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psicologia sociale dei gruppi, Sintesi del corso di Psicologia Sociale

strutture, ruoli, norme, dinamiche e processi psicologico-sociali di gruppo; processi di leadership, l’interazione nei gruppi e tra i gruppi sociali, relazioni inter-gruppi e categorizzazione sociale; conflitto inter-gruppi, la comunicazione e i processi di influenza sociale

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 07/02/2022

to_tonia
to_tonia 🇮🇹

4.3

(14)

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Scarica psicologia sociale dei gruppi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! PSICOLOGIA SOCIALE: Allport: studio scientifico delle modalità attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli individui sono influenzati dalla presenza, reale o immaginata, di altre persone. La presenza di altre persone, le conoscenze e le opinioni che ci trasmettono, i nostri sentimenti nei confronti dei gruppi a cui apparteniamo, sono tutti elementi che ci influenzano attraverso i processi sociali indipendentemente dal fatto che siamo soli o in compagnia. Anche percezioni, ricordi, emozioni, motivazioni esercitano un'influenza attraverso i processi cognitivi (percettivi, interpretativi, valutativi). Processi cognitivi e sociali connessi INTERAZIONE SOCIALE E PROCESSI COGNITIVI • i PROCESSI SOCIALI sono i modi in cui i nostri pensieri, sentimenti, il nostro comportamento sono influenzati dalle persone con cui interagiamo, dai gruppi di appartenenza, dagli aspetti culturali trasmessi con l'educazione, ecc. • i PROCESSI COGNITIVI sono i modi con cui percezioni, ricordi, emozioni guidano la nostra comprensione del mondo Obiettivo della psicologia sociale: comprendere le cause del comportamento sociale delle persone. Molteplicità di variabili potenzialmente influenti: o elementi personali (atteggiamenti, valori, motivazioni) o comportamenti e caratteristiche delle altre persone o variabili ambientali o variabili socio- culturali o aspetti di tipo biologico LIVELLI DI SPIEGAZIONE IN PSICOLOGIA SOCIALE Doise (1982) ---> 4 livelli in cui lo studio della psicologia si colloca a seconda della natura delle variabili coinvolte nella ricerca LIVELLO INTRAINDIVIDUALE: studia le modalità con cui l'individuo analizza la realtà e costruisce un'immagine del mondo sociale che lo circonda, sceglie determinati comportamenti. LIVELLO INTRAGRUPPO: analizza le dinamiche interpersonali tra più soggetti che fanno parte di uno stesso gruppo (ad es processi di conformismo, devianza, ecc.) LIVELLO INTERGRUPPO: studia le relazioni esistenti tra gruppi sociali differenti (in-group/out-group): conflitto, stereotipi, pregiudizi. LIVELLO COLLETTIVO: prende in considerazione i processi sociali legati al contesto culturale e storico in cui individui si trovano ad operare. L'individuo avendo a disposizione risorse cognitive limitate ricorre a strategie di elaborazione delle informazioni: EURISTICHE ---> risparmio tempo e sforzi ottenendo informazioni sufficientemente attendibili su cosa accade intorno a lui. Processi automatici VS Processi deliberativi Non tutta l'attività della mente umana viene svolta in maniera consapevole. Compiti routinari attuati in maniera automatica con carico attentivo basso. Processi controllati: presuppongono un controllo flessibile intenzionale---> veicolati alla quantità di attenzione attivata al momento. Anche nell'elaborazione dell'informazione sociale facciamo ricorso a processi di categorizzazione o giudizio sociale che vengono in buona parte attivati in maniera automatica --> indipendentemente dalla nostra consapevolezza, spesso legati al contesto sociale. Meccanismi alla base di stereotipi e pregiudizi Non sempre portano a comportamenti automatici (discriminatori) La psicologia sociale si avvale del metodo scientifico: - Formulazione della teoria - Esplicitazione delle ipotesi - Raccolta dei dati empirici - Analisi dei dati - Confronto tra i risultati ottenuti e ipotesi - Eventuale riformulazione della teoria TEORIA SCIENTIFICA: insieme di leggi espresse in forma sintetica e sistematica che si basano su osservazioni e vengono mantenute come vere fino a quando - Gruppi primari (es famiglia) vs. Gruppi secondari (es team aziendale) - Gruppi formali (es associazioni) vs. Gruppi informali (es gruppo di amici) - Gruppi strumentali (orientati allo scopo) vs. Gruppi espressivi (orient. Emozionale) - Gruppi artificiali (creati ad hoc) vs. Gruppi naturali (pre-esistenti) DIVERSE DEFINIZIONI DI “GRUPPO” 1. Il fattore critico è l'esperienza di un destino comune (Lewin 1948; Campbell 1958; Rabbie & Horowitz 1988) 2. La cosa fondamentale è l'esistenza di una struttura sociale formale o implicita, espressa di solito attraverso relazioni di status o di ruolo (Sherif & Sherif 1969) 3. Caratteristica più elementare dei gruppi: sono composti da individui in una interazione faccia a faccia (Bales 1950, Homas 1950) La seconda e la terza definizione possono essere applicate solo a gruppi di piccole dimensioni (max 20 persone); escludono quindi le categorie sociali su larga scala (gruppi etnici, classi sociali, nazionalità). Questo problema porta alcuni autori a proporre un’altra definizione 4. Un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono sé stessi come membri della stessa categoria sociale (autocategorizzazione --> self- categorization) Turner 1982 Questa definizione non coglie il fatto che la loro esistenza e di solito nota alle altre persone; vi è la necessità di considerare i gruppi non solo come sistemi a sé stanti ma in relazione ad altri gruppi: 5. Un gruppo esiste quando 2 o più individui definiscono se stessi come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta almeno da un'altra persona (altra persona: o un singolo individuo o un gruppo di persone che non si definiscono membri di quel gruppo) Brown 2000 INDIVIDUO vs. GRUPPO Problema della natura della relazione dell'individuo col gruppo: il gruppo deve essere considerato la somma dei suoi individui? Secondo Allport (1924) non esiste una psicologia dei gruppi che non sia ed interamente una psicologia degli individui. Questa osservazione va contro la posizione di alcuni suoi contemporanei che sostenevano che i gruppi possiedono alcune proprietà mentali al di sopra della consapevolezza nei loro membri. Le Bon 1985 e McDougall 1920 ---> Folla dotata di una mente di gruppo che induce a fare azioni che i singoli individui non compierebbero mai. Secondo Allport il termine mente di gruppo non può essere sottoposto ha una verifica empirica: Non è possibile osservare questa entità separatamente dagli individui che la compongono. Allport Rimase un individualista --> I fenomeni di gruppo possono essere ricondotti a processi psicologici individuali. Si ferma ad un livello Interpersonale. Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e Lewin (1952) mettono in evidenza il carattere reale e distintivo dei gruppi sociali, ritenendoli dotati di proprietà uniche che emergono dalla rete di relazioni tra i singoli membri. (Asch --> definizione dell’acqua) Il GRUPPO emerge dalla percezione che le persone hanno di se stesse come membri di una entità sociale e dalle relazioni che intercorrono all'interno di tale entità. Collegati a tali percezioni ci sono prodotti del gruppo come slogan, norme e valori che possono essere interiorizzati e fungere da guida per il comportamento dei singoli individui IL CONTINUUM INTERPERSONALE-INTERGRUPPI Tajfel (1978) --> esigenza di distinguere il comportamento interpersonale dal comportamento di gruppo. Individua tre criteri: 1. La presenza o assenza di almeno due categorie sociali chiaramente identificabili: es. uomo/donna 2. Il grado di variabilità (basso/alto) negli atteggiamenti o nel comportamento dei membri di un gruppo: il comportamento intergruppi e omogeneo e uniforme mentre il comportamento interpersonale e caratterizzato dalle differenze individuali. Es: i tifosi 3. Il grado di variabilità (basso/ alto) del comportamento degli individui nei confronti dei membri degli altri gruppi Tajfel colloca il comportamento sociale lungo un continuum definito dalle polarità intergruppi e interpersonale. Cosa favorisce lo spostamento sull'asse ipotizzato da Tajfel? Secondo Turner (1982) questo processo è governato da cambiamenti nel funzionamento del concetto di sé --> cambiamenti nel modo in cui le persone vedono se stesse. Per Turner il CONCETTO DI SÉ è formato da: 1. identità personale: le auto-descrizioni basate su caratteristiche individuali: “sono una persona amichevole” 2. identità sociale: le auto descrizioni in termini di appartenenza a categorie: “sono un tifoso del Napoli” Come afferma Turner, nel definirsi come membri di un particolare gruppo di individui si stabilizza un’associazione tra se stessi e i vari attributi/norme comuni che si sperimentano nel far parte di quel gruppo--> questo porta ai comportamenti uniformi che caratterizzano i gruppi. In questo modo gli individui vedono i membri di altri gruppi in modi stereotipati e se stessi come esseri relativamente intercambiabili con gli altri nel proprio gruppo. Esperimenti: Studio condotto da Doise, Deschamps e Meyer (1978): a dei bambini veniva chiesto di osservare una serie di fotografie di ragazzi e successivamente una seconda serie di foto di ragazze (e viceversa). Di fronte ad ogni foto, i soggetti dovevano scegliere in un elenco di aggettivi quelli che meglio si applicavano Comportamento intergruppi Comportamento interpersonale L'inerazione è determinata dall'appartenenza a gruppi e alle relazioni tra loro L'interazione dipende dagli individui, dalle caratteristiche personali e dalle relazioni interpersonali rituali per camuffare il proprio aspetto. Delle 10 meno aggressive solo 3 presentavano rituali simili. Jaffe e Yinon (1979): studio sperimentale, viene posto a confronto l'intensità media delle scariche somministrate da singoli individui con quelle fornite a gruppi composti da 3 persone. I membri di un gruppo somministrarono scariche più forti. Secondo alcuni un esempio più attuale di deindividuazione: Mania per la comunicazione elettronica: posta elettronica, videoconferenze (Siegel 1986). Qui l'interazione avviene attraverso un terminale elettronico collocato in ambienti privati, secondo Siegel e colleghi un metodo di relazione così personalizzato rischia di generare l'esperienza di deindividuazione la comunicazione (secondo il fenomeno del “flaming”) e facendo sì che il tono dei messaggi decada al di sotto dei livelli normali di cordialità. Possibile spiegazione: i partecipanti si sentono più anonimi e sono privati della possibilità di ricorrere ai normali indicatori non verbali e paraverbali che potrebbero nell'interazione smussare le spigolosità. Siegel e colleghi (1986) hanno registrato gli scambi che avvenivano fra gruppi di 3 persone nella discussione di alcuni scenari che richiedevano una scelta. gli scambi potevano essere diretti o realizzati attraverso il computer, anonimamente. Nei gruppi elettronici le osservazioni reciproche erano meno frequenti, ma contenevano maggiori commenti disinibiti (bestemmie, insulti). La teoria della deindividuazione pone un'enfasi eccessiva sulle conseguenze negative dell'appartenenza al gruppo. Diener (1976) ha trovato che l'anonimato non ha effetti sul comportamento aggressivo e che in realtà l'appartenenza al gruppo lo diminuisce. Le circostanze che si presume producano deindividuazione possono dare luogo ad altri tipi di comportamento (oltre all’aggressività). Esperimento Diener 1979: quando i soggetti vengono sottoposti ad una serie di attività ideate allo scopo di creare coesione nel gruppo (nome comune, balli, canti) in una seconda parte dell'esperimento esibivano comportamenti più insoliti e disinibiti (giocare col fango, dipingere naso, bere liquidi da un biberon) rispetto a coloro che avevano avuto un'esperienza iniziale che li aveva resi più consapevoli di sé. Johnson e Downing (1979) dimostrano che la deindividuazione può dare luogo ad un aumento di comportamento prosociale. Esperimento: a confronto condizioni di anonimato e condizioni di individuazione. Tutti i soggetti indossano abiti particolari, ma solo nella condizione di individuazione sugli abiti vi erano i nomi dei soggetti (quindi era possibile identificare le risposte degli altri individui). Johnson e Downing modificarono amore che le norme prevalenti della situazione. In metà delle condizioni lo sperimentatore metteva in evidenza l'abito simile alla divisa del Ku Klux Klan. Nelle condizioni restanti ai partecipanti viene chiesto di indossare un abito dall'aspetto ugualmente anonimo, ma che si supponeva fosse l'abito di un'infermiera preso a prestito da una stanza d'ospedale. Nell’esperimento di “apprendimento” successivo coloro che indossavano l'uniforme da infermiera scelsero di diminuire il livello delle scariche, specialmente nelle condizioni di deindividuazione. La deindividuazione non aumentò l'aggressività anche per coloro che indossavano la divisa del Ku Klux Klan. --> Il far parte di un gruppo non porta necessariamente le persone a comportarsi in modo distruttivo, il loro comportamento dipende dalle norme rilevanti in ogni situazione particolare. Secondo Diener (1980) l'elemento chiave del comportamento della folla è la perdita di autoconsapevolezza. I fattori che caratterizzano le folle quali l'anonimato, la coesione, l'aumento di attivazione fanno sì che l'attenzione degli individui si sposti verso l'esterno piuttosto che verso se stessi. Questa teoria non esclude il comportamento prosociale: il comportamento delle persone diventa meno soggetto ad una regolazione interna e più influenzato da indizi enorme presenti nell'ambiente. Elementi comuni tra la teoria di Zimbardo e quella di Diener: sottolineano come in situazioni di folla il comportamento tenda a divenire privo di regole: --> perdita di identità --> perdita di autocontrollo. A sostegno dell’idea che aumentando di dimensione la folla perda la capacità di prestare attenzione alla sua condotta--> analisi di Muller (1986) sui resoconti giornalistici di casi di linciaggio --> più ampia e la folla più essa tende a perdere la consapevolezza di sé e più è disposta (es linciaggio) a compiere atrocità. La ricerca ha corroborato questa ipotesi dimostrando la presenza di una correlazione fra dimensione della folla in situazioni di linciaggio e crudeltà dell'attacco alla vittima (dall'impiccagione fino allo smembramento e alla mutilazione). IL COMPORTAMENTO DELLA FOLLA IN UNA PROSPETTIVA INTERGRUPPI Reicher (1984) sottolinea due caratteristiche di molte situazioni di folla: 1. in una folla è quasi sempre coinvolto più di un gruppo--> il comportamento delle folle è un comportamento intergruppi 2. in una folla gli individui assumono spesso una nuova identità invece di diventare anonimi. (Turner componenti del concetto di sé: personale e sociale) In una folla le persone possono perdere una parte del loro senso d'identità personale e nel contempo adottare una più forte identità sociale, come membri del gruppo in particolare Secondo Reicher il comportamento delle folle implica un cambiamento anziché una perdita d'identità, e delle modificazioni negli standard di comportamento ritenuti appropriati o normativi (ora determinati dal gruppo). Secondo Spears, Lea e Lee (in opposizione a Siegel) gli effetti della rete dipendono dal grado di importanza attribuito all'identità di gruppo dai membri della rete. Esperimento: gruppo di tre studenti di psicologia con il compito di discutere questioni attraverso la rete elettronica interattiva. 1° condizione: Soggetti seduti ai terminali nella stessa stanza. 2° condizione di deindividuazione: soggetti seduti in stanze separate. Nella metà dei gruppi i ricercatori enfatizzavano l'identità di gruppo dei soggetti come studenti di psicologia. Nella restante metà si riferivano ad essi come a singoli individui. Risultati: la deindividuazione aveva l'effetto di estremizzare i giudizi nella direzione della norma di gruppo (psicologica) solo quando la loro identità di psicologi era stata resa saliente. In conclusione: - Il comportamento degli individui sembra essere regolato anche nelle situazioni di folla, anche se i processi psicologici soggiacenti ai meccanismi di regolazione sono di ordine diverso da quelli “individuali”. - Sembra che le folle si prefiggano bersagli o scopi specifici, sulla base dell'identificazione con una particolare categoria sociale. - La prospettiva intergruppi mette l'accento sull'esistenza di un gruppo “altro”, che chiamiamo outgroup che è fondamentale in ciò che accade. - l'identità sociale è concettualizzata come il legame psicologico tra sé e il collettivo che emerge attraverso il processo psicologico di categorizzazione - come afferma Tajfel (1978), l’ identità sociale è “la parte del concetto di sé individuale che deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo sociale (o + gruppi) con i valori e il significato emotivo che comporta questa appartenenza” Pensare a sé come appartenenti a un gruppo attiva un bisogno di specificità positiva del proprio gruppo. Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo contribuisce a fornire ai suoi membri un'identità sociale positiva 3. L’iniziazione del gruppo Risposta del gruppo quando nuovi membri si apprestano ad entrare: Moreland e Levine (1982) osservano che l'inserimento nel gruppo e sottolineato spesso da qualche cerimonia o rituale, soprattutto nelle organizzazioni stabili o formali (meno tipico nelle amicizie informali o gruppi dei pari). Queste cerimonie possono assumere: - una forma di benvenuto durante il quale il novizio riceve elogi e un trattamento favorevole come benefici marginali (fringe benefits), privilegi e celebrazioni (bar-mitzvah ebraica) - la forma di un'esperienza spiacevole, dolorosa, imbarazzante. Presenza diffusa di cerimonie di iniziazione in una grande varietà di culture, utilizzate per sottolineare le transizioni di status o di ruolo--> van Gennep (1909) li ha definiti rites de passage “riti di passaggio”; possono comportare l’infliggere dolore o atti di mutilazione fisica (es. riti di circoncisione). Altri esempi di gruppi con riti di iniziazione spiacevoli: Organizzazioni militari, confraternite universitarie. Senso di queste iniziazioni-->spiegazioni: 1. Queste cerimonie svolgono una funzione simbolica sia per il nuovo venuto favorendo il processo di transizione dell'identità, che per il gruppo che può sentire il bisogno di simboli per definire i suoi confini e sottolineare il carattere distintivo del gruppo rispetto ad altri: Divise, segni caratteristici, etc. 2. Alcune iniziazioni servono come un apprendistato/tirocinio per l'individuo, introducendolo agli standard normativi del gruppo e alle competenze rilevanti 3. I rituali di iniziazione suscitano lealtà nel membro nuovo (si fa riferimento alle iniziazioni che comportano un trattamento favorevole o dispense sociali). La gratitudine e forse la colpa che questi favori possono produrre nel nuovo venuto possono accrescere la sua fedeltà Qual è il senso delle esperienze negative e spiacevoli? Spiegazione di Aronson e Mills (1959) sulla base Teoria della dissonanza cognitiva di Festinger (1957). Secondo loro è raro che l'esperienza della vita di gruppo sia totalmente positiva, questo può indebolire la coesione del gruppo. L'iniziazione spiacevole è ciò che può contrastare la perdita della coesione perché avere un'esperienza negativa all'ingresso non può essere compatibile con la scoperta che alcuni aspetti del gruppo non sono come avevano previsto. Questa percezione di incoerenza o dissonanza è psicologicamente spiacevole e gli individui cercano di ridurla: una via per ridurla è quella di migliorare la propria valutazione del gruppo. Pensiero tipico sotteso ad un processo simile: “se ho fatto tutto ciò per diventare un membro di questo gruppo deve essere veramente importante per me”. Più severa è l’iniziazione più il gruppo sembrerà attraente. Gli studi in merito hanno dimostrato che l'iniziazione difficoltosa o spiacevole rende il gruppo più attraente; può servire per esaltarne la lealtà e la coesione. Se sia il meccanismo di riduzione della dissonanza o altro tipo questo è ancora in fase di studio e discussione. Da pag 43 (no interdipendenza e processi di gruppo) a pag 73 ASPETTI STRUTTURALI DEI GRUPPI Gli aspetti strutturali indicano le cose che mostrano una certa stabilità. Sono la cornice entro cui avvengono i processi di gruppo. Struttura di un gruppo: Sherif e Sherif (1969) “una rete interdipendente di ruoli e status gerarchici”. Definizione di “status” e “ruolo”: - Lo status e il ruolo si riferiscono a modelli di comportamento prevedibili associati alla posizione degli individui (non ad un membro particolare) - Ciò che differenzia lo status dal ruolo è il valore: ruoli diversi possono avere un valore simile, ma a posizioni di status diverse sono associati valori diversi. L’esistenza di differenze di status è legata al processo sociale dei confronti sociali. questi hanno luogo entro, e spesso danno origine a, gerarchie di status, e sono secondo alcuni sostenuti da processi di autovalutazione. Collocando noi stessi nella struttura di status del gruppo riusciamo a vedere le nostre capacità in relazione ai nostri pari. - Un membro dotato di uno status (e potere) superiore è il leader La differenziazione di ruolo Ruolo: Insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi un individuo che occupa una certa posizione in un gruppo. La differenziazione di ruolo è legata alla differenza di aspettative associate a ciascun membro all'interno del gruppo. Esistono ruoli stabiliti formalmente (es quelli lavorativi o scolastici) e informalmente (es studi di Sherif e coll. 1961 gruppi di ragazzi in un campo estivo. Dopo soli 2/3 giorni di interazione, i gruppi di estranei avevano sviluppato una struttura definita--> ai ragazzi erano assegnati compiti differenti). In molti gruppi la delimitazione netta dei ruoli non è subito evidente (es gruppi di amici o di discussione informale) È possibile identificare una differenziazione di ruolo anche in questi gruppi. Un sistema di ruoli ha origine nella cultura o subcultura di riferimento, che si caratterizza per uno specifico patrimonio di valori, ideologie e rappresentazioni condivise. Si vengono a creare dei ruoli sociali che diventano stabili in una determinata cultura e diventano stabili le mansioni legate a quel ruolo e quindi le aspettative legate a quel ruolo. Sono culturalmente condivise e si cerca di rispettarle, sono come delle rappresentazioni. Questo è stato anche dimostrato dall’esperimento di Zimbardo e coll. (1972) sulla “Stanford Prison” ---> divide dei volontari in 2 gruppi: prigionieri e carcerieri. Le persone che aveva assunto quei ruoli in automatico avevano cambiato il concetto di se e attivato dei comportamenti per rispondere a delle aspettative culturalmente condivise. Dalla cultura avevano recepito delle rappresentazioni rispetto ai 2 ruoli (guardie e prigionieri) inerenti alle mansioni e aspettative. I risultati sono andati anche al di là delle previsioni degli sperimentatori, dimostrandosi particolarmente drammatici (disordini e comportamenti violenti)--->secondo Zimbardo la prigione finta, nell'esperienza appartenenza al gruppo fuori da sé stessi e fuori dal gruppo. Funzione di protezione dell’identità sociale. Non permette la crescita del gruppo perché non c’è presa di consapevolezza. Conflitti legati al ruolo: - Conflitti prevedibili legati all' assegnazione di ruoli determinanti a determinate persone - Conflitti a livello personale: o incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed hanno altri ruoli sociali o assenza di motivazione a sostenere il ruolo. Es non si trova il ruolo confacente alla propria immagine di sé - Conflitti a livello di gruppo: o assenza di accordo nel gruppo rispetto alla persona che copre un determinato ruolo o assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene interpretato (in base a cosa) Secondo Jackson e Schuler (1985) i conflitti di ruolo nei gruppi di lavoro comportano un aumento della tensione e un decremento di produttività. Possibile soluzione: - Innovazione e transizione di ruolo: il conflitto può segnalare un momento di necessità di cambiamento, di innovazione. Quindi cambiamo il tipo di differenziazione di ruolo, o dei passaggi di ruolo. Anche se questo aspetto può creare ulteriori conflitti (Moreland e Levine 1984). Il conflitto non è sempre negativo, se resta latente può passare al personale. Necessità di essere affrontato, cosi può portare al cambiamento, innovazione, crescita. La differenziazione di status: Strettamente legata alla struttura dei ruoli, all'interno di un gruppo vi è l'esistenza di una gerarchia di status. Lo status si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo, unitamente alla valutazione di tale posizione in una scala di prestigio (Scilligo 1973). Il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i membri di un gruppo. Il valore viene dato in termini di prestigio e nella sua capacità di influenzare il gruppo, di avere un impatto e un’influenza anche sui singoli membri. Lo status elevato è rilevato da 2 indicatori strettamente correlati, ma distinti: 1. tendenza a dare inizio a idee, attività (iniziative) che vengono continuate dal resto del gruppo (Bales 1950), Sherif e Sherif 1964)-->impatto, influenza sociale 2. implica un prestigio consensuale, una valutazione o classificazione positiva da parte degli altri membri (Homas 1950)-->condivisone della valutazione positiva - Presidenza di gerarchie di status e nei gruppi informali---> studio di Scherif e Scherif (1964) sulle bande di adolescenti. Analizzarono i sistemi normativi delle bande e le varie strutture di gruppo interne alla banda (osservatori partecipanti, membri) ed esterne avvalendosi di osservatori indipendenti. Misura: classificare i membri in base alla capacità di prendere un'iniziativa efficace. In tutti i gruppi questo si dimostrò possibile, a conferma del fatto che le strutture gerarchiche sono un fenomeno comune E psicologicamente importante. Correlazioni alte tra risposte date dai membri del gruppo e da osservatori esterni. Basse correlazioni tra queste classificazioni e la popolarità dei membri (distinzione tra efficacia nel compito e preferenza). La definizione di status rimanda a delle unità strutturali solitamente definite come statiche (mentre i ruoli sono considerati la parte dinamica perché legati agli obiettivi). La chi gerarchia non è necessariamente immutabile---> studi di Sherif e Sherif (1964) osservarono cambiamenti nelle posizioni della struttura del vano sembra quadra quando gruppo email entro a far parte del gruppo o lo abbandonavano. Anche il contesto mutevole intergruppi è causa di instabilità. Es Uno dei gruppi studiati sviluppò un interesse per la pallacanestro. Il leader esistente non era il giocatore migliore e la sua posizione di status elevato fu assunta dal membro più atletico. Cambiamenti nella struttura del gruppo come risultato delle modificazioni delle relazioni Intergruppi furono riscontrato anche negli studi sul campo estivo (Sherif 1961). Le gerarchie di status possono essere mutevoli con: − l'ingresso o l'uscita di membri del gruppo − il cambiamento del contesto o conflitto intergruppi − Il cambiamento di interessi, attività o scopi del gruppo A casa servono gerarchie di status? - soddisfano un bisogno di prevedibilità e ordine. Le aspettative legate alle posizioni di status riguardano la competenza delle persone in vari settori (piuttosto che il tipo di comportamento come per i ruoli) - questo facilita l'assegnazione dei compiti, la stabilità, e l'efficacia nel raggiungimento degli scopi - Talvolta può produrre profezie che si autoadempiono, spingendo le persone ad adeguarsi al livello che ci si attende da loro quando anche le loro capacità siano effettivamente superiori o inferiori → Lo status influenza quindi il comportamento delle persone Come si produce un sistema di status? 2 Spiegazioni teoriche: • corrente etologica (Mazur, 1985) legata agli stati delle aspettative. L’assegnazione di status avviene in base ad una distinzione iniziale fra ipotetici “vincitori” e “perdenti”, effettuata valutando la forza di ciascuno a partire da caratteristiche quali statura, muscolatura, espressione facciale. • Teoria degli stati di aspettativa (Berger 1980, Berger e Zelditch 1985) - --> spiegazione dell'influenza dello status sul comportamento: quando un gruppo è impegnato in un compito, nella maggior parte dei casi i membri hanno già sviluppato o sviluppano rapidamente delle aspettative sulle abilità di prestazione dei loro compagni. La funzione di queste aspettative è di punti di riferimento psicosociali che orientano la condotta e fanno sì che i membri di presunto status più elevato di inizio a più idee e più attività di quelli di status inferiore e siano quindi considerati più influenti. Inoltre, i membri del gruppo tendono ad attribuire ai compagni di status superiore maggiore competenza anche in altri settori diversi (processo inferenziale non propriamente corretto: “effetto alone”). Così le differenze iniziali di status si rinforzano e amplificano circolarmente (es studio di Whyte 1943 su banda di immigrati italiani in una città americana: nelle varie attività sportive della banda i membri di status più basso sembravano giocare sempre male, anche se in altri contesti erano realmente atleti migliori) di scegliere la persona della quale avrebbero voluto sapere la retribuzione. Fra le opzioni: paghe medie nei 2 sessi nei 2 compiti, medie della paga dei due sessi nei due compiti. La maggioranza sceglieva come termine di confronto la paga media del proprio sesso nel proprio compito. I soggetti mostravano di percepire il genere come variabile pertinente anche se teoricamente non avrebbe dovuto essere così. Con chi confrontarsi? Qualsiasi inferenza sulle nostre capacità ha conseguenze per la nostra autostima. Poiché è preferibile avere un'autostima elevata siamo motivati ad evitare i confronti con coloro che sono migliori di noi poiché l'esito e probabilmente spiacevole. Il confronto con coloro che occupano posizioni inferiori nostra superiorità, ma solo se possiamo assumere un impegno da parte loro pari al nostro. C'è sempre il rischio che l'esito di un confronto simile possa essere sfavorevole Cosa che produce un'inferenza di inferiorità evidente. → Come fa notare Festinger 1954, in molte culture occidentali si attribuisce un valore alla prestazione migliore che spingerà gli individui a cercare di superare i risultati degli altri. Questa pulsione verso l’alto ha due effetti sulle relazioni di status: 1) introduce in stabilità perché spinge i membri a complottare tra di loro per la posizione 2) determina negli individui la tendenza a fare confronti con coloro che occupano posizioni più elevate anziché con quelli che si trovano in basso. Conseguenza: gli individui avranno la tendenza a scegliere come termini di confronto individui appena un po' migliori di loro. Prove: Wheeler 1966 diede ad alcuni gruppi di studenti un test di personalità truccato che li induceva a credere che sarebbe stato usato per selezionare alcuni individui per un nuovo seminario. Studio di Nosanchuk e Erickson 1985 sui membri di un club di Bridge → Ci sono occasioni in cui può essere utile conoscere la gamma delle capacità nel gruppo. Studio di Wheeler 1969 indagarono l'effetto di deprivare le persone di questa informazione. Se non si conosce la gamma, la maggioranza vuole conoscere in primis il punteggio migliore, poi quello peggiore. → Circostanze nelle quali le persone preferiscono confrontarsi verso il basso: situazioni particolarmente negative: è di conforto sapere che ci sono persone che stanno peggio di noi. → Per Wills 1991 la motivazione è quella di proteggere un'autostima minacciata. A favore lavoro di Hakmiller 1966. Studio di Wood, Taylor e Lichtman 1985 su gruppo di donne affette da carcinoma mammario. Una variabile importante che consente di prevedere il fatto di effettuare confronti verso il basso è costituita dal controllo che esse percepiscono di avere nelle diverse situazioni della vita. Studio di Buunk e coll. 1990 sull'esperienza della malattia di pazienti tumorali. Riscontrano una maggiore presenza di confronti verso il basso associati sia ad un vissuto positivo sia ad un vissuto negativo. I confronti verso l'alto tendevano ad essere più collegati a vissuti positivi. I soggetti con più alta stima di sé, affermavano di sentirsi meno male, indipendentemente dal tipo di confronto effettuato. I soggetti che sentivano di avere maggior controllo sulla loro malattia erano meno propensi a sviluppare vissuti negativi. La mancanza di una relazione fra prognosi oggettiva e direzione della relazione fra autostima e affetto è in disaccordo con la teoria di Wills (1991). Le prove empiriche a sostegno di questa tesi sono contraddittorie. → Una ragione per cui le persone in situazioni difficili possono continuare a volgere la loro attenzione verso l'alto è avanzata da Taylor e Lobel 1989: i confronti verso il basso possono rafforzare l'autostima di persone che si sentono minacciate solo su un piano di superficie, i confronti verso l'alto possono dare speranza e prospettive di miglioramento. Confronto sociale e prestazione: Quali sono gli effetti del confronto sociale sulla prestazione effettiva degli individui? → Secondo Festinger (1954) gli individui hanno la tendenza a cercare di migliorare la loro prestazione, specialmente il rapporto a coloro che sono simili o immediatamente superiori a loro. I membri di status elevato sarebbero motivati a cercare di migliorare la prestazione di quelli al di sotto di loro con l'interazione o l'esempio e, in caso di insuccesso, potrebbero fornire una prestazione inferiore alle loro possibilità così da non diventare troppo diversi dagli altri membri. ✓ Le prove disponibili sembrano supportare la prima ipotesi di Festinger. Köhler (1926), avvalendosi di una prova di sollevamento di pesi, ha dimostrato che l'esecuzione del compito in coppie o in terzetti permette ai soggetti di realizzare un risultato complessivo che eccede la somma dei risultati individuali purché la forza dei singoli membri non sia troppo disomogenea. Se vi è troppa omogeneità o troppa discrepanza la prestazione del gruppo tende a declinare. ✓ Diversi studi confermano che all'interno di un gruppo il miglioramento complessivo dei risultati è legato principalmente ad un aumento della prestazione membri più deboli; mentre c'è un peggioramento in caso di membri molto simili o troppo diversi tra loro. Valutazione della teoria del confronto sociale: Possiamo mettere in dubbio il suo assunto che, in assenza di criteri oggettivi, i bisogni di valutazione di sé trovino soddisfazione unicamente attraverso processi di controllo sociale. → Albert (1977) integra la teoria di Festinger riconoscendo il ruolo importante giocato dai confronti temporali: confronti della propria prestazione attuale con quella passata o futura. Il confronto temporale può essere maggiormente usato se i confronti sociali generano esiti sfavorevoli per il sé. Inoltre, può accadere che le persone decidano di confrontarsi con qualche standard astratto seguendo un orientamento autonomo (Hinkle e Brown 1990) ✓ Gibbons, Benbow e Gerard Hanno rilevato che gli studenti universitari, nel valutare le loro capacità accademiche e atletiche dichiarano di fare affidamento su confronti sociali (soprattutto i più abili) e su quelli temporali usati, maggiormente da quelli meno abili per i quali il confronto sociale risulta meno favorevole. - L'importanza relativa dei confronti sociali e temporali può cambiare nell'arco della vita. Nei primissimi anni (tra i 4 e 8) o nelle fasi più tarde (dopo i 65) i confronti temporali possono essere più importanti. Nella fanciullezza, adolescenza e età matura predominano i confronti sociali. ✓ Quando si è più piccoli c’è un momento di sviluppo, quindi si valutano le competenze nello sviluppo, ci si confronta con il passato. Quando comincia l’età adolescenziale ci si confronta tra pari, ci si distacca dalla famiglia di origine e dai genitori come punto di riferimento, si comincia il confronto sociale che va in tutta la vita adulta. Anziani confronti sociali a ribasso temporali, si tende a fare una valutazione di quante cose vengono perse. 3 punti deboli della teoria del confronto sociale: che cosa succede a chi non rispetta le norme? • i devianti si ricevono più comunicazioni; questo stato termina quando essi si riavvicinano alle opinioni della maggioranza. Se invece persistono nella posizione assunta, il gruppo finisce per abbandonarli a se stessi. Le norme possono essere: - ESPLICITE come nei gruppi formali e nelle organizzazioni: regolamento scritto che sancisce ciò che è permesso e ciò che è proibito. NORME PRESCRITTIVE - IMPLICITE, non espresse direttamente, ma ugualmente sanzionatorie. NORME DESCRITTIVE Si possono distinguere: - NORME CENTRALI: si riferiscono a questioni che comportano conseguenze per il gruppo; i casi di devianza sono duramente sanzionati (es: discipline di partito, disobbedienza negli ambienti militari e religiosi). Più il gruppo è coeso, più la reazione dei membri e unitaria in caso di devianza di un membro. - NORME PERIFERICHE: riguardano questioni considerate dal gruppo come marginali al proprio schema di comportamento (es hobby privati dei membri) I membri di basso status sono sanzionati con più frequenza rispetto ai superiori se violano le norme periferiche I membri di status elevato sono ancora più obbligati degli altri a seguire le norme centrali (in quanto ad esse dipende la sopravvivenza del gruppo e del loro potere al suo interno), mentre sono più liberi di non aderire o addirittura cambiare le norme periferiche (ciò spesso non è concesso agli altri membri, es puntualità agli appuntamenti) ORIGINE DELLE NORME: Opp 1982 3 distinzioni: 1. Norme istituzionali: sono imposte da autorità esterne o dal leader (calano dall'alto) 2. Norme volontarie: nascono dalle negoziazioni tra i membri allo scopo di risolvere i conflitti o adempiere a compiti 3. Norme evolutive: si producono quando i comportamenti che soddisfano un membro vengono appresi anche dagli altri, che li difendono nel resto del gruppo, fino a divenire successivamente prescrizioni (es convivenza di studenti in un appartamento) Acquisizione e sviluppo delle norme Studi condotti in college americani sul modo in cui le norme vengono acquisite dai nuovi membri: • Newcomb (1961): in un college dalle norme progressiste che accoglie studenti di famiglie conservatrici, gli studenti agli ultimi anni preferiscono il candidato (alla Presidenza usa) progressista in misura significativamente maggiore dei studenti dei primi anni. • Siegel e Siegel 1975: modalità della VI (variabile indipendente): confronto tra una casa dello studente gestita in maniera progressista ed una più tradizionale. Disegno longitudinale (pre, post). 2 rilevazioni: ad inizio anno, entrata nell’alloggio (pre) e a fine anno (post). Misura entro i soggetti (=VD): grado di autoritarismo (misura di quanto le persone ritengono che bisogna essere autoritari rispetto a delle minoranze, misura che appartiene a persone più tradizionaliste) l’hanno considerata una misura del progressismo. Risultati: diminuzione significativa del gruppo di autoritarismo tra il pre e il post, ma solo negli studenti inquilini dell'alloggio “progressista” mentre gli altri restano invariati. • Studi sul comportamento dei bambini all'ingresso della scuola materna (McGrew 1972, Feldbaum et al. 1980) mostrano che esiste una prima fase in cui i bambini osservano giocare gli altri, come se tentassero di capire quali siano le regole di base prima di entrare a far parte del gruppo. Questa acquisizione è quasi spontanea nei bambini sin dai 3 anni, chi attua questa strategia (prima fase di osservazione e aderenza alle regole) è più accettato. • Altri studi (Merei 1949, Putallaz, Gottman 1981) evidenziano che, nell’ammissione come membri di un nuovo gruppo, i bambini più popolari o il leader sono quelli che all'inizio sanno adeguarsi alle norme pre- esistenti = strategia “attendista”, mentre quelli che tentano subito di mettersi in mostra o di apportare variazioni = strategia “interventista” sono poco accettati. • Anche negli studi sulle strategie di conquista della leadership negli adulti (Hollander 1960), il conformismo iniziale alle norme del gruppo risulta vincente. Funzioni delle norme: La costruzione delle norme di gruppo assolve ad almeno 4 funzioni (Cartwright e Zander 1968): 1. AVANZAMENTO DEL GRUPPO: le norme, ad esempio le pressioni verso l'uniformità, sono necessarie affinché il gruppo raggiunga i suoi obiettivi 2. MANTENIMENTO DEL GRUPPO: Le norme, come ad esempio le richieste per gli incontri regolari, preservano il gruppo dall'estinzione 3. COSTRUZIONE DELLA REALTÀ SOCIALE: sviluppo di una concezione comune della realtà che serve come riferimento, soprattutto nell’ interpretazione p situazioni ambigue per l'autovalutazione individuale 4. DEFINIZIONE DELLE RELAZIONI CON L’AMBIENTE SOCIALE: consenso sulle relazioni con gli altri gruppi che costituiscono l'ambiente esterno e stabilire quali siano gruppi “alleati” o “nemici” Funzioni individuali delle norme: - Sono strutture di riferimento tramite le quali è possibile interpretare il mondo - sono una serie di costrutti a cui sono associati valori che servono per dare ordine e prevedibilità a quello che ci circonda - Permettono di capire come possiamo comportarci in una situazione nuova o ambigua. Esperimento di Sherif (1936) fece uso di un'illusione ottica nota come l'effetto autocinetico. Mostrò questa illusione a ciascuno dei suoi soggetti e domandò di stimare l'ampiezza dell'oscillazione. trovò che le valutazioni di ciascun soggetto tendevano a stabilizzarsi intorno a un determinato valore medio idiosincratico. condusse lo stesso esperimento con gruppi di 2/3 soggetti: le stime del movimento fatte dai soggetti convergevano rapidamente finché non davano delle risposte quasi indistinguibili l'una dall'altra. Avevano sviluppato una norma di gruppo primitiva, Ente anche quando venivano sottoposti alla prova da soli. Funzioni sociali delle norme: • POTERE LEGITTIMO: P ha interiorizzato norme che stabiliscono che O ha il diritto legittimo di influenzare P, ad esempio in base ad una designazione sociale (come le elezioni). Questi tipi di potere possono indurre al conformismo esteriore, ma non adesione autentica del “dominato” rispetto al “dominatore”, perché sono tipi di potere “esterni” alla persona. Non sono basati su motivazioni interiorizzate, ma esterne che comunque la persona segue, si conforma, ma non è completamente aderente con il suo modo di pensare, con le sue idee. Ci sono altre forme di potere che agiscono più dall’interno come forza propulsiva interna: • POTERE D’ESEMPIO: o potere riferimento, si basa sull'identificazione di P come subordinato con O. Può dipendere dal prestigio di O spesso inconsapevole per P. Alcuni membri diventano un esempio o un riferimento per gli altri (ha carisma). Agisce dall’interno perché è la persona stessa che lo attiva. • POTERE DI COMPETENZA: P ritiene O un esperto in un determinato ambito, e ha fiducia che O dica la verità. Può essere limitato ad un'area specifica. Le competenze vengono riconosciute dalla persana (potere che agisce dall’interno) Questi tipi di potere possono indurre alla conversione autentica da parte del “dominato” rispetto al “dominatore”. Critiche: La tipologia di French e Raven non considera né i rapporti economici, né nelle motivazioni di chi accetta la fonte di influenza (es Processi persuasivi, controllo delle informazioni...) LEADERSHIP Leader: - allo status più elevato all'interno di un gruppo - propone idee attività - influenza i membri del gruppo fino in a modificare il loro comportamento. L'influenza non è sempre sinonimo di potere: Persuasione-->potere che si attiva dall’interno vs. Acquiescenza -->potere che viene dall’esterno L’INFLUENZA SOCIALE e potere sono processi di modificazione del comportamento altrui. Reciproco - L'influenza è un trattivo distintivo del leader. Poiché l'influenza sociale è un processo reciproco è più corretto dire che i leader possono influenzare tra gli altri nel gruppo più di quanto siano influenzati loro stessi. Molti modi tramite cui un leader può emergere: elezione, nomina, imposizione, usurpazione, emergere spontaneo. I leader: tipi di personalità o prodotti della situazione? Quali sono i motivi che rendono alcune persone in grado di influenzare gli altri? Teorie che hanno cercato di rispondere: • TEORIE DELLA PERSONALITÀ (Stogdill 1974) capire che personalità ha una persona che diventa leader, c’è una personalità comune nei leader? Grande uomo, leader naturale. → Teoria legata all’individuo. Molte teorie sulla leadership tendono a definire i leader come individui che hanno determinate caratteristiche di personalità che li rendono diversi dalla gente comune. → In realtà, se pensiamo ai grandi leader, ci si rende conto che può che possono essere estremamente diverse l'una all'altra, per cui gli aggettivi con cui vengono definiti sono abbastanza vaghi: “carisma” e “genio” sono i più accreditati e i più utilizzati per cercare di spiegare il successo di questi individui. → non si è mai trovato un riscontro empirico forte che spiegasse il successo del leader in questi termini → Una rassegna di vari studi (Stogdill 1974) ha evidenziato negli unici tratti almeno in parte attendibili e correlati con il leader sono che questi individui sono un po' più intelligenti, sicuri di sé, dominanti, socievoli e orientati verso la riuscita degli altri → In opposizione alla teoria sui tratti di personalità, ci sono studiosi (ad es Bales 1950, Sherif et al. 1961) per cui i leader più efficienti sono quelli che riescono a guidare il gruppo verso i propri obiettivi. Questo implica che in momenti e contesti diversi, qualcun altro può emergere come leader (studi: Sherif campi estivi e altri--> Cambiando l’obiettivo a volte può cambiare anche il leader) L'approccio SITUAZIONISTA si sfonda sull’idea che in situazioni diverse il leader deve assolvere funzioni diverse. Tale ruolo può essere quindi assunto da diversi membri del gruppo, caso per caso. - Esperimento di Carter e Nixon (1949) Assegnarono a coppie di studenti tre compiti diversi: intellettuale, d'ufficio e di montaggio meccanico. Risultati variando il tipo di compito, persone diverse emergevano come leader. - FATTORI SITUAZIONALI Collegati all'emergere di un leader: natura del compito, presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leader, grandezza del compito, stabilità ambientale. Critiche: Trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader, la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito); è riduttiva e considera poco gli elementi importanti come la storia, la struttura, le risorse del gruppo. Il comportamento dei leader • TEORIE DEL COMPORTAMENTO DEL LEADER (Bales e Staler 1955): stili di leadership. A seconda di come ci si comporta si può diventare leader con degli stili particolari o Il successo dei leader può derivare dal loro stile di comportamento (Lippit e White 1943): è lo stile di comportamento del leader che agisce direttamente sul comportamento del gruppo e quindi sull'attivazione comportamentale il lavoro stesso del gruppo → Secondo gli studi gli studiosi, il leader avrebbe la funzione di creare un clima sociale nel gruppo: lo stato d'animo e l'efficienza del gruppo dipenderebbero dalla natura del clima prodotto. Esperimento con bambini frequentanti il doposcuola. Analisi di tre modalità di comportamento del leader: capire quanto il comportamento del leader poteva che migliorare l'efficienza e il clima (misurando l'aggressività). Variabile indipendente: lo stile di leadership, manipolarono 3 stili 1. autocratica (direttiva e distante dal gruppo, orientamento al compito) 2. democratica (coinvolgimento del gruppo, scelta dei compagni) 3. permissiva (gruppo libero, intervento minimo del leader) Le 3 persone addestrate ad agire come leader restavano 7 settimane nello stesso gruppo, poi cambiavano due volte gruppo e stile di comportamento. Dunque qualsiasi effetto osservato nei gruppi poteva essere attribuito allo stile di comportamento e non alla personalità. Risultati: - L'approccio democratico era il preferito da parte dei membri - nella teoria della leadership carismatica c'è una certa indeterminatezza dei fattori implicanti (quali sono gli ingredienti che creano il carisma nella relazione leader-gruppo?) e il concetto rischia di essere circolare (solo a posteriori si può verificare se il leader è carismatico oppure no). L'interazione tra lo stile del leader e la situazione • MODELLO DELLA CONTINGENZA (Fiedler 1964) corrispondenza tra stile e controllo della situazione. Combina gli aspetti delle competenze, con gli aspetti situazionali con gli aspetti di risposta da parte delle persone. Fiedler (1965) rilevo che l'approccio degli stili di comportamento non spiegava perché invasi casi erano più efficienti le leadership orientate al compito, in altri le leadership socio-emozionali---> non esisteva una relazione diretta tra lo stile predominante del leader e l'efficacia del gruppo. → Propone un modello INTERAZIONISTA della leadership nel quale l'efficienza era vista come dipendente dalla corrispondenza tra lo stile del leader e il tipo di situazione da lui affrontata. L'atteggiamento del leader necessario per l'efficienza della prestazione di gruppo dipende dalla misura in cui la situazione è favorevole o sfavorevole al leader. → Per dimostrare tale modello fa uno studio in cui misura lo stile di leadership anziché farne una variabile manipolata (come fanno Lippitt e White). Lavorando su gruppi di lavoro già esistenti misura questo stile di leadership per vedere se era più orientato al compito o orientato alla relazione. Considerando l’approccio del continuum tra orientato al compito e alla relazione di Bales, andava a misurare quanto un leader era orientato al compito o alla relazione misurando “Least Preferred Co- worker LPC). Stile di leadership misurato mediante punteggio LPC: descrizione su scale bipolari del collaboratore con cui trova più difficile lavorare--->come il leader definiva il collaboratore meno preferito in termine di aggettivi legati ad aspetti di tipo sociale socio-emozionale (amichevole/ostile, simpatico/antipatico, collaborativo/non collaborativo). → Se il leader considera il meno preferito con dei livelli di socievolezza alti significa (in modo favorevole) era un leader orientato ai livelli socio- emozionali. Al contrario era più orientato al compito. - ALTO LPC = LEADER CENTRATO SULLE RELAZIONI - BASSO LPC = LEADER CENTRATO SUL COMPITO Andava ad indagare delle situazioni reali non manipolando questa funzione di orientamento al compito o alla relazione, ma andandola a misurare. Cosi da studiare come funzionava un leader centrato sulle relazioni o sul compito. → Secondo Fiedler il punteggio LPC è una caratteristica relativamente stabile nelle diverse situazioni e nel tempo. Veniva indagata come una caratteristica di stile personale del leader che attuava in qualsiasi situazione e momenti. → Indagava altre 3 dimensioni (in ordine di importanza) che determinano la favorevolezza o meno della situazione per il leader. 1. qualità dei legami leader-membri 2. livello di struttura del compito (es chiarezza delle procedure per il raggiungimento dello scopo) 3. potere del leader (es grado di controllo di sanzioni e premi, formalizzazione della leadership) Situazione di alto grado delle 3 dimensioni cerano situazioni favorevoli e viceversa. Quindi si possono creare più combinazioni che creano diversi gradi di favorevolezza. Livelli estremi e livelli combinati. → valutando ogni situazione di leadership come alta o bassa rispetto a questi 3 fattori, derivano 8 combinazioni di favorevolezza (2x2x2) → Se la situazione è molto favorevole (positiva per tutti e 3 i fattori), i leader non hanno bisogno di sprecare tempo preoccupandosi del morale dei membri del gruppo e hanno mezzi e potere per essere direttivi → se la situazione è molto sfavorevole (negativa per tutti e 3 i fattori), accade che i leader non abbiano niente da perdere ad essere autocratici e direttivi. → A livelli intermedi, il leader può compensare un compito mal definito ho uno scarso potere con uno stile orientato alla relazione. L'obiettivo di questo approccio è quello di cercare di controllare tutte le possibili variabili--->una buona conduzione di un gruppo non nasce solo dal leader ma anche dalla parte situazionale e la parte relazionale. L'aspetto situazionale non è dato solo dalla natura del compito o tipo di potere, ma da una relazione che va costruita all’interno del gruppo. → Critica: considera lo stile di leadership come un fattore/caratteristica personale. Non dice che il leader dovrebbe cambiare il suo stile a seconda della combinazione di queste variabili. Il modello implica che lo stile del leader sia dato e non immutabile. Ciò si basa su una definizione di personalità basata sui tratti che considera gli individui coerenti nel tempo e nelle situazioni. La facilità con cui gli individui possono essere addestrati ad agire con un determinato stile (es Lippitt e White 1943) sembra contraddire la presenza di tratti stabili e invariati. Inoltre, nella realtà delle organizzazioni lavorative, gli individui vengono formati in modo specifico per “interpretare” il ruolo di leader in una certa maniera. → Critica: riguarda l'ordine degli 8 tipi di situazioni, che per Fiedler rappresentano un continuum ordinato di favorevolezza dove ogni ottante (combinazione delle 3 dimensioni) è ugualmente distante dal successivo. Crea una gerarchia/ di favorevolezza delle situazioni. Non è detto che le dimensioni abbiano quell’ordine di favorevolezza. Ad es alcuni leader possono ritenere che il potere stia al primo posto. L'ordine dei 3 fattori situazionali era stato stabilito in modo arbitrario e, cambiandone l'ordine gerarchico, cambia il continuum tra le 8 combinazioni e, dunque, cambia l'ordine di ampiezza di correlazione tra LPC ed efficacia. → Singh e coll. (1979) hanno rilevato che l'ordine di importanza dei 3 fattori nel determinare la favorevolezza della situazione è diverso da quello prescritto da Fiedler: su 4 studi, solo in 2 leader- membri era considerato il più importante, mentre negli altri 2 Il più importante era il grado di potere, il quale complessivamente è emerso come il più importante in assoluto. → Limite: Ogni leader può essere categorizzato solo in modo dicotomico (alto vs basso LPC): l'applicazione in campo formativo del modello scarterebbe ca. il 20% di punteggi (cioè gli intermedi). Quanto sarebbero stati efficaci? Il modello può aiutare il leader a fare un’analisi della realtà e capire come intervenire (quale delle 3 è più importante? Ecc.), e capire che tipo di leadership attivare. • APPROCCIO SITUAZIONALE (Argyle e Little 1972): a seconda della natura del compito bisogna avere competenze diverse. Anche l'approccio situazionale, però, non riesce a spiegare bene quali fattori sono implicati nell’ emersione di un leader. → La teoria della leadership situazionale Ale (Hersey e Blanchard) o SLT e il modello della contingenza di Vroom e Yetton 1973 Condividono con il ad accettare un leader anche se non dà loro qualcosa che aspettavano da tempo. gli effetti che entrambi criteri di giustizia esercitano sono dipendenti dal contesto in cui hanno luogo, in particolare se intra-gruppo o inter-gruppi. ✓ situazione sperimentale di Platow et al. (1997) in cui i leader distribuivano somme di denaro. 2 variabili manipolate: tipo di distribuzione (equa/ non equa); contesti (intra/ Inter- gruppi). Misura: grado di approvazione del leader dai membri. Risultati: il leader equi ricevevano più approvazione dei non-equi, ma l'effetto era minore nel contesto inter-gruppi. Il dato più importante è che in alcuni contesti inter-gruppi, il leader che era poco equo nei confronti dell'altro gruppo era più approvato di quello che era equo. Questi approcci si incentrano sulle relazioni fra il leader e i membri in contrasto con Fiedler per cui lo stile del leader è visto come un attributo di personalità durevole, dove le sue relazioni col gruppo e il potere della posizione sono componenti statiche. Hollander considerano la leadership come un processo dinamico, nel quale il potere che ha il leader di influenzare il gruppo cambia nel corso del tempo e dipende dalle relazioni leader-membri e dal contesto intergruppi. RIASSUNTO PRINCIPALI APPROCCI ALLO STUDIO DELLA LEADERSHIP: C'è un approccio dei tratti di personalità che considera le caratteristiche individuali. Le caratteristiche individuali dei soggetti li rendono migliori o peggiori leader, quindi ci sono persone che sono più propense per le loro caratteristiche a essere dei leader. Nell'approccio degli stili di comportamento è importante il modo in cui si comportano i leader con i membri del gruppo, quindi che tipo di comportamento attivano con i membri del gruppo. Per l'approccio situazionista non basta che i leader cambiano il loro comportamento perché il loro comportamento non è direttamente influenzante nei confronti della risposta del gruppo, ma dipende dalla situazione. L’approccio interazionista dice che ci vuole la combinazione di più fattori. Quindi c'è la combinazione dello stile comportamentale con la situazione, ma nella situazione dobbiamo andare indagare la natura del compito, che tipo di relazione con il gruppo, le risorse che abbiamo a disposizione, il tipo di potere all’interno del gruppo. Approccio transazionale è importante la risposta che dà il gruppo alla persona. Questa risposta avviene una in un processo/dinamica processuale in cui la singola persona, attraverso una sequenza di comportamenti per cui accetta le norme, quindi è prima influenzato dal gruppo (non nasce come persona influente; viene prima influenzata dal gruppo, fa proprie le tutte le norme le regole del gruppo). Nel riconoscere queste norme viene riconosciuto dagli altri e il fatto di essere riconosciuto dagli altri dipende dalle situazioni, dal tipo di autorità e quindi di che tipo di giustizia mette in atto. Questi aspetti vengono ancora più messi in evidenza nella relazione con altri gruppi. LA COMUNICAZIONE NEI GRUPPI La comunicazione (processo cognitivo) è uno degli elementi costitutivi di un gruppo in quanto implica uno scambio di significati, che determinano una finalità e atteggiamenti comuni, la coesione gruppale, le relazioni interpersonali, gli accordi o i disaccordi, la collaborazione o la competizione (Flament 1965). Tutti i processi di gruppo (coesione, cooperazione/competizione, influenza sociale, devianza, polarizzazione) hanno a che fare con la comunicazione. - Molti dei processi di gruppo avvengono attraverso il FENOMENO DELLA DISCUSSIONE: un rito di comunicazione che riunisce i membri di un gruppo in un luogo idoneo secondo regole prescritte (Moscovici e Doise 1991) - la discussione è il contesto privilegiato sia per l'emersione del conflitto, sia per la ricerca del consenso - come sosteneva Festinger (1950), la costruzione di una realtà sociale condivisa all'interno del gruppo avviene tramite gli scambi comunicazionali di idee e opinioni. Una discussione di gruppo può essere influenzata da diversi fattori: - Il tipo di atmosfera (calda/fredda) L’atmosfera della discussione e gli scambi comunicativi sono influenzati dagli attributi del setting fisico-spaziale: grandezza della stanza, arredi, aspetto globale del luogo (es solenne, familiare, asettico), lay-out, disposizione di sedie e tavolo. Alcuni studi mostrano come sia gli aspetti fisico- spaziali più micro (sedersi in cerchio o sedersi allineati), sia più macro creano differenze di atmosfera che si ripercuotono nei processi che avvengono nel gruppo. - grado di spontaneità (grado di libertà di intervenire, spontanea/vincolata). Questo aspetto è legato alla presenza o meno di vincoli temporali o procedurali: più la discussione è spontanea, più si verificano partecipazione diffusa in tutti i membri e fenomeni di influenza sociale. Quando ci sono procedure ben strutturate la discussione non è spontanea, ci sono vincoli legati alla strutturazione. - Tipo di partecipazione (consensuale/normalizzata =tutti i mebri sono d’accordo/c’è una norma che sancisce che ci debba essere) Nella p. consensuale tutti i membri del gruppo possono dire la loro senza preoccupazioni di status e senza vantaggi per la maggioranza (rispetto alle minoranze). Gli scambi sono accesi, c'è alto coinvolgimento dei membri, emergono punti di vista divergenti e conflitti Nella p. normalizzata le possibilità di accedere alla discussione sono regolamentate dalla gerarchia di status. Gli scambi sono ordinati, non emergono punti di vista conflittuali, i membri di status basso (o di una minoranza) non contraddicono i membri di status alto (o la maggioranza), il coinvolgimento dei gruppi è scarso, le decisioni sono più scontate e determinate dalla leadership 3 principali oggetti di studio sulla comunicazione nei gruppi: 1. Festinger (1950) e Schachter (1951) analizzano i PROCESSI COMUNICATIVI in rapporto ad altri fenomeni di gruppo. Es studi sulle comunicazioni persuasive versi i devianti per ristabilire la coesione gruppale. Quando c’è una persona che devia dalla norma diventa il bersaglio delle comunicazioni di molti che cercano di convincerlo. Si comunica per raggiungere di nuovo la coesione quindi per attivare il processo di persuasione. 2. Bales et al. (1951) studiano le STRUTTURE di comunicazione nei gruppi di discussione; evidenziando che la quantità di comunicazioni date e ricevute riproduce la gerarchia di status. La comunicazione avviene a seconda di com’è la forma gerarchica. Es In una struttura centralizzata il leader riceve e trasmette più comunicazioni di tutti. 3. Bavelas (1950) e Leavitt (1951) propongono un modello di descrizione delle RETI di comunicazione che riprende l'idea lewiniana di rappresentazione del campo psicologico mediante mappe topologiche. Rete di comunicazione=possibilità di comunicazione. Ogni gruppo ha una Questi risultati, ottenuti con studi di laboratorio, sono poco applicabili alla complessità dei gruppi naturali. Nelle organizzazioni reali esistono pericoli nel centralizzare troppo. L’INFLUENZA SOCIALE NEI GRUPPI Il potere della maggioranza Molti esempi di conformismo alle pressioni del gruppo nella vita reale. ➢ Esperienti di Ash (1956) procedura: vengono reclutati dei soggetti per partecipare ad un presunto esperimento sui giudizi percettivi. Il soggetto viene introdotto in una stanza dove sono già seduti numerosi altri individui (collaboratori che forniranno risposte sbagliate). Compito: confrontare la lunghezza di alcune linee verticali con una linea tipo e identificare quale delle 3 opzione è della stessa lunghezza. Le risposte vengono fornite a turno ad alta voce. Nelle prime 2 prove tutti forniscono la risposta corretta, dalla terza e in altre 11 gli altri soggetti che si trovano nella stanza (collaboratori) danno una risposta sbagliata, rispondendo in modo sicuro e calmo. Risultati: oltre il 36% delle risposte fornite dai soggetti veri nelle prove cruciali non si discostava da quelle scorrette fornite dalla maggioranza. In una condizione di controllo dove gli individui fornivano le risposte da sole il numero di errori era pari a zero (natura non ambigua del compito: non potevano esserci dubbi sulla risposta corretta). Gli individui, quindi, sono disponibili a negare un giudizio chiaramente veridico per andare con la maggioranza. Ash stabili che alcuni soggetti avevano scarsa fiducia nei propri giudizi, assumendo che gli altri partecipanti fossero a conoscenza di qualche informazione aggiuntiva; altri si confermavano per non essere diversi. Queste reazioni ci suggeriscono che dovremmo distinguere un conformismo che implica un cambiamento percettivo o cognitivo personale e un conformismo che è puramente una condiscendenza a livello di comportamento o pubblica. Quest'ultimo caratterizza meglio i soggetti negli esperimenti di Ash, mentre gli esperimenti di Sherif con l'effetto auto cinetico sembrano suscitare la prima reazione. Nei risultati di Sheriff la norma di gruppo stabilita in precedenza persisteva anche quando i soggetti erano sottoposti alla prova da soli. ➢ In altri esperimenti Asch (1955) esplorò gli effetti prodotti dalle modificazioni dei vari aspetti della sua situazione volta indurre il conformismo. Il fattore che variava modo più evidente era l'ampiezza della maggioranza dei collaboratori. Con un unico collaboratore: conformismo trascurabile; con l'aggiunta di 1 / 2collaboratori il livello di conformismo aumenta, per poi appiattirsi quando si continua ad aumentare il numero dei collaboratori (15 generano conformismo inferiore a 4). L’aumento rapido nel livello di conformismo nelle maggioranze di 2/3 individui è stato confermato da altre ricerche, ma il conformismo ridotto con maggioranze più ampie non è stato replicato. ➢ Un'altra variante introdotta da Asch (1955) consiste nello spezzare il consenso prodotto dalla maggioranza dei complici. In un esperimento, c'erano 2 soggetti ingenui che affrontavano la maggioranza che dava risposte errate. il conformismo diminuì. In un altro esperimento, uno dei collaboratori fu addestrato a fornire sempre la risposta corretta, ciò produsse un conformismo ancora inferiore. Il fattore cruciale fu la rottura dell'unanimità anziché la semplice presenza di un alleato--->3° esperimento: uno dei collaboratori aveva il compito di deviare dalla maggioranza pur fornendo risposte sbagliate: il livello di conformismo si riduce. Ricerche successive confermano i risultati di Asch sull'importanza del dissenso nel ridurre il conformismo, benchè per alcuni tipi di comportamenti (quelli che implicano opinioni soggettive) sia necessario che tale dissenso sostenga la posizione del soggetto. ➢ Interessanti le ragioni delle differenze culturali nel modo in cui si manifesta il conformismo-->Berry (1967) propone una teoria secondo la quale esiste una relazione tra il grado di conformismo e la natura dell'economia in società diverse. Nelle società la cui economia richiede un grado di interdipendenza elevato (per es società con tendenze ad accumulare cibo) le pressioni conformistiche sono superiori. La teoria di Berry è più applicabile alle società non industrializzate. Secondo Smith e Bond (1993) un'analisi di questo tipo può essere estesa anche ad altri tipi di società purché se ne considerino i valori predominanti. Le culture individualistiche pongono maggior enfasi sui risultati individuali, sulla separazione dai membri del proprio gruppo e sulla competizione con essi, sull'autodeterminazione e l'indipendenza. Le società collettive tendono a premiare i risultati collettivi, l'intimità, la cooperazione e il desiderio di consenso. Per Schwartz (1994) I membri di culture collettivisti come il Brasile e il Giappone tendono a mostrare valori di compliance superiori ai membri di culture più individualistiche come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Perché gli individui si conformano? Quanto dimostrato con gli esperimenti sembra accadere anche nella vita reale: la forza della pressione sociale produce atteggiamenti e comportamenti allineati alla maggioranza, non solo su aspetti secondari (es moda, musica ecc.), ma anche su aspetti che riguardano i valori fondamentali. → Il paradigma sperimentale di Milgram (1963) prevede che ad alcuni soggetti ai quali è stato dato il ruolo di insegnanti in un esperimento sull'apprendimento ricevano la consegna di somministrare forme di rinforzo negativo (scariche elettriche) I loro allievi. La presenza di altri (complici) induceva i soggetti ingenui a seguire le loro istigazioni, sia quelle pro-sociali, sia quelle anti- sociali, in termini di intensità di scosse elettriche fornite ad altri individui. → Secondo Festinger (1950) esistono 2 processi ti spiegano perché gli individui subiscono le pressioni della maggioranza: 1. Costruzione sociale della realtà. Questo processo nasce dall’importanza di verificare le nostre e le nostre teorie con cui agiamo e interpretiamo gli eventi sociali. Non avendo possibilità di misurarne oggettivamente la correttezza, ricorriamo al confronto con gli altri; il fatto che gli altri siano in accordo con noi ci rassicura. Tali pressioni aumentano nel caso di situazioni nuove o ambigue, poiché mancano elementi oggettivi che guidino le nostre credenze (es effetto autocinetico). 2. La presenza di uno scopo di gruppo importante. Se il gruppo ha uno scopo definito e importante e il raggiungimento di questo dipende dall'unione delle forze dei membri, ci sarà una tendenza all' uniformarsi. Chiaramente ci deve essere un accordo sullo scopo e sui mezzi per raggiungerlo. → Lewin (1965) ha dimostrato che l'esistenza di un obiettivo nuovo nel gruppo è capace di produrre un cambiamento di atteggiamento dei membri. Deve sussistere una condizione: che il gruppo eserciti una certa attrazione iniziale sui suoi membri. Più i membri sono considerati importanti, più il gruppo sarà coeso e incline al conformismo ✓ nell'ambito di un programma di educazione sanitaria per convincere le famiglie americane a mangiare una quantità maggiore di tagli di carne poco graditi, ma molto nutrienti, Lewin mise a confronto l'efficacia di una lezione di un nutrizionista con una discussione di gruppo. I partecipanti erano casalinghe e la variabile decisiva era l'eventualità che → chiama questa forma di influenza INFLUENZA REFERENTE Questo dovrebbe suggerire che gli individui percepiscano maggiormente la pressione che deriva dal proprio gruppo (in-group) piuttosto che quella di un gruppo altro (out-group). Alcuni esperimenti condotti su gruppi di studenti universitari (Abrams e al. 1990) hanno confermato questa ipotesi - sono state, inoltre, condotte molte ricerche in PROSPETTIVA EVOLUTIVA entra mostrato un picco nella tendenza al conformismo nella prima adolescenza: pressione del gruppo dei pari - anche la socializzazione di genere provoca una pressione alla conformità, fin da bambini, quando lo stare con compagni dello stesso sesso ha la funzione di sviluppare l'identità di genere (che implica un insieme di comportamenti e atteggiamenti accettabili per le norme del gruppo dello stesso sesso) legata ai ruoli sociali. Diventare devianti Molto spesso la maggioranza interviene direttamente per esercitare pressioni su coloro che manifestano opinioni devianti. Questa era un'altra ipotesi della teoria di Festinger (1950): affermò che i membri della maggioranza avrebbero rivolto la maggior parte dei loro scambi comunicativi ai membri del sottogruppo di minoranza nel tentativo di convincerli a cambiare posizione. Maggiore è la discrepanza esistente tra la minoranza e la maggioranza, più numerosi sarebbero stati gli scambi comunicativi previsti, se i tentativi di influenza sui devianti non avessero avuto successo, gli altri membri del gruppo avrebbero rifiutato i devianti esprimendo tale rifiuto con manifestazioni di antipatia o persino estromettendoli. ✓ Schachter (1951) mise alla prova queste ipotesi osservando il comportamento di gruppi di discussione formati da studenti con il compito di risolvere un problema di relazioni umane che riguardava un giovane delinquente e la sua famiglia. Gruppi di 8/9 persone con 3 collaboratori, ciascuno con un ruolo specifico: DEVIANTE: Quando le opinioni del gruppo cominciavano ad emergere assumeva una posizione deviante SLIDER: deviante all'inizio, ma poi si allineava MODE: si adeguava al gruppo fin dall'inizio RISULTATI: Il deviante ha totalizzato un numero di scambi ricevuti più alto, ma nella prima fase lo slider ha totalizzato un risultato simile (per poi essere quasi ignorato), mentre il mode non ha ricevuto alcuna attenzione. I dati sociometrici raccolti sulle preferenze per i vari membri del gruppo dimostrano che i devianti sono anche quelli che ricevono il punteggio più basso (Il deviante che si opponeva alla pressione sociale non era ben considerato). ✓ Qualche anno dopo Schachter e coll. Condussero uno studio interculturale utilizzando una procedura simile all'esperimento, eliminando i ruoli di slider e mode. Quasi 300 gruppi di studenti di sesso maschile di 7 paesi europei furono osservati mentre discutevano di un progetto di costruzione di un modellino di aeroplano. Anche qui si ha la conferma che i devianti raramente sono membri popolari. Nella prima tabella del loro articolo compare una colonna intitolata ulteriori gruppi, che mostra il numero di gruppi per ogni paese nei quali la spalla non era un deviante. In questi gruppi o i soggetti non avevano raggiunto un accordo tra di loro, o rimasero talmente affascinati dal deviante che alla fine furono in accordo con lui. Quindi, il 32% del campione complessivo Non venne utilizzato perché il deviante non era veramente da solo contro una maggioranza consensuale. Altri risultati indicano che di questi 95 gruppi almeno 26 (9%) cambiarono la propria opinione e si adeguarono al punto di vista del deviante. In un piccolo, ma non trascurabile numero di gruppi sperimentali fu un individuo di minoranza che riuscì a convincere quelli della maggioranza cambiare idea. L'influenza minoritaria Secondo Festinger (1950) influenza sociale sarebbe un processo unidirezionale: i devianti sono considerati i destinatari passivi delle pressioni del gruppo. → Moscovici (1976) concepisce in un modo nuovo l'influenza sociale. Parte ponendosi la questione di come gruppi possano cambiare (valori e norme) se tendono sempre all'uniformità (visione di Festinger). La risposta dei sostenitori del processo unidirezionale è che i gruppi cambiano rispondendo a circostanze esterne nuove (scopo o compito). → Moscovici sottolinea che queste motivazioni non consentono di spiegare facilmente numerosi esempi storici di cambiamento come il cambiamento prodotto dalla teoria dell'evoluzione di Darwin (1859) nel pensiero comune e scientifico. Le sue teorie incontrarono l'opposizione della visione maggioritaria a quel tempo e il suo lavoro fu in un primo tempo ridicolizzato dall'establishment. Secondo Moscovici, la capacità di guadagnare consenso da parte dei devianti dipende dalla strategia adottata per promuoverli. Sottolinea l'importanza cruciale di affermare la validità delle teorie proposte anche di fronte agli attacchi esterni più forti. Questa coerenza nel comportamento creò conflitti intellettuali con le idee scientifiche esistenti e conflitti di valori con le norme sociali dominanti, e fu da questi conflitti che derivarono i cambiamenti. → La minoranza riesce ad avere effetti perché, secondo Moscovici, in ogni gruppo esistono divisioni latenti. I devianti agirebbero proprio rendendo esplicite queste divisioni consentendo l'emergere di nuove norme a partire dal conflitto. ✓ Per fornire prove empiriche di questa posizione, Moscovici et al. (1969) hanno condotto alcuni esperimenti, modificando la procedura sperimentale di Asch: Ad un gruppo di soggetti fu domandato di fornire alcuni giudizi percettivi riguardo il colore di alcune diapositive bluastre. Utilizzarono una maggioranza di soggetti ingenui (4) e una minoranza di 2 collaboratori con la consegna di dire a voce alta il colore verde. Condizione 1: i collaboratori erano coerenti; condizione 2: i complici non erano coerenti. Risultati: esiste una minoranza deviante (benché minima) che influenza la maggioranza riuscendo a modificare non solo il comportamento manifesto (quindi il comportamento pubblico), ma anche la cognizione dei membri. ✓ Moscovici et al. fecero seguire alla loro procedura standard una valutazione individuale delle soglie di percezione del colore dei soggetti veri. Un secondo sperimentatore entrò nel laboratorio dopo il compito di percezione e somministrò un testo standardizzato di discriminazione del colore. Ciascun soggetto fu sottoposto alla prova individualmente E senza conoscenza delle risposte altrui. Risultati: i soggetti avevano una soglia di percezione del verde più bassa rispetto ai soggetti di controllo: era più probabile che vedessero le diapositive come verdi. → Questi risultati indicano che l'influenza della minoranza è efficace nel modificare il comportamento manifesto, ma può avere anche delle conseguenze cognitive interiorizzate. - Disconferma: apparente indifferenza, il deviante e ignorato per neutralizzarlo - Ridicolizzazione - Naturalizzazione: attribuzione della posizione deviante a cause endemiche “naturali” dell'individuo: “e paranoico, e comunista” Quali possono essere le cause per cui una minoranza fallisce? - l'intensità di investimento personale della maggioranza nel mantenimento della propria visione. Quando invece le questioni non sono importanti, sembra che la maggioranza abbia meno interesse e che, quindi, sia più disposta a fare concessioni alla minoranza. - Alcune minoranze hanno effetto a differenza di altre a causa del clima di opinione prevalente nel gruppo o nella cultura. Se si avvisano sostegni al cambiamento, una minoranza che esprime questa visione contro una maggioranza che vi si oppone, può avere più successo. - gli individui che esprimono una posizione di minoranza, oltre ad essere In disaccordo con la maggioranza, vengono categorizzati come out-group Che effetto deriva dal categorizzare la fonte minoritaria come gruppo esterno o come emanazione del gruppo interno? Secondo la teoria dell’autocategorizzazione (Turner 1991) le persone gravitano intorno a coloro che fanno parte del proprio in-group, particolarmente attorno a coloro che sono membri tipici, e si discostano dall'out group. Questo ragionamento si può applicare anche all'influenza delle minoranze: nel senso di subire l'influenza di minoranze che riteniamo appartenere alla nostra stessa categoria. → i risultati di vari studi sembrano dimostrare che sono i messaggi che provengono dall’ in-group a modificare gli atteggiamenti. Anche in questo caso, la maggioranza esercita gli effetti immediati mentre gli effetti dei messaggi della minoranza si manifestano dopo qualche tempo. Se l'opinione minoritaria è in una posizione deviante e poco rappresentativa dell'out-group talvolta può essere più efficace, cosi come può accadere che membri di un out Group possono essere ricategorizzati come in gruppo temporaneamente (magari per una specifica questione). Due processi di influenza o uno? → Secondo Moscovici (1976) fra le due forme di influenza ci sono differenze qualitative, sia nei fattori che le originano sia negli effetti che producono. Dunque, sono ipotizzati 2 diversi processi di influenza. Sono state proposte altre teorie duali del processo di influenza, Che condividono concetti con i modelli originari, ma formulano previsioni diametralmente opposte. - Ci sono poi teorie MONO-FATTORIALI (es Latenè e Wolf 1981) secondo cui le differenze tra le due forme di influenza sono differenze di grado e sono guidate dagli stessi processi di fondo. Moscovici crede che i mezzi coi quali le maggioranze le minoranze esercitano la loro influenza siano diversi. Seguendo Festinger, suggerisce che il conformismo che le maggioranze ottengono dai singoli membri è prima di tutto un conformismo pubblico dovuto a ragioni di dipendenza sociale o di informazione (compiacenza), mentre le minoranze riescono a produrre prevalentemente dei cambiamenti privati di opinione dovuti ai conflitti e alla ristrutturazione cognitiva prodotta dalle loro idee devianti (conversione). Secondo la visione DUALE: - Influenza maggioritaria porta accondiscendenza: o un cambiamento a livello manifesto (sociale) o raramente a un cambiamento a livello profondo - Influenza minoritaria porta conversione: o un cambiamento a livello latente o qualche volta un cambiamento a livello manifesto ✓ Tra i primi esperimenti che documentano la distinzione tra influenza pubblica influenza privata sono condotti da Mass e Clark (1983, 1986). 3 Ricerche sperimentali che prendevano in esame il cambiamento di atteggiamento degli individui (nei confronti dei diritti degli omosessuali) dopo aver letto il riassunto di una discussione di gruppo nella quale potevano essere individuate una posizione maggioritaria e una minoritaria, i partecipanti dovevano indicare i propri atteggiamenti nei confronti dell'argomento. per una metà la valutazione aveva luogo in modo anonimo, i restanti credevano che le risposte sarebbero state rese note. in questa condizione pubblica gli atteggiamenti mostrano di essere influenzati dalle opinioni della maggioranza, mentre coloro che risposero in privato venivano influenzati prevalentemente dall'opinione della minoranza. ✓ esempio pratico del fatto che l'influenza della minoranza riesce a produrre dei cambiamenti interni e forse persino inconsci: Esperimenti di Moscovici e Personnaz. iniziavano con compito del colore blu verde, con collaboratore che risponde sempre verde alle diapositive di colore blu. Si diceva ai soggetti che questo collaboratore era rappresentativo della popolazione generale o non lo era. Si domandava ai soggetti, dopo ogni diapositiva, di riferire privatamente il colore dell'immagine postuma che avevano visto sullo schermo vuoto. meccanismo ignaro ai soggetti: il colore di un'immagine postuma è sempre complementare al colore dello stimolo originario. Quindi, per le diapositive blu l'immagine postuma dovrebbe essere giallo- arancio; per quelle verdi il rosso. I soggetti che credevano che il collaboratore fosse un individuo di minoranza riportarono dei colori dell'immagine postuma che erano collocati significativamente verso l'estremità rosso carminio della scala: i soggetti avevano subito qualche spostamento interno nel loro sistema percettivo in seguito all'influenza della minoranza. Questo spostamento continuava anche quando il complice non era più presente. I tentativi di replicare questi risultati hanno avuto poco successo i risultati sono conflittuali. ✓ Moscovici e Personnaz No una variante del paradigma originale. 2 esperimenti: una silhouette ambigua del viso di Lenin appare su uno sfondo rosso (in 1 si mostra gradualmente, nel secondo è sempre presente). Il collaboratore rappresenta un punto di vista maggioritario o minoritario e afferma di riconoscere Lenin. il soggetto deve dare una risposta pubblica. In separata sede, il partecipante deve riferire il colore dello sfondo e l'immagine postuma. Moscovici e Personnaz sostengono che Lenin sia associato simbolicamente al colore rosso, quindi ogni effetto indiretto dell'influenza dovrebbe avere una corrispondenza in una più forte percezione del rosso e una conversione verso il verde dell'immagine residua. Sono la TEORIA DELLA CONVERSIONE sviluppata da questi autori, questi cambiamenti dovrebbero verificarsi unicamente fra i soggetti esposti all'influenza minoritari. i risultati corroborano questa ipotesi. Nonostante la difficoltà di dare un'interpretazione unitaria ai dati contrastanti provenienti dagli studi sulle immagini residue ci sono prove a favore dell'ipotesi secondo cui la maggioranza e la minoranza esercitano un'influenza che innesca reazioni socio-cognitive diverse. TEORIA DELLA CONVERSIONE (Moscovici 1980): Le strategie di evitamento del conflitto messe in atto nei gruppi possono risolversi in un effetto boomerang: l’appiattimento delle posizioni e la repressione delle contrarietà possono provocare il disinvestimento o l’abbandono da parte di alcuni gruppi. I conflitti dovuti a una divergenza d’opinioni possono essere evitati tramite il “controllo del pensiero”, sia proprio sia degli altri membri (Levine e Thompson 1996) Il controllo del proprio pensiero si esprime in 2 modi: - tenersi per sé le proprie opinioni in caso essi siano divergenti da quelle maggioritarie e quindi minacciose per l'unione del gruppo - modificare le proprie opinioni nella direzione di quelle maggioritarie Il controllo e la manipolazione del pensiero degli altri si esprime tramite: - Controllo dei comportamenti verbali (porre vincoli sui contenuti e sui tempi) - Introduzione di regole decisionali di tipo autoritario - Interpretazioni distorte dei disaccordi per sminuire l'importanza e quindi ridurre il potenziale disgregante - adozione di compromessi La ricerca del compromesso è definita da Moscovici (1976) normalizzazione cioè un processo di mutua influenza tra i membri per raggiungere una posizione media accettabile per tutti CAPITOLO 5 INDIVIDUI VS GRUPPI 1. LA PRODUTTIVITA DI GRUPPO 1.1. La presenza di altri favorisce o limita la prestazione? Domanda di ricerca da cui si parte: La prestazione di gruppo è migliore di quella individuale? Già dai primi studi condotti in laboratorio si cercava di valutare se e in che modo la presenza di altri influenzasse la prestazione individuale. ✓ Esperimento di Triplett (1898) con bambini 9 12 anni Compito: avvolgere mulinelli di canne da pesca Condizioni: 1) da soli, 2) in situazione competitiva Risultato: tendenza dei soggetti a lavorare più velocemente se si trovavano in una situazione competitiva piuttosto che individuale. ✓ Allport (1924) replicò la procedura di Triplett, togliendo però l'elemento competitivo nella condizione sociale. Compiti: semplici: moltiplicazioni, cancellazioni di vocali; complessi: sviluppo di contro-argomentazioni logiche. Risultato: la presenza di un coattore facilitava la prestazione nei compiti più semplici, ma la ostacolava nei compiti più difficili. Questa osservazione trova conferma in oltre 200 esperimenti condotti successivamente. Il miglioramento nella prestazione indotto dalla presenza di altre persone è un fenomeno definito facilitazione sociale. L'effetto moderatore della natura del compito sulla relazione tra condizione di svolgimento del compito (solitaria vs. Sociale) è stato confermato in oltre 200 esperimenti (Bond e Titus 1983). Perché? → secondo Zajonc la presenza di altri membri fa aumentare il livello di attivazione (o pulsazione, secondo schemi di risposte adattive) a predisporre l'organismo all'azione, in linea con la teoria classica dell'apprendimento (Spence 1956), secondo la quale l'attivazione aumenta il manifestarsi di risposte apprese o abituali, ma limita la probabilità di risposte nuove o non apprese in modo adeguato. → Dunque, anche per gli esseri umani, i compiti semplici mettono in gioco solo poche attività consolidate (per cui l'attivazione facilita la prestazione), mentre quelli complessi necessitano di strategie cognitive più complesse (per cui l'attivazione ostacola la prestazione). Presenza degli altri Attivazione fisiologica + - compito facile compito difficile Altri studiosi hanno tentato di dare spiegazioni più complesse dei motivi per cui la presenza degli altri induce l'aumento dell'attivazione fisiologica. → Seconde Cottrell (1972) l'attivazione può essere connessa con la preoccupazione di essere valutati dagli altri. → Secondo Guerin e Innes (1982) l'attivazione deriverebbe dalla difficoltà di controllare un individuo della stessa specie potenzialmente imprevedibile. → Secondo Baron (1986) l'attivazione dipenderebbe dal fatto che l'individuo deve fare attenzione contemporaneamente al compito e all'altro membro. Ad ogni modo, questo approccio è abbastanza riduttivo per quanto riguarda gli esseri umani, perché non tiene in considerazione i processi cognitivi, di attenzione e neppure il significato sociale e psicologico della presenza dell'altro. → Secondo Sanna (1992) un elemento chiave è costituito dal processo di confronto sociale, per cui la prestazione in un dato compito è determinata in modo congiunto da: − Aspettative su di sé − Valutazione di sé in relazione agli altri Dunque, i compiti più semplici avranno maggiori aspettative di riuscita, amplificate dal confronto sociale e viceversa, i compiti più difficili avranno aspettative di riuscita minori, ulteriormente abbassate nelle situazioni di confronto con gli altri. Quindi, il livello di aspettativa di riuscita (derivante dal confronto sociale) influisce sulla prestazione. 1.2. Due teste sono davvero meglio di una? La ricerca sulle prestazioni di gruppo a posto fin dall'inizio diversi problemi, primo tra tutti quello di riuscire a confrontare le prestazioni degli individui con quelle dei gruppi. La letteratura di ricerca presenta diversi tipi di confronti: - CONFRONTI DIRETTI tra la prestazione di individui isolati e la prestazione di un gruppo (il che porta spesso a rilevare che un gruppo ha prestazioni migliori degli individui) - CONFRONTI TRA LA COMBINAZIONE di prestazioni di individui isolati, come se fossero un gruppo, e prestazioni di un gruppo reale che interagisce (ossia confronto tra gruppi statistici e gruppi reali) Secondo questa teoria, dunque, lo sforzo all'interno di un gruppo non può mai superare quello che si può esprimere individualmente. ✓ Un'analisi di 78 studi di confronto tra situazioni di lavoro individuale e lavoro collettivo (Karau e Williams 1993) mostra che nell’80% dei casi è presente il social loafing. La stessa analisi mostra però che in alcune condizioni il social loafing non compare, ma si manifesta il fenomeno opposto, il social labouring: laboriosità sociale. I fattori che favoriscono il social lobouring sembrano essere: - importanza del compito - salienza del gruppo agli occhi dei membri - eventualità per il gruppo di essere valutato - Cultura nella quale viene intrapreso lo studio Queste caratterizzazioni del fenomeno mettono in discussione le teorie deficitarie del gruppo e suggeriscono che le perdite di processo nei gruppi non costituiscano un fenomeno inevitabile. È quindi possibile ipotizzare anche l'esistenza di guadagni di processo (Shaw 1976), dunque il gruppo potrebbe superare la sua prestazione potenziale nel caso in cui i guadagni di processo sopravanzano le perdite di processo. 1.4. Due teste sono realmente meglio di una: i benefici del lavorare in gruppo Sia Steiner che Latané esprimono una concezione abbastanza la individualistica della produttività in contesti gruppali. o Steiner usa la prestazione di un individuo isolato come termine di confronto per misurare la condotta nel gruppo. o Latané Concepisce l'individuo come economizzatore di sforzo, cioè intento a investire il minimo per raggiungere un livello sufficiente di prestazione di gruppo Le motivazioni e gli incentivi individuali sono certamente importanti per alcuni compiti di gruppo, ma non si può trascurare l'importanza del gruppo come entità capace di produrre sia motivazioni ai membri, sia schemi cognitivi non prevedibili a livello individuale. Le ricerche che hanno fornito evidenze sulle perdite nella produttività di gruppo hanno utilizzato compiti troppo semplici o, comunque, non coinvolgenti per i partecipanti, ed erano compiti adattivi o massimizzanti. ✓ Alcuni studi (es Lorge e Solomon 1955, Shaw e Ashton 1976) hanno evidenziato dei vantaggi del gruppo rispetto ai singoli in compiti che costituivano una sfida per il gruppo e richiedevano integrazione dei singoli contributi: i membri del gruppo tendono a facilitare la prestazione reciproca. → Se i membri di un gruppo percepiscono che la prestazione delle persone che collaborano con loro è meno brillante della propria possono essere motivati a superare il proprio sforzo individuale per compensare l'insufficienza dei loro collaboratori (per far sì che il gruppo raggiunga l'obiettivo). È importante che i membri percepiscano il compito come significativo. ✓ Lo dimostrano Williams e Karau (1991) in un esperimento con il compito di brainstorming: quando in un gruppo ci sono dei membri percepiti come poco abili e deve avvenire un PROCESSO DI COMPENSAZIONE in quanto il compito è importante per il gruppo, è il membro più abile a impegnarsi maggiormente. → È possibile che, in alcuni tipi di compito, specie quelli che richiedono resistenza fisica, i membri del gruppo meno abili possono migliorare il loro contributo fino a raggiungere il livello del membro più abile, purché tale livello non si discosti troppo da loro. Questo MOVIMENTO ASCENSIONALE dei membri meno abili potrebbe essere sostenuto da un processo di confronto sociale (Stroebe 1996). Questo è vero nella misura in cui le differenze non sono troppo grandi: se c'è una disomogeneità o una omogeneità troppo grande, la probabilità che avvenga un simile effetto diminuisce. → Queste diverse forme di compensazione sociale hanno importanti implicazioni pratiche in campo educativo. Se i compiti di apprendimento sono organizzati in attività cooperative in cui i diversi studenti sono reciprocamente interdipendenti per il raggiungimento di un obiettivo comune, la presenza di un mix di abilità nel gruppo potrebbe non avere effetti negativi sulla prestazione reale. Utilità in situazioni di integrazione nella scuola di studenti con disturbi dell'apprendimento. La presenza di attività cooperative permetterà a questi individui di partecipare alle normali attività di classe. Vi sono prove empiriche che queste tecniche di apprendimento di gruppo sono efficaci per tutti i bambini coinvolti. È importante notare il fatto che i gruppi di laboratorio usati per queste ricerche erano semplici aggregati artificiali di persone, in cui non vi era la possibilità di rendere saliente l'identificazione. → Secondo la prospettiva teorica dell'identità sociale (Tajfel e Turner 1986) l'appartenenza a un gruppo significativo dà alle persone una parte importante legata alla concezione di sé, della propria identità e del proprio valore. Il prestigio sociale dei gruppi, la qualità apparente della loro prestazione e il grado di favore con cui sono percepiti all'esterno si riflettono nelle valutazioni dei membri rivolte a se stessi. Quindi un gruppo psicologicamente importante per un individuo motiverà i suoi membri a far sì che la prestazione in diversi compiti migliori, anche al fine di mantenere uno status prestigioso o di migliorare quello esistente, con effetto positivo sull’autostima. ✓ Le ricerche effettuate in merito (Harkins e Szymansky 1989) hanno utilizzato una procedura sperimentale che consisteva nel rendere saliente l'identità di gruppo magari attraverso un ipotetico confronto intergruppi, alla luce della teoria sull'identità sociale. ✓ A sostegno degli effetti positivi dell'identificazione sociale sulla prestazione, sono state condotte altre ricerche come quelle di Worchel e coll. (1998) i quali hanno messo a confronto gruppi impegnati in un compito abbastanza banale (la costruzione di catene di carta) rendendo saliente, nei gruppi sperimentali, l'identificazione con il gruppo. I risultati evidenziarono un aumento della prestazione individuale a sostegno del gruppo. Per quanto riguarda la verifica interculturale di questi risultati sono state evidenziate differenze tra culture collettiviste e individualiste. Nelle culture collettiviste c'è un forte attaccamento ai gruppi cui gli individui appartengono. Nella misura in cui l'obiettivo del gruppo è ben definito esso tende ad essere interiorizzato e perseguito con il risultato che, in queste culture, i cali di prestazione costituiscono un evento eccezionale. I membri di culture individualistiche aspirano solitamente a conservare una certa indipendenza dal gruppo e sono inclini a perseguire obiettivi personali, spesso in competizione con altri. nell’opinione del gruppo venivano interiorizzati perché ricomparivano quando si domandava ai soggetti di esprimere ancora una volta le loro opinioni individuali dopo la discussione di gruppo. Era chiaro che i gruppi erano disponibili ad affrontare collettivamente dei rischi maggiori rispetto all'individuo. → Familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei singoli rispetto a problemi delicati → Rischio come valore: nel corso della discussione di gruppo, diventa saliente un valore proprio della cultura americana, ossia l'apprezzamento per sa correre dei rischi (Brown 1965) Limiti riscontrati alla teoria di Stoner: - Effetto “storia”: è possibile costruire storie che spingono a scelte orientate verso la cautela invece che verso il rischio - Ogni storia utilizzata mostra uno spostamento di intensità e direzione caratteristico - È possibile prevedere la direzione e l'intensità dello spostamento a partire dal pattern dei giudizi ottenuto nella fase di decisione individuale. Dopo la discussione di gruppo: − gli item con punteggio iniziale in favore del rischio mostrano uno spostamento consistente verso il rischio; − gli item con punteggio iniziale a favore della cautela mostrano uno spostamento consistente verso la cautela A seguito dei diversi studi risultò evidente che lo “spostamento verso il rischio” identificato dovesse essere definito polarizzazione. Diversi esperimenti trovarono che in alcuni dilemmi i gruppi facevano scelte più caute o conservatrici rispetto agli individui. I gruppi sembrano spostarsi dal punto “neutro” della scala verso il polo che era predefinito inizialmente dalla media delle scelte individuali. Questo fenomeno di polarizzazione è diffuso e resistente. Un'altra conclusione che deriva dagli studi di Stoner è che l’ampiezza dello spostamento dovuto dalla polarizzazione era correlata con la posizione iniziale media degli individui nella scala. Più un gruppo è estremo all’inizio, più estremo sembra diventare. La polarizzazione è stata osservata in molti settori (es decisioni giurie, decisioni di gioco, valutazioni di movimenti autocinetici e giudizi sull’attrattiva fisica. È quindi una conseguenza diffusa dell’interazione di gruppo. Quasi tutti gli studi furono però condotti in situazioni di laboratorio con gruppi ad hoc, peri quali il compito costituiva una novità e il risultato era quasi sempre ipotetico, le decisioni non avevano un effetto reale. In rare occasioni quando sono stati studiati processi decisionali di gruppi reali, la polarizzazione non era così evidente. Molte incongruenze rilevate negli studi reali. Semin e Glendon (1973) offrono una spiegazione: la maggior parte dei corpi decisionali reali sono molto più stabili, hanno una storia e un futuro; è molto probabile che sviluppino una struttura interna, che adottino procedure convenzionali, e stabiliscano delle norme sugli argomenti oggetto di decisione, fattori che possono ostacolare la comparsa di una polarizzazione naturale. CAPITOLO 8 IDENTITA SOCIALE E RELAZIONE INTERGRUPPI All'interno della psicologia sociale attuale, e in particolare della psicologia sociale europea, la teoria dell'identità sociale (Social identity Theory, SIT: Tajfel 1978, 1981; Tajfel e Turner 1979, 1986) e i suoi sviluppi successivi, come la teoria dell'autocategorizzazione o categorizzazione del sé (Self Categorisation Theory, SCT: Turner et al. 1987), rappresentano uno dei paradigmi teorici ed empirici dominanti. La SIT e la SCT hanno avuto un considerevole impatto sulla ricerca in psicologia sociale negli ultimi decenni. Il contributo della SIT e della SCT e rilevante per la comprensione: - dei processi cognitivi e motivazionali che regolano il comportamento degli individui nei gruppi - le relazioni tra i gruppi all'interno delle strutture sociali - per ciò che riguarda il complesso sistema di relazioni tra individui, gruppi e società; focus centrale della psicologia sociale stessa come disciplina (Abrams e Hogg 1990; Brown 2000, Capozza e Brown 2000) 1. Identità sociale e conflitto intergruppi Attraverso il processo di autocategorizzazione noi scegliamo di appartenere a determinati gruppi piuttosto che ad altri. L'identità sociale e concettualizzata come il legame psicologico tra il sé e il collettivo che emerge attraverso il processo psicologico di categorizzazione. Come afferma Tajfel (1978), l'identità sociale è “la parte del concetto di sé individuale che deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo sociale (o + gruppi) con i valori e il significato emotivo che comporta questa appartenenza.” 1.1 Una teoria dell'identità sociale Dal momento che l'identità sociale è parte del concetto che l'individuo ha di sé come membro di un determinato gruppo, l'osservazione che ne ricava può essere senza dubbio che è meglio avere una visione dell' ingroup positiva. Tajfel e Turner (1954) estendono la teoria dei confronti sociali di Festinger, suggerendo che le nostre valutazioni del gruppo sono relative per loro natura: stabiliamo il valore o prestigio del nostro gruppo confrontandolo con altri gruppi. Il risultato di questi confronti intergruppi con contribuisce indirettamente alla nostra stessa autostima. Il nostro presunto bisogno di avere un concetto positivo di noi ci porterà ad effettuare confronti distorti dai quali il nostro in-group possa emergere sotto una luce più favorevole rispetto agli out- group. Tajfel Parla di stabilire una specificità positiva. Teoria dell'identità sociale (Tajfel 1978) punti salienti: − Il confronto intergruppi attiva negli appartenenti un bisogno di specificità positiva del proprio gruppo rispetto all'out-group. − Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo contribuisce a fornire ai suoi membri un'identità sociale positiva. Identità sociale: insieme degli aspetti del concetto di sé che derivano dall'appartenenza ad un gruppo. Competizione sociale: Il conflitto fra gruppi può essere la conseguenza di una competizione per le risorse materiali, ma anche di una competizione per il prestigio. 3 Processi fondamentali in gioco nella competizione sociale: 1. LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE: permette di costruire una rappresentazione semplificata del mondo sociale che comporta un'accentuazione delle differenze fra categorie e una riduzione delle differenze all'interno di ciascuna categoria. Concreto: - verbo descrittivo d'azione (DAV) rimanda all'azione concreta, osservabile - Verbo interpretativo d'azione (IAV) rimanda ad una classe più generale Astratto: - verbo di Stato (SV) definisce lo stato psicologico di chi compie l'azione - Aggettivo (Adj.) una caratteristica stabile dell'attore A colpisce B---> verbo descrittivo d'azione A fa male B---> verbo interpretativo d'azione A odia B---> verbo di stato A è violento---> aggettivo A bacia B---> verbo descrittivo d'azione A fa moine a B---> verbo interpretativo d'azione A ama B---> verbo di stato A è amorevole---> Astratto: risulta stabile nel tempo/ contesto, informa circa le caratteristiche dell'attore, non può essere sottoposta ad una verifica diretta; presenta l'azione come atto disposizionale. Concreto: e informativa della situazione, la sua corrispondenza descrittiva è facilmente controllabile; presenta il comportamento come situazione. Per esprimere il favoritismo verso in-group racconto gli eventi variando le cause (disposizionale vs situazionale) in funzione della valenza di un evento (positivo vs negativo) e dell'appartenenza gruppale del protagonista (in-group vs out- group). 1.3. Risposte all’ineguaglianza di status I gruppi sociali non hanno tutti lo stesso status; quello che accade da parte dei gruppi di status e potere inferiore, è una ricerca di una distinzione positiva. I gruppi di status elevato hanno una posizione di superiorità rispetto ad altri gruppi che sono presenti nella società. Questa superiorità è data dall' occupare posizioni privilegiate e dirigenziali nella società. Questo implica che i membri che appartengono a questi gruppi, hanno una percezione di sé tendenzialmente positiva. Con i gruppi gli status elevato, il confronto avviene in quanto i membri continuano a marcare la superiorità del proprio in-group, molto più di quanto non facciano i gruppi di status inferiori (Muller, Brown e Smith 1992). La differenziazione intergruppi, inoltre, sembra assumere funzioni diverse: - per i gruppi di status superiore, la differenziazione può servire a mantenere la propria posizione dominante. - Per i gruppi di status simile, può servire per differenziarsi. Questa ultima ipotesi non ha avuto molto sostegno dai dati empirici; infatti, alcune ricerche (Brown e Abrams 1986) hanno evidenziato una predisposizione maggiore verso gruppi con atteggiamenti simili a quelli dell’in-group. Inoltre si evidenzia un bias moderato nei confronti dell’in-group quando i soggetti credono di rapportarsi a un gruppo di status simile a loro. Quello che accade dopo aver attraversato una certa soglia di somiglianza, è la percezione di una minaccia che deriva dalla vicinanza psicologica dell’out- group; questo porta a un aumento del bias a favore dell’in-group. Per quanto riguarda i gruppi di status inferiore, secondo la teoria dell'identità sociale, la necessità di ovviare ad uno svantaggio sociale porterà a una serie di confronti che potrebbero avere un esito negativo (essere deleteri per l'autostima). In questi casi, può accadere l'abbandono del proprio gruppo per passare ad uno di status superiore (Tajfel e Turner 1986). Questo, però è difficile quando l'appartenenza ai gruppi non si è scelta, ma è ascritta (per es etnia, genere); in secondo luogo, può accadere che esista un forte attaccamento con il proprio gruppo che ne impedisce l'abbandono. Nel caso in cui uscire dal gruppo è impossibile, le strategie possono essere diverse: - circoscrivere i confronti solo verso gruppi di status simili o inferiori (che può portare a una distintività più positiva per l’in-group). - Cercare dimensioni valoriali diverse di confronto (es i gruppi di contestazione giovanile, specificità culturali). Quando i gruppi di status inferiore non riescono a immaginarsi delle alternative, il confronto con un gruppo superiore non avverrà. Questo però contribuisce a mantenere delle situazioni sociali in cui prevalgono ingiustizie. Secondo Tajfel e Turner (1986) esistono 3 fattori che sembrano incoraggiare lo sviluppo delle alternative cognitive che possono portare al confronto con gruppi di status superiore. 1. La presenza mi confini relativamente tra i gruppi 2. La presenza di differenze di status relativamente instabili 3. La percezione dell’illegittimità di queste differenze e dell'iniquità dei principi su cui si reggono In situazioni di consapevolezza di ingiustizia nei confronti del proprio gruppo, può accadere una forma di protesta collettiva: sia in gruppi di status alto che in gruppi di status basso. Una delle principali caratteristiche che del comportamento intergruppi è quella di percepirsi reciprocamente in termini categoriali come membri di uno o più gruppi. A cosa serve questa tendenza alla categorizzazione sociale? Una risposta generale è che la categorizzazione è un modo indispensabile in cui semplifichiamo e ordiniamo il mondo. Riconducendo gli stimoli (fisici e sociali) a categorie basate su somiglianze e differenze, possiamo affrontare gli eventi modo più efficiente e adeguato alla nostra limitata capacità cognitiva. Il processo di categorizzazione ha una valenza di sopravvivenza per la specie umana. CAPITOLO 7 PENSARE AI GRUPPI 1. La categorizzazione sociale come chiave di volta del comportamento intergruppi Il processo di categorizzazione ha punti di contatto con il pensiero scientifico, che usa sistemi di per ridurre la complessità degli oggetti di studio ad un numero gestibile di categorie. La categorizzazione è inoltre alla base di vitali quali la comunicazione: il sistema linguistico è quello che ci permette di riferirci a classi di oggetti e persone senza la necessità di descrizioni minuziose. Se la categorizzazione ha lo scopo di dare ordine, è necessario che le categorie siano ben distinguibili così come gli oggetti e le persone che ne fanno parte; dobbiamo riuscire a capire subito chi appartiene o meno a una categoria. Gordon Allport 1. la natura degli eventi immediatamente precedenti (per cui è probabile che, se accade qualche evento che porta una categorizzazione, è possibile che gli eventi successivi vengano interpretati alla luce di queste categorie. Questo fenomeno è conosciuto come effetto di priming. 2. La disposizione personale dell'osservatore e l'influenza che questa esercita sulla tendenza a utilizzare certe categorie piuttosto che altre 3. il compito ho l'obiettivo attuale della persona che effettua la categorizzazione. PRIMING: attivazione categoriale (spesso al di fuori della nostra consapevolezza) provocata da uno stimolo preliminare. Viene utilizzato spesso per stimolare una determinata categorizzazione anche a livello subliminale. Esempi degli effetti del priming sul comportamento: o storia di copertura per esperimento (abilità linguistica): si dice alle persone che devono fare un compito su delle abilità linguistiche e gli si danno delle frasi da ricomporre. 2 tipi di condizione: a) parole legate allo stereotipo degli anziani (ad es Florida, rughe, vecchio, solitario) b) parole neutrali (condizione di controllo) (ad es assetato, pulito, privato) Es from are Florida oranges temperature sky the seamless grey is Una volta somministrati questi compiti si diceva alle persone che l’esperimento era finito. In realtà l’esperimento inizia in tale momento: veniva misurato quanto tempo impiegavano per raggiungere l’ascensore (9,75 m). Risultati: le persone che avevano partecipato ai compiti linguistici in cui c’era lo stereotipo dell’anziano camminavano più lentamente rispetto a quelli che avevano partecipato a compiti linguistici con parole neutre. (Bargh, Chen & Burrows, 1996). In realtà, studi effettuati successivamente sugli effetti di priming sulla categorizzazione, suggeriscono l'eventualità di prendere in considerazione aspetti che dipendono da fattori relativi alla disposizione personale del soggetto. ✓ ad es Studio (Davine 1989) che mostrava come il priming provocasse categorizzazioni etniche in base a stereotipi negativi, non aveva tenuto conto del livello di pregiudizio iniziale dei soggetti (Lepore e Brown 1997). Alcune categorizzazioni hanno una maggiore accessibilità per alcuni, ad es quelle di natura etnica sono in varie situazioni le più accessibili per coloro che hanno pregiudizi etnici. Il tipo di categorizzazione può anche variare a seconda delle richieste del compito. Gli obiettivi di chi osserva possono essere modificati in modo impercettibile, determinando effetti impercettibili e non necessariamente consapevoli. 1.2 La categorizzazione sociale nei bambini Se la categorizzazione è un processo così importante per gli individui, dobbiamo aspettarci che possa esistere anche nei bambini. Dobbiamo presumere che in loro sia presente un bisogno di semplificare e comprendere l'ambiente in cui si trovano. Ci sono prove evidenti che i bambini, fin dalla più tenera età, siano sensibili alle principali divisioni sociali vigenti nel loro mondo e, che la loro consapevolezza delle diverse categorie e l'uso che ne fanno risentono del particolare contesto nel quale si trovano e non siano espressione di una propensione rigida a classificare la realtà in modo schematico. ✓ alcuni studi condotti su bambini americani da Horowitz e Horowitz (1938), hanno dimostrato che esistono delle categorie più o meno salienti nel mondo infantile. L'appartenenza etnica sembrava al primo posto (bianco- nero), seguita dal genere (maschio- femmina) e dallo status socio economico. ✓ i compiti che, di solito, vengono presentati ai bambini, consistono in semplici raggruppamenti di fotografie con soggetti che variano per sesso, etnia, età, abbigliamento. ✓ Davey (1983) introdusse un nuovo criterio: chiese ai bambini chi giocherebbe insieme con chi. Questo nuovo criterio fece sì che fosse più saliente il genere dell'appartenenza etnica. I risultati mostrarono una maggiore accessibilità della categorizzazione di genere rispetto a quella etnica se è saliente la dimensione “comportamento di gioco”. ✓ Sono state, inoltre, effettuate numerose ricerche in contesti con diverse minoranze etniche ed è emerso che la salienza delle categorie nei bambini è contesto-dipendente (Bennet et al. 1991). 1.3. Alcune conseguenze della categorizzazione sociale Perché sorgesse un pregiudizio a favore dell' ingroup nelle valutazioni dei soggetti non sembrava necessaria la presenza di obiettivi conflittuali. Questo ha spinto i ricercatori a chiedersi se la semplice categorizzazione di un individuo come membro di un gruppo basti da sola a far scattare una discriminazione intergruppi. È facile, infatti, evidenziare dei pregiudizi a favore dell' ingroup. ✓ Rabbie e Horwitz (1969) analizzarono per primi questo problema. Tramite alcuni semplici esperimenti basati su ricompense, emerse un favoritismo nei confronti dell' ingroup piuttosto dell'outgroup anche quando i membri di un gruppo non si conoscono; basta che sia nota l'appartenenza a quel determinato gruppo per favorirlo. ✓ Ricerca di Rabbie e Horwitz (1969): quali sono le condizioni minime sufficienti a generare discriminazione intergruppi? procedura sperimentale: divisione di scolari estranei fra loro in blu e verdi, seguita o meno da un'esperienza di destino comune di gruppo (informazione di ricompensa o non- ricompensa vs nessuna informazione). Ai soggetti era chiesto di valutare i membri dell' ingroup e dell’outgroup rispetto ad alcune caratteristiche quali cordialità, sincerità ecc. Risultati: l'esperienza di un destino comune (condizione di interdipendenza), positivo o negativo, è la condizione necessaria e sufficiente per osservare favoritismo verso il gruppo di appartenenza. ✓ Ricerca di Tajfel, Billing, Bundy e Flament (1971) basta la semplice categorizzazione in gruppi, in assenza di conflitti oggettivi di interessi o di interdipendenza del destino, per provocare favoritismo verso ingroup? PARADIGMA SPERIMENTALE DEI GRUPPI MINIMI - divisione dei partecipanti in due gruppi su base arbitraria -assenza di interazione faccia a faccia - anonimato di tutti i membri dei gruppi - assenza di interesse personale nelle risposte dei soggetti Compito sperimentale: distribuzione di risorse ad un membro dell' ingroup e dell’outgroup mediante matrici, strutturate in modo tale per cui 3. GLI STEREOTIPI COME “QUADRI MENTALI” Quando percepiamo qualcuno in modo stereotipico gli attribuiamo certe caratteristiche che riteniamo condivise da tutti o quasi i membri del suo gruppo. Gli stereotipi sono le inferenze che traiamo, le immagini che ci balzano alla mente quando evochiamo una certa categoria. Sono i contenuti dei quadri categoriali ai quali riconduciamo le persone nel tentativo di dare un senso a una particolare situazione sociale. Il termine fu usato da Lippman (giornalista politico, 1922): descrisse gli stereotipi come gli stampi cognitivi che riproducono le immagini mentali delle persone, “i quadri che abbiamo in testa”. STEREOTIPO SOCIALE: immagine mentale semplificata di una categoria di persone condivisa socialmente. PREGIUDIZIO: giudizio o opinione a priori, in genere con connotazione negativa, verso gruppi sociali o categorie sociali. DISCRIMINAZIONE: trattamento sfavorevole o iniquo di una persona sulla base della sua appartenenza ad un particolare gruppo. Tajfel (1981): gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo cognitivo di categorizzazione. Caratteristiche degli stereotipi sociali: - vengono condivisi da molte persone all'interno del gruppi o istituzioni sociali - costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria sociale, un’istituzione o un evento - consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione di azioni progettate o commesse verso altri gruppi; permettono la differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto agli altri gruppi Distinzione concettuale tra stereotipo e pregiudizio • Stereotipo sociale: immagine semplificata di una categoria di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da molte persone; si accompagna in genere dal pregiudizio • Pregiudizio: giudizio o opinione a priori, in genere con connotazione negativa, verso persone, gruppi o altri oggetti sociali salienti Secondo Brown (2000) esistono 3 fattori connessi agli aspetti sociali degli stereotipi cioè alla relazione intergruppi. 1. le credenze legittimanti 2. le aspettative 3. le profezie che si auto avverano 2.1 Gli stereotipi come credenze legittimanti Gli stereotipi servono per semplificare e ordinare la realtà percepita. - possono assolvere la funzione di GIUSTIFICAZIONE IDEOLOGICA (perpetuare lo status quo). - sono CONDIVISI dai membri di una società o di un gruppo - vengono spesso utilizzati per LEGITTIMARE il mantenimento delle DISUGUAGLIANZE Le funzioni psicologiche assolte dagli stereotipi non sono puramente individuali, ma implicano l'intervento di alcuni fattori sociali. Se lo stereotipo fosse individuale, sarebbe possibile osservare una serie di credenze stereotipiche che varia da persona a persona, mentre in realtà la maggior parte di tali credenze (per es stereotipi di genere o etnici) sono condivise da ampie maggioranze. Inoltre, sono soggetti a cambiamenti quando si modificano le relazioni intergruppi (es attribuzioni stereotipiche negative al nemico in caso di conflitto: percezione occidentale degli arabi). A volte sono aspetti della realtà sociale ed economica far nascere gli stereotipi; questi, benché spesso non veri, vengono utilizzati per legittimare il mantenimento delle disuguaglianze (per es percezione stereotipa negativa degli extracomunitari: “poco di buono, tolgono il lavoro ai locali, socialmente pericolosi”). Vari studi mostrano come, sulla base della sola appartenenza categoriale degli individui, vengono inferite e associate altre caratteristiche che fanno parte dell'immagine stereotipa di quella categoria. 2.2 Gli stereotipi come aspettative Gli stereotipi possono agire influenzando le aspettative e le valutazioni dell'osservatore riguardo il gruppo, o di un suo membro. Le valutazioni, in generale, vengono influenzate sia dalle informazioni generali che si hanno su un individuo, sia dalle aspettative create dallo stereotipo (ad es l'appartenenza ad una o all'altra classe sociale può influenzare la valutazione accademica). Ci Sono casi in cui le persone usano gli stereotipi come ipotesi da sottoporre a verifica, quindi possono essere confermate o smentite dalla realtà dei fatti (Darley e Gross 1983). Questo, in verità, non accade molto spesso: la tendenza generale è quella di considerare le informazioni che confermano le aspettative e a sottostimare le informazioni incongruenti con esse. Alcune ricerche (Hamilton e Rose 1980) hanno dimostrato che gli stereotipi influenzano anche la memoria del passato (si ricordano maggiormente le associazioni più stereotipe). Talvolta operano in modo automatico, al di fuori della consapevolezza dell'individuo (Perdue et al. 1990). 2.3. Gli stereotipi come “profezia che si autoavverano” Il processo di stereotipizzazione è bidirezionale, nel senso che ogni soggetto (o gruppo) ha un determinato stereotipo nei confronti di un oggetto che non è statico, ma reattivo. La reazione dell'oggetto, paradossalmente, rinforza lo stereotipo, creando più la situazione cosiddetta di “profezia che si autoavvera”. Se penso che una donna non sia in grado di fare un determinato lavoro prettamente maschile in quanto la categoria viene stereotipata come “troppo emotiva”, molto probabilmente accadrà che i membri di questa si possano irritare. L'irritazione è percepita come dimostrazione di emotività e lo stereotipo viene chiaramente rinforzato. Il processo, anche in questo caso, può essere automatico. Es studio di Bargh sull'attivazione subliminale dello stereotipo; studi sulle scuole: aspettative degli insegnanti. In tutte le ricerche, di laboratorio o sul campo, colui che innesca la profezia che si autoavvera è sempre la persona che manifesta lo stereotipo (cioè è questa che provoca con un'azione il comportamento confermativo della persona bersaglio). Può accadere anche se le persone che sono oggetto di un pregiudizio ne sono consapevoli, possono percepire quella che viene definita come “minaccia stereotipa” innescando la profezia che si autoavvera (Steele e Aronson 1995). Praticamente, lo stereotipo viene interiorizzato nella concezione che una persona ha di sé in quanto membro di quella categoria (es prestazioni degli studenti neri ai test accademici). CAPITOLO 6 CONFLITTO TRA GRUPPI E COOPERAZIONE 1. DEPRIVAZIONE E SCONTENTO SOCIALE Si può definire pregiudizio il mantenimento o l'espressione di atteggiamenti dispregiativi, emozioni negative o condotte discriminatorie nei confronti di membri di un gruppo esterno; tali fenomeni sono motivati dall'appartenenza di questi membri al gruppo esterno. 1.1 Frustrazione, pregiudizio e aggressività intergruppi godono e quello di cui credono di dover godere. Secondo Gurr (1970) è questo scarto tra i risultati e le aspettative, o deprivazione relativa, a costituire la forza motrice della violenza collettiva. Più il divario è ampio maggiore è la probabilità di disagio (Deriva dalla teoria della frustrazione- aggressività). Altri studiosi hanno fatto notare che esiste un altro tipo di deprivazione che deriva dalla percezione da parte degli individui delle fortune del proprio gruppo- -->Runciman (1966) distingue tra: - deprivazione egoistica: insoddisfazione rispetto ad aspettative personali - deprivazione collettiva: insoddisfazione rispetto alla deprivazione del proprio gruppo rispetto ad uno standard desiderato Misurazione della deprivazione relativa: differenza di punteggio tra soddisfazione verso la propria vita reale e aspettativa verso la vita ideale (Cantril 1965) Le ricerche di Gurr 1970 (correlazione tra deprivazione relativa e tumulti in varie nazioni) e di Crawford e Naditch 1970 (correlazione tra deprivazione relativa e atteggiamenti verso potere nero e le sommosse dei neri a Detroit) forniscono evidenze empiriche a favore di questa teoria. Cosa determina le aspettative degli individui? Un fattore importante è l'esperienza passata. Davies (1969) ha suggerito che gli individui tendono a fare previsioni sulla base delle proprie esperienze recenti di benessere o di povertà ed aspettarsi che il futuro sia simile. Davies Propose l'ipotesi della curva J.: è più probabile che le ribellioni avvengano dopo un periodo in cui in cui lo standard di vita generale è aumentato per vari anni e successivamente ha mostrato un declino improvviso. Questo declino dopo un periodo di prosperità relativa produce lo scarto tra gli standard di vita reali e quelli desiderati che determina la deprivazione relativa. Davies Sostiene che le più famose rivolte storiche (rivoluzioni francese e russa, guerra civile americana, avvenuta del nazismo in Germania) sono state precedute da 20-30 anni di prosperità, prima di un brusco arresto socio economico. La tesi di Davies è stata confermata solo in parte. Un altro fattore ipotizzato come antecedente l'aspettativa è il contatto con altri gruppi. Alcuni studi mostrano che il pregiudizio inter-gruppi è legato alla deprivazione collettiva, non a quella egoistica (es Sostegno dei neri a Potere Nero, sostegno dei francofoni agli indipendentisti del Québec). Più recentemente sono stati portati almeno 4 ulteriori elementi in grado di migliorare il modello di predizione dello scontento sociale sulla base della deprivazione relativa: 1. il ruolo dell'IDENTIFICAZIONE DI GRUPPO: una forte identificazione dei membri sembra favorire la percezione di deprivazione collettiva Che porta all'azione di gruppo 2. la CREDENZA dei membri che la protesta di gruppo possa favorire il CAMBIAMENTO SOCIALE 3. la NATURA DELL'INGIUSTIZIA che provoca la percezione di deprivazione relativa: la percezione di un'ingiustizia distributiva (inequità di distribuzione) sembra potente nel provocare deprivazione relativa rispetto a un'ingiustizia procedurale (iniquità di metodo) 4. il termine di CONFRONTO SCELTO (ossia il gruppo oggetto di paragone) 2.Comportamento intergruppi e interessi di gruppo 2.1 Scopi conflittuali e competizione intergruppi Dall’analisi delle cause psico-sociali dello scontento sociale in termini di deprivazione allo studio del conflitto tra interessi gruppali: la teoria del conflitto realistico di Sheriff (1967): → Gli atteggiamenti e il comportamento inter- gruppi tenderanno a riflettere gli interessi oggettivi di ciascun gruppo nel confronto con gli altri gruppi: se tali interessi gruppali sono in conflitto, aumenta la competitività (e ostilità) inter- gruppi, se invece gli interessi coincidono, aumenta lo sforzo collaborativo (Sherif 1967). In quali condizioni si genera animosità fra i gruppi? È necessario considerare le conseguenze dell'appartenenza di un gruppo sugli individui (Sherif et al. 1961) ✓ Ricerche dei campi estivi (Sherif e Sherif 1953, Sherif et al. 1955, 1961) Partecipanti: adolescenti americani, non consapevoli di partecipare ad una ricerca, che trascorrevano 2 settimane in un campo estivo diretto da Sherif e collaboratori. i ragazzi erano tutti bianchi, di classe media e intorno ai 12 anni, selezionati con cura (psicologicamente equilibrati e provenienti da famiglie stabili). Non si conoscevano prima. Procedura: introduzione di diverse fasi (la formazione del gruppo, il conflitto intergruppi e la riduzione del conflitto), nel corso delle quali i ricercatori concentravano l'attenzione su aspetti diversi del gruppo e del comportamento intergruppi. FASE I: Le attività riguardavano tutti i partecipanti FASE II: dopo una settimana, divisione in 2 gruppi distinti, rossi e blu, apparentemente al fine di organizzare le attività del campo o Separazione degli amici più stretti. Fine delle attività comuni o Evoluzione delle abitudini e delle gerarchie intra-gruppi FASE III: Introduzione di competizione fra i gruppi o Rapido deterioramento delle relazioni intergruppi, caratterizzate da ostilità e formazione di stereotipi negativi dell'altro gruppo o Forte coesione all'interno di ciascun gruppo o Le tensioni intergruppi non cessavano nemmeno al termine delle situazioni competitive FASE IV: Introduzione di uno scopo sovraordinato per i due gruppi o diminuzione delle ostilità e della tensione fra i gruppi Cosa ci dicono le ricerche dei campi estivi? • i risultati sono interpretabili sulla base di dinamiche inter- gruppi e non di dinamiche inter- personali • il conflitto di interessi, anche rappresentato da giochi competitivi, è all'origine del conflitto inter- gruppi • il gruppo premiato mostra maggiore favoritismo per il proprio gruppo (in- group bias) e discredito dell’out-group rispetto al gruppo non premiato (realmente frustrati per non aver ricevuto i premi), contraddicendo la teoria della frustrazione- aggressività • scopi sovraordinati conducono a cooperazione fra gruppi I risultati delle ricerche dei campi estivi (in particolare il fenomeno dell’in-group bias) hanno ricevuto conferma anche da altri studi sperimentali. ✓ indagine etnografica di Brewer e Campbell (1976) su 30 gruppi tribali dell'Africa orientale: la valutazione dell’in-group sulla base di diversi indici mostra un’in-group bias + accentuato nel confronto con i gruppi + vicini (forse per una maggiore competizione su risorse comuni) 2.2 Scopi sovraordinati e cooperazione intergruppi Secondo Sherif (1967), in linea con i risultati delle sue ricerche, la riduzione del conflitto e l'induzione di sforzi cooperativi è possibile solo con la presenza di scopi sovraordinati, cioè scopi desiderati da entrambi gruppi il cui raggiungimento non è possibile con il solo impegno del proprio gruppo.
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