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Puškin, vita di Aleksandr Sergeevič Puškin, Sintesi del corso di Letteratura Russa

Riassunto del libro di Jurij M. Lotman

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Caricato il 13/06/2018

Sara.Biollo
Sara.Biollo 🇮🇹

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Scarica Puškin, vita di Aleksandr Sergeevič Puškin e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! VITA DI PUSKIN (JURIJ M. LOTMAN) CAPITOLO 1, GLI ANNI DELLA GIOVINEZZA Puskin nacque a Mosca il 26 maggio 1799. Suo padre era un funzionario del commissariato di Mosca e il nonno di sua madre era figlio di un principe nero che era stato inviato a Pietro I da Costantinopoli, aveva una sorella maggiore e tre fratelli minori. I puskin avevano scarse risorse economiche, furono per tutta la vita sull’orlo della rovina, ricorrendo spesso all’aiuto del figlio. La famiglia di Puskin faceva però parte della società colta moscovita (zio poeta, Vasilij L’vovic, casa frequentata da letterati famosi e Puskin fin da bambino ascolta conversazioni letterarie). I bambini ricevettero un’educazione disordinata, ma l’amore per il francese. Puskin non parla mai della propria infanzia, egli abbandonò senza difficoltà le mura della casa paterna e non rammentò mai i suoi genitori nei suoi versi. Li sostenne sempre economicamente, fu di aiuto anche ai fratelli che avevano ingenti debiti, ma i suoi ricordi cominciavano al Liceo, l’infanzia l’aveva cancellata. Quando sviluppò l’idea della casa, non la identificò con quella dove aveva trascorso l’infanzia, ma quelle dove visse nei periodi successivi. Per Puskin il liceo divenne il sostituto del mondo infantile, da cui attinse ricordi lieti e in cui apprese che i valori importanti sono bontà, compassione e comprensione. In realtà l’immagine idealizzata del Liceo che Puskin si era creato in quegli anni non corrispondeva ala realtà. Esso riproduceva la mentalità delle riforme di quel periodo di Alessandro, grandi promesse ma senza un piano generale di compiti e finalità. Il corpo insegnanti non aveva una buona preparazione e non rispondeva alle esigenze di un buon ginnasio. In teoria anche i fratelli minori di Alessandro avrebbero dovuto essere educati là, ma l’imperatrice si oppose e vedremo come Nicola salì al trono totalmente impreparato. Il cambio di programma fu però positivo, alleggerì l’ingerenza della corte nella vita del Lice, che aveva sede a Carskoe Selo(residenza estiva dell’Imperatore, dunque l’ubicazione lo rendeva annesso alla corte). Il primo direttore cercò di salvaguardarlo dall’influenza della corte, infatti gli allievi uscivano raramente e avevano visite limitate. In quegli anni il Liceo ispirò a Puskin immagini di monastero, vita claustrale e tentazioni del demonio. La fine del Liceo gli apparirà come liberazione da una prigione. Il programma era vasto, comprendeva lo studio delle lingue, della matematica, di letterature e retorica, di storia, geografia, ballo, scherma, equitazione e nuoto. Ma un piano così vasto senza un programma preciso e con pochi insegnanti esperti era destinato a dare una preparazione molto superficiale agli allievi. Tuttavia lo “spirito del Liceo” garantiva il rispetto delle personalità degli studenti, il senso dell’onore e del cameratismo e l’influsso benefico delle lezioni verso chi le ascoltava. Lo spirito di indipendenza e di rispetto verso la personalità, insieme alle idee progressiste erano coltivati dagli allievi, oltre all’avversione per il servilismo e il favoritismo, e l’indipendenza da giudizi e azioni. Dominavano il culto dell’amicizia e la passione per le lettere. Puskin strinse forti amicizie con Del’vig, Puscin, Malinovski e Kjuchel’beker, ma col passare degli anni gli interessi politici dei liceali erano maturati e si erano trasformati in convinzioni liberali e si tessevano i legami tra il Liceo e il movimento Decabrista. I suoi amici entrarono nella Corporazione Santa di Aleksandr Murav’ev e di Ivan Burcev, ma Puskin non fu invitato a prendervi parte e inoltre gli amici tennero nascosta la loro adesione. Ma il suo bisogno di amicizia lo spinse a dimenticare i contrasti. Così nella coscienza di Puskin il Liceo diventò il regno ideale dell’amicizia, e i suoi amici l’uditorio ideale della sua poesia. I rapporti di Puskin non furono mai facili a causa della sua suscettibilità che spesso si trasformava in atteggiamenti provocatori. Era inquieto, attribuiva importanza alle minime sciocchezze ricorda Puskin, era un attento osservatore e aveva sempre l’atteggiamento arrogate di chi vuole essere a tutti i costi primo. Le immagini del Liceo, suscitarono in lui la nascita della passione civile e un precoce amore per la libertà. Soprattutto grazie all’esempio di Napoleone, era chiaro che anche un qualunque ufficiale poteva diventare “uomo della storia”. La poesia per lui era una risposta a ogni cosa, una giustificazione e una promessa di immortalità. Nonostante non fosse attaccato ai genitori, sentiva il bisogno di un legame con le persone più anziane di lui: era pronto a ribellarsi contro le autorità, ma il loro riconoscimento gli era necessario. Anche il “culto dell’amicizia” (elemento inseparabile della letteratura preromantica) gli era indispensabile per colmare il vuoto affettivo lasciato dalla famiglia negli anni prima del Liceo. Possiamo dividere le sue amicizie in 3 periodi: 1) Dal Liceo ad Odessa, i suoi amici sono maggiori di Puskin per età, esperienza e posizione sociale (Karamzin, Orlov, Turgenev, Glinka, Caadaev) 2) A Michajlovskoe è attratto dai suoi coetanei, riprende i contatti del Liceo (Vjazemski, Batjuskov, Del’vig) 3)Dal 1820 al 1830 è amico di letterati alle prime armi, come Kireevskij, Pogodin, Gogol Il rinnovamento della cerchia di amicizie è uno degli elementi che mostrano il mutare della sua vita Un posto a parte occupa Zukovskij, lirico profondo e sottile, si dice che sia stato l’uomo più buono della letteratura russa, caratterizzato da bontà, dolcezza e sensibilità. Egli trovò con Puskin il giusto tono, non di troppa protezione o ammaestramento, ma di affetto, da fratello maggiore, che non impedisce di sentirsi pari (nonostante i momenti di contrasto). Le amicizie strette durante gli anni del Liceo contribuirono alla formazione di Puskin e alle convinzioni sociali e letterarie, ma anche sul carattere. Il Liceo era stata l’infanzia, poi iniziò la vita. Al Liceo era stato consacrato poeta 2 volte: • All’esame di fine anno, durante l‘incontro con Derzavin, episodio non avvertito dai contemporanei come di grande importanza, ma solo dalla cerchia ristretta di amici. Qui Puskin si sentì un paggio innalzato a cavaliere, fu tra i momenti più importanti della sua vita • Quando fu accolto nell’Arzamas, società letteraria che univa letterati giovani e appassionati, adoratori di Karamzin e ironici verso Derzavin. L’invito ebbe un significato profondo perché fu riconosciuta la sua appartenenza al mondo letterario, si sentì ammesso tra i poeti riconosciuti. CAPITOLO 2, PIETROBURGO (1817-1820) Il 14 dicembre 1829 Puskin si sentirà attratto verso casa e partirà per Carskoe Selo. Nei suoi anni giovanili la casa (ovvero il Liceo) corrispondeva alla prigione e oltre le mura stavano libertà e spazi aperti. Lo spazio aperto sarà Pietroburgo, e quando ci arriverà sarà la campagna. L’immagine si ritrova anche nel primo esilio, come fuga dalla prigionia verso la libertà e non come esilio forzato. Dunque a noi e a sé stesso, Puskin appare come l’Esule volontario, il Fuggitivo. Anche se Pietroburgo rappresentava la meta della fuga, nella realtà i genitori del poeta si erano trasferiti lì ed egli faceva ritorno a casa. Visse lì dal 1817 al 1820, quando fece tappa a Carskoe Selo. Presto dovrà abbandonare il progetto di entrare nell’esercito, poiché il padre era preoccupato di dover sostenere spese troppo ingenti e aveva voluto che il figlio prestasse servizio nei ranghi civili dello Stato. Puskin venne destinato al Collegio degli Affari esteri e si ritrovò avvolto da Pietroburgo. In quel periodo l’esito felice delle guerre di Napoleone aveva risvegliato nella società il senso della propria forza e i giovani fremevano dal desiderio di agire. Intorno agli anni Venti la letteratura era diventata una forma di comunicazione tra amici e il comportamento di Puskin in quegli anni era determinato proprio dal desiderio di stare insieme agli amici, in fraterna unione con loro. Va notato che tutti i circoli che attrassero la sua attenzione avevano una precisa identità politico-letteraria e di essi facevano parte i reduci di guerra o coloro che erano avvezzi alle discussioni letterarie, con gusti e concezioni già mature. Di norma l’appartenenza a un gruppo comportava l’esclusione dagli altri, ma Puskin fu alieno per tutta la vita dal prendere posizioni assolute. Entrando a far parte di un circolo come di un altro con leggerezza, egli si impossessava dello stile dominante in quel circolo, del carattere dei suoi partecipanti. Tra il 1817 e il 1820 andò formandosi la personalità del poeta. Egli non si fonde con norme e caratteri altrui, è occupato a cercare sé stesso. La sua capacità di cambiare non incontrò però sempre l’approvazione dei decabristi. Quando venne chiamato a far parte dell’Arzamas, si rese conto che l’indirizzo esclusivamente letterario del circolo era ormai un anacronismo, erano tutti membri di varie società segrete e consideravano la letteratura come un mezzo di propaganda politica. Ma il gruppo non era preparato a svolgere attività politica e finì con lo sciogliersi. Ma proprio qui Puskin conobbe Orlov e in particolare Turgenev, che ebbe una profonda influenza su di lui, esaltato dall’amore per la Russia e il suo popolo e dalla lotta contro la schiavitù, contraddistinto da dolcezza di carattere e liberalismo. Egli sperava di ottenere con l’aiuto del governo la liberazione dei contadini, appoggiato dalla Lega della prosperità che credeva in una funzione propagandistica della letteratura. Si avverte il suo influsso nella poesia di Puskin La campagna, anche se l’idea di rifiutare la poesia d’amore e sostituirla con quella politica era comune a tutti i decabristi. Egli era un moralista severo, sgridò più volte Puskin per la leggerezza con cui prendeva il suo servizio. In quel periodo Puskin aveva stretto amicizia anche con Glinka. Famoso per l’audacia straordinaria e la grande umanità, era un letterato di fama e un membro attivo delle organizzazioni segrete decabriste. Venne eletto presidente della Libera associazione dei cultori della letteratura russa. Puskin avvertiva l’influsso della sua personalità ferma e della sua purezza morale, e questo lo attirò nell’attività clandestina, diretta dalle società segrete. Queste opere hanno un carattere unitario, poiché imperniate sulla figura dell’autore: la sua vita privata diventa conquista dei lettori, ma finisce anche con l’influire sul comportamento dell’autore stesso. Tratto principale di questa immagine è il “poeta-fuggitivo, esiliato” anche se la differenza tra i termini (“colui che lascia volontariamente la patria” e “colui che è costretto ad abbandonarla”) avrà influito in maniera diversa. L’immagine del poeta fuggitivo era uno dei temi classici del romanticismo europeo e a esso si associava il tema della delusione. Nell’elegia S’è spenta la luce del giorno Puskin trasferisce questo modello romantico nella sua biografia e trasforma l’esilio in fuga volontaria, così come nel primo capitolo dell’Eugenio Onegin pur assumendo sfumature più complesse. L’immagine dell’esule era associata ad altri elementi, ciò che serviva era energia e disponibilità a battersi. L’immagine di Ovidio aiutò Puksin a capire sé stesso in quel periodo, gli diede un ruolo nella vita e un metro per misurare la propria personalità. Egli era come Ovidio, cacciato dal tiranno (anche se poi Ovidio invocava perdono). Nelle poesie, lettere e conversazioni di Puskin si ritrovano queste immagini. Nell’agosto del 1823 Puskin comunica al fratello il suo trasferimento a Odessa. Egli era stanco di stare a Kisiniev, dove il clima si era fatto pesante, e anche se Kisiniev non era la prigione e Odessa non era la libertà, scrisse un’epistola rivedendosi nel destino dell’eroe romantico (“…era il pensiero delle catene abbandonate…”). Il motivo dell’amore eterno, nascosto e non ricambiato ha un ruolo importante nell’immagine del poeta Puskin: egli aveva fatto di tutto per crearsi intorno un’aureola di mistero attraverso allusioni a una passione nascosta. Questo tema dell’amore nascosto conferisce unità al ciclo di poesie del periodo di Crimea e alla Fontana. Quando a dicembre uscì l’almanacco di Bestuzev e Ryleev, vi era pubblicata un’elegia per intero, sebbene Puskin avesse chiesto di omettere gli ultimi tre versi e si infuriò dicendo che era dedicata a una donna che avrebbe dovuto restare segreta e si può pensare che l’elegia fosse un’ammissione involontaria, la prova di un amore segreto. Ma nascono dei dubbi, secondo i quali Pusdkin, presentando quei versi come diario lirico del suo cuore, avesse imbrogliato Bestuzev e i suoi lettori, avvolgendo la sua poesia di un alone romantico. Anche con la Fontana, Puskin mise in giro la voce che l’opera andava messa in relazione con un suo legame sentimentale, ma era tutto necessario alla creazione di una “seconda biografia letteraria” che sarebbe servita ai lettori come contesto per collegare le sue opere. Il rapporto del poeta con la letteratura presenta un altro aspetto: Puskin aveva bisogno estremo di denaro ed era chiaro che le sue opere, sempre più richieste, avrebbero potuto fruttare soldi ma c’erano delle difficoltà: in Russia non esistevano leggi che salvaguardassero i diritti d’autore e inoltre trovandosi in esilio, Puskin era costretto a ricorrere all’aiuto di intermediari incapaci. Il vero ostacolo era però che in Russia c’era l’idea che la poesia non fosse un lavoro, ma un dono degli dei e dunque ricevere un compenso sarebbe stato umiliante per il poeta. Le circostanze della vita costrinsero Puskin a sentirsi letterato di professione, in contrasto con l’immagine romantica del poeta pigro, amante dell’ozio. Puskin pone così in contrasto due mondi, quello poetico e quello della prosa quotidiana, entrambi per lui familiari. Il suo primo poema uscì quando si trovava al sud, ed ebbe un successo enorme ma lui non ottenne guadagno al contrario del suo editore. Nessuno lo rimproverò, ma Puskin si sentiva un letterato nuovo, non disposto ad accettare la mancanza di professionalità nell’editoria. Cambiò editore per la pubblicazione dei poemi successivi, riuscendo a spuntarla. Il soggiorno di Puskin a Kisiniev è caratterizzato innanzitutto dai suoi legami col movimento decabrista. Dopo la caduta di Napoleone, l’Europa si era irrigidita; ora stava vivendo un nuovo momento rivoluzionario e in Russia il movimento di liberazione si era rafforzato. Puskin si immerse a capofitto in quell’atmosfera, come Poeta in mezzo ai cittadini. I decabristi speravano che la Russia avrebbe mantenuto le promesse di Alessandro I e si sarebbe schierata a favore dei correligionari greci e questo si sarebbe riscosso nella politica interna. Puskin si aspettava la guerra per prendervi parte. Iniziò a studiare il turco e a tenersi in contatto con i circoli insurrezionali greci. Nel marzo 1821 la Grecia insorge, l’entusiasmo è al culmine arricchendo l’esperienza personale di Puskin con le emozioni dell’entusiasmo politico e dandogli la possibilità di assistere da vicino agli avvenimenti. In quel periodo i contatti con i decabristi come Raevskij e Orlov, ebbero per lui un significato enorme. Per Orlov questa partecipazione all’insurrezione greca faceva parte di un piano di rivoluzione russa. A corte non ci si fidava più di lui e la sua richiesta di essere designato comandante era stata respinta. Le persone che esercitarono maggiore influenza su Puskin quando giunse a Kisinev erano le stesse che si trovavano più vicine a Orlov ed egli stesso lo accolse a braccia aperte in casa sua. Puskin era interessato politicamente al problema della “pace eterna”, dopo aver constatato che le forze reazionarie, vincitrici di Napoleone, avevano affermato il proprio predominio all’insegna della pacificazione dell’Europa. La guerra era vista come un mezzo per difendere gli interessi nazionali del proprio paese, dopo che in esso si fosse instaurata la libertà. Ma le questioni fondamentali dibattute nel circolo di Orlov e in casa Raevskij riguardavano l’assetto interno della Russia. Durante queste riunioni emergono le idee di Puskin, che si dichiara in favore del tirannicidio. Egli intraprese molti viaggi che rafforzarono i suoi legami con i decabristi e in particolare questo fu determinato anche dalla lirica politica che scrisse in quel periodo. Inoltre la sua fama di esiliato, le difficoltà finanziarie costanti, il grado burocratico insignificante, l’ambiguità della sua posizione sociale lo rendevano vulnerabile. Trovandosi lontano dai centri della vita letteraria, non poteva difendere i suoi diritti d’autore e il suo comportamento era spesso giudicato leggero e instabile a causa delle sue convinzioni sulla poliedricità di una persona. La sua dignità era messa continuamente a dura prova: egli era come un civile tra i militari, un giovane tra ufficiali combattenti. Essendo primo di gradi, soldi, protezioni, “buona educazione” doveva conquistarsi ogni cosa da solo usando la sua unica arma: il genio. Aveva profonda fiducia nella propria dignità e importanza e determinazione nel difendere la sua indipendenza. Nel 1822 scrisse una lettera al fratello che può essere interpretata come un codice d’orgoglio (“Sii freddo con tutti… non mostrarti servizievole… non accettare mai prestiti… non dimenticare mai un’offesa intenzionale…”) Il 28 ottobre Alessandro I ricevette notizia dell’insurrezione di un reggimento e le indagini si fecero più serrate sulla Lega della Prosperità e Orlov comparve come uno dei membri più attivi. Due episodi che mostrano fino a che punto Puskin fosse coinvolto sono la sua partecipazione ad una discussione sul ruolo delle società segrete nella proprietà dei Davydov, e il servizio che rese al movimento decabrista avvisando Raevskij che stavano per arrestarlo. Questi episodi provano che egli si sentiva vicino ai congiurati del Sud, alle loro vite personali e quotidiane. Ma perché gli fu mai offerto dai decabristi di entrare in una società segreta? Probabilmente non volevano mettere a repentaglio il suo talento di poeta e inoltre, in quanto esiliato, Puskin era sottoposto a una speciale sorveglianza. Nel febbraio 1822 nel gruppo di Kisinev si produsse una crisi (Orlov oggetto di indagini) e nel 1823 si verificarono cambiamenti nell’assetto della Russia meridionale. Puskin accettò con gioia di essere trasferito a Odessa alla prima occasione e vi rimase fino ad agosto 1824, trascorrendo lì uno dei periodi più controversi della sua vita. Per la vita mondana e i teatri, Odessa gli ricordava Pietroburgo, ma le inclinazioni liberali degli ufficiali lo facevano pensare a Kiev, Kisinev, Kamenka; per il mare e i giornali francesi gli ricordava l’Europa. Ma in questa realtà di tipo poetico-festivo ce n’era una più prosaica: l’afflizione per la mancanza di soldi, avvertita qui più acutamente, e per i debiti insoluti. A Odessa la vita quotidiana è fatta di polvere, sporco, mancanza d’acqua, e quella poetica è fatta di mare, vino, opera, donne. Ma la vita di Puskin lì è più segnata da preoccupazioni e delusioni. Ma la causa principale della sua amarezza e delusione fu la fine del gruppo di Kisinev, l’arresto di Raevskij e l’allontanamento di Orlov, la violenza e l’illegalità del governo. La fine del circolo coincideva con un periodo di crisi dei decabristi. L’eroe solitario e romantico era rimproverato per egoismo e incapacità di comprendere il popolo. Questo si riflette nelle liriche di Puskin (es. Il Demone, nella cui immagine si disse che raffigurava Raevskij, pur essendo pericoloso interpretare l’opera in modo strettamente biografico; e compose il secondo capitolo dell’Onegin). Il soggiorno a Odessa fu caratterizzato dall’amicizia con Raevskij. Egli non possedeva le capacità per un ruolo non ufficiale, si ritrovò in una posizione intermedia e si incattivì, diventando famoso per il terrore che suscitava nella buona società. Lui e Puskin erano legati da un gioco “alla letteratura” in cui dovevano impersonare eroi romantici e comportarsi in maniera provocatoria nella società: Raevskij poteva così appagare le sue ambizioni infrante, e Puskin dimenticava i tradimenti reali degli ultimi mesi. Ma era un rifugio insoddisfacente, Puskin aspirava a una vita libera e autentica e questo desiderio si fuse col desiderio d’amore. A Odessa si innamorò ripetutamente e appassionatamente, facendo pensare a un legame tra tensione emotiva e crisi dei valori intellettuali e culturali attraversata dal poeta in quel periodo. A maggio 1824 il suo cuore era occupato da Elizaveta Ksaverievna Voroncova, ma l’amore per lei fu reso difficile dai rapporti di Puskin col marito e lo scontro tra i due avvenne sul piano della dignità personale, a cui Puskin aveva sempre arrecato importanza; tutta la sua vita fu attraversata da un senso di dignità, ma per Voroncov, la poesia era una cosa assurda, si chiedeva che scopo avesse e Puskin lo riteneva un “meschino cortigiano”. Nel 1824 Puskin venne licenziato e lasciò Odessa insieme al suo servitore. *** Negli anni dell’esilio era divenuto famoso in Russia, aveva conosciuto gloria e successo; la sua fama era legata ai Poemi meridionali, chiamati così per il luogo di composizione e per il colorito romantico e meridionale. Ma nella seconda metà del 1823con il primo capitolo dell’Onegin e con il poema Gli zingari, egli rompe col romanticismo e cerca nuovi mezzi di espressione artistica (processo accelerato dalla crisi personale). Adesso Puskin ha davanti a sé la strada che lo riconduce a Michajlovskoe. CAPITOLO 4, MICHAJLOVSKOE (1824-1826) Puskin giunse a Michajlovskoe il 9 agosto 1824 e il suo arrivo a casa fu triste, poiché seppur stanco dei vagabondaggi e della miseria, la Casa era il luogo dell’esilio e inoltre il padre si prese l’incombenza di sorvegliarlo acutizzando i contrasti col figlio e determinando la partenza di genitori e fratelli. Egli rimase solo con la nutrice. L’esilio a Michajlovskoe fu una dura prova: la separazione dalla donna amata, la solitudine, le ristrettezze economiche, la mancanza di amici e distrazioni trasformarono la sua vita in una tortura morale. Puskin non impazzì a causa della sua qualità di dare vita all’ambiente e trasformarlo, non di adattarsi. A Michajlovskoe la vita è in contrasto con ciò a cui Puskin è abituato: egli amava la gente, l’allegria, le conversazioni e ora viveva in solitudine, con pochi avvenimenti insignificanti che diventano eventi. L’avvenimento principale del periodo riguarda la sfera creativa. La vita quotidiana e la poesia, l’atmosfera dei nidi culturali di provincia caratterizzano il tono del suo esilio e la sua evoluzione artistica, che dipende dall’osservazione della vita quotidiana. Le molteplici fratture e i tormenti che avevano caratterizzato la sua vita esercitarono una profonda influenza sulle sue opere. L’esperienza personale di un poeta è molto più casuale di quella relativa all’esperienza collettiva di un’epoca che determina la scomparsa di fenomeni come il romanticismo o il realismo. Nella creazione artistica, l’elemento principale è la capacità di auto-osservarsi e inoltre si presuppone il verificarsi di fatti nella vita, per questo il “periodo meridionale” fu per Puskin molto importante. Le norme di comportamento romantico esigevano che nella vita ci si comportasse in base a un determinato modello letterario, una sorta di maschera che diventava inseparabile dall’uomo e grazie a essa il romantico capiva sé stesso. Nel sud il comportamento romantico di Puskin aveva una sua peculiarità, consisteva in un assortimento di maschere diverse e questo ebbe due conseguenze: • Il poeta ebbe la possibilità di osservare la psicologia romantica dall’esterno, come una maschera rimossa • Nel comportamento di ogni giorno si formava il gioco con gli stili, il rifiuto dell’egocentrismo romantico e la possibilità psicologica di considerare il punto di vista altrui. Unica radice psicologica e unico obiettivo era la semplicità. Anche in questa fase Puskin si domanda cosa si intenda per poeta; il romanticismo aveva risposto “un uomo strano”, ma qui a MIchajlovskoe Puskin si convince che sia “semplicemente un uomo”. Egli identifica il concetto “poetico” con “consueto, giornaliero” e impara a guardare il mondo con gli occhi di un’altra persona, creando un nuovo atteggiamento verso la vita che gli permette di individuare bellezza, verità, saggezza e non banalità o routine. A Michajlovskoe Puskin vive una sorta di ritorno al mondo dell’infanzia (egli concepiva il movimento avanti come un ritorno). Qui conduce una vita semplice, la sua occupazione è la letteratura, è preso da problemi come il rapporto con la vita e con gli altri, la relazione poesia/realtà. La molteplicità stilistica di volti scoperta a Odessa qui entra nella sua vita. Egli relega in secondo piano il diritto alla prosa della vita quotidiana, mentre è il comportamento poetico è degno di una personalità eccezionale. Il comportamento prosaico è usuale, naturale, come quello di tutti gli altri, dovuto al fatto che l’uomo non si vergogna della quotidianità. L’atteggiamento di Puskin verso il poeta è un misto di professionalità pratica e verità intesa come valore supremo. Quando nel 1826 scrive Dialogo di un libraio col poeta, conclude con un’osservazione sulla supremazia della semplicità in quanto verità. Puskin si batté con forza per affermare il mestiere dello scrittore, occupandosi attivamente dell’edizione delle proprie opere. La raccolta di poesie richiese impegno e sforzo non indifferenti ma nel dicembre 1825 venne alla luce e andò esaurita in pochi giorni. Il loro successo fu memorabile nella letteratura russa. I suoi versi infondevano speranza, mostrando la nuova opposizione delle forze sociali ed egli fu riconosciuto in quegli anni come il più grande poeta russo. Consapevole di queste responsabilità, Puskin organizzò il movimento letterario, all’epoca non capeggiato da nessuna rivista. L’unica era un almanacco annuale di Ryleev e Bestuzev, ma non poteva contribuire a creare La vita di Puskin nella seconda metà degli anni Venti è complessa, contraddittoria in qualunque aspetto si consideri. Egli era capace di assumere su di sé molte cose contemporaneamente, ma al centro restava sempre la poesia e proprio in quegli anni difficili egli fu consapevole di aver raggiunto la maturità artistica. Mentre continuava l’Onegin, scrisse il poema Poltava e maturò l’idea di un dramma. Aveva tentato di iniziare un romanzo, Il negro di Pietro il Grande e rivolgendosi alla prosa, aveva dato nuova luce a questo concetto, sollevando la quotidianità al livello della poesia. Ma sebbene la poesia richiedesse tempo e fatica, egli aveva bisogno che gli fosse riconosciuto il diritto di essere semplicemente un uomo. Risolse il problema distinguendo 3 sfere della sua vita: • Il letterato di professione, giornalista, polemista che richiedeva contatti con librai ed editori • La vita del poeta, il suo lavoro creativo che richiedeva solitudine e pace • La vita dell’uomo di mondo, che aveva rapporti con altra gente, estraneo alla sfera professionale Questo periodo di passaggio manca di unitarietà, percepibile nelle molte opere incompiute, nonostante il desiderio di completezza. Nel 1830, anno delle conclusioni, termina l’Onegin, scrive le piccole tragedie e la prima opera in prosa, I racconti di Belkin. Poi decide di sposarsi. CAPITOLO 6, L’ANNO MILLEOTTOCENTOTRENTA A Puskin le donne piacevano un po’ tutte, ma osservando i fatti si intuisce che la sua decisione di sposarsi fu dettata da impulsi più profondi, non decise di sposarsi perché era innamorato, ma perché aveva deciso di sposarsi. Il primo maggio 1829 chiese la mano di Natal’ja Nikolaevna Goncarova e un anno dopo fu ufficialmente fidanzato. La notizia venne accolta con incredulità e meraviglia da chi lo conosceva, poiché il matrimonio sembrava inconciliabile con l’aureola romantica che egli sembrava destinato a portare per tutta la vita. Secondo Puskin in realtà la quotidianità era molto più difficile dell’eccezionalità romantica; nella sfera quotidiana essa esprimeva quella stessa aspirazione alla semplicità alla quale tendeva la poesia di Puskin negli anni Trenta. Verso il 1830 la posizione di Puskin si era fatta difficile e i suoi rapporti col potere erano ambigui e falsi. La sua linea consisteva nel misurare la franchezza quando si trattava di esprimere le proprie opinioni. Lo zar era riuscito a convincerlo che il gioco in corso era onesto e aperto, ma le cose stavano diversamente: né lo zar, né Benkendorf credevano a Puskin, vedevano in lui un agitatore astuto e pericoloso. Ogni sua libertà di movimento era apparente, poiché doveva chiedere il permesso ogni volta che si allontanava da Pietroburgo e così si trovò invischiato in una serie di indagini. Anche i rapporti tra Puskin e i giovani letterati si erano fatti difficili. Con la diffusione sempre più massiccia della letteratura, andò crescendo il numero di lettori e l’interesse materiale degli scrittori per le proprie opere: essi erano ormai una categoria riconosciuta con uno statuto sociale. Ma l’atmosfera si fece meno trasparente, la letteratura fu inquinata da persone senza scrupoli con puro interesse economico. Gruppi di persone che commerciavano con la letteratura cominciarono a tessere legami con la polizia segreta cercando di garantirsi un appoggio nella lotta letteraria. In questo periodo emerge la figura di Bulgarin, tenace partigiano dell’ortodossia, si russificò a tal punto da tentare di dimenticare la lingua polacca. Il governo, che cercava contatti con l’ambiente letterario, si rivolse a lui per raccogliere giudizi sull’organizzazione dell’istruzione in Russia. Puskin aveva assolto l’incarico in maniera insoddisfacente, mentre Bulgarin scrisse una nota che era una voluta delazione politica su allievi del Liceo di Carskoe Selo. Nonostante questo, egli manteneva con Puskin rapporti corretti, gli elargiva lodi nelle relazioni e persino nei rapporti segreti non lo attaccava direttamente. Grazie alla protezione di Benkendorf, Bulgarin venne assunto al Ministero dell’educazione e poi si garantì una posizione di monopolio nel giornalismo con la direzione di un giornale popolare in Russia. Nel 1829 Puskin e i suoi amici vennero a sapere della sua attività come agente segreto, pubblicando una tragedia simile al Boris Godunov, di cui solo la censura era a conoscenza. Il poeta volle smascherarlo, e gli fu d’aiuto la pubblicazione dal 1830 della “Gazzetta letteraria” che aveva lo scopo di battersi per l’affermazione di un’etica letteraria. Ora Puskin si sentiva obbligato a prender posizione per la purezza della morale letteraria. Una rivista che si occupava di questioni letterarie non poteva essere rivolta a un pubblico di massa e non poteva aspirare a contrapporsi alle pubblicazioni di Bulgarin, ma il conflitto fu inevitabile. Era nato il lettore di massa, che non si accontentava più di quel tipo di letteratura superata, di cui Puskin era considerato l’iniziatore. Questo pensiero era incarnato da due giornalisti: • Polevoj, con il fratello dirigeva una delle pubblicazioni più popolari. Le sue convinzioni erano legate alla tradizione decabrista dell’amore per la libertà, ma influenzate dalle idee borghese-democratiche francesi degli anni Venti. Intraprese in quel periodo una campagna contro le autorità come Derzavin, Karamzin e Puskin, in particolare accusò quest’ultimo di avventurismo e fede nel liberalismo aristocratico • Nazedin, professore all’Università di Mosca, era nemico della letteratura nobiliare, si era costruito un ideale di autocrazia democratica, retta da un popolo illuminato. Avversava anche il romanticismo e al posto della letteratura romantica voleva una poesia popolare, radicata nella vita profondamente russa. In Puskin egli vedeva il capo della letteratura nobiliare e per questo lo osteggiò, dicendo che aveva tradito gli ideali decabristi. Puskin era andato talmente avanti rispetto ai contemporanei, che a questi sembrava che fosse rimasto indietro. Bulgarin lo accusava di aristocraticismo letterario, rivolgendosi a due destinatari: ai lettori con la demagogia e al governo con la denuncia. Puskin non poteva non rispondere, si rendeva conto che il futuro della letteratura russa dipendeva dagli sforzi suoi e dei suoi amici. L’importanza dei suoi articoli scritti tra 1830 e 1831 sta nell’aver saputo creare per la letteratura russa un’atmosfera di pulizia morale e aver reso il nome di Bulgarin odioso e offensivo. Fece conoscere la sua attività poliziesca dapprima con un epigramma, poi pubblicò sulla gazzetta una recensione con un feroce ritratto di Bulgarin, smascherato come agente segreto della polizia. Negli anni che seguirono la rivolta decabrista, Puskin aveva cominciato un’attenta riflessione sul problema della storia. Egli contrapponeva la fiducia romantica nell’eroe a una visione della vicenda storica come processo graduale, ma anche questa visione si era evoluta e ora ciò che gli interessava della storia era la componente umana. Puskin prese ad apprezzare anche il suo senso, cioè l’accumulazione di valori culturali che porta all’arricchimento e alla liberazione della persona umana. La storia è la memoria di un popolo, il rispetto del proprio passato era collegato con la coscienza della personalità individuale. Puskin considerava la nobiltà russa come la forza propulsiva del progresso sociale e la riserva del movimento rivoluzionario. Inoltre egli considerava la storia non come astrazione ma come legame vivo tra persone vive. La storia passa attraverso la Casa dell’uomo attraverso la sua vita privata. Non sono i titoli, le onorificenze ma è l’indipendenza che trasforma l’uomo in personalità storica. La Casa acquista dunque un senso speciale, tempio della dignità umana e anello nella catena della vita storica. Puskin decise di sposarsi e metter su casa per varie ragioni: Innanzitutto fu spinto dall’amore, dalla passione, dal desiderio di possedere la donna amata e dalla speranza di essere felice; poi da considerazioni sull’infelice vita da scapolo, a cui vanno aggiunte riflessioni storico-sociali che vedevano nella Casa il punto d’approdo, come la nostalgia per ciò di cui era rimasti privo nell’infanzia o la convinzione che solo l’uomo che possiede una Casa è attaccato alla terra natia, alla storia, al popolo. Dopo la proposta nacquero però delle difficoltà. I genitori della ragazza erano preoccupati per la reputazione politica del fidanzato e Puskin scrisse una lettera a Benkendorf per chiedere i suoi buoni uffici presso il governo. Inoltre il matrimonio richiedeva spese che né lo sposo né la sposa potevano affrontare, ma con notevole sforzo il padre assegnò a Puskin la piccola proprietà di Kistenevka. Alle vicende personali si sovrapponevano poi gli eventi storici, come la rivoluzione a Parigi e il colera a Mosca. Dopo aver visitato lo zio morente a Mosca, il 31 agosto 1830 partì per Boldino, dove si trovava la tenuta. CAPITOLO 7, L’AUTUNNO DI BOLDINO Puskin giunse a Boldino il 3 settembre. In un mese contava di sistemare le carte per l’entrata in possesso della proprietà datagli dal padre, impegnarla e tornare a Mosca per il matrimonio. L’idea di sprecare una stagione creativa come l’autunno lo metteva di pessimo umore, oltre all’essere esausto per le fatiche dell’anno trascorso. Egli si sentiva un artista nel pieno del vigore, ma non aveva tempo né tranquillità spirituale, con la quale si produce e il raccolto di versi dell’autunno costituiva fonte di sostentamento per tutto l’anno. I soldi gli erano necessari ma non aveva tempo per lavorare. Quando arrivò a Boldino dunque era profondamente depresso. Le prime composizioni di quel periodo erano piene di tensione, allarme, pervase da una profonda stanchezza. Ma bastò poco perché l’umore si ristabilisse: Natal’ja Goncarova era disposta a sposarlo anche senza dote. Ma non poteva lasciare Boldino, a Mosca c’era il colera, ottimo pretesto per Puskin per non muoversi da lì. Rimandando il momento della partenza, cresceva il tempo che poteva dedicare alla poesia. La solitudine di Boldino incanta Puskin anche per un’altra ragione: non è una solitudine tranquilla, intorno imperversano la morte e la collera e il senso del pericolo lo elettrizza e lo eccita come una doppia minaccia, risvegliando in lui le forze creative. Intanto a Parigi l’atmosfera si riscaldava poiché il re aveva chiamato al governo Polignac, realista ultra fanatico e il 26 luglio abolirono la costituzione. Ma il 29 la rivoluzione uscì vittoriosa ed essi furono arrestati. In agosto Puskin partì per Mosca con Vjazemskij e si stabilì a casa sua, ma a settembre tornò a Boldino. Mentre la rivoluzione si diffondeva, anche in Russia l’atmosfera era inquieta, poiché di solito le epidemie avevano sempre coinciso con moti popolari e con i torbidi. Alla notizia dell’epidemia, il governo prese energiche misure e Nicola I, mostrando coraggio e decisione, si recò a Mosca, assediata dal colera. Il gesto ebbe un enorme valore per Puskin, che vi scorse audacia e umanità. Egli scrisse la poesia L’eroe in cui il protagonista è Napoleone, elogiato per la visita agli appestati a Jaffa, ma si allude alla visita di Nicola I. Puskin volle però mantenere l’anonimato, per non essere sospettato di adulazione. La combinazione di tranquillità e distrazioni, indispensabili alla riflessione, crearono delle condizioni favorevoli al lavoro creativo. Egli scrisse a settembre Il fabbricante di bare, La signorina contadina, numerose poesie, terminò l’Onegin; poi a ottobre scrisse altri racconti e due piccole tragedie, e poi appunti di carattere storico-letterario. A Boldino egli si sentiva libero, la produzione stupisce per l’ampiezza del suo respiro che si esprime in una grande varietà di idee e immagini. È la storia che dà senso agli avvenimenti e Puskin vi è avvolto non soltanto quando siede alla scrivania, affronta varie epoche nelle sue opere o analizza lavori storici; egli stesso vive immerso nella storia, ne è permeato. A Boldino terminò l’opera più importante, l’Eugenio Onegin, espressione di realismo artistico mai vesto nella letteratura russa. I Racconti di Belkin e le piccole tragedie segnano invece l’inizio di una fase nuova: ✓ Nei conflitti delle piccole tragedie egli mette in luce l’influenza che i momenti di crisi nella storia hanno sui caratteri degli uomini; ma nella storia vede tendenze mortifere, che lottano contro le forze vitali e umane, piene di passioni e slanci. ✓ I Racconti furono la sua prima opera in prosa terminata. Vi è l’idea di un narratore convenzionale, Belkin, a cui si affiancano narratori secondari (sarà ripreso da Gogol’ e altri) A dicembre Puskin riuscì a raggiungere la fidanzata a Mosca. Tra il 1840 e il 1850 prese piede nella letteratura un’idea molto importante: l’ambiente influisce sul destino e sulla formazione del carattere dell’uomo. Nel caso di Puskin, fu lui a trasformare l’ambiente, creandosi un’atmosfera spirituale a lui propria: sia nell’esilio al sud, che a Michjlovskoe, che a Boldino si nota l’influenza che le circostanze ebbero sul suo sviluppo creativo. I vari esili e soggiorni forzati contribuirono alo sviluppo della sua poesia nel periodo romantico (al Sud), a immergere Puskin in un’atmosfera di cultura popolare (a Michajlovskoe) e di storicismo (a Boldino). Erano comunque fardelli gravi, che avrebbero abbattuto personalità forti, ma Puskin sapeva padroneggiare il mondo in cui il destino l’aveva immerso, senza lasciare che l’ambiente avesse la meglio su di lui, ma padroneggiandolo. CAPITOLO 8, NUOVA VITA Il 18 febbraio 1831 Puskin sposava Natal’ja NIkolaevna Goncarova ed era felice. Ora l’intensità della passione non escludeva la quiete e la semplicità della vita domestica. Ma l’inizio della nuova vita fu accompagnato da presagi minacciosi. Nel maggio 1831 essi lasciarono Mosca per andare a Carskoe Selo; Puskin scelse di cominciare la sua vita nei luoghi legati al liceo, che gli ricordava la “famiglia di amici”. Ma a Pietroburgo la situazione era tesa: in Polonia era scoppiata la rivoluzione e il parlamento non riconosceva più la dinastia dei Romanov. A Pietroburgo invece si erano manifestati i sintomi del colera e la gente aveva assalito alcuni medici perché ritenuti responsabili, lo zar dovette reprime la rivolta. Questi avvenimenti avevano sollevato in Europa occidentale un’ondata di sentimenti anti-russi. Ma anche nell’ambiente domestico di Puskin c’erano ombre; oltre alla morte di Del’vig, Carskoe Selo fu isolata per il colera. I prezzi in città crescevano e Puskin non ebbe più contatti con i librai, trovandosi a corto di mezzi. Nonostante ciò, egli non era depresso, ma pieno di energie e pronto per l’inizio dell’autunno, stagione poetica. In quel periodo le sue convinzioni politiche poggiavano sulla convinzione che la società umana fosse il risultato di uno sviluppo storico continuo e regolare. Da un lato la severa verità della storia si opponeva alle illusioni romantiche, dall’altro si presentava non come corpo immobile ma come fiume in continuo movimento. Nelle relazioni internazionali questo significava principio della non ingerenza, poiché lo sviluppo storico di un popolo è connesso con leggi interne e non deve essere condizionato da forze esterne. Per questo Puskin criticò duramente Nicola I quando si intromise nelle rivoluzioni scoppiate a Parigi e in Belgio. La poesia Ai calunniatori della Russia venne accolta con benevolenza da Nicola I e Puskin gli chiede l’autorizzazione per pubblicare ufficialmente un giornale politico; ma Puskin ridimensionò il suo entusiasmo quando capì con che persone aveva a che fare. L’incapacità politica di coloro che erano al governo fece sì che essi si preoccupassero non delle contraddizioni sociali, ma di impedire che se ne discutesse. Puskin aveva ormai abbandonato la speranza di poter collaborare in qualche modo con il governo. Nel luglio 1831 chiese l’autorizzazione a servirsi degli archivi per scrivere la storia di Pietro il Grande e gli fu persino più né pace, né felicità, né libertà. I suoi tentativi di prendere parte alla vita storica dell’epoca si trasformavano in colloqui vani e umilianti; la poesia era una lotta continua coi censori per esprimersi liberamente; la vita letteraria era polemica e fatta di sterili discussioni con colleghi malvagi; anche la vita familiare cominciava a dare segni di stanchezza e raffreddamento. Puskin era dilaniato tra due opposti desideri: la ricerca di un nuovo rifugio, di nuovi legami e la voglia di piantar tutto e fuggire con moglie e bambini. A fine estate 1833 ricevette l’autorizzazione di andare a visitare i luoghi della rivolta di Pugacev, dove interrogò dei vecchi testimoni oculari dell’avvenimento; si recò poi a Boldino per lavorare alla Storia di Pugacev. Il 20 ottobre tornò a Pietroburgo per stamparla. Egli aveva riposto grandi speranze nella pubblicazione del libro, era la prima ricerca di carattere scientifico dedicata a questo avvenimento, ma i movimenti contadini e militari del 1830 avevano fatto esplodere di nuovo la questione della servitù della gleba e Puskin incontrò ostacoli da parte dei conservatori. Per l’autorizzazione a pubblicarlo, egli inviò il manoscritto direttamente a Nicola I. Inoltre la proibizione della “Gazzetta letteraria” e la morte di Del’vig avevano dileguato le ultime tracce di atmosfera letteraria, anche quella era cambiata. *** Puskin era ormai giunto al culmine della sua maturità artistica e fama. Egli sentiva dentro sé la forza e la capacità per affrontare nuove battaglie; era la maturità, il punto di equilibrio tra la gioventù non ancora trascorsa e l’imminente periodo dell’esperienza. Il romanticismo d’inizio secolo si era involgarito ed era divenuto moneta di scambio. Puskin contrapponeva alle frasi romantiche un’onesta verità sia nella vita che nell’arte. Egli aveva cercato di creare un’ideale di vita che comprendeva libertà e indipendenza, vita in famiglia ma anche impegno sociale. Come storico, egli cercava di mantenere quella quieta fiducia nella verità non adombrata da idee preconcette. Egli avvertiva l’esigenza di non litigare con la vita, ma di osservarla attentamente; come realista, doveva ammettere che il numero di lettori era cresciuto perché le leggi del mercato erano entrate nella letteratura e nel giornalismo. *** Nel 1834 cominciò a uscire a Pietroburgo la “Biblioteca di lettura”, diretta da Senkovskij, che aveva invitato a collaborare i migliori scrittori russi (tra cui Puskin), faceva largo uso di pubblicità, pagava gli autori generosamente. Ma Senkovskij trattava la rivista come una qualsiasi impresa capitalista e quindi fece leva sulle aree più arretrate di lettori, mettendo da parte i letterati progressisti. Nel 1835 su iniziativa di un gruppo di letterati nacque un’altra rivista, “Moskovskij nabljudatel’” che si proponeva di dare battaglia a Senkovskij, ma gli editori erano arroccati su posizioni troppo romantiche. Intanto Puskin ottenne l’autorizzazione alla pubblicazione del “Sovremennik” che uscì nel 1836 con scadenza trimestrale (tra i collaboratori più attivi vediamo Gogol’). Vi erano però pesanti limitazioni: la rivista non doveva avere carattere politico, aveva un numero di copie limitato, la censura era pesante: da rivista diventò almanacco. Nonostante ciò, la rivista era per Puskin un inizio importante, sentendosi il capo della letteratura russa, egli avvertiva la responsabilità per il suo futuro e nella rivista vedeva il mezzo per influire sul suo sviluppo. In essa trovarono posto libere manifestazioni del pensiero, pur evitando la polemica, opere letterarie di impegno e lavori scientifici. Puskin era pieno di energia e ottimismo, ma la rivista non ebbe successo: il distacco Puskin/lettori si accentuava. La sua vita era sempre afflitta da legami mondani. Il servizio a corte gli era molto gravoso. Egli sognava di ritirarsi in campagna, ma la vita mondana comunque lo affascinava, amava i balli e le conversazioni con i diplomatici, possedeva delle buone doti da parlatore ed era brillante. Sentiva di appartenere alla società mondana, che non idealizzava, ma di cui era il primo a mettere in luce le volgarità e le maschere di perbenismo; tuttavia in essa trovava anche focolai di cultura. Nonostante questo era indipendente e scomodo in società. Il 24 gennaio 1834 scrisse sul suo diario che D’Anthes stava per essere promosso ufficiale della guardia. Figlio di uno spiantato nobile alsaziano, era fuggito dalla Francia e si era trovato in Germania senza un soldo; era approdato in Russia al seguito dell’ambasciatore olandese van Heeckeren. Egli si fingeva ingenuo, ma era avido e calcolatore. Van Heeckeren ne aveva fatto un uomo ricco ed egli frequentava i salotti e i circoli aristocratici. Per rafforzare la propria posizione, egli seduceva le signore per interesse, come fece con una in particolare, dell’alta società. Il suo comportamento lasciava capire che gli puntava sullo scandalo solo per fare carriera. Gli occhi di D’Anthes caddero sulla moglie di Puskin, che restò profondamente turbato, non poteva rassegnarsi e lo sfidò a duello. Ma questi ebbe paura e per scongiurare il pericolo chiese la mano alla sorella Ekaterina, e Puskin ritirò l’intimazione. Egli però non si arrese e riprese a perseguitare Natal’ja Nikolaevna con tenacia. A poco a poco tutti i nemici di Puskin intrecciarono una sorta di complotto, pregustando il momento in cui avrebbero assistito alla sua umiliazione. Anche gli amici ritenevano che si stesse comportando in modo irragionevole, che fosse troppo aggressivo e restio alla conciliazione. In realtà la scortesia e la gelosia erano il dolore di un uomo che si sentiva profondamente offeso e non aveva difesa se non l’orgoglio e l’indifferenza verso la morte. Egli scelse di battersi faccia a faccia con l’avversario e il 26 gennaio 1837 inviò a Van Heeckeren una lettera contenente tali offese da rendere impossibile una pacificazione. Morì il 29 gennaio 1837, alle 2 e quarantacinque. La vittoria la ottenne difendendo il proprio onore, disonorando D’Anthes e Van Heeckeren che tra il disprezzo generale furono costretti ad abbandonare il paese. Egli morì non vinto, ma vincitore. La sua tragedia è considerata da due punti di vista: secondo il primo, Puskin è una vittima, ucciso da una malefica forza sociale; l’altro punto di vista ritiene che Puskin cercasse la morte. La poesia, la dignità dell’uomo, l’opera creativa, il genio erano inconciliabili col mondo in cui Puskin viveva e che lo respingeva come un corpo estraneo. L’idea che Puskin cercasse la morte si affacciò alla mente dei contemporanei, soprattutto perché il duello finale fu preceduto da una serie di prove, sfide anche immotivate. Negli ultimi anni il poeta si era convinto che Pietroburgo gli fosse ostile. In una lirica egli riproduce la sua psicologia: Lotta-Libertà-Amore si fondono in un insieme indissolubile. Ma la lotta presuppone un avversario reale e non una forza anonima, che era una delle caratteristiche della società di Nicola I. La sorveglianza continua era per Puskin una tortura; egli giorno dopo giorno venne avvolto in una rete di intrighi e maldicenze. Egli però sapeva di non essere questo, ma di essere il primo poeta della Russia, il cui nome apparteneva ala storia. Il suo ferimento e morte suscitarono nella capitale un’impressione enorme, una folla immensa accorse alla sua tomba. Egli si era trasformato nella statua bronzea che simboleggia la gloria della Russia. Puskin aveva vinto, non soltanto i suoi nemici erano stati smascherati, ma egli aveva messo a nudo la loro nullità. Puskin appartiene alla cultura russa non soltanto come poeta, ma anche come esemplare maestro di vita, come uomo che ebbe il dono di essere felice anche nei momenti tragici; seppe portare con allegria e gentilezza il suo fardello, sebbene il ruolo di poeta non fosse facile o allegro, ma tragico.
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