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Dinamica gruppi: Livelli lavoro, Compensazione, Leadership, Confronto sociale, Appunti di Psicologia Sociale

La dinamica dei gruppi attraverso le teorie di bion e bales, la compensazione sociale, la leadership e il confronto sociale. Vengono discusse le differenze tra gruppi reali e statistici, l'influenza della motivazione individuale e culturale, il ruolo della leadership e il confronto sociale tra gruppi. Esperimenti e risultati riguardanti l'effetto autocinetico, la polarizzazione di gruppo e la leadership in piccoli gruppi.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 06/02/2024

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Scarica Dinamica gruppi: Livelli lavoro, Compensazione, Leadership, Confronto sociale e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! PSICOLOGIA SOPCIALE SECONDA PARTE LE RELAZIONI INTERPERSONALI Quali sono i fattori sottostanti alla nostra scelta delle persone che ci sono amiche o del partner, o più semplicemente con chi andiamo d’accordo e chi no, come possiamo cercare di piacere agli altri? Uno dei primi fattori è l’Affiliazione, ovvero il bisogno di contatto sociale. La compagnia reciproca si cerca quando vi sono delle condizioni piacevoli oppure delle condizioni minacciose (studiate sperimentalmente). Al contrario, si preferisce stare soli quando vi sono delle condizioni spiacevoli o quando si è in condizioni che richiedono concentrazione. Ma perché si cerca la compagnia? La compagnia si cerca per un confronto sociale (come si comportano gli altri), per la riduzione dell’ansia e la ricerca di informazioni. I fattori che riducono la ricerca di affiliazione sono l’imbarazzo e una forte paura (relazione curvilinea a U rovesciata: non li cerchiamo se non proviamo paura o ne proviamo troppa) Il sostegno sociale può essere: emozionale, appraisal (confronto sociale), informativo e strumentale Vi sono tre fasi nella ricerca: Negli Anni 50 viene fatta un’indagine dei fattori che facilitano l’insorgere di una relazione, viene condotta una ricerca delle tecniche di misurazione e una sui metodi osservativi-correlazionali. Negli anni 60 vengono forniti dei modelli sui fattori che influenzano e determinano l’attrazione e dei metodi sperimentali. Negli anni 70 vengono fatte delle critiche e negli anni 80 c’è una rinascita: - analisi su sviluppo, mantenimento e declino di relazioni reali - pluralità di metodi: diali; self-report Una ricerca recente ha svolto un’indagine per verificare quando si instaura un’amicizia stretta. Secondo Hall (2018, Journal of Social and Personal Relationships) per considerare una persona un amico stretto occorre tempo e di qualità. Il cervello può gestire solo circa 150 amicizie. Dati da 355 questionari online di adulti trasferiti negli ultimi sei mesi che stavano cercando nuovi amici e un esperimento con 112 studenti. Hall individua quattro livelli: conoscenza, amicizia occasionale, amicizia e amicizia intima. Ci vogliono dalle 40 alle 60 ore per un'amicizia occasionale, 80-100 ore per passare all'essere un amico e più di 200 ore insieme per diventare buoni amici. Amicizia e ambiente fisico Uno dei fattori importanti per l’instaurazione di un rapporto è la vicinanza fisica e le interazioni frequenti spesso conseguenti facilitano l’amicizia. Questo perché vi sono meno ostacoli agli incontri, si hanno più informazioni su chi ci è vicino, inoltre ci piace di più ciò che abbiamo già visto e quindi ci è familiare (mere exposure). Tuttavia, interazioni negative frequenti aumentano l’avversione. Somiglianza-attrazione Nei rapporti d’amicizia e d’amore preferiamo le persone che ci assomigliano. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che individui che possiedono atteggiamenti, credenze e valori simili è più probabile che diventino amici. Molto noto è l’esperimento condotto da Byrne (1971) “paradigma del falso straniero”. A degli studenti era sottoposta la descrizione di una ipotetica persona che aveva atteggiamenti simili/diversi (VI) rispetto ai loro (in realtà la descrizione era costruita in base a un questionario distribuito ad inizio 1 d’anno in cui si rilevavano gli atteggiamenti degli studenti verso sport, fumo, sesso prematrimoniale, ruolo della donna, religione, guerra, ecc). A questo punto gli studenti dovevano indicare mediante alcune scale sociometriche (riguardanti cultura, intelligenza, moralità, simpatia) il loro grado di attrazione (VD) verso questo ipotetico sconosciuto. Vennero condotti vari esperimenti con grado di somiglianza tutto o niente e atteggiamenti diversi. I risultati erano molto chiari, vi era una relazione lineare fra somiglianza e attrazione. Possibili spiegazioni: confronto sociale, sostegno alla nostra visione del mondo, condizionamento (otteniamo rinforzo dagli altri alle nostre posizioni: bravo, hai ragione, è proprio così) Ci piacciono sempre e solo coloro che sono simili a noi? Tuttavia, per un certo periodo negli studi sull’attrazione interpersonale, come pure nel senso comune, è prevalsa l’idea che le amicizie fossero più frequenti fra coloro che possiedono tratti complementari (es. dominante-sottomesso). Questo è ancora dubbio, ma è sicuro che la somiglianza di tratti di personalità (invece che di atteggiamenti) non aumenta l’attrazione. A tutti noi piacciono le persone attraenti, simpatiche, equilibrate, ecc. (Per alcune caratteristiche preferiamo gli opposti, introverso-estroverso). Recenti risultati neuroscientifici mostrano che scegliamo persone con odore diverso, risultano più attraenti, indicherebbe una configurazione genetica diversa (favorirebbe la procreazione e la resistenza a malattie). I siti web di ricerca partner usano test di personalità che combinano tratti complementari-diversi e caratteristiche di somiglianza, mix bilanciato di bisogni, interessi e atteggiamenti simili e tratti diversi. PROSPETTIVE TEORICHE Teoria biologica (cerca su internet) È una teoria evolutiva e socio-biologica secondo cui è l’impulso biologico a favorire la sopravvivenza dei propri geni. Si parla quindi di “gene egoista”. Teoria dell’apprendimento (cerca su internet) “uomo edonistico”: rinforzo e soddisfazione dei bisogni (amore, sesso, rispetto, status, conferma delle proprie opinioni, aiuto e denaro). Tuttavia, non è sufficiente per spiegare l’origine delle relazioni. Vi sono infatti i vincoli di parentela che non si indeboliscono nel tempo e non dipendono dal rinforzo, nelle relazioni strette ci si preoccupa di più dell’altro, norma dell’equità più che dell’interesse personale. Teoria dello scambio (Thibaut e Kelley, 1959) Questa teoria è uno sviluppo della teoria dell’apprendimento. Secondo la teoria dello scambio nell'emergere di relazioni sociali c'è un processo di valutazione costi-benefici. Dove i soggetti discriminano se vale la pena stabilire relazioni con altri individui o meno. L'individualismo e l'edonismo sono le sue basi fondamentali, che parlano del fatto che tutti i comportamenti sono associati ai risultati personali (compresi quelli sociali) e che l'unico obiettivo dell'essere umano è raggiungere il piacere e la soddisfazione individuale. Thibaut e Kelley sviluppano quindi il modello di “uomo economico”, secondo cui le persone tendono a massimizzare i benefici e minimizzare i costi. Si attuano processi di confronto con il passato e confronto con le alternative.  aumento dell’impegno o della dedizione 2 FRUSTAZIONE E AGGRESSIVITÀ Secondo Dollard l’aggressività avviene come conseguenza della frustrazione (condizione che sorge quando il raggiungimento di un fine gratificante incontra un ostacolo). L’aggressività non sempre è rivolta alla fonte di frustrazione, il bersaglio è sostituibile come la forma della reazione, vi è quindi uno spostamento dell’aggressività (concetto psicoanalitico). Una prima ipotesi forte è quella che vede la frustrazione come una condizione necessaria e sufficiente che porta ad un comportamento aggressivo, tuttavia a volte porta apatia, fuga e pianto. Una prima ipotesi debole è quella che vede l’aggressività come risposta dominante alla frustrazione. La frustrazione crea uno stato di preparazione all’aggressività, ma servono altre condizioni. Molti fattori agiscono solo se l’aggressività costituisce già la tendenza di risposta dominante. Frustazione  arousal  comportamento aggressivo Sono stati studiati altri fattori o moderatori (questi moderano la relazione) della relazione: - presenza di stimoli-segnali (effetto arma) - attivazione negativa: rumore, temperatura, densità abitativa, emozioni negative - attivazione da altre fonti - dolore fisico - alcool e droghe gli studi di laboratorio vengono spesso fatti con la “macchina di Buss”, una macchina che da scosse elettriche quando uno studente sbaglia. Tutto quello che aumenta l’arousal aumenta l’aggressività. Sopra i 42/43 gradi la rabbia diminuisce Es. Ubriaco in un bar, si alza l’erausal. I moderatori visti agiscono quindi aumentando l’erausal che è stato ipotizzato essere un precursore del comportamento aggressivo. Alcuni di questi moderatori come alcol ed emozioni riducono la tendenza all’elaborazione sistemica dell’informazione. COMPORTAMENTO APPRESO: in quanto si ha un condizionamento strumentale, un modellamento, basti pensare agli effetti della tv e del cinema, soprattutto se la violenza è presentata come efficace, come un comportamento normativo in quanto spesso sembra privo di conseguenze e giustificabile, chi agisce è simile allo spettatore e questo è quinti emotivamente attivato. Si fa quindi riferimento a processi interni come l’istinto e a processi esterni come il comportamento appreso. Il concetto è visto come unidimensionale, con un'unica origine, come un istinto o una pulsione, facendo in fondo riferimento ad un’unica dimensione di personalità. Multidimensionalità dell’aggressività Costruzione sociale Chi giudica se è un comportamento aggressivo? Lo stesso comportamento può essere visto, in contesti diversi, come necessario e giusto, oppure come punibile e illegittimo. Criteri considerati: intenzione di nuocere, danno arrecato, violazione di norme. I gruppi sono tendenzialmente più aggressivi dei singoli. Primi approcci: l’aggressività è vista come un comportamento irrazionale, impulsivo, meno conforme alle norme, vi è quindi una de individuazione e assenza di norme (psicologie delle folle degli inizi del secolo scorso). 5 Recenti modelli: esistono norme diverse nel gruppo che si comporta in modo anche violento se reso accettabile da tali norme. IL COMPORTAMENTO PROOSOCIALE Con altruismo si intende beneficiare gli altri senza ottenere ricompense, questo è un comportamento d’aiuto o prosociale. Alcuni autori però credono che questo non sia nelle corde degli esseri umani e che esiste solo l’egoismo. Perché noi dovremmo aiutare le altre persone? (motivi a favore): - reciprocità che può essere intesa in senso individuale (io adesso faccio un favore a te e quando avrò bisogno lo farai tu a me) o in senso più ampio (faccio del bene e prima o poi qualcuno lo farà a me, io do aspettandomi di ricevere poi qualcosa) - risposta empatica (io sento emotivamente la sofferenza dell’altro e quindi lo aiuto per alleviare la mia sofferenza) - innalzamento dell’autostima (faccio del bene e non voglio riconoscimenti o premi, rimango anonimo ma comunque lo faccio per sentirmi bene io) - senso di dovere morale, responsabilità sociale (specie da parte di chi è superiore o più forte) - riconoscimenti o ricompense - gene egoista (favorire la sopravvivenza dei propri geni) vi sono studi anche nell’ambito animale, aiuto soprattutto quelli che mi assomigliano e che condividono i miei geni come i parenti. Modelli dello scambio sociale: spiegazioni sociobiologiche (famiglia, gruppo, tribù - spiegazioni innatiste del gene egoista), modello comportamentista dell’attivazione con costi e ricompense, primo modello empatico e quindi ipotesi del sollievo dallo stato d’animo negativo (aiuto gli altri per sollevare me stessa dal mio malessere nel vedere gli altri soffrire), ipotesi della riparazione dell’immagine (aiuto gli altri per vedermi come una brava persona), teoria dell’equità, ipotesi dell’empatia gioia (non aiuto perché vedere la sofferenza altrui mi fa stare male ma perché aiutandolo condivido la gioia che sta provando perché l’ho aiutato). Modelli dello scambio non sociale: spiegazioni culturali (ci sono società più altruiste di altre), Batson è l’unico che crede davvero all’altruismo, con il modello dell’empatia sostiene che è possibile vedere empaticamente una persona che soffre ed intervenire per puro altruismo, senza ricavare nessun vantaggio. Perché le persone non aiutano? (ostacoli): - situazione ambigua (una persona sembra soffrire e mi chiedo quindi se ha davvero bisogno di aiuto, non è chiaro se c’è bisogno del mio intervento) è uno dei fattori più rischiosi - costi (perdita di tempo o altri danni) - pericolo - stress - scarsa competenza - umore (buonumore accresce per breve tempo: esperimento sulla telefonata da rifare) se buono non voglio rovinarmelo (mentre senso di colpa e altre emozioni negative aumentano il comportamento prosociale per alleviarle) 6 Effetto del tempo disponibile: esperimento: viene detto a dei ragazzi che al termine della lezione, alle 11 ci sarà una conferenza nell’istituto li vicino. Gli studenti vengono avvisati in tre condizioni diverse, a meno un quarto, a meno cinque e nell’ultimo caso ci si dimentica di avvisare in tempo. Gli studenti possono essere quindi in anticipo, puntuali o in ritardo. Manipolazione sperimentale: una ragazza finge di inciampare e si sloga la caviglia. La percentuale dei soggetti che si ferma a dare una mano è del 42%. Nella condizione ritardo la percentuale di persone che aiutano si abbassa sotto il 20%. Questo esperimento ci dice che aiutiamo poco e che aiutare ci costa qualcosina aiutiamo ancora meno. L’effetto più noto e più studiato è quello dell’inibizione dell’altruismo, chiamato anche apatia dello spettatore, inibizione da pubblico e risposta collettiva alle emergenze. Si è scoperto che vi è una disponibilità maggiore a prestare soccorso quando si è da soli. Spiegazioni dell’inibizione sociale: - diffusione di responsabilità (non tocca solo a me) - circostanze ambigue (se gli altri non fanno niente è perché non ce ne bisogno), questa è incrementata dal fatto che gli altri non stanno facendo niente - timore della valutazione (e se sbaglio?) legato al sentirsi incompetenti uno dei modi per rompere l’apatia dello spettatore è chiedere esplicitamente aiuto e quindi eliminare l’ambiguità della situazione e indirizzare la richiesta d’aiuto ad una persona specifica. L’effetto dell’inibizione dello spettatore avviene solo in presenza del pubblico. Vi sono due motivazioni del perché si aiuta: la motivazione egoistica (aiuto per alleviare il mio disagio o per avere qualcosa in cambio e dipende dalla situazione), la motivazione altruistica (si aiuta sempre, se uno è altruista è indipendente dal contesto sociale). È difficile separare i due effetti. Vi sono stati tentativi sperimentali in cui si è offerta la possibilità di fuga dalla situazione angosciante Volontariato: se ho delle motivazioni estrinseche (imparare nuove cose o trovare nuovi amici, motivazioni egoistiche) è molto più probabile che io mantenga un impegno costante nel tempo. Tre modi in cui agisce l’empatia - ipotesi dell’empatia-gioia: la persona aiuterà solo se può condividere la gioia provata dall’altro quando la sofferenza termina - ipotesi del sollievo dallo stato d’animo negativo: la persona aiuterà se questo è il solo modo di sfuggire alla condizione negativa di vedere altri soffrire - ipotesi dell’empatia-altruismo: la persona aiuterà anche se può evitare di vedere la persona in difficoltà esistono però anche differenze individuali, ci sono quindi persone più empatiche di altre, più cooperative, più competitive di altre. Gli uomini chiedono meno spesso aiuto perché chiedere aiuto vuol dire mostrarsi debole, ma aiutano di più, forse perché sono più forti o si sentono competenti, responsabili. MODULO 7 COS’È UN GRUPPO Un gruppo è definito al meglio come una totalità dinamica basata sull’interdipendenza invece che sulla somiglianza. 7 risposte dominanti. Nei compiti facili le risposte dominanti sono corrette, nei compiti difficili le risposte dominanti sono scorrette (o non ci sono). Risulta dal modello di Zajonc che la presenza di altri migliora la prestazione individuale se il compito è facile, la peggiora se il compito è difficile. I risultati delle indagini confermano questa ipotesi e spiegano le precedenti incongruenze. Tuttavia, ciò ammesso, sono state proposte delle spiegazioni alternative. Fra le principali, che l’attivazione in presenza di altri sia una risposta appresa (e non innata). La catena di associazioni che impariamo con l’esperienza sarebbe: Presenza altri  Valutazione del rendimento  Paura della valutazione altrui  Attivazione. Esperimento della paura di essere valutati In un esperimento di Henchy e Glass del 1968 i soggetti dovevano eseguire un compito in 4 diverse condizioni: - da soli - con esperti (con 2-3 persone presentate come tali) - con non-esperti - da soli videoregistrati per poi essere valutati da esperti Risultati: avviene una facilitazione delle risposte dominanti (ben apprese) nelle condizioni 2 e 4, mentre la prestazione nella 3 era simile alla 1. Solo la paura di essere valutati, e non la semplice presenza di altri, migliora la prestazione in compiti facili e la peggiora in quelli difficili. Risultato discusso. Modello di Manstead e Semin Questo modello è uno dei più recenti e il fuoco è sull’elaborazione delle informazioni. Quali sono i compiti facili e quelli difficili? Per rispondere questa domanda bisogna fare una distinzione tra processi automatici e controllati. Nei compiti facili vi è una maggiore attenzione alle componenti automatiche in presenza di altri. Nei compiti complessi vi è una maggiore elaborazione e il pubblico distrae e sottrae attenzione. LA PRODUTTIVITÀ NEI GRUPPI “due teste sono meglio di una” – “troppi cuochi rovinano il brodo” Si fa un confronto tra la produttività di individui e gruppi. Nel confronto più semplice, e quindi tra i gruppi e l'individuo medio, la prestazione dei gruppi è forse ovviamente superiore. Però, se il confronto riguarda gruppi reali e gruppi statistici, cioè formati sommando statisticamente le prestazioni degli individui, allora i gruppi reali, di solito hanno prestazioni meno buone in numerosi compiti fisici e intellettuali. Effetto Ringelmann Ringelmann era un ingegnere agricolo che, alla fine del secolo scorso, studiava l’efficienza del lavoro fornito da uomini e animali. Fece alcune prove facendo tirare una corda a dei giovani, e scoprì che un individuo da solo tira circa 63 kg, ma 2 individui circa 118 (8 kg meno di 126), 3 individui 160 kg (29 kg meno). All’aumentare del gruppo, cresce la perdita di produzione (un gruppo di 8 tira 256 kg in meno delle sue possibilità). Perché? Due teorie Secondo la teoria di Steiner del 1972 I gruppi raramente sono in grado di utilizzare completamente le loro risorse potenziali per colpa di "processi imperfetti". Si verificano problemi interni che impediscono di raggiungere la massima produttività. Con processi imperfetti si intendono le perdite di coordinazione e le perdite di motivazione. (Produttività —Perdite --- Perdite potenziale di motivazione di coordinazione). 10 Se la mancanza di coordinazione è dovuta al fatto che non tutti tirano al massimo contemporaneamente, le perdite di motivazione sono più complesse e dovute al fatto che il proprio contributo nel gruppo spesso non è identificabile e lasciamo agli altri il lavoro. Distinte usando pesudogruppi (gruppi finti in cui ciascuno lavora solo ma crede di lavorare con altri; es. bendati e con cuffie). Secondo la teoria di Latané del 1979 sull’inerzia sociale, I deficit sono attribuiti a mancanza di motivazione. Si suppone che ciò avvenga perché l'effetto delle istruzioni è "diluito" tra i membri del gruppo e quindi quanti più siamo quanto meno facciamo. Inoltre nella vita reale l’impatto del singolo sembra poco rilevante o non valutabile (perché dovrei pagare le tasse?) oppure volutamente ci approfittiamo del contributo di altri o temiamo lo facciano altri. Quindi facciamo meno noi. In un esperimento fu detto a degli studenti di tifare e applaudire il più calorosamente possibile, da soli oppure in gruppi da due, quattro o sei. Come i gruppi reali diventano più grandi, i livelli di schiamazzo individuale diminuivano con evidenza. In un secondo esperimento fu chiesto a degli studenti di gridare più forte possibile, da soli o in gruppi reali composti da due o da sei persone, oppure in pseudogruppi (con gli occhi bendati e cuffie che trasmettevano rumore). Con l’aumentare della dimensione del gruppo di riduceva il livello di impegno negli pseudoruppi, in direzione della perdita di motivazione. La riduzione maggiore avveniva nei gruppi reali ed essa indicava la perdita di coordinazione. Tre motivazioni per ridurre il contributo individuale Le persone fanno meno - inerzia sociale in senso stretto che aiumenta all’aumentare del gruppo - effetto free-rider: non mi sento riconosciuto, nessuno capisce il mio contributo. Non mi sento quindi indispensabile - effetto parassita: il parassita viene odiato, ma in un buon gruppo si riesce sempre a sopperire alle mancanze di qualche membro, con una ridistribuzione dei compiti, non ce la si fa quando il problema non è il parassita ma quando nessuno lavora con la scusa del fatto che c’è un parassita. È difficile interagire col parassita, lo si tende ad eliminare, ma la psicologia sociale ci dice che morto un parassita se ne fa un altro, c’è sempre qualcuno che fa meno è parte della relazione di gruppo COMPENSAZIONE SOCIALE Esistono tuttavia delle situazioni in cui trovarsi in un gruppo incrementa la motivazione individuale e l’impegno. Ciò si verifica quando siamo molto motivati perché ad esempio il compito è interessante, per via di una competizione con gli altri gruppi o perché il compito e il gruppo sono così importanti che l’individuo sente il bisogno di compensare l’inerzia prevista da parte degli altri membri del gruppo. Le persone lavorano più duramente nei gruppi rispetto a quando sono sole se provengono da una cultura collettivista piuttosto che da una cultura individualistica, se si identificano fortemente con il gruppo che ha alti livelli di solidarietà e coesione. (es squadra calcio). PROCESSI DECISIONALI DI GRUPPO Come arriva un gruppo a prendere una decisione collettiva? Nel tentativo di concordare una posizione comune generalmente avviene una discussione, nel corso della quale gli individui avanzano le loro proposte 11 e ascoltano quelle degli altri. Quale è solitamente il risultato di questo processo decisionale? Inizialmente gli psicologi sociali, e forse voi con loro, hanno pensato che si cerchi di arrivare ad un compromesso intorno alla media delle posizioni individuali iniziali. Ma sembra che le cose non stiano sempre così. Vi sono due tesi contrastanti: - l’effetto di normalizzazione nei gruppi: convergenza attorno alla media dei giudizi individuali, il gruppo si da una norma (esperimento di Sherif 1935 sull’effetto autocinetico) - l’effetto di polarizzazione (studi di Stoiner 1961): le decisioni prese in gruppo sono più rischiose delle decisioni prese individualmente dai singoli membri sullo stesso argomento Esperimento sull’ effetto autocinetico (illusione ottica per cui un puntino luminoso immobile nel buio sembra muoversi). Se una persona viene posta al buio in una stanza e deve fissare un puntino luminoso (immobile), dopo un po’ di tempo lo vede muovere. Se deve stimare in cm l’ampiezza di questo movimento, dà una valutazione molto soggettiva. Se poi lo fa in un’altra serie di prove in gruppo con persone che hanno dato valutazioni diverse, gradualmente si assiste ad una loro convergenza verso un valore intermedio. Se devono rifare da soli la prova conservano il valore intermedio come norma. Stoner e la polarizzazione di gruppo Le decisioni prese in gruppo sono più rischiose delle decisioni prese individualmente dai singoli membri sullo stesso argomento. Ai soggetti erano proposti 12 problemi in tre diverse fasi: - decisione individuale (pre-consenso) - gruppi di sei, decisione collegiale unanime (consenso) - nuova decisione individuale (post-consenso) Risultati: 12 gruppi su 13 mutarono le decisioni verso un maggior rischio e in buona parte (39%) le mantennero nelle nuove decisioni individuali. Esempio delle storie di Stoner: Il signor A., ingegnere elettronico, con moglie e figlio, lavora, da quando si è laureato 5 anni fa, presso una grande impresa che produce apparecchiature elettroniche. Ha un impiego garantito per tutta la vita con uno stipendio modesto ma adeguato alle sue esigenze, nonché un buon trattamento di pensione per quando avrà raggiunto i limiti d’età. D’altra parte, ci sono poche probabilità che per tutto il periodo del suo servizio presso l’azienda possa subire aumenti notevoli. Mentre partecipa a un convegno, gli viene offerto un posto presso una piccola azienda appena fondata e dall’avvenire estremamente incerto. Per questo nuovo lavoro verrebbe fin dall’inizio pagato di più e gli sarebbe altresì offerta la possibilità di diventare comproprietario se la ditta riuscirà a resistere alla concorrenza delle aziende maggiori. Ecco elencate le diverse probabilità che la nuova ditta ha di risultare finanziariamente solida. Segnate la probabilità minima che considerereste accettabile perché valga la pena che A. prenda questo nuovo posto: - C’è 1 probabilità su 10 che la compagnia risulti solida - Ci sono 3 probabilità su 10 che la compagnia risulti solida - Ci sono 5 probabilità su 10 che la compagnia risulti solida - Ci sono 9 probabilità su 10 che la compagnia risulti solida - Pensate che A non debba accettare il nuovo lavoro, qualunque siano le probabilità in questione 12 capito. In generale, dove è possibile, anche per altri tratti, si sceglie un leader che sia capace di “rappresentare” i membri e quindi non troppo diverso da loro Critiche del modello: La concezione secondo cui il leader è “speciale”, migliore degli altri membri del gruppo, si è dimostrata priva di fondamento. Anche quando un leader ha qualità personali spiccate, l’efficacia della sua leadership dipende anche dalle caratteristiche del gruppo e dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti della situazione. Quindi diversi tratti possono essere necessari in condizioni diverse ed è necessario un match fra lo “spirito del tempo” e la persona. Il comportamento del leader: Se leader non si nasce, ci si comporta come tali. L’accento si sposta da “come una persona è” a “cosa una persona è in grado di fare” (Trentin, 1976). Vi sono due approcci in particolare che si sono occupati di come si comportano i leader. Il primo è un famoso studio di Lewin e collaboratori su come lo stile di leadership influenza produttività e morale del gruppo, il secondo è il modello interazionista proposto da Bales, e ampiamente ripreso, in cui si analizzano i comportamenti e i messaggi inviati all’interno del gruppo. Lewin, Lippit e White (1939) hanno condotto alcuni noti e citatissimi esperimenti sulle conseguenze che diversi stili di leadership possono avere sulla vita del gruppo. Gli esperimenti sono stati condotti nelle scuole con ragazzini di 10 anni divisi in vari gruppi in cui venivano create tre diverse “atmosfere sociali” indotte da diversi stili di leadership, precisamente: - Autocratico: regola l’attività del gruppo, decide i metodi di lavoro e i compiti dei singoli, tende a fare commenti personali e non prende parte al lavoro comune - Democratico: sottopone ogni questione alle decisioni del gruppo che stabilisce attività e metodi, cerca la partecipa-zione di tutti, favorisce i rapporti, lascia che ognuno lavori con chi vuole, cerca di essere “uno del gruppo” - Permissivo (laissez faire): riduce al minimo la sua partecipazione, fornisce i materiali necessari e lascia che ognuno faccia quello che crede, risponde alla domande ma non interviene spontaneamente Disegno della ricerca In tutti i casi il leader è un adulto che guida le attività del gruppo (costruire maschere teatrali in un doposcuola di tre mesi) con modalità diverse a seconda del tipo di capo che deve rappresentare. Nel corso dell’esperimento ogni adulto assume successivamente la guida di più gruppi mutando di volta in volta il suo “stile” (ogni leader è quindi “democratico” o autocratico” in almeno due gruppi diversi) queste sistematiche rotazioni avevano lo scopo di ridurre al minimo l’influenza delle singole personalità dei leader e dare rilievo agli stili adottati. Risultati: produttività Il gruppo permissivo è quello che dà i risultati meno soddisfacenti, i ragazzi lavorano poco e male e perdono tempo in scherzi e giochi. La leadership autocratica garantisce un buon livello di produttività purché il leader mantenga sempre il controllo del gruppo (ad esempio, se il leader tardava ad arrivare i ragazzi non cominciavano il lavoro e comunque si interrompevano appena si allontanava). L’atmosfera democratica dà i migliori risultati in generale, sebbene non in senso strettamente quantitativo, sulla produttività e i ragazzi hanno fra loro rapporti più amichevoli e maggior “spirito di gruppo”. 15 Risultati: produttività e gradimento Il leader democratico decisamente era quello che piaceva di più, seguito dal permissivo e solo per ultimo veniva l’autoritario. L’interesse nei confronti del lavoro, la soddisfazione dei membri e anche la qualità dei risultati erano migliori nel contesto democratico, sebbene la produttività in senso stretto fosse simile nei due gruppi autoritario e democratico Risultati: aggressività Nel gruppo autocratico (seguito dal gruppo permissivo e infine dal democratico) i ragazzi sono molto prepotenti, manifestano facilmente aggressività verso persone che diventano “capri espiatori”. Tuttavia alcuni dei gruppi con leadership autocratica sono invece inaspettatamente molto tranquilli e sottomessi, con comporta-menti aggressivi meno frequenti rispetto agli altri gruppi. Si ipotizza che questo atteggiamento sia una forma di apatia che nasconde insoddisfazione e tensione latente. In effetti, in questi gruppi i ragazzi chiedono con più frequenza di uscire e si abbandonano a comportamenti aggressivi appena finisce la fase autocratica e passano ad una fase diversa, come se si “lasciassero andare” e sfogassero la tensione accumulata. SITUAZIONE X CONTESTO Dalle ricerche precedenti emerge che diversi stili possono essere necessari in diverse situazioni (anche per lo stesso gruppo). L’interesse si è quindi spostato sulle teorie interazioniste. Un leader deve essere in grado di variare il suo comportamento sistematicamente da situazione a situazione. Tipo di gruppo e di contesto, scopi del lavoro determinano diverse richieste di comportamento da parte del leader. L’efficacia della leadership dipende in larga misura dalle caratteristiche del gruppo in cui opera e dalla capacità di adattamento del leader ai cambiamenti della situazione. Bales e l’analisi dell’interazione Se mettete cinque estranei insieme e assegnate loro un compito che richiede di cooperare, potete facilmente osservare che le interazioni fra le persone si strutturano ed emerge una leadership. Bales (1955) ha predisposto una griglia di osservazione delle interazioni all’interno dei piccoli gruppi ampiamente utilizzata in seguito. Emerge con regolarità che la persona che parla di più e a cui gli altri si rivolgono più spesso probabilmente diverrà il leader. I partecipanti attribuiscono qualità da leader a certi comportamenti e la qualità/quantità della partecipazione è vista come segno di motivazione, coinvolgimento, volontà di contribuire. La griglia rappresenta uno strumento per identificare i comportamenti orientati al compito e quelli socio- emozionali e di conseguenza due tipi di leader, in base ai comportamenti da loro più frequentemente adottati: - Leader orientato al compito - Leader socio-emozionale Possiamo anche parlare di una parziale sovrapposizione fra leader orientato al compito (autoritario) e leader socio-emozionale (democratico) Leader orientato al compito: E’ una leadership tecnica, generalmente riconosciuta ai soggetti che hanno più competenza e/o esperienza sul tema che si sta trattando. Fa quindi maggior riferimento alle componenti razionali del lavoro di gruppo, quali la condivisione esplicita e chiara di un obiettivo, la presenza di ruoli e regole formali e le creazioni di ipotesi di interventi concreti sull’ambiente. 16 Leader socio-emozionale: È generalmente riconosciuta alle persone che hanno maggiori capacità espressive, che sanno maggiormente coinvolgere gli altri. Fa quindi maggior riferimento alle componenti emotive del lavoro di gruppo, quali la presenza di aspettative, bisogni, desideri soggettivi, la presenza di relazioni significative, legami fra i membri, sottogruppi, la necessità di dare valore a ogni membro e la competenza nel riconoscere e gestire le differenze ed eventuali conflitti. Quale leader è migliore? Dipende dal tipo di gruppo. Le due componenti, gruppo di lavoro e gruppo di base, sono sempre presenti entrambe ma, in funzione dell’obiettivo specifico del gruppo, una prevale. Nei gruppi di amici che vanno insieme a sciare prevale la dimensione emotiva, nei gruppi che si costruiscono intorno a un compito, come una commissione, prevale la dimensione razionale, di lavoro. L’elemento decisivo per valutare quale tipo di leader sia più efficace è il tipo di attività che il gruppo deve svolgere. Di fatto poi, ogni leader riesce a svolgere ben solo certe funzioni, vale a dire quelle che meglio si adattano alla sua personalità e capacità. Operativamente la dinamica migliore è una buona interazione fra i due aspetti. A volte sono due persone nel gruppo a ricoprire i due diversi ruoli mentre solo raramente una persona sola è capace di agire efficacemente su entrambi i livelli. TIPO DI LEADERSHIP E SITUAZIONI Il leader orientato al compito può essere utile in situazioni molto facili, con buoni rapporti fra i membri e col leader, compiti semplici e strutturati; oppure, al contrario, in situazioni molto difficili, rapporti intragruppo non facili e compito poco definito e complesso; rende di più in situazioni tese, in condizioni di urgenza. Un leader socio-affettivo può invece essere più produttivo ed efficace nelle situazioni intermedie, con un compito abbastanza strutturato, o di media difficoltà, o con rapporti ne buoni ne cattivi tra e con i membri. Rende di più in situazioni rilassate e non conflittuali. LEADER TRANSAZIONALE Modelli recenti esaminano il rapporto leader-seguaci (o gregari) e lo scambio di risorse fra loro. I gregari danno al leader riconoscimento sociale e apprezzamento, i leader ai gregari guida e realizzazione del compito Trasformazione e carisma: i leader trasformano gli obiettivi e le idee del gruppo trasmettendo entusiasmo, sicurezza, seduzione. MODULO 8 RELAZIONI INTERGRUPPO Secondo Taylor e Moghaddam le relazioni intergruppo rappresentano qualsiasi aspetto dell’interazione umana che riguardi individui che percepiscono sé stessi come membri di una categoria sociale/gruppo o che sono percepiti da altri come appartenenti ad una categoria sociale/gruppo. Il comportamento intergruppi comprende le azioni degli individui appartenenti ad un gruppo quando interagiscono, collettivamente o individualmente, con un altro gruppo o i suoi membri in termini di appartenenza al proprio gruppo. 17 Brown fa una verifica nel mondo reale, va in una fabbrica in cui vi sono due gruppi: manutentori e operai, e chiedono come vogliono l’aumento dei settimanali. I soggetti adottano regolarmente la strategia di attribuire più denaro al proprio gruppo e in modo da massimizzare la differenza fra IG e OG, anche a scapito del massimo profitto per l'IG. Anche in ambito reale è stato verificato che gli operai di due diversi reparti, consultati a proposito dei salari, erano disposti a perdere soldi in assoluto pur di guadagnare relativamente più degli operai dell’altro reparto. Tajfel conclude quindi che la semplice appartenenza ad un IG (anche minimo) e l’esistenza di un OG sia sufficinte a produrre fenomeni di competizione intergruppo. Non ha nemmeno importanza quale sia l’OG o le sue caratteristiche: è sufficiente che sia un gruppo “altro” rispetto al proprio e si cerca di differenziarsi da esso in senso positivo. Per spiegare un fenomeno così ampio e pervasivo, Tajfel introduce il concetto di identità sociale. L’identità sociale è quella parte dell’identità di un individuo che dipende dalla sua appartenenza a determinati gruppi sociali, unita alle componenti emotive e valoriali di tale appartenenza. Di conseguenza, il livello di autostima di un individuo è conseguenza del valore che attribuisce ai gruppi a cui appartiene. Spiegazioni bias intergruppo nella tis All’origine di fenomeni come il favoritismo IG e la discriminazione OG abbiamo quindi normali aspetti cognitivi di base come la categorizzazione sociale (il semplice fatto di appartenere ad un gruppo e categorizzare anche gli altri in base alle loro appartenenze categoriali e di gruppo - sesso, età, etnia, ecc.) e aspetti motivazionali (siamo motivati a preservare e migliorare la nostra autostima e ridurre incertezza). Le persone sono motivate a identificarsi in un gruppo soprattutto per due ragioni: la Riduzione dell’incertezza soggettiva che la funzione conoscitiva e di padronanza del mondo: che si è, come ci si dovrebbe comportare, come si dovrebbero comportare gli altri) e l’aumento dell’autostima (i gruppi lottano per differenziarsi in senso positivo rispetto agli altri - siamo meglio degli altri, il gruppo compete per status e risorse e ne consegue una identità positiva per i suoi membri). Sviluppo dell’identità sociale L’individuo struttura soggettivamente l’ambiente sociale in gruppi o categorie. Gli individui vogliono essere valutati positivamente e sono motivati ad appartenere a gruppi valutati positivamente. Il desiderio dell’identità sociale positiva implica l’appartenenza a gruppi che possiedono uno status elevato. Le persone sono fortemente motivate a mantenere un’identità positiva (autostima). Un modo fondamentale per ottenerlo è mediante confronti “biased” con altri gruppi su dimensioni rilevanti per l’identità. Gli individui confrontano continuamente il proprio ingroup con un outgroup, con una condotta marcatamente segnata da bias valutativi a favore del proprio ingroup, in base ai quali il proprio gruppo viene implicitamente considerato migliore rispetto agli altri che vengono a loro volta svalutati o criticati. Spiegazioni alternative ai bias intergruppo - somiglianza percepita fra i membri del gruppo, NO  avviene anche quando OG simile o assegnazione casuale - spiegazione normativa (per proteggere sé stessi) SI, ma quale norma? Competizione, Uguaglianza - differenziazione categoriale (Doise) e l'asimmetria del favoritismo IG: per ordinare la realtà differenzio al massimo, se i gruppi sono divisi per cose irrilevanti per fare l’attribuzione dei soldi 20 abbiamo bisogno di creare delle differenze. Differenziare è fondamentale per categorizzare, ma non funziona lo stesso mettendo l’altro gruppo migliore del nostro? Non succede mai effetti del bias intergruppo: - favoritismo IG  tendenza a sopravvalutare l’ingroup - svalutazione OG  tendenza a sottovalutare l’outgroup - omogeneità outgroup (maggiore di quella dell’IG) CONFRONTO SOCIALE Festinger parla di ‘confronto sociale’ per la valutazione di capacità e opinioni individuali (livello individuale). Tajfel amplia ai gruppi il ‘confronto sociale’ per la comprensione dello status e del valore relativo del gruppo e dello status e valore che l’individuo acquisisce tramite l’appartenenza a quel gruppo (livello di gruppo). Per Tajfel è possibile un genuino confronto intergruppi. Quali sono i gruppi di confronto? I gruppi di confronto sono i gruppi simili e i gruppi dissimili purché vi sia percezione di illegittimità e/o instabilità della differenza di status. Dal confromto l’ingroup può uscire con una considerazione positiva o negativa. Nel primo caso si resterà in esso. Cosa fanno gli individui insoddisfatti della loro appartenenza categoriale? - Mobilità sociale individuale se i confini sono permeabili: • a.1 disidentificazione • a.2 dissociazione - in caso di confini impermeabili o forte senso di appartenenza al gruppo: • b.1 creatività sociale • b.2 competizione e cambiamento sociale • b.3 introiezione della svalutazione dell’IG Strategie individuali – disidentificazione: diminuiamo il personale senso di appartenenza al gruppo. Si minimizzano le connessioni psicologiche con il gruppo. Ci si considera individui, ci si considera eccezioni, si evita di rievocare le connessioni con il gruppo di appartenenza (simboli) e si critica apertamente il gruppo di appartenenza. Strategie individuali – dissociazione: vi è una fuga dal gruppo. Quando le frontiere intergruppo sono permeabili, si può assistere ad un vero e proprio passaggio. Avviene più frequentemente a opera di membri di gruppi svantaggiati o stigmatizzati. Es rigetto di tradizioni culturali in persone immigrate. Strategie di gruppo – competizione e cambiamento sociale: vi sono conflitti e scontri intergruppo, lotta per innovazione politica e per cambiare l’ordine gerarchico. I gruppi maggioritari cercano di mantenere lo status sovraordinato. Strategie di gruppo – Introiezione della svalutazione dell’IG: la più triste, si accettano le caratteristiche negative stereotipiche attribuite all’IG dalla maggioranza. Vi è un tentativo estremo di assimilazione all’OG maggioritario. MINACCIA DELLO STEREOTIPO I membri di un gruppo stigmatizzato si possono aspettare di essere trattati e considerati sulla base dello stereotipo negativo, e inconsapevolmente si adeguano ad esso. Questo è l’effetto glass ceiling, una barriera invisibile ma percepita che limita l’accesso alle posizioni più alte (es. donne e leadership). 21 LA TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DEL SE (Turner allievo di Tajfel – 1987) Questa teoria non modifica gli assunti di base della TIS, ma ne costituisce piuttosto uno sviluppo. Secondo questa teoria, l’identità sociale e personale sono l’espressione di un sé unico che può manifestarsi a livelli diversi di astrazione, da un livello più generale (“esseri umani”), per passare poi dai vari gruppi di appartenenza fino al livello più basso (singoli individui). Tra questi due poli vi sono livelli intermedi in cui è più probabile che si ricorra a manifestazioni dell’intergroup bias. Salienza dell’identità: Il processo di auto/etero-categorizzazione dipende dal contesto nel quale gli individui si trovano e dall’interazione fra accessibilità e fit. L’ accessibilità è la facilità con cui gli individui possono attivare, a livello cognitivo, una categoria sociale. Il Fit è il grado in cui le categorie sociali attivate si adattano al contesto, al livello in cui esse riflettono le differenze esistenti fra i gruppi in una particolare condizione. La salienza dell’identità è la prontezza nell’attore una particolare identità e grado in cui è considerata significativa nel contesto sociale. Influenza normativa del referente Se sentiamo di appartenere ad un gruppo, adeguiamo i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti alle norme di quel gruppo. Questa agisce anche in assenza della presenza di altri perché le norme sono interiorizzate. LA TEORIA DELLA DISTINTIVITÀ OTTIMALE (Brewer) Gli esseri umani sono caratterizzati da due bisogni psicologici opposti che regolano la relazione tra concetto di sé e appartenenza al gruppo: il bisogno di assimilazione o inclusione, cioè il desiderio di appartenenza (che spinge ad affiliarsi a un gruppo, e il bisogno di differenziazione dagli altri, contrapposto al bisogno di affiliazione. Secondo Lynn e Snyder l'identificazione con un gruppo sociale distintivo permette alle persone di mantenere la propria unicità, e soddisfa contemporaneamente sia il bisogno di affiliazione che di differenziazione e protegge contro le minacce esterne all'autostima. Continium interpersonale /intergruppi Tajfel sostiene che le varie relazioni interpersonali si collocano su punti diversi del seguente continuum, di cui gli estremi sono casi limite infrequenti In conclusione: Secondo la Teoria del Conflitto Realistico (Sherif): il bias osservato in favore dei membri del proprio gruppo è conseguenza di conflitto oggettivo o competizione tra gruppi per gli stessi obiettivi. Secondo la Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel): l’ingroup bias e il conflitto/competizione tra gruppi nascono inevitabilmente dalla differenziazione stessa in gruppi distinti. L’intergroup bias svolge una funzione di differenziazione (l’IG si differenzia positivamente dall’ OG) e di giustificazione (la svalutazione dell’ OG giustifica l’ordine gerarchico e comportamenti discriminatori) 22 Influenza delle norme caratterizzata da: ricompensa (scopo di gruppo), competizione (abilità di coordinazione) e status degli altri individui elevato maggior conformismo. Influenza dell’informazione caratterizzata da: scarsa fiducia in se stessi, molte prove neutrali e difficoltà del compito (ambiguità) maggior conformismo. Confronto Sherif (effetto autocinetico) Asch (conformismo) Sherif - Asch - Ambiguo – perfettamente chiaro - Nessuno stress nei soggetti – elevato stress - Internalizzazione della norma - acquiescenza - Scelta razionale – scelta irrazionale o emotiva - Influenza informazionale – normativa Altre fonti d’influenza sociale In altre ricerche la pressione sociale è spesso implicita. Le fonti di influenza sociale sono: il soggetto (grado di certezza e bisogno di affiliazione), il materiale (ambiguità e stimoli sociali), posizione nel gruppo (status). Ci sono stati degli sviluppi recenti del paradigma di Asch. Nel 2010 viene applicato senza imbroglio e confederati, usando linee di diversi colori e lenti polarizzate. I diversi soggetti vedevano davvero diverse linee (minore conformismo maschile). Nel 2011 viene fatta una replica con bambini di 6 - 7 anni, in questo caso non c’è nessuna differenza di genere. Nel 2013 vinee applicato a dilemmi morali o norme morali, sociali e sulla decenza da risolvere soli o in gruppo che esprime una posizione contraria su azioni permissibili o impermissibili. Vi è una diversa influenza sociale su diverse norme. Esistono differenze culturali, nelle culture individualistiche c’è un minore conformismo, mentre nelle culture collettivistiche o interdipendenti c’è un maggiore conformismo. Vi sono delle modifiche nel tempo, infatti una metanalisi su 133 studi da 17 paesi trova un declino nel conformismo dal 1950 e conferma differenze nei paesi collettivisti/individualisti. Il conformismo risponde a norme culturali. Natura della risposta conformista (kelman 1958) - Controllo sociale elevato, soggetto visibile, rapporti di potere (senza convincimento)  COMPIACENZA - Attrazione, gruppo visibile, importante per il soggetto il mantenimento della relazione con la fonte d’influenza:  IDENTIFICAZIONE (con la fonte) - Contenuti, valore intrinseco, alta competenza fonte, convincimento che diviene indipendente dall'agente di influenza:  INTERIORIZZAZIONE Tecniche per aumentare l’acquiescenza Tecniche basate sull’uso di richieste multiple: sono tecniche finalizzate a ottenere acquiescenza che utilizzano un processo a due fasi, la prima richiesta funziona come pretesto per la seconda autentica richiesta. Le tecniche più efficaci sono: 25 Tecnica del piede nella porta: la richiesta cruciale che è maggiore è preceduta da una richiesta minore, ed è quindi destinata ad essere accettata per bisogno di coerenza. Tecnica della porta in faccia: la richiesta cruciale è preceduta da una richiesta più impegnativa destinata ad essere rifiutata. La richiesta cruciale essendo minore viene accettata. Tecnica del colpo basso: la persona che acconsente ad una richiesta continua a sentirsi coinvolta anche dopo aver scoperto che essa presenta costi nascosti (in questo caso, quindi, cambiano le condizioni). MILGRAM E L’OBBEDIENZA Milgram decide di testare la tendenza dell’uomo all’obbedienza attraverso la somministrazione di scariche elettriche a una vittima. Esperimento: Ai partecipanti veniva assegnato il ruolo dell’insegnante, mentre un collaboratore impersonava il ruolo dell’allievo. L’insegnante leggeva a voce alta delle coppie di parole, poi ripeteva la prima parola di ogni coppia insieme a quattro alternative di risposta; l’allievo doveva indicare, premendo un interruttore, quale delle quattro alternative fosse originariamente associata alla prima parola. L’allievo sedeva su una finta sedia elettrica. Il ricercatore (l’autorità) spiegava all’insegnante che, ad ogni errore dell’allievo, avrebbe dovuto infliggere una scossa elettrica di crescente intensità, da 15 a 450V (le scosse erano simulate). I tre fattori importanti in questo esperimento sono: - la fonte di influenza: lo sperimentatore - la pressione sociale esplicita - il controllo esercitato dalla fonte Gli ordini progressivi dati dallo sperimentatore sono i seguenti: 1) continui per favore, 2) l’esperimento richiede che lei continui, 3) è assolutamente necessario che lei continui, 49 non ha altra scelta, deve continuare. I risultati di Milgram hanno evidenziato l’enorme impatto che l’autorit pu avere sul bersaglioà̀ ò̀ dell’influenza. I partecipanti – presumibilmente persone normali – erano state indotte da un ordine impartito dall’autorit ad accanirsi con una vittima che si lamentava. à̀ Risultati: la scossa media massima è di 360V, la percentuale dei soggetti che obbediscono è del 62,5%, la percentuale dei soggetti che arriva fino a 450V in una delle varianti è del 68%. Varianti (18 esperimenti) Vicinanza della vittima: natura del feedback  colpi sulla parete, vocale, stessa stanza, contatto per la scossa. Aumento progressivo da 1 a 2 = % ma accelera la disobbedienza, maggiore è la vicinanza alla vittima, minore è l’obbedienza ai comandi. Variabili efficaci nel ridurre: vittima riluttante prima dell’inizio, sperimentatore assente, opposizione dello sperimentatore a scosse forti, altro soggetto pari che da ordini, altro soggetto che rifiuta. In questo caso solo 4 persone su 40 obbediscono. Variabili efficaci nell’eguagliare: sperimentatore vittima, laboratorio scalcinato, soggetti di sesso femminile. Variabili efficaci nell’aumentare: sperimentatore anello intermedio che da le scosse e altri due partecipanti obbedienti. In questo caso vi sono solo 3 o 4 rifiuti, 92.5%. 26 L’esperimento, prima di essere proibito per ragioni etiche, è stato replicato in molti paesi. Si sono riscontrate percentuali di obbedienza maggiori in Spagna e Olanda (90%), per quanto riguarda italiani, tedeschi e austriaci 80% e minore in Australia 40%. L’INFLUENZA DELLE MINORANZE ATTIVE Paradigma delle diapositive blu che a qualcuno (minoranza di due soggetti su sei) sembrano verdi (Moscovici – fine anni 60). Gli sperimentatori proiettano una serie di diapositive blu su uno schermo; i partecipanti eseguono due compiti: 1. valutano il colore della diapositiva e 2. valutano il colore dell’immagine consecutiva. Se si fissa una figura colorata su sfondo bianco, quando la figura scompare o lo sguardo viene spostato su un’altra superficie bianca, si vede apparire una figura che ha la stessa forma di quella precedente, ma colore complementare. VI = pressione minoritaria VS controllo VD = valutazioni percettive (colore della diapositiva) L’esperimento si articola in più fasi: Fase 1: I valutazione (base-line). I due partecipanti valutano per iscritto (in privato) il colore delle diapositive e delle rispettive immagini consecutive prima di essere esposti alla fonte di influenza. Fase 2: esposizione alla fonte. Dopo aver raccolto le risposte dei partecipanti, lo sperimentatore dice che il collaboratore ha sempre risposto verde e che la sua posizione è espressione di una posizione maggioritaria (81% della popolazione; condizione di influenza maggioritaria) o di una posizione minoritaria (19% della popolazione; condizione di influenza minoritaria). Fase 3: II valutazione. I partecipanti valutano le diapositive a voce alta: il collaboratore dice sempre verde. Fase 4: III valutazione. I partecipanti esprimono il loro giudizio in privato. Fase 5: IV valutazione. Il collaboratore con una scusa si allontana e i partecipanti forniscono il loro giudizio in assenza della fonte. Risultati: 8.4% di impatto (confronto con il 30% di Asch). 32% almeno qualche risposta sbagliata, il cambiamento dipende dal gruppo. Nelle condizioni di coerenza delle risposte verdi: importanza dello stile di comportamento. Stili di comportamento Vi è una coerenza di membri della minoranza (sincronia e diacronica), flessibilità/rigidità del comportamento, disponibilità a negoziare/discutere con la maggioranza, fiducia in se, assenza di interesse personale. Differenze fra i due tipi di influenza (Moscovici) La maggioranza promuove un processo di confronto sociale, ci si focalizza sulle differenze fra le varie posizioni e sulle loro conseguenze sociali (scopro che c’è discrepanza e posso decidere se adeguarmi o no). La minoranza attiva un processo di convalida che induce a prestare attenzione al problema, è un processo attivo, meno superficiale di quello indotto dalla maggioranza. Seminando il dubbio e facendo pensare se forse non c’è un’altra risposta giusta facendolo dopo in anonimo da soli, effettivamente anche alcuni altri dicono verde, hanno elaborato e sono stati persuasi. Una minoranza coerente semina il dubbio, attira l’attenzione, mostra che esistono punti di vista alternativi, dimostra sicurezza e coinvolgimento, per evitare il conflitto e risolvere la crisi bisogna accettare il suo punto di vista. 27 L’integrazione è quella migliore che crea anche minor disagio psichico, In generale l’ideale è quando le aspettative di maggioranza e minoranza coincidono, ci deve essere un fit Immigrazione: seconda generazione problemi doppi Caratterizzata da destrutturazione dei ruoli familiari, vi è individualismo rispetto ad obbedienza al gruppo, ruolo diverso delle donne. Caratterizzata da bilateralità di riferimenti culturali e sociali e quindi mancanza di una socializzazione univoca. Svanisce la conoscenza operaria e le forme di integrazione ad essa legate (es. emigrazione italiana in Usa e Germania). A pochi è riservata una mobilità ascendente, vi è una vulnerabilità sociale molto alta: insuccessi scolastici, disoccupazione o lavori peggiori, disagio psichico e una stigmatizzazione ed esclusione sociale che in parte può portare alla delinquenza. Merton e il conformismo deviante: grosso desiderio di successo per far parte della società, hanno i miti del successo e adorano i simboli del successo (cose costose e di marca) dello status simboli per poter diventare come gli altri e possibilmente meglio; conformismo per omologarmi agli altri, deviante perché se non posso comprarli, rubo. COSTRUTTI PSICOSOCIALI Stereotipo (soprattutto cognitivo): rappresentazione cognitiva semplificata di un gruppo sociale socialmente condivisa. Pregiudizio (cognitivo + emotivo): atteggiamento negativo verso i membri di un gruppo sociale Discriminazione (aspetto comportamentale): trattamento differenziale di individui per la loro appartenenza ad un gruppo sociale. Lo stereotipo non implica il pregiudizio e avere un pregiudizio non comporta per forza la discriminazione. Non è un processo automatico Evoluzione storica nella concezione del pregiudizio - patologico  normale - psicodinamico  cognitivo - contenuto  processi Sviluppi nella concezione del pregiudizio Inizialmente il pregiudizio è stato considerato come una caratteristica dell’individuo, e quindi associato a componenti irrazionali, psicodinamiche, cioè legate a particolari tipi di personalità anche al limite della patologia (es. Adorno e la “Personalità autoritaria”, anni ‘50). In seguito il pregiudizio è stato visto come esito di relazioni intergruppo, cioè legato alle dinamiche e ai conflitti dei rapporti fra gruppi diversi (Sherif, Tajfel). Infine si studi il pregiudizio come costruzione sociale (bias linguistici-attributivi, repertori linguistici). Ottica individualista del pregiudizio Freud 1921, teoria della frustrazione/aggressività (capro espiatorio): di fronte alla frustrazione si ha una reazione aggressiva, non la rivolgo su un altro oggetto ma la sfogo su un capro espiatorio, Adorno 1950, deprivazione relativa. Adorno e la personalità autolritaria Adorno ebreo che inizia a studiare in questo ambito, cercando le radici dei fenomeni che hanno caratterizzato la guerra. Alcune teorie hanno sottolineato il ruolo della struttura di personalità. La causa del pregiudizio sarebbe legata a personalità disturbate e non a processi normali e universali. Adorno e 30 collaboratori (1950) individuano a tal proposito una struttura caratteriologica ansiosa, insicura, autoritaria e bisognosa di protezione  le personalità possono influenzare l’atteggiamento. Gli atteggiamenti di un individuo formano un pattern coerente che sono espressione della sua personalità. In base a come sei cresciuto influenza la personalità: regime disciplinare troppo severo, spostamento dell’aggressività dai genitori alle minoranze La scala F fascisti vs democratici è la scala che identifica la tendenze fasciste. Le persone dogmatiche, conservatrici, convenzionali, ideologicamente rigide, hanno incapacità di tollerare ambiguità e incertezza, e sono razziste  rigidità e estremismo caratteristiche principali. Caratterizzata da rimozione delle tendenze ritenute socialmente inaccettabili (quali paura, debolezza, sentimenti aggressivi verso le figure genitoriali o autoritarie in genere), proiezione delle tendenze rimosse sugli altri, perciò visti come ostili e minacciosi. La deprivazione relativa (Stouffer e Gurr) La deprivazione relativa deriva dalla percezione di una discrepanza fra aspettative e capacità di valori e beni. Le aspettative sono quei valori o quei beni ai quali un individuo pensa di aver diritto. La capacità comprende invece quei valori o quei beni che l’individuo pensa di poter ottenere nella realtà. Il pregiudizio è più alto nelle classi socio-economiche basse. Vi sono tre spiegazioni: - Alto livello  atteggiamenti “migliori” perché ho studiato  - Desiderabilità sociale (+ filtri…)  mi attengo alle norme anche se non le condivido  ho pregiudizi, ma non si dicono quindi non li dico - Competizione sociale-economica  non sono più in competizione, non mi interessano né le minoranza né il conflitto Prendiamo una misura sociale accettabile, le persone con alto reddito hanno meno pregiudizi NUOVE FORME DI RAZZISMO Poiché il razzismo è di solito illegale e socialmente condannato, oggi è più difficile da smascherare. Un razzismo moderno. Latente, riluttante, proposti negli stati uniti negli anni 70/80 per definire le nuove forme di razzismo, apparentemente meno evidente, ostile e aggressivo. Il nuovo razzismo è insidioso, caratterizzato da ambivalenza, valori e sentimenti misti verso i membri di diverse etnie. Spesso più che attribuire loro più caratteristiche negative (o provare verso di loro più emozioni negative) gli si attribuiscono meno caratteristiche positive (o si provano meno emozioni positive) rispetto all’ingroup. Il “razzista moderno” spesso non si riconosce come tale o non ne è consapevole («non sono razzista ma»). La risposta prevalente è l’evitamento dei membri di etnia diversa. La parola evitamento ha due significati: evitamento dell’etnia: in treno mi siedo lontano da persone di diverse etnie perché confrontarsi con loro vuol dire dover confrontarmi con un me razzista, trovo quindi una scusa per evitare di interfacciarmi con me stesso. Pettigew e Meertens 1995 Scala del pregiudizio manifesto e latente: il pregiudizio manifesto è caratterizzato da una percezione di minaccia e rifiuto dell’outgroup, si evita quindi il contatto. Il pregiudizio latente è caratterizzato da una difesa dei valori tradizionali, un’esagerazione delle differenze culturali e dalla soppressione di emozioni positive. Arcuri e Boca traducono e adottano la scala in Italia, utilizzando i marocchini come target. In particolare hanno verificato la relazione tra affiliazione 31 politica e pregiudizio, trovando tra i progressisti che il pregiudizio latente era più alto di quello manifesto: la sinistra di oggi ha un razzismo latente. Gli individui vengono classificati in tre categorie: il fanatico che ha un forte pregiudizio manifesto e latente, il democratico che ha un basso pregiudizio manifesto e latente e il nascosto che ha un basso pregiudizio manifesto e un alto pregiudizio latente. Perché differenziare pregiudizio latente e manifesto? Mc Conahay ha verificato che le risposte su problemi razziali risentivano della desiderabilità sociale. Secondo Silverman se da risposte ad atteggiamento dipendeva l’assegnazione del compagno di camera, il giudizio sui neri era molto meno positivo. Esperimento con comportamento d’aiuto: telefonata di aiuto da un bianco o un nero a conservatori o progressisti (problema in autostrada). I conservatori aiutano meno i neri, i progressisti interrompono la telefonata dei neri prima della richiesta per evitare di confrontarsi con il se razzista, mentre i conservatori no in quanto non hanno problemi a dimostrarsi razzisti. Razzismo riluttante (non sono razzista ma). Evoluzione del pregiudizio nei bambini Il pregiudizio si costruisce attraverso l’influenza della famiglia, la scuola, il gruppo dei coetanei e i mass- media. Successivamente vi è la definizione della propria identità sociale, e quindi la consapevolezza di appartenere ad un’etnia (3-4 anni). A 6-7 anni si conoscono gli stereotipi. Stereotipi e pregiudizi sono appresi molto precocemente, prima di possedere strumenti cognitivi, flessibilità e “filtri”. Scresce fino a 7-8 anni e poi vi è un calo e una stabilizzazione in adolescenza. MODELLI TEORICI DI SVILUPPO DEL PREGIUDIZIO NEI BAMBINI Ipotesi sociocognitiva (Abound 1988): il calo del pregiudizio è la conseguenza dello sviluppo delle strutture cognitive. Ipotesi dello sviluppo dell’identità sociale (Nesdale 1999): il calo del pregiudizio si verifica a causa dell’apprendimento da parte del bambino di certe regole sociali (effetto legato alla desiderabilità sociale). Relazione fra favoritismo IG e atteggiamento sfavorevole verso l’OG Dai 4 anni i bambini, grazie alla consapevolezza etnica, sanno distinguere membri di gruppi diversi in base ad aspetti esteriori, e sanno identificarsi col proprio gruppo etnico, per il quale sviluppano un bias favorevole parallelo ad uno sfavorevole per l’outgroup. Vi è una positività dell’ingroup e una negatività dell’outgroup che aumenta fino ai 6-7 anni. Vi sono dei dati discordanti sull’evoluzione successiva. Secondo Brewer, nonostante la convinzione diffusa che il favoritismo IG e la derogation OG siano reciprocamente correlate, l'evidenza empirica mostra poche relazioni fra i due. Dalla preferenza ingroup al pregiudizio verso l’outgroup: secondo l’ipotesi dello sviluppo dell’identità sociale un atteggiamento non presuppone l’altro, perché ci sia pregiudizio il bambino deve cambiare il focus dell’attenzione dall’interno all’esterno. Secondo l’ipotesi sociocognitiva la preferenza ingroup causa pregiudizio verso l’outgroup, esso è una tappa inevitabile ma non durevole (critica ai metodi di misurazione). Contrariamente a quanto sostenuto dalla SIT e dalla ST, secondo la SIDT, l’identificazione con l’IG non comporta sia la preferenza per l’IG sia il pregiudizio verso l’OG, ma solo la prima (preferenza etnica, focus 32
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