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Quaglino. La formazione, i metodi., Dispense di Pedagogia

riassunto dei capitoli 7-18-23-26-30-31

Tipologia: Dispense

2020/2021
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Scarica Quaglino. La formazione, i metodi. e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Outdoor Fare formazione, soprattutto pensando a quella degli adulti è un’attività che negli anni ha registrato profonde trasformazioni determinate in primo luogo da un cambiamento radicale nel modo di pensare al soggetto che apprende e di conseguenza alle modalità ritenute più efficaci per fornirgli un’opportunità di formazione. L’outdoor training compare sulla scena delle metodologie di formazione esperienziale come risposta, da un lato a questo cambio di prospettiva sul soggetto in apprendimento e dall’altro all’incalzante necessità da parte delle aziende di trovare nuove vie per una formazione più incisiva. UNO SGUARDO SUI PRESUPPOSTI TEORICI DI RIFERIMENTO ALLA BASE DELL’OUTDOOR L’OT rappresenta una possibile risposta metodologica a un modo differente di concepire l’esperienza formativa. Alla base c’è un’idea più emancipata del soggetto in formazione e quindi un modo di pensare ai processi di sviluppo e di apprendimento corrente con il desiderio di restituire un certo grado di libertà e di protagonismo alle persone coinvolte in un’esperienza formativa. Si è passati da un’idea di formazione centrata sul trasferimento di modelli, nozioni e conoscenze, in cui il soggetto aveva un ruolo abbastanza passivo, a un’idea di formazione capace di mettere al centro della scena formativa il soggetto, i suoi bisogni e la sua esperienza. Il modo di pensare e di agire della formazione è transitato da una prospettiva deterministica della formazione a una prospettiva euristica che fa il suo carattere empirico dell’esperienza e la necessità di sviluppare un sapere pratico a partire dalla comprensione dell’esperienza stessa. 1. Principali differenze tra prospettiva deterministica ed euristica nella formazione Nella prospettiva deterministica la formazione pensa a se stessa come a un’opera di miglioramento continuo delle conoscenze delle persone a cui si rivolge, e presuppone che vi siano delle conoscenze che si ritengono essere valide a priori. È una formazione che lavora sempre secondo il principio dello scarto fra quello che non si sa e quello che si dovrebbe sapere, tra quello che non s fa e quello che si dovrebbe fare. È ispirata al principio d’istruzione e ha un sapore vagamente addestrativo più che formativo. Nella prospettiva empirica l’azione formativa fa leva sul principio di scoperta che stimola la naturale predisposizione delle persone a una conoscenza trasformativa del mondo che li circonda. In questa prospettiva decade lo status di allievo inteso come soggetto passivo del proprio apprendimento che invece acquisisce una statua a sé. La formazione ha il ruolo di stimolare il soggetto a scoprire i contenuti che hanno una valenza formativa per lui e costruire e inventare strategie di azione. Mentre nella prospettiva deterministica il soggetto in formazione è chiamato a imparare nozioni e comportamenti la cui validità sarà sperimentata in seguito, nella prospettiva euristica le persone sono chiamate a cercare a scoprire da soli le risposte ai propri quesiti, lasciando alla formazione la funzione di accompagnare l’allievo a immergersi nella realtà. La formazione secondo il modello deterministico si affida alla logica del corsi in aula e al valore della scomposizione in unità didattiche degli obiettivi formativi secondo una logica educativa basata principalmente su un metodo deduttivo. La logica del metodo deduttivo prevede una didattica che alterna teoria e pratica esercitativa. La teoria rappresenta cosa c’è bisogno di sapere e cosa c’è bisogno di saper fare, mentre le esercitazioni hanno il fine di allenare gli allievi ad applicare le tecniche imparate teoricamente. L’attenzione è sul docente he insegna e sulla qualità del teaching. C’è bassa attenzione agli apprendimenti effettivamente realizzati e a ciò che è stato trasferito nel proprio ambiente di vita. nella prospettiva euristica invece l’attenzione è spostata sul soggetto che apprende, ai suoi interessi, difficoltà, esperienze e quindi a ciò che facilita il suo naturale processo d’indagine dei significati e delle soluzioni alla base del suo agire nel mondo. Nella prospettiva euristica la valenza principale dell’azione formativa non è delegata alla qualità del teaching ma alla qualità delle riflessioni che i partecipanti saranno disposti a fare, sull’esperienza vissuta. È un imparare facendo e il metodo di apprendimento che lo ispita è quello induttivo, in cui l’esperienza prende forma e diventa occasione di apprendimento solo quando diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria consapevolmente per comprenderne il senso. Affinchè produca sapere l’esperienza richiede ascolto, ascolto di sé, dei propri vissuti emotivi e cognitivi e del feedback degli altri se l’esperienza è avvenuta in gruppo come durante un OT. Il consulente di un percorso di formazione si trasforma in un facilitatore del processo di apprendimento ed è impegnato a stimolare la capacità insita in ognuno di porsi delle domande e di cercare di afferrare il significato delle esperienze che gli capitano. Il facilitatore agisce da stimolo per il gruppo, lo aiuta attraverso il dialogo ad entrare a fonde dell’esperienza appena fatta, lasciando poi ai singoli e al gruppo la scoperta di trarre da soli le indicazioni per la propria crescita. Nella prospettiva euristica la strategia didattica fa suoi alcuni principi teorici e metodologi di base, tra i quali:  Una persona sviluppa conoscenze e capacità attraverso le sue esperienze concrete e dirette  Le persone sono le uniche a poter decidere autonomamente cosa loro serve oppure non serve  Va stimolata la proattività delle persone in apprendimento in quanto sono loro gli attori principali del proprio apprendimento  Per praticare la realtà navigarne le difficoltà e trovare nuove strade compatibili è fondamentale re-imparare a saper stare in compagnia dell’incertezza, del disordine  Se la vita è un’esperienza di formazione allora è necessario far entrare l’errore e il casuale come metodo dell’esperienza formativa  Ragionare confrontandosi con il metaforico, il relativo aumenta le prospettive di apprendimento perché abbassa le difese, stimola la curiosità e il porsi delle domande, e predispone a un atteggiamento di scoperta.  È normale che ci sia discontinuità nel processo di apprendimento degli individui e quindi è utile abituarsi a progressioni veloci e a momenti di stallo  Non bisogna prevedere tutto ma essere disposti a lasciarsi sorprendere. Coerentemente con la prospettiva della formazione euristica si inserisce a pieno titolo la metodologia dell’OT. È una formazione basata sull’esperienza che riproduce attraverso metafore situazioni che le persone fronteggiano sul loro posto di lavoro. Come nella realtà i partecipanti impegnati nelle attività si trovano ad affrontare situazioni incerte e le loro scelte possono essere la causa dei loro successi o dei loro fallimenti. Sono quindi in prima persona responsabili delle azioni e delle loro conseguenze. La formazione di OT mette al centro l’uomo valorizzandone la possibilità di crescita autonoma. Ogni persona è lasciata libera di decidere fino a che punto coinvolgersi nelle diverse attività e nelle fasi di riflessione e rielaborazione dell’esperienza, e spetta a ognuno fare i dovuti parallelismi con la sua vita reale e concettualizzare quanto ha appreso. È sempre l’individuo ad essere libero di applicare o no i comportamenti appresi, inoltre l’OT sfrutta appieno le potenzialità del gruppo come facilitatore del processo di apprendimento, in quanto ciò che l’individuo impara dipende principalmente dall’influenza che esercita su di lui il contesto sociale in cui è inserito. L’apprendimento diventa allora il risultato del processo di comunicazione e dell’osservazione reciproca che s’instaura tra i soggetti che interagiscono. David Kolb influenzato dal pragmatismo di Dewey ha proposto un modello di apprendimento dove svolgono un ruolo centrale l’esperienza concreta e l’osservazione riflessiva dell’esperienza. Il processo di apprendimento viene rappresentato dal suo famoso modello definito ciclo di apprendimento esperienziale, che si articola in quattro stadi ognuno dei quali rappresenta anche quattro differenti attitudini degli individui all’apprendimento. funzionali, e di potersi sperimentare grazie alle attività che vengono proposte, sia fisicamente che relazionalmente attraverso il continuo scambio e confronto con gli altri. SU COSA SI BASA L’EFFICACIA DELL’OUTDOOR L’OT fonda la propria efficacia sulla presenza di un mix di ingredienti provenienti dai principi della formazione esperienziale e dall’andragogia. I principali sono  Componente esperienziale: l’attenzione è rivolta al qui e ora e questo facilita il collegamento tra i processi di apprendimento e le situazioni concrete che si stanno vivendo. Le attività da svolgere richiedono ai partecipanti di utilizzare risorse concrete e ottenere obiettivi precisi il cui raggiungimento è immediatamente verificabile. I successi e gli eventuali fallimenti portano a sviluppare un sapere di tipo prassico che pone una certa solidità agli apprendimenti e produce effettivi cambiamenti nelle strategie di comportamento individuale e di gruppo. La formazione esperienziale li rende in prima persona responsabili delle azioni intraprese e delle loro conseguenze. L’OT lascia il partecipante libero di: - Decidere il suo livello di coinvolgimento nelle diverse attività che gli vengono proposte - Trovare nessi e parallelismi tra le attività metaforiche che gli vengono proposte e la propria vita professionale - Riflettere, discutere, ragionare con altri e concettualizzare quanto appreso in modo da poterlo trasferire nella quotidianità la formazione esperienziale è fortemente legata alla realtà, le situazioni che i partecipanti affrontano sono percepite come reali e concrete in quanto si trovano ad affrontare una serie di problemi reali con persone reali, in tempi reali, con regole reali. I partecipanti durante il debriefing sono costantemente stimolati dal consulente/facilitatore a lavorare sul qui e ora e a percepire il nesso tra quello che si sta facendo e la realtà personale/professionale quotidiana.  Utilizzo della metafora: le attività proposte risultano formative in quanto legate metaforicamente all’uso di determinate competenze utili nel proprio contesto organizzativo e oggetto degli obiettivi di apprendimento di quel gruppo. Attraverso le metafore questo tipo di formazione esperienziale è in grado di riprodurre le situazioni che le persone quotidianamente vivono sul loro posto di lavoro come problemi a prima vista insolubili: tempi ristretti per il raggiungimento degli obiettivi, conflitti nella ricerca del consenso, ostacoli e difficoltà nella comunicazione, gestione delle priorità e delle urgenze ecc. le metafore dovranno essere capaci di far emergere atteggiamenti, comportamenti, criticità e problematiche tipiche del contesto professionale, così da poterle affrontare spogliate dalle difese che la finzione consente per attivare nuove modalità e risorse individuali e di gruppo.  Gioco, sfida e creatività: i partecipanti si confrontano con un terreno sconosciuto e sono costretti ad adattarsi, correre dei rischi, operare anche senza conoscere tutte le risposte. Avanzare in un ambiente sconosciuto crea un clima di avventura che è un supporto pedagogico prezioso per attivare un atteggiamento euristico e permettere un apprendimento basato sulla scoperta. Calati in un contesto ludico i partecipanti attivano il proprio sistema agonistico che li porta ad assumere comportamenti sfidanti sia nei confronti delle proprie possibilità che nei confronti degli altri componenti del gruppo. Le attività inusuali e piacevoli e gli strumenti didattici del consulente come corde, tavole, palle, hula hoop, bandane ecc. vengono percepiti dai partecipanti come giochi e questo aspetto è funzionale per abbassare le difese individuali, creare un clima rilassato e destrutturato e predisporsi a una sospensione del giudizio che consente ai partecipanti di osare di più e mettersi in gioco in modo libero e creativo, svelando aspetti di sé che difficilmente emergerebbero altrimenti.  Coinvolgimento: i partecipanti sono i protagonisti attivi delle attività in OT. L’apprendimento avviene attraverso un circolo virtuoso che vede alternarsi il proprio coinvolgimento intellettuale a quello fisico. Dall’esterno non vengono forniti modelli o tecniche preconfezionate e valide per tutti ma viene favorita l’attivazione e l’emergere spontaneo delle risorse personali e di gruppo. I partecipanti hanno delle solide certezze delle abitudini, delle convinzioni, dei pregiudizi. Per questo le prime attività proposte ai partecipanti saranno degli icebreaker con l’obiettivo di abbassare l’atteggiamento pragmatico razionale lasciando spazio al coinvolgimento emotivo, questo servirà a creare un clima positivo e un ambiente sicuro e non giudicante. Nelle fasi successive le attività proposte e i debriefing permetteranno ai partecipanti di interagire un necessario ragionamento razionale sulle esperienze fatte, così da concettualizzare le scoperte su di sé e sul gruppo, e poterle trasferire nella quotidianità professionale.  Importanza dell’osservazione e della riflessione: l’obiettivo dell’OT è di sospendere le azioni ripetitive che caratterizzano la quotidianità e creare uno spazio di riflessione per ripensare a se stessi e alle dinamiche che hanno avuto luogo in un gruppo impegnato a raggiungere un obiettivo. Questo spazio di intimità rappresenta una grande opportunità per mettere a fuoco comportamenti e relativi pensieri e sentimenti che li governano, così come il contesto lavorativo abituale non sempre consente di fare. Il partecipante è stimolato a osservarsi mentre agisce e a osservare il comportamento degli altri, attivando un processo di apprendimento continuo che valorizza il fermarsi a riflettere su quanto è accaduto/sta accadendo. Ciò che produce apprendimento non sono tanto gli errori quanto il fatto di rifletterci su e scoprire tutto ciò che è possibile capire, cose nuove su di sé e sugli altri o gli impliciti alla base dei propri e degli altrui comportamenti.  Divertimento e sorpresa: il momento didattico dell’OT è associato alla dimensione del gioco dimostrando che l’attività ludica è un valido veicolo di apprendimento. Si attivano quei meccanismi riscontrabili che, utilizzando il gioco e l’emotività, riescono in un tempo relativamente breve a far apprendere molte cose complesse e difficili. Le attività svolte hanno un carattere inaspettato, sono accadimenti che il gruppo si trova ad affrontare in maniera apparentemente non programmata. Ecco perché il programma dettagliato delle attività di un OT e se possibile le località dove si svolgeranno devono rimanere sconosciuti o vaghi sino allo svolgimento delle stesse. la sorpresa aumenta il coinvolgimento dei partecipanti e favorisce un maggiore impatto emotivo.  Il gruppo: l’OT ci ricorda come sia sempre indispensabile l’altro e il gruppo, infatti le attività sono pensate per essere affrontate in gruppo. La soluzione pratica può essere raggiunta attraverso il coinvolgimento di tutti e grazie a un’efficace gestione delle dinamiche relazionali tipiche di un lavoro di gruppo. L’occasione di ricevere un feedback immediato del resoconto dei propri comportamenti sugli altri o dalle riflessioni personali condivise e stimolate dagli altri durante le fasi di debriefing, dà ai partecipanti la possibilità di sviluppare il senso della propria autoefficacia percepita individuale e di gruppo per migliorare e consolidare le proprie performance. La presenza e il contributo degli altri ci permettono di riflettere su noi stessi e sulle nostre caratteristiche individuali di differenziarci confrontando somiglianze e diversità, di capire in quale misura le nostre azioni sono funzionali o meno al raggiungimento di un risultato, di valorizzare e sistematizzare le personali strategie di comportamento. QUANDO SI USA UNA FORMAZIONE IN OUTDOOR Le persone coinvolte in un OT avranno modo di:  Sperimentare il gruppo come occasione di sostegno e gestione degli imprevisti  Avere una maggiore consapevolezza di se stessi rispetto al modo di porsi nel rapporto con gli altri e con se stessi  Individuare azioni e comportamenti singoli e collettivi utili al miglioramento dei risultati del gruppo  Consolidare un clima di fiducia e di collaborazione  Sviluppare le competenze di leadership  Migliorare il confronto reciproco e la circolarità delle idee  Migliorare la gestione degli imprevisti e del cambiamento  Approfondire la conoscenza reciproca, sviluppare un atteggiamento di presa in carico da parte del gruppo delle difficoltà dei singoli  Sviluppare iniziativa, proattività, autonomia e il proprio senso di autoefficacia  Energizzare il clima di squadra e l’efficacia di gruppo in preparazione delle sfide future  Imparare ad apprendere dalla propria esperienza attraverso il metodo di riflettere su quanto accaduto e di estrarre apprendimento. Numerose sono le competenze, i temi e i contenuti che possono essere sollecitati, indagati e resi oggetto di riflessione e apprendimento in un progetto in OT. Alcuni dei temi più frequenti sono:  Lavorare in gruppo  Energia, motivazione e autoefficacia di gruppo  Integrazione e solidarietà  Conflitto e cooperazione  Processi decisionali e di comunicazione  Visione d’insieme  Problem solving  Creatività e innovazione flessibilità e cambiamento  Relazioni interpersonali  Dare e ricevere fiducia  Gestire le diversità  Dinamiche individuali nel gruppo  Stile di leadership e di membership  Autonomia, proattività, autoefficacia individuale percepita  Intelligenza emotiva IL PROGRAMMA DI UN PERCORSO IN OUTDOOR TRAINING La durata media di un programma di OT è di due o tre giorni consecutivi attraverso cui i partecipanti riescono ad assimilare i concetti proposti e iniziano a tradurli negli apprendimenti voluti. Per aumentare la possibilità che questi apprendimenti si manifestino compiutamente nella prassi quotidiana, sarebbe sempre necessario un successivo momento di rinforzo in aula, un follow-up a distanza di massimo tre mesi, anche se a causa delle imprevedibili e veloci dinamiche aziendali suggeriscono di solito ai miei clienti di rivedersi tra loro dopo un mese dalla fine del programma. La partecipazione è full time e spesso vengono utilizzate anche le sere dopo cena. Un programma minimo di tre giornate è composto da 5/6 attività precedute da una plenaria di apertura e seguite da una plenaria di chiusura alla fine del programma. In un programma di tre giornate spesso l’arrivo dei partecipanti è previsto la sera precedente al primo giorno di lavoro e di solito la plenaria di apertura avviene dopo la cena di accoglienza. Durante le tre giornate seguono le attività con una logica didattica che alterna presentazione e svolgimento dell’attività di debriefing. Questi ultimi rappresentano il cuore pulsante dell’opportunità di apprendimento offerta da una metodologia OT. Durante i debriefing il consulente sfrutta l’emotività e il coinvolgimento delle persone per stimolare i partecipanti a capitalizzare l’esperienza proponendo similitudini o metafore con la loro quotidianità lavorativa. Il debriefing si compone di due macro movimenti logici:  Rielaborazione dell’esperienza  Razionalizzazione dell’esperienza che deduce principi guida e modelli concettuali alla base delle competenze oggetto di sviluppo, e predispone a sperimentare nuovi modelli di azione. I debriefing mediamente durano da una a due ore. Al pomeriggio dell’ultimo giorno vi è la plenaria di chiusura nella quale si valuta insieme l’esperienza complessiva. Durante lo svolgimento delle attività il tecnico outdoor farà delle foto dei momenti più significativi o delle videoriprese che verranno analizzate per reintrodurre l’esperienza a distanza di tempo e facilitare la discussione sugli apprendimenti avvenuti e trasferiti sul lavoro. Un progetto in OT può coinvolgere un numero molto variabile di partecipanti, tuttavia è importante che ci sia un rapporto di 5/10 persone per ogni consulente che le seguirà. Le persone coinvolte in un OT aziendale potranno rappresentare un gruppo reale, nel senso che potranno essere una reale funzione aziendale, oppure i rappresentanti di un team interfunzionale, oppure un reale gruppo specificità aziendale e i comportamenti oggetto di sviluppo. Le informazioni acquisite servono a coinvolgere il manager sulle modalità di partecipazione al progetto. Se per esempio l’obiettivo è rinforzare il confronto tra le persone e la partecipazione attiva, il manager dovrà essere modello ispiratore e promotore di questo stile.  Intervistare le persone coinvolte dalla formazione outdoor: per raccogliere da parte dei partecipanti il loro percepito circa le competenze e i comportamenti target da sviluppare e in particolare conoscere il loro punto di vista circa la desiderabilità di quelle competenze e di quei comportamenti e circa gli eventuali problemi esistenti connessi alla loro applicabilità. Alcune tra le domande che guidano questa intervista nel caso in cui l’OT coinvolga un gruppo di lavoro reale sono: - Pensando al suo gruppo di lavoro, quali sono le caratteristiche principali he lo rappresentano? Quali sono le principali qualità presenti? E quali gli aspetti che potrebbero essere migliorati? - Pensando al suo gruppo di lavoro e in particolare al livello di presenza della competenza X, che voto darebbe da 1 a 10? - In che modo la cultura aziendale e/o il vostro capo sono responsabili/influenzano le qualità presenti in questo gruppo? E sugli aspetti da migliorare? Cosa invece dipende da voi?  Verificare l’allineamento con la committenza: verificare l’allineamento tra committenza e partecipanti sulle competenze e sui comportamenti target individuati come obiettivi di sviluppo, conoscere la mappa delle condizioni favorevoli od ostacolanti la loro trasferibilità sul lavoro e il grado di disponibilità da parte dei partecipanti a essere coinvolti in una metodologia formativa in OT. Questo passaggio è di assoluta importanza per gli obiettivi formativi del progetto, se non ci fosse allineamento sarebbe necessario un chiarimento che potrebbe avvenire in due modi: - La committenza chiarisce i suoi obiettivi sulla base dell’esito delle interviste fatte e ridefinisce gli obiettivi di sviluppo tenendo conto dell’orientamento emerso dalle interviste dei partecipanti - La committenza convoca una riunione che sarà facilitata dal consulente e avrà l’obiettivo di confrontarsi e definire un perimetro condivisibile di competenza e comportamenti target da sviluppare che tengano conto delle condizioni a contorno favorevoli al loro sviluppo. Inoltre questa fase di analisi della domanda sarà anche l’occasione per spiegare alla committenza e ai partecipanti cos’è l’OT, come si lavora durante una formazione OT e quali sono i limiti e le opportunità offerte da questa metodologia. In ultimo alcune informazioni sull’abbigliamento informale da tenere durante il progetto. 2. progettazione durante questa fase vengono scelti le attività e le metafore a esse collegate, il livello di difficoltà delle attività, la loro sequenza e la location più adeguata. Una buona progettazione deve prevedere la possibilità di un certo adattamento e cambiamento a seconda degli eventi che possono accadere durante il progetto. Al fine di mantenere un carattere aperto è bene prevedere un certo numero di attività doppie ma allo stesso tempo diverse, nel senso che pur sollecitando le stesse competenze e comportamenti target: - si possono fare anche al coperto in presenza di inaspettate e avverse condizioni atmosferiche - siano più complesse, abbiano un grado di difficoltà più alto perché il gruppo non è stato sufficientemente sollecitato dall’attività precedente - siano diverse ma rappresentino metafore più calzanti per la specificità di quel gruppo di persone - siano diverse perché è necessario e utile tornare a sollecitare una certa competenza e/o un certo comportamento in quel gruppo anche per una formazione OT bisogna prevedere due fasi, quella di progettazione macro e quella di progettazione micro la progettazione macro prevede che il consulente assieme al tecnico outdoor si confrontino e realizzino due macro operazioni  correlare una certa tipologia di attività, come l’attività di orienteering, a una certa capacità da sviluppare, come il prendere decisioni. L’obiettivo è individuare quale sia la tecnica grezza più adatta per sviluppare quella data competenza e che rappresenti una metafora credibile per l’esperienza aziendale di quel gruppo  identificare il percorso ottimale di apprendimento per i partecipanti e in base a questo decidere la sequenza coerente delle attività. Le diverse attività verranno proposte in modo da far evolvere i partecipanti lungo un percorso di apprendimento progressivo la progettazione micro prevede invece tre attività principali  la progettazione di dettaglio delle singole attività : consiste nel progettare nel dettaglio i dispositivi didattici che animeranno quella data attività consentendo ai partecipanti di vivere un’esperienza capace di essere metafora di certe situazioni aziendali e di sviluppare i comportamenti individuati dalla committenza come target. La scelta dell’attività grezza e la progettazione di dettaglio permettono di calibrare il percorso formativo ad hoc per ogni cliente, realizzando un buon livello di personalizzazione rispetto ai suoi obiettivi di sviluppo, alle caratteristiche di quel gruppo e alla cultura aziendale di provenienza. Se la competenza da sviluppare è per esempio la comunicazione all’interno del gruppo si potrà scegliere un’attività come zattere e si dovrà coinvolgere un gruppo portatore di una cultura aziendale che privilegia l’azione e valorizza la sfida, si potrà scegliere un’attività come il ponte nel vuoto se ci si trova di fronte a un gruppo con una cultura aziendale che privilegia la pianificazione e il pensiero logico razionale. Inoltre all’interno dell’attività Zattere si potrà prevedere nel dettaglio che l’attività venga fatta in piscina piuttosto che su un lago a seconda delle caratteristiche fisiche e psicologiche di quel particolare gruppo di persone. La progettazione al dettaglio delle attività significa chiarire i seguenti punti: - obiettivi didattici: quali sono le capacità che l’attività fa emergere - fase del gruppo: in che momento del programma di OT è utile inserire l’attività - difficoltà di esecuzione: qual è il livello di difficoltà che dovranno affrontare i partecipanti nel fare questa attività - tempo complessivo stimabile: quanto tempo è necessario per completare l’attività in funzione di quante persone coinvolte - materiale: cosa è necessario prevedere e predisporre per eseguire l’attività - sicurezza: quali sono i principali aspetti da presidiare da parte del tecnico OT - location: dove è efficace eseguire l’attività - teaching notes: informazioni a come aprire l’attività, cosa dire e non dire, quando consegnare le istruzioni, quali varianti a seconda delle caratteristiche del gruppo a come sta reagendo nel corso della formazione, come e se intervenire nei momenti di palese infrazione delle regole ecc - suggerimenti per il debriefing: quali sono i principali focal point che possono essere portati all’attenzione del gruppo durante la fase di debriefing dell’attività - istruzioni per i partecipanti: che conterranno l’obiettivo, il tempo, le risorse, le regole dell’attività da svolgere  il programma delle giornate di OT: prevede di organizzare la struttura completa delle giornate di outdoor, cioè la sequenza delle attività, la scansione dei tempi e le metafore più pertinenti che saranno utilizzate per vestire quelle attività. Le metafore devono avere una struttura simile alle situazioni della vita reale delle persone ma applicate a un oggetto diverso. Sarà credibile per un gruppo aziendale che si trova in un momento di contenimento dei costi trovarsi a partecipare a un’attività di autogestione che rappresenta la metafora di una situazione in cui fare efficienza è un valore, così come chiedere ai partecipanti di organizzarsi avendo a disposizione un budget economico ristretto per provvedere alle loro colazioni, pranzi e cene. La partecipazione delle persone, il loro linguaggio e la possibilità di sviluppare le competenze e i comportamenti target di quelle attività spesso dipendono da quanto sono credibili le metafore che vestono quell’attività. Per quanto riguarda la scaletta dei tempi questi dovranno tener conto: - del tempo relativo all’apertura in prima giornata del progetto in OT - del tempo per completare le attività proposte - del tempo per raggiungere le località dove svolgere le attività - del tempo da utilizzare per i debriefing a valle delle attività - del tempo relativo alla fase di chiusura delle giornate di OT dopo aver deciso il programma si passa alla fase di preparazione logistico-organizzativa. Sarà responsabilità del tecnico OT scegliere la location più adatto per eseguire l’attività, predisporre tutta l’attrezzatura necessaria per il loro svolgimento in totale sicurezza e descrivere l’abbigliamento da avere durante tutto il progetto e per le singole attività.  la preparazione logistico-organizzativa: possiamo suddividere la realizzazione dell’OT in 4 fasi APERTURA: è a responsabilità del committente che dichiarerà: - gli obiettivi dell’OT - i motivi che rendono oggi più che mai importante per questo gruppo e per l’azienda raggiungere quegli obiettivi - le sue attese circa il modo di partecipare alle giornate di OT successivamente sarà il turno del consulente che rifocalizzerà nel dettaglio la metodologia dell’OT, in particolare - la logica delle metafore isomorfe alla realtà lavorativa dei partecipanti - il meccanismo didattico che prevede di far eseguire a ogni attività proposta una sessione di discussione e analisi durante cui verranno esaminate le principali dinamiche sviluppatesi nel corso dell’esperienza al fine di trarne le lezioni per il futuro da traferire sul lavoro e da tenere in conto in vista delle successive attività - la modalità di partecipazione a tutto il progetto: è un passaggio che responsabilizza i partecipanti a essere i principali protagonisti del loro processo di apprendimento e li invita ad avere un ruolo attivo durante tutto il percorso e un atteggiamento serio e leggero. È l’occasione per chiarire ai partecipanti come apprendere voglia dire esplorare nuovi territori e conoscere cose che prima non si conoscevano. Avere un ruolo attivo nelle giornate di OT vuol dire avere il coraggio di mettersi in gioco e attraversare situazioni di incertezza, di rischio e di dissonanza. Verrà poi consegnato il diario di bordo, utilizzato come strumento di riflessione e dialogo a disposizione dei partecipanti per scrivere le proprie riflessioni a valle delle esperienze messe a disposizione delle attività e a conclusione di ogni debriefing. Prima di partire con la prima attività che si solito sarà un icebreaker, il tecnico OT presenterà il suo ruolo precisando alcune cose come I principali e specifici rischi di questa metodologia sono:  Quando il fare dell’attività prende il sopravvento sulla riflessione e rielaborazione dell’esperienza a valle dell’attività. È importante che il consulente tari bene i tempi consentendo sempre un congruo tempo dda dedicare ai debriefing che saranno focalizzati sugli apprendimenti potenziali relativamente alle competenze e ai comportamenti target e al possibile trasferimento al contesto lavorativo, e non a socializzare semplicemente i fatti accaduti  Quando i partecipanti fanno fatica a partecipare alle attività. Questo riporta l’attenzione sulla necessità di introdurre correttamente le persone coinvolte alla metodologia in fase di analisi della domanda e di apertura di un progetto di OT. Inoltre di tarare in maniera progressiva le difficoltà delle attività proposte ricordando che l’adesione alle attività è volontaria e non obbligatoria.  Quando le attività proposte sono percepite come troppo facili o come metafore non credibili delle situazioni reali vissute dai partecipanti sul lavoro. Questo riporta l’attenzione all’efficacia delle fasi di analisi della domanda e di progettazione che saranno responsabili di costruire metafore credibili e animate da un dispositivo didattico coerente con la cultura aziendale e le caratteristiche del gruppo dei partecipanti Tra i principali vantaggi invece ci sono:  L’OT ha il pregio d rimettere in moto la capacità e la voglia dei partecipanti di apprendere dall’esperienz il pensare e il riflettere insieme, l’osservare e l’osservarsi, il confronto e il ragionamento deduttivo  OT allena le persone al gioco delle percezioni reciproche attraverso l’opportunità continua di chiedere e ricevere efficaci e puntuali feedback  OT riesce a motivare e a coinvolgere i partecipanti molto di più degli altri approcci formativi perché le attività che vengono proposte sono impegnative, divertenti, stimolanti e si svolgono il più delle volte in un contesto accattivante  OT dispone favorevolmente le persone a svelare i lati inediti del loro carattere. Le attività giocose creano un clima più aperto in cui le persone hanno più voglia di conoscersi e instaurano un rapporto meno formale e condizionat dall’ambiente lavorativo. Si è più disposti a fare autocritica di fronte a un’attività in cui si è perso perché è un’attività giocosa e metaforica, che insiste su una rappresentazione della realtà come se.. piuttosto che di fronte a un lavoro sbagliato in azienda  OT fa sì che le emozioni che si provano giocando e appassionandosi a un’attività siano un viatico del processo di apprendimento: il brivido di avere un problema da risolvere, il desiderio di padroneggiare una situazione che stiamo affrontando, il sentire la presenza degli altri, tutto ciò rappresenta la benzina affettivo- emozionale di ogni processo di apprendimento basato sulla scoperta. ALCUNI ESEMPI DI ATTIVITA’ CHE SI UTILIZZANO DURANTE UN PROGETTO IN OUTDOOR TRAINING 1. Attività dedicate alla fase di warm-up L’obiettivo di queste attività è quello di fornire ai partecipanti delle occasioni per avviare un processo di socializzazione piacevole e confortevole, attraverso varie esercitazioni di riscaldamento sa fisico che mentale.  Silent line-up: in silenzio viene chiesto al gruppo di trovare delle efficaci ed efficienti strategie di comunicazione per disporsi uno a fianco all’altro, in ordine crescente di mese e giorno di nascita  La canna magica: viene consegnata al gruppo una sottile canna di legno con l’obiettivo di depositarla dolcemente sul terreno partendo dall’altezza dei fianchi. Dopo aver suddiviso i partecipanti in due gruppi e averli disposti uno a fronte dell’altro, la canna sarà appoggiata dal trainer sugli indici dei partecipanti che in questo modo la sosterranno. Durante la discesa la canna non dovrà mai perdere il contatto con gli indici dei partecipanti, pena ricominciare l’esercizio. 2. Attività di team building (clima, relazione, comunicazione) L’obiettivo di queste attività è di creare un contesto che favorisca il coinvolgimento delle persone e alimenti lo spirito di squadra. Sono attività per stimolare un’elevata interazione verbale e un contato fisico e a disporre all’informalità e a una progressiva rottura di schemi comportamentali inizialmente spesso rigidi e formali  La tela del ragno: viene formata una ragnatela con delle corde tese tra due alberi. Viene posto il gruppo su u lato della ragnatela e gli si affida l’obiettivo di far passare tutti i membri del gruppo dalla parte opposta della ragnatela e ritornare utilizzando i buchi a disposizione. Sulla ragnatela girovaga un temibile ragno dormiente che se svegliato andrà immediatamente a chiudere i buchi. I partecipanti non dovranno toccare in alcun modo la ragnatela durante il passaggio, pena la chiusura del buco. Solo dopo che tutti hanno passato in un senso la ragnatela è possibile iniziare a tornare indietro alla posizione di partenza.  Il ponte sul vuoto: i partecipanti vengono messi davanti a una grande scacchiera costruita incrociando per terra del nastro colorato. Ogni quadrante ottenuto può contenere una persona in piedi. La scacchiera simula lo spazio vuoto tra due dirupi collegati però da un tortuoso percorso sicuro. Il percorso precede solo in verticale e orizzontale secondo tre direzioni possibili: sud-nord, est-ovest-ovest-est. L’obiettivo è far passare il maggior numero possibile di persone da un lato all’altro dei due dirupi attraversando il percorso sicuro nel minor tempo possibile. Sulla base del tempo e del numero di persone che raggiungono l’altro lato viene assegnato un punteggio al gruppo. Sono previste due fasi per scoprire il percorso sicuro: la fase di esplorazione, in cui tuti i partecipanti possono esplorare il terreno avendo un numero definito di passi a disposizione e senza precipitare nel vuoto. Nella seconda fase ci sarà la prova vera e propria in cui chi metterà un piede nel vuoto precipiterà e si salverà solo chi sarà in grado di raggiungere l’altro lato avendo trovato il percorso sicuro. ATTIVITA’ SULLA FIDUCIA RECIPROCA L’obiettivo è sperimentare situazioni che contengano un discreto contenuto di preoccupazione e di ansia il cui superamento con successo favorisca un incremento del sentimento di fiducia verso se stessi e verso il gruppo dei colleghi. L’obiettivo di queste attività è di far riflettere gli individui e il gruppo sulla qualità del rapporto che si ha con i limiti, con i rischi, con le sfide e sulle dinamiche associate  Il tuffo negli altri: a turno i partecipanti sono invitati a salire su una piattaforma di almeno un metro e mezzo e da lì lasciarsi cadere finendo nelle braccia dei compagni disposti a formare una rete di braccia e mani per accoglierlo. È utile avere una piattaforma che abbia diversi gradini in modo da scegliere il livello di altezza dal quale tuffarsi  Di corsa: a turno i partecipanti sono inviati a effettuare il più velocemente possibile un percorso accidentato indicato dal trainer. La cosa deve essere effettuata da un componente del gruppo alla volta bendato per tutto il percorso. Appena un componente del gruppo giunge al traguardo un’altra persona bendata può iniziare la sua corsa. I componenti non bendati e non coinvolti in quel momento possono trovare modalità per supportare la persona coinvolta nel percorso. ATTIVITA’ DI TEAM WORKING L’obiettivo è di creare situazioni di gruppo in cui sperimentare le caratteristiche fondamentali del lavorare insieme per ottenere un obiettivo. Il nucleo centrale è di mettere le persone nelle condizioni di imparare a gestire le diverse dimensioni che animano un lavoro di gruppo: le dinamiche di conflitto e cooperazione, la frustrazione dovuta alle prime difficoltà, la necessità del coordinamento, della leadership ecc  La zattera: trasferire tutti i componenti del gruppo su un lato della piscina mediante un oggetto galleggiante da costruire. Ai partecipanti viene consegnato del materiale di diverso tipo che se assemblato può essere trasformato in una zattera in un tempo definito e con alcune regole da rispettare. Sull’oggetto galleggiante non possono salire più di 3 persone simultaneamente, il traghettatore deve essere sempre una persona diversa, non possono essere toccati i bordi che delimitano la corsia disponibile per l’attraversamento. Se le regole vengono trasgredite uno squalo abitualmente addormentato si risveglia e per la sicurezza dell’imbarcazione e il suo equipaggio si dovrà tornare al punto di partenza  Slake line: viene tirata una corda a nastro tra due alberi posti alla distanza di almeno quattro metri e a un’altezza dal terreno di 30-40 centimetri. L’obiettivo è di percorrere tutti camminando sulla passerella il tratto tra i due alberi facendosi aiutare dai colleghi. Il partecipante detto esecutore sarà imbracato ed eseguirà l’esercizio, gli altri partecipanti detti sostegno garantiranno l’equilibrio all’esecutore attraverso corde che saranno direttamente collegate all’imbragatura dell’esecutore. Se l’esecutore dovesse cadere gli toccherà ricominciare il percorso. A rotazione tutti i partecipanti devono alternarsi nel ruolo di sostegno ed esecutore. Il gruppo riceve un punteggio a seconda del tempo totale impegnato per il passaggio di tutti i partecipanti. Role Play sentimenti si determina una giusta distanza che permette al soggetto di sviluppare una maggiore consapevolezza delle proprie azioni e del proprio vissuto. Il role play rappresenta l’aspetto esterno di tale processo perché è l’azione esterna in cui noi ci identifichiamo con un altro e soprattutto agiamo questa identificazione. GRADI DI STRUTTURAZIONE Shaw e Corsini hanno messo in luce le principali modalità operative di conduzione del role play, alle quali si correlano differenti convinzioni e situazioni. MODALITA’ 1 – messo in pratica MODALITA’ 2- immaginato Con un copione improvvisato Svolto da un individuo Svolto da più individui Ai partecipanti viene richiesto di rappresentare loro stessi Ai partecipanti viene richiesto di rappresentare altri soggetti Viene richiesto di rappresentare loro stessi in circostanze familiari Viene richiesto di rappresentare loro stessi in circostanze non familiari Vi sono auto protagonisti Non vi sono auto protagonisti I soggetti ricevono indicazioni prima della rappresentazione, che possono essere ingannevoli o meno I soggetti non ricevono alcuna indicazione prima della rappresentazione Le annotazioni sulla scena sono generiche Le annotazioni sulla scena sono dettagliate Ai partecipanti viene richiesto di rispondere in modo altamente strutturato Ai partecipanti viene richiesto di rispondere in modo libero Per classificare il role play il criterio più diffuso è rappresentato dal livello di strutturazione del copione predisposto del progettista, informazioni sul contesto fisico, psicologico e comportamentale. Il copione è l’esito di una progettazione di dettaglio che il formatore ha in precedenza effettuato a tavolino, considerando le variabili in gioco e ipotizzando le possibili dinamiche che ne sarebbero derivate, anche in funzione del grado di strutturazione del role play dove la scelta dipende da numerose variabili; non solo dagli obiettivi didattici e dall’approccio pedagogico soggiacente ma anche dagli argomenti in discussione, dai tempi, dalle risorse, dalle conoscenze pregresse dei partecipanti, dall’abilità del formatore. Il role play può quindi essere classificato in tre principali categorie  Strutturato: il copione prevede oltre alla descrizione del contesto e dei ruoli, anche le indicazioni relative a cosa deve essere detto e fatto nel dettaglio. può risultare artificioso e può solo analizzare il grado di continuità dei soggetti alle situazioni in precedenza fornite. L’elevata strutturazione del role play però rassicura gli attori sul comportamento da assumere, facilita il compito degli osservatori nella raccolta degli aspetti critici, assicurando al formatore un maggiore controllo della situazione limitando gli imprevisti.  Semi strutturato: si indica in modo dettagliato il contesto e la situazione psicologica dei ruoli giocati e si accenna il nodo problematico. Prevede l’uso di copioni meno vincolanti che lasciano ai soggetti una maggiore libertà di interpretazione e di espressione. Le informazioni necessarie sono quelle atte a inquadrare il contesto fisico e psicologico all’interno del quale gli attori dovranno successivamente agire traducendo i loro pensieri in comportamenti osservabili  Non strutturato: si stabiliscono i ruoli e il contesto lasciando liberi gli attori nell’interazione comunicativa. Non prevede alcuna informazione scritta per gli attori ma solo coordinate generali relative al contesto che sono fornite dal formatore e comunicate a tutti gli attori. Questa tecnica responsabilizza i soggetti sul proprio apprendimento favorendo l’interpretazione creativa e la libertà espressiva. Il copione aperto però presenta anche alcuni punti di debolezza e specifiche condizioni di impiego: il numero dei partecipanti deve essere limitato per non rendere dispersiva la messa in scena e le osservazioni, i tempi delle fasi di gioco risultano più difficili da stimare, la rappresentazione può svilupparsi in una direzione imprevista rispetto agli obiettivi formativi, sul piano della conduzione al formatore sono richieste specifiche abilità. CONDIZIONI DI UTILIZZO Sul piano formativo l’uso efficace di questa tecnica dipende da numerosi fattori tra cui la creazione di una situazione ambientale favorevole e la capacità di fornire al gruppo le giuste informazioni. Compiti che in entrambi i casi dipendono dalla competenza e dalla sensibilità del formatore. Relativamente al primo aspetto è necessario allestire un ambiente sociale e psicologico adeguato, raccogliendo informazioni sul contesto, sulle relazioni presenti tra i membri del gruppo, sui problemi che i soggetti percepiscono per essi maggiormente significativi e meritevoli di attenzione. Sono informazioni necessarie per preparare efficacemente il role play e per motivare i soggetti a mettersi in gioco. Infine una componente indispensabile da indagare prima del role play è la motivazione dei partecipanti a sperimentarsi direttamente nelle tecniche di simulazione. Riguardo al secondo aspetto, al gruppo dei partecipanti devono essere fornite informazioni utili affichè possano dare significato e direzione all’esperienza. È necessario spiegare loro finalità e modalità di svolgimento del role play, rassicurandoli sugli imprevisti che potrebbero derivare da situazioni di sovraesposizione relazionale. Spetta al conduttore spiegare le ragioni e trasmettere l’entusiasmo necessari ai partecipanti per mettersi autenticamente in gioco. Il role play è sempre un gioco di specchi dove i soggetti apprendono sempre qualcosa di sé attraverso l’altro e viceversa. La messa in scena di fatti e situazioni produce accadimenti di portata emotiva tali da indurre cambiamenti nei soggetti sul piano dei comportamenti. Il formatore deve assicurare il controllo del delicato equilibrio tra dimensioni personali e professionali, riportando l’esperienza a questioni che riguardano lo scopo per cui è utilizzata. Sarebbe meglio evitare di collocare i role play all’inizio di un seminario ma inseriti quando il gruppo ha già gatto esperienza di sé come gruppo in formazione e si è creato un buon clima. CONDUZIONE Nella tecnica del role play viene richiesto ad alcuni componenti del gruppo in formazione di svolgere il ruolo di attori, rappresentando personaggi in interazione tra loro. tutto ciò mentre i restanti componenti del gruppo fungono da osservatori dell’evento simulato. A termine il conduttore esplicita e interpreta l’esperienza a beneficio di tutto il gruppo focalizzando l’attenzione sui processi di comunicazione agiti all’interno del contesto rappresentato. Le dieci fasi della modalità standard di conduzione di role play sono le seguenti:  Presentazione della metodologia, in cui è opportuno enfatizzare l’aspetto strumentale e non valutativo, illustrandone la valenza didattica e rassicurando i partecipanti riguardo la riservatezza su ciò che potrà accadere  Scelta del tema-problema: da parte del formatore evidenziando i collegamenti con il tema di apprendimento più generale. In altre situazioni è lo stesso gruppo che negozia e sceglie il tema problema da mettere in scena, che in tutti i casi deve essere presentato come evento relazionale coerente rispetto a specifici descrittori: di che cosa si tratta, quale obiettivo specifico, dove accade, quando accade, a chi accade, quali rapporti sussistono tra i soggetti.  Individuazione degli attori: dovrebbe sempre avvenire su base volontaria evitando forzature da parte del conduttore e proposte di candidature da parte di alcuni membri del gruppo nei confronti di altri.  Assegnazione del compito al gruppo: ogni attore studia la sua parte in modo autonomo riflettendo sul ruolo secondo le istruzioni assegnate. I restanti membri del gruppo stabiliscono quali aspetti del role play osservare e in vista di quali risultati, grazie anche l’ausilio di griglie di osservazione e di schede di rilevazione.  Warming-up: comprende tutte quelle tecniche volte a riscaldare per far salire, ovvero creare un clima caldo e stimolante che faciliti l’assunzione di ruolo da parte degli attori. Il conduttore deve aiutare i soggetti a immedesimarsi nel ruolo risolvendo eventuali dubbi. Le principali tecniche che possono essere impiegate a riguardo sono: - Cluster warming-up: il gruppo viene suddiviso in sottogruppi che dovranno discutere del tema proposto a partire da affermazioni contrapposte. Le persone vengono riscaldate dalla discussione del tema. - Brevi sketch : si fanno giocare a due o più partecipanti brevi e semplici scene in sequenza rapida senza commento. L’obiettivo è di far provare a improvvisare un ruolo - Interviste ai futuri attori: intervistare chi interpreta un ruolo chiedendo una serie di informazioni sul personaggio assegnatogli per aiutare la persona a entrare nel personaggio, indentificandosi con lui e dando informazioni utili a chi ascolta - Scenetta dimostrativa : il conduttore recita una scenetta dimostrativa, per illustrare con i fatti che cosa è una simulazione. Si può chiedere alle persone di commentare la scenetta - La sedia vuota : il conduttore mette una sedia vuota e chiede alle persone di immaginare seduta sulla sedia una persona con cui si hanno relazioni di ruolo. Dopo aver scelto una delle situazioni presentate si comincia un gioco che può iniziare con le parole di chi ha visto sulla sedia un ruolo particolare e ne parla. Oppure si danno istruzioni a un altro partecipante per ricoprire il ruolo e lo si fa sedere sulla sedia vuota - La bottega magica : il conduttore gioca il ruolo di proprietario di una bottega magica piena di elementi immaginari, di valori, atteggiamenti, competenze sociali e professionali che possono essere scambiati con altri beni immateriali che il partecipante possiede o pensa di possedere - Il buon ricordo: si propone di giocare un ricordo piacevole collegato alla propria esperienza passata  Messa in scena: gli attori recitano mentre gli altri osservano. Durante il gioco il formatore può intervenire con alcune tecniche che arricchiscono l’esperienza, come quelle di seguito indicate - La tecnica dell’a parte : in cui il protagonista esprime a parte ciò che prova - La tecnica del doppio: in cui un ego-ausiliare esprime per conto dell’attore ciò che questi sta provando in quel momento e non riferisce mentre gioca - L’inversione dei ruoli : il cui protagonista prende il ruolo dell’antagonista - La proiezione nel futuro : in cui il protagonista agisce immaginando di essere avanti nel tempo in situazioni nuove  Commento: al termine della recita attori e osservatori annotano le osservazioni personali per aprire la discussione di gruppo dove tutti sono invitati a intervenire per riferire sugli aspetti osservati contribuendo ad arricchire l’analisi dell’esperienza. L’attore dovrà riferire quale fosse l’obiettivo che ha guidato la strategia comunicativa e le sensazioni provate, mentre gli osservatori riferiranno su quanto osservato dall’esterno. In seguito al commento è talvolta possibile anche ripetere le simulazioni. fisicamente dallo strumento, inducendo anche gli attori a manifestare indifferenza alla presenza della tecnologia sino a ignorarla del tutto. Il Cinema Il cinema si è qualificato come un metodo di formazione a fronte dell’aumento del numero di professionisti della formazione che fa ricorso al cinema, le modalità con cui viene usano sono divenute più sofisticate ed è disponibile un’ampia letteratura che offre indicazioni. Il cinema è sì un metodo ma anche un supporto per altri metodi. IL CINEMA PER L’APPRENDIMENTO E IL CAMBIAMENTO Il cinema come metodo di formazione degli adulti si colloca nell’ambito di una più ampia categoria di metodi basati sull’arte, fruita da spettatori oppure agiata da protagonisti che Gallos ha definito visual, creative and performing arts e Taylor e Ladkin hanno invece etichettato art-based methods. Tale categoria comprende il teatro, la letteratura, la scrittura, il disegno e la pittura. L’esperienza artistica, e al suo interno la visione di materiali narrativi in forma audiovisiva, è in grado di attivare processi di decostruzione e ricostruzione delle proprie rappresentazioni si è e della realtà, così come dei propri schemi di azione e relazione. Per questa ragione il cinema viene utilizzato nell’ambito della formazione degli adulti con finalità molto diverse, che vanno ben oltre il classico apprendimento delle lingue straniere, quali per esempio la sensibilizzazione culturale come nel caso della formazione degli expatriate manager di un’azienda o degli operatori di un servizio rivolto a un’utenza di migranti, la formazione alla psicoterapia al fine di offrire rappresentazioni del quadro esistenziale di soggetti che vivono situazioni di disagio psicologico o di vera e propria malattia mentale, la formazione ai comportamenti organizzativi, alle policy di un’azienda e all’etica professionale. Le differenti tecniche di produzione utilizzate ne fanno un mezzo capace di immergere lo spettatore in un’esperienza da un lato estremamente realistica, dall’altro capace di superare la realtà sia per estensione che per intensità. Agosti affermò: il film offre l’occasione per fare esperienza di una realtà che non appartiene allo spettatore, una realtà differente in cui egli può a tratti di riconoscersi e specchiarsi, come invece sentirsene estraneo seppur in qualche modo partecipe, aspetto di grande rilevanza dal punto di vista pedagogico. all’interno di quest’esperienza lo spettatore non è passivo fruitore di un prodotto, ma la sua risposta contribuisce alla creazione del film stesso, in quanto attivamente osserva e percepisce, toglie e interpreta, sino a divenire egli stesso protagonista essenziale. L’utilizzo del materiale filmico sollecita un’elevata attivazione dell’individuo, sul fronte cognitivo così come su quello emozionale. È proprio questo duplice ordine di stimolazioni a creare le condizioni per l’avvio di un significativo processo di apprendimento.  L’attivazione cognitiva che deriva dalla visione di un materiale filmico è sia di tipo generale sia di tipo specifico. Sul piano generale le scienze cognitive hanno da tempo dimostrato come l’uso di molteplici media per presentare lo stesso concetto abbia effetti positivi per la comprensione in funzione del fatto che vengono sollecitate diverse aree/funzioni nervose. Sul piano specifico la letteratura riconosce come il cinema possa sostenere la concretizzazione, che ha luogo sia quando una scena del film offre un ritratto visivo si un concetto astratto, sia quando la presentazione di un medesimo contenuto avviene attraverso l’uso di differenti scene. Un secondo contributo di tipo specifico riguarda l’apprendimento di abilità relative all’utilizzo del reframing, ovvero dell’esplorazione di una situazione da differenti punti di vista. Secondo Gallos i film e i video possono essere veicoli davvero efficaci per insegnare la flessibilità concettuale e l’abilità a cambiare prospettiva. Ultimo tipo di attivazione cognitiva specifica ha a che fare con la messa a fuoco dei processi di costruzione della realtà e di attribuzione di significato: per esempio il tema del confine tra oggettività e soggettività, così come è presentato ne La parola ai giurati può suscitare riflessioni sulle modalità inconsapevoli di trattamento delle informazioni.  Sul fronte dell’attivazione emozionale è quasi pleonastico ricordare la grande capacità del cinema di suscitare reazioni emotive. Evidenze in tal senso sono state ottenute già molti anni fa con le ricerche di Berger, Bossert, Krieg e collaboratori in cui si è riscontrato un netto aumento dei livelli ematici di cortisolo nei soggetti che avevano assistito alla proiezione di un film. Attraverso differenti strategie di ripresa e montaggio il cinema riesce ad attivare intensamente l’affettività catturando il soggetto nel suo gioco di fiction in cui il soggetto stesso riesce a trovare parti di sé rimosse o semplicemente dimenticate. Lo spettatore vive e soffre innumerevoli punti di vista, assumendo contemporaneamente identità diverse e collocandosi nella prospettiva di apprendere la molteplicità irriducibile del proprio io. Franza e Mottana ritengono che proprio questa possibilità di sollecitare reazioni emotive e facilitare l’immaginazione costituisca il principale vantaggio in termini di apprendimento che deriva dall’utilizzo dei film. È come se la visione del film, favorisse la possibilità di rilevare le teorie e i modelli impliciti che coinvolgono ciascuno intorno a temi determinati. Si ritrova in queste parole un secondo significato dell’attivazione emozionale resa possibile dalla visione di un materiale filmico. Al di là di una generica messa in moto delle emozioni è possibile sollecitare un’immaginazione personale che consente di richiamare i frammenti della propria esperienza, di portare tutto se stesso nella situazione di apprendimento, anche quegli aspetti che senza adeguati oggetti di identificazione rimarrebbero sullo sfondo e non potrebbero essere oggetto di lavoro nel setting formativo. L’UTILIZZO DEL CINEMA: PROCESSO E MODALITA’ I passaggi che è necessario compiere quando ci si propone di utilizzare i materiali filmici nelle attività di formazione degli adulti sono quattro: 1. La selezione dei film/sequenze La fase di selezione confronta il formatore con la necessità di individuare il materiale da utilizzare in aula recuperando un insieme di riferimenti, visionandoli e scegliendo ciò che appare più efficace rispetto al raggiungimento degli obiettivi di formazione. È opportuno distinguere tra due tipi di formatori. Da un lato abbiamo i formatori-cinéphile che hanno una spiccata cultura personale in ambito cinematografico, e nel tempo si sono costruiti un archivio di titoli e riferimenti utili per la loro attività professionale. Dall’altro vi sono quei formatori che non dispongono di tali conoscenze in campo cinematografico e dunque si trovano a voler utilizzare i film senza l’archivio di titoli e riferimenti appannaggio dei colleghi sopra descritti. In questo caso è probabile che vadano alla ricerca delle informazioni e dei suggerimenti presenti in quelle rassegne che elencano una serie di materiali filmici classificati in funzione dei contenuti di apprendimento. Si tratta di pubblicazioni che presentano un ampio numero di film, spezzoni e montaggi, individuando per ciascuno differenti modalità di utilizzo e proponendo un’analisi approfondita delle sequenze più pertinenti con i vari contenuti di apprendimento. 2. La progettazione dell’utilizzo Il passaggio della progettazione mette a confronto il formatore con tre scelte cruciali relative a:  Che cosa: ovvero l’ampiezza del materiale, l’intero film o uno spezzone, a volte una singola sequenza, un montaggio di sequenze selezionate o da film differenti  Quando: il momento all’interno del percorso formativo  Come: le modalità di utilizzo, precisando il significato che viene attribuito al momento di visione del materiale. Quest’ultimo aspetto è il più delicato, è importante che il formatore sia in grado di riconoscere l’intero spettro di opportunità che ogni materiale offre in modo da essere aiutato a ipotizzare modalità di lavoro coerenti con il programma formativo ed efficaci nel raggiungimento dei risultati. Una rielaborazione delle proposte di alcuni contributi presenti in letteratura può portare a individuare 5 principali modalità di utilizzo del materiale cinematografico:  RISCALDAMENTO: il materiale cinematografico può rappresentare un momento di riscaldamento in tre distinte occasioni. - La prima ha a che fare con l’energia: all’inizio di una giornata è importante aiutare i partecipanti a esprimere una piena presenza psicologica nel lavoro formativo e una partecipazione attiva. Il materiale cinematografico è in grado di suscitare questo effetto, sia perché crea una netta separazione tra ciò che sta per accadere e ciò che è accaduto prima, sia perché stimola l’attenzione degli individui agendo sul versante cognitivo così come su quello emozionale. - La seconda riguarda la possibilità di entrare in tema: il materiale cinematografico consente di prendere contatto con un concetto, un’idea, una problematica, ovvero di richiamarlo alla memoria o costruirne una rappresentazione ex novo, in modo più efficace di quanto potrebbe riuscire il formatore con le sue parole - La terza rinvia al fare gruppo: condividere la visione e la riflessione su un film, magari in una serata di un corso residenziale, potrà favorire la disponibilità dei singoli partecipanti a entrare in relazione, collaborare e mettersi in gioco nel proseguimento del percorso formativo.  ESEMPIO: quando il materiale cinematografico offre una dimostrazione chiara e puntuale di una teoria, di un concetto o di un comportamento che il formatore vuole illustrare ai partecipanti, si è in presenza dell’utilizzo del cinema come esempio. Nel caso dell’esempio di un comportamento potremo essere in presenza di un esempio positivo oppure un esempio negativo.  CASO: un film dotato di una trama efficace può essere utilizzato dal formatore per presentare un caso da discutere in aula, suscitando commenti, riflessioni e ipotesi di problem solving e decision making più ricchi di quelli che si potrebbero ottenere mediante una storia scritta grazie al più elevato livello di coinvolgimento che il materiale audiovisivo è in grado di attivare.  ESERCIZIO: siamo in presenza di un esercizio quando una scena di un film rappresenta lo stimolo per un compito che i partecipanti sono chiamati a svolgere, individualmente o in sottogruppo con cui l’esercizio i partecipanti sono chiamati a mettere realmente in pratica la soluzione proposta, con la possibilità di verificare i risultati raggiunti e confrontabili con quelli ottenuti da altri partecipanti/sottogruppi o dai protagonisti della sequenza filmica utilizzata. Anche l’esempio negativo di un comportamento può essere utilizzato come spunto per un esercizio, è sufficiente che il formatore proponga ai partecipanti di riprogettare l’azione del protagonista cercando di sostituire gli errori con altrettanti comportamenti virtuosi.  SIMBOLISMO/METAFORA/IRONIA: le scene di un film sono rappresentate una forma di mediazione simbolica rispetto a contenuti astratti di portata molto generale e difficili da comunicare in tutta la loro intensità. In altre occasioni il film presenta un rinvio metaforico in grado di semplificare pensieri complessi e chiarire concetti teorici, promuovendo la possibilità di appropriarsene. O ancora il vissuto dei soggetti o le caratteristiche del contesto in cui essi si trovano a operare possono essere esplicati attraverso l’utilizzo di un materiale filmico che ne offre una rappresentazione ironica, capace di evidenziare quei paradossi e quelle contraddizioni che potrebbero essere difficili da esprimere per la loro tonalità emotiva particolarmente carica o per l’imbarazzo che colpisce chi si trova a svelare per primo delle verità nascoste. In talune occasioni può essere utile invitare i partecipanti a produrre loro stessi un cortometraggio di tipo simbolico/metaforico/ironico, mediante cui esprimere un vissuto, un’immagine, un valore, un problema ecc.. - Il diavolo veste Prada: in cu troviamo esempi di comportamenti di leadership, funzionale al benessere die lavoratori e ai risultati dell’organizzazione, o per contro tossica e inefficace. - Nel nome del padre: interessante per illustrare i tratti dello stile di leadership espresso dagli immigrati italoamericani - Impiegati… male! Può essere adottato per evidenziare la reciproca influenza tra atteggiamenti individuali e clima organizzativo, con evidenti rischi nel caso in cui si attivino pericolose spirali negative. - Gioco d’amore: suggerito per descrivere comportamenti organizzativi a elevato contenuto motivazionale. Va infine ricordato come lo stesso Smith abbia proposto un elenco di 54 film utilizzabili per illustrare i comportamenti organizzativi. Allo stesso modo Champoux elenca 11 film che contengono sequenze utilizzabili per illustrare il concetto di diversity, tra cui The full Monty, in cui risulta evidente come la possibilità di attrarre un pubblico ampio ed eterogeneo alle esibizioni dell’improvvisata compagine di spogliarellisti sia da ricondursi alle grandi differenze che qualificano i suoi componenti, oppure Frankenstein Junior che offre una sollecitazione a non farsi spaventare dalle differenze e a evitare giudizi frettolosi basati solo sulla somiglianza/differenza di sé.  CASO: quando si usa il cinema come caso non sono necessariamente presenti dei comportamenti organizzativi puntualmente esemplificativi del modello proposto dal formatore, quanto piuttosto la descrizione di un contesto o di una situazione di tipo generale in cui può collocarsi l’espressione di tali comportamenti, e che dunque può fare da sfondo alle riflessioni che il formatore offrirà parlando del contenuto che intende analizzare. Per questa ragione è più probabile che si utilizzino come caso film completi o sequenze lunghe. - The big Kahuna: offre molteplici stimoli per discutere di relazioni tra differenti generazioni organizzative oltre che di empowerment e disempowerment - Gandhi: consente di riflettere su alcuni comportamenti che alimentano la possibilità di influenza interpersonale quali la coerenza e l’esempio. tra gli altri film che presentano tematiche organizzative e sono utilizzabili come caso ricordiamo - In good company: sul tema della rivalità tra colleghi e il conflitto intergenerazionale - Volevo solo dormirle addosso: sulle ristrutturazioni aziendali e la perdita del lavoro - Tra le nuvole: sulla gestione dei colloqui di licenziamento. - Il Re leone: caso di assunzione della leadership che consente di scoprire questioni complesse legate all’esercizio della leadership, quali il bisogno di un leader di superare i dubbi su di sé, la dipendenza di un gruppo al proprio leader, la spiritualità del leader, le conseguenze dell’abbandono delle proprie responsabilità da parte del leader, l’influenza sul leader di nemici e alleati. Il film non è un semplice film di animazione per ragazzi ma utilizza un linguaggio sofisticato, contiene scene di violenza molto realistiche e ha un ritmo in grado di catturare l’attenzione dei partecipanti più disattenti o demotivati. I film di animazione hanno caratteristiche che consentono loro di mostrare in modo unico i comportamenti organizzativi e i concetti manageriali, sono particolarmente efficaci quando utilizzati come esempio o come caso.  ESERCIZIO: - Direttore d’orchestra: una sequenza del film illustra in una prima scena un colloquio tra il giovane direttore di un’orchestra di provincia e due rappresentanti istituzionali che, in vista di un concerto celebrativo, invitano il direttore a sostituire alcuni comportamenti dell’orchestra con professionisti di livello superiore e a trasferire l’esibizione in una sede più prestigiosa. Il direttore rifiuta la proposta, non parla con nessuno della situazione in cui si è venuto a trovare e, nella scena successiva si presenta alla sessione di prove in una condizione di forte nervosismo che si manifesta in una serie di errori nella relazione con il gruppo. La scena finale vede il direttore provare a spezzare la bacchetta con cui dirige, azione che simboleggia la rinuncia al comando, gettare a terra il proprio orologio e uscire dalla sala prove tra le risate degli orchestrali. Un possibile esercizio consiste nel dividere i partecipanti in sottogruppi di quattro-cinque persone. A un sottogruppo viene attribuito il ruolo di direttore con il compito di ripensare a quanto accaduto e immaginare come dovrebbe comportarsi il direttore in occasione del successivo momento di lavoro con l’orchestra al fine di creare le condizioni per proseguire il lavoro insieme. L’altro sottogruppo interpreta il ruolo dell’orchestra e riceve il compito di immaginare come dovrebbe comportarsi in occasione del successivo momento di lavoro con il direttore, sempre al fine di creare le condizioni per proseguire il lavoro insieme. Una volta che i sottogruppi hanno completato il loro lavoro si può girare in aula il proseguimento del film, chiedendo a un rappresentante del gruppo direttore e a componenti del gruppo orchestra di interagire davvero, eventualmente filmando la sequenza per poi rivederla insieme al fine di valutare in che misura i comportamenti progettati nel corso del lavoro in sottogruppo sono risultati efficaci.  SIMBOLISMO/METAFORA/IRONIA: - I Simpson: in cui si evidenzia la presenza di una rappresentazione simbolica della trasgressione organizzativa e del rapporto che lega gli attori alla regola. Molti degli episodi della serie consentono di prendere in considerazione gli aspetti simbolici della vita organizzativa e delle razionalità multiple che ne sono coinvolte. In particolare Homer Simpson, dipendente della centrale nucleare di Springfield, caricaturizzato come un personaggio in cui la pigrizia si unisce alla mancanza di consapevolezza professionale, mette in sena un tema, la devianza e la trasgressione, poco trattato nella letteratura manageriale e difficile da esporre in un’aula di formazione. - L’utilizzo di 4 film d’animazione (Monster and Co., Z la formica, A Bug’s life e Robots) come metafora della crisi della leadership organizzativa e della vecchia figura di leader cui segue l’affermazione di un nuovo leader è stato proposto da Islam. - Vivere: attraverso l’uso del bianco e nero offre un’efficace illustrazione simbolica della burocrato-patologia propria di alcune organizzazioni - La sirenetta: offre un’occasione per osservare in chiave metaforica il processo di elaborazione della dipendenza verso la progressiva ricerca/conquista dell’autonomia - Tempi moderni: ritrae i paradossi di una società sottoposta a cambiamenti spesso non comprensibili che sanciscono il primato della macchina sull’uomo e della produttività sulla qualità e il senso della vita. - L’episodio Banca di Tu mi turbi: in cui il disoccupato Benigno è alla disperata ricerca di una casa, e non avendo soldi necessari, si reca in banca per chiedere un prestito di cento milioni di lire, facendo dell’ironia sui complessi meccanismi bancari e sulle difficoltà che un funzionario può incorrere nella relazione con un cliente quando deve applicarli a una situazione concreta. Il momento il cui Benigno si arrabbia e paragona la Banca ad un ortolano che prima di darti una melanzana si vuole sincerare che il cliente abbia molte altre melanzane è particolarmente sagace, e potrebbe anche essere utilizzato come riscaldamento qualora il contenuto della formazione fosse rappresentato dalla relazione fornitore-cliente. NON SOLO CINEMA Il termine cinema è utilizzato per indicare non solo le opere cinematografiche in senso stretto ma l’intero ventaglio di materiali narrativi in forma audiovisiva. Tra questi l’utilizzo più consolidato riguarda i filmati didattici prodotti dalle Business school o dalle agenzie formative private. Tali materiali seguono percorsi e regole di commercializzazione del tutto analoghi alle opere editoriali cartacee. Il più significativo canale di distribuzione è ovviamente internet. In rete è attualmente possibile individuare sei principali tipi di filmati didattici:  LEZIONI: le registrazioni di lezioni tenute da guru di fama internazionale sono i filmati didattici più diffusi nell’ambito della formazione manageriale, e internet offre molteplici alternative: dalla riflessione sul modello di leadership di Kouzes e Posner alla descrizione delle 5 competenze di intelligenza emotiva di Goleman. Lezioni, conferenze o spezzoni di esse utilizzabili nella formazione sono disponibili gratuitamente online, per esempio sul sito TED oppure su Youtube.  VIDEO TESTIMONIANZE: sono filmati didattici che raccolgono racconti di CEO o altre personalità di spicco del mondo del business utilizzabili sia con finalità di apprendimento sia in ottica di intrattenimento. Il sito della Stanford Business school offre tali video in versione file: executives delle più importanti organizzazioni mondiali sono stati invitati a raccontare la storia della loro azienda.  VIDEO CASI: propongono storie di eccellenza che si distinguono per il successo ottenuto nell’ambito di uno specifico processo organizzativo, quali per esempio i multimedia cases dell’Harvard Business school. Altre volte i video approfondiscono le vicende di un’intera organizzazione: per esempio i materiali proposti sempre dall’HBS relativi a U.S. Army e general electris, in cui si evidenziano le strategie di learning by doing.  VIDEO NARRATIVI: propongono riflessioni in viva voce sul mondo delle organizzazioni, accompagnate da racconti animati o immagini allegoriche che rappresentano le stesse tematiche in una versione ad alto contenuto metaforico/simbolico o ironico. Obiettivo specifico di questo genere di materiali filmici è attivare momenti di discussione a 360° sui temi proposti proprio a partire da un mix tra racconti diretti ed evocazioni visive capaci di sollecitare un registro di pensiero meno razionale.  VIDEO WORKSHOP: video anche piuttosto lunghi dedicati a un unico tema che propongono attività di problem solving o decision making commentate da un esperto che sostiene il gruppo in apprendimento sia nell’individuazione di errori nel processo di lavoro sia nella scelta degli approcci più efficaci per fronteggiare la situazione illustrata. Insieme al video sono frequentemente forniti anche una guida per il facilitatore, una check-list per osservatori e una rassegna bibliografica. Si tratta di strumenti progettati per un utilizzo in gruppo, che intendono ricreare l’atmosfera di un workshop comprendendo talvolta anche lezioni di esperti.  VIDEO SPORTIVI: i materiali filmici ispirati allo sport traggono spunto da eventi agonistici per evidenziare dimensioni d’azione con valenza organizzativa. Grazie alla loro spettacolarità possono essere utilizzati come riscaldamento all’inizio di un corso, ma anche con finalità di apprendimento e miglioramento della prestazione all’interno di seminari e workshop se il docente li trasforma in un caso da analizzare o trova in essi uno spunto per progettare un esercizio. Al di là dell’ostacolo relativo alla lingua di produzione, l’utilizzo dei filmati didattici può presentare almeno due svantaggi rispetto ai materiali filmici oggetto del nostro contributo. Da un lato il filmato didattico può attivare un numero di modalità di apprendimento che non esaurisce quelle presentate in precedenza, l’apprendimento che ha luogo a partire dal filmato didattico è in tal senso equivalente a quello possibile a partire da una lezione tenuta dal docente con successiva discussione. Il filmato didattico potrebbe non aggiungere molto a ciò che il formatore stesso non sarebbe in grado di offrire ai partecipanti. Dall’altro i punti di analogia con la concreta esperienza di lavoro vissuta dai partecipanti sono decisamente minori. L’artificialità dei contesti e delle situazioni presentate all’interno dei filmati didattici contrapposta alla ricchezza di riferimenti alla vita reale presenti nel materiale filmico, può far ritenere non trasferibili i modi di fare e di essere che vengono proposti e dunque addirittura inibire l’apprendimento. Se i filmati didattici non vengono realizzati con la medesima cura destinata alla realizzazione di un vero e proprio film, non si potranno ottenere quei vantaggi in termini di attivazione cognitiva ed emozionale che l’uso di materiali audiovisivi è in grado di  Utilizzare una sequenza senza aver visionato il film: in quanto può capitare che il messaggio globale dell’opera sia differente da quello della singola scena. Un formatore inconsapevole di questo inconveniente potrebbe essere messo in difficoltà da un partecipante che conosce il film , che avrebbe gioco facile nell’obiettare che vi è un’antitesi ben più robusta della tesi che si vuole far emergere dalla sequenza utilizzata.  Utilizzare troppe sequenze o film ambientati in contesti molto connotati: quali per esempio quello militare, poiché i comportamenti che ci si propone di esemplificare potrebbero sembrare poco verosimili e suscitare obiezioni relative alla loro effettiva trasferibilità nella propria esperienza di lavoro. CONCLUSIONE Una riflessione conclusiva circa l’utilizzo dei materiali narrativi in forma audiovisiva fa riferimento alle sue possibili evoluzioni. Una prima linea di evoluzione riguarda la dimensione della ricerca sul campo. Sarà importante che la diffusione di questo metodo sia accompagnata da sistematiche valutazioni, realizzate con strumenti oggettivi dei risultati in termini di apprendimento e cambiamento conseguiti dalle iniziative di formazione, e delle relazioni tra i risultati e caratteristiche dei partecipanti, del formatore, del percorso e delle modalità di utilizzo del materiale cinematografico. Una ricerca condotta in Italia riguarda gli intrecci tra formazione e autoformazione, tra formazione al ruolo in organizzazione e formazione intesa come maturazione e cambiamento a livello personale. Se il cinema contiene la vita reale, può essere utilizzato non solo per acquisire competenze professionali, ma anche per favorire la comprensione di sé e la mobilitazione di energie positive. Per sollecitare tutte quelle azioni che Quaglino ritiene cruciali per la coltivazione di sé, come il riflettere, interpretare, immaginare e narrare. Infine l’utilizzo di modalità formative ispirate alla multimedialità dovrà tener conto delle progressive evoluzioni che si registreranno nelle peculiari modalità di apprendere della specie in via di apparizione dei nativi digitali. Da un lato si dovrà tener conto che per questa generazione di nuovi soggetti non sarà più un evento eccezionale ritrovare la proiezione di spezzoni cinematografici in occasione di un’attività formativa, sarà invece perfettamente normale poiché il formatore utilizza un codice di comunicazione ben conosciuto e molto utilizzato, con rischio di rendere banale il contenuto che quelle immagini intendevano invece sottolineare. Dall’altro si dovrà ricordare che il ritmo della narrazione cui i nativi digitali sono abituati è molto rapido. Potrebbe essere vantaggioso sperimentare quella che lo stesso Mirzoeff definisce la sorpresa dell’antico, ovvero il ritorno alla narrazione. Per una platea di soggetti in formazione appartenenti alla generazione digitale potrà essere in futuro più efficace approfondire una tematica attraverso l’ascolto di un racconto. Esercitazione Nata negli anni 60 e 70 dalla contaminazione del classico metodo dei casi con modalità ed elementi tratti dai giochi da tavolo, l’esercitazione è stata uno dei primi strumenti di formazione a tutti gli effetti attivo. Queste nuove attività d’aula conciliavano la possibilità di trattare temi organizzativi con l’immediatezza, la leggerezza normalmente associati a un’attività ludica ed ebbero un immediato successo e diffusione, fino a diventare un elemento irrinunciabile della casetta degli attrezzi di qualunque formatore. Oggi però, in un contesto in cui organizzazioni tendono a cercare sempre di più la formazione a distanza utilizzando classi virtuali, chat e forum di discussione, sembrerebbe anacronistico parlare delle esercitazioni come strumento formativo ancora attuale. CHE COS’E’ UN’ESERCITAZIONE? Questo strumento didattico consiste in un esercizio, meglio in un gioco durante cui ai partecipanti è richiesto di raggiungere un obiettivo prefissato attraverso la realizzazione di una prestazione il cui contenuto può fare riferimento a una tipologia molto ampia di argomenti. I partecipanti al corso vivono un’esperienza reale, un evento in prima persona, un fare che viene poi riletto e valutato con l’aiuto del formatore, alla luce di un obiettivo didattico. Le esercitazioni permettono ai partecipanti di mettersi alla prova, di sperimentare, di simulare, e di apprendere in una condizione controllata. In questa accezione l’esercitazione ha rappresentato uno degli strumenti tipici dell’apprendimento esperienziale così come viene definito nel modello di Kolb esprimendo perfettamente la filosofia di questo modello di apprendimento, col ciclo esperienza-osservazione-concettualizzazione-sperimentazione. L’esercitazione assume una rilevanza particolare nel passaggio tra la sperimentazione e l’esperienza in sé, rappresentando un tipo particolare di attività che è si una simulazione di un’attività pratico-lavorativa, ma allo stesso tempo una vera e propria esperienza di apprendimento. La possibilità di fare esperienza permette all’esercitazione di allontanarsi dai cosiddetti metodi tradizionali per trovare la sua collocazione tra gli strumenti definiti attivi, avendo infatti la possibilità di attrarre l’attenzione, di attivare la partecipazione e di divertire le persone coinvolte. L’esercitazione può essere considerata uno strumento di formazione attivo per le seguenti caratteristiche:  IMMEDIATEZZA: il gioco è una delle prime e più antiche forme di apprendimento che chiunque ha praticato in un momento della propria vita. l’esercitazione è un’attività le cui modalità di svolgimento sono generalmente intuitive e accessibili a chiunque.  SICUREZZA: le esercitazioni sono percepite come modalità non minacciose di interazione con le altre persone, in quanto agite in ambienti protetti come l’aula e prive di conseguenze negative. Qualunque sia l’obiettivo dell’esercitazione si è lì per apprendere anche il modo di realizzare l’interazione tra i partecipanti  COINVOLGIMENTO: tutti i partecipanti si lasciano contaminare e si fanno prendere dalla componente ludica della dinamica delle esercitazioni e riescono a esprimere forme di cooperazione e di interazione del tutto simili a quelle agite nella quotidianità  PRAGMATICITA’: le esercitazioni permettono di mettere in pratica pratiche e comportamenti nuovi o comunque diversi da quelli a cui siamo abituati, divenendo un vero e proprio allenamento. Attraverso l’abbassamento delle difese più razionali dei partecipanti le esercitazioni permettono anche scoperte inaspettate di proprie attitudini e reazioni a situazioni più o meno nuove.  NOVITA’: la grande varietà di esercitazioni permette al formatore di presentarsi in aula con materiale sempre nuovo stupendo di volta in volta i partecipanti e attivandoli maggiormente. Le esercitazioni creano sempre un ambiente di apprendimento inventivo e creativo, soprattutto se il formatore ha la possibilità di progettare e creare le sue esercitazioni con un simile spirito. perché un gioco possa essere considerato un’esercitazione adatta alla formazione degli adulti deve essere un’attività che:  Richiede ai partecipanti di assumere un ruolo diverso da quello al quale sono abituati: i partecipanti impersonano specifiche figure (es. dirigente, capo ufficio, sindaco). Tali ruoli possono essere interpretati da individui o da interi team e possono essere simili o differenziati, specifici o generali, rigidi o flessibili ecc. in generale l’esercitazione comincia in uno scenario che descrive l’ambiente/sistema in cui i ruoli devono essere agiti e fornisce un obiettivo da raggiungere all’interno di tale scenario.  Simula situazioni critiche in cui occorre risolvere un problema o una criticità: ai partecipanti è richiesta una soluzione a un problema che si è verificato nell’ambiente/sistema di riferimento. Il contenuto dell’esercitazione non riguarda l’attività lavorativa dei partecipanti, i temi o i problemi di cui nella realtà quotidiana ci si occupa, ma il processo, il come.  Utilizza l’esperienza dei partecipanti come parte fondamentale dell’apprendimento: qualunque esperienza pregressa dei partecipanti potrebbe essere utile al raggiungimento dell’obiettivo fornito dallo scenario. Per completare un’esercitazione non si richiede una competenza specifica o tecnica, ma l’utilizzo delle proprie competenze generali e del proprio buon senso. Le dinamiche che si realizzano nello svolgimento dell’esercitazione sono quindi analoghe alle dinamiche interpersonali e sociali che sono sottese alla gestione dei ritmi o problemi inerenti l’attività lavorativa e la vita dei partecipanti  È coordinata e gestita da un facilitatore/formatore che detta le regole e ne verifica il rispetto: al fine di mantenere l’attività focalizzata sull’obiettivo formativo è necessaria una figura di arbitro che non solo guidi l’esercitazione ma osservi e raccolga dati per la fase successiva di analisi e rielaborazione degli apprendimenti. le esercitazioni sono metodi didattici che sfruttano il loro appeal ludico per ottenere un più elevato e diretto coinvolgimento dei soggetti nel processo di apprendimento. La struttura ludica delle esercitazioni ha anche contribuito a modificare il ruolo del formatore, non più inteso solo come in-formatore ma anche come co-formatore, ovvero come partner dei partecipanti nel processo di co-costruzione del percorso formativo. Il formatore non è un maestro ma è una guida stimolante, un attivatore di riflessioni, un facilitatore di processo che ha come obiettivo quello di promuovere apprendimento e cambiamento. Anche le esercitazioni hanno sollevato alcuni dubbi rispetto al loro reale potenziale formativo e alle loro possibilità di applicazione. Le criticità delle esercitazioni emergono da una rilettura di alcune delle loro caratteristiche già esposte:  DISTANZA: le esercitazioni presentano un modello semplificato di realtà che non riesce a rendere la complessità del reale contesto quotidiano in cui operano i partecipanti. Sebbene il centro delle esercitazioni sia l’interazione tra i partecipanti e non il contenuto, questa sensazione di lontananza può influire negativamente sulla percezione di efficacia dell’attività.  LEGGEREZZA: il rovescio della medaglia dell’immediatezza e della sicurezza evidenziate precedentemente è il rischio che i partecipanti prendano poco sul serio l’attività relegandola nel limbo di mero svago o distrazione.  LOGISTICA: alcune esercitazioni richiedono un certo sforzo di allestimento in termini di materiali e o infrastrutture d’aula che non è sempre possibile avere. A questo si aggiunge il fatto che diverse esercitazioni sono poco efficaci si realizzate con un grande numero di partecipanti, a causa della dispersione dell’attenzione e della difficoltà di gestione da parte del formatore. La vera difficoltà nell’utilizzare questo strumento dipende dal livello di fiducia che il formatore sarà riuscito a costruire con i partecipanti e non tanto da caratteristiche intrinseche di questo strumento. In mancanza di questa relazione di fiducia il formatore rischia che le resistenze e le difficoltà insite nella rappresentazione e nell’analisi di quella che resta un’attività ludica, si trasformino in una riprova dello scarso valore formativo dell’esperienza. I POSSIBILI OBIETTIVI FORMATIVI DELLE ESERCITAZIONI NELLA FORMAZIONE DEGLI ADULTI costituisce il momento dell’esercitazione in cui il formatore propone l’attività e la allestisce. Questa fase può durare dai 5 ai 10 minuti e ha l’obiettivo di interessare i partecipanti e introdurli alla meccanica del gioco. Il lancio può essere diviso in tre sottofasi:  Introduzione: il formatore dichiara che intende passare a un’attività che coinvolge direttamente e attivamente i partecipanti, spiega a grandi linee il contesto e le regole del gioco. Una buona introduzione può durare 3-5 minuti e - Fornisce un’idea del perché si è scelto questo tipo di attività e in che modo si collega ai temi trattati nella sessione senza entrare nei dettagli. - Spiega come la dimensione ludica permetta di condensare in un tempo ristretto condizioni molto simili alla realtà ma in un contesto più protetto, ciò influisce negativamente sulla verosomiglianza dell’attività ma non ne inficia minimamente il valore di stimolo attivo alla riflessione.  Scelta dei giocatori e degli osservatori: è necessario identificare due sottogruppi, uno di partecipanti attivi che eseguirà la vera e propria azione, e un gruppo di osservatori a cui verrà dato il compito di conciliare la fase di analisi. Questa divisione non deve prendere più di 5-7 minuti. Per fare tale selezione è consigliabile che giocatori e osservatori vengano scelti su base volontaria, il formatore non deve spingere i partecipanti in uno dei due ruoli, deve trattarsi di una scelta completamente individuale. Durante questo processo va evidenziato che il ruolo di osservatore non è assolutamente un ripiego, un punto di vista esterno/interno può aiutare a dare spunti al formatore nell’ultima fase, quella di commento dell’attività. È importante sottolineare come un gruppo di partecipanti che si senta costretto a giocare può risultare ostico, poco collaborativo e controproducente.  Lettura del mandato e delle regole del gioco: una volta definito chi agirà e chi osserverà si passa alla lettura delle istruzioni e alla consegna del materiale per lo svolgimento. È buona norma fornire sempre una copia cartacea ai partecipanti per evitare fraintendimenti e ripetizioni, a meno che l’esercitazione non abbia come obiettivo quello di valutare la capacità di ascolto e o la memoria dei partecipanti. Le istruzioni forniscono il contesto, l’obiettivo da raggiungere, il tempo a disposizione, le regole di interazione e i mezzi da utilizzare. Questa fase di lettura e spiegazione può richiedere dai 3 ai 10 minuti. 2. SVOLGIMENTO/PROCESSO: l’esercitazione comincia davvero, il tempo a disposizione viene fatto partire. I giocatori comunicano le attività sotto lo sguardo degli osservatori mentre il formatore assume un ruolo prettamente organizzativo: assicurarsi che tutto avvenga secondo le regole, che non vi siano problemi con i materiali, chiarire i dubbi e le perplessità. Il formatore avvia la propria osservazione annotando i comportamenti e gli eventi che saranno materia di discussione nella fase successiva di analisi. In alcuni casi questa registrazione può avvenire tramite videocamera. L’utilizzo della videocamera comporta vantaggi e svantaggi.  È molto utile se il tema dell’esercitazione è l’interazione tra le persone, in quanto permette un’analisi più approfondita e fornisce ai giocatori l’occasione di rivedersi in azione.  È una potenziale fonte di resistenza se il formatore non è riuscito a creare un clima di fiducia sufficiente o non ha rassicurato nel modo adeguato i partecipanti che il materiale videoregistrato non lascerà l’aula. L’utilizzo della videocamera può aumentare le difese e diminuire la partecipazione. 3. DEBRIEFING O COMMENTO/ANALISI: è il momento didatticamente più importante di questo strumento, quello in cui si passa dall’osservazione riflessiva alla concettualizzazione astratta. Durante questa fase si riflette sull’esperienza vissuta e si cerca di rileggerla, capirla e utilizzarla in chiave razionale, spogliando definitivamente l’esercitazione della sua superficie ludica per far emergere gli aspetti interessanti, problematici e utili ai fini dell’apprendimento e trasferibili nell’attività lavorativa. Le caratteristiche costitutive del commento sono:  Tempo: questa attività richiede un tempo adeguato e non può essere affrettata. Generalmente il debriefing dovrebbe occupare da un terzo a metà del tempo previsto per l’intera esercitazione. È anche importante che un commento non duri più di 45-60 minuti per evitare di dare ai partecipanti la sensazione di sovrainterpretare o eccedere in uno sforzo di analisi che può apparire un esercizio futile.  Procedura: a seconda dell’esercitazione la procedura può variare, ma in genere il formatore dovrebbe dare inizio alla discussione partendo dalle riflessioni dei giocatori per passare a quelle degli osservatori. Solo quando i partecipanti si saranno espressi il formatore può fornire la propria analisi. Il debriefing non è una lezione in cui si fornisce la soluzione dell’esercitazione, ma una riflessione condivisa per aiutare i partecipanti a declinare ciò di cui hanno fatto esperienza rispetto alla loro realtà lavorativa e adattare gli spunti trovati a tali situazioni. Se l’inizio della discussione fatica a partire il formatore può stimolare i partecipanti con alcune domande guida.  Ricostruzione dell’evento: il primo passo è quello di creare un’immagine collettiva e condivisa di quel che è successo, ricostruendo le azioni dei giocatori e come queste abbiano portato al risultato finale. È più utile che siano gli stessi giocatori a partire nella ricostruzione per lasciare poi spazio agli osservatori. Quello livello è molto razionale e tende a limitarsi al successo del gioco, ma è indispensabile per avere una ricostruzione comune di quel che è successo, base necessaria per poter passare all’analisi più approfondita. Alcune possibili domande: cosa è successo durante l’esercitazione? Quali sono stati i momenti importanti? Provate a ripercorrere tutta l’esercitazione ed evidenziate gli eventi più significativi, quali sono state le azioni/decisioni più rilevanti in vista dell’obiettivo finale? Se doveste ripetere l’esercitazione cosa fareste di diverso? In questa sottofase il formatore può intervenire per riordinare ed evidenziare alcuni passaggi.  Riflessione guidata sul contenuto relazione-comportamentale: il formatore stimolerà la consapevolezza dei partecipanti su ciò che l’esperienza ha mosso in loro, sull’evidenziare come, sebbene si sia agito in un ambiente protetto cercando di raggiungere un obiettivo fittizio, siano state messe in campo emozioni e dinamiche relazionali del tutto simili a quelle che si verificano a seconda degli obiettivi formativi, ovvero dei comportamenti organizzativi oggetto dell’esercitazione. Alcune domande possibili: come vi siete sentiti durante lo svolgimento dell’esercitazione? Eravate interessati, divertiti, annoiati, arrabbiati, infastiditi e in che momento precisamente? Pensate di aver mostrato queste emozioni? In che modo? Quali sono state le dinamiche tra i giocatori? Sono nate coalizioni, opposizioni, collaborazioni o conflitti? In questo caso il formatore può orientare le risposte dei partecipanti formulando le domande in modo da inserire alcuni elementi su cui vorrebbe richiamare la loro attenzione: perché non avete preso in considerazione le ipotesi di Gianna? Quali sono state le conseguenze del conflitto tra Laura e Franco? Si tratta in qualche caso si una forzatura ma utile per stimolare un confronto senza scadere nella classica lezione formale in cui si dice cosa è giusto e cosa è sbagliato.  Passaggio dal gioco alla realtà, come trasferire gli apprendimenti nel proprio lavoro: questo è il passaggio più critico e delicato e quello che potrebbe essere più interessante a livello formativo. In questa sottofase il formatore deve accompagnare i partecipanti alla messa a fuoco di quanto i comportamenti agiti durante l’esercitazione siano gli stessi che vengono agiti nella quotidianità lavorativa e nel riconoscere che le buone pratiche evidenziate possano rappresentare altrettante variazioni del corrispettivo comportamento professionale. Alcune possibili domande: ci sono situazioni lavorative analoghe a quella di cui avete appena fatto esperienza durante l’esercitazione? Quali sono gli aspetti simili e quali quelli differenti? Quali sono le differenze tra le reazioni durante l’esercitazione e quelle in situazioni lavorative simili? Sarebbe possibile applicare alcune strategie relazionali che si sono rilevate efficaci durante l’esercitazione nella vostra realtà lavorativa? ALCUNI ESEMPI DI ESERCITAZIONI Ogni esercitazione viene descritta attraverso una scheda che permetterà di farsi un’idea su come possano essere utilizzare e a quale scopo. In ultimo verranno anche presentati alcuni esempi di griglie per si osservatori in modo da fornire un’idea del supporto che è possibile dare a questo tipo di partecipanti. 1. Esercitazioni brevi Queste esercitazioni possono essere utilizzate in apertura del corso dopo una pausa.  Esempio 1 - Titolo: Le presentazioni incrociate - Funzione : riscaldamento - Possibili obiettivi didattici: far riflettere sulle proprie capacità di ascolto e presentazione in pubblico - Numero possibile di partecipanti: da 3 a 20-21 - Durata : 10 minuti + 6 minuti per ogni sottogruppo - Materiali: carta e penne - Caratteristiche dell’aula: sedie mobili per permettere ai partecipanti di creare sottogruppi di tre persone - Difficoltà di gestione per il formatore: bassa - Preparazione: nessuna - Processo: il formatore divide i partecipanti in sottogruppi di tre persone spiegando che adesso si dovranno preparare non a presentare se stessi ma i loro colleghi d’aula. Il formatore fornisce una serie di domande e dà 10 minuti ai partecipanti per intervistarsi, spiegando che alla fine di questa fase, dovranno presentarsi l’un l’altro. Il partecipante A presenterà B e B presenterà C che presenterà A. la gestione del tempo è essenziale, se ci si dilunga troppo si potrebbe perdere l’effetto alleggerente rispetto al giro di tavolo. Terminata l’intervista si passa alle presentazioni, ogni partecipante ha 2-3 minuti al massimo per presentare il collega. Il risultato minimo di questa esercitazione è riuscire a condividere i nomi e la provenienza di tutti i partecipanti. Se il tema del corso è la comunicazione, potrebbe fornire spunti e riflessioni sulla capacità di ascolto, di sintesi e di presentazione delle diverse persone. - Variazioni possibili: consapevole che questo potrebbe allungare molto il tempo di esposizione, il formatore potrebbe aggiungere una domanda per le interviste: che cosa sapete del tema del corso? Oppure, che cosa vi aspettate da questo corso?  Esempio 2 - Titolo: create una frase - Funzione : riscaldamento/ripresa - Finalità: iniziare o riprendere le attività formando sottogruppi per le attività che seguiranno - Possibili obiettivi didattici : oltre al teambuilding è possibile trovare spunti per riflettere sull’utilizzo della comunicazione efficace per la gestione del tempo. - Numero possibile di partecipanti : massimo 20 persone - Durata: da 5 a 15 minuti per creare la lista ma non possono utilizzare il voto a maggioranza: ogni posizione di ogni oggetto deve essere discussa e la decisione deve essere il frutto di una persuasione e non di semplici medie matematiche. Il formatore dà 5-10 minuti al massimo per la compilazione della graduatoria individuale. Una volta completata, consegna agli osservatori la griglia e dà inizio alla discussione di gruppo. Durante l’esercitazione il formatore e gli osservatori hanno l’obbligo del silenzio, nessun commento né nessuna risposta a domande del gruppo dei giocatori. Terminati i 30 minuti il formatore chiede la lista prodotta e, prima di fornire la soluzione degli esperti, dà inizio al debriefing. Partendo dalla percezione dei giocatori passando per quella degli osservatori, il formatore sottolinea le fasi salienti del lavoro, evidenzia i punti di forza e la criticità, rendendo esplicite le dinamiche relazionali che hanno permesso l’espressione di una o più figure di leader. Il materiale che emerge da questa discussione può rappresentare il cuore di un corso sui temi sopra citati. - Variazioni possibili: questo esercizio è una variante della classica esercitazione utilizzata per la prima volta nel 70 dagli studiosi del processo decisionale Hall e Watson. Negli anni che seguirono l’esercitazione ha visto numerose variazioni sul tema ma la meccanica è sempre rimasta la stessa. 3. Esercitazione lunga Può essere svolto solo a metà del percorso, all’inizio rappresenterebbe un carico eccessivo e alla fine toglierebbe spazio alla ricapitolazione del formatore sugli esiti del corso.  Esempio 1 - Titolo : la bottega della piadina - Funzione : simulazione - Finalità: analizzare le dinamiche organizzative oltre che relazionali di gruppi funzionali di un’unica organizzazione - Possibili obiettivi didattici: questa esercitazione può essere utilizzata per lavorare su:  Lavoro di gruppo  Leadership  Gestione dei conflitti  Assertività/problem solving - Numero possibile di partecipanti: da 15 a 21 - Durata : circa 120 minuti - Materiali: ogni partecipante deve avere  Una copia della situazione bottega della piadina  Una copia del compito Tutti gli osservatori devono avere  Una copia delle istruzioni per gli osservatori  Una copia delle definizioni Deve essere inoltre disponibile una lavagna a fogli mobili, pennarelli, carte e penne per tutti - Caratteristiche dell’aula : uno spazio abbastanza grande perché i sottogruppi lavorino senza disturbarsi l’un l’altro - Difficoltà di gestione per il formatore: medio-alta - Preparazione: il formatore deve stampare copie sufficienti di tutti i documenti - Processo: il formatore informa i partecipanti che parteciperanno alla simulazione di un’attività organizzative di change managment. I partecipanti vengono divisi in gruppi di 6-7 giocatori e viene letta in plenaria la situazione bottega della piadina. A questo punto il formatore chiede ai gruppi di scegliere al proprio interno uno o due osservatori e li porta fuori dalla stanza mentre il resto dei giocatori legge il compito. Agli osservatori vengono fornite le istruzioni per gli osservatori e le definizioni che dovranno seguire e tenere nascoste ai giocatori. Una volta che giocatori e osservatori hanno letto i propri documenti può partire il tempo. i primi hanno 45 minuti per portare a termine il compito, ovvero decidere che cambiamenti organizzativi apportare alla compagnia er aumentarne l’efficacia e la produttività. Terminato il tempo ogni sottogruppo ha 5 minuti per esporre in plenaria la propria proposta di modifiche. Completata l’esposizione il formatore chiede ai vari giocatori come è andato il lavoro, come si sono trovati e quando sono soddisfatti del loro prodotto. A questo punto il formatore spiega anche ai giocatori il ruolo degli osservatori, fornendo copie delle istruzioni e delle definizioni permettendo loro di comunicare in plenaria le loro osservazioni e considerazioni relative a come i giocatori hanno lavorato in gruppo. Il debriefing verterà quindi non solo sulle dinamiche del lavoro di gruppo ma anche sull’esperienza di avere un osservatore/valutatore presente durante il lavoro. Quanto questo ha influito sulle dinamiche e sul risultato finale? Quanto sentiamo corrette le valutazioni? Come potremmo migliorare la nostra prestazione nei nostri veri gruppi di lavoro? - Variazioni possibili : se il numero di osservatori è elevato è possibile specializzarli chiedendo loro di concentrarsi solo su alcuni comportamenti presentati nelle definizioni in modo da alleggerire il loro compito e avere dati più approfonditi. 4. Griglia di osservazione Quando si ha un gruppo di partecipanti molto numeroso è utile suddividerli in giocatori e osservatori. Al fine di non dare l’impressione di sminuire questo secondo ruolo è necessario fornire loro un supporto che si guidi e li aiuti. L’osservazione è possibile solo nel caso di esercitazioni media o lunghe, quelle brevi non lasciano il tempo per poter raccogliere dati realmente utili. Se l’esercitazione ha tra i suoi obiettivi quello di mostrare una serie particolare di comportamenti molto specifici come nel caso della bottega della piadina, allora la griglia può divenire una vera e propria check-list che gli osservatori possono compilare durante l’azione. Lezione Con il termine lezione ci si riferisce alla metodologia in assoluta più utilizzata, più diffusa e forse più antica. La lezione trova il suo miglior contesto applicativo quando l’obiettivo è:  Migliorare le conoscenze e le nozioni dei partecipanti  Migliorare la loro comprensione di concetti astratti e di principi generali Invece presenta parecchi limiti quando l’obiettivo didattico è:  Migliorare le capacità pratiche dei partecipanti di fare  Modificare i loro comportamenti interpersonali e le loro capacità relazionali Non è detto che nei secondi due casi la lezione sia del tutto inutile. È ovvio che un minimo di spiegazione teorica da parte del docente facilita i partecipanti e li aiuta ad apprendere meglio, ma è indubbio che il fattore di successo della didattica in questi casi sta molto di più nelle situazioni esperienziali e applicative. Anche per i primi due obiettivi la lezione di per sé non è una garanzia di apprendimento, da sola e senza ulteriori dispositivi didattici la lezione può conseguire risultati solo molto parziali. ASPETTI GENERALI Alcuni elementi generali riguardanti le condizioni di contesto e complessive che ne aumentano l’efficacia  Durata: è altamente consigliabile che essa non si protragga eccessivamente nel tempo, pena un’elevata probabilità di perdita di attenzione dei partecipanti. È ragionevole supporre che la curva dell’attenzione di questa metodologia didattica rischi di essere molto penalizzante, dopo venti-trenta minuti la fatica nei partecipanti comincia a farsi sentire e la concentrazione si riduce in modo significativo.  Utilizzo di differenti mezzi di comunicazione: la sola voce del docente non è sufficiente a garantire una tenuta dell’attenzione, diventa quindi necessario avvalersi di altri mezzi, quali i vari tipi di lavagne, pc e relativi proiettori per le slide, l’utilizzo di spezzoni di filmati ecc…  Necessità di non ridurre la lezione a un monologo del docente: ascoltare è forse una delle attività più faticose e l’ascolto prolungato può davvero diventare un impedimento potente all’attenzione e all’apprendimento. È necessario che vi sia una reale e significativa interazione tra docente e partecipanti. PREPARARE UNA SCALETTA Nel preparare una nuova lezione la prima attività che il docente generalmente compie è la predisposizione di una scaletta dei contenuti che intende trattare durante il tempo messogli a disposizione dal responsabile del progetto formativo. La predisposizione di una scaletta consiste nello scegliere determinati temi da trattare ma anche e soprattutto nello scegliere cosa non trattare. Quali criteri utilizzare in tali operazioni di cernita ed esclusione? I principali sono:  L’obiettivo didattico che ci si prefigge: cosa devono ricordare i partecipanti al termine di questa lezione? Cosa devono sapere di diverso da prima? Quale utilizzo dovranno fare di quanto verrà trattato durante la lezione? Sulla base delle risposte che si daranno a queste domande sarà più agevole scegliere i contenuti da trattare.  Il livello di preparazione dei partecipanti sul tema in oggetto: quanto ne sanno già? Quali sono le esperienze che hanno maturato su questi temi? Qual è il gap tra l’obiettivo che si vuol raggiungere e il punto di partenza? Le risposte in questo caso faciliteranno la scelta del livello di profondità da dare ai vari argomenti e quanto evitare di trattare perché già noto ai partecipanti.  Il tempo a disposizione: partendo da un certo obiettivo didattico e considerando il livello di partenza dei partecipanti, il docente dovrebbe poter indicare il tempo che ritiene necessario. Nei fatti non è così, il tempo a disposizione è molto spesso un vincolo all’interno del quale occorre stare. E poiché anche il livello dei partecipanti per il singolo docente è un vincolo, l’unica strada è la rimodulazione degli obiettivi effettivi. LA SEQUENZA DEGLI ARGOMENTI Con quale ordine presentare i vari argomenti? La prima alternativa potrebbe essere definita classica e deduttiva. Si introduce l’argomento partendo dai suoi presupposti, magari accompagnati da un minimo di inquadramento storico, poi si illustrano i concetti base e si prosegue con un progressivo approfondimento dei vari aspetti. Al termine o durante l’illustrazione dei vari concetti si fanno degli esempi. Il materiale da presentare viene organizzato nel seguente modo:  Presentazione dei principi generali attinenti la materia oggetto della sua lezione  Esame dei singoli punti in cui i principi generali possono essere scomposti, loro commento e loro analisi  Eventuali esempi applicativi dei vari casi  Conclusioni Anche un eloquio veloce ma costante ha effetti negativi sull’attenzione e sulla possibilità per i partecipanti di seguire in modo efficace quanto il docente va dicendo. L’eloquio più facile da seguire è quello alternato, alcune parole scandite e inframmezzate da brevi pause perché più importanti, altre parole invece scivolate e cioè formulate senza pause e senza particolari enfasi. L’alternanza facilita l’ascoltatore, lo aiuta a capire quali aspetti sono rilevanti, a quali deve prestare attenzione e quali aspetti invece sono meno importanti.  IL TIPO DI LINGUAGGIO USATO DAL DOCENTE: egli è quasi sempre un esperto della materia di cui tratta e quindi tende a utilizzare il linguaggio tecnico specifico della materia stessa, un linguaggio preciso che aiuta a esprimere i concetti in modo univoco e che velocizza la comunicazione. Ma il linguaggio tecnico non sempre è così facilmente comprensibile per i partecipanti che dovrebbero essere molto meno esperti del docente. Sorge quindi la necessità per il docente di prestare attenzione ai termini che utilizza e cercare di definire quelli più tecnici e più specifici della sua materia.  LA GESTUALITA’: - È un mezzo per comunicare e come tale non è per nulla inutile - Se utilizzata in modo appropriato aumenta l’efficacia della comunicazione e la comprensibilità di quanto esposto sul piano verbale. - Essa può diventare controproducente se trasmette dei messaggi negativi all’ascoltatore, per esempio perché trasmette impostazione o aggregazione o qualifica. - Lo strumento principale per il docente per capire quanto la propria gestualità sia di supporto o controproducente è filmarsi durante una lezione e rivedere con occhio attento il proprio comportamento. L’attenzione dei partecipanti non è solo influenzata dall’insieme di questi aspetti quasi tecnici relativi alle modalità pratiche con cui il docente agisce i suoi comportamenti. Un elemento molto rilevante è costituito dalla forma verbale che il docente utilizza per trasferire i concetti. Ci si riferisce allo stile comunicativo adottato e cioè:  All’uso degli esempi, delle similitudini, delle metafore, delle analogie, tutti accorgimenti che migliorano la comprensione, l’attenzione e la memorizzazione dei concetti esposti  Gli aneddoti, le storie e i resoconti di fatti e vicende che facilitano l’ancoraggio delle conoscenze a elementi esperienziali e immaginativi. L’ATTEGGIAMENTO DEL DOCENTE Vi sono una miriade di comportamenti che il docente mette in atto e che impattano sui partecipanti, sul loro modo di accogliere o rifiutare i concetti esposti, sulla loro predisposizione positiva o negativa verso la situazione didattica che si sta vivendo, sull’apprendimento finale. Tali comportamenti in larga misura derivano dall’atteggiamento di fondo che il docente ha nei confronti di ciò che sta facendo e delle persone che ha di fronte. Più l’atteggiamento è positivo più sarà possibile che egli metta in atto comportamenti che avvicinano le persone alla materia e che le aiutano nella comprensione. Viceversa, più un atteggiamento del docente è negativo e più le persone si chiuderanno o si ribelleranno ai contenuti esposti, più tenderanno a rifiutare la situazione d’aula e o a spegnere la propria attenzione attendendo la fine della lezione. Classificazione degli atteggiamenti positivi contrapposti a quelli più rischiosi o negativi: 1. Vicinanza o distanza? Sull’estremo vicinanza troviamo quei comportamenti che fanno percepire ai partecipanti un’effettiva disponibilità del docente a entrare in relazione e a mettersi in gioco in prima persona, quali per esempio  Mostrare entusiasmo e interesse per la materia e per la situazione presente  Rispondere in modo esauriente e puntuale alle domande  Discutere con le persone rispettando la loro opinione  Avere linguaggio e forme verbali non elaborate, ma tratte dal linguaggio quotidiano  Guardare in faccia le persone  Sorridere Sull’altro estremo troviamo i comportamenti che allontanano il docente dai partecipanti e fanno intendere a questi ultimi che vi è scarsa disponibilità a entrare in relazione, quali per esempio:  Parlare con un tono un po’ annoiato, con scarso entusiasmo  Mostrare talvolta un po’ di insofferenza verso le domande dei partecipanti o verso le loro osservazioni  Utilizzare una mimica che fa intendere che quella domanda o quell’osservazione sono indicative come mimino di disattenzione o forse anche di stupidità  Fare dell’ironia e del sarcasmo sul gruppo o sulle idee sostenute da alcuni partecipanti  Mantenere un atteggiamento rigido e formale ben al di là di quanto la situazione nel suo insieme richiederebbe  Adottare forme verbali molto formali e poco coerenti con la situazione specifica  Gestire la disciplina in aula in modo autoritario e scolastico  Parlare guardando sovente non le persone ma punti inanimati, in alto, più o meno sopra la testa dei partecipanti, oppure lo schermo, il proprio pc, fuori dalla finestra ecc. L’inconveniente che sta dietro l’adozione di comportamenti che qua sono descritti come distanza sta nel fatto che il gruppo tende a richiudersi, le persone tendono a non fare più domande, i dubbi non vengono esplicitati, le inevitabili incomprensioni che in ogni lezione possono emergere non vengono evidenziate e risolte, l’apprendimento nel suo insieme viene penalizzato. Oppure al contrario gli atteggiamenti di affettività negativa del docente ingenerano in alcuni partecipanti o in tutto il gruppo una forte reazione di controdipendenza, e allora partono le obiezioni, le contestazioni, i la nostra realtà è diversa, oppure Lei non conosce il nostro contesto ecc. e l’energia viene spostata dalla materia in esame alla contestazione e al conflitto 2. Competenza o potere? Su un estremo ci stanno quei comportamenti che dimostrano il desiderio di mettere a disposizione il proprio sapere per condividerlo, mentre sull’altro estremo vi sono i comportamenti che fanno percepire al gruppo che il docente utilizza il proprio sapere come strumenti per affermare se stesso e la propria indiscutibile superiorità. Comportamenti dalla polarità più negativa definiti con potere:  Far pesare la propria posizione di docente per prevaricare i partecipanti interrompendo, volendo avere l’ultima parola nelle discussioni, dare lunghe spiegazioni a chi non è d’accordo in modo da neutralizzarlo, fare battutine vagamente vendicative verso tesi sostenute prima da qualche partecipante ecc.  Parlare in modo tale da far capire che il proprio sapere è alto, che la cultura posseduta è tanta e che quindi quello che si va dicendo è importante  Citare ripetitivamente autori più o meno conosciuti  Fare continui richiami al proprio prestigioso ruolo professionale  Comunicare che si è una persona socialmente importante e potente mediante allusioni dirette o indirette a frequentazioni altolocate  Utilizzare in generale toni normativi e molto valoriali all’interno di vere e proprie paternali ispirate al Voi dovete capire, voi dovete essere. Anche qui l’agire ripetutamente comportamenti di questo tipo tende a ingenerare un clima negativo che allontana le persone dai contenuti e le spinge a chiedersi o a entrare in polemica e in controdipendenza a scapito dell’apprendimento I comportamenti all’estremo opposto non sono quelli che negano o nascondono il proprio sapere, ma sono quelli che dimostrano di voler mettere a disposizione il proprio sapere per condividerlo non in forma autoritaria e impositiva  Sollecitare l’esplicitazione di punti di vista diversi da parte dei presenti, in modo da confrontarsi e trovare delle conclusioni in tutto o in parte condivisibili  Lasciar finire l’esposizione della sua personale tesi al partecipante dissenziente, senza manifestare squalifiche non verbali mentre parla  Rispondere alle contrapposizioni e alle obiezioni rispettando il parere di chi non è d’accordo, senza toni polemici o ironici e senza inserire elementi esterni per dare importanza alla propria tesi, ma limitarsi agli aspetti oggettivi di contenuto  Esprimere il proprio punto di ista in forma relativa come una proposta e non come una verità assiomatica e definitiva 3. Apprendimento o valutazione? Nel processo di apprendimento un ruolo importante è giocato dai feedback che le persone ricevono e quindi i modi che il docente utilizza per comunicarli divengono un fattore significativo del successo complessivo del processo didattico. Possiamo individuare sul primo estremo un insieme di comportamenti che esprimono con forza la valutazione che il docente dà dell’operato del singolo o del gruppo.  Dare feedback sulle persone anziché sui compiti svolti  Dare solo o prevalentemente feedback negativi, sottolineando con lunghe disquizisioni gli errori commessi e sorvolando sulle cose fatte correttamente date quasi per scontate  Esprimere valutazioni sulle domande fatte dai partecipanti  Esprimere valutazioni sulle motivazioni sottostanti alle obiezioni o comunque sulla qualità intrinseca dell’obiezione  Fare confronti tra le persone o tra sottogruppi, particolarmente al termine delle esercitazioni  Fare domande dirette a specifiche persone con stile scolastico e quasi per coglierle in fallo o per valutarne la preparazione e la concentrazione Dopo numerosi interventi di questo tipo da parte del docente, si può facilmente instaurare in aula un clima competitivo, con frequenti comportamenti esibitivi da parte dei partecipanti, tesi a ottenere le gratificazioni del docente. Oppure nel caso di predominio di feedback negativi e o di stile aggressivo da parte del docente, facilmente ci creano passività e atteggiamenti difensivi, tesi a evitare di incorrere nei rimproveri o nelle svalutazioni del docente. L’estremo opposto prevede un atteggiamento del docente teso a favorire l’apprendimento non tanto focalizzato sulle persone ma molto centrato sui contenuti.  Dare feedback sui contenuti e non sulle persone  Dare anche feedback positivi e non solo quelli negativi  Dare feedback negativi di tipo costruttivo insistendo non tanto sull’errore commesso, quanto sull’alternativa positiva e su come realizzarla  Evitare di esprimere valutazioni sulle domande ma limitarsi semplicemente a rispondere  Evitare di interpretare i perché delle obiezioni e limitarsi a rispondere  Evitare confronti tra le persone o tra i lavori dei sottogruppi  Evitare di ironizzare sugli errori compiuti  Lasciar intervenire le persone in modo libero, evitando di costringere il singolo partecipante a parlare L’USO DEL TEMPO A parte gli errori di progettazione può capitare che per una serie di ragioni i tempi disponibili non si dimostrino congrui con ciò che si è preparato, magari chi ci ha preceduto nella medesima giornata ha sfiorato e quindi ora ci troviamo con meno tempo, oppure i partecipanti si sono dimostrati molto attivi e interessati sui primi temi trattati per cui ci siamo ritrovati poi con meno tempo per tutti gli altri argomenti. Cosa fare in questi frangenti? L’ipotesi dell’autore è che occorra privilegiare l’apprendimento e l’efficacia della didattica a scapito dell’efficienza. La proposta è quella di cercare il più possibile di consentire ai partecipanti di acquisire Non si scrive dunque la propria storia nell’ambizione di esibirla ad altri nella vemenza dell’eloquio. Né si rivisita il passato solamente per ritrovare le memorie meno dolorose al fine di trarne un sollievo emotivo. Oppure i ricordi più crudeli per espiare colpe e chiedere indulgenza. Una pulsione interiore spinge da secoli gli uomini e le donne ad avvalersi dello strumento della penna, nelle variazioni tecniche avvicendatesi, soprattutto per esaminarsi di più e, attraverso il racconto di sé e soltanto per sé, meglio rischiarire le cose della vita , per scoprire i confini delle proprie possibilità fisiche, per oltrepassarli con l’immaginazione, per trovare una base sicura che consenta loro di riconoscersi. La scrittura di sé non si limita a cogliere l’attimo del suo compiersi. Il gesto libero e volontario dello scrivere ci consente di fissare quei minuti che più vale la pena di trascrivere, come altrettanti indizi necessari per disegnare chi siamo stati e chi abbiamo creduto di essere. scrivere è un coinvolgimento psicomotorio, è attività cerebrale e corporea, è procedimento atto a suscitare affezioni moleste o gradevoli. Prima della sua ideazione tali sentimenti dovettero appartenere già agli iniziali balbettii di un pensiero interiore allo stato nascente. Fu grazie a esso che talune culture umane poterono emanciparsi intellettualmente. 1. Un’esperienza incomparabile del pensiero Quando la scrittura divenne complementare alla voce o all’attività pensante, quando gli scriventi si avvidero che era possibile sostituirla del tutto alla prevalente difficoltà verbale, l’ingegno umano imparò ad avvalersene come risorsa indispensabile. Scoperse che mediante tale pratica il pensiero dialettico poteva accrescere i propri poteri, assumendo configurazioni non concesse alla sola oralità. 2. Scrivere di sé e dotarsi di metodo e rigore Si tratta di un modello affidato esclusivamente alla combinazione mano-dita di carattere maieutico, il quale si andrà delineando nel progredire di un lavoro cui necessita l’esercizio rigoroso di competenze cognitive peculiari, sovente trascurate quando lo scrivere si prefigga altri scopi. La dinamica mentale intrapresa ci vedrà agire al contempo come soggetti e oggetti, come narratori e interpreti, come giudicanti e giudicati. Ci consentirà di riepilogare non solo quanto abbiamo fatto nella e della nostra esistenza, poiché scrivere di sé è interrogarsi e porre domande oltre che alla nostra vita innanzitutto al più generale essersi trovati a esistere, e non da soli. È inseguirne a ritroso il senso pregresso riuscendo a intravederlo nei giorni a venire senza rinunciare a stabilire un nesso tra ciò che siamo stati e ciò che potremmo ancora individuare grazie a questa peculiare modalità formatrice. Non vi è dunque formazione alla scrittura di sé che non si annunci e si riveli strada facendo essa stessa già una cifra trasformativa tra le più importanti e impegnative. L’ESORTAZIONE MORALE ORIGINARIA: TROVA IL TUO SENSO Il problema del metodo al quale ricondursi per trarre il massimo vantaggio dalla scrittura di se stessi già si poneva prima ancora che essa si accompagnasse al narrare o al parlare di sé. Ma che significato ha la parola sé? Chi vi si rivolge come a un destinatario è già quel sé agente, scrive perché desidera guardarsi proiettato su una superficie cartacea o di altra natura, come a un altro. Il sé al genitivo, che parrebbe il ricevente dei messaggi, ne costituisce anche l’autore. Chi è infatti che scrive? Chi se non il sé dirige l’azione e i processi conseguenti, sceglie parole e frasi, dipana i concetti, li tratta linguisticamente, così come sarà lo sesso con le emozioni provate e che meriteranno di essere salvate in poche righe. Il sé è insieme quindi fonte del messaggio e spettatore di quanto il suo doppio va inviandogli. Il soggetto scrivente è attore e pubblico, è scrittore e lettore. BILOCAZIONI COGNITIVE: DI SE’ O DEL SE’? Ogni autore si stacca da sé per diventare l’alter ego nel testo che va redigendo. Per Bruner la nozione di sé esprime il prodotto empirico del nostro racconto, non un’essenza da svelare. Raccontando e scrivendo di noi creiamo la nostra identità non univoca bensì composita, molteplice, mutevole, decostruendola e ricostruendola nell’incontro con altre storie, sostituendole a quelle già apprese, proteggendo tenacemente quelle che ci sono più care e utili alla sopravvivenza. Il sé si rivela un vissuto narrativo in continua mutazione, poiché l’alter ego che abbiamo creato ci induce a non indulgere nella stabilità del pensiero, bensì nel suo ritrovare la via del moto. Io sono ciò che racconto e scrivo in primo luogo a me stesso, tu sei ciò che mi racconti e scrivi di te o di me, noi siamo e voi siete soprattutto quello che condividiamo reciprocamente, parlandoci, scrivendoci, leggendoci a vicenda in una dialettica che la scrittura non mette a tacere. IL CONCETTO E LE PRATICHE IN UNA STORIA DI EMANCIPAZIONE Tale declinazione dello scrivere fece la sua comparsa nelle culture umane più evolute quando il pronome io iniziò ad apparire sulle superfici materiali di cui la scrittura mutò i toni e gli ingredienti narrativi. La pratica però divenne un oggetto d’attenzione e prese a essere esaminata concettualmente solo in epoca moderna e contemporanea. Molto dopo la sua apparizione e progressiva diffusione, riscosse larghi consensi non solo tra i ceti intellettuali, aristocratici e borghesi. per merito soprattutto della riforma protestante, delle esigenze della borghesia, delle èlite illuminate. Fu ben presto un genere che accompagnò i viaggi per mare e per terra oltre che di coloro i quali si dedicarono alla conquista di mondi ignoti, dei geografi, degli esploratori, dei senza patria, dei pellegrini. Scrittori famosi e dimenticati da ogni cronaca apprendevano che desideravano diventare padroni della propria storia, e a questo scopo avvertirono il bisogno di raccontarla, sottoponendola a un vaglio a nessun altro affidato che al proprio lavorio introspettivo, anche solo per la ristretta cerchia familiare e amicale. SAPERI E VOCI CONVERGENTI: TRACCE Michel Foucault trovò le tracce di scrittura che muove da noi stessi nel mondo antico mediterraneo e neocristiano per quanto concerne il bisogno di soggettivazione come cura di sé. In quell’epoca si trova tutta una cultura di ciò che si potrebbe chiamare la scrittura personal, prendere appunti sulle letture, le conversazioni, le riflessioni che si sono ascoltate o che si sono rivolte a se stessi, tenere delle specie di taccuini. Si trattava di tecniche che avevano lo scopo di legare tra loro la verità e il soggetto. Jacques Lacan ci ha mostrato quanto nella clinica, sollecitare a scrivere i pazienti rappresenti una fonte di conoscenza indispensabile per il terapeuta, oltre che un sostegno alla loro progressiva autonomizzazione già nel suo corso e successivamente all’analisi terapeutica. Mentre Maria Zambrano, avvalendosi della parola desnacer (rivivere), metteva in luce quanto uno scritto a orientamento autobiografico ci consenta di rammentare i nostri vissuti non per una esigenza solo memorialistica di tono letterario ed estetico. Per poterli ritrovare, interpretare, giudicare e quindi coglierne anche tutta la finezza e la dissolvenza poetica. Scrivere di sé è andare a raccogliere ciò che in noi e attorno a noi è noto, per riscattarlo dalle oscurità iniziali e dargli occasione di rinascere, perché nasca in altro modo, questa volta nel campo della visione. Negli studi sociologici e di antropologia culturale si distinguono le indagini di Bauman, il quale afferma che vivere è sempre un soluzione biografica, e che l’identità di ciascuno nella contemporaneità, è sempre più costretta ad avvalersi di un equilibrio che fa appello alle risorse individuali. L’adozione della scrittura sostiene e porta a termine il compito di autochiarificazione di ognuno, ne asseconda le necessità esistenziali di autorinnovamento soggettive. La scrittura di sé condivisa in internet è espressione di un individuo, per esempio, che non rinuncia a stare individualmente insieme a chi senta il bisogno di riradicalizzarsi in luoghi comuni oltre ogni appartenenza, per creare reti fra loro e condividere intimità e creare comunità virtuali di amicizia, solidarietà, cooperazione professionale, dissenso sociale e politico. UNA PRESENZA IN OGNI ETA’ DELLA VITA Scrivere di sé nelle sue forme più evolute travalica sovente la mera narrazione di se stessi. da un lato consente all’autore di prendere coscienza progressivamente della sua situazione psicologica, sociale e civile, dall’altro permette agli osservatori di raccogliere indizi sufficienti per la formulazione di congetture non solo su quel tempo vissuto e narrato ma sulle rappresentazioni di sé nel tempo. ci troviamo dunque in presenza di manifestazioni del linguaggio, del pensiero, nonché dinanzi a stati d’animo, in merito ai quali la scrittura prede l’avvio del desiderio e dalla aspirazione, spesso ad altri taciuta, spesso dettata dall’urgenza esistenziale, contingente e appassionata, di autodescriversi dinanzi ad accadimenti temporanei di rilievo o i più quotidiani riguardanti il riepilogo di un’intera vita. nel primo caso la tendenza a raccontarsi evidenziando l’io narrante appare già nell’infanzia, in relazione ai primi passi nell’arte del leggere e scrivere, del pensiero egocentrico: contrassegna gli anni dell’adolescenza, della prima giovinezza, dove per un io fragile in crescita, disorientato, si rivelerà consolatoria e rasserenante, oppure risentita, aggressiva, impotente verso tutto e tutti, anche verso di sé. In seguito, come la sterminata diaristica giovanile sta a dimostrare, svolgerà un compito iniziatico verso l’età adulta, ne registrerà i momenti salienti a livello di educazione sentimentale, intellettuale e professionale. È però nel susseguirsi delle vicende esistenziali, negli anni della maturità o già approdati all’età senile, che il genere autobiografico ci ha lasciato e lascia le prove migliori anche letterarie. L’AUTOBIOGRAFISMO: SPIA DEL DISAGIO E DEI DIRITTI PERSONALI CONTEMPORANEI Quando dalla grande marca delle scritture personali spiccano opere di grande valore, questo non deve indurci a ritenere le prime una manifestazione irrilevante. Tale letteratura impulsiva, drammatica, spontanea, a lungo considerata inferiore e irrilevante ha comunque dato vita da almeno due secoli a questa parte a un movimento culturale informale costituito da ignoti gli uni agli altri, inarrestabile, denominato oggi autobiografismo, spesso incoraggiato da mode sociali o da congiunture drammatiche o dettate dalle oscillazioni periodiche delle tendenze individualistiche. Tale comportamento di opinione e di pensiero è una spia sociale alla quale guardare con grande attenzione. Ci si rivolge alla scrittura per reagire alla solitudine, per farsi ascoltare, per reagire a sofferenze fisiche e psichiche, per testimoniare situazioni estreme. La scrittura personale è prevalentemente in queste circostanze, e in rapporto alla seconda metà della vita, che trova quindi la sua più vera e avvertita ragion d’essere. CHI E’ LO SCRITTORE DI SE’, CHI PU0’ DIVENTARE: UN PROFILO Chi ne scrive p mosso dall’impulso per lo più spontaneo di offrire in primo luogo un resoconto impressionistico o accurato di ciò di cui gli sia accaduto di fare esperienza diretta. In un crescendo narrativo che può muovere dai primi ricordi d’infanzia e quanto la vita gli abbia insegnato e che ritenga utile lasciare per iscritto ad altri. Chi scrive era ed è sollecitato a ciò in ragione di emozioni e fatti realmente vissuti. Si scrive da secoli delle avventure e delle vicissitudini attraversate, delle gioie o delle pene d’amore, dei propri successi e fallimenti, delle colpe di cui ritiene doversi accollare e di quelle di cui non è responsabile, degli enigmi irrisolti, del dolore e delle domande che non troveranno risposta, del rimpianto, delle occasioni mancate o sprecate, dei progetti interrotti, delle sensazioni di spaesamento, di vuoto e angoscia che con la scrittura si tenta di medicare. Chi scrive di sè  è persona appassionata e tenace. Sa che occorre molto coraggio e determinazione. Non tutti sono disposti a iniziare una simile impresa, ma chi l’incomincia e la porta a termine avrà atteso al compito di diventare pienamente donna o uomo. poiché ogni vita conta se abbiamo saputo raccontarla, possiamo rileggerla, rivederla scorrere pagina dopo pagina, coglierne i momenti apicali, le svolte, gli incontri memorabili. La scrittura produce oggetti secreti da noi, nei momenti in cui tutto sembrerebbe non avere consistenza quel manoscritto, quelle pagine di diario, quel libro che porta la nostra firma è la prova oggettiva e materiale, che abbiamo vissuto. Possono bastare poche pagine a tessere la mappa di un’esistenza, della quale lo scrivente si percepisce essere l’unico e assoluto titolare.  È in un dialogo interiore continuo, adotta una modalità solitaria per conoscersi anche quando quei fogli vengano condivisi, quando qualcuno al loro posto le leggerà ad alta voce  Genera processi di sviluppo mentale, talvolta riesce a incidere sulle proprie abituali condotte cognitive, talaltra amplia orizzonti di senso, mobilita desideri obliati, si educa a Il laboratorio di gruppo è lo spazio ideale all’interno del quale tali sollecitazioni possono essere sperimentate. Ma senza una disponibilità dei partecipanti a proseguire altrove, individualmente e da soli gli esercizi di scrittura assegnati di volta in volta che negli incontri successivi verranno condivisi nel gruppo alla presenza del formatore, il metodo non potrà dare i frutti attesi. Inoltre il requisito fondamentale per l’accesso a una simile formazione è costituito dalla presenta accertata di una motivazione libera e giustificata. Le ragioni frequenti addotte all’atto di scegliere di partecipare a un laboratorio di scrittura sono:  Per conoscersi di più  Per ritrovare un’unità perduta  Per essere stimati/amati  Per una necessità o bisogno impellente  Per riuscire a penetrare nell’essenziale  Per salvarsi dal senso di vuoto  Per trasmettere le proprie memorie  Per lasciare tracce sparse  Per aiutare gli altri a scrivere  Per condividere delle esperienze  Per il puro piacere di scrivere  Per ascoltarsi Oltre a queste vanno aggiunte le aspettative di carattere professionale, anche se coloro che dichiarano tali aspirazioni verranno informati che lo scopo prioritario del programma formativo perseguirà esclusivamente scopi di carattere autoformativo. L’apprendimento del metodo direttamente verificato su se stessi, per esempio in contesti di formazione dei formatori e dei consulenti, consentirà quindi di meglio comprendere quali effetti tale formazione saprà generare negli eventuali utenti successivi cui un formatore autobiografico si rivolge di norma: insegnanti, educatori, psicoterapeuti, medici, volontari della narrazione e della scrittura. 1. Posture, momenti, tempi e sedute della formazione Ci troviamo in presenza di un setting formativo organizzabile in sedute di scrittura di durata variabile a seconda dei vincoli prestabiliti in relazione alle caratteristiche della domanda, alla professione, alla scolarità, all’età dei partecipanti. Queste possono oscillare dalle otto alle dodici sessioni, e comunque non potranno ridursi mai a meno di 5. La loro durata può corrispondere a tre-quattro residenzialità di almeno tre giornate ciascuna o a incontri non intensivi di almeno tre-quattro ore. L’articolazione del tragitto formativo prevede di norma l’attraversamento e soste riflessive sui seguenti momenti nodali  MOMENTO I- IL RACCOGLIMENTO PERSONALE: sarà cura del formatore, dopo l’analisi delle motivazioni personali, assicurarsi che ciascuno abbia a disposizione un piano d’appoggio confortevole per scrivere senza impacci si sorta, è poi cruciale che ogni partecipante possa vedere gli altri ed essere visto, predisponendo i tavoli secondo una disposizione quadrangolare o circolare. È in questo spazio che andranno a depositarsi pensieri, ricordi , proiezioni. È qui che il tempo a disposizione non dovrà prevedere accelerazioni a fretta, sarà il tempo della scrittura i cui testi potranno anche essere anonimi, non letti ad alta voce, della rivisitazione della propria memoria secondo i ritmi pacati di un vero e proprio raccoglimento meditativo su di sé, come oggetti e soggetti al contempo.  MOMENTO II – IL GRUPPO: occorre non sottovalutare che il gruppo costituisce un contenitore simbolico e transizionale ideale. Esso è un fattore fondamentale per la buona riuscita del tragitto formativo. Si scrive affiancati, si legge con e per altri, ci si confronta e soprattutto si ascoltano storie orali, quando si preferisca tenere per sé quelle scritte. Tuttavia nel percorso autobiografico è consigliabile che non si propongano momenti interattivi di carattere psicosociale e tanto meno socioanalitico. Il baricentro metaforico della formazione dovrà mantenersi volto ad assistere e ad accompagnare ciascun soggetto personalizzando le sue esigenze, e sarà questo comunque sempre costituito da scritture individuali tali da non implicare confronti e comparazioni. La scrittura di sé è una proposta che ha il compito di mettere a contatto il narratore con la propria memoria, con le riflessioni che questa suscita tanto rispetto al passato quanto in merito ai suoi esiti nel presente. Scritture collettivamente perseguite, basate su giochi di gruppo, sulla valorizzazione di un’interazione che non sia prevalentemente interiore, non farebbero altro che distogliere i presenti dagli obiettivi orientati secondo gli intendimenti di un’educazione interiore  MOMENTO III- LE SOLLECITAZIONI: il compito del formatore consisterà nell’offrire a ciascun membro del gruppo, quelle sollecitazioni memorialistiche che possano condurlo a ritrovare la propria mappa memoriale. Si potrà iniziare suggerendo rievocazioni legate al tempo dell’infanzia, per poi procedere secondo un ordine cronologico dalla prima età a quelle successive. La ricostruzione genealogica rappresenta un canone indispensabile cui attenersi nel corso delle prime esercitazioni. Non va mai dimenticato che l’autobiografica è ricostruzione di quanto il narratore ritiene di aver realmente vissuto, secondo verità attinenti date, fatti, passaggi esistenziali, incontri, luoghi ecc. non frutto di invenzione. Si tratta quindi di una scrittura basata esclusivamente su esperienze percettive, cognitive, interpretative, emotive. L’autobiografia non è un romanzo di invenzione, mente può essere attraverso la tecnica dell’autofiction una storia romanzata. 2. Le specificità esistenziali Durante il percorso, in un crescendo che si affida anche alle importanti pause tra un laboratorio e l’altro, un ruolo senz’altro cruciale è rappresentato dai sollecitatori tematici introdotti. Non si tratta che di suggestioni visive, narrative, filosofiche, la cui funzione è volta ad approfondire taluni momenti di vita, anche critici, dolorosi o viceversa evocatori di momenti sereni, felici, emersi durante il lavoro di recupero, ovvero di archeologia memoriale applicata a se stessi. questa prevede la scrittura di evocazioni ancora solo sensoriali, percettive, sceniche sino a risalire ai ritrovamenti più ambigui, coperti dall’enigma, dal dubbio, dall’incertezza. Dallo scrivere descrittivo di episodi, emozioni, eventi si transiterà a sollecitazioni volte a generare una scrittura più riflessiva e meditata, più prudente, più costruita a livello di impegno interpretativo ed esplicativo. 3. Sceneggiature e trame Le sedute si articoleranno in ragione di consigli sempre più dedicati alla scrittura della sceneggiatura della propria storia. un passaggio cruciale, questo, affinchè dalle liste dei ricordi, dai repertori memorialistici, dagli elenchi tematici, si possa transitare alla costruzione della trama, dell’intreccio, dell’intrigo. Durante questa fase si assiste, incoraggiata dal consulente e supportata da esempi, a un interessante cambio di direzione di talune mosse cognitive, poiché si chiede al pensiero una trasformazione delle modalità prima adottate, che pur fonte di commozione, di una forte compartecipazione anche a livello gruppale, puntavano a suscitare soprattutto il più ampio coinvolgimento affettivo in quanto fonte di ricordi obliati prima della scrittura. Ora l’impegno si renderà invece ancora più personale, creativo, e sarà affidato alla più solitaria ricerca di un modello compositivo adatto a se stessi, alla propria sensibilità per il romanzo, al gusto estetico, alla propria filosofia di vita, a un’idea di forma narrativa conforme alla rappresentazione della propria vita. gli scriventi saranno di conseguenza invitati:  A ricostruire secondo una trama plausibile, sempre nella massima attenzione per i fatti e le esperienze sensoriali, affettive, intellettuali vissute, la loro intera storia  A distinguere in periodi salienti, critici, problematici la loro esistenza, evidenziando transizioni e passaggi  A stabilire quale genere autobiografico intendano realizzare, tra le varietà prevalenti di carattere introspettivo, genealogico-sequenziale, familistico-corale, romanzesco, lirico- poetico, o anche ibrido, multitematico e pluristilistico  A restituirein un insieme il più possibile interconnesso la narrazione della propria storia  A curare i particolari anche i più irrilevanti al fine di arricchire il ritmo della resa narrativa  A connettersi a sfondi di carattere storico-sociale, al fine di collegare la propria storia dentro contesti non solo ambientali, famigliari o comunitari, ma anche più ampi: indipendenti dalle vicende narrate dal protagonista e delle quali sia stato attore. 4. L’autofiction In ogni caso la scrittura autobiografica verrà ad assumere un carattere romanzesco anche nel suo essere antiromanzo, per la ragione che l’autore metterà in scena eventi, personaggi, sfondi, oltre alla propria voce narrante timida o altisonante o in terza persona, per creare un intrigo, ovvero un testo che sarà sempre un’opera riconducibile al genere definito oggi letteratura personale. Costituirà essa un artefatto verso la quale l’autore si protenderà per inseguire il sogno umano di entrare nei panni di un’altra storia, pur essendo quella narrata di nessun altro se non la propria, la quale assomiglierà a quella nel corpo effettivamente vissuta. DALLA’AUTOFORMAZIONE ALLA CONSULENZA AUTOBIOGRAFICA Nel condurre attività di formazione alla scrittura volte a suscitare disponibilità all’autoformazione autobiografica, accade spesso di imbattersi in una domanda che richiede un approccio personalizzato di carattere clinico. Dinanzi a una fenomenologia di resistenze, di paure, di amnesie che determina l’instaurarsi di una relazione diversa tra il formatore e il potenziale autobiografo. La transizione comporta un cambiamento di postura significativo, il formatore si assumerà in tal caso compiti a livello di consulenza individuale, con la conseguenza che occorre istituire un setting di lavoro alquanto diverso rispetto alle consuete attività informate soprattutto a una cultura di carattere educativo per l’età adulta. È dinanzi a questo complicarsi delle circostanze citate che si è indotti a mutare le modalità di porsi e a scegliere la via, il metodo, della relazione d’aiuto a due, o in qualche caso, della consulenza a micro gruppi garantendo un’attenzione ben diversa a ciascuno, una più sollecita analisi e restituzione delle scritture, un aiuto che seppur personalizzato si giova anche dei vantaggi degli scambi interpersonali. In altri casi la scrittura che definiamo in accompagnamento personalizzato e in reciprocità diagrafica, è attuabile anche quando ci si trovi in presenza di diagnosi correlate all’abuso di sostanze, alle patologie alimentari, alle depressioni di origine esistenziale grave, alla reintegrazione sociale nelle sue diverse accezioni. Tale intervento si rivela poi opportuno quando la perdita di persone care, una malattia inguaribile o un’infermità permanente, uno sradicamento violento dalla propria rassicurante quotidianità non consenta di riuscire da soli a sostenere un percorso che richiede una presenza sollecita accanto a sé. Una disponibilità, quella del consulente, volta e intrecciare gli inevitabili e congruenti momenti interlocutori, discorsivi e di ascolto con il narratore e aspirante autobiografo, con le varie sedute allo scrittoio di carattere autografico, finalizzate alla realizzazione autobiografica conclusiva, alla stesura del proprio romanzo dell’io. Ma tale postura costituisce una indubbia peculiarità del metodo, il professionista è chiamato a rendersi disponibile a intrecciare la propria scrittura, diagraficamente, con la penna del suo interlocutore e assistito, per condividere con lui un itinerario che abbia come missione contenuto e oggetto del lavoro interpersonale, la memoria del narratore e il presente della sua narrabilità. In tal modo un’impresa di solidarietà umana prende vita, al di là degli aspetti tecnici. Si origina un rapporto conversazionale mediante scambi narrativi al quale il consulente parteciperà attivamente, non ergendosi mai a interprete di quanto va emergendo durante la relazione a due, ma inducendo autoriflessioni costanti sul procedere della scrittura e sulle interpretazioni che lo scrivente man mano esprime. La consulenza autobiografica consiste nel condurre la persona in disagio esistenziale verso una sempre maggiore disponibilità ad accettare e ad avvicinare le cagioni della sua sofferenza, di cui lo scriverne, oltre al parlarne, svela altri motivi e aspetti non sempre determinabili solo con l’impiego della terapia della parola.
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