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PUSHKIN: biografia, opere, stile, Dispense di Letteratura Russa

- Biografia - Stile autore - Riassunto opere "Eugenio Onegin", "La figlia del capitano"

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 12/03/2023

Danielkid
Danielkid 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica PUSHKIN: biografia, opere, stile e più Dispense in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! PUSKIN: BIOGRAFIA, OPERE, STILE Puskin nacque a Mosca nel 1799 da una famiglia di antica nobiltà boiara. La famiglia, però, era caduta un po’ in disgrazia ed era molto legata agli intellettuali dell’epoca. Nel 1811, Puskin si iscrisse ad un famoso liceo, situato nella cittadina russa di Tsarskoe Selo. Il liceo, dove Puskin seguì le lezioni, era stato fondato nel 1810 dallo zar Alessandro I, su modello dei licei francesi. L’istituto formò non solo classi dirigenti, ma anche poeti, aderenti al decabrismo, oltre a funzionari statali. Insomma, era un luogo di grande cultura. Puskin non frequentò l’università. Nonostante ciò, divenne una figura di cultura straordinaria, scrivendo versi e usando uno stile superiore rispetto ai poeti russi dell’epoca. Già a partire dai 14 anni, Puskin suscitò l’interesse non solo nei confronti dei critici ma anche di un certo Nikolai Karamzin, un nobile di estrazione sociale medio-bassa, che sviluppò il filone dei Karamzin. Pushkin venne influenzato proprio da questo esponente principale, il quale si fissava l’obiettivo di plasmare la lingua russa, arricchendola di francesismi per conferirle una struttura nuova letteraria, semplice e francesizzante. In seguito, Pushkin trovò sfogo al suo carattere impertinente all’interno dell’Arzamas, circolo d’avanguardia letterario e lì si diede alla pazza gioia, bevendo, fumando e andando nei bordelli. Non a caso, in questo periodo, si divertì con poesie licenziose e pornografiche. Trasgredendo le regole del classicismo, Puskin divenne un genio perché riuscì a trasformare la pornografia in arte. Per un’opera, immaginò la storia di persone ubriache che decidono di sfidarsi in una gara di virilità, dove partecipa anche un prete, il quale, però, perde. Tra i 17-18 anni, Puskin capì che bisognava dare un taglio a questa vita debosciata. Innanzitutto, pensò che la lingua di Karamzin fosse rivolta all’élite, poiché spiccava per i francesismi. In più, Puskin rivide l’impostazione strutturale del filone dei Karamzin, proponendo una sintesi linguistica, secondo cui i forestierismi dovevano avere ugual diritto alla pari del russo. Per lo scrittore, in poesia si doveva utilizzare un registro neutro che coincidesse con la lingua colloquiale, la quale veniva adottata da molte classi sociali. Inoltre, a suo parere, la lingua colloquiale diventava lo sfondo marcato dell’espressione linguistica, sfruttando le risorse linguistiche, ossia slavismi (per dare una prosodia intonativa con enfasi) più forestierismi, che potevano coesistere in una stessa opera d’arte. In prosa, invece, per lui il principio doveva essere che chi scriveva, doveva adottare il punto di vista della persona che parla. Il narratore doveva, cioè, cercare di imitare il modo di parlare più attinente possibile al personaggio creato, cioè se si parla di un contadino analfabeta, allora i discorsi diretti dovranno avere delle accezioni e conversazioni tipiche di un contadino, cioè terra terra Questi eroi byroniani, tanto ganzi, vengono smascherati nella loro meschinità umana. Puskin, infatti, amava rovesciare tutto ciò in chiave realista. Invece, per quanto riguarda il romanzo “Eugenio Onegin”, esso, suddiviso in canti, si ritiene essere ancora oggi il primo romanzo in versi nella storia di tutti i tempi. Realizzato a scaglioni tra il 1823 e il ’31 in modo frammentario per via delle pause di riflessione dello scrittore, presenta dei personaggi, a cui vengono trasferiti degli ideali e delle caratteristiche che mutano nel corso della stesura. “Eugenio Onegin” ha come protagonista di rilievo Onegin, originario di San Pietroburgo. Lui è un modaiolo, annoiato e disgustato dal bel mondo e per questo vuole andarsene. Onegin è un dandy (= giovanotto elegante) anglomane, che ha uno stile byroniano, ovvero raffinato. Inoltre, il suo stato d’animo è intervallato dallo spleen, ovvero da uno stato d’animo inquieto condizionato dall’insoddisfazione, dalla noia e malinconia. Perciò, si trasferisce in campagna, dove conosce il vicino di tenuta, Vladimir Lenskij, il quale ha studiato filosofia in Germania. Appare, in seguito, Olga, che conosce Lenskij e se ne innamora perdutamente, ma questi è un uomo ormai disilluso, il quale, però, la guarda con accondiscendenza e alla fine, si fidanza. Anche Onegin vede in Olga una ragazza carina. Successivamente, conosce Tatiana, la sorella di Olga, che è una ragazza seria, taciturna e, soprattutto, immatura. Intanto, quando vede Onegin, sperimenta sentimenti per lui. Infatti, si innamora di lui, ma Onegin la respinge, dicendole di non essere portato per amare. (Tatiana sarà presto una delle figure principali del romanzo e per la sua importanza, avrà un peso maggiore, più di Eugenio Onegin, da cui è tratto il titolo dell’opera). Per questo, Tatiana si dispera per quello che è successo, visto che è una persona sensibile. Nel frattempo, Lenskij decide di celebrare l’onomastico di Tatiana con un ballo e in più, invita Onegin. Al ballo, Lenskij porta la sua seducente ragazza, Olga. Onegin, senza patemi d’animo, corteggia la ragazza, la quale si dimostra interessata, iniziando, pertanto, una relazione clandestina. Difatti, Lenskij scopre il tradimento; perciò, decide di sfidare a duello Onegin. Lenskij muore. Nel frattempo, Tatiana si sposa con un principe, invalido di guerra, che è ben visto a corte. Alcuni anni dopo, Onegin viene a sapere che Tatiana lo ha sposato. Da quando lei è legata con questo principe, è molto cambiata rispetto al primo incontro con Onegin; infatti, è diventata più matura e pertanto, il giovane si rende conto dell’errore commesso un tempo rifiutandola. Le confessa il suo amore, ma è troppo tardi: Tatiana preferisce rimanere fedele a suo marito, anche se il suo amore per Onegin è ancora vivo. Tatiana lo rifiuta in nome della vita di campagna, semplice e portatrice di sani valori. Onegin non ha valori puri, non ha dei pensieri propri; lui è una specie di conglomerato di mode, che pensa soltanto a soddisfare i propri desideri carnali. Per quanto riguarda il finale del romanzo, Puskin vuole evidenziare come la Russia genuina e sana e che conosce lo spirito di sacrificio sia quella della campagna. Essa però è in grado di adattarsi ad un contesto europeizzato come quello della corte di Pietroburgo, nonostante la vita inautentica che lì regna. Infatti, San Pietroburgo venne definita da molti scrittori e dallo stesso Pushkin la citta anti-russa per eccellenza che aveva dei tratti infernali, che rischiavano di dilagare fino alla campagna russa. Pushkin inquadra Onegin come il ritardo dell’Impero Russo rispetto all’Occidente mentre Tatiana viene raffigurata come l’Occidente, ossia colei che si fa portavoce dei valori puri. Mettendo a confronto i due personaggi e il motivo per cui rappresentano rispettivamente questi due blocchi, Onegin è la causa del male, in quanto ferisce a morte in un duello l’amico Lenskij ed è una figura insensibile perché vede in Tatiana una donna eccessivamente sentimentale, mentre Tatiana simboleggia la campagna, dai tratti appunto puri, ed ha radici ben piantate nella sua terra e un codice etico, basato su valori ortodossi nazionali. In più, è stata dichiarata da Puskin come vera protagonista del romanzo di formazione. Inoltre, Tatiana riesce ad emulare il vuoto che si trova all’interno delle opere che ha letto e a diventare una donna matura, che riesce a portare con sé i suoi saldi valori nella corte di Pietroburgo. Tatiana da vera russa accetta dopotutto lo sfondo di questa città infernale perché non la può cambiare. riteneva Mazeppa come colui che si era ceduto ad interessi personali e offeso nella sua autorità da Pietro il Grande, per il fatto che si era concesso ad una ragazza di 40 anni più giovane di lui. Nel 1831, ottenne il permesso dallo zar di scrivere negli archivi dello Stato, autoproclamandosi difensore dell’autocrazia russa. Sempre in quell’anno, convolò a nozze con Natal’ja, ma non fu fin da subito una relazione matrimoniale fedele per via di alcuni tradimenti della donna. Perciò, Pushkin fu segnato a vita da questi comportamenti della moglie, che destarono in lui profondo malumore, che fece trasparire nelle successive opere, che scrisse. Tuttavia, Pushkin divenne un grande sperimentatore che provò di tutto, dalla poesia alla drammaturgia, basandosi su regole codificate legate dalle necessità creative. In aggiunta a ciò, Puskin fu il fondatore della stagione realista. Uno degli esempi più significativi è la pièce di Boris Godunov, che ha una caratura alla Riccardo III di Shakespeare. Si tratta di una pièce strana in cui non avvengono scontri. Tra l’altro, Modest Musorgskij rese il componimento di Pushkin un melodramma, che ebbe un successo strepitoso. Esso non presenta nessun antagonista vero e proprio e questo creò grande interesse nella critica. La prosa russa, a quel tempo, era poco sviluppata e si prediligevano delle forme brevi; per questo, Pushkin effettuò esperimenti stilistici con la lingua. Già, nel 1782, su commissione della zarina Caterina, venne eretto il “Cavaliere di Bronzo”, in Piazza del Senato a Pietroburgo. Dalla visione di questa statua, Puskin trasse nel 1833 l’ispirazione per la narrazione di un evento storico: durante un’alluvione che causò numerose vittime, il protagonista Evgenin, uomo piccolo, semplice e modesto, di San Pietroburgo, perde non solo la sua casa, ma viene lasciato anche dalla sua fidanzata. Pushkin, tra il 1835 e il ’36 scrisse l’ultima grande opera, “La figlia del capitano”. Il protagonista principale è Pyotr Grinev, un nobile di lignaggio inferiore. Suo padre, Andrei Petrovic, ottenne il titolo di primo ministro in pensione; vive nella tenuta di campagna della famiglia a Simbirsk. All’età di 5 anni, a Pyotr Grinev viene assegnato il precettore, nonché stalliere, Arkhip Savelich, che diventa il servo della famiglia. Tra l’altro, questi, per via del suo comportamento sobrio, viene anche chiamato lo ‘zio del ragazzo’. Savelich istruisce bene il giovane nobile, il quale impara rapidamente il russo. In seguito, Pyotr Grinev viene affidato su ordine del padre ad un insegnante francese, di nome Beaupré, che aveva il compito di impartirgli le basi per diventare un valoroso soldato. Nel frattempo, Savelich continua la sua professione di servo della famiglia Grinev. Beaupré, oltre ad essere un insegnante, era anche un soldato che prestava servizio militare in Prussia. Sebbene lui avesse un contratto secondo il quale doveva impartire al giovane alunno lezioni di francese, di tedesco e di scienza, il maestro viene condannato per ubriachezza, comportamento dissipato e inadempienza relativamente ai suoi doveri di insegnamento. In seguito, viene espulso dal ruolo di insegnante. Intanto, il giovane si diverte nella sua tenuta, inseguendo gli uccelli e giocando con i vicini nel cortile. A quasi 17 anni, suo padre decide di inviarlo a servire come soldato con lo scopo di formarsi come persona. Ma la Guardia imperiale e di Pietroburgo non risultano abbastanza formativi, così il padre decide di mandarlo in servizio a Orenburg da un suo vecchio compagno d’armi. Il giovane Pyotr parte alla volta di Orenburg e su ordine del padre viene accompagnato dal fedele servo della famiglia, Savelich, che doveva fare le veci del ragazzo, occuparsi della sua contabilità e mantenere al meglio il suo stato di salute. Durante il percorso, dapprima si fermano in una locanda, dove Pyotr conosce un certo Zurin, comandante di una guarnigione degli ussari, con il quale si lega amichevolmente. Successivamente, Pyotr gioca a biliardo con Zurin, scommettendo per 100 rubli sulla vincita, ma lui (Pyotr) perde la scommessa. Una volta rivelato a Savelic di questa sconfitta, si rimettono in marcia. Essa, però, fu interrotta subito dopo da un’improvvisa bufera di vento. Ad un certo punto, appare di punto in bianco un vagabondo dalla barba nera, che li guida in un villaggio vicino, dove troveranno riparo. Il giorno seguente, prima di proseguire per Orenburg, per ringraziare il vagabondo, Pyotr gli regala una pelliccia di lepre, nonostante le proteste del vecchio Savelic. Il vagabondo avrà un’impronta netta nel corso del racconto, perché si scoprirà essere Pugachev, che si era identificato con il nome di Pietro III (Jemelian Pugachev, esistito veramente, fu un temutissimo ribelle che stava richiamando sempre di più persone Perciò, è consapevole che dovrà lasciare la povera e orfana Maria. Insieme a lui, parte anche il servo Savelic. Intanto, dopo la partenza dei due, Pugachev nomina Shvabrin comandante della fortezza di Bjelogorsk. Pyotr, una volta giunto alla fortezza di Orenburg, consiglia al generale della città di attaccare i ribelli che hanno occupato la fortezza di Bjelogorsk, dove vive Maria Ivanovna. Ma contrariamente alle sue speranze, si opta per una strategia di difesa. Nel frattempo Pugachev si avvicina alla fortezza. Pyotr viene a scoprire da una lettera ricevutagli che Shvabrin costringe Maria a sposarlo; pertanto, parte per Bjelogorsk con Savelic. Durante il viaggio, però, i due vengono catturati da cinque contadini e condotti davanti al rivoltoso (Pugachev), il quale si mostrerà con entrambi, dopotutto, molto disponibile. Dopo avergli raccontato la faccenda di Shvabrin, Pyotr, Savelic e il ribelle usurpatore partono alla volta di Bjelogorsk, per svincolarla dalla decisione autoritaria di Shvabrin. Giunti a destinazione, Pugachev restituisce la libertà a Maria, permettendo, così, la sua unione con Pyotr. Maria e il giovane si mettono in viaggio per Simbirsk, nella città natale del ragazzo, ma, durante il tragitto vengono intercettati da una guarnigione dell’esercito regolare, che confonde il giovane per un insorto. In quella guarnigione, scopre che c’è a capo Zurin, proprio colui il quale aveva vinto nella locanda contro Pyotr. Zurin è comprensivo perché vuole capire la dinamica di questo passaggio verso Simbirsk. Consente a Maria di proseguire il viaggio con Savelic, mentre consiglia a Pyotr di non andare con lei, ma di prestare servizio per il tempo necessario nella sua guarnigione in modo da unirsi nella lotta contro Pugachev. Dunque, Pyotr accetta il suo consiglio. La rivolta dei ribelli viene soppressa e pertanto, viene arrestato Pugachev. Poi, Pyotr parte per Simbirsk, dove scopre che i contadini si sono ribellati nei confronti del padre; alla fine riesce a liberare tutta la famiglia. Ma non finisce qui. Pyotr viene accusato dal perfido Shvabrin di essere insorto contro Pugachev e lo sottopone a giudizio da una commissione d’indagine. Perciò, viene inviata una guarnigione che lo porta in giudizio. Il giovane viene condannato all’esilio in Siberia. Per questo, interviene Maria, la quale si reca a Pietroburgo per raccontare tutta la storia all’imperatrice Caterina II; questa si dimostra comprensiva e tollerante nei confronti di Pyotr: la zarina gli concede la grazia e, finalmente, potrà coronare il sogno di sposare la sua amata. Il lieto fine dell’opera non coincise con all’attuale sereno momento della vita di Pushkin; anzi, fu uno dei più complicati. La storia con la moglie Natal’ja lo turbava ancora di più, al punto che venne a scoprire che un ufficiale francese delle guardie russe, Georges d’Anthès, invaghito di Natal’ja, voleva sfidare a duello a colpi di pistola lo scrittore russo. Questa pratica, diffusa nell’epoca russa, si tenne la prima volta nel novembre del 1836, senza colpi di scena. Mentre la seconda, l’8 febbraio 1837, risultò fatale per Pushkin, che morì dopo due giorni d’agonia per le gravi ferite riportate all’addome. Dopo la morte, Pushkin venne ricordato come colui che ruppe i sistemi standardizzati, portando all’affermazione la lingua russa, conferendole versatilità, arcaismi e forestierismi. Grazie a lui, la prosa ebbe molta fortuna, divenendo sempre più realistica.
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