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Quarto capitolo riassunto libro Caos e governo del mondo - Arrighi, Sintesi del corso di Relazioni Internazionali

Quarto capitolo riassunto libro Caos e governo del mondo - Arrighi

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 13/11/2018

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Scarica Quarto capitolo riassunto libro Caos e governo del mondo - Arrighi e più Sintesi del corso in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! QUARTO CAPITOLO: LE EGEMONIE OCCIDENTALI IN UNA PROSPETTIVA STORICA MONDIALE Il punto principale della questione è una fondamentale asimmetria tra la transizione dall’egemonia olandese a quella britannica e quella dall’egemonia britannica alla statunitense. Le egemonie olandese e britannica nel mondo occidentale erano entrambe fondate sull’accesso alle risorse asiatiche. In entrambe le egemonie questo accesso privilegiato era fondato sull’incorporazione coercitiva dei territori asiatici. La crescita delle dimensioni e delle funzioni dello stato egemonico in Occidente, quindi, era associata alla crescita delle dimensioni e delle funzioni dei domini territoriali dello stato egemonico in Asia. Le intrusioni occidentali durante l’egemonia olandese erano e rimasero negli interstizi degli imperi e delle civiltà asiatiche. Le intrusioni durante l’egemonia britannica, al contrario, erano d’impronta imperialista e, in quanto tali, si scontravano inevitabilmente con i sistemi indigeni. In questo scontro i valori occidentali ottennero una vittoria parziale, riuscirono a farsi spazio all’interno delle società asiatiche sulla base di una crescente superiorità nell’arte della guerra e nelle attività scientifico industriali. L’Occidente tentò di persuadere l’oriente ad una superiorità anche di tipo morale che però non ebbe successo poiché la superiorità era infondata. L’emancipazione dal dominio occidentale non implicò il rifiuto delle idee di diritto di libertà o dei conseguimenti scientifici industriali, al contrario, la maggior parte delle politiche di libertà in Asia si ispiravano a quelle europee che a loro erano state negate e lo stesso fecero con i progressi scientifici che andarono imitando e ricreando per raggiungere gli standard di ricchezze e potere occidentali. In nessun luogo come in Asia le eredità delle civiltà occidentali e non si combinarono più efficacemente. Le invasioni militari occidentali innescarono un processo di modernizzazione che pose alla supremazia occidentale una serie di minacce sempre più gravi: la sfida del Giappone come potenza militare tra il 1905 e il 1945, la sfida ideologica della Cina comunista dal 1949 al 1973, e la sfida economica dell’intera regione dell’Asia orientale dalla fine degli anni settanta ad oggi. L’ascesa del dominio occidentale in Asia La comparsa interstiziale del potere occidentale in estremo oriente Il potere occidentale in Asia ha avuto origine ed è durato nel tempo grazie all’azione disgregatrice, da parte degli stati occidentali, della complessa organizzazione che univa le società asiatiche le une alle altre. Tale azione si è fondata da un lato sui progressi tecnologici e militari dell’Occidente, dall’altro sulla vulnerabilità delle società asiatiche nel momento in cui i loro reciproci commerci venivano aggrediti con interventi militari. Due aspetti sono da sottolineare: 1. Il primo riguarda l’incomparabile grandezza e importanza del commercio intra-asiatico in confronto a quello tra Oriente e Occidente. Braudel la chiamò “supereconomia-mondo”. Questa supereconomia era grandiosa e fragile, nonché intermittente poiché la saldatura tra tali sterminate superfici deriva da un gioco di equilibri più o meno efficaci da una parte e dall’altra dell’India, che è in posizione centrale. Questa formazione intermittente era fragile perché poteva essere penetrata con relativa facilità e fu ciò che accadde sia a nord che a ovest. Gli invasori europei non cercarono l’incorporazione nelle strutture della supereconomia asiatica, piuttosto cercarono di incorporare nella propria economia, centrata sull’Europa, le componenti disgiunte di queste strutture. 2. Il secondo riguarda il potere che l’occidente conseguì in virtù della facilità con la quale gli stati occidentali riuscirono a colpire il commercio orientale mediante la guerra. L’Asia rifornì di merci preziose le classi dell’Europa che raccoglievano tributi sin dall’epoca romana. Questo incoraggiò i governi e i commerci europei a cercare di recuperare con qualsiasi mezzo il potere d’acquisto, che inesorabilmente defluiva dall’occidente all’oriente. Chiunque controllasse il commercio asiatico sarebbe stato in una posizione tale da dettar legge a tutto il mondo commerciale. Nel complesso l’intrusione europea guidata dall’ondata spagnola nel XVI sec. Colpì il funzionamento ma non le strutture della supereconomia mondo asiatica. LL’ondata olandese del XVII sec., al contrario, avviò la disarticolazione delle strutture. Gli olandesi, facendo uso della tecnologia militare più avanzata per appoggiarsi sulle strutture del commercio asiatico, aderirono più rigorosamente dei portoghesi a una logica espansionistica che dava la priorità al commercio e al profitto. Di conseguenza, riuscirono ad acquisire non solo un controllo quasi esclusivo sulla fornitura di una merce (le spezie pregiate), ma anche sui territori strategicamente importanti dell’arcipelago indonesiano. La comparsa degli olandesi in Asia non fece altro che introdurre nuove comunità di mercanti nella già diversificata popolazione commerciale dei porti. In questi porti commerciali, i mercanti europei rimasero completamente dipendenti dalle comunità locali , che li guidarono nelle tortuose vie del commercio indigeno. La VOC poteva essere percepita come nient’altro che un’appendice delle frange esterne del sistema mondo imperniato sulla Cina. Ciò nonostante, i conseguimenti della VOC aprirono una linea di frattura nelle economie mondo dell’Asia. Le Indie Orientali furono un importante crocevia commerciale che si creò in conseguenza di due sviluppi: l’espansione delle economie mondo dell’Asia orientale e meridionale nel XIII sec e XIV sec e l’ascesa di Malacca e di altri ponti commerciali nel XV sec. Nonostante i re o i sultani che li governano, si tratta di città quasi autonome: aperte verso l’esterno, si orientano a seconda delle correnti commerciali. La loro forza però fu anche la loro debolezza, poiché l’apertura e la frammentazione politica le resero vulnerabili alla frantumazione del loro commercio e alla conquista da parte di una potenza navale superiore. Quando gli olandesi arrivarono nella regione mirarono direttamente a questo vulnerabile crocevia dell’estremo oriente. La disarticolazione della “supereconomia mondo” asiatica Nel XVII secolo, il potere olandese crebbe in modo interstiziale nel crocevia delle economie-mondo dell’Asia orientale e meridionale. L’intrusione europea britannica del XVIII secolo trasferì invece l’epicentro di questa crescita interstiziale proprio nel cuore dell’economia mondo dell’Asia meridionale. La crescita rimase interstiziale poiché la compagnia delle indie orientali ebbe scarso controllo sul gigantesco apparato produttivo del subcontinente indiano. Lo scontro di civiltà era già cominciato durante l’intrusione europea dei secoli precedenti, ma fino alla vittoria di Plassey l’intrusione fu principalmente commerciale. Nel XIX sec. L’ingerenza divenne d’impronta imperialista e lo scontro di civiltà si spostò così al centro della scena nelle relazioni tra Oriente e Occidente. Il dominio dell’Impero britannico si costruì attraverso una serie quasi ininterrotta di guerre. La GB, che lavorava attivamente per stabilire e preservare la pace dei cent’anni in Europa, ridusse all’osso il suo esercito ma, con un “pacifismo pragmatico” , dall’altro lato ebbe un appetito vorace per l’azione militare e per la conquista di mondi non occidentale. Solamente nel subcontinente indiano, la GB combatté 10 guerre. La GB poté intraprendere tutte queste guerre e tuttavia ridurre la spesa militare e il personale in patria perché deteneva il controllo del più grande esercito “all’europea” in Asia, costituito prevalentemente da indiani. La conquista britannica del subcontinente indiano segnò una fase interamente nuova nella crescita del potere occidentale in Asia. Da un lato completò la disarticolazione della supereconomia- mondo asiatica iniziata durante l’egemonia olandese; dall’altro dotò la GB delle risorse necessarie per assoggettare l’ultimo bastione del potere asiatico: l’Impero cinese. Le compagnie europee in India entrarono in contatto con una struttura politica frammentata, all’interno della quale una di esse (la Compagnia delle Indie Orientali) divenne alla fine dominante. In Cina, al contrario, gli europei dovettero rapportarsi non solo con una struttura politica consolidata, ma con una Avendo aperto la strada, in nome dell’uguaglianza diplomatica, all’imposizione di un altro trattato iniquo alla Cina, la GB mutò politica per aiutare il governo dei Qing, nuovamente umiliato, a sopprimere la rivolta dei Taiping. Questo voltafaccia costituì un modello che caratterizzò le relazioni occidentali con la dinastia Qing fino alla sua caduta nel 1911. “Occidentalismo” come minaccia all’Occidente Nella combinazione spaziale e nell’alternanza temporale delle politiche britanniche che mirarono a indebolire o a rafforzare le strutture degli imperi asiatici, l’”occidentalizzazione”, in quanto tale, non era mai un obiettivo. Basterà dire che il cambiamento della politica britannica, da ostile ad amica, nei confronti dei governi centrali dell’Impero ottomano alla fine degli anni 30 del XIX sec. E nei confronti dell’Impero cinese agli inizi degli anni sessanta dello stesso, avvenne nel momento in cui questi governi furono seriamente minacciati da ribellioni intestine. La rivolta dei Taiping fu un movimento più complesso, potente e radicale. Anche se non riuscirono a estromettere i Qing da Pechino, città simbolo dell’autorità dinastica, resistettero alle forze imperiali per altri dieci anni, fino a quando nel 1864 furono sconfitti. Le potenze occidentali non fecero nulla per cogliere questa occasione. L’unica fu quella di “spremere” più concessioni possibili. Una volta che le potenze occidentali riuscirono a ottenere ciò che volevano durante la seconda guerra dell’oppio decisero di appoggiare la restaurazione dei Qing per paura di perdere quello che erano appena riuscite a ottenere. Era importante il fatto che l’adesione a una fede di origine occidentale rese i Taiping ancora meno condiscendenti dei Qing verso le violazioni occidentali alla sovranità cinese. Con fervore puritano si ribellarono al comemrcio dell’oppio molto più energicamente di quanto i Qing avessero mai fatto, scontrandosi, così, frontalmente con il preminente interesse britannico nella regione. Le reazioni dell’Asia al dominio occidentale Le basi di civilizzazione della rivolta antioccidentale in Asia meridionale In India, principale baluardo del potere imperiale britannico, gli inflessibili paladini delle riforme democratiche e del governo rappresentativo in patria divennero fedeli sostenitori di leggi coercitive. L’India britannica fu governata principalmente da istituzioni coercitive e burocratiche: l’amministrazione statale indiana non si limitava ad eseguire le decisioni politiche ma ne era promotrice. I militari erano spesso membri delle istituzioni governative e allo stesso tempo erano burocrati. La distinzione liberale tra potere civile e militare era inesistente. Le forze di polizia erano spesso impiegate per aggirare o correggere i processi giudiziari,in quanto troppo dilatori o meticolosi per soddisfare la necessità di una pena veloce e di una punizione collettiva nella colonia. Il Criminal Tribes Act del 1871, sostituito da uno più radicale nel 1911, trasformò un milione e mezzo di persone, solo nel Nord dell’India, in “tribù criminali” condannandole al confino. I britannici non governarono l’India per il bene degli indiani. L’India era una società composta da comunità, caste, culture e religioni inesorabilmente ostili. Tale ritratto veniva continuamente strumentalizzato per negare le riforme liberali e democratiche. Il potere assoluto di redigere le leggi era in pratica limitato sia dai precetti religiosi, che non potevano essere abrogati o modificati dai sovrani, sia dai costumi che, per la loro antichità, avevano assunto valore di legge. I sistemi di dominio precoloniali erano estremamente oppressivi, lo sfruttamento e l’oppressione, però, erano parte integrante di una civilizzazione che rendeva la loro logica flessibile, intelligibile, persino accettabile per il contadino, come per altri gruppi subalterni. Proprio questo era il principio che il governo britannico dell’India non poté far suo. Quello britannico non fu semplicemente un dominio estraneo al subcontinente, ma disgregò sistematicamente stili di vita consolidati e perseguì obiettivi contrari a tutti i principi morali della civiltà indiana. Dal loro punto di vista, il nuovo dominatore straniero deve essere in verità apparso come un cane che, affetto da rabbia, è diventato matto. Le rivolte contadine furono endemiche per tutti i primi tre quarti del dominio britannico, fino alla fine del XIX sec. E raggiunsero l’apogeo con la Grande rivolta del 1857. La rivolta indusse la GB ad abbandonare l’introduzione di nuove istituzioni politiche e sociali e a ripristinare quelle indigene (come avvenne con al dinastia Qing). Il dominio britannico in Asia si scontrò più con gli interessi delle classi sociali inferiori che con quelli delle classi superiori. Questa fondamentale mancanza di legittimità del dominio britannico-occidentale tra le classi inferiori delle società asiatiche permise ai movimenti nazionalistici di mobilitare un massiccio sostegno popolare nella rivolta contro l’Occidente. Le idee occidentali di diritto e libertà, tuttavia, giocarono un rolo secondario nella mobilitazione nazionale delle classi subalterne. Le credenze tradizionali circa il potere, la protezione, l’onestà e il dissenso, ereditate dalla civiltà indigena e continuamente violate dalla pratica della civiltà occidentale giocarono un ruolo molto più importante. Gandhi divenne mahatma non semplicemente perché si oppose, piuttosto, divenne una figura di primo paino nella lotta nazionalista a una fondamentale critica e a un netto rifiuto della civiltà moderna nel suo complesso. Dopo l’indipendenza, l’idea di Gandhi che l’industrialismo stesso fosse la causa prima della povertà indiana fu abbandonata in quanto considerata visionaria e poco scientifica. Oggi, dopo mezzo secolo di completa adesione ai principi occidentali di modernizzazione, senza nessun raggiungimento degli standard di ricchezza conseguiti dai paesi occidentali non è più chiaro quali fossero le idee visionarie e poco scientifiche. Il futuro dell’Asia meridionale è comunque destinato ad essere fortemente influenzato da sviluppi più ad est, dove la fine del dominio occidentale seguì un percorso nettamente diverso. Le basi di civilizzazione della rivolta antioccidentale in Asia orientale La fine del dominio britannico in Asia orientale fu determinata dall’escalation dei conflitti e delle rivalità in modo molto più diretto che in Asia meridionale. Al tempo della prima guerra dell’oppio, nessuno stato occidentale minacciò il dominio britannico in Estremo Oriente. La situazione cominciò a mutare verso la metà del XIX sec. Quando l’Estremo Oriente fu alla portata di stati occidentali sempre più numerosi. Per altri vent’anni dopo la seconda guerra dell’oppio e l’apertura del Giappone al commercio e all’influenza occidentale, le relazioni tra gli stati occidentali in Estremo Oriente rimasero molto più amichevoli di quanto fossero mai state in Medio Oriente. Negli anni ottanta del XIX sec le rivalità tra gli stati europei in Asia orientale sembrarono acquistare slancio. Il fattore principale che alla fine turbò l’equilibrio precario sul quale il governo dei Qing e l’integrità territoriale della Cina si fondavano, non fu la rivalità tra gli stati occidentali, ma bensì un conflitto interno al sistema, vale a dire la guerra sino-giapponese del 1984 e il trattato che ne seguì. La guerra e il suo strascico costituiscono un importante spartiacque nelle relazioni tra Oriente e Occidente come lo erano state le guerre dell’oppio. Da quel momento in poi il processo di modernizzazione indigeno in Asia orientale costituì per la supremazia occidentale una minaccia sempre più grave. A lungo andare, l’espansione europea in Asia portò allo scioglimento formale del sistema tributario- commerciale sino centrico, attraverso l’incorporazione subordinata dei suoi membri nel sistema interstatale imperniato sull’Europa. Formale o sostanziale che fosse, l’incorporazione subordinata dell’Asia orientale nelle strutture del sistema mondiale imperniato sull’Europa trasformò la sua economia politica. Tre cambiamenti furono particolarmente importanti per gli sviluppi successivi: • L’allargamento di ciò che per lungo tempo fu una formazione interstiziale del sistema tributario- commerciale sino centrico:la diaspora capitalista cinese; • L’impiego di tecnologie militari occidentali da parte di Cina e Giappone; • L’adozione del marxismo-leninismo da parte della Cina. L’allargamento della diaspora commerciale cinese I principali settori della cosiddetta “prima rivoluzione industriale” continuarono a riscontrare parecchie difficoltà nel competere con i prodotti cinesi. La competitività delle aziende occidentali impiantate in Cina aveva un effetto ancora meno importante sulla produzione locale, i prodotti e i commerci occidentali riuscirono a primeggiare in pochi settori industriali. L’oppio rappresentava una eccezione, generò un senso di frustrazione nei mercati stranieri poiché l’accesso finale ai consumatori poteva essere ottenuto solo attraverso gli intermediari cinesi. Spesso quest’ultimi guadagnavano più degli occidentali nelle attività commerciali. Il risultato fu una espansione senza precedenti delle reti commerciali cinesi e delle comunità che nel corso dei secoli si erano sviluppate nelle regioni costiere della Cina e negli interstizi del sistema tributario-commerciale sinocentrico. Appena la capacità del governo dei Qing di controllare i canali tra l’economia nazionale cinese e il resto del mondo diminuì, le opportunità per i mercanti cinesi che operavano intorno al perimetro dell’impero aumentarono. Tuttavia, il più importante allargamento della diaspora commerciale cinese, che collegò la Cina al resto della regione, avvenne con il commercio dei “coolie”, ovvero il reperimento e il trasbordo di manodopera a contratto per i servizi d’oltremare. Il boom del commercio dei coolie che ne seguì favorì l’allargamento della diaspora commerciale cinese d’oltremare e arricchì le città portuali, lasciando dietro di sé un’eredità di insediamenti cinesi in tutto il Sud Est asiatico. Le rivalità sino-giapponesi e il decollo della modernizzazione giapponese e cinese vanno però inseriti in un contesto competitivo che non era solo commerciale ma anche politico. Ascesa e caduta dell’imperialismo giapponese Il secondo grande cambiamento avvenuto nel sistema-mondo imperniato sulla Cina in seguito alla sua incorporazione subordinata nel sistema mondiale imperniato sull’Europa, riguarda l’adozione di tecnologie militari occidentali da parte di Cina e Giappone. Si insinuò il pensiero di servirsi degli armamenti dei “barbari” per tenerli sotto controllo e divenne centrale per il movimento dell’autorafforzamento. Nell’appoggiare la costruzione di una industria meccanica di arsenali per la fabbricazione di armi da fuoco e di cannoniere a Pechino, un leader locale del movimento sostenne che la dominazione straniera in Cina si basava sulla superiorità delle loro armi e che la Cina poteva rafforzarsi solo imparando ad usare i macchinari occidentali. Pochi anni più tardi, la restaurazione Meiji spinse il Giappone sullo stesso percorso di rapida modernizzazione e la corsa agli armamenti venne interiorizzata dal sistema-mondo imperniato sulla Cina. Si diede la priorità alla costruzione di società minerarie moderne, dell’industria pesante, dei trasporti e delle comunicazioni avviate su iniziativa del governo. In Cina, la supervisione del governo era fin dall’inizio congiunta con il capitale e la gestione di mercati cinesi esperti di commercio con l’estero. In Giappone, le imprese governative reclutavano tecnici di varie nazionalità. In entrambi gli stati, però, gli investimenti e il controllo sulle nuove industrie da parte di stranieri erano energicamente scoraggiate. Nella guerra sino-giapponese del 1894 il Giappone vinse sulla Cina e tale vittoria era indicativa di una differenza fondamentale nell’impatto della spinta modernizzatrice sulla coesione sociale e politica dei due paesi. In Cina, i principali agenti della spinta modernizzatrice, erano le autorità provinciali che si servirono della modernizzazione per consolidare la propria autonomia, in competizione con le altre. In Giappone, al contrario, la spinta modernizzatrice fu parte integrante della restaurazione Meiji, il quale accentrò il potere nelle mani del governo nazionale, togliendolo alle autorità provinciali.
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