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Psicologia Generale, Robert S. Feldman, Appunti di Psicologia Generale

La seconda edizione del manuale di Psicologia Generale di Feldman è frutto di un attento e rigoroso lavoro di revisione teso ad aggiornarlo, arricchirlo e a potenziare i punti di forza della prima edizione.

Tipologia: Appunti

2017/2018
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Scarica Psicologia Generale, Robert S. Feldman e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Robert Feldman PSICOLOGIA GENERALE CAPITOLO 1 Introduzione alla psicologia: la storia e i metodi Di che cosa si occupa la psicologia? La psicologia è lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali. Nella storia della psicologia la maggior parte degli studiosi con delle domande, aprendo lo studio del comportamento e dei processi mentali a comprendere non solo ciò che le persone fanno, ma anche i loro pensieri, le sensazioni, le percezioni, i processi di ragionamento ecc. Gli psicologi cercano di descrivere e spiegare il comportamento umano e i processi mentali degli individui. L'utilizzo dei metodi scientifici ha permesso alla psicologia in quanto scienza di trovare risposte valide e legittime, spesso discordanti da quelle derivanti da intuizioni e speculazioni. 1.1 Una scienza in evoluzione: passato, presente e futuro 1.1.1 Le radici della psicologia Le radici della psicologia possono essere ricondotte agli antichi greci e romani. La psicologia è nata rendendosi autonoma da queste due scienze: la filosofia e la neurofisiologia. La progressiva autonomia della psicologia della filosofia è stata resa possibile dal passaggio dallo studio della mente sul piano filosofico, allo studio della relazione tra mente e corpo sul piano naturalistico. Oggi l'oggetto della psicologia è lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali, dell'essere vivente nel suo rapporto con l'ambiente, mentre lo esperisce, vi agisce e lo rappresenta. In altri termini: l'uomo-soggetto della propria attività mentale e fisica. La psicologia si occupa dell'unità mente e cervello e delle sue relazioni con il comportamento dell'essere umano inserito nel suo ambiente fisico e sociale. 1.1.2 Wundt e lo strutturalismo L'inizio “formale” della psicologia come scienza viene fissato nel 1879 quando Wilhelm Wundt, fisiologo di formazione, fondò a Lipsia il primo laboratorio sperimentale dedicato ai fenomeni psicologici, che egli definì Laboratorio di psicologia fisiologica. La sua aspirazione era di studiare gli elementi della mente mediante una disciplina descrittiva, sistematica e atomistica utilizzando il metodo scientifico sperimentale. Questo approccio veniva denominato strutturalismo. Lo strutturalismo si focalizzava sullo studio degli elementi fondamentali che costituiscono la base di percezione, coscienza, pensiero, emozioni, e altri tipi di attività e stati mentali. I fatti psichici vengono considerati come la somma di elementi semplici che li compongono. Wundt sosteneva che l'oggetto della psicologia fosse lo studio della esperienza diretta o immediata, ossia il “contenuto di coscienza” che il soggetto aveva riguardo alla sua attività mentale conscia. Wundt e altri strutturalisti usarono il metodo introspettivo per studiare la mente, al fine di arrivare a comprendere come si combinano le sensazioni di base per produrre la nostra percezione del mondo. Col tempo gli psicologi contestarono lo strutturalismo da un punto di vista teorico, mettendo in discussione il suo approccio elementarista. Queste obiezioni portarono all'evoluzione di nuovi approcci che soppiantarono lo strutturalismo. 1.1.3 James e il funzionalismo William James negli Stati Uniti, allestì il suo laboratorio fondato sul funzionalismo, in aperto scontro con i presupposti dello strutturalismo. Il funzionalismo è costituito dalle teorie evoluzionistiche di Darwin. In esso viene sostenuto che le attività psichiche subiscono una evoluzione per selezione naturale e che in questa evoluzione un ruolo determinante è dato dall'adattamento dell'individuo all'ambiente. Su queste basi diviene rilevante studiare non tanto gli elementi che costituiscono la coscienza (la sua struttura) ma i suoi cambiamenti e le sue funzioni nell'adattamento dell'uomo all'ambiente. Si inizia a prendere in considerazione l'evoluzione dei processi mentali. La coscienza viene definita come stream of counsciousness, un flusso dinamico continuo di esperienza non scomponibile in elementi. Il pedagogista americano John Dewey attinse al funzionalismo per sviluppare il campo della psicologia dell'educazione, proponendo dei metodi per meglio incontrare i bisogni educativi dei ragazzi. 1.1.4 Wertheimer e la Gestalt Lo sviluppo della psicologia della Gestalt fu all'inizio del Novecento in Europa. La psicologia della Gestalt è caratterizzata dall'attenzione all'atto unitario della percezione e si concentra sullo studio delle regole fenomeniche che la presiedono. Il fondatore della scuola della Gestalt viene considerato Wertheimer noto in particolare per la sua definizione di movimento apparente o movimento stroboscopico. Esso richiede una organizzazione globale logicamente precedente nel processo percettivo, rispetto agli elementi di cui è composto. Gli psicologi della Gestalt seguono il percorso opposto, concentrandosi su come gli individui giudicano l'insieme di singoli elementi visti come unità o “intero”. I gestaltisti utilizzano il metodo fenomenologico sperimentale. Esso richiede il controllo rigoroso di due componenti: il variare dei cambiamenti percettivi del soggetto al variare delle caratteristiche fisiche dell'oggetto indicato. 1.1.5 Freud e la psicoanalisi La psicoanalisi è sia un metodo di psicoterapia sia una teoria della personalità. Nell'indagine dell'attività mentale umana essa si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedono al di fuori della sfera della coscienza. La psicoanalisi nasce per curare i disturbi mentali indagando le dinamiche inconsce dell'individuo. Il medico viennese Sigmund Freud ipotizzò che alla base dei disturbi mentali fosse riscontrabile un conflitto tra richieste psichiche opposte. Formulò tre ipotesi riguardo alla possibile genesi del conflitto: il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà; il conflitto tra pulsione sessuale e pulsione di autoconservazione; il conflitto tra pulsione di vita e pulsione di morte. La psicoanalisi pone tra gli obiettivi principali la risoluzione di tale conflitto, possibile attraverso l'indagine dell'inconscio del paziente. Con l'avanzare delle conoscenze nel campo e in campi limitrofi, la teoria classica della psicoanalisi è andata incontro a discussioni e ampliamenti. Da essa si sono staccate diversi filoni che hanno dato vita a nuove scuole di pensiero riconducibili al filone psicoanalitico. 1.1.6 La teoria comportamentista La teoria comportamentista nacque negli anni venti come reazione all'enfasi posta sui meccanismi interni della coscienza o della mente, ritenuti dal comportamentismo impossibili da osservare direttamente e da misurare obiettivamente. John Watson, studioso di psicologia animale, fu il primo psicologo americano a sostenere tale Teorie: formulare spiegazioni generali Una volta identificata una domanda, il passaggio successivo nel metodo scientifico è di sviluppare una teoria che spieghi il fenomeno osservato. Le teorie sono spiegazioni generali e predizioni che riguardano il fenomeno che interessa. Esse forniscono un contesto per la comprensione delle relazioni tra un insieme di fatti e principi altrimenti non organizzati. Le teorie sono stabilite sulla base di un attento studio della letteratura psicologica per identificare ricerche pertinenti e teorie formulate precedentemente. Ipotesi: formulare predizioni verificabili Il passo successivo è quello di escogitare un metodo per verificare la teoria. Per farlo c'è bisogno di creare un'ipotesi. Un'ipotesi è una predizione formulata in modo da permettere di essere testata. Le ipotesi derivano da teorie: aiutano a testare il fondamento delle teorie. Il metodo scientifico, con la sua enfasi sulle teorie e sulle ipotesi, aiuta gli psicologi a porsi domande appropriate. Con domande propriamente formulate, gli psicologi possono scegliere fra metodi di ricerca diversi per trovare delle risposte. 1.2.2 Ricerca in psicologia La Ricerca – indagine sistematica volta alla scoperta di nuove conoscenze – è un ingrediente centrale del metodo scientifico in psicologia. Fornisce la chiave per comprendere il grado di accuratezza delle ipotesi (e delle teorie). Le ipotesi devono essere riformulate in maniera tale da permettere di essere verificabili, questa procedura è nota come operazionalizzazione. L'operazionalizzazione è il processo per la trasformazione di un'ipotesi in procedure specifiche, verificabili che possano essere misurate e osservate. Rassegne della letteratura Nella rassegna della letteratura, per testare un'ipotesi vengono esaminati i dati esistenti. Essa è un mezzo relativamente economico per testare un'ipotesi poiché qualcun altro ha già raccolto i dati di base. La maggioranza dei tentativi nella rassegna della letteratura è intralciata dal semplice fatto che spesso non esistono i documenti con le informazioni necessarie. In questi casi, i ricercatori si rivolgono frequentemente a un altro metodo di ricerca: l'osservazione naturalistica. Osservazione nell'osservazione, il ricercatore osserva alcuni specifici comportamenti che si presentano naturalmente e non opera cambiamenti nella situazione. Il ricercatore registra soltanto ciò che accade, senza apportare modifiche alla situazione che sta osservando, perciò deve aspettare finché non si presentano le condizioni adatte. Ricerca con sondaggio Nella ricerca con sondaggio si sceglie un campione di persone rappresentativo del gruppo più grande, cui viene fatta una serie di domande su comportamento, pensiero o attitudini. Studio di casi A differenza del sondaggio, in cui si studiano molte persone, uno studio di casi è un esame intenso e approfondito di un individuo o di un piccolo gruppo. Ricerca per correlazione I ricercatori spesso tentano di determinare la relazione tra due variabili. Le variabili sono comportamenti, eventi, o altre caratteristiche che possono in qualche modo cambiare o deviare. Nella ricerca per correlazione si esamina la relazione tra due gruppi di variabili per determinare se sono associate o “correlate”. L'incapacità di ricerca per correlazione di dimostrare la relazione causa-effetto è un importante inconveniente per il suo utilizzo. C'è una tecnica alternativa che dimostra la causalità: l'esperimento. 1.2.3 Ricerca sperimentale Il solo modo per gli psicologi di dimostrare le relazioni causa-effetto attraverso la ricerca è condurre un esperimento. In un esperimento formale, si studia la relazione tra due (o più) variabili producendo deliberatamente un cambiamento in una variabile di una situazione e osservando gli effetti di tale cambiamento su altri aspetti della situazione. È lo sperimentatore che crea le condizioni per studiare una domanda di interesse e deliberatamente produce un cambiamento in queste condizioni per osservarne gli effetti. Il cambiamento che lo sperimentatore produce deliberatamente in una situazione è chiamato manipolazione sperimentale. Esse sono utilizzate per scoprire le relazioni tra variabili diverse. Gruppo sperimentale e gruppo di controllo La ricerca sperimentale richiede che siano comparate le risposte di almeno due gruppi. Un gruppo riceverà un trattamento speciale e un altro gruppo o non riceverà trattamento o riceverà un trattamento diverso. Ogni gruppo che riceve un trattamento è chiamato gruppo sperimentale; un gruppo che non riceve nessun trattamento è detto gruppo di controllo. I ricercatori, utilizzando in un esperimento sia gruppi sperimentali che di controllo, sono in grado di escludere che i risultati osservati siano stati prodotti da qualcosa di diverso dalla manipolazione sperimentale. Variabile dipendente e indipendente La variabile indipendente è la variabile che viene manipolata dallo sperimentatore (indipendente dalle azioni di chi prende parte all'esperimento). Per ogni esperimento è determinante la variabile dipendente, che è misurata e che ci si aspetta cambi come risultato dei cambiamenti operati dalla manipolazione dello sperimentatore sulla variabile indipendente. Assegnazione randomizzata dei partecipanti Perché l'esperimento sia una valida verifica dell'ipotesi, i ricercatori hanno bisogno di effettuare un passaggio addizionale e importante: l'opportuna assegnazione dei partecipanti che riceveranno un particolare trattamento. La soluzione è una procedura chiamata assegnazione randomizzata alla condizione: i partecipanti vengono assegnati a differenti gruppi sperimentali o “condizioni” sulla base della causalità e solo di quella. Il risultato significativo è quello che permette ai ricercatori di sentirsi fiduciosi di avere confermato le loro ipotesi. 1.2.4 Andare oltre lo studio Gli psicologi vogliono che i risultati siano replicati, o ripetuti, talvolta utilizzando altre procedure, in situazioni diverse, con altri gruppi di partecipanti, prima che venga posta piena fiducia nella validità di ogni singolo esperimento. 1.2.5 La psicologia e le psicologie: aree di intervento La diversità degli argomenti all'interno della psicologia ha portato allo sviluppo di diverse aree di studio caratterizzate da approcci e metodi distinti. Un modo per identificare le aree disciplinari è prendendo in considerazione alcune domande basilari. Una prima domanda riguarda i fondamenti biologici del comportamento e più in generale le persone. → neuroscienza comportamentale Una seconda domanda riguarda come recepiamo, percepiamo, impariamo e pensiamo l'ambiente che ci circonda → psicologia generale Una terza domanda riguarda le cause di cambiamento e stabilità del comportamento nell'arco della vita → psicologia dello sviluppo; psicologia della personalità; psicologia della salute; psicologia clinica; psicologia sociale; psicologia interculturale. 1.2.6 Espansione delle frontiere della psicologia La psicologia, come scienza, ha confini in costante espansione. Le tre aree più recenti – la psicologia evoluzionistica, la genetica comportamentale e la neuropsicologia clinica – hanno scatenato fermento e dibattito all'interno della psicologia. La psicologia evoluzionistica prende in considerazione come il comportamento viene influenzato dalla nostra eredità genetica. La genetica del comportamento è un'altra area di studio che si sta rapidamente sviluppando all'interno della psicologia. Essa focalizza il suo interesse sui meccanismi biologici che sono in grado di spiegare comportamenti ereditari. La neuropsicologia clinica congiunge le aree della neuroscienza e della psicologia clinica: si focalizza sull'origine biologica dei disturbi psicologici. CAPITOLO 3 Sensazione e Percezione 3.1 La sensazione 3.1.1 Sentire il mondo intorno a noi Distinguiamo tra sensazione e percezione. Per sensazione si intende l'attivazione degli organi di senso stimolati da una sorgente di energia fisica. Percezione è l'organizzazione, l'interpretazione, l'analisi e l'integrazione degli stimoli da parte di organi di senso e cervello. Lo stimolo è una qualsiasi sorgente di energia fisica che provochi una risposta a livello di un organo di senso. Gli stimoli possono variare sia per qualità sia per intensità. La psicofisica è lo studio della relazione tra le caratteristiche fisiche degli stimoli e la nostra sensazione, ossia l'esperienza soggettiva di questi stimoli sul piano psicologico. Soglie assolute Una soglia assoluta è la minor intensità di stimolo necessaria affinché questo sia recepibile. Gli organi di senso registrano stimoli fisici e trasmettono al cervello segnali bioelettrici che possono dare luogo a una sensazione. A uno stimolo seguirà una sensazione solo se esso ha una certa intensità fisica. Questa quantità minima è definita soglia assoluta. Il termine soglia indica il confine tra gli stimoli che riusciamo a cogliere e gli stimoli che pur essendo presenti non riusciamo a cogliere con i nostri organi di senso. Si distingue tra soglia assoluta iniziale (il limite inferiore) e soglia assoluta terminale (il limite superiore al di sopra del quale non percepiamo più nulla). I nostri sensi sono estremamente suscettibili agli stimoli. • i fusi neuromuscolari, situati nella muscolatura volontaria • gli organi di Golgi, posti in corrispondenza della giunzione muscolo-tendinea, sono sensibili alle variazioni di tensione. 3.1.7 Integrazioni tra i sensi La nostra esperienza quotidiana è caratterizzata dalla gestione simultanea di informazioni provenienti da diversi sensi. Multisensorialità Recenti ricerche mettono in crisi le teorie che sostengono che nel cervello ci siano aree sensoriali deputate unicamente all'elaborazione di informazioni provenienti da uno solo dei sensi. Esse mostrano come l'integrazione multisensoriale avvenga anche in aree considerate unisensoriali. Il sistema percettivo integra le informazioni in modo automatico e senza sforzo da parte nostra. Gibson sostiene che dovremmo abbandonare la terminologia che fa riferimento ai sensi come canali separati e occuparci invece dei sensi come sistemi percettivi: attivi, sistemici e multisensoriali. La funzione di questo sistema interrelato è quella di guidare meglio l'azione. I processi percettivi non sono definibili in funzione degli organi di senso coinvolti ma in funzione delle attività esplorative che consentono di compiere. L'informazione multisensoriale ha lo scopo di rendere più robusta la percezione. L'esplorazione multisensoriale è funzionale a sostenere in modo competente l'azione. Sinestesie La collaborazione o sinergia tra i sensi dà origine a un altro interessante fenomeno che integra le informazioni sensoriali: la sinestesia. I fenomeni sinestesici sono caratterizzati da un meccanismo del tutto particolare: una stimolazione pertinente a una data modalità sensoriale produce risposte non solo nello specifico canale sensoriale sollecitato. Ogni volta che percepiamo una singola sensazione, mediante un solo specifico canale sensoriale, essa viene sottoposta a una trasformazione ed elaborazione sincronica da parte di tutto il complesso sensoriale. Distinguiamo due principali schieramenti teorici che provano a spiegare il fenomeno sinestesico: la teoria psicolinguistica e la teoria neurologica. La teoria psicolinguistica considera le percezioni sinestesiche come fenomeni di natura cognitiva. Le sinestesie sarebbero particolari meccanismi attivati nella mente umana, che permettono l'interazione tra il processo percettivo e quello cognitivo, consentendo la veloce acquisizione di un numero elevato di informazioni e dati. La teoria neurologica di Cytiwic afferma che i fenomeni sinestesici risiedono solo nell'emisfero sinistro. La percezione sarebbe elaborata in due strutture: la corteccia che lavora in modo analitico ed effettua delle discriminazioni, e il sistema limbico, che lavora in modo sincretico, in cui le informazioni provenienti dai vari canali sensoriali sarebbero fuse. La sinestesia può essere considerata come un caso speciale di percezione integrata cross-modale, una delle attività fisiologiche meno comprese del cervello. In ogni caso, anche se in misura diversa, i nostri sensi interagiscono per fornirci una ricostruzione il più possibile completa del mondo. 3.2 La percezione La percezione è il processo costruttivo attraverso il quale andiamo oltre gli stimoli che ci si presentano e li elaboriamo in una unità dotata di significato. Il termine elaborazione indica le sensazioni raccolte dagli organi sensoriali e invitate al cervello vengono codificate, organizzate, riconosciute e interpretate. 3.2.1 Realtà fisica e realtà percettiva: la differenza tra il mondo com'è e il mondo come lo percepiamo Il realismo ingenuo è la convinzione di una completa coincidenza tra realtà fisica e realtà percettiva. Numerose esperienze ed evidenze empiriche hanno dimostrato che realtà fisica e realtà percettiva non sempre coincidono. Alcuni fenomeni che sono stati osservati forniscono evidenze empiriche che la corrispondenza tra realtà fisica e realtà percepita non è un dato di fatto, come si sostiene nel realismo ingenuo, ma è il frutto di un'attività di elaborazione e di organizzazione delle informazioni soggetta a molti errori. Il comportamento che noi adottiamo in risposta a uno stimolo fisico si basa sulla nostra percezione e quindi sulla realtà fenomenica. Per questo è necessario adottare un atteggiamento critico che ci consenta di superare gli errori del realismo ingenuo. Ci sono due tipi di errore che si possono compiere se si è convinti che il percetto coincida con lo stimolo fisico. Il primo è l'errore dello stimolo, che si compie nei fenomeni di illusione ottica, per cui noi descriviamo non ciò che vediamo ma ciò che sappiamo. Il secondo è l'errore dell'esperienza, per cui attribuiamo alla realtà fisica attributi che invece appartengono alla percezione e quindi alla realtà fenomenica. La catena psicofisica e il ciclo percezione-azione La realtà che noi percepiamo non è una copia esatta della realtà fisica ma è il risultato di un processo psicofisico detto catena psicofisica. Essa è il collegamento di tre tipi di entità: gli oggetti fisici, le immagini e gli oggetti percepiti (percetti). • Il primo anello di collegamento della catena è costituito dalla stimolazione fisica (stimolo fisico o distale) prodotta dalla molteplicità di radiazioni di vario tipo e intensità presenti nel mondo fisico. • La stimolazione distale sollecita la risposta fisiologica dei nostri recettori, ossia la stimolazione prossimale. • A livello prossimale l'energia fisica viene trasdotta dai recettori in energia nervosa e trasmessa alle specifiche regione celebrali (aree di proiezione) predisposte a elaborare queste informazioni. La catena psicofisica, come nota Gibson, è solo parte di un processo più articolato che non è unidirezionale e passivo ma ciclico e attivo. 3.2.2 Indeterminazione dell'informazione ottica e la costanza percettiva L'elaborazione percettiva non ha a che fare direttamente con lo stimolo fisico o distale, ma solo con le successive mediazioni fisiologiche determinante dalla stimolazione prossimale. L'informazione che i nostri recettori filtrano e selezionano è quindi parzialmente indeterminata. Nella percezione, il sistema di elaborazione finale deve risalire dall'immagine all'oggetto che l'ha generata, utilizzando criteri di organizzazione che guidano il sistema visivo nella costruzione di una rappresentazione il più possibile vicina al vero. La costanza percettiva è un fenomeno per cui gli oggetti fisici vengono percepiti come invariabili e dotati di stabilità, nonostante lo stimolo prossimale cambi continuamente anche in funzione dei cambiamenti nell'ambiente fisico. Possiamo affermare che si hanno costanze percettive quando la relazione tra stimolo distale e il percetto rimane invariata anche al variare dello stimolo prossimale. Le costanze percettive sono falsificazioni dell'ipotesi della costanza che invece presuppone un rapporto costante tra stimolo prossimale e il percetto. Le costanze percettive intervengono per correggere vari tipi di indeterminazione che gravano sull'informazione ottica e sulla percezione di molte proprietà degli oggetti oltre che della profondità, cioè della distanza tra l'osservatore e gli oggetti. La costanza di grandezza Secondo la legge dell'angolo visivo elaborata da Euclide la grandezza dell'immagine retinica è inversamente proporzionale alla distanza dell'oggetto dall'occhio. Nonostante questa legge sia valida, noi consideriamo gli oggetti lontani come aventi la stessa grandezza di quando sono vicini. Teniamo conto non solo delle informazioni ottiche (immagine retinica) ma anche delle informazioni presenti nell'ambiente relative alla distanza dell'oggetto da noi. Questa relazione tra distanza e grandezza viene espressa dalla legge di Emmert, secondo la quale, rimanendo costante l'angolo ottico, a distanze corrispondo grandezze maggiori. Il fenomeno della costanza percettiva interviene per consentire di correggere il rapporto di grandezza dell'immagine retinica e della distanza, considerando le due proprietà in modo reciproco. La costanza di forma La costanza di forma è la tendenza ad attribuire agli oggetti la medesima forma nonostante le diverse forme che essi proiettano sulla retina. 3.2.3 Organizzazione percettiva: costruire la nostra visione del mondo La percezione è quella attività che permette di segmentare il flusso sensoriale in eventi e unità dotati di senso. Alcuni dei processi percettivi più elementari possono essere descritti da una serie di principi (leggi) che focalizzano l'attenzione su come organizziamo le informazioni in un'unità percettiva di senso compiuto. Questi principi sono chiamati leggi dell'organizzazione e furono proposte da Wertheimer. Queste leggi vennero dette gestaltiche, perché si fondavano sul principio che il tutto è più della somma delle singole parti. In altri termini, l'unità percettiva non dipende dalle caratteristiche dei singoli elementi bensì dalla organizzazione totale della configurazione. La segmentazione del campo visivo Nello studio dei fattori che determinano l'unificazione degli elementi discreti in unità percettiva, Wertheimer pose in evidenza alcuni principi validi per gli stimoli visivi e auditivi. Il principio della Vicinanza: a parità di altre condizioni si unificano elementi prossimi. Il principio della Somiglianza: a parità di altre condizioni si unificano elementi simili. Il principio della Chiusura: le linee che delimitano una regione chiusa tendono a unificarsi. Il principio della Continuità o buona continuazione: a parità di altre condizioni si unificano le linee caratterizzate da continuità di orientamento spaziale. Il principio della semplicità o Pregnanza: a parità di altre condizioni vengono privilegiati insiemi di stimoli caratterizzati da semplicità, simmetria, regolarità. Per gli psicologi della Gestalt, la percezione degli stimoli all'interno del nostro ambiente va ben oltre i singoli elementi di cui abbiamo percezione. Tale percezione è un processo attivo e costruttivo che avviene a livello centrale e celebrale. È qui che i singoli elementi vengono messi insieme per creare qualcosa che ha più senso rispetto a singole parti. CAPITOLO 4 STATI DI COSCIENZA 4.1 Stati di vigilanza e attenzione L'essere umano esperisce uno stato di coscienza vigile per circa 60-70% della giornata: tale percentuale è soggetta a variazioni di età relate a influenze ambientali e a differenze individuali. Lo stato di coscienza vigile mette l'organismo nella condizione di poter acquisire informazioni e fornire risposte congruenti agli stimoli provenienti dall'ambiente esterno ma affinché dette informazioni possano essere interpretate per mezzo dei processi percettivi, elaborate per essere memorizzate e riutilizzate nei processi di pensiero, è indispensabile l'intervento dell'attenzione. L'attenzione è quell'insieme di processi che consentono all'organismo di selezionare una parte, in genere relativamente piccola, dell'informazione ambientale. Esistono diversi tipi di attenzione: • L'attenzione divisa consente di effettuare due o più compiti contemporaneamente; • l'attenzione focalizzata determina prestazioni ottimali, per precisione e velocità, nel cogliere determinati oggetti/eventi; • l'attenzione distribuita permette di cogliere un maggior numero di elementi a scapito della velocità in cui ciò avviene; • l'attenzione selettiva è l'insieme dei processi che consentono di concentrare la propria attenzione su alcune informazioni; • l'attenzione sostenuta rende possibile mantenere, per un prolungato periodo di tempo, uno stato di vigilanza. Per selezionare l'informazione visiva, oggetto di attenzione selettiva, è sufficiente muovere gli occhi finché l'oggetto del nostro interesse cade nella fovea, la regione pi sensibile della retina, preposta a elaborare i segnali visivi. L'esplorazione visiva è caratterizzata da brevi periodi di relativa immobilità degli occhi, che prendono il nome di fissazioni, separati da rapidi spostamenti indicati con il nome di saccadi. In condizioni particolari siamo in grado di prestare attenzione selettiva a uno stimolo senza eseguire movimenti oculari. L'attenzione è caratterizzata da multimodalità, può cioè spostarsi da un oggetto all'altro all'interno di una stessa modalità sensoriale o tra modalità diverse. Per quanto riguarda l'attenzione uditiva, la nostra capacità di selezionare l'informazione rilevante in mezzo a tante altre e riuscire a gestire contemporaneamente più stimoli è in alcuni casi sorprendente. L'effetto “cocktail party” ne è un esempio. Con questo termine si indica la capacità, mentre si è impegnati in una conversazione, di cogliere, fra i molti “rumori” di fondo, su quanto detto da una particolare persona. Le prime osservazioni sull'attenzione selettiva sembrano dimostrare che operasse un filtro molto potente capace di indirizzare le risorse sull'oggetto dell'attenzione rendendo inesistenti tutte le informazioni di contorno. La teoria prende il nome di teoria del filtro precoce, poiché assume che tutta l'informazione non rilevante venga tralasciata. 4.2 Sonno e sogni La coscienza è la consapevolezza delle sensazioni, dei pensieri e dei sentimenti che vengono provati in un dato momento. 4.2.1 Le fasi del sonno Il sonno è generalmente considerato un momento di tranquillità, in cui si mettono da parte le tensioni accumulate durante il giorno e ci si abbandona a un riposo privo di eventi. Ma in realtà la notte è un susseguirsi continuo di eventi diversi. Molta della conoscenza che abbiamo sullo stato del sonno ci deriva dall'analisi dell'elettroencefalogramma, o EEG, una misurazione dell'attività elettrica del cervello. Generalmente, le persone attraversano cinque fasi diverse di sonno in una notte, conosciute come fasi da 1 a 4 e sonno REM, ciascuna delle quali dura circa 90 minuti. Fase 1 → fase di transizione dalla veglia al sonno, caratterizzata da onde cerebrali relativamente veloci e di ampiezza ridotta. Fase 2 → una fase più profonda rispetto alla fase 1, caratterizzata da onde dall'andamento più lento e regolare, insieme a interruzioni temporanee chiamate “fusi”. Fase 3 → fase in cui il cervello procede più lentamente, con picchi e flessi più accentuati nell'andamento del tipo di onda rispetto alla fase 2. Fase 4 → la fase di sonno più profondo, in cui l'andamento diventa ancora più lento e regolare, rendendo il dormiente sempre meno sensibile a stimolazioni esterne. 4.2.2 Il sonno REM: il paradosso del sonno Molte volte nel corso di una sola notte, quando un dormiente ritorna a uno stato meno profondo di sonno, avviene qualcosa di curioso. Il tratto più caratteristico di questo stato è il movimento avanti e indietro degli occhi. Questa fase è chiamata sonno REM ( acronimo per Rapid Eye Movement) ed è una fase distinta dalle altre quattro, denominate fasi non-REM (o NREM) del sonno. La fase REM non occupa più del 20% del sonno totale di un individuo adulto. Il sonno REM è generalmente caratterizzato dalla presenza dei sogni. Nonostante i sogni avvengano anche durante le fasi non-REM del sonno, essi sono generalmente un'esperienza legata alla fase REM, nella quale sono più vividi e più facili da ricordare. 4.2.3 Perché dormiamo e quanto sonno è necessario? Il sonno è necessario per il funzionamento dell'essere umano, ma ancora non se ne conosce esattamene la ragione. Gli scienziati non sono in grado di calcolare con esattezza la quantità di sonno assolutamente necessaria. 4.2.4 La funzione e il significato del sogno La maggior parte dei circa 150 000 sogni che una persona sperimenta in media entro i primi 70 anni di vita non sono così drammatici (es. incubi = sogni particolarmente spaventosi che avvengono abbastanza di frequente). Solitamente riguardano argomenti della vita quotidiana. I sogni rappresentano la soddisfazione di desideri inconsci? Sigmund Freud vedeva i sogni come la guida dell'inconscio. Nella sua teoria della soddisfazione dei desideri inconsci, Freud sosteneva che i sogni rappresentano i desideri inconsci che gli autori dei sogni vorrebbero realizzare. Dato che si tratta però di desideri che minacciano la consapevolezza che si ha nello stato di veglia, i desideri veri e propri – chiamati il contenuto latente dei sogni – sono camuffati. Il vero argomento e il vero significato del sogno potrebbe aver poco a che fare con la storia ufficiale che si chiama contenuto manifesto del sogno, ovvero ciò che ricordiamo. Molti psicologi rifiutano queste teoria freudiane sul sogno. Credono invece che l'azione stessa, rappresenta il sogno, sia il punto centrale del suo significato. Alcuni sogni riflettono eventi che avvengono nell'ambiente circostante mente si sta dormendo. La teoria dei sogni per la sopravvivenza Secondo la teoria dei sogni per la sopravvivenza, i sogni ci permettono di elaborare e riconsiderare le informazioni, preziose per la nostra sopravvivenza quotidiana, durante il sonno. Qui l'attività onirica è vista come un'eredità dei nostri antenati animali → sognare ha fornito un meccanismo di elaborazione di informazioni 24 ore su 24. Secondo questa teoria i sogni rappresentano le nostre preoccupazioni che riguardano la nostra vita quotidiana. La ricerca scientifica appoggia la teoria dei sogni per la sopravvivenza, sostenendo che alcuni sogni permettono alle persone di focalizzare e consolidare memorie. La teoria della sintesi-attivazione Secondo lo psichiatra J. Hobson, che ipotizza la teoria della sintesi-attivazione, il cervello produce energia elettrica in modo del tutto casuale durante la fase REM del sonno, probabilmente a causa dei cambiamenti nella produzione di particolari neuro-trasmettitori. Hobson non rifiuta totalmente che i sogni possano riflettere i nostri desideri inconsci; crede che lo scenario fornito dal sogno non sia casuale, ma possa invece essere una chiave di lettura per paure, emozioni e preoccupazioni personali. Ciò che scaturisce da un processo casuale culmina poi in qualcosa ricco di significato. Una prospettiva sulle teorie del sogno La varietà di teorie sul sogno elencate ci mostra come la ricerca abbia ancora molto da discutere rispetto al significato fondamentale dei sogni. 4.2.5 I disturbi del sonno: problemi di addormentamento Prima o poi, ciascuno di noi ha esperienza di difficoltà nel dormire, quella condizione chiamata insonnia. L'insonnia è un disturbo che affligge oltre il 30% della popolazione dell'Unione Europea. Questo stato può essere causato da molti fattori, per esempio una relazione che finisce, la preoccupazione per il risultato di un esame, la perdita di un lavoro. Alcuni casi però non sono provocati da cause così ovvie. Altri disturbi del sonno sono meno comuni rispetto all'insonnia, nonostante siano molto diffusi. Per esempio, circa 20 milioni di persone soffrono di apnea del sonno, una malattia per cui chi dorme respira con difficoltà. Sembra che essa possa avere un ruolo nella sindrome della morte improvvisa infantile, una misteriosa causa di morte nel sonno in neonati apparentemente sani. I terrori notturni sono risvegli improvvisi da uno stato di sonno non-REM, accompagnati da sensazioni di estrema paura, panico e forte eccitazione fisiologica. Essi avvengono solitamente durante la fase 4 del sonno, e possono essere così forti da far emettere un urlo al risveglio. La narcolessia è un sonno incontrollato che dura poco e colpisce i soggetti da svegli. Cocaina La cocaina viene inalata o “sniffata” nel naso, fumata o iniettata direttamente in vena. Viene assorbita rapidamente dal corpo e produce effetti quasi immediatamente. La cocaina produce una sensazione di profondo benessere psicologico, un aumento della fiducia e dello stato di vigilanza. C'è un prezzo alto da pagare per gli effetti piacevoli di questa sostanza. Il cervello può essere modificato in modo permanente dando il via a una dipendenza psicologica e fisiologica in cui i consumatori sviluppano un bisogno ossessivo di ottenere la droga. Anfetamine Le anfetamine sono forti sostanze stimolanti che stimolano il sistema nervoso centrale, producono sensazioni di energia e attivazione, loquacità, innalzamento della fiducia e un tono dell'umore decisamente alto. Causano anche la perdita dell'appetito e aumentano l'ansia e l'irritabilità. 4.4.2 Sostanze depressive L'effetto delle sostanze depressive consiste nell'inibizione del sistema nervoso attraverso il rallentamento delle capacità dei neuroni di trasmettere informazioni. Piccole quantità producono sensazioni temporanee di intossicazione congiuntamente a un senso di euforia e gioia. Alcol La sostanza depressiva più comune è l'alcol, che è più usato di qualunque altra sostanza psicoattiva. Benché l'alcol sia un depressivo, la maggior parte delle persone ritiene che aumenti la socievolezza e il benessere. Barbiturici I barbiturici, che comprendono farmaci, sono un altro tipo di depressivi. Prescritti frequentemente dai medici per favorire il sonno o ridurre lo stress, producono una sensazione di rilassamento. Possono produrre dipendenza psicologia e fisica e, quando assunti assieme ad alcol possono essere letali. Roipnol Il Roipnol è a volte chiamato droga dello stupro (date rape drug), perché quando e mescolato all'alcol impedisce alle vittime di resistere alle violenze sessuali. 4.4.3 Narcotici I narcotici sono sostanze che aumentano il rilassamento e riducono dolore e ansia. I due narcotici più potenti sono la morfina e l'eroina. L'effetto immediato è stato descritto come un flusso improvviso di sensazioni positive, simile per certi aspetti a un orgasmo sessuale. A causa delle potenti sensazioni positive che la droga produce, la dipendenza da eroina è particolarmente difficile da curare. 4.4.4 Allucinogeni Gli allucinogeni sono sostante in grado di produrre allucinazioni o cambiamenti nei processi percettivi. L'allucinogeno più comune e diffusamente utilizzato è la marijuana, il cui principio attivo si trova in una comune erba, la cannabis. Gli effetti della marijuana variano da persona a persona, ma solitamente consistono in sensazioni di euforia e di generale benessere. L'uso prolungato e frequente di questa sostanza interessa il cervello e danneggia i polmoni più di quanto non lo faccia il tabacco. La marijuana ha molteplici impieghi in ambito medico: può essere usata per prevenire la nausea da chemioterapia, per trattare alcuni sintomi dell'AIDS e per ridurre gli spasmi muscolari delle persone affette da lesioni al midollo spinale. MDMA (Ecstasy) e LSD L'MDMA, meglio nota come ecstasy, e l'acido lisergico, noto come LSD, appartengono agli allucinogeni. Entrambe le sostanze interessano il funzionamento del neurotrasmettitore serotonina nel cervello, causando un'alterazione dell'attività delle cellule celebrali e della percezione. L'ecstasy provoca una sensazione di pace e quiete; l'LSD produce allucinazioni vivide. CAPITOLO 5 APPRENDIMENTO 5.1 Il condizionamento classico Il condizionamento classico è uno dei numerosi tipi di apprendimento che sono stati identificati dagli psicologi, la definizione generale: l'apprendimento è un cambiamento relativamente permanente del comportamento che è determinato dall'esperienza. L'antinomia natura-cultura è uno dei problemi fondamentali nel campo della psicologia. Nell'acquisizione dei comportamenti, l'esperienza – essenziale per la definizione di apprendimento – è la parte “cultura”, però alcuni cambiamenti del comportamento o della prestazione si realizzano attraverso la maturazione: fattori genetici, ereditari, che rappresentano la parte “natura” dell'antinomia natura-cultura. Si deve distinguere tra cambiamenti a lungo termine del comportamento, che sono dovuti a fattori diversi dall'apprendimento dai cambiamenti della prestazione che sono dovuti all'apprendimento effettivo. La prima ricerca sistematica sull'apprendimento fu condotta all'inizio del secolo scorso, quando Ian Pavlov sviluppò l'impalcatura logica per l'apprendimento nota come condizionamento classico. 5.1.1 I fondamenti del condizionamento classico Il condizionamento classico (o pavloviano) è un tipo di apprendimento in cui uno stimolo neutro finisce per causare una risposta dopo che è stato accoppiato a uno stimolo che causa normalmente quella risposta. I processi fondamentali del condizionamento classico che stanno alla base della scoperta di Pavlov sono semplici, anche se la terminologia adottata non lo è. Lo stimolo neutro è uno stimolo, prima del condizionamento, che non causa naturalmente la risposta di interesse. Lo stimolo incondizionato (SI) è uno stimolo che provoca naturalmente una particolare risposta senza dover essere appreso. La risposta incondizionata (RI) è una risposta naturale e non richiede addestramento. Lo stimolo condizionato (SC) è uno stimolo precedentemente neutro che è stato accoppiato a uno stimolo incondizionato per evocare una risposta precedentemente causata soltanto dallo stimolo incondizionato. La risposta condizionata (RC) è una risposta che, dopo il condizionamento, fa seguito a uno stimolo precedentemente neutro. 5.1.2 Applicazione dei principi del condizionamento al comportamento umano Anche se gli esperimenti iniziali furono condotti su animali, si scoprì presto che i principi del condizionamento classico spiegavano molti aspetti del comportamento umano quotidiano. Le risposte emotive tendono a essere apprese mediante processi di condizionamento classico. 5.1.5 Estinzione L'estinzione è un fenomeno fondamentale dell'apprendimento che ha luogo quando una risposta precedentemente condizionata diminuisce in frequenza e alla fine scompare. Per produrre estinzione, si deve porre termine all'associazione tra stimoli condizionati e stimoli incondizionati. Il recupero spontaneo è la ricomparsa di una risposta condizionata estinta dopo un periodo di riposo e senza un ulteriore condizionamento. Esso aiuta a spiegare perché sia così difficile liberarsi dalle dipendenze di sostanze psicoattive. 5.1.4 Generalizzazione e discriminazione La generalizzazione dello stimolo è il fenomeno che tende a rispondere a uno stimolo che è simile, ma non identico, a uno stimolo condizionato iniziale; più i due stimoli sono simili, più è probabile che avvenga la generalizzazione. Maggiore è la similarità tra lo stimolo nuovo e quello vecchio, maggiore è la similarità tra la risposta nuova e quella vecchia. Se due stimoli sono tanto diversi l'uno dall'altro quanto basta affinché uno di esso evochi una risposta condizionata e l'altro no, si dice che è avvenuta la discriminazione degli stimoli. La discriminazione degli stimoli è la capacità di distinguere tra stimoli. di rinforzo continuo; se viene rinforzato alcune volte, ma non ogni volta che viene emesso, è soggetto a un programma di rinforzo intermittente (o parziale). Anche se l'apprendimento avviene più rapidamente in un programma di rinforzo continuo, il comportamento dura più a lungo, dopo che il rinforzo è cessato, quando viene appreso in un programma di rinforzo intermittente. Certi tipi di programma di rinforzo intermittente producono risposte più intense e più lunghe prima dell'estinzione rispetto ad altri. Essi possono essere ripartiti molto facilmente in due categorie: programmi che considerano il numero di risposte emesse prima che venga somministrato il rinforzo, detti programmi a rapporto fisso e a rapporto variabile; e programmi che considerano l'intervallo di tempo che trascorre prima che sia fornito il rinforzo, detti programmi a intervallo fisso e a intervallo variabile. Programmi a rapporto fisso e a rapporto variabile In un programma a rapporto fisso il rinforzo viene somministrato soltanto dopo che è stato emesso un numero specifico di risposte. In un programma a rapporto variabile il rinforzo avviene dopo un numero variabile, anziché dopo un numero fisso, di risposte. Programmi a intervallo fisso e a intervallo variabile: il trascorrere del tempo A differenza dei programmi a rapporto fisso variabile, in cui il fattore cruciale è il numero di risposte, i programmi a intervallo fisso e a intervallo variabile si concentrano sull'intervallo di tempo che è trascorso da quando una persona o un animale è stato ricompensato. Un programma a intervallo fisso fornisce un rinforzo per una risposta soltanto dopo che è trascorso un intervallo di tempo fisso con la conseguenza che i tassi complessivi di risposta sono relativamente bassi. Un metodo per diminuire il ritardo nell'emissione della risposta che si produce immediatamente dopo il rinforzo e per mantenere più regolare in tutto un intervallo il comportamento desiderato, è usare un programma a intervallo variabile. Questo è un programma con cui l'intervallo di tempo tra rinforzi consecutivi varia attorno a una media invece di essere fisso. 5.2.6 Discriminazione e generalizzazione nel condizionamento operante Il processo con cui le persone apprendono a discriminare gli stimoli è noto come addestramento al controllo degli stimoli. Nell'addestramento un comportamento viene rinforzato in presenza di uno stimolo specifico, non in sua assenza. Uno stimolo discriminativo segnala la probabilità che una risposta sia seguita da un rinforzo. Come nel condizionamento classico, il fenomeno della generalizzazione dello stimolo, in cui un organismo apprende una risposta a uno stimolo e poi presenta la stessa risposta a stimoli lievemente diversi, è presente anche nel condizionamento operante. 5.2.7 Modellamento: rinforzo di ciò che non è naturale Il modellamento è il processo di insegnamento di un comportamento complesso mediante la ricompensa di approssimazioni sempre più vicine al comportamento desiderato. Nel modellamento si comincia col rinforzare qualsiasi comportamento che sia simile a quello che si vuole che la persona apprenda. Poi si rinforzano soltanto le risposte che sono più vicine al comportamento che si vuole insegnare. Infine, si rinforza soltanto la persona desiderata. Il modellamento permette anche agli animali di apprendere risposte complesse che non sarebbero mai naturali. Il modellamento sta alla base anche dell'apprendimento di molte abilità umane complesse. 2.2.8 Vincoli biologici all'apprendimento Non tutti i comportamenti sono suscettibili di addestramento ugualmente bene in tutte le specie. Esistono invece vincoli biologici, ossia limitazioni innate alla capacità degli animali di apprendere particolari comportamenti. In alcuni casi un organismo avrà una particolare predisposizione che faciliterà l'apprendimento di un comportamento; in altri casi i vincoli biologici agiranno in modo da impedire a un organismo di apprendere un comportamento o da inibirlo. L'esistenza di vincoli biologici è compatibile con le spiegazioni evolutive del comportamento. 2.2.9 Uso dell'analisi del comportamento e della modificazione del comportamento La modificazione del comportamento è una tecnica formalizzata per aumentare la frequenza dei comportamenti desiderati e diminuire quella dei comportamenti indesiderati. Usando i principi fondamentali della teoria dell'apprendimento, le tecniche di modificazione del comportamento si sono dimostrate utili in un'ampia varietà di situazioni. 5.3 Approcci cognitivo-sociali all'apprendimento Non tutti i tipi di apprendimento sono dovuti al condizionamento operante e al condizionamento classico. Alcuni psicologi considerano l'apprendimento in termini dei processi di pensiero su cui esso si basa, un approccio noto come teoria dell'apprendimento cognitivo-sociale. Questo approccio è un approccio allo studio dell'apprendimento che si concentra sui processi del pensiero che stanno alla base dell'apprendimento stesso. 5.3.1 Apprendimento latente I dati a conferma dell'importanza dei processi cognitivi sono offerti da una serie di esperimenti sugli animali che hanno rilevato un tipo di apprendimento cognitivo-sociale detto apprendimento latente. Esso è un apprendimento in cui un nuovo comportamento viene acquisito, ma non viene manifestato finché non è somministrato qualche incentivo per presentarlo. Questo apprendimento avviene senza il rinforzo. 5.3.2 Apprendimento osservativo: apprendimento per imitazione Secondo lo psicologo A.Bandura e i suo collaboratori, una parte importante dell'apprendimento umano è costituita da apprendimento osservativo, da essi definito come l'apprendimento attraverso l'osservazione del comportamento di un'altra persona detta modello. L'apprendimento osservativo avviene in quattro tappe: 1. prestare attenzione e percepire le caratteristiche più critiche del comportamento di un'altra persona 2. ricordare il comportamento 3. riprodurre l'azione 4. essere motivati ad apprendere e a eseguire il comportamento nel futuro. Quindi, invece dell'apprendimento che avviene per prove ed errori, in cui i successi vengono rinforzati e gli insuccessi vengono puniti, molte abilità vengono apprese attraverso processi osservativi. L'apprendimento osservativo è importante nell'acquisizione di abilità in cui è inappropriata la tecnica di modellamento propria del condizionamento operante. Non tutti i tipi di comportamento che osserviamo vengono appresi o eseguiti. Un fattore cruciale che determina se in seguito imiteremo un modello è il fatto che il modello sia stato o no ricompensato per il suo comportamento. Questo tipo di apprendimento è cruciale per alcuni importanti problemi riguardanti il grado in cui le persone apprendono osservando semplicemente il comportamento di altre persone. Apprendere giocando Altri due meccanismi giocano un ruolo fondamentale nei processi di apprendimento: l'esplorazione e il gioco. Da questo pdv, il comportamento animale e quello umano sono molto simili: tanto i bambini quanto i cuccioli trascorrono molto tempo ad apprendere come muoversi nell'ambiente attraverso il processo di esplorazione. La tendenza innata a giocare svolge una funzione importante nei processi di apprendimento. Il gioco non viene attivato per la sua valenza piacevole, ma consente di simulare situazioni di vita reale sviluppando, attraverso l'apprendimento, capacità indispensabili per la sopravvivenza. 5.3.3 La cultura influenza il modo in cui apprendiamo? Alcuni psicologi ipotizzano che le persone sviluppino particolari stili di apprendimento, modi caratteristici di accostarsi al materiale, sulla base del loro background culturale e delle loro peculiari abilità. CAPITOLO 6 MEMORIA 6.1 La memoria: codifica, immagazzinamento e recupero delle informazioni Gli studiosi della memoria definiscono immagazzinamento il mantenimento delle informazioni nel sistema mnestico. Se le informazioni non vengono immagazzinate in modo adeguato, esse possono essere rievocate successivamente. Il termine codifica designa il processo con cui le informazioni vengono registrate inizialmente in una forma utilizzabile per essere conservate in memoria. La memoria dipende anche da un ultimo processo, il recupero: per essere utili, le informazioni immagazzinate nella memoria devono essere localizzate e richiamate alla coscienza. Per gli psicologi la memoria è il processo con cui codifichiamo, immagazziniamo e recuperiamo le 6.1.5 Approcci attuali alla memoria L'elaborazione delle informazioni nella memoria procede in tre fasi sequenziali. Memoria di lavoro Alcuni teorici concepiscono la memoria a breve termine come un sistema di elaborazione delle informazioni denominato memoria di lavoro (working memory). La memoria di lavoro è un'insieme di magazzini di memoria temporanei che manipolano e reiterano attivamente le informazioni. Questa memoria contiene un esecutivo centrale che interviene nel ragionamento e nel processo decisionale. L'esecutivo centrale coordina tre distinti sistemi di immagazzinamento e reiterazione: il magazzino visivo, il magazzino verbale e il buffer episodico. Il magazzino visivo è specializzato in informazioni visive e spaziali. Il magazzino verbale è responsabile della ritenzione e manipolazione di informazioni attinenti al linguaggio, alle parole e ai numeri. Il buffer episodico contiene le informazioni che rappresentano episodi o eventi. La memoria di lavoro ci permette di mantenere le informazioni in uno stato attivo per un breve intervallo di tempo affinché possiamo utilizzarle in qualche modo. Anche se la memoria di lavoro facilita la rievocazione delle informazioni, essa utilizza una quantità rilevante di risorse cognitive durante il suo funzionamento. Moduli di memoria a lungo termine Molti ricercatori contemporanei considerano oggi che la memoria a lungo termine sia costituita da più componenti diversi, o moduli di memoria, ciascuno dei quali è correlato con un sistema mnestico distinto nell'encefalo. Una distinzione importante all'interno della memoria a lungo termine è quella della memoria dichiarativa e memoria procedurale. La memoria dichiarativa è la memoria per le informazioni fattuali: nomi, volti, date. La memoria procedurale (memoria non dichiarativa) è la memoria per le abilità e le abitudini, come andare in bicicletta o calciare un pallone. I fatti immagazzinati nella memoria dichiarativa possono essere ulteriormente suddivisi in memoria semantica e memoria episodica. La memoria semantica è la memoria per le conoscenze e i fatti generali riguardo al mondo, nonché per le regole della logica che sono usate per dedurre i fatti. La memoria episodica è la memoria per i particolari biografici della nostra vita individuale. È costituita dalle cose che abbiamo fatto e dai tipi di esperienze che abbiamo avuto. Modelli associativi di memoria La nostra capacità di rievocare informazioni particolareggiate ha indotto alcuni ricercatori a considerare la memoria principalmente in termini di associazioni tra differenti informazioni. Secondo i modelli associativi di memoria è una teoria secondo cui la memoria è costituita da rappresentazioni mentali di informazioni interconnesse. Il pensiero su un concetto particolare attiva la rievocazione di concetti correlati. L'attivazione di una memoria induce l'attivazione di memorie correlate in un processo noto come diffusione dell'attivazione (spreading activation). I modelli associativi di memoria aiutano a spiegare il priming, un fenomeno in cui l'esposizione a una parola o a un concetto (detto prime) facilita successivamente la rievocazione di informazioni correlate. La scoperta del fatto che le persone abbiano memorie di cui sono inconsapevoli ha avuto conseguenze importanti. Ha indotto a ipotizzare che possano coesistere due forme di memoria, la memoria esplicita e la memoria implicita. La memoria esplicita è il ricordo intenzionale o conscio di informazioni. La memoria implicita è costituita da ricordi di cui le persone non hanno consapevolezza conscia, ma che possono influenzare la prestazione e il comportamento successivi. 6.1.6 Molteplici modelli di memoria La concezione della memoria si è espansa a partite dal modello di memoria a tre fasi. Le concezioni contemporanee adottano un approccio più ampio considerando la memoria in termini di molteplici sistemi interdipendenti, operanti simultaneamente, che sono responsabili di differenti tipi di rievocazione. È stata attribuita maggiore importanza alla memoria di lavoro, nel tentativo di determinare come differenti tipi di informazioni possano essere immagazzinate ed elaborate simultaneamente. La memoria ha dato origine a molte teorie ed è probabilmente troppo presto per dire quale dei molteplici modelli proposti da diversi psicologi del settore fornisca la più accurata descrizione della memoria. 6.2 Rievocazione dei ricordi a lungo termine Il fenomeno “sulla punta della lingua” descrive l'incapacità di rievocare le informazioni che si è persuasi di conoscere, una conseguenza della difficoltà di recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine. 6.2.1 Cue di recupero Un motivo per cui la rievocazione non è perfetta è la qualità di ricordi che sono immagazzinati nella memoria a lungo termine. Molti psicologi hanno ipotizzato che le informazioni che riescono a trasferirsi nella memoria a lungo termine siano relativamente permanenti. Se questa ipotesi è corretta, ne consegue che la capacità della memoria a lungo termine è vasta, data l'ampia gamma di esperienze e di background culturali delle persone. Uno dei metodi principali per ordinare questa vasta gamma di materiale e recuperare le informazioni specifiche è quello che utilizza cue di recupero. Un cue di recupero è uno stimolo che ci permette di rievocare più facilmente informazioni che sono immagazzinate nella memoria a lungo termine. I cue di recupero guidano la persona attraverso le informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine, all'incirca come le schede in un catalogo. Essi sono particolarmente importanti quando tentiamo di rievocare informazioni, rispetto a quando ci viene chiesto di riconoscere materiale immagazzinato nella memoria. Nella rievocazione deve essere recuperata un'informazione specifica. Avviene invece riconoscimento quando si presenta uno stimolo a un soggetto e gli si chiede se sia stato esposto a esso precedentemente o gli si chiede di identificarlo in una lista di alternative. Il riconoscimento è generalmente un compito molto più facile della rievocazione. La rievocazione è più difficile perché è costituita da una serie di processi: una ricerca attraverso la memoria, il recupero di informazioni potenzialmente pertinenti e poi una decisone sull'accuratezza delle informazioni trovate. 6.2.2 Livelli di elaborazione Una determinante dell'accuratezza di rievocazione delle memorie è il modo in cui il materiale viene inizialmente percepito, elaborato, compreso. La teoria dei livelli di elaborazione pone in risalto il grado a cui il nuovo materiale viene analizzato mentalmente. Secondo questa teoria, la quantità di elaborazione delle informazioni che avviene quando il materiale viene incontrato inizialmente è fondamentale nella determinazione di quanta parte delle informazioni venga ricordata alla fine. Ha importanza critica la profondità di elaborazione delle informazioni durante l'esposizione del materiale, ossia il grado a cui esse vengono analizzate e considerate: maggiore è l'intensità dell'elaborazione iniziale delle informazioni, più è elevata la possibilità che le ricordiamo. Più profondo è il livello iniziale di elaborazione di informazioni specifiche, più a lungo verranno conservate le informazioni. 6.2.3 Memorie fotografiche Le memorie fotografiche sono memorie incentrate su un evento specifico, importante, o sorprendente, che sono così vivide da rappresentare un'istantanea virtuale dell'evento. I particolari rievocati nella memoria fotografica sono spesso inaccurati. Le memorie fotografiche illustrano un fenomeno più generale relativo alla memoria: le memorie che sono eccezionali sono più facili da recuperare rispetto a quelle attinenti a eventi che sono frequenti. 6.2.4 Processi costruttivi nella memoria: ricostruzione del passato E' difficile valutare l'accuratezza di queste memorie. È evidente che i nostri ricordi rispecchiano, almeno in parte, processi costruttivi, processi in cui ciò che rievochiamo è influenzato dal significato che attribuiamo agli eventi. L'ipotesi che la memoria si basi su processi costruttivi fu proposta per la prima volta dallo psicologo inglese F. Bartlett. Egli ipotizzò che le persone tendessero a ricordare le informazioni in termini di schemi, corpi organizzati di informazioni immagazzinate nella memoria, che distorcono il modo in cui le nuove informazioni vengono interpretate, immagazzinate e rievocate. Le nostre aspettative e conoscenze influenzano l'attendibilità dei nostri ricordi. 6.2.5 La memoria in tribunale: il testimone oculare nel processo Vi sono stati molti casi si scambio di persona che hanno condotto ad azioni legali ingiustificate. La ricerca sull'identificazione dei sospetti da parte dei testimoni tendono a commettere errori notevoli quando tentano di rievocare i particolari di un'attività delittuosa, anche se ripongono una grande fiducia nei propri ricordi. I ricordi dei testimoni sono lungi dall'essere infallibili, e ciò è particolarmente vero quando i testimoni sono bambini. La questione dell'accuratezza dei ricordi diventa ancor più complessa quando si considera la possibilità di evocare eventi che le persone dapprima non ricordano neppure che siano accaduti. CAPITOLO 7 PENSIERO 7.1 La categorizzazione Secondo Collins e Quillian, categorizzare serve soprattutto a semplificare le informazioni che la percezione fornisce al pensiero. Tale semplificazione è indispensabile poiché il sistema cognitivo è a capacità limitata. I concetti sono categorie di oggetti, eventi o persone con caratteristiche comuni tra loro. Mediante i concetti riusciamo a organizzare fenomeni complessi in forme più semplici e quindi facilmente utilizzabili. 7.1.1 Concetti per semplificare il mondo e concetti per manipolarlo Una prima funzione dei concetti è quella di semplificare il flusso percettivo, per cui non memorizziamo tutti gli oggetti che incontriamo come unici, ma li consideriamo come esemplari di un concetto di cui ricordiamo e conosciamo i tratti salienti. Riconoscere una configurazione (pattern) percettiva come esemplare di una categoria conosciuta consente di stabilire una continuità tra l'esperienza presente e quella passata e di orientare l'azione futura. La seconda funzione dei concetti è una funzione inferenziale, per cui assegniamo a un oggetto molte delle caratteristiche del concetto a cui appartiene, incluse quelle che non sono direttamente percepite. Categorizzazione significa ricondurre un esemplare a un concetto. I concetti ci aiutano a comprendere e pensare meglio il mondo complesso in cui viviamo, e influiscono e orientano il nostro comportamento. 7.1.2 Il concetto di concetto: le teorie Numerosi sono stati gli studi che si sono posti come obiettivo la descrizione del “concetto di concetto” e che hanno elaborato teorie in gradi di spiegarci il loro funzionamento. La teoria delle condizioni necessarie e sufficienti Secondo il punto di vista della logica, il concetto può essere esaurientemente descritto da un insieme di tratti definitori, cioè l'insieme delle caratteristiche necessarie e sufficienti (CNS) per essere membro della categoria corrispondente al concetto. Tassonomie e prototipi Più recenti orientamenti psicologici fanno riferimento alle competenze di organizzazione delle conoscenze, descrivendole come processi di categorizzazione. Il processo di categorizzazione seleziona e organizza il flusso dell'esperienza in modo da gestire e ridurne l'enorme variabilità. Essa riguarda il modo in cui gli individui selezionano il continuum dell'esperienza in unità discrete in funzione di somiglianze e differenze, costruiscono categorie e danno senso all'esperienza. In questo approccio rivestono particolare importanza gli studi di E. Rosch, in cui viene formulata una concezione tassonomica e probabilistica che supera la nozione di concetto proponendo quella meno stabile di categorie. L'organizzazione in categorie si basa su principi psicologici: • l'economia cognitiva: la nostra mente tende a utilizzare i processi di comprensione della realtà meno gravosi e funzionali • la struttura del mondo percepito: gli oggetti e i loro attributi vengono percepiti come dotati di una struttura correlazionale. I sistemi categoriali che ci costruiamo sulla base di questi due principi hanno una dimensione sia orizzontale sia verticale. La dimensione orizzontale riguarda la strutturazione interna delle categorie. Esse sono organizzate attorno a un prototipo, cioè l'esemplare che rappresenta la tendenza centrale della distribuzione delle caratteristiche di una data categoria. I prototipi sono quegli esemplari di una categoria che presentano il numero maggiore di caratteristiche proprie di quella categoria e il numero minore di caratteristiche di membri di altre classi. La dimensione verticale è riferita al livello di inclusione della categoria e si centra su una strutturazione intercategoriale. Esiste quindi un livello di base o privilegiato, attorno al quale il soggetto forma inizialmente le sue categorie, che risulta quello più inclusivo ed è il primo a comparire nello sviluppo cognitivo e linguistico. Categorizzazione tematica o situata La categorizzazione situata è un'organizzazione in categorie schematiche cioè legata a contesti e situazioni specifiche. La flessibilità del sistema concettuale ci consente di ricorrere a forme di categorizzazione diverse. Le teorie embodied della simulazione situata All'interno di questo approccio, la rappresentazione dei concetti viene detta embodied, cioè collegata all'esperienza percettiva e motoria dell'individuo: i concetti sono basati sulla percezione e sull'azione, sono legati al contesto, variano in funzione delle situazioni e delle relazioni tra i loro referenti e il nostro corpo. Questo approccio è basato sull'idea di simulazione situata, una simulazione percettiva dell'oggetto. Il sistema concettuale è un “manuale di istruzioni”: i concetti consentono insiemi altamente specializzati di inferenze che guidano l'interazione del soggetto con specifici rappresentanti di categorie in particolari contesti. 7.2 Formati del pensiero: pensare parole e pensare immagini Il pensiero può assumere forme diverse di rappresentazione. La psicologia cognitiva si è occupata in particolare di due formati di pensiero: il pensiero proposizionale e le immagini mentali. Vengono inoltre considerati parte della nostra capacità di conoscere e pensare anche due altre forme di rappresentazione: il pensiero procedurale e il pensiero narrativo. 7.2.1 La conoscenza dichiarativa La conoscenza dichiarativa è la mappatura della realtà e dell'insieme delle esperienze fatte da un soggetto nel corso della sua vita. Questa conoscenza viene definita come l'insieme delle conoscenze sul mondo disponibili in modo permanente nella memoria a lungo termine. Essa comprende anche la conoscenza situazionale, ossia le conoscenze relative al contesto concettuale e alle nuove informazioni che vengono elaborate continuamente nella memoria di lavoro. La conoscenza dichiarativa svolge una funzione referenziale e predicativa. Essa ci permette di denotare e predicare qualcosa riguardo a un oggetto e di porre queste informazioni in relazione tra loro. Possono essere rappresentazioni proposizionali ma anche immagini mentali. 7.2.2 La conoscenza proposizionale La conoscenza proposizionale è relativa ai fatti, si può formare anche solo dopo un'esperienza. Al suo interno vengono distinte: • la conoscenza episodica relativa a esperienze o episodi accaduti nel passato, in cui sono esplicitate le coordinate spazio-temporali • la conoscenza semantica che comprende proposizioni in cui le coordinate spazio temporali no sono più considerate. Le strutture proposizionali rappresentano il mondo dell'esperienza in categorie ed elementi e ne definiscono le funzioni all'interno della struttura proposizionale e le relazioni tra proposizioni. 7.2.3 Le immagini mentali Le immagini mentali sono rappresentazioni all'interno della mente in cui l'oggetto o l'evento viene riprodotto in modo analogico. La ricerca ha dimostrato che le nostre immagini mentali hanno molte delle proprietà proprie delle effettive percezioni degli oggetti rappresentati. Alcuni hanno intravisto nella produzione delle immagini mentali una via per migliorare varie capacità umane. Imagery debate A proposito delle immagini mentali e dell'attività immaginativa è sorto negli anni un dibattito, imagery debate, tra due opposte teorie: l'ipotesi proposizionale e l'ipotesi analogica. L'ipotesi proposizionalista è la teoria secondo la quale l'unico formato del pensiero è proposizionale, simbolico e astratto. Essa sostiene che l'attività immaginativa non sia affatto un processo cognitivo autonomo né una modalità specifica di rappresentazione figurale della realtà. Le immagini mentali possono essere presenti o no, di qualora presenti indicano semplicemente che in quel momento è in atto un altro tipo di attività o di processo. Il modello analogico è la teoria secondo la quale ci sono due codici di rappresentazione, quello figurale e quello proposizionale. Teoria del doppio codice Secondo la teoria del doppio codice è necessario ipotizzare che esistano due diversi sottosistemi di codifica delle informazioni provenienti dal mondo esterno: una codifica verbale, specializzata per il linguaggio, e una codifica immaginativa specializzata per eventi e oggetti non verbali. all'errore. Alcuni studi hanno dimostrato che gli individui, quando formulano giudizi induttivi, violano alcune leggi basilari della teoria della probabilità, utilizzando alcune forme abbreviate di ragionamento, le euristiche, che per quanto funzionali, possono divenire fonte di errori. Le euristiche Quando ci troviamo a dover prendere una decisione, spesso per facilitarci il compito, intraprendiamo delle scorciatoie cognitive, definite euristiche. Esse vengono contrapposte all'algoritmo. Un algoritmo è una sequenza di regole che, se applicate correttamente, conducono alla soluzione di un problema. Tuttavia per un gran numero di problemi non esistono algoritmi e in questi casi possiamo servirci dell'euristica. L'euristica è una strategia di soluzione di un problema semplice ed economica che si fonda su una stima della probabilità che un fatto si verifichi o meno. Essa rende più possibile trovare una soluzione ma, a differenza degli algoritmi, non la può assicurare in quanto si affida a regole empiriche generali induttive. La tipologia di euristica più utilizzata nella risoluzione dei problemi è quella dell'analisi dei mezzi e dei fini che consiste in ripetuti esami delle differenze tra obiettivo desiderato e situazione reale. Per altri problemi, l'approccio migliore è il procedimento al contrario: concentrarsi sull'obiettivo invece che sul punto di partenza del problema. L'euristica della rappresentatività usa la somiglianza tra oggetti o eventi per fare stime di probabilità. Un altro errore di cui è responsabile l'euristica della rappresentatività è la cosiddetta fallacia del giocatore d'azzardo. La fallacia consiste nel fatto che, nel valutare una serie casuale, le persone agiscono come se attribuissero agli ultimi esiti una probabilità minore rispetto agli esiti meno recenti. Un'ulteriore euristica molto utilizzata è l'euristica della disponibilità, che consiste nel prevedere la probabilità di un evento sulla base della facilità con cui l'evento riesce ad essere ricordato. Questi esempi fanno emergere quanto la maggioranza delle persone non osservino un criterio di razionalità perfetta, ma si lascino piuttosto guidare da strategie intuitive come le euristiche, trascurando regole di base della probabilità statistica. 7.4 La risoluzione di problemi Gli psicologi hanno dimostrato che la risoluzione di problemi coinvolge tre stadi principali: la preparazione a creare la soluzione, la produzione della soluzione e la valutazione della soluzione prodotta. 7.4.1 La fase preparatoria: comprensione e diagnosi di un problema Di solito un problema rientra in una delle 3 categorie: sistemazione, induzione di una struttura, trasformazione. La risoluzione di ciascun tipo richiede un diverso genere di capacità psicologica e di conoscenza. 1. Problemi di sistemazione → richiedono che la persona ridisponga o ricombini gli elementi in un modo che soddisfi un certo criterio 2. problemi di induzione di una struttura → una persona deve identificare la relazione esistente tra gli elementi e successivamente costruire nuove relazioni tra di loro 3. problema di trasformazione → è necessario individuare il metodo che conduce dallo stadio iniziale allo stadio finale. La fase preparatoria di comprensione e diagnosi è cruciale per la risoluzione del problema, perché ci permette di sviluppare la nostra rappresentazione cognitiva del problema e di porlo all'interno di uno scenario personalizzato. 7.4.2 La produzione: generare soluzioni Dopo la fase preparatoria, la fase successiva nella risoluzione di problemi è quella della produzione di soluzioni possibili. Se si tratta di problemi relativamente semplici, potremmo avere a nostra disposizione una soluzione diretta nella nostra memoria a lungo termine, e ciò che dobbiamo fare è semplicemente andare a rintracciare le informazioni appropriate. Possiamo risolvere problemi attraverso tentativi ed errori. 7.4.3 Insight: realizzazione improvvisa Alcune analisi delle produzioni di possibili soluzioni si concentrano sulle intuizioni improvvise. L'insight è una improvvisa realizzazione della relazione esistente tra vari elementi che precedentemente sembravano tra loro scollegati. 7.4.4 Ostacoli alle soluzioni: perché la risoluzione dei problemi è problematica? É normale avere difficoltà nel risolvere il problema. La difficoltà sta nella presentazione del problema, che svia il ragionamento nella fase preparatoria. 7.4.5 Creatività e risoluzione dei problemi Nonostante spesso ci si trovi ad affrontare degli ostacoli nel processo di risoluzione di problemi, molte persone riescono a trovare delle soluzioni creative. La creatività è la capacità di collegare idee o risposte in modo originale. Nonostante l'individuazione dei vari stadi del processo di risoluzione di problemi ci aiuti a comprendere come avvengo l'approccio e la soluzione di problemi, ciò non spiega perché alcune persone trovino soluzioni migliori rispetto ad altre. Uno di questi fattori è il pensiero divergente, l'abilità du generare risposte inusuali, sebbene appropriate, a problemi o questioni. Un altro aspetto della creatività è la complessità cognitiva, ossia una predilezione per gli stimoli e forme di pensiero elaborati, intricati e complessi. 7.4.6 Pensare in modo critico e creativo Gli studiosi cognitivisti hanno dimostrato che le regole astratte della logica e del ragionamento si possono imparare, e che tale conoscenza può migliorare il nostro modo di ragionare sulle cause di eventi quotidiani della nostra vita. CAPITOLO 8 INTELLIGENZA 8.1 Le teorie sull'intelligenza: esistono diversi tipi di intelligenza? Per anni gli psicologi hanno affrontato il problema di trovare una definizione universale di intelligenza. Gli occidentali intendono per intelligenza l'abilità di una persona a formare categorie e discutere razionalmente. Per la cultura orientale, l'intelligenza corrisponde più a una capacitò di comprensione e di relazione interpersonale. Per gli psicologi, l'intelligenza è la capacità di comprendere il mondo, pensare razionalmente e usare con efficacia le risorse disponibili in caso di difficoltà. 8.1.1 I fattori dell'intelligenza In un primo tempo gli psicologi hanno ritenuto che fosse possibile individuare un unico fattore di abilità mentale, alla base di qualsiasi manifestazione di intelligenza. Il metodo statistico utilizzato fu l'analisi fattoriale. L'analisi fattoriale permette di ottenere una riduzione della complessità del numero di fattori che spiegano un fenomeno. Questa tecnica esamina le intercorrelazioni esistenti tra diversi test o prove: raggruppando quelle più altamente correlate li riduce a un numero più piccolo di dimensioni indipendenti, dette “fattori”. L'idea è che due prove altamente correlate misurano la stessa abilità. Lo psicologo Spearman ipotizzò e indagò mediante l'analisi fattoriale, l'esistenza di un unico e generico fattore sottostante alle diverse abilità mentali chiamato fattore g, il fattore generale dell'intelligenza. Il fattore g è il singolo fattore generale di abilità mentale che alcune delle prime teorie dell'intelligenza presumevano fosse alla base dell'intelligenza. 8.1.2 Intelligenza fluida e cristallizzata Negli anni Sessanta sono stati distinti due tipi di intelligenza: quella fluida e quella cristallizza. • L'intelligenza fluida riflette le capacità di elaborazione delle informazioni, il ragionamento, la memoria. • L'intelligenza cristallizzata è l'accumulo di informazioni, abilità e strategie che le persone Arrivato ora alla sua quinta edizione, chiamata scala di intelligenza Stanford-Binet, quinta edizione, il test consiste in una serie di voci che variano di natura a seconda dell'età della persona esaminata. Il test fornisce anche delle valutazioni separate, in grado di valutare specifici punti di ofrza o difficoltà della persona esaminata. Il test di QI più utilizzato negli Stati Uniti è quello ideato dallo psicologo D. Wechsler ed è conosciuto come scala di intelligenza per gli adulti di Wechsler-III o WAIS-III, esiste anche la versione per bambini chiamato scala di intelligenza per bambini Wechsler-IV o WISC-IV. Dato che sia lo Stanford-Binet sia il WAIS-III e il WISC-IV richiedono uno svolgimento e una valutazione individuale, è piuttosto difficile e lungo il compito di somministrarli e valutarli su grande scala. Di conseguenza, esistono oggi test di QI che permettono la somministrazione a gruppi di individui. 8.2.4 Test di profitto e di attitudine Non esistono solo test d'intelligenza. Vi sono altri due tipi di test mirati a valutare fenomeni diversi ovvero i test di profitto e di attitudine. Un test di profitto è un test ideato per determinare il livello di conoscenza di una persona in un'area di interesse specifica. Un test attitudinale ha l'obiettivo di predire la capacità di una persona in uno specifico campo di lavoro. 8.2.5 Attendibilità e validità dei test Un test è utile se fornisce misurazioni coerenti. Un indice di coerenza è l'attendibilità alla riapplicazione, ossia il grado in cui ci si può aspettare che una persona sottoposta a un test più di una volta ottenga lo stesso punteggio. Non baste che un test sia attendibile per essere utile, occorre anche che sia valido. Un test è valido quando misura quello che deve misurare. Per questo la validità di un test può essere misurata sulla base della concordanza tra il punteggio e un criterio esterno. Oltre che attendibile e valido un test deve essere standardizzato. La standardizzazione implica uniformità di procedura nella somministrazione del test e nella determinazione del punteggio relativo. 8.3 Definire gli estremi di intelligenza Gruppi di persone dotati di un QI molto basso, e di persone con un QI sorprendentemente alto, richiedono entrambe un trattamento speciale se le si vuole mettere in condizioni di esprimere il loro massimo potenziale. 8.3.1 Il ritardo mentale Il ritardo mentale è un disturbo caratterizzato da significative limitazioni sia delle funzionalità intellettuali sia del comportamento di adattamento che coinvolge abilità concettuali, sociali e pratiche. Vengono definiti ritardi miti gli individui che solitamente raggiungono risultati tra i 55 e i 69 nei test di QI: costituiscono circa il 90% della totalità delle persone che soffrono di ritardo mentale. A livelli più gravi di ritardo, come il ritardo moderato (tra i 40 e 54 punti), il grave ritardo (tra i 25 e i 39) e il ritardo profondo ( al di sotto di 25 punti). 8.2.3 Identificare le cause del ritardo mentale La causa biologica più comune di ritardo mentale è la sindrome di Down. La sindrome di Down è il risultato della presenza di un cromosoma 21 in più. In altri casi avviene un'anomalia nella struttura di un cromosoma. Tuttavia nella maggior parte dei casi il ritardo mentale appartiene a una categoria chiamata di ritardo familiare, ossia una mancanza di evidenza di deficit biologico ma con una storia di ritardo nella famiglia. 8.3.3 Soggetti dotati di una particolare intelligenza I soggetti intellettualmente dotati si distinguono da chi possiede un'intelligenza nella media tanto quanto gli individui soggetti a ritardo mentale, anche se in modo diverso. Tali individui, più o meno tra il 2 e il 4% della popolazione, raggiungono risultati di QI che superano i 130 punti. 8.3.4 Differenze individuali di intelligenza: cause ereditarie e cause ambientali La questione dell'ideazione di un test di intelligenza che rispecchi con trasparenza una conoscenza che sia il più possibile slegata dal contesto culturale e familiare o dall'esperienza passata è di grande importanza: è stato infatti riscontrato che membri di gruppi culturali o etnici specifici raggiungono solitamente risultati più bassi rispetto a membri di altri gruppi. Se gli individui rispondono meglio a una causa di una maggiore familiarità con il tipo di informazioni che vengono testate, il loro più alto QI non è necessariamente un indice di una maggiore intelligenza rispetto ai membri di altri gruppi. 8.3.5 La relatività dell'influenza genetica e ambientale: natura, educazione e QI Un test culturalmente equo è un test che non sia inficiato da elementi culturali, gli psicologi hanno tentato di formulare domande che si basino su esperienze comuni a tutte le culture oppure a contare di più su voci che non richiedono l'uso del linguaggio. Tuttavia questo compito è risultato molto difficile. 8.3.6 Intelligenza ed ereditabilità L'intelligenza dimostra una grande percentuale di ereditabilità, il che è solitamente un metro di giudizio per stabilire quanto una caratteristica è legata alla genetica, a fattori ereditari. Non esiste una risposta definitiva alla domanda sul grado di influenza di eredità o ambiente sull'intelligenza. La questione essenziale per la psicologia è capire come potenziare lo sviluppo intellettuale di ciascun individuo e favorire la sua integrazione. CAPITOLO 9 COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO 9.1 Che cos'è la comunicazione? Lo studio della comunicazione si è caratterizzato per la sua natura fortemente multidisciplinare, giovandosi dei contributi della matematica, delle scienze dell'informazione, della semiotica, della linguistica, delle neuroscienze e della psicologia. 9.1.1 Costruire segni Quando comunichiamo, costruiamo messaggi costruiti da segni. Il segno rappresenta una moneta simbolica di scambio. L'uso dei segni permette di agire con le altre persone. In esso si realizza una prima modalità di rappresentazione condivisa tra due interagenti. Entrambi si riferiscono a qualcosa mediante qualcos'altro, cioè utilizzano un segno. Il segno è costituito da un movimento: tuttavia, in linguaggi e in atti di comunicazione più complessi ed evoluti possono essere utilizzati immagini, parole, formule, teorie. La natura composta del segno trova una sua rappresentazione nel triangolo semiotico, nel quale il processo di significazione viene descritto come la relazione fra tre lati: • l'espressione (E), ossia il significante (suono, gesto, ecc) che utilizziamo per significare; • il referente (Re), ossia l'oggetto o l'evento o l'azione che viene rappresentato; • il contenuto (o referenza), ossia l'idea mentale del referente. Si distinguono due principali definizioni di segno. La prima è un'idea del segno come equivalenza, modello che stabilisce una relazione d'identità fissa per espressione e contenuto. Il segno viene definito come l'unione di un'immagine acustica (o significante) e di un'immagine mentale (o significato o contenuto), così strettamente unite da poter essere immaginate come le due facce di una stessa realtà. Nel modello dell'equivalenza, i due termini del rapporto segnico (espressione e contenuto) sono retti da una relazione di identità, ciò implica l'idea molto forte di codice. Il codice è un sistema regolato di segni i cui significati sono arbitrariamente stabiliti e posti per convenzione. Ben diversi sono i presupposti teorici che regolano il rapporto tra segno e realtà nella definizione di segno come inferenza, modello che stabilisce una relazione del segno con il significato non arbitraria ma stabilita da qualcuno (“per qualcuno”) dentro un contesto comunicativo. di un oggetto necessario a imprimere su di essa dei segni. L'evoluzione delle nuove tecnologie ha condotto alla definizione di differenti livelli di presenza: presenza fisica, presenza soggettiva, presenza come interattività. • La presenza fisica è l'esistenza di un soggetto in una specifica regione spazio-temporale • la presenza soggettiva consiste nella percezione di essere collocato nello stesso scenario spazio-temporale in cui si verifica un dato evento • la presenza come interattività consiste nel senso di presenza collegato alla possibilità di inter-agire a definire il grado di coinvolgimento all'interno di mondi simulati. 9.1.6 Interazione e relazione All'interno dell'approccio psicologico allo studio della comunicazione come interazione è possibile distinguere tre aree di indagine: 1. l'interazionismo è un approccio che considera la comunicazione una co-costruzione finalizzata alla trasmissione dei contenuti e alla gestione dell'interazione comunicativa. Proprio a partire da questi presupposti si è sviluppata, negli anni '60, una serie di studi sui comportamenti non verbali. 2. L'approccio sistemico è un approccio che considera la comunicazione un fenomeno che comprende i soggetti stessi, contribuendo alla definizione e strutturazione del loro Sé. La comunicazione viene ritenuta componente attiva e costitutiva delle relazioni umane e agente principale della costruzione dell'identità individuale e sociale. 3. Lo sviluppo ontogenico della comunicazione è l'area di indagine focalizzata sugli aspetti dell'apprendimento e dello sviluppo ontogenetico della comunicazione. Prende in esame il fenomeno di pertinentizzazione e di acquisizione del mondo dei signifiati che il bambino sviluppa in interazione con gli adulti di riferimento. 9.2 I linguaggi L'uso del linguaggio verbale, la comunicazione di informazioni attraverso simboli verbali organizzati secondo regole sistematiche, è una importante capacità cognitiva, indispensabile per comunicare con gli altri. 9.2.1 Il linguaggio verbale Per comprendere come il linguaggio sviluppi il pensiero e come gli sia legato, bisogna prima riconsiderarne alcuni elementi. Il linguaggio è costituito da più componenti. • I suoni, che possono essere descritti per le loro caratteristiche acustiche e in questo caso sono studiati dalla fonetica, oppure possono essere considerati come fonemi, unità di base del suono linguistico in una lingua specifica, indagati dalla fonologia. La fonologia è lo studio delle unità fondamentali del linguaggio più piccole che influiscono sul significato, i fonemi, ma anche nel modo in cui utilizziamo questi suoni per formare le parole e produrre significato. I linguisti hanno identificato più di 800 fonemi diversi tra tutte le lingue. • La grammatica, che raccoglie, per ogni diversa lingua naturale, una successione finita di regole necessarie alla corretta costruzione di frasi, sintagmi e parole. • La sintassi, che regola l'ordine delle parole e stabilisce le regole delle loro combinazioni. • La morfologia indaga le più piccole parti di significato contenute nelle parole e le regole che portano alla formazione delle parole. • Una componente fondamentale è la semantica, ossia lo studio del significato delle parole, degli insiemi delle parole, delle frasi. • Gli sviluppi nello studio della comunicazione hanno elencato un quarto livello di analisi: la pragmatica, ossia lo studio delle parole all'interno del loro contesto di utilizzo. Ma come avviene il passaggio dall'intenzione comunicativa all'articolazione della parola? Levelt ha descritto questo “percorso” individuando 3 livelli: 1. la concettualizzazione, in cui viene specificata la rappresentazione semantica di ciò che si intende dire o di una singola parola; 2. la formulazione, che traduce la struttura semantica in una struttura linguistica 3. l'articolazione, che rappresenta, sul piano fonetico, l'esecuzione della proposizione per mezzo della muscolatura dell'apparato respiratorio e degli altri organi deputati alla fonazione. Nonostante la complessità del linguaggio, la maggior parte di noi acquisisce gli elementi di base della grammatica senza esserne consapevole. Basi neurologiche del linguaggio Il linguaggio verbale, scritto e parlato, è reso possibile da abilità cognitive e motorie e da componenti neurobiologici specifiche. Gran parte delle conoscenze sul modo in cui il cervello elabora il linguaggio proviene da studi su pazienti con lesioni che hanno compromesso le funzioni linguistiche. Oggi sappiamo, che l'emisfero destro contribuisce all'elaborazione degli aspetti paralinguistici e prosodici e al processamento di caratteristiche semantiche non di singole parole ma di porzioni di testo più estese. Lo sviluppo del linguaggio: farsi strada con le parole Inizialmente i bambini emettono suoni simili a parole privi di senso. In questo loro “primo vocabolario” può succedere che producano qualcuno dei suoni che si trovano in tutte le lingue, non soltanto in quella a cui sono esposti. Tuttavia dopo l'età di 6-8 mesi, tale capacità comincia a diminuire. I bambini iniziano a “specializzarsi” nella lingua a cui sono esposti, mentre i loro neuroni celebrali si riorganizzano per rispondere a specifici fenomeni ricorrenti. L'acquisizione del linguaggio Gli psicologi hanno formulato due spiegazioni principali, una basata sulla teoria dell'apprendimento e l'altra sui processi innati. L'approccio della teoria dell'apprendimento sostiene che l'acquisizione della lingua segue i principi di rafforzamento e condizionamento scoperti dagli psicologi che studiano l'apprendimento. Chomsky fornisce una teoria alternativa. Egli sostiene infatti che gli esseri umani nascono con una capacità linguistica innata che emerge con lo sviluppo. Secondo la sua analisi tutte le lingue del mondo condividono una struttura comune chiamata grammatica universale. L'influenza del linguaggio sul pensiero L'ipotesi della relatività linguistica è l'ipotesi secondo la quale la lingua influenza il modo in cui le persone di una data cultura percepiscono e comprendono il mondo. Il linguaggio fornisce le categorie usate per costruire la propria comprensione delle persone e degli eventi esterni. Quindi il linguaggio modella e produce il pensiero. Un altro fenomeno che fa riflettere rispetto alle relazioni tra pensiero e linguaggio è il bilinguismo: la capacità di parlare due lingue fornisce vantaggi cognitivi significativi rispetto al parlare una sola lingua. Gli animali usano il linguaggio? Una domanda che ha molto impegnato gli psicologi consiste nel valutare se il linguaggio sia una prerogativa umana o se, al contrario, anche altri animali siano in grado di acquisirlo. La maggior parte della ricerca dimostra che gli uomini sono dotati di più strumenti, rispetto ad altri animali, per produrre e organizzare il linguaggio nel forma di frasi compiute di senso. 9.2.2 La comunicazione non verbale La comunicazione non verbale assume funzione fondamentale nella definizione, nel mantenimento e nella difesa della posizione di dominanza. La comunicazione non verbale tra natura e cultura Diverse sono le prospettive che hanno tentato di descrivere l'origine e la natura della comunicazione non verbale. Una prima prospettiva, concentrandosi sulla mimica facciale, è quella della concezione innatista, sulla quale si innesta in seguito la teoria neuroculturale. Le espressioni facciali sono il risultato dell'evoluzione della specie umana, quindi sono universali. Da comportamenti funzionali si sono trasformate in segnali degli stati emotivi, decodificabili dagli esseri della stessa specie e quindi con funzione comunicativa. Su questa base, Ekman ha elaborato la sua teoria neuroculturale, secondo la quale esiste un programma nervoso specifico per ogni emozione, in grado di attivare pattern di azione dei muscoli facciali che danno origine alle espressioni facciali associate a ciascuna emozione. Una terza prospettiva è quella dell'interdipendenza che afferma che le strutture e i processi neurofisiologici, condivisi in maniera universale, sono organizzati in configurazioni differenti secondo la cultura di appartenenza. Il sistema vocale La sinesi degli aspetti verbali e vocali non verbali costituisce l'atto fonopoietico. Esso è caratterizzato dal fatto che, a fronte dell'impiego di una modesta quantità di energia fisica, consente la trasmissione dei segnali a distanza e con un feedback completo da parte del locutore. La dimensione vocale non verbale è in realtà composta da vari elementi, generalmente classificati come di seguito: • riflessi vocali • segnali extralinguistici biologici fondamentali produrrebbe una pulsione allo scopo di ottenere quella determinata risorsa. Tale modello concettuale risulta particolarmente adatto alla spiegazione di bisogni corporei, come la fame e la sete. Le teorie della riduzione delle pulsioni si basano quindi sull'idea che il comportamento sia guidato dalla necessità di mantenere il più possibile una situazione di equilibrio (omeostasi) e che cerchi di riprodurlo in risposta ai cambiamenti imposti dall'ambiente. Omeostasi e teoria biologica Il primo a suggerire l'ipotesi che il comportamento fosse regolato dalla necessità di mantenere un equilibrio omeostatico costante nel funzionamento fisiologico fu Cannon (1929). L'omeostasi corrisponde alla tendenza del nostro corpo a mantenere uno stato di equilibrio interno. Secondo la teoria biologica della motivazione fondata sul concetto di omeostasi, il corpo è caratterizzato da alcuni bisogni fisiologici che devono essere soddisfatti. Quando ciò non accade si attivano meccanismi, o pulsioni, che spingono e attivano comportamenti per ristabilire il livello ottimale di equilibrio. Pulsioni primarie e secondarie Gli studiosi che si rifanno a questa impostazione teorica distinguono le pulsioni primarie dalle pulsioni secondarie. Le prime (come la fame, la sete, il sonno, il sesso) sono per lo più legate a bisogni biologici del corpo. Le seconde sono pulsioni legate a bisogni che nascono da esperienze passate e dall'apprendimento. Il modello pulsione x abitudine Il modello della riduzione delle pulsioni è riscontrabile in teorie diverse: dalla psicoanalisi di Freud a concezioni di matrice comportamentistica. L'opera di Freud (1905) è fondata sul postulato che le pulsioni del sesso e aggressività motivano il comportamento umano. Nell'ambito comportamentista, la teoria formulata da C.Hull (1943) considera quali componenti costitutive della motivazione al comportamento due diversi fattori: da un lato, l'abitudine, ovvero l'associazione ripetuta tra un dato stimolo e una certa risposta; dall'altro, la pulsione, attivazione dell'organismo che mette in moto un comportamento. Una pulsione può essere definita come una tensione motivazionale, che mette in moto un comportamento per soddisfare un bisogno, una condizione di carenza o di necessità. Il bisogno alimenta una pulsione che fornisce l'attivazione necessaria all'abitudine adeguata al contesto e la conduce all'esecuzione. La teoria dell'incentivo: spinta e attrazione Il modello di Hull venne successivamente modificato. Secondo la teoria dell'incentivo la motivazione scaturisce dal desiderio di raggiungere obiettivi di valore esterni a noi, detti incentivi. Secondo questa prospettiva sono le proprietà desiderabili di stimoli ambientali a costruire i motori della motivazione. Tuttavia essa non fornisce una spiegazione esauriente della motivazione, poiché talvolta gli organismi tentano di soddisfare bisogni anche quando non vi sono chiari incentivi. Istinti o pulsioni? Alcune differenze Le teorie della riduzione delle pulsioni presentano alcune affinità con le teorie degli istinti: le pulsioni primarie, così come gli istinti, sono concepite come innate, ovvero presenti nell'organismo fin dalla nascita. Entrambi gli approcci affidano primariamente a fattori interni all'individuo la spinta e la motivazione ad agire. Le teorie della riduzione delle pulsioni assegnano un ruolo centrale all'apprendimento, fondato sui processi associativi. I meccanismi del condizionamento classico e operante sono alla base della formazione delle connessioni tra pulsioni, abitudini e incentivi. Attraverso incentivi e ricompense (rinforzi) è possibile determinare l'apprendimento di comportamenti e il consolidarsi di abitudini. Tali rinforzi possono essere primari, ovvero rinforzi indipendenti dall'apprendimento che soddisfano bisogni biologici, o secondari, che sono invece appresi e culturalmente determinati. 10.1.3 Le teorie dell'arousal e l'assunzione del rischio Le teorie dell'arousal cercano di spiegare comportamenti il cui obiettivo è quello di mantenere o incrementare l'attivazione. Secondo le teorie dell'arousal, ciascun individuo cerca di mantenere un livello ottimale di stimolazione e di attività. Qualora i livelli di stimolazione e attività diventino troppo bassi, immediatamente l'organismo cerca di “innalzarli” andando in cerca di altri stimoli. Sensation seeking La ricerca di sensazioni consiste nel bisogno, che varia da individuo a individuo, di stimolazioni nuove, varie e complesse, unito alla disponibilità a correre rischi fisici e sociali per provarle. Le situazioni di rischio Altre ricerche hanno messo in luce come la ricerca di sensazioni, del brivido e dell'eccitazione non sarebbe l'unica componente per spiegare la motivazione alle situazioni rischiose. Un'azione rischiosa quando comporta la possibilità di un esito negativo e di una perdita a esso associata. L'assunzione di rischio può essere spiegata attraverso il cosiddetto modello dell'investimento razionale; nonostante la possibilità di andare incontro a una perdita, talvolta le persone intraprendono attività rischiose in vista dei possibili forti guadagni qualora l'azione abbia invece esito. Il rischio è valutato come piacevole solo finché il soggetto ha la sensazione di avere il controllo sul corso degli eventi. 10.1.4 Classificare i bisogni e creare gerarchie motivazionali Murray (1938) distinse tra bisogni primari, che corrispondono alle necessità fisiche dell'organismo, e bisogni secondari, che non corrispondono ad alcun processo fisiologico ma vengono acquisiti nel corso dello sviluppo individuale tramite esperienze di apprendimento nella realtà sociale e culturale di riferimento. Secondo Murray i bisogni sono forze interne che organizzano tutte le attività e il comportamento dell'individuo in vista della modifica di una situazione ritenuta insoddisfacente. Egli classificò i bisogni in base al tema di interrelazione tra persona e ambiente, ovvero alla modalità con cui bisogno e pressione si integrano. La gerarchia dei bisogni di Maslow A. Maslow sviluppò un approccio singolare allo studio della motivazione. La psicologia umanista di Maslow si proponeva di concentrare l'attenzione sulla persona nella sua interezza. Il modello di Maslow classificava i bisogni secondo una gerarchia e sostiene che, affinché i bisogni più sofisticati possano sorgere, è necessario prima soddisfare alcuni bisogni di base. Una volta soddisfatti questi ultimi cessano di dominare l'organismo e l'organizzazione dei suoi comportamenti e lasciano spazio all'insorgere di altri bisogni di grado superiore. Il modello può essere rappresentato da una piramide, la cui base è formata dai bisogni primari e la cui parte superiore è composta da bisogni di ordine più elevato. Ciascun bisogno non deve essere considerato come isolato, ma connesso allo stato di soddisfazione di altri bisogni, lungo un continuum dalla dimensione puramente biologica (bisogni fisiologici) a quella puramente psicologica (autorealizzazione). I bisogni di basso ordine sono i bisogni fisiologici ossia quelli primari: acqua, cibo, sonno, sesso, ecc. I bisogni successivi sono quelli di sicurezza: le persone hanno bisogno di un ambiente sicuro e protetto per poter funzionare in modo adeguato. Dopo la soddisfazione dei bisogni di base, possono emergere bisogni più evoluti. I bisogni di appartenenza e di amore, comprendono il bisogno di relazione, di dare e avere affetto e di essere membri partecipi di un gruppo o di una società. Successivamente compaiono i bisogni di stima: la stima concerne il bisogno di sviluppare un senso di sé come individui degni di considerazione. Quando tutti questi tipi di bisogno sono stati appagati un individuo può perseguire il bisogno di livello più alto, l'autorealizzazione. L'autorealizzazione è uno stato di auto-soddisfazione per cui le persone riescono a realizzare il proprio potenziale, a trovare la “propria strada”. Raggiungere l'autorealizzazione riduce gli sforzi verso un grado di soddisfazione maggiore tipici della maggior parte delle persone e fornisce un senso di appagamento per lo stato corrente della propria vita. Mentre i bisogni dei primi gradini della piramide (fisiologici e di sicurezza) sono detti bisogni di carenza, ovvero decrescono in concomitanza con la loro soddisfazione; i successivi bisogni sono detti di crescita, ovvero continuano a svilupparsi. 10.1.5 Le teorie socio-cognitive: la motivazione alla riuscita Secondo l'approccio cognitivista la motivazione è il prodotto di pensieri, valutazioni, aspettative e scopi dell'individuo, in una parola le sue cognizioni. L'attenzione si sposta sui sistemi di elaborazione di informazione attraverso cui l'individuo valuta l'ambiente e attribuisce il valore “per sé” agli eventi o oggetti. Ogni condotta è influenzata da piani e intenzioni consapevoli. Ciò significa di fatto uno spostamento radicale del fuoco di attenzione e di analisi rispetto alle teorie precedenti. Il modello aspettativa x valore Edwards (1961) introdusse la teoria dell'utilità soggettivamente attesa (USA), in base alla quale le 11.1.2 Le origini delle emozioni: le teorie classiche Uno stato emotivo si accompagna a modificazioni fisiologiche che sono parte costitutiva dell'emozione stessa. Ovviamente questi cambiamenti fisiologici avvengono senza che ce ne accorgiamo. Le prime teorie formulate in campo psicologico a proposito di emozioni hanno riguardato la definizione del ruolo di queste risposte fisiologiche nell'esperienza emotiva. Da un lato è stato affermato che specifiche reazioni corporee causano l'esperienza di particolari emozioni. Altre teorie hanno sostenuto che la reazione fisiologica sia un risultato dell'esperienza emotiva. La teoria periferica di James-Lange: le reazioni viscerali equivalgono alle emozioni? William James, (1884) tra i primi studiosi a occuparsi della natura delle emozioni, sostenne che la percezione di un evento attivante è direttamente seguita: da modificazioni corporee, e che l'esperienza emotiva corrisponde al sentire queste stesse modificazioni nel momento in cui si verificano. James affermò che l'emozione non avviene immediatamente indotta dalla percezione di un evento, a cambiamenti corporei devono interporsi tra le due. L'emozione coincide con la dimensione corporea. La teoria James-Lange o teoria periferica delle emozioni è la teoria secondo la quale l'esperienza emotiva è dovuta a reazioni fisiologiche a livello viscerale degli organi interni. Il feed-back facciale James (1890) attribuiva grande importanza non solo a segnali di feedback viscerali respiratori, cardiovascolari e cutanei, ma anche ai segnali muscolari come determinanti dell'emozione. Successivamente le idee di James vennero riprese da Tomkins, Ekman e Izard che proposero un ruolo centrale del volto nell'esperienza emotiva, implicando una corrispondenza tra configurazioni di azioni facciali, l'intensità dell'azione facciale e l'esperienza soggettiva. In particolare, è stata formulata la cosiddetta ipotesi del feed-back facciale. Secondo tale ipotesi le espressioni forniscono informazioni propriocettive, motorie e cutanee o vascolari che influenzano il processo emotivo. Ekman sostenne una versione forte di tale ipotesi ritenendo che una configurazione di movimenti facciali possa elicitare una determinata emozione, mentre una versione debole sostiene che il feedback facciale aumenti l'intensità e la durata dell'emozione. La respirazione e i movimenti facciali attraverso la loro influenza su meccanismi di termoregolazione cerebrale, possono modulare il carattere positivo o negativo dell'esperienza emotiva. Tale teoria è nota come teoria vascolare dell'efferenza emotiva. La teoria centrale di Cannon-Bard: reazioni fisiologiche provocate dalle emozioni Walter Cannon e Philip Bard svilupparono una prospettiva alternativa. La teoria Cannon-Bard o teoria centrale delle emozioni (1929) rifiutò l'idea che cambiamenti fisiologici da soli potessero portare alle emozioni, e sostenne invece che l'attivazione fisiologica (arousal) e l'esperienza emotiva fossero contemporaneamente causati dallo stesso stimolo nervoso, che Bard e Cannon pensavano fosse prodotto nel telamo. Secondo questa teoria, a seguito dell'esposizione a uno stimolo elicitante le informazioni arrivano dalla corteccia celebrale al talamo, dove ha inizio la risposta emotiva. Il talamo invia il segnale che attiva il sistema nervoso autonomo, producendo quindi una risposta viscerale (arousal). Allo stesso tempo, il talamo invia anche segnali alla corteccia cerebrale riguardo alla nature dell'emozione provata, producendo la consapevolezza dell'emozione. Non è necessario che emozioni diverse siano associate a configurazioni specifiche di attivazione fisiologica, a patto che il segnale inviato alla corteccia cerebrale sia diverso a seconda dell'emozione specifica. La teoria centrale spostò la sede a livello neurofisiologico dei centri di elaborazione e di controllo degli stati emotivi, che non venivano più localizzati in sedi periferiche come i visceri, ma si attribuì un ruolo centrale alla struttura sottocorticale del talamo, in grado di generare sia l'attivazione fisiologica sia l'esperienza soggettiva di un'emozione. La teoria cognitivo-attivazionale di Schachter e Singer Intorno agli anni Sessanta del Novecento, Schachter e Singer enunciarono la teoria cognitivo- attivazionale delle emozioni, secondo la quale le emozioni sono determinate dall'attivazione fisiologica, dal riconoscimento di tale attivazione e dalla sua attribuzione causale. Affinché si generi un'emozione non sono sufficienti l'attivazione fisiologica e la sua percezione, ma occorre un'attribuzione causale che spieghi lo stato di attivazione in funzione di un evento pertinente e adeguato. La teoria Schachter-Singer delle emozioni è importante perché sostiene che le esperienze emotive sono una funzione composta tra attivazione fisiologica, attribuzione causale ed etichettamento di tale attivazione. Attribuzione erronea e transfer di eccitazione L'ipotesi di Schachter secondo cui, quando un individuo è indotto ad attribuire erroneamente la causa del proprio stato di attivazione fisiologica a un evento neutro, l'intensità del suo stato emotivo risulterà attenuata (paradigma dell'attribuzione erronea). Estendendo l'ipotesi di Schachter a stati di attivazione in sequenza, è stato dimostrato che, poiché lo stato di attivazione non cessa in modo istantaneo, l'individuo può attribuire erroneamente il residuo dell'attivazione fisiologica provocata da una certa situazione alla situazione successiva. 11.1.3 Le teorie contemporanee Vi sono due filoni teorici che hanno caratterizzato la ricerca in campo scientifico negli ultimi decenni: da un lato le teorie dell'appraisal, le quali hanno sollevato il dibattito circa la relazione tra emozione e cognizione; dall'altro le teorie evoluzionistiche che hanno sottolineato il ruolo adattivo delle emozioni di base. In seguito altre due teorie si inscrivono all'interno di questi approcci teorici: la teoria del core effect di Russel, che ipotizza due dimensioni alla base di ogni stato affettivo, e la teoria del marcatore somatico di Damasio che nasce invece all'interno delle neuroscienze e analizza l'emozione dal punto di vista biologico. Le teorie dell'appraisal: emozione e cognizione Nel corso degli anni Ottanta si svilupparono le teorie cognitive nello studio dell'emozione, secondo cui le emozioni dipendono dal modo in cui gli individui interpretano e valutano situazioni, eventi e stimoli provenienti dal proprio ambiente fisico e sociale. Dato il ruolo centrale attribuito ai processi cognitivi nella genesi del processo emotivo, e in particolare alla valutazione (appraisal) che ogni soggetto compie degli eventi, queste teorie furono denominate teorie dell'appraisal. Con il termine appraisal ci si riferisce alla valutazione di un evento da parte del soggetto. Ogni emozione nasce dall'interpretazione cognitiva di una certa situazione o evento o stimolo eccitante, che viene denominato antecedente emotivo. Antecedenti emotivi possono appartenere all'ambiente fisico e naturale al proprio o altrui comportamento, oppure possono essere eventi interni, come pensieri e ricordi. In ogni caso l'evento e le sue conseguenze devono essere valutati come rilevanti per l'organismo: ciò significa che la prima valutazione, rapida e immediata, che l'organismo compie circa lo stimolo riguarda la sua rilevanza per i propri interessi e il proprio benessere. Le teorie dell'appraisal definiscono le emozioni come processi che variano secondo alcune dimensioni continue (prospettiva dimensionale). La valutazione cognitiva è concepita come un processo continuo che si dispiega nel tempo cosicché l'emozione è vista come un'esperienza, in continua evoluzione. Il “mero” effetto espositivo Zajonc teorizzò il primato dell'emozione sulla cognizione, sostenendo che sia prima la reazione emotiva a rispondere a una data situazione e che il tentativo di comprenderla avvenga solo dopo. Per mezzo di numerosi esperimenti egli ha dimostrato l'esistenza di un meccanismo alla base della nostra capacità di provare emozioni che lui chiama mero effetto espositivo. I risultati hanno dimostrato non solo che l'esposizione agli stimoli era sufficiente a creare delle preferenze nei soggetti, ma anche che le preferenze per prodursi non avevano bisogno necessariamente che gli stimoli arrivassero alla coscienza. Le teorie evoluzionistiche e le emozioni di base Contemporaneamente allo sviluppo delle teorie dell'appraisal, si afferma un secondo filone di teorie sulle emozioni, denominate teorie evoluzionistiche poiché riprendono il pensiero e la teoria evoluzionistica di Darwin. Darwin si interrogò circa il significato evolutivo delle espressioni facciali delle emozioni e sul ruolo nell'evoluzione della specie. Le espressioni emotive costruirebbero, secondo Darwin, importanti mezzi di segnalazione di stati interni, essenziali in situazioni di emergenza. L'assunto generale alla base delle teorie evoluzionistiche afferma che le emozioni si configurano come unità discrete, distinte, regolate da meccanismi innati su base genetica e dunque universali. Questa tesi si riferisce in modo particolare alle cosiddette emozioni di base, come la collera, la paura, il disgusto, la sorpresa, la gioia. Queste emozioni sarebbero associate a un ruolo adattivo nell'evoluzione della specie e nella sopravvivenza dell'individuo. Le altre emozioni, dette secondarie o miste, derivano dalla combinazione delle diverse emozioni di base e dipenderebbero maggiormente dalla cultura e dall'apprendimento. Le teorie evoluzionistiche si muovono all'interno di una prospettiva categoriale, secondo cui cioè le emozioni sono concepite come categorie separate, come processi neurofisiologici unitari e precodificati, geneticamente determinati. La teoria del core affect di James Russel Russel sostiene la necessità di ricercare unità o elementi “primitivi” che identifica in due dimensioni, piacevolezza-spiacevolezza e attivazione-deattivazione. Il core affect è dato appunto dalla combinazione tra queste due dimensioni ed è definito da Russel come “uno stato neurofisiologico accessibile alla coscienza come una sensazione semplice”. Il core affect è uno stato affettivo di base, ancora privo di un oggetto specifico: nel momento in cui questo stato indefinito viene “direzionato” verso un oggetto, allora prende forma un'emozione. Alla base di ogni emozione, dell'umore e di ogni stato affettivo ci sono degli stati esperiti semplicemente. In ogni dato momento, l'esperienza cosciente è il risultato dell'integrazione di queste due dimensioni. Tra i biosegnali (misure della risposta fisiologica) relativi all'attivazione del SNA più comunemente utilizzati come misure della risposta fisiologica in situazione di attivazione emotiva, ci sono frequenza cardiaca e pressione arteriosa, attività elettrodermica, frequenza respiratoria e temperatura della pelle. Le basi neurali delle emozioni Si avanzò l'ipotesi secondo la quale ipotalamo, talamo anteriore, giro cingolato e ippocampo costituissero i centri di controllo dei processi emotivi (circuito di Papez). Il circuito di Papez venne integrato con altre regioni quali l'amigdala, i nuclei del setto, porzioni della corteccia fronto-orbitaria e porzioni dei gangli della base da Maclean (1949), il quale denominò l'insieme di queste strutture con il termine sistema limbico, in seguito considerato come la sede di elaborazione e regolazione dell'emozionalità. L'ipotalamo è la struttura cerebrale che coordina il sistema nervoso autonomo regolando lo stato fisiologico attraverso le diverse funzioni all'interno dell'organismo. L'amigdala ha anch'essa un ruolo importante nell'esperienza delle emozioni, poiché fornisce un collegamento tra percezione di uno stimolo elicitante e il ricordo di quello stimolo in un secondo tempo. 11.2.2 La valutazione cognitiva dell'antecedente emotivo Questa componente è stata indagata soprattutto dalle teorie dell'appraisal e, all'interno della letteratura psicologica contemporanea. Secondo Lazarus (2006), ciò che determina l'inizio dell'esperienza emotiva è un processo di valutazione cognitiva attraverso cui gli eventi esterni sono trasformati in qualcosa si rilevante e significativo per l'individuo ed è dunque il significato attribuito agli eventi a dare forma alle emozioni. È possibile differenziare tre diversi stati all'interno del processo di valutazione: 1. la valutazione primaria, ossia la valutazione di una situazione o evento in funzione del grado di rilevanza e pertinenza per gli interessi dell'individuo 2. la valutazione secondaria, valutazione che l'organismo compie rispetto alle proprie capacità di fronteggiare, controllare e gestire l'evento. 3. Il coping, che consiste nella modalità attraverso cui l'organismo realmente cerca di far fronte alla situazione o evento che provoca stress. Il processo di valutazione cognitiva di una situazione avviene in funzione di alcuni criteri di valutazione. Ciò significa che la differenziazione degli stati emotivi ha luogo in funzione della configurazione degli esiti della valutazione per ciascuno di tali criteri. Col supporto delle scoperte in campo neuroscientifico si sostiene oggi la più generale articolazione del processo di valutazione cognitiva in un apppraisal primario ( valutazione finalizzata al processamento della rilevanza e delle caratteristiche più salienti dello stimolo), e un appraisal secondario ( valutazione più sofisticata del contesto e del grado di appropriatezza delle risposte da emettere). 11.2.3 L'espressione multimodale delle emozioni Si parla di multimodalità dell'espressione emotiva, ovvero la capacità dell'individuo di esprimere uno stato emotivo attraverso sistemi espressivi molteplici. Alcune ricerche hanno affrontato l'efficacia degli indicatori del viso e degli indicatori del corpo, evidenziando come i primi sono risultati produrre riconoscimenti e giudizi più accurati nella identificazione delle emozioni di base. L'universalità delle espressioni facciali Gran parte degli studi sulle espressioni facciali sono stati condotti all'interno delle teorie delle emozioni discrete o evoluzionistiche, che hanno cercato di verificare il proprio assunto di universalità delle emozioni di base attraverso lo studio dell'universalità delle espressioni facciali delle emozioni. Secondo la tesi innatista esistono configurazioni di movimenti prototipiche, innate e universali che differenziano ciascuna emozione di base. Mentre l'approccio culturale sostiene che le espressioni facciali hanno carattere espressivo. La tesi di universalità delle espressioni facciali è risultata indebolita a favore della interazione tra fattori innati e presenza di variazioni culturali nel comportamento espressivo. La teoria neuro-culturale Nel tentativo di risolvere la contraddizione tra l'aspetto universalità delle espressioni facciali da un lato con le variazioni culturali registrate dall'altro, Ekman propose la teoria neuro-culturale che invocava l'intervento di due fattori o componenti nell'espressione facciale delle emozioni: 1. Il primo fattore è di natura neuro-fisiologica → ogni emozione di base è caratterizzata da un “programma facciale”, ovvero dall'attivazione di una certa configurazione di muscoli facciali su base innata. 2. Il secondo fattore è di natura culturale e cognitiva → consiste nelle cosiddette display rules o regole di esibizione, che corrispondono a meccanismi, appresi nel processo di socializzazione, che interagiscono con i programmi espressivi innati. Approccio molare e approccio molecolare All'analisi dell'espressione facciale Un primo approccio allo studio dell'espressione facciale, detto molare o anche globale considera le espressioni facciali delle emozioni configurazioni di movimenti muscolari fisse, distinte e specifiche. Questo approccio fu sostenuto da Ekman, il quale elaborò un complesso sistema di codifica e di analisi del comportamento facciale denominato Facial Action Coding System (FACS). L'approccio alternativo, detto molecolare o anche dinamico, considera le espressioni facciali non come il prodotto di un programma neuromotorio specifico, ma come risultante del progressivo processo di valutazione cognitiva dello stimolo. In questa prospettiva si mira all'analisi dinamica delle modificazioni facciali come indicatori del processo appraisal. Ogni espressione è concepita come il prodotto momentaneo di uno specifico profilo di appraisal. Prospettiva emotiva e prospettiva comunicativa Intorno agli anni Novanta, si è sviluppato un dibattito circa la funzione delle espressioni facciali che ha visto contrapporsi due prospettive: • La prospettiva emotiva secondo la quale le espressioni facciali sono la manifestazione immediata, spontanea e involontaria delle emozioni. • La prospettiva comunicativa secondo la quale le espressioni facciali manifestano le intenzioni del soggetto. 11.2.4 Emozione e azione Un'altra proprietà delle emozioni è che esse sono motivazioni per il comportamento, ovvero esse includono tendenze all'azione. La relazione tra emozione e tendenze all'azione è stata sottolineata da alcuni autori all'interno della teoria dell'appraisal, secondo cui le tendenze all'azione, così come le valutazioni cognitive, sono concepite come componenti in grado di caratterizzare e differenziare ciascuna emozione. L'autore a cui si deve principalmente l'attenzione al ruolo dell'azione nel processo emotivo è Nico Frijda. Secondo Frijda, le emozioni possono essere differenziate in base a specifici cambiamenti della prontezza all'azione in risposta per eventi rilevanti gli interessi dell'individuo. Gli stati di prontezza all'azione costituiscono il cuore delle emozioni. Essi hanno origine dalla valutazione di un evento od oggetto come rilevane per gli interessi dell'individuo: secondo Frijda, l'interesse e il coinvolgimento sono alla base della possibilità di provare qualsiasi tipo di emozione. Ciò significa che l'individuo deve essere toccato, interessato e coinvolto dallo stimolo affinché insorga un'esperienza emotiva. Frijda ha individuato quattro proprietà che caratterizzano gli stati di preparazione all'azione: 1. essi riguardano un oggetto o un evento specifico, ovvero implicano azioni per stabilire, mantenere o modificare la relazione con un oggetto o più in generale con l'ambiente, fisico e sociale, in base al significato per esso attribuito. 2. La finalità: la formulazione generale secondo cui gli stimoli emotivi elicitano propensioni verso un particolare scopo, obiettivo e stato futuro di cose. 3. La precedenza, ovvero lo stimolo emotigeno e l'azione a esso collegata assumono carattere di priorità rispetto ad altri stimoli o attività dell'organismo in corso. 4. La prosodia del comportamento: si riferisce alle caratteristiche temporali del comportamento. 11.2.5 Esperienza soggettiva L'ultima componente riguarda l'esperienza soggettiva o vissuto interno, ovvero l'emozione così come “percepita” dal soggetto stesso, e corrisponde al termine sentimento. Scherer (2005) lo definisce come la rappresentazione cognitiva soggettiva che riflette la propria esperienza unica di cambiamenti a livello mentale e corporeo quando si è confrontati con un particolare evento. Non esistono cioè indicatori oggettivi che consentano una misura diretta dell'esperienza, ma è necessario passare dall'auto-valutazione compita da ciascun soggetto. Questo campo di ricerca si è quindi tradotto nella possibilità di trovare una “struttura” concettuale in grado di descrivere e comprendere tutti i tipi di esperienze emotive, ovvero nella possibilità di sovrapporre una “mappa” sul campo semantico complesso e sfumato delle emozioni, fondata sullo studio scientifico del fenomeno emotivo. Le mappe di ricerca proposte dai diversi ricercatori si differenziano innanzitutto in due grosse tipologie:
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