambino. Un gruppo di ricerca guidato da Ammaniti ha sottoposto alcune coppie nella procedura del Prenatal Lausanne Trilogue Play (in quello originale i genitori interagiscono con una bambola mentre in quello rinnovato si trovano ad interagire con l’immagine ecografica del bambino), durante la proiezione dell’ultima ecografia ostetrica 4D: i genitori erano seduti in una configurazione triangolare, con lo schermo di un computer appoggiato su un tavolino rotondo. Ai genitori veniva data la consegna di “parlare al bambino, immaginando che li potesse ascoltare”. L’esperimento è stato effettuato su 28 coppie di età fra i 32 e i 33 anni, in buona salute. L’ecografia 4D veniva fatta vedere al computer una settimana dopo averla effettuata. Prima di questo la coppia veniva sottoposta ad una intervista per verificare la qualità del rapporto di coppia e le rappresentazioni del bambino e della futura cogenitorialità (transizione alla cogenitorialità). Come nella Luosanne Trilogie Interview veniva chiesto ai genitori di parlare al bambino: prima uno alla volta, poi insieme; infine gli si chiedeva di parlare fra loro dell’esperienza vissuta. Non è stata evidenziata alcuna differenza significativa tra madri e padri nella durata dei dialoghi diretti al bambino, sebbene sembra che i padri parlino meno al bambino. Durante l’analisi microanalitica dei video, è stato notato un comportamento inatteso: il 50% delle madri e il 27% dei padri mostra comportamenti imitativi; più precisamente, i genitori imitano i movimenti eseguiti dal feto con le mani, le braccia, la bocca e la lingua. I risultat dimostrano come l’ecografia porti i genitori a riconoscere il feto come un bambino e stimoli una condivisione segreta. Si sono osservati dei comportamenti imitativi da parte dei genitori mentre guardavano il bambino, il che sta a significare un tipico comportamento di sintonizzazione affettiva che aiuta ad identificarsi col bambino. Possiamo ipotizzare che il meccanismo specchio sia attivato sin dalla gravidanza, consentendo una simulazione incarnata (Gallese), per mezzo della quale i genitori possono simulare internamente le espressioni facciali e i movimenti del loro bambino, per diventare “come lui” e favorire il processo di affiliazione. 21 Negli ultimi decenni del ventesimo secolo, il contesto della gravidanza nei Paesi Occidentali è cambiato profondamente. I padri condividono i momenti cruciali della gravidanza e, grazie anche all’ecografia, riescono a conoscere i propri bambini e partecipano a quanto si sta manifestando nel corpo materno. INTERAZIONE TRIANGOLARE E SVILUPPO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ DEL BAMBINO A partire dal 1960, il costrutto dell’intersoggettività primaria durante l’infanzia (Trevarthen) ha ricevuto importanti conferme. Gli studi microanalitici dei movimenti della faccia, delle mani e della voce manifestati dai bambini durante gli scambi interattivi con le madri e i padri hanno profondamente cambiato la teoria evolutiva della mente infantile. I bambini hanno una capacità innata di condividere i sentimenti e gli stati mentali degli altri (Stern). Le ricerche hanno evidenziato che a tre e sei mesi i bambini mostrano i primi nuclei della capacità intersoggettiva con la madre e il padre, che consente la costruzione di una triade reciproca. Dobbiamo a questo punto distinguere fra triangolazione e triadicità Triangolazione: si riferisce a processi intrapsichici di conflitto dovuti ad un sentimento di esclusione del bambino dalla coppia. In termini edipici per Freud ciò avviene dopo i 3 anni quando il bambino entra in competizione col genitore dello stesso sesso, mentre per la Klein ciò avviene nel primo anno di vita. Triadicità: si osserva dal terzo mese di vita e riguarda la capacità intersoggettiva del bambino di interagire con più persone alla volta (in questo caso i genitori). Questo anticipa l’intersoggettività secondaria in quanto il bambino è capace di relazionarsi contemporaneamente con due persone e coglierne la loro interazione reciproca (l’intersoggettività secondaria riguarda l’attenzione su un terzo che è un oggetto e non una persona). Da un punto di vista evolutivo questo si spiega perché i bambini si sono man mano abituati ad interagire con gruppi di persone e non solo con singoli per aumentare le loro possibilità di sopravvivenza. Ovviamente, la comunicazione triadica e triangolare provoca un senso di esclusione nel bambino (Emde), il quale assiste al dialogo dei suoi genitori e percepisce di non essere all’interno del loro campo attentivo. Più tardi, il senso di esclusione sarà più connesso all’intimità dei genitori: il tema centrale della psicoanalisi. 22 Queste trasformazioni cerebrali vengono attivate dall’aumentata secrezione di estrogeni e progesterone, prodotti dalle ovaie e dalla placenta durante la gravidanza. All’aumentare dei livelli di cortisolo (un ormone che fisiologicamente viene prodotto in risposta alle situazioni di stress), l’esperienza stressante associata alla genitorialità promuove l’attenzione, la vigilanza e la sensibilità nei genitori: ciò conferma l’ipotesi che l’attivazione dei sistemi di risposta allo stress stimoli e aumenti in maniera adattativa la vigilanza, accentuando la sensibilità materna nel post-partum. Un ruolo speciale è assunto dall’emisfero destro (definito “cervello emotivo”), che presenta la massima crescita soprattutto durante i primi diciotto mesi di vita del bambino, assolvendo un ruolo dominante nel corso dei primi tre anni. Le madri umane – sia destrimane sia mancine – e anche molti primati sorreggono i propri figli con la parte sinistra del corpo, e utilizzano le braccia e le mani sinistre più frequentemente di quanto facciano i padri e le donne senza figli. Questa predisposizione all’accudimento lateralizzato permette di collocare i bambini nei campi visivi sinistri materni, direttamente comunicanti con l’emisfero destro, a sua volta coinvolto nel processamento delle comunicazioni affettive e non-verbali. Studi effettuati attraverso l’fMRI hanno confermato lo speciale stato mentale della sintonizzazione materna con i segnali dei bambini, le cui espressioni (volto, pianto ecc.) rappresentano degli stimoli emotivi altamente attivanti, in modo maggiore di quanto accade nei padri. Il sistema madre-bambino ha una organizzazione che consente una mutua regolazione (madre e bambino sono interconnessi). Attraverso processi regolatori “nascosti” l’adulto regola lo sviluppo del bambino (il cervello adulto è un elemento esterno per lo sviluppo dei sistemi, ancora immaturi, del bambino). quindi l’attaccamento viene visto anche come costruzione di una organizzazione interna che ha sede nel sistema nervoso, che il bambino opera attraverso le transazioni con la madre (Ainsworth). Studi hanno dimostrato che nelle madri che sentono il pianto di un bambino si attivano regioni responsabili di questi processi mentre nelle donne di un gruppo sono state rilevate delle attivazione meno intense. In un altro studio fatto su uomini e donne sottoposti al riso e al pianto di un bambino si è osservato che nelle donne viene attivata l’amigdala ed altre regioni deputate all’empatia mentre negli uomini si rilevava una attivazione più intensa al segnale di controllo. Questi studi hanno dimostrato che i segnali dei bambini sono particolarmente attivanti per la sintonizzazione materna. L’attivazione materna dell’amigdala potrebbe spiegare il fenomeno del “concern” che caratterizza il post-partum illustrato precedentemente, in quanto l’attivazione dell’amigdala è legata al senso di preoccupazione. IL VOLTO DEL BAMBINO COME STIMOLO AFFETTIVO Charles Darwin, nel 1878 affermava che il volto del bambino ha una grande rilevanza per la sopravvivenza della specie in quanto le sue caratteristiche stimolano gli adulti al suo accudimento. Successivamente Lorenz affermò che deve esistere uno schema innato che induce gli adulti a prendersene cura; secondo Bowlby la fronte ampia, i grandi occhi e le guance sporgenti, caratteristiche dei bambini sono gli elementi che stimolano l’accudimento. Recentemente, con la possibilità di utilizzare tecniche di brain-imaging, sono stati fatti diversi studi che hanno potuto individuare le zone cerebrali che si attivano quando un adulto vede il volto di un bambino. In una di queste ricerche, un campione di adulti è stato sottoposto ad fMRI mentre gli venivano fatte vedere foto di bambini, fra cui i loro figli. Questa ricerca ha evidenziato che le foto dei figli attivavano zone cerebrali specifiche questo però ancora non dimostra che adulto possa essere stimolato da un qualsiasi bambino. In un altro paradigma sperimentale Leibenluft ha mostrato ad un campione di genitori i volti dei figli di età compresa fra i 5 e i 12 anni mostrando che esse inducevano un’ attivazione intensa della zona cerebrale coinvolta con l’empatia. Una possibile spiegazione è che nella fascia di età considerata si sia già sviluppata una relazione con i genitori basata sulla mentalizzazione e che quindi ci sia una attivazione prevalente della zona osservata. In uno studio più recente di Kleingerbach , basato sulla magnetoencelografia, sono state studiate le regioni di attivazione cerebrale in relazione sia ad immagini di adulti che di bambini. I risultati hanno evidenziato che venivano attivate zone della corteccia orbitofrontale mediale implicata nel comportamento di reward (legato al piacere) sono nel caso delle immagini dei bambini. Questo dimostra che le caratteristiche del volto dei bambini predispongono gli adulti alla loro cura. EMPATIA MATERNA E SISTEMA DEI NEURONI SPECCHIO È dunque chiaro che le esperienze intersoggettive vengono mappate nel funzionamento cerebrale dell’individuo, sin dai primi anni di vita. Questo aspetto può essere ulteriormente illustrato facendo riferimento alla recente scoperta del sistema dei neuroni specchio (Gallese). Attraverso il processo della “simulazione incarnata”, i neuroni specchio mappano le azioni osservate e personalmente eseguite, così come le emozioni e le sensazioni osservate e soggettivamente esperite, all’interno dello stesso substrato neurale (rilevate attivazioni nelle regioni corticali premotorie, in particolare la corteccia premotoria ventrale e il giro frontale inferiore, aree dotate del meccanismo specchio). 25 In questo modo, il sistema dei neuroni specchio può essere descritto come il correlato neurobiologico del sistema intersoggettivo, dal momento che rappresenta la motivazione innata a entrare in contatto con le emozioni degli altri e a condividerne l’esperienza soggettiva. Le ricerche svolte dimostrano che l’imitazione delle espressioni facciali infantili (di gioia, di distress e ambigue) attivi il sistema dei neuroni specchio in misura maggiore rispetto alle espressioni neutre. Il sistema dei neuroni a specchio interagisce con il sistema limbico ( cervello emozionale) attraverso l’insula anteriore che é strettamente connessa con l’empatia. - Primo esperimento (Lenzi ed altri 2009): si studia l’inter-soggettività materna sottoponendo stimoli rappresentati da volti infantili con diverse espressioni a delle madri. I volti sono di due bambini: uno è del figlio e l’altro di un bambino non familiare (in età preverbale). Si chiede alle madri di osservare i volti e a) osservare e empatizzare b) imitare le espressioni facciali mentre sono sottoposte a fMRI. Risultati: 1) nell’osservazione e empatizzazione le madri mostravano una più intensa risposta bilaterale nelle aree dei neuroni a specchio quando era mostrata la foto dei loro bambini (nel caso dei loro bambini c’è uno sforzo di comprensione maggiore ma anche ad una maggiore familiarità motoria delle espressioni osservate). In contemporanea si attivava la regione dell’insula e di regioni demandate alla funzione autorifessiva, quindi è stata dimostrata una connessione fra neuroni a specchio ed empatia. 2) Nell’imitazione si attivavano i neuroni a specchio in misura maggiore relativamente ad emozioni di gioia, distress e ambigue mentre si attivavano meno rispetto ad espressioni neutre. Le espressioni ambigue attivano la corteccia prefrontale che è preposta ai processi cognitivi (le madri attivano circuiti demandati alla comprensione di queste espressioni). In questo caso non è stata riscontrata nessuna differenza fra attivazione di fronte ad espressioni dei propri bambini e attivazione di fronte ad estranei (forse dovuta alla saturazione dei sistemi neurali coinvolti per uno sforzo della comprensione delle espressioni). L’attivazione del sistema neuroni a specchio-insula-sistema limbico in risposta alle espressioni facciali infantili sostiene l’ipotesi che il meccanismo specchio sostiene la comprensione degli stati mentali dei bambini da parte delle madri. Si ipotizza anche che in madri con più capacità di mentalizzazione questo sistema si attivi più intensamente. In questo modello l’insula è considerata un relay (elemento di congiunzione) fra rappresentazione dell’azione col sistema a specchio e processamento emozionale (l’insula é anche connessa col sistema viscero-motorio responsabile delle reazioni fisiologiche). I risultati sono in linea con l’ipotesi che l’empatia venga generata dall’imitazione interna degli stati degli altri. Comunque vale solo per le espressioni non neutre come gioia e sofferenza, che devono essere imitate attivamente. L’attivazione dell’amigdala potrebbe essere associata al meccanismo di reward materno. Quando il bambino sorride si attiva l’amigdala e la mamma si sente felice e sorride comunicando al bambino la sua felicità. - Secondo esperimento (Lenzi ed altri 2009) Si ripete quello di prima con la differenza che vengono somministrate immagini di espressioni di bambini a giovani donne adulte senza bambini divise in due classi: 1) donne sicure 2) donne distanzianti secondo la classificazione dell’attaccamento adulto. I risultati sono in linea con quelli dell’esperimento precedente perché si sono osservati gli stessi profili di attivazione neurale. Quello che è sorprendente è che le donne distanzianti presentavano una intensità maggiore di attivazione di zone cerebrali che comprendono anche i neuroni a specchio ma una disattivazione delle zone deputate ai processi reward (orbitofrontali) il che può spiegare il tipico comportamento distanziante. Le donne distanzianti avrebbero quindi una attivazione implicita non modulata dei neuroni a specchio che viene compensata da una maggiore attività cognitiva. La disattivazione del sistema emozionale non modulato sarebbe maggiore in presenza di espressioni di distress. Si può dedurre che la disattivazione della regione orbito-frontale inibisce le capacità di attaccamento, dunque la regione orbito-frontale non serve solo al processo di reward ma ha anche un ruolo di gratificazione e promozione di un comportamento positivo. Studi su donne alessitimiche (con segni di desregolazione emozionale) effettuati con la Toronto Alexithimia Scale 20-items (tas-20 di taylor ed altri) hanno mostrato che se gli si chiedeva di descrivere i propri sentimenti di attaccamento gli si disattivavano le regioni orbitofrontali. In sintesi il sistema genitoriale potrebbe essere connesso al sistema motivazionale intersoggettivo a sua volta connesso col sistema di attaccamento (entrambi importanti per la sopravvivenza e la perpetuazione della specie). In virtù di questi processi, si crea uno spostamento primario nel senso generale del sé che include l’identità materna, con l’attivazione della peculiare configurazione psicologica, nota come “costellazione materna” (Stern). 26 CAPITOLO 6 LA MATRICE PRIMARIA DELL’INTERSOGGETTIVITÀ Dopo il parto, madre e bambino interagiscono per soddisfare e regolare i reciproci bisogni primari. Madre e bambino sono intrinsecamente motivati “a sentirsi attratti” l’una dall’altro e a ricercare un contatto reciproco”. Abbiamo già evidenziato quanto le madri siano attratte dal volto del bambino, che le stimola a livello affettivo a orientarsi verso di lui e a prendersene cura: durante gli scambi interattivi, la madre cerca di catturare lo sguardo del bambino e di mantenere il contatto visivo con lui, proponendogli anche delle particolari espressioni facciali – definite “facce infantili” (Stern) – che vengono marcate (marked) da un’esagerazione nell’esecuzione, dalla maggiore durata di presentazione e da movimenti facciali più lenti. Anche i comportamenti che sostengono il contatto visivo vengono amplificati: le madri, infatti, tendono a mantenere una posizione estremamente ravvicinata al bambino, per fare in modo che si focalizzi su di loro in modo esclusivo. Il bambino, d’altra parte, è orientato selettivamente verso i volti umani e li preferisce alle forme non-umane; allo stesso tempo, esprime una propensione per il linguaggio rispetto ai suoni non linguistici. La predisposizione neonatale all’orientamento verso i volti gioca un ruolo decisivo nella costruzione del legame con i genitori. In particolare, il volto con un’espressione emotiva della madre rappresenta lo stimolo visivo più potente nell’esperienza del bambino. Winnicott ha suggerito che il bambino, quando guarda la madre che lo sta guardando, vede se stesso negli occhi materni: “La madre guarda il bambino […] Ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge”; allo sfoggio che il bambino fa del proprio corpo risponde la luce che brilla nell’occhio della madre. In seguito all’orientamento verso i volti umani e la comunicazione occhio-a-occhio, un secondo passaggio importante è rappresentato dal riconoscimento reciproco selettivo, osservabile tra il bambino e i genitori nei primissimi giorni di vita. Le madri sono in grado di riconoscere il proprio bambino, identificandone l’odore, il pianto e il contatto. Allo stesso tempo, il bambino manifesta una chiara preferenza per il volto della propria madre rispetto a quello di altre persone, incluso quello di donne non familiari. Sulla base di una ricerca condotta sui ratti, Hofer ha evidenziato una rete di processi comportamentali, fisiologici e neurali, sottostanti le dimensioni psicologiche dell’attaccamento. Numerosi sistemi regolatori nascosti intervengono a livello fisiologico, nell’ambito dell’interazione madre-bambino, andando a modellare lo sviluppo infantile; in campo animale, il calore fornito dalla madre, per esempio, mantiene costante il livello di attività del cucciolo, mentre il latte materno ne stabilizza la frequenza cardiaca. In caso di separazione materna, si verifica una carenza di queste influenze regolative, che provoca un rallentamento del comportamento e una riduzione della frequenza cardiaca. Nella prima fase della vita si ha una massiccia formazione di sinapsi che è chiamata sinaptogenesi: in pratica le informazioni esterne stimolano la formazione di moltissime strutture neuronali e quindi risulta che il bambino abbia un numero di sinapsi di gran lunga maggiore a quelle di un adulto. Col tempo, però, avviene una selezione e le sinapsi meno utilizzate vengono eliminate mentre vengono mantenute quelle più utilizzate. Questo processo è detto di pruning (potatura). A seguito di questo processo dopo un certo tempo il bambino raggiunge una densità sinaptica comparabile a quella di un adulto. È stato ipotizzato che questo processo sia specifico della selezione dei suoni nel senso che l’organizzazione sonora viene costruita a partire dai suoni dell’ambiente e quindi, per ottimizzarla, vengano eliminati quei suoni che sono meno frequenti. Infatti i bambini, ad un anno di vita, perdono la capacità di distinguere tra i suoni a cui non sono stati esposti. AGENCY E MUTUA REGOLAZIONE TRA CAREGIVER E BAMBINO Assumendo la prospettiva sistemica, ogni partner, con la propria organizzazione personale, influenza l’altro ed è contemporaneamente influenzato dall’altro e il bambino ha un proprio senso di agency mediante il quale influenza il sistema. Possiamo definire l’agency come l’influenza che il bambino ha sul sistema stesso. Stern lo ha chiamato anche senso agente del sé. Questa capacità consente ai bambini di rilevare le contingenze tra il proprio comportamento e le risposte che provengono dall’ambiente. Strettamente connesso al concetto di agency è quello di efficacia, considerato da Lichtenberg come una motivazione centrale nello sviluppo: il bambino sperimenta un senso di efficacia quando riesce a far soddisfare i propri bisogni (per esempio, quando viene gratificato dal latte della madre dopo avere pianto). Il bambino e la madre imparano insieme a regolare gli stati affettivi e comportamentali, questo consente al bambino di apprendere come comunicare e interagire con gli altri, e come attivarsi all’interno del proprio ambiente. Il processo della mutua regolazione si dispiega nel corso dello sviluppo, acquisendo un’organizzazione sempre più complessa. 27 preferenza per i suoi caregivers, cercando il contatto – soprattutto durante le situazioni stressanti – ed esprimendo disagio quando si separa dalla figura di attaccamento. Durante i primi anni, la vicinanza alle figure di attaccamento garantisce al bambino un senso di sicurezza, rassicurandolo sulla disponibilità del caregiver nei momenti di bisogno. L’attaccamento sicuro fornisce anche le basi per l’esplorazione indipendente del bambino (Bowlby). La disponibilità e la capacità del caregiver di rispondere prontamente e in modo contingente ai segnali del bambino è un prerequisito indispensabile per la sicurezza dell’attaccamento (Ainsworth), ma la sicurezza nell’attaccamento è associata più alla sensibilità dei genitori durante i primi mesi di vita che a quella manifestata nelle fasi successive dello sviluppo: più tardi, quando il comportamento del bambino diventa più complesso e la vicinanza fisica non è più sufficiente a soddisfare i suoi bisogni, intervengono altre competenze genitoriali nel mantenimento dell’attaccamento. Negli anni successivi, per il bambino può diventare importante che i genitori condividano le sue esperienze durante le interazioni, assumendo il ruolo di riferimento sociale. Un’altra importante competenza genitoriale enfatizzata da Fonagy è la capacità del genitore (evidente subito dopo la nascita), di concepire il bambino come un’entità mentale all’interno della relazione. Questa capacità, ha un ruolo critico per lo sviluppo nel bambino di un attaccamento sicuro e della lettura della mente. Secondo Fonagy, lo sviluppo della mentalizzazione e dell’attaccamento sicuro nel bambino sono strettamente associati alla capacità del caregiver di osservare e leggere i cambiamenti nel suo stato mentale. In altre parole, il bambino si sente più sicuro, non solo perché il caregiver è vicino e raggiungibile (Bowlby ha sottolineato l’importanza della vicinanza al caregiver che promuove la sicurezza del bambino), ma anche perché può predirne i comportamenti rilevanti per le richieste di attaccamento. Un’interessante questione riguarda la connessione tra la sensibilità e la mentalizzazione, che sono strettamente associate, anche se il concetto di sensibilità sottolinea la componente emozionale mentre la mentalizzazione enfatizza quella cognitiva. Beebe e collaboratori hanno evidenziato come l’aggancio visivo-facciale e il contatto siano le modalità più salienti nel predire le diadi sicure e insicure. I futuri bambini sicuri sono in grado di coordinarsi con le madri utilizzando lo sguardo, le emozioni facciali e le emozioni vocali (il ritmo vocale uno dei meccanismi di trasmissione della sicurezza nell’attaccamento). Come ha ipotizzato MacDonald, nella genitorialità coesisistono due diversi atteggiamenti: - uno è basato sul sistema di sicurezza-separazione-distress, che viene attivato dal legame di attaccamento; - l’altro è basato sul sistema sociale positivo della ricompensa (reward), che viene attivato quando il bambino inizia a esplorare. Nell’ultima situazione, i genitori condividono le scoperte del bambino, confermandone le capacità. Anche gli affetti coinvolti in questi sistemi sono diversi. Nella prima situazione i genitori esprimono sensibilità e protezione; nella seconda esprimono gioia, conferme e condivisione. I comportamenti di attaccamento sono stati studiati in un contesto standardizzato (Ainsworth), che mette in evidenza il modo in cui un bambino organizza i comportamenti di attaccamento quando ha bisogno di protezione o desidera esplorare l’ambiente. Ainsworth e collaboratori hanno studiato i comportamenti dei bambini durante il primo anno di vita anche in ambito domestico, osservando come i bambini con attaccamento insicuro (evitanti o ambivalenti) piangessero di più e manifestassero più rabbia e meno disciplina con le proprie madri, rispetto ai bambini con attaccamento sicuro. Durante la Strange Situation, le madri dei bambini insicuri si comportano in modo non focalizzato, manifestano una ridotta sensibilità, sono più interferenti e meno responsive nei confronti delle richieste dei figli, rispetto alle madri dei bambini sicuri. Le madri dei bambini evitanti manifestano rifiuto e avversione verso il contatto fisico con i loro bambini ed esprimono una gamma di emozioni ristrette durante l’interazione con loro. NUOVI SVILUPPI NELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO Sebbene sia stato utile per descrivere i comportamenti osservabili, l’approccio tassonomico scelto da Ainsworth e collaboratori può non cogliere le dinamiche mentali consce e inconsce del bambino che influenzano le sue risposte all’interno della relazione di attaccamento. Gli ampliamenti delle indagini sulle differenze individuali, tuttavia, non negano o sminuiscono l’importanza delle classificazioni esistenti. Sono state evidenziate chiare connessioni tra le osservazioni durante la Strange Situation e quelle in ambito domestico, che suggeriscono che la qualità dell’attaccamento possa dipendere più dal temperamento del bambino che dall’interazione madre-bambino. Va sottolineato, tuttavia, che non è stata rilevata un’associazione diretta tra il temperamento infantile e la sicurezza nell’attaccamento. 30 Un possibile percorso di studio potrebbe essere l’approfondimento del concetto di modello operativo interno, come concettualizzato da Bowlby, che ha una specifica area di funzionamento connessa alle aspettative del bambino riguardo la disponibilità e la responsività dei suoi caregivers. Queste aspettative vengono integrate all’interno di un’organizzazione rappresentazionale più ampia, che include la rappresentazione del sé, la rappresentazione delle figure di attaccamento, le interpretazioni personali delle proprie esperienze relazionali e le strategie decisionali utilizzate per interagire con gli altri. Inoltre Bowlby ha ipotizzato che, durante l’infanzia, il bambino costruisca una gerarchia di relazioni di attaccamento: in altre parole, una rete di relazioni di attaccamento. In alcune situazioni clinicamente rilevanti, due o più modelli operativi interni della stessa figura di attaccamento possono operare a fianco di due o più modelli del sé. Bowlby sottolinea che: ”Quando sono in azione più modelli di una sola figura, è facile che essi differiscano quanto a origine, a dominanza, e alla misura in cui il soggetto ne è consapevole. È cosa comune trovare in una persona che soffra di disturbi emotivi che il modello che ha il maggior peso per le sue percezioni è un modello formatosi durante i primissimi anni della vita, ma di cui la persona stessa può essere relativamente o completamente inconsapevole; mentre simultaneamente è operante in lui un secondo modello, magari radicalmente incompatibile con il primo, formatosi più tardi, assai più complesso, di cui la persona stessa è più consapevole, e che può inoltre erroneamente ritenere il modello dominante”. Relazione fra attaccamento e temperamento: questa relazione implica diversi ambiti. L’attaccamento dipende da una esperienza relazionale di reciprocità e assume le proprietà di un sistema di controllo e correzione (goal-corrected partnership). Se l’attaccamento dipendesse dal temperamento questo creerebbe un mismatch col caregiver che da un punto di vista evoluzionistico potrebbe creare un ostacolo. Da un punto di vista genetico non sono state trovate delle prove attendibili della relazione fra attaccamento e temperamento. Relazione fra attaccamento e atteggiamento intersoggettivo: l’attaccamento ha un dominio specifico che è quello del sistema motivazionale dell’attaccamento mentre la mentalizzazione è la capacità di interpretare il comportamento di se stessi e degli altri in termini di desideri, credenze, motivazioni e aspettative. Secondo Fonagy esiste una relazione fra attaccamento sicuro e mentalizzazione. Il legame di attaccamento comporta mutualità e reciprocità interpersonali che sono aspetti necessari a condividere affetti e intenzioni col caregiver. La percezione del bambino di essere inteso come essere intenzionale è parte del caregiving sensibile che è rilevante per lo sviluppo dell’attaccamento sicuro e l’attaccamento sicuro fornisce la base per lo sviluppo di una teoria della mente. Il bambino sicuro sviluppa capacità di mentalizzazione perché ha di fronte un caregiver prevedibile e quindi è facile leggere i loro stati mentali. Il sistema motivazionale intersoggettivo è un sistema motivazionale di base caratteristico della nostra specie. Dobbiamo considerare ora la relazione tra la teoria dell’attaccamento e la psicoanalisi, in quanto entrambe ipotizzano che il comportamento e il pensiero esplicito siano strettamente collegati ai processi mentali non- consci. A questo proposito, la recente nascita di una psicoanalisi relazionale riduce il gap con la teoria dell’attaccamento, soprattutto perché tende a incorporarne vari aspetti. Negli anni Sessanta, si verificò un profondo contrasto tra la psicoanalisi e la teoria dell’attaccamento, in parte perché, come Mitchell ha sottolineato, il linguaggio della psicoanalisi mette in primo piano gli oggetti interni, gli stati del sé, le rappresentazioni di sé e degli altri, mentre Bowlby ha avuto “una sensibilità più comportamentale”, inoltre: “Il lato negativo dell’enfasi che Bowlby poneva sui comportamenti è lo sviluppo relativamente scarso delle dimensioni psicodinamiche della sua teoria”. Un’altra importante differenza è che Bowlby ha privilegiato gli eventi e le relazioni reali, mentre la psicoanalisi ha enfatizzato il valore della fantasia, connessa in passato alle pulsioni ma più recentemente all’immaginazione, creando dunque le condizioni per un possibile riavvicinamento. SVILUPPO DELLA MATRICE INTERSOGGETTIVA In uno stimolante articolo, Meltzoff e Moore hanno dimostrato che i neonati sono in grado di imitare i gesti facciali, manifestando quindi una capacità innata a condividere i codici della percezione e dell’azione. L’imitazione neonatale mette in luce, da un lato, la presenza di una relazione innata tra osservazione ed esecuzione dell’azione, dall’altro, l’esistenza di una connessione (presente dalla nascita) tra bambino e caregiver, che svela interessanti implicazioni per l’intersoggettività. Una tesi interessante sull’imitazione ipotizza che questa possa essere un possibile precursore della successiva acquisizione delle Teoria della Mente (Meltzoff). 31 I feti gemellari, studiati mediante l’ecografia quadrimensionale (4D) tra la quattordicesima e la diciottesima settimana gestazionale, mostrano movimenti che vengono specificatamente orientati verso il gemello che tendono ad incrementare con il proseguimento della gravidanza; partendo da questi dati si potrebbe supporre che le “azioni sociali” tendano a emergere nei feti durante la gravidanza stessa, se il contesto lo consente (come avviene nel caso dei gemelli). Ciò presuppone l’esistenza di una propensione sociale congenita, che il bambino potrebbe esprimere più tardi, dopo la nascita. Nelle fasi di sviluppo successive, i bambini tendono a imitare gli altri per confermare o rinsaldare l’amicizia e l’affiliazione, creando un sentimento reciproco di condivisione e di appartenenza. Secondo Meltzoff, il processo evolutivo dell’imitazione, potrebbe essere suddiviso in tre stadi: 1. L’equivalenza tra il sé e l’altro, confermata dall’imitazione tra le azioni osservate e quelle eseguite. 2. La registrazione da parte del bambino della relazione ripetuta tra il proprio comportamento e gli stati mentali corrispondenti. Es: il bambino sperimenta il legame tra desiderio di raggiungere un oggetto - espressione del volto e movimenti del corpo. In questo modo il bambino costruisce un legame bidirezionale tra mente e comportamento. 3. Il riconoscimento da parte del bambino che gli altri agiscono in modo simile al suo e hanno stati mentali analoghi: da ciò avrebbe inizio l’inferenza sugli stati mentali degli altri. Il processo evolutivo dell’imitazione precoce, stabilizza l’importanza del“come me” (like me-ness) negli scambi sociali. Secondo Singer e Hein le interazioni intersoggettive sono caratterizzate da sequenze evolutive: 1. La prima, definita “contagio emotivo”, avviene quando le emozioni sono trasferite da una persona all’altra senza alcuna consapevolezza che le emozioni originino da un’altra persona. Ciò avviene tipicamente quando i bambini sentono piangere un altro bambino e reagiscono piangendo anche loro. 2. La seconda sequenza è “l’empatia”, che implica la condivisione delle emozioni dell’altro, con la consapevolezza della distinzione tra sé e altro. 3. La terza sequenza è la “compassione”, che comporta un sentimento di pena per l’altro, unito al desiderio di migliorarne la condizione. 4. L’ultima sequenza, più cognitiva, è la “Teoria della Mente” o “Mentalizzazione”, che implica l’inferenza cognitiva sullo stato mentale dell’altro. Ognuna di queste esperienze intersoggettive coinvolge differenti aree cerebrali. CONTINGENZA, SINCRONIA E INTERSOGGETTIVITÀ (MATCHING) Come abbiamo già detto, la contingenza è una caratteristica importante dell’interazione genitore-bambino; definita anche come sincronia, l’importanza della contingenza è stata largamente sottolineata anche da Stern e Trevarthen (i comportamenti ritmici, il matching emergono nel flusso interattivo dello scambio madre- bambino). Dal secondo mese dopo il parto, i genitori e il bambino iniziano a mostrare una struttura temporale nella loro interazione, caratterizzata dal matching dei comportamenti e da relazioni sequenziali. Specifiche configurazioni comportamentali diventano più frequenti e più ripetitive, assumendo un carattere automatico. Per esempio, se la madre parla al bambino con una struttura linguistica ritmica – “Sei veramente un bravo bambino”, per esempio – il bambino muove la testa con lo stesso ritmo temporale del linguaggio materno, come avviene di frequente durante l’allattamento. Allo stesso tempo, lo sguardo reciproco può essere integrato con il contatto affettuoso tra genitori e bambino: dobbiamo considerare che lo sguardo reciproco e il matching delle espressioni facciali sono dimensioni tipicamente umane. Durante il periodo che va dai tre ai nove mesi di vita, la sincronia tra genitore e bambino cambia: la frequenza della sincronia dello sguardo diminuisce, mentre aumentano la condivisione dell’attenzione sugli oggetti. Queste precoci esperienze sincroniche sono fondamentali per lo sviluppo del mondo simbolico, dell’empatia, della risonanza emozionale e dell’autoregolazione, andando a influenzare la futura capacità di provare intimità. A partire dai due mesi di vita, i bambini iniziano a esprimere una risposta valutativa immediata e implicita nei confronti dei sentimenti e delle intenzioni comunicative dell’adulto, denominata “intersoggettività primaria” (Trevarthen): nella relazione caregiver-bambino, la musicalità è estremamente importante: esiste infatti l’evidenza che i bambini siano selettivamente attratti dalla melodia del linguaggio materno. I bambini tendono a coinvolgersi nelle interazioni con vocalizzazioni, movimenti del corpo e gesti, per accoppiarsi alle espressioni musicali della madre. 32 ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE Importante per la regolazione durante eventi stressanti. È quindi un sistema di regolazione dello stress che se malfunzionante, può determinare delle problematiche nello sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale; questo sistema ha l’obiettivo di tutelare la salute fisica attraverso la mobilizzazione delle scorte di energia e la stimolazione della vigilanza (rispondere allo stress nel periodo di tempo più breve possibile). Nelle situazioni di stress cronico, i livelli di cortisolo sono bassi: una ricerca ha misurato le concentrazioni di cortisolo nei bambini di donne che avevano vissuto gli attacchi dell’11 settembre: i livelli di cortisolo sono risultati significativamente più bassi, rispetto a quelli osservati nei figli di donne che non avevano sviluppato questo disturbo. MECCANISMI DI TRASMISSIONE DELLO STRESS DURANTE LA GRAVIDANZA Lo studio dei meccanismi di azione che mediano la trasmissione dello stress prenatale ai figli, introduce un’interessante prospettiva associata all’interazione tra nature e nurture (ossia all’interazione tra le caratteristiche innate – geneticamente ereditate – del bambino e la qualità delle condotte di accudimento che riceve da parte dell’ambiente). Mentre nel passato l’influenza dell’ambiente sui meccanismi genetici è stata sottovalutata, negli anni recenti la ricerca ha dimostrato che i meccanismi epigenetici, influenzati da diversi fattori (inclusi gli aspetti ambientali), intervengono sull’espressione genica, modulandone gli effetti. L’ambiente intrauterino è in grado di produrre cambiamenti strutturali e funzionali del feto, soprattutto durante i periodi critici della gravidanza, attraverso complessi meccanismi sottostanti, che hanno effetti a lungo termine sulla salute del bambino. La rilevanza dei meccanismi epigenetici ambientali è stata riconosciuta e documentata in molti studi sugli animali. Nelle situazioni di stress cronico, i livelli di cortisolo sono bassi, i livelli dell’ormone di rilascio della corticotropina sono elevati e la sensibilità al sistema di feedback negativo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è aumentata. Affinché la risposta allo stress sia adattativa, i livelli di cortisolo devono essere necessariamente nella norma. Il cortisolo (comunemente, ormone dello stress) è un ormone prodotto dalla corteccia del surrene, coinvolto nella risposta fisiologica allo stress e all’ansia. Livelli insolitamente elevati indicano, al contrario, una risposta allo stress non adattativa, in grado di provocare varie patologie. Livelli elevati di cortisolo prenatale (misurato tra la trentesima e la trentaduesima settimana gestazionale) risultano predire la presenza di una reattività negativa temperamentale del bambino, definita da agitazione, pianto frequente ed espressioni facciali negative, soprattutto a due mesi dalla nascita e sono associati a successive disfunzioni sul piano emozionale e cognitivo, che includono il rischio di ansia e depressione, deficit attentivi e iperattività, e ritardi del linguaggio. 35 Una nuova e interessante prospettiva sulle conseguenze dello stress sull’organismo sottolinea il ruolo rilevante dei telomeri (strutture specializzate, che proteggono le terminazioni dei cromosomi dalle attività di degradazione del dna). I telomeri significativamente corti o quelli carenti di qualche proteina telomerica perdono la propria funzionalità. Lo studio dei telomeri ha messo in luce un rapido accorciamento telomerico in risposta agli eventi di vita stressati. Il gruppo di Blackburn e collaboratori dell’Università della California, attraverso numerosi e innovativi studi, ha individuato un’associazione tra lo stress cronico e gli indici di malattia, inclusi problemi cardiovascolari e inadeguata funzione immunitaria. A partire da questi presupposti, è stato ipotizzato che lo stress influenzi lo stato di salute, attraverso la modulazione dell’azione cellulare. STRESS E RISCHIO PSICOSOCIALE NELLO SVILUPPO INFANTILE I bambini cresciuti in famiglie altamente stressate presentano difficoltà nei processi relazionali e non rientrano nelle tre categorie dell’attaccamento originalmente descritte da Ainsworth. Partendo da queste evidenze, Main e Solomon hanno sviluppato una quarta categoria dell’attaccamento infantile – di tipo disorganizzato/disorientato –, che comprende bambini che manifestano comportamenti disorientati e conflittuali in presenza del genitore. Gli aspetti di disorganizzazione e disorientamento nel comportamento del bambino derivano da due bisogni opposti e simultanei: avvicinarsi al genitore per ottenere protezione e allontanarsene per paura. A questo proposito, gli studi hanno rilevato la presenza di un attaccamento disorganizzato nell’90% dei bambini abusati e trascurati. Anche l’assenza dell’intervento e della protezione da parte del caregiver e altri fattori di rischio familiare (come, per esempio, l’abuso di sostanze da parte della madre) sono frequentemente associati alla disorganizzazione dell’attaccamento infantile. Durante l’interazione con il bambino, i genitori traumatizzati tendono a esprimere un atteggiamento spaventato o spaventante: espressioni minacciose, espressioni spaventate, manifestazioni dissociative, comportamento esitante o deferente, atteggiamento coniugale o sentimentale e, infine, comportamento disorganizzato. Questi comportamenti producono un conflitto nel bambino, limitandone la capacità di organizzare una coerente strategia di attaccamento. Lyons-Ruth, ha ipotizzato che anche forme contraddittore e interrotte di comunicazioni interattiva affettiva interferiscono con l’organizzazione di una coerente strategia dell’attaccamento, a causa dell’espressione, da parte del genitore, di comportamenti negativo-intrusivi, confusione di ruolo, ritiro, errori affettivo-comunicativi e disorientamento. Il comportamento delle madri dei futuri bambini disorganizzati è risultato caratterizzato da un eccessivo spostamento dello sguardo dal volto dei figli, movimenti della testa minacciosi, frequenti espressioni di sorpresa durante il distress dei bambini, ridotta coordinazione emozionale, eccessiva autocontingenza facciale e minore contingenza nel contatto con i bambini. È possibile dedurre che i comportamenti divergenti delle madri possano creare una confusione nei bambini, i quali, secondo Beebe e collaboratori, sperimentano una difficoltà nel sentirsi riconosciuti dalla madre e, allo stesso tempo, nel comprendere la mente materna: questi aspetti compromettono la capacità dei bambini di conoscere se stessi e di avere un possibile senso di padronanza del proprio corpo. 36 Come Schore ha scritto, “la reazione psicobiologia del bambino ai gravi fattori di stress interpersonale comprende due separati patterns di risposta, iper-attivazione e dissociazione”: generalmente le femmine esposte al comportamento spaventante e ai comportamenti di ritiro delle madri continuano a ricercare un contatto con loro, mentre i maschi mostrano un comportamento conflittuale disorganizzato e condotte di evitamento. Mentre la dissociazione e l’iper-attivazione sono le risposte infantili più ricorrenti allo stress traumatico, l’inversione di ruolo può rappresentare una possibile conseguenza dell’esposizione del bambino al conflitto coniugale dei genitori (spillover - letteralmente, ripercussione). Mentre nelle famiglie tipiche i genitori sono focalizzati sui bisogni del bambino, nelle interazioni caratterizzate da inversione di ruolo il genitore appare assorbito dai propri bisogni personali, mostrando insensibilità e mancanza di responsività nei confronti del figlio. Come Sroufe e collaboratori hanno sottolineato, “il genitore abdica al ruolo genitoriale e il bambino viene trattato come un partner, un coetaneo o un caregiver”. Lo sviluppo del bambino viene influenzato negativamente dall’inversione di ruolo genitoriale, perché il genitore che vive un conflitto con il partner può trasferire sul figlio il proprio bisogno di intimità e protezione. In questi casi, il genitore trae conforto e sicurezza dal bambino, il quale viene percepito come un’estensione del sé, necessaria all’autoregolazione genitoriale. Alcune ricerche hanno evidenziato una associazione tra conflitto genitoriale e il disturbo di aritmia sinusale respiratoria (battito cardiaco irregolare nel bambino) come l’esito di un possibile spillover del conflitto genitoriale sui comportamenti genitoriali. MALTRATTAMENTO E TRASCURATEZZA: EFFETTI NEI BAMBINI I genitori maltrattanti manifestano minore soddisfazione con i figli, percepiscono l’accudimento come più conflittuale e meno gratificante, e utilizzano metodi educativi maggiormente controllanti. I genitori abusanti non sostengono e, a volte, interferiscono con lo sviluppo dell’autonomia dei bambini, obbligandoli a vivere in un contesto familiare isolato. I genitori abusanti utilizzano meno scambi fisici e verbali per attrarre e orientare l’attenzione dei bambini, all’interno di interazioni che risultano altamente aggressive sul piano verbale e fisico. Rispetto alle madri non abusanti, le madri abusanti sono state descritte come più controllanti, intrusive e ostili nei confronti dei loro figli: questi comportamenti vengono frequentemente riproposti dai bambini, provocando scambi negativi caratterizzati da rabbia. L’attaccamento dei bambini maltrattati è profondamente influenzato dalle interazioni con i genitori: in questi bambini, infatti, la procedura osservativa della Strange Situation ha rilevato una prevalenza di attaccamenti disorganizzato, significativamente maggiore di quella osservata nei bambini non maltrattati. Assumendo la classificazione tradizionale dell’attaccamento, questi primi studi hanno, infatti, evidenziato la presenza di un attaccamento disorganizzato, in aggiunta ai tre previsti all’interno della classificazione originale della Ainsworth (sicuro, ansioso-evitante e ansioso resistente) nei due terzi dei bambini maltrattati. Un’interessante ricerca ha rilevato nei bambini maltrattati (indipendentemente dalla loro capacità cognitiva) una ridotta capacità di riconoscere le emozioni, unita a una specifica ipersensibilità verso la rilevazione della rabbia. Secondo questi ricercatori, nei bambini vittime di abuso fisico, l’accentuata sensibilità nei confronti dei segnali associati alla rabbia è legata a una scarsa capacità attentiva e di riconoscimento nei confronti degli altri segnali emozionali. In questi bambini, la rabbia viene percepita come l’espressione emozionale più saliente del proprio ambiente di vita, poiché rappresenta il maggiore elemento predittivo delle situazioni imminenti di minaccia e pericolo. Questi dati hanno delle rilevanti implicazioni per l’intervento con i bambini maltrattati, i quali hanno bisogno non solo di un sostegno protettivo, ma anche di un apprendimento emozionale che possa facilitare il riconoscimento delle emozioni a cui non sono abituati. L’esperienza del maltrattamento e dell’abuso sessuale durante l’infanzia è fortemente predittiva della dissociazione in adolescenza; in presenza di una carente disponibilità genitoriale durante l’infanzia, invece, i fenomeni dissociativi tendono a manifestarsi in età adulta. Dal punto di vista psicologico e psicopatologico, la dissociazione infantile rappresenta una tipica reazione alle avversità, dal momento che i bambini tendono a utilizzare la fantasia o il gioco durante le situazioni conflittuali. Nelle fasi successive dello sviluppo, la fantasia può assumere un significato psicopatologico, divenendo una risposta di routine, una sorta di rifugio psichico, alle difficoltà, che indebolisce l’organizzazione del sé, creando modelli multipli del sé, così come è stato descritto da Bowlby. A livello neurobiologico, l’abuso infantile interferisce con la maturazione del sistema limbico dell’emisfero destro, provocando l’insorgenza di processi di tipo dissociativo. 37
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