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PUNIRE. UNA PASSIONE CONTEMPORANEA., Sintesi del corso di Antropologia

Riassunto integrale del libro “Punire. Una passione contemporanea” -Didier Fassin

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 23/03/2023

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Scarica PUNIRE. UNA PASSIONE CONTEMPORANEA. e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! PUNIRE. UNA PASSIONE CONTEMPORANEA. (DIDIER FASSIN) Premessa Nell’ultimo decennio il mondo è entrato nell’era del castigo, infatti le infrazioni alla legge vengono sanzionate con sempre maggiore severità: tale tendenza però non è direttamente correlata a nessun incremento della criminalità ma è una svolta repressiva che si protrae quando le attività criminali diminuiscono. Tale constatazione, ha una sua temporalità, emerge infatti, negli anni 70’-80’ ed accelera a ritmi variabili a seconda del paese, dunque si parla di momento punitivo. Il termine momento, si riferisce a un periodo particolare che si estende su decenni e riguarda quasi tutti i continenti, inoltre, va inteso anche per indica un movimento, cioè quella forza che determina il cambiamento al quale assistiamo. Che cosa caratterizza il movimento punitivo? Esso corrisponde a questa specifica congiuntura in cui la soluzione diventa un problema, dunque: il crimine è un problema, il castigo diventa la sua soluzione. Ma con il movimento punitivo, è il castigo a diventare il problema, a causa: - Del numero di persone rinchiuse - Del costo economico che ciò determina per la collettività - Della produzione di disuguaglianze che favorisce - Della perdita di legittimità derivante dalla sua applicazione. DIDIER FASSIN (l’autore, antropologo francese), per illustrare questo momento punitivo si concentra, allora, sul contesto Nazionale della Francia che attraversa il periodo più repressivo della sua storia. Momento che non è dovuto all’aumento della criminalità, ma alla sua diminuzione. Come si spiega allora una simile impennata, visto che non è dovuta a un reale aumento della criminalità? Si coniugano due fenomeni che influenzano la società francese: 1. Un fenomeno culturale, perchè vi è una crescita di sensibilità per gli atti illegali e la devianza: gli individui si mostrano sempre meno tolleranti verso ciò che disturba la loro esistenza (es. aggressioni verbali, litigi tra vicini) 2. Un fenomeno politico, perché si focalizza il discorso sull’azione pubblica e le questioni di sicurezza: le élite politiche strumentalizzano le ansie e le paure, riscuotendo un certo successo attraverso il populismo penale. Quindi, in concreto questo si traduce in azioni pubbliche in due modi: - Vengono criminalizzati fatti che in precedenza non avevano tale destino - Vengono aggravate le sanzioni per gli stessi reati: si condanna più spesso alla privazione della libertà e si rinchiude per periodi più lunghi. Introduzione: due storie. Malinowski, delitto e castigo. In un celebre saggio, Malinowski, riporta un episodio avvenuto durante la sua ricerca alle isole Trobriand. Un giovane sedicenne si era suicidato dopo la scoperta del suo rapporto incestuoso con la cugina (nelle società tradizionali Melanesiane, infatti, avere delle relazioni sessuali con una persona del proprio clan significa infrangere la legge esogamica ed è considerato uno dei peggiori crimini, nella realtà però, le pratiche endogamiche non erano rare, ed erano infine tollerate). Cosa ha spinto allora il giovane a un simile atto estremo? Con un tale affronto si rendeva necessaria una reazione più radicale e una via d’uscita onorevole: il suicidio. Gonnermann, castigo senza delitto. Quasi un secolo dopo, la giornalista Gonnermann, pubblica un articolo che rivela ai lettori la realtà sul funzionamento delle istituzioni giudiziarie e penitenziarie negli USA. L’articolo racconta la storia di un ragazzo del Bronx incarcerato ingiustamente e scarcerato dopo il suo ventesimo compleanno. Il giovane viene liberato e due anni dopo si suicida. Dunque, perché accostare due storie così diverse, se non per il fatto che riguardano entrambe un ragazzo di sedici anni e che terminano con un suicidio? Perché esse sono entrambe storie di delitto e castigo, che mettono profondamente in discussione la nostra comprensione a cosa significhi punire. In generale, infatti, si ritiene che la punizione consista nell’assegnazione di una sanzione all’autore della violazione di una norma, che per essere legittimata risulti fondata e adeguata rispetto al reato. Quindi, nel caso del sedicenne delle isole Trobriand c’è stato un delitto ma non un castigo, perché il suicidio non viene imposto ma scelto. Nel caso del sedicenne afroamericano invece c’è un castigo ma non un reato. E quindi, il confronto tra queste due storie permette di mostrare: - La diversità delle risposte possibili di fronte alla trasgressione di una norma - Il castigo come istituzione sociale, strumento di analisi della società e dei valori di cui sono portatrici. Quindi Le tre domande con cui si struttura il libro sono: 1. Che cosa significa punire? 2. Perché si punisce? La giustificazione 3. Chi viene punito? La distribuzione del castigo La tecnica usata da FASSIN è quella di NON DEFINIRE L’OGGETTO A PRIORI, affermando in anticipo cos’è il castigo, MA FAR EMERGERE A POSTERIORI UNA TEORIA a partire dai materiali empirici raccolti permettendo di aprire altre piste. Tale approccio combina due procedimenti: - Metodo genealogico, che esplora le origini e gli sviluppi delle concezioni di delitto e castigo, cioè la ricostruzione di come si è arrivati a punire così come lo facciamo oggi. - Metodo etnografico, che narra delle ricerche condotte per dieci anni in Francia, in particolare nelle periferie parigine, in cui ha seguito le attività di pattugliamento della polizia, e i vari processi per direttissima avvenuti in tribunale. 1. Che cosa significa punire? La maggior parte delle definizioni di pena, fa riferimento a un testo fondamentale del giurista Hart, che definisce il concetto di castigo sulla base di cinque criteri: I. Implicare una sofferenza II. Rispondere a un’infrazione contro la legge III. Applicarsi sull’autore reale o supposto dall’infrazione IV. Essere amministrato da esseri umani diversi V. Essere imposto da un’autorità istituita dal sistema legale conclude con un verdetto di sei mesi di reclusione. L’uomo è amareggiato e la presidente del tribunale si dice infastidita dall’aver dovuto pronunciare una condanna a pena detentiva per mancanza di alternative. In questo caso, dunque, la condanna sembra derivare prima di tutto da una sorta di routine giudiziaria. - Carcere, un uomo detenuto di fronte alla commissione disciplinare incaricata a giudicarlo, viene accusato di aver proferito invettive a carattere razzista contro un guardiano nero. Si trova senza testimone, senza dettagli e senza indagini. viene condannato a sette giorni in isolamento, e il vicedirettore si accontenta di elencare la trentina di incidenti che hanno costellato il soggiorno del detenuto come se si trattasse di prove, e questo renderà necessaria la sanzione. Dunque, perché si punisce? Le giustificazioni devono ogni volta essere comprese come un prodotto di processi sociali più ampi, il castigo si inserisce in un contesto storico, cultura e politico che lo rende possibile. Il piacere associato all’atto della punizione, il godimento derivato dal supplizio. Nietzsche, accenna al godimento derivato dal supplizio, alla volontà di fare il male per piacere di farlo. Perciò il piacere associato all’atto della punizione non viene provato solo per procura attraverso la punizione, ma può essere anche provato personalmente da coloro che assistono o partecipano al castigo. Quindi, lo spettacolo del castigo non è scomparso, ma si è spostato sugli schermi televisivi, si è adattato alle esigenze della sensibilità contemporanea, non mette più in gioco il corpo ma la dignità. Dunque, tuttavia rimane un punto cieco: perché gli eccessi del castigo prendono di mira certe categorie di individui e certe zone, e ne risparmiano altre? È la questione della distribuzione delle pene che deve essere presa in esame. 3. Chi viene punito? Questa domanda riguarda più che altro sociologo e militanti dei diritti umani. Foucault, descrivendo il sistema penale tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800, scrive che le infrazioni alla legge sono oggetto di una definizione tra illegalismi popolari (depredazioni che ostacolano il capitalismo industriale), e illegalismi borghesi (frodi che favoriscono il capitalismo industriale), questo significa che la domanda: chi viene punito? Ne presuppone un’altra: Cosa viene punito? FASSIN, per articolare delle risposte a queste domande descrive: - Come il sistema penale produce una doppia differenziazione delle infrazioni e dei loro autori - Come questo processo è oggetto di un lavoro di cancellazione e negazione Quindi La relazione tra delitto e castigo è meno univoca di quanto il senso comune pensi; infatti, Durkheim afferma che “non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma è criminale perché urta la coscienza comune”. Dunque, se ciò che chiamiamo crimine è il prodotto di convenzioni sociali, allora le scelte che fa la società ci indicano una gerarchia di atti che reprimiamo. Durkheim, si chiede perché l’omicidio è universalmente considerato il maggiore dei reati, dal momento che una crisi economica, non sollevano la stessa indignazione. La gravità del reato non è infatti sufficiente a spiegare le differenze nel castigo, perché sembra esserci una gerarchia degli attori sociali (es. processo a un uomo francese di origini marocchine fermato per possesso e gestione di cannabis e processo a ex presidente Francese in cui sono state alleggerite le accuse). Differenziazione sociale della pena. Sono profonde le disparità sociali razziali nella distribuzione delle pene; infatti, il parallelismo con la situazione francese e quella degli USA permette di mettere in evidenza delle somiglianze: tra la fine degli anni 70’ e l’inizio degli anni 00’, il tasso di incarcerazione aumenta moltissimo, e questa espansione carceraria si accompagna a una differenziazione socioeconomica e razziale marcata. Ma come spiegare che questa distribuzione illegale delle pene vanga così pacificamente tollerata a livello sociale? Il tribunale può essere visto come luogo per eccellenza della differenziazione sociale della pena, tanto che FASSIN prende in esame due casi differenti: - Ragazzo senegalese, viene processato per direttissima per aver opposto resistenza violenta a tre poliziotti durante un controllo d’identità. In primo luogo, perché il mondo sociale al quale appartiene il giovane aumenta il sospetto nei suoi confronti, quindi l’immagine del quartiere in difficoltà finisce per aggravare il dossier, in secondo luogo, le competenze sociali alle quali il ragazzo può ricorrere non corrispondono alle attese dei giudici perché parla male di fronte alla corte e lascia supporre che abbia parlato male anche ai poliziotti. QUESTO È IL FENOMENO PIÙ INVISIBILE DEL CASTIGO, ovvero il rapporto di alterità che questo presume: tra colui che giudica e colui che è giudicato si istituisce una distanza radicale, spesso sociale. - Ragazzo francese, (studente) viene denunciato per aver malmenato e violentato la sua compagna. I fatti vengono facilmente dimostrati per le ferite causate dalla penetrazione. Di origine francese e di classe media, il ragazzo è assistito da un avvocato pagato dai suoi genitori, presentatisi in udienza. L’udienza dura il doppio del solito, l’accusato ha il tempo di esprimersi, e infine viene condannato a sei mesi di prigioni con la condizionale. Dunque, la disuguaglianza sociale finisce per essere doppiamente occultata, sia nelle condizioni di produzione della storia penale (poliziotti), sia nella sua valutazione giudiziaria (giudici). Quindi Ciò che ha come corollario i due grandi principi della teoria moderna del diritto sono: 1. La responsabilità dell’autore, si deve decidere infatti, non solo se la persona accusata di un reato lo ha davvero commesso ma anche se può essere ritenuta responsabile. La responsabilità, infatti, comporta una dimensione morale. 2. L’individuazione della pena, tende ad accentuare la disparità delle decisioni della giustizia, non solo perché singolarizza ogni caso, ma perché gli elementi del contesto sociale che vengono presentati nel processo sono il più delle volte usati a carico dell’imputato. Questo excursus etnologico, allora, ci permette di pensare che non esiste alcuna relazione necessaria o universale fra il riconoscimento della causalità che lega un atto e il suo autore e l’idea di responsabilità così come noi lo comprendiamo. Questa, infatti, si è sviluppata in maniera storicamente indipendente. Questa rivelazione potrebbe risultare intollerabile per le democrazie contemporanee. In compenso, è più accettabile ritenere che ogni persona condannata sia responsabile del proprio atto e meriti il proprio castigo e che l’istituzione penale protegga la sicurezza dei cittadini. Conclusione Se il castigo punisce in eccesso rispetto all’atto commesso non diventa allora esso stesso una minaccia all’ordine sociale? Bisogna mettere in discussione alcuni fatti e idee che le nostre società danno per scontate.
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