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Costruzione Sociale e Identità: Paradigmi nella Psicologia Sociale, Appunti di Psicologia Sociale

Su come le interazioni sociali influenzano la costruzione di identità e i paradigmi nella psicologia sociale. Esamina il concetto di costruzione sociale, l'effetto di reciprocità, il pregiudizio e la relazione tra significato e relazioni sociali. Il testo include riferimenti a gergen k.j. E gray p.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 11/01/2024

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sonia-sevaj 🇮🇹

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Scarica Costruzione Sociale e Identità: Paradigmi nella Psicologia Sociale e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! PSICOLOGIA SOCIALE mod. A 25/09 Modulo A (ce anche il modulo B) Scienze sociali dell’educazione  (psicologia sociale, sociologia dell’educazione e antropologia culturale) Esame scritto con 2 domande aperte (1h)  17/01 ; 14/02 LIBRI: - Gray,P psicologia  solo il capitolo 4 e il capitolo 15 (le influenze sociali sul comportamento) - Gergen K.J. costruzione sociale e pratiche terapeutiche (solo capitolo 1, 4,5) - “taosinistitute.net” - Chiave di accesso: SUQ1094754N02022 26/09/2023 (argomenti) Come possiamo ostruire la nostra identità?  sia un’identità fortemente costruita da dinamiche sociali, come se la nostra esistenza non fosse tale se non all’interno di un discorso sociale che è in grado di nominarla. Una qualsiasi forma di disagio ha sicuramente una matrice sociale che la genera, se noi riusciamo a coglierla magari riusciamo ad avere una professione che aiuta gli altri. La costruzione sociale è l’insieme di idee che trova punto nelle pedagogie critiche. ALCUNE DEFINIZIONI DI PSICOLOGIA SOCIALE La psicologia sociale come la materia che studia l’influenza che le presone possono avere sui pensieri e sulla condotta dei singoli individui. Spiegare come il pensiero, i sentimenti e il comportamento degli individui sia influenzato dalla presenza effettiva. Su come lo stare assieme ad altre persone e in grado di influenzare il nostro modo di vivere. Allport. anche le emozioni, anziché pensarle come un qualcosa di radicate nel biologico, abbiano una forma che ha a che fare con il contesto sociale. La presenza degli altri che ci influenzano non necessariamente può essere una presenza concreta, può anche essere una presenza immaginata. (ad esempio un lutto). La psicologia sociale studia i modi attraverso cui la dimensione culturale sociale e relazionale genera, organizza e struttura il mondo interiore orientando i nostri pensieri e il nostro modo di agire. Nella seconda definizione il verbo influenzare viene sostituito dal verbo generare: è diverso perché di fatto noi possiamo già mettere a fuoco che esistono due psicologie sociali, 1 quella più canonica che presuppone che esista una psiche che abbia un’ontologia che studia come il sociale influisce su questo organismo psichico, che però ha un suo repertorio di funzionamento. C’è anche una psicologia sociale più radicale che ha un’idea di fondo in cui si parte dall’idea che l’organismo psichico non esista. Il sociale, comunque, produce un modo di essere, un modo di sentire. Le implicazioni dell’uno e dell’altro sono radicali, la prima presuppone che l’organismo psichico abbia delle caratteristiche universali. Le implicazioni della seconda sono invece più contributive, ad esempio nel dire che la mente emerge dalla interazione sociale la mente quindi non esiste, stiamo presumendo che in differenti epoche la mente dele persone è radicalmente diversa. I PARADIGMI NELLA SCIENZA PSCOLOGICA Un paradigma è un sistema di idee formalizzate costruito da una serie di assunzioni condivise da una comunità scientifica. La scienza non è quella versione idealizzata che vogliono in qualche modo comunicare alcune figure di esperti o banalmente nel senso comune. L’impresa scientifica è estremamente complessa, relativa, incerta e si regge su forme di consenso. Uno de primi autori che hanno reso più critico il discorso sulla scienza è Kuhn, che negli anni 60 scrisse il libro la struttura delle rivoluzioni scientifiche, in cui cercò di descrivere con uno sguardo sociologico come avviene il pensiero scientifico, ed è stato tra i primi ad inserire la parola paradigma (def.) sono gli occhiali che indossa lo scienziato, per osservar e la realtà abbiamo bisogno dei paradigmi. La scienza non ha un solo paradigma, ogni scienza è organizzata attorno ad una molteplicità di paradigmi (ecco che si introduce un po’ di relativismo). Khun chiama questa fase della scienza come frammentazione (organizzata attorno a tanti paradigmi). Questi paradigmi sono anche in competizione tra loro, ogni paradigma cerca di proporsi come quello migliore, più risolutivo. Khun dice che questa fase della scienza frammentata, ad un certo punto dovrebbe risolversi nella misura in cui di fronte a tanti paradigmi, ad un certo punto uno riesce ad imporsi e diventare la corrente maggioritaria. Nella psicologia sociale, questa normalizzazione non si è mai compiuta, la psicologia come disciplina continua ad essere profondamente frammentata, anche se ci sono tante correnti maggioritarie. Questa dominanza dei paradigmi non significa che il paradigma che poi emerge sia il migliore, semplicemente è più compatibile con le idee del senso comune, banali. Le idee anche della scienza che diventano maggioritarie sono comunque scontate. I PRINCIPALI PARADIGMI DELLA CONOSCENZA IN PSICOLOGIA Alcuni psicologi sociali hanno permesso di far conoscere meglio la conoscenza scientifica. Il primo metodo che si pensava reggesse la conoscenza scientifica fino a quello che rende tutto il mondo del sapere molto diverso da quello che noi pensiamo: La prospettiva empiristica OGGETTO  CONOSCENZA (come noi possiamo costruire conoscenza scientifica partendo da un oggetto: la conoscenza, si pensava, che dipendesse dall’osservazione ossia empirismo, che suppone qualcosa di particolare, ossia che, se devo studiare questo oggetto devo osservarlo, che i nostri sensi debbano organizzare un sapere valido su questo oggetto. Questo modo è ancora insito nel nostro pensiero; questo impianto è stato altamente confutato. La realtà, infatti, non è conoscibile direttamente, questo oggetto non è autoesplicativo, se io lo osservo non sono in grado di costruire una conoscenza valida. L’osservazione neutra non esiste, ogni osservazione è guidata da un’intenzionalità, lo sguardo ingenuo provoca il realismo ingenuo) La prospettiva razionalista TEORIA  OGGETTO (l’osservatore deve essere attrezzato di alcune teorie prima di osservare qualcosa nell’oggetto. Ha a disposizione di una teoria che lo mette in posizione di costruire una conoscenza valida. Noi dobbiamo dotarci di teorie sulla quale poi basare la realtà, attraverso il metodo deduttivo, attraverso teorie costruisco ipotesi e verranno messe a verifica tramite l’osservazione, MA senza teoria io non riuscirei a vedere nulla. Il nostro senso comune ci offre la teoria che ci permette di analizzare la realtà. Cominciamo a pensare che la realtà non può essere osservata direttamente ma abbiamo bisogno di teorie (per Khun erano idee organizzate) per poterla conoscere. Qual è l’aspetto critico?) La prospettiva psicosociale ALTER EGO OGGETTO (l’osservatore non può forgiare la sua teoria da solo. Queste teorie che noi usiamo sono teorie che vengono costruite all’interno di comunità professionali, di esperti. Ciò che viene messo in luce è la natura sociale che acquistano le teorie disposizione un surplus di energie cognitive e questa ha un limite massimo, la nostra amente quindi ha un’energia limitata per poter svolgere le varie produzioni. La mente ogni tanto incappa in alcuni bias: errori differenziali, nel momento che ci affidiamo alla nostra mente per le ipotesi la mente segue delle scorciatoie di pensiero che condizionano si ai nostri giudizi sia le condotte che siamo in grado di organizzare in funzione di essi. Molti processi cognitivi che utilizziamo sono automatici: nel momento in cui sono operazioni familiari, ad un certo punto le attuiamo come se fosse un software, non ne siamo consapevoli. (quando guidiamo non pensiamo sempre a come modifichiamo le marce ecc). ci sono però dei momenti in cui questo atteggiamento ci conduce a degli errori. 3. Il sistema cognitivo (tattico/conoscitore motivato) è orientato dagli scopi rilevanti per l’individuo  il nostro modo di conoscere le informazioni non accade mai tramite osservazioni libere, ma anche da una forma di intenzionalità, gli obiettivi che ci diamo, diventano il primo filtro cognitivo che abbiamo a disposizione. Nel momento in cui ci approcciamo alle informazioni del mondo abbiamo bisogno di un filtro che le selezioni. Come si adopera la mente? Applica dei filtri, che sono orientati dagli scopi che noi abbiamo. I miei scopi sono quelli che organizzano i miei sguardi nel mondo. Ci permette di dare importanza ad alcune cose e trascurarne altre, non ci accorgiamo di non averle viste. 02/10/2023 COME VALUTIAMO GLI ALTRI? LA FORMAZIONE DELLE IMPRESSIONI Anni ’40  Asch, (slide)esperimento delle stringhe: in senso positivo chi ha la parola “calda” e il contrario chi ha la parola “fredda”; effetto alone  considerare alcune caratteristiche, dettagli capaci di riorganizzare la gestalt in cui sono inseriti. Esercitano un effetto alone su tutti gli altri oggetti, in questo caso la parola. Quando un'altra persona ha un aspetto saliente noi tiriamo un freno a mano perché potremmo essere noi vittime dell’effetto alone. Un altro studio (slide)  sempre in base a delle idee di una stringa delle parole, si tratta di un effetto precedenza: ossia che le prime impressioni sono difficili da disconfermare, orientano le opinioni delle successive. Per questo fa la differenza la prima buona impressione. Il limite di queste ricerche è che si tratta di liste di tratti, non di persone. LE IMPRESSIONI NEI CONTESTI REALI Alcuni critici hanno detto che, se noi ci trovassimo in contesti reali, i bias che Asch afferma non sarebbero riscontrabili  Kelley prese a cuore questa cosa e perfezionò gli studi di Asch, implementandoli in un contesto reale, in un aula ad esempio, dividendo in due gruppi la persona con lo scopo di dover giudicare il docente e poco prima gli veniva detto com’era il docente. Al termine di questa lezione viene chiesto un giudizio e le cose non cambiano, chi ha ricevuto la stringa positiva era più disposto ad offrire un giudizio positivo al docente, gli altri lo descrivono in maniera negativa. Oltre a variare il giudizio, variava anche i comportamenti: quelli che hanno ricevuto la stringa positiva interagiscono con il professore ecc, gli altri no. Il nostro sistema cognitivo funziona tramite logiche quasi razionali, utilizzando scorciatoie di pensiero. I BIAS NEI PROCESS DI ATTRIBUZIONE Tra i processi psicosociali che sono stati messi in luce dalla social cognition, ci sono degli autori che introducono degli errori di attribuzione: la nostra capacità di spiegare gli eventi, Aider partiva dall’idea che ogni persona fosse una sorta di psicologo inerba, anche quelli che non studiano psicologia, producono spiegazioni psicologiche ingenue per comprendere il comportamento altrui  consiste nel momento in cui noi tendiamo a valutare il comportamento di qualcuno saremo più disposti a spiegare il comportamento di quel qualcuno in termini personologici: es. se il nostro fidanzato non ci porta fuori è perché è un ingrato, parola che connota e spiega il comportamento sulla base di una caratteristica personale. Si sovrastimano gli aspetti caratteriali nella spiegazione del comportamento altrui, trattamento che non riserviamo a noi stessi, quando dobbiamo giustificare la nostra condotta lo facciamo solo per dire agli altri delle ragioni contingenti. Questo errore di attribuzione non ha caratteristiche universali, non è vero che tutti gli esseri umani tendono a sovrastimare gli aspetti caratteriali nel momento in cui spiegano il comportamento di qualcuno (solo nelle culture occidentali succede così). Noi tentiamo a subirlo l’errore di attribuzione. Nel momento in cui devo spiegare successi scolastici o altro, tendo a preferire di dire agli altri o mi do il merito. Invece se non riesco a passare l’esame insulto il professore e do la causa a lui. 03/09/2023 Studi che hanno trovato ancoraggio all’interno della social cognition Robert Cialdini: le armi della persuasione esamina i processi cognitivi psicosociali che entrano in gioco anche in contesti di persuasione. Tutto il mondo del marketing, ad esempio, sfrutta questi studi di psicologia sociale per introdurre dei messaggi di modalità di vendita più persuasive. La mostra mente funziona utilizzando i processi automatici, questi ci possono indurre a fare scelte anche contro il buon ragionamento. I suoi studi possono essere tipo: L’EURISTICA DELL’ANCORAGGIO E IL PRINCIPIO DI CONTRASTO  scorciatoia dell’ancoraggio: se due oggetti vengono presentati in successione, le caratteristiche del secondo vengono valutate in contrasto con quelle del primo. Es: negozi di abbigliamento, agenti immobiliari… se io propongo un vestito che costa tantissimo, e nessuno se lo compra, dopo ho bisogno di proporgli una merce che ha meno valore, fungendo da ancoraggio, è più probabile che comprino il secondo vestito che costa meno anche se comunque costa tanto, ma in paragone con il primo è sempre meno. LA REGOLA DELLA RECIPROCITA’  regola sociale, condivisa che dice che ci sentiamo in dover di ricambiare favori, inviti. Per chi non la rispetta c’è la riprova sociale, ovvero che mi sento a disagio se non lo faccio. È stata sfruttata all’interno del marketing. Negli anni ’80 e stato dato questo consiglio ad un gruppo di persone che non riuscivano a vendere… gli è stato consigliato di andare dalle persone, e dare innanzitutto un biscotto, le persone si sono sentite rapprese dentro una tela invisibile che è dato dalla regola della reciprocità. LA TECNICA DI RIPIEGAMENTO DOPO UN RIFIUTO  avanzare prima una proposta molto onerosa, che probabilmente viene rifiutata per poi proporre qualcosa che è il nostro reale obiettivo, diventa più probabile che venga accolta. LA REGOLA DELLA COERENZA  tendiamo a rispettare gli impegni presi. La nostra mente tenda a mantenere una coerenza rispetto alle informazioni o gli impegni presi, noi tendiamo a mantenere coerente anche di fronte agli impegni che non avremmo voluto prendere ma che abbiamo preso. Nel momento in cui dichiariamo che ci piace qualcosa, incrementiamo il fatto che noi ci crediamo veramente che quella cosa ci piace. - Tattica del colpo basso: si garantisce un vantaggio, omettendo un’informazione critica una volta informato, il soggetto difficilmente cambia idea. (quando fai un preventivo, tu lo accetti, dopo che mentalmente lo accetti, solo dopo vi viene fornita un’informazione che, se l’avessi saputa prima non avrei detto di sì, perché dire di no dopo aver detto di sì è ancora più difficile. - Tattica del piede nella porta: quando ci viene fatta una proposta molto onerosa, ma solo dopo averne fatta una poca onerosa. Ad es ci viene chiesto se siamo dei bravi lettori, se rispondi si, poi ti viene più difficile a rispondere no alle domande successive che comunque sono scomode LA REGOLA DELLA SIMPATIA  si sfruttano le associazioni positive legate ad una persona simpatica. Ad esempio, i testimonial: perché chiamano Jerry scotti per pubblicizzare il riso? Perché è un volto familiare e sarai più propenso a comprarlo. LA RIPROVA SOCIALE  Consideriamo un’azione adeguata quando la compiono anche gli altri. Se ci differenziamo dagli altri ci sentiamo a rischio, di essere giudicati ecc. Questo porta all’imitazione. La buona parte dei nostri comportamenti ancora si basano sull’imitazione. I locali alla moda diventano così solo grazie ad un processo che a volte è studiato, la gente va lì anche perché gli altri ci vanno. Es. la finta audience (e la finta risata), l’effetto werther. LA REGOLA DELLA SCARSITA’  se sentiamo che la nostra libertà di scelta è limitata o minacciata, tenderemo a volerla esercitare più di prima. Quanto più un oggetto è difficile da avere, tanto più sarà desiderabile. Esempio: Hanno messo dei bambini nella stanza on un sacco di giochi, uno degli sperimentatori recupera il giocattolo insignificante, lo appoggia sopra la credenza e dice ai bambini che possono giocare con tutto tranne che con quel giocattolo. Tutti i bambin ignorano gli altri giocattoli e vogliono giocare con quel gioco. Se sentiamo che qualcosa non dovremmo farlo, questo veto diventa un elemento motivazionale a romperlo (il veto). Quando troviamo degli annunci anche in cui ci dicono che l’offerta dura fino a… La finta concorrenza: es, dare attenzione ad una persona, e poi ad un certo punto, d’un tratto le toglieva e le dava ad un’altra persona. la seconda persona diventava la finta concorrenza. Importante per smuovere ad esempio i sentimenti della prima. Come, ad esempio, l’esempio di giulietta e romeo, in cui l’amore cresceva in un contesto ostile. Questa disapprovazione della famiglia portava alla crescita del sentimento maggiormente. I divieti producono i desideri. L’autorità, oggi giorno, è molto meno percepita e rispettata dalle giovani generazioni. La comparsa dei social network ha prodotto una maggiore disobbedienza. L’autorità deve fare i conti con un contesto socioculturale che non la vede importante. Il rispetto va guadagnato, e quindi il metodo del pugno d’uro, oggi, non funziona. 04/10/2023 STEREOTIPI E PREGIUDIZI  Stereotipo: per la social cognition la nostra mente funziona in un processo di categorizzazione, è abituata secondo i cognitivisti, attraverso principi di categorizzazioni: le informazioni vengono catalogate nel tentativo di ottimizzare l’informazione la mente tende ad organizzare gli stereotipi: tratti salienti, caratteristiche che vengono associate ad una categoria sociale. Una categoria sociale (gli italiani), esiste uno stereotipo dell’italianità. Noi disponiamo di stereotipi per quasi tutte le categorie sociali. Lista di caratteristiche tendiamo ad associare a quella categoria sociale. Ed è un modo di semplificare l’informazione del mondo. Semplificano la realtà e diventano anche un potente filtro cognitivo. Sono duri a morire perché si auto nutrono e si auto replicano. Ci autoconvinciamo dello stereotipo perché funziona già come filtro sull’informazione del mondo. Pregiudizio: giudizio di valore negativo che si associa ad uno stereotipo. Quando lo stereotipo di una categoria sociale viene connotato in funziona di caratteristiche negative, ecco che lo stereotipo apre la porta al pregiudizio abbiamo maturato delle valutazioni negative solo in virtù ad una sua appartenenza ad un gruppo sociale. Ad esempio le persone di colore. È tutto un insieme di - Noi viviamo in un mondo di significati: non abbiamo una percezione diretta della realtà, quest’ultima acquista sempre la forma di significati in base a come la costruiamo. Lo sguardo è sempre mediato da una cornice di senso costruito da repertori convenzionali, non soggettive, soprattutto dal linguaggio. - I mondi di significato sono contenuti all’interno delle relazioni sociali. - I mondi di significato che abitiamo sono connessi al nostro modo di agire e di parlare (la nostra realtà di senso è legata a come noi parliamo e al nostro modo di agire) - Quando i mondi di significati generano conflitti possono portare a fenomeni di alienazione, aggressività o di sofferenza - Nuovi mondi di significato sono sempre possibili, in quanto non siamo definiti dal passato. Posiamo abbandonare ogni forma di vita che riteniamo essere inadeguata, per costruirne di nuove e di alternative. - Per creare nuovi scenari di significato, è necessario partecipare alle relazioni, cambiare il nostro modo di agire e di parlare di nuovi modi di relazionarsi consentono di far emergere nuove realtà di significato 10/10/2023 LA COSTRUZIONE RELAZIONALE DEL SIGNIFICATO (Gergen) Uno dei punti chiave della costruzione sociale è che i significati che noi utilizziamo, e diventano l’elemento entro il quale costruiamo i nostri pensieri, non sono prodotti dalla natura, ma organizzati in funzione di questi significati, i significati che le cose hanno per noi, questi significati secondo il costruzionismo non sono mai i prodotti di una mente solitaria. Il linguaggio è il principale artefatto con la quale costruiamo i nostri mondi: è da intendersi come un prodotto sociale, è di natura convenzionale, le parole acquistano significato perché una parola diventa significativa entro il gruppo di persone nella quale viene usata. Oltre al comportamento, il saluto dobbiamo vederlo per la sua intenzione anche: il suo comportamento è sempre basato su un fine (il fine di salutare). Secondo Arrè problematizza anche questo secondo livello facendo notare che per studiare in maniera complessa il saluto dovremmo includere il comportamento, l’intenzionalità ma anche la risposta sociale di quel qualcuno che lo riceve, quel gesto deve assumere un significato condiviso (se scuoto la mano per salutare, è un gesto perché è condiviso in una certa comunità). Gergen afferma che i fenomeni sociali richiedono una coordinazione sociale, ha cercato di farne un metodo di studio da cui discendono molte pratiche pedagogiche. L’idea chiave sulla quale si basa sull’ azione supplementare (se dico ciao è significativa soltanto se ricevo una risposta altrettanto significativa, deve essere seguito dall’azione supplementare di qualcuno che lo rende significativo). Le persone devono coordinarsi l’una con l’altra attraverso le azioni supplementari, questo è il processo dal quale noi costruiamo le nostre realtà. (Le azioni supplementari sono le nostre risposte, quelle che gli altri mi offrono hanno il potere di conferire significato a quello che io ho detto) Una ricerca pionieristica (Gergen 1965) Il potere che il nostro modo di relazionarci ha, anche in base alle nostre esperienze. 56 individui, in 2 gruppi. Erano invitati a raccontare qualcosa di sé alla psicologa. Con 1 gruppo la psicologa era stata addestrata ad ascoltare in maniera silenziosa. Con il 2 gruppo, la psicologa faceva: ogni volta che la persona che raccontava qualcosa, diceva qualcosa di positivo su di sé, la psicologa annuiva, dare un gesto di assenso, tramite la comunicazione non verbale. Finisce la sessione sperimentale, e a distanza di qualche tempo, vengono richiamati i partecipanti e gli vengono fatti dei questionari, confrontando il livello di autostima c’era una differenza significativa: quelli del secondo gruppo che hanno avuto un’azione supplementare erano più disposti aa pensare qualcosa di positivo su sé stessi. Una persona che annuisce produce un’azione tanto positiva nell’immagine dell’altro. Il nostro modo di comunicare non è neutro, il nostro modo di rispondere all’altro produce e costruisce assieme all’altro la sua realtà psicologica. LE ORIGINI STORICHE DEL CONCETTO DI SÉ, IDENITITA’ Come noi costruiamo la nostra idea di noi stessi? Idea del sé, è un’idea recente della storia dell’umanità. Nell’illuminismo l’idea di identità iniziava ad essere strumentalizzata, era condivisa un’idea di famiglia o di gruppo. Jaynes nel 1984 ha iniziato a parlarne. SLIDE Pochi anni dopo è nata anche la disciplina della psicologia, che ha cercato di fare questa individualità il suo oggetto di studio, questa idea del sé è stata raccolta e trasformata in un oggetto di interrogazione. Attraverso la psicologia si cominciano a introdurre 2 termini: - Il concetto di personalità - Il concetto di carattere Se pensi a te stesso, saresti orientato a descrivere la tua personalità. L’idea è di far credere alle persone che spaccano in 4 la testa ci fosse qualcosa (personalità) che produce e causa il nostro comportamento. La personalità è stata oggettivata: un’idea che poi è stata pensata come una materia. L’aspetto interessante?  perché lo psicologo crea il profilo di personalità? Il tipo di carattere che le persone esprimevano, fosse ancorato al profilo del volto. Per questo si parla ancora di test di personalità. Lo studio di Zimbardo 1973 (SLIDE) Zimbardo è uno psicologo che voleva studiare come si produce la violenza, nel fare questo tipo di curiosità partiva dalla scienza psicologica di quegli anni che considerava che esistesse la personalità aggressiva. Siamo attrezzati di dare importanza al carattere e che sia costitutivo per la nostra personalità. Propone uno studio e decide di organizzare e di ricostruire una finta prigione. Pianifica uno studio in cui voleva osservare ciò che accadeva, e i partecipanti erano studenti che non avevano precedenti, e in modo casuale li assegna a due gruppi, quello dei prigionieri e quello delle guardie. Le guardie venivano attrezzate di divisa e anche i prigionieri. L’osservazione sarebbe dovuta durare 15 giorni, dopo pochi giorni è dovuto intervenire per finire lo studio. Cominciarono a registrarsi eventi di manifesta aggressività e violenza, il gruppo delle guardie esercitò una serie di condotte para violenti (li spingevano, li hanno umiliati, picchiati…) il gruppo dei prigionieri iniziò a vacillare, senso di alienazione. Il gruppo di guardie che mantenevano una condotta aggressiva fatta da uso di comunicazioni impersonali. I prigionieri erano semplicemente compagni di banco. il contesto però ha generato delle condotte violente. Tutto questo nemmeno Zimbardo l’aveva predetto. Lui pensava che la violenza si manifestasse solo con persone che erano violente. Ciò nonostante, la condotta aggressiva si manifesta. Effetto lucifero  creazione di contesti che producono delle forme di comportamento violento, che non è imputabile al carattere dei singoli, ma p l’esito di un’assegnazione di ruoli sociali. Ha offerto ad alcune persone un nuovo copione di comportamento come fa un luogo sociale. Secondo Mischell non è vero che la condotta umana si spiega in base alla personalità degli individui. Questa idea di individualità è un’idea poco euristica perché non permette di prevedere la condotta umana. Cosa regola la condotta umana? Zimbardo introduce il concetto di contesto, e ruoli che sono organizzati socialmente che in maniera massiccia sono in grado di pilotare la nostra condotta. L’idea del carattere inizia ad essere sfidata. Si pensa che l’idea del carattere non abbia una natura in sé, non sia un oggetto (pensare che carattere e personalità siano due oggetti, il costruttivismo introduce un’idea molto più interessante, cioè che le idee che noi condividiamo (il carattere) non abbia una natura in s ma sia prevalentemente una storia che raccontiamo, cioè le idee della psicologia sono delle idee, nel momento in cui diventano delle idee condivise hanno un effetto reale nelle nostre esistenze. Quello che il costruzionismo cerca di suggerire che l’idea di carattere sia una storia che noi ci abituiamo a raccontare di noi stessi. Faccio così perché penso di essere così. Questo introduce un elemento critico, cioè che le nostre esistenze sono davvero piuttosto prevedibili. Le nostre condotte sono un po’ ordinate, ciò che le ordina non è una natura estrinseca, ma un’abitudine nel raccontarci sempre allo stesso modo. Il nostro modo di comportarci segue delle regole. Queste storie sono co – costruite con gli altri. Non è che, se i genitori fanno la stessa cosa allora esce un altro figlio uguale al primo, ma dipende dall’interscambio tra le due parti che scrive la storia, tramite i legami che noi abbiamo con gli altri; Tutto ciò che noi pensiamo di essere, è innanzitutto un pensiero, un’idea, un modo che noi abbiamo avuto di raccontarci. Siccome il nostro modo di essere è legato a quello che noi raccontiamo, ogni storia è passibile di cambiamento. Se tutta la nostra vita ha una forma in funzione di una narrativa, ci sono die margini per poter riscrivere delle parti di questa storia  terapia narrativa mettono l’altro nella condizione di ri-narrare la propria storia. 11/10/2023 LA DIMENSIONE SOCIALE DEL SE’ Essenzialismo  conferire ontologia o presupporla alle idee. psicologia che tende a dare realtà alle parole che utilizziamo, se parliamo di inconscio noi pensiamo che sia qualcosa di tangibile, dentro di noi, è un modo illustrativo secondo Gergen, noi scambiamo per realtà le parole che utilizziamo dimenticandoci che le parole in realtà hanno solo ruolo analogico e difficilmente collegabili a porzioni del mondo. Si lega ad un argomento come quello della dimensione sociale del sé. : in psicologia si riafferma l’idea che il sé possa essere socialmente costruito: si è iniziato a comprendere come esso fosse generato dalle relazioni con gli altri. Tutti noi viviamo in un mondo in cui la cultura ci mostra la realtà che noi percepiamo. Noi, non agiamo nel mondo perché siamo fatti in un certo modo ma, agiamo nel mondo perché pensiamo di essere fatti di così, è un modo rivoluzionario di riflettere queste questioni  il sé non è un dato di fatto ma una teoria che noi costruiamo su noi stessi sin da quando siamo piccoli. La prima volta che noi siamo in gradi di pensare come degli individui accade nel momento in cui siamo in grado di adottare il punto di vista dell’altro su di noi (Mead). Accade in fase precoci della nostra infanzia, nel momento in cui lo sguardo dei genitori o di un non parente, quando noi siamo in grado di interiorizzarlo allora cominciamo a comprenderci come un’identità. Le conversazioni che fanno i genitori sul bambino, non sono neutre, ma sono conversazioni con cui il bambino inizia a farsi un’identità, la storia è nutrita dai commenti espliciti degli altri con cui abbiamo una forma di relazione, più e significativa la relazione più i commenti che vengono fatti sono decisivi per creare la persona che siamo: il modo in cui noi veniamo trattati ci lascia degli indizi che noi tentiamo di riordinare all’interno di una storia nella quale emergiamo come individui. Se il prof ci dice che la vita che noi viviamo è costruita sulla base di significati, le relazioni degli altri sono la dinamica entro la quale i significati ci vengono resi disponibili, poi noi ci possiamo giocare: accoglierli, rifiutarli, ribellarci…le identità si coagulano attorno alle comunicazioni che noi riceviamo dagli altri, nel bene o nel male. Le nostre identità funzionano Es: una ragazza triste ne parla con l’amica, giorni dopo le chiede come sta, questo tipo di comunicazione contiene già il seme del male se noi ogni giorno in maniera preoccupata le chiediamo come sta. Creiamo il disagio nella sua vita.  le nostre comunicazioni usualmente sono organizzate almeno su due livelli: 1°  quello che viene detto. Chiediamo come va alla nostra amica per sapere (esplicito) 2°  (implicito) è dato da quello che viene dato per scontato. Es: una giovane donna che ha messo un piede nella carriera dei disturbi alimentari. Ci troviamo di fronte a genitori preoccupati e che fanno una comunicazione particolare: quando si siedono a tavola il genitore pronuncia: MANGIA! In maniera imperativa. Il livello implicito (quello che dà per scontato) di questa comunicazione è che si pensa che quella persona non voglia mangiare e che non lo sta facendo. Queste comunicazioni ricordano all’altro che lei è il tipo di persona che non mangia. Il buon senso, in queste circostanze, fa male. La cosa che potremmo dire è molto spesso una comunicazione che produce effetti negativi. Il primo passo da parte dell’altro è quello di interrompere le comunicazioni che costruiscono quell’evento come problematico, e vanno a costruire quell’identità molto negativa. Come hanno costruito l’identità negativa, anche quella positiva può essere costruita in base alle comunicazioni. Se cambiamo il modo di rispondere possiamo cambiare anche il modo in cui gli altri vivono, il problema è che noi non siamo gli unici partner relazionali di quella persona. questi problemi sono generati in maniera sistemica, convincendo te, altri amici e i genitori... quando noi decidiamo di boicottare gli schemi che nutrono questa situazione, dobbiamo considerare che la nostra voce sarà stonata in un coro che dice altro. Le comunità sono delle istituzioni che già collaborano alla costruzione dei problemi, l’idea stessa di essere un membro della comunità offre un riflesso importante della sua identità. il versante del cambiamento Immaginiamo come questo processo di identità possa aprire un sentiero di una ricostruzione più belle, funzionali. Le nostre identità sono sempre organizzate all’interno di flussi relazionali: identità molteplici e immagini di sé che emerge, emerge in funzione della botta risposta che abbiamo con gli altri (guarda esempio delle guardie al college). La nostra identità è molto più fluida e questa espressione che possiamo avallare di noi stesi, può acquisire tante forme, quante sono gli scambi che noi abbiamo. L’altro che abbiamo di fronte, è più di ciò che mi appare. Quello che vedono gli altri è sono una porzione di quello che è, e delle su potenzialità, magari quello è solo l’esito di scambi con altre persone precedenti però, in base ad altre persone significative. L’altro quindi può trasformarsi e mettere in scena parti di sé se la danza relazionale a cui viene invitato cambia: se viene invitato da persone che danno note sul registro o gli urlano dietro, lui replicherò quella idea di sé. Se le risposte cambiano allora anche il sé emergente in quella danza relazionali può almeno un po’ cambiare i propri connotati. Potrebbe far uscire qualità inedite. Effetto pigmalione  costrutto sociologico che possiamo trovare nella profezia che si autoadempie: qualcosa creduta vera poi tende e maggior ragione a realizzarsi. 18/10/2023 Giovanna Leone  ha messo a fuoco con una lunga serie di studi nei contesti scolastici cercando di valutare come funzionasse l’interazione tra studenti bisognosi di qualche attenzione o carenti sul fronte della carriera scolastica, e la figura dell’insegnante di sostegno la cui presenza era per aiutare lo studente in difficoltà. Quello importante è che anche offrire aiuto, affiancare qualcuno a fare i compiti non necessariamente produce un effetto virtuoso, o meglio: entro un certo limite soggettivo tendere una mano può creare quello che Vigotsky chiamava la zona prossimale di sviluppo: il ragazzino entra nel campo relazionale nel quale riesce ad esprimersi al meglio, quando l’offerta d’aiuto diventa eccessiva, dominante allora in modo paradossale l’eccesso d’aiuto amplifica la difficoltà. (Se io sono quello che ha bisogno di aiuto allora vuol dire che: ……) l’insegnante di sostegno può essere inserita nel gruppo di classe in maniera obiettiva, è importante che la persona che ha realmente bisogno non sia esclusa dal gruppo classe, non dire che l’insegnante di sostegno per una determinata persona. il genitore se da una mano al figlio con la moltiplicazione all’inizio li potesse dare una mano, poi potrebbe dire che non sa fare quella moltiplicazione e quindi chiedere aiuto al figlio. In una seconda fase è utile attribuire all’ altro il ruolo dell’esperto per far si che questo avvenga è importante che la sua figura educativa si metta in una posizione subordinata, in cui il genitore si finge inutile per permetter al figlio di esprimere le competenze che ha appena acquisito. Come futuri pedagogisti il nostro ruolo è funzionale al mantenimento dei problemi dell’altro. Il nostro mandato richiede di saper comunicare all’ altro che la nostra presenza non è necessaria. Anche perché, dopo un po' la persona pensa di farci fuori perché non avrà più bisogno di noi se ci poniamo come educatore. Proprio il contesto in cui noi andremo a lavorare sono contesti che producono malattia che noi cerchiamo di risolvere. Miller  prende due classi che erano impegnante nell’apprendimento di nuovi argomenti nel campo della matematica. Ad un gruppo rivolge la comunicazione: “ragazzi mi sono accorto che siete bravi a studiare”. Nell’altro gruppo dice: “ragazzi se volete finire bene l’anno dovete impegnarvi e studiare di più”. (SETTING). Viene fatto scorrere del tempo e poi vengono valutate le prestazioni dei due gruppi classe. Quali sono quelli che offrono i risultati migliori? Sono quelli che vengono sottoposti al primo stile comunicativo, perché la comunicazione contiene ciò che un filosofo dice sul potere formativo del nostro linguaggio, il nostro modo di parlare sono in grado di costruire dei mondi. I mondi psicologici vissuti, delle realtà sociali, le parole producono le realtà sociali a cui siamo immersi. Quando una figura autorevole comunica che lui è più bravo studiare, sta costruendo nell’altro in maniera performativo un’identità, gli sta attribuendo un sé, un profilo della persona che è brava. Nel primo caso aveva l’effetto di costruire un sé del bravo scolaro, se gi studenti accolgono questo sguardo positivo, si muoveranno in coerenza con il copione che gli offre. Ala stessa maniera, come possiamo produrre delle identità nobili, possiamo alla stessa maniera costruire delle identità negative, cioè le identità di quelli che sono bisognosi, che hanno difetti, che sono incapaci… La comunicazione del secondo gruppo sto implicando che lui non sta studiando, è implicito a quella forma linguistica, questo è quello che poi viene sentito, colui che non studia abbastanza. Una volta che una posizione è stata segnata, quella posizione può anche fare radici e poi costruire un progetto di vita, “io sono quel tipo di persona a cui non piace studiare”. La persona difende il tipo di persona che crede di essere. Funziona perché raccoglie il consenso e la conferma degli altri significativi. Senza una conferma dell’altro, ogni progetto di vita implorerebbe, non sarebbe credibili agli occhi di chi lo porta avanti. Siamo immersi in una cultura che ci permette di vedere la vita con una lente, ci isola. In una cultura individualista, che ci porta a pensarci come singole particelle isolate. Anche questa idea nasce all’interno di uno scambio intersoggettivo, (all’interno della società). Vediamo solo quello che la nostra cultura ci indica. È importante iniziare a fare un passo indietro a tutto ciò che diamo per scontato, ad esempio che le nostre identità sono solo nostre, e non alle partecipazioni sociali a cui siamo immersi. Come noi costruiamo le nostre identità: il mio modo di comunicare costruisce le identità dell’altro. I problemi e le difficoltà, le malattie e le mancanze di interesse che noi possiamo cogliere nello studente, sono innanzitutto un modo di esprimere un identità, ciò partiamo dalla consapevolezza che quella persona fa così, quelle azioni bizzarre, le mette in atto perché sono coerenti con la storia che ha costruito di sé, il primo elemento di consapevolezza è di non offrire risposte o azioni supplementari che siano a conferma dell’identità negativa: la punizione, il paternalismo offrono all’altro la conferma dell’identità negativa. Tutto queste comunicazioni sono comunicazioni che costruiscono il problema. Il pedagogista deve riconoscere le comunicazioni poco utili e toglierle di mezzo, non metterle in pratica e cerare di arginarle nel contesto, nel sistema in cui l’identità negativa della persona si costruisce. 1° buona pratica  viene utilizzata in contesti terapeutici, la ricerca delle eccezioni al problema: pratica sbagliata: abbiamo il coinquilino che dorme con noi e lascia in disordine la camera, la prima cosa da non fare è dire apertamente che la camera è un disastro, andrebbe evitata questa comunicazione perché costruisce l’identità del coinquilino disordinato. Ma se un pomeriggio in cui abbiamo invitato qualcuno e l’altro sistema la camera, quindi un comportamento che rompe con l’abitudine, allora quando fa quella cosa eccezionale chi sta attorno a lui deve offrirgli una comunicazione positiva, di esserci accorto di questa eccezione, del fatto che ha pulito la camera. Se noi costruiamo identità sulla base delle interazioni sociali, noi componiamo dei sé che so che costruiscono attorno a modi di fare alternativi al problema. 2° buona pratica  la profezia che si autoadempie: di fronte a qualcuno che esprime un problema, costruire una comunicazione che rinvia al futuro prossimo un cambiamento, ad es: un ragazzo che faceva fatica a capire alcune regole della grammatica, veniva comunicato che sono proprio quelli che fanno più fatica all’inizio, apprendono poi molto meglio queste regole della grammatica. Trasformata le difficoltà del momento in una risorsa per il futuro.
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