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Quattrocento e Cinquecento Italiano, Appunti di Italiano

Riassunti della vita e delle opere di: Lorenzo de Medici, Angelo Poliziano, Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto Inoltre è compreso il riassunto di : volgare del '400 e '500, l'edonismo umanistico, il petrarchismo cinquecentesco, la letteratura cavalleresca

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 13/07/2023

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Scarica Quattrocento e Cinquecento Italiano e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! 1. RIFLESSIONE SUL VOLGARE TRA IL QUATTROCENTO E IL CINQUECENTO Opere importanti come la commedia, il canzoniere o il decameron ebbero grande successo, ma ricevettero anche critiche perchè molti sostenevano, nel primo 400, che le avrebbero dovute scrivere in latino, considerata lingua nobile è perfetta, invece che in volgare. Nel frattempo anche il movimento degli umanisti si stava diffondendo e le persone che ne facevano parte apprezzavano maggiormente il latino rispetto al volgare. Nella seconda metà del quattrocento inizió a esistere una nuova mentalità, che apprezzava la lingua volgare e sostenevano che una volta perfezionato dagli autori sarebbe diventato una lingua bella e preziosa. Un sostenitore molto convinto fu Leon Battista Alberti, che scrisse una grammatica della lingua parlata a Firenze. Nel cinquecento sorse un problema in tutta Italia: il problema della lingua in cui scrivere. Infatti in ogni regione, città o borgo si utilizzavano diverse sfumature della lingua. Nacque così un dibattito che continuò fino si secoli successivi. Si distinsero tre posizioni principali: quella del fiorentino letterario trecentesco, quella del fiorentino vivo, quella italianista e cortigiana. Tra i partigiani del fiorentino trecentesco abbiamo Pietro Bembo, che nella sua opera Prose della Volgar Lingua sostieneva che bisognava imitare la prosa di Boccaccio e Petrarca. Invece tra i sostenitori del fiorentino vivo abbiamo Niccolò Machiavelli, che sosteneva che opere di Dante, Petrarca e Boccaccio erano la dimostrazione che il fiorentino era il migliore delle lingue volgari. Un sostenitore della linea italianista e cortigiana fu Trissino che pensava che Dante aveva preparato un modello di lingua nobile ed elegante che si poteva chiamare lingua italiana. Insieme a Trissino abbiamo anche Castiglione che era convinto che l’italiano dovesse accogliere parole provenienti da lingue europee di prestigio, ad esempio l’italiano parlato alla conte pontificia detto cortigiano. 2. IL PRIMO QUATTROCENTO Nella prima metà del quattrocento la riscoperta dei classici porta a un trionfo della lingua latina, che diventa la lingua privilegiata delle università, quella utilizzata nei testi giuridici o ecclesiastici, oltre a lingua letteraria per eccellenza. Vengono composti in latino testi di tipologie diverse (storici,filosofici). Un autore di testi latini molto importanti è Giovanni Pontano, animatore alla corte aragonese a Napoli. Egli scrisse poemetti didascalico scientifici, ispirati a poesie di autori come Catullo o Virgilio, cercando di donare al latino la vivacità della lingua parlata. Riguardo il volgare, invece, molti poeti hanno come modello ispiratore Petrarca e le sue rime. Infatti egli ha utilizzato la lingua Volgare per esprimere temi tipici umanistici rinascimentale, come la dignità dell’uomo. La poesia volgare si diffonde in tutta la penisola grazie alla famiglia Medici, soprattutto con Lorenzo il magnifico che intraprende un programma culturale ambizioso per ottenere il consenso popolare attraverso il prestigio artistico e letterario. Durante il quindicesimo secolo vennero sperimentati diversi modi di fare poesia in volgare, che imitano i classici di Petrarca oppure le opere di poliziano. Un esempio dei filoni poetici che si diffondono nel quattrocento è il Certamen Coronarium, cioè una gara di poesia in lingua volgare che tratta del tema dell’amicizia, indetta a Firenze nel 1441 per iniziativa di Leon Battista Alberti. Il vincitore avrebbe vinto una corona di foglie di alloro realizzata in argento. A questa gara parteciparono autori che provenivano da luoghi diversi, che portarono opere non personali ne originali, quindi questa competizione si concluse con nessun vincitore. Nonostante ciò essa è uno dei primi tentativi di una produzione lirica volgare con la stessa fama e dignità di quella latina. Il certamen viene protetto da Piero de medici, per indicare che la politica crede che il volgare sia uno strumento di potere sul popolo, dato che anche i cittadini assistono alla lettura dei testi dei poeti e ne ricevono delle copie 3. L’EDONISMO UMANISTICO DELLA SECONDA METÀ DEL QUATTROCENTO La novità portata dagli umanistici è quella di rivalutare l’individuo, che è un Unione indivisibile di anima e corpo. A partire dal Quattrocento L’uomo è nuovamente protagonista della vita quotidiana e della storia, e utilizza la propria fisicità come mezzo di conoscenza e di appagamento. Questo atteggiamento nei confronti della vita e delle sue bellezze detto edonismo: il piacere è anche contemplazione di una bellezza intesa come armonia ed equilibrio. Al centro troviamo la figura femminile: in essa si fonda la grazia, la giovinezza e l’amore. Questa concezione viene arricchita da un approccio più sensuale al corpo della donna per via delle sue forme e per il fascino delle sue proporzioni: un esempio è la primavera di Sandro Botticelli dove il gruppo delle tre grazie incarna una bellezza perfetta. La poesia edonistica se arricchisce inoltre di motivi tipicamente classici per esempio la necessità di cogliere l’attimo o l’unione tra natura e innocenza. Non mancano comunque i temi della morte o del timore. L’atto poetico non è più una semplice imitazione: inizia con una suggestione classica (immagine) e poi gli autori rappresentano l’uomo in un modo diverso, Dove possiamo notare che sono cambiate le condizioni economiche, sociali ma anche quelle spirituali e il concetto di fisicitá. 4. LORENZO DE MEDICI Lorenzo de’ medici nasce il 2 gennaio del 1449 da Piero, figlio di Cosimo il vecchio, e da Lucrezia, donna colta e poetessa, la quale ha una notevole importanza nella sua formazione culturale. Lorenzo segue le lezioni dei principali umanisti della sua città ed è allievo del filosofo Marsilio Ficino. Fin dall’adolescenza dedica alla poesia seguendo l’esempio di Luigi Pulci. Il 2 dicembre 1469 Lorenzo assume, appena ventenne, il pieno potere della città di Firenze e date le sue doti diplomatiche e la sua lungimiranza e sostegno delle arti della cultura, passerà alla storia come Lorenzo il magnifico. Sposa Clarice Orsini proveniente da un influente famiglia aristocratica romana con lo scopo di rinsaldare i legami con la curia pontificia. Nonostante ciò le relazioni con il Papa si guastarono: dopo la congiura dei pazzi in cui suo fratello perde la vita, Firenze entra in guerra aperta con il pontefice e con gli Aragona. La crisi politica si risolve soltanto grazie a Lorenzo nel 1479 che riuscí ad assicurarsi l’amicizia del re di Napoli e ad assumere il ruolo di “ago della bilancia“ come lo definisce Nicolò Machiavelli per sottolineare le sue doti da mediatore. Medici a un ruolo fondamentale nel Rinascimento italiano: egli promuove ogni forma di arte e si aggiudica l’epiteto di arbitro del gusto, si circonda di collaboratori maestri letterati architetti artisti come Michelangelo o Leon battista Alberti. Promuove un notevole sviluppo edilizio della città e colleziona oggetti rari e preziosi in oro e una straordinaria raccolta libraria chiamata biblioteca medicea laurenziana. Commissiona il giardino delle sculture in Piazza San Marco dove I giovani artisti possono esercitarsi sui reperti archeologici messi a disposizione. A partire da dopo gli anni 80 ogni azione diplomatica di Lorenzo viene accompagnata dai migliori artisti della corte: per esempio Leonardo viene mandato a Milano presso la corte papale; l’intervento dei maestri d’arte è richiesto anche per le feste pubbliche e religiose della città. Lorenzo muore l’8 aprile 1492 a soli 43 anni nella villa di Careggi in un quartiere di Firenze. Lì con lui ci sono Poliziano e Mirandola, il giorno prima gli ha fatto visita anche Gerolamo Savonarola un frate domenicano che era diventato conosciuto per volontà del Magnifico, ma che lo accusava di essere corruttore. Si narra che il giorno prima della sua morte un fulmine abbia compiti colpito la cupola del Duomo come assegnare un passaggio di sventura per tutta la penisola italiana. Lorenzo scrive un gran numero di rime e di prose in volgare. La sua produzione appare varia ed eclettica, come osserva Machiavelli. Egli si presenta come una personalità difficilmente definibile dato che pare che un singolo individuo non potesse avere in sé tanto rigore morale meno utilizzato un linguaggio ricercato e coerente. Il Petrarchismo non è solo un fenomeno poetico ma anche culturale e sociale, la sua diffusione facilitata dalla circolazione dei testi che è maggiore grazie alla stampa è un ampliamento del pubblico che leggeva e scriveva poesie.Si crea così un mondo di valori ed ideali condivisi in tutte le corti italiane ed europee che regola il codice di scrittura ma anche il comportamento. Sorge anche un filone in prosa e intento a regolamentare la vita sociale del cortigiano affinché nulla di ciò che compia sia volgare o violi le regole.Il codice petrarchista diviene quindi veicolo è strumento della cultura cortigiana; contribuisce alla creazione di una lingua letteraria unitaria sia nel Nord che nel sud della nostra penisola, mentre ne manca una diffusione in tutta l’Europa occidentale. 7. LA LETTERATURA CAVALLERESCA A partire dal VII secolo i personaggi e i temi dei romanzi bretoni e delle chanson de Geste arrivarono in Italia diventando parte integrante dell’immaginario medievale. Temi come le avventure fiabesche, gli amori e le imprese lasciano delle tracce del passaggio e nella società. Possiamo trovare dei riferimenti all’onomastica nell’abitudine sociali e nei testi della letteratura colta nei quali vengono espressi rispetto ammirazione per l’epoca carolingia. I testi cavallereschi furono copiati tradotti e spesso rielaborati dando origine a una molteplicità di tradizioni ovvero di trasmissione dei testi e ad oggi è difficile ricostruire uno sviluppo lineare. Possiamo notare però alcune costanti come per esempio le trascrizioni e rifacimenti in lingua francese, la produzione carolingia in lingua Franco veneta e la letteratura canterina in ottave.Quando romanzi in versi ottosillabi di Chrétien de Troyes, dedicate le vicende di re Artù, agli amori e alle avventure di cavalieri, giungono in Italia subiscono una trasformazione sia per quanto riguarda lo stile sia per quanto riguarda la struttura narrativa. La trascrizione mantiene la lingua francese ma sceglie la prosa, viene applicata la tecnica dell entrelacement, tramite la quale gli episodi e personaggi appartenenti alle storie vengono collegati gli uni agli altri: più fili narrativi vengono intrecciati ossia si interrompono per dare spazio ad altre vicende poi riprendono. Pisa Genova e la corte Svevia sono i luoghi da cui vengono diffuse in tutta Italia i poemi cavallereschi.Oltre alle trascrizioni abbiamo anche dei veri e propri rifacimenti che presentano degli apporti originali ma che utilizzano ancora la lingua d’oil, il francese è la lingua utilizzata comunemente dei mercanti nei loro viaggi.Possiamo ricordare le opere di Rustichello da Pisa, che seleziona e collega più vicende romanzesche, e le profezie di Merlino, di un anonimo veneziano, in cui il mago Merlino pronuncia profezie polemiche contro la Chiesa di Roma. Un ruolo significativo è ricoperto dalle produzioni scritte in lingua Franco veneta o franco lombarda, si tratta di un’elaborazione linguistica in cui termini di espressioni francesi vengono italianizzatati.La trascrizione di testi carolingi è fedele nei contenuti perché è rivolta ad un pubblico aristocratico, ma nella seconda metà del secolo le modifiche diventano sostanziali, perché il destinatario è cambiato, è la nuova borghesia cittadina. Carlo Magno viene mostrato come debole, ed emergono personaggi umili.Nel corso del trecento si attua una fusione tra i valori cortesi e quelli borghesi, perché la classe mercantile aspira a fare proprie anche dei valori aristocratici. L’opera più nota è il romanzo in versi Entrée d’Espagne, che viene scritto per lettori colti e mescola le avventure belliche con elementi della letteratura bretone. Tra il 300 il 400 i contenuti cavallereschi vengono presentati in una lingua e stile più modesti per il pubblico delle piazze di Firenze e di altre città da canterini, artisti che semplificano le vicende personaggi per agevolare la comprensione immediata: la trama è lineare, i protagonisti sono o buoni o cattivi senza sfumature, vengono messi in primo piano gli elementi curiosi e fiabeschi, la sintassi elementare, la lingua è semplice e utilizza forme comuni e ricca di battute proverbiali. I canterini recitano in ottave di versi endecasillabi, un metro usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio, ma la struttura metrica dei cantari è spesso imprecisa. I canterini si accompagnano con strumenti musicali come i liuti o viole, recitano a memoria, seguendo schemi fissi per conquistare immediatamente gli ascoltatori in modo da ottenere un compenso da parte del pubblico. Alle vicende belliche si uniscono i temi del viaggio, gli oggetti magici, il dell’innamoramento. I cantare tendono a organizzarsi in cicli per recitare al pubblico le opere in più giornate. Ci sono moltissimi autori anonimi ma viene ricordato come iniziatore di questo genere il fiorentino Antonio Pucci. A partire dalla Toscana si diffondono testi anonimi che servono ad assecondare le esigenze del pubblico borghese comunale offrendo traduzioni in volgare toscano di opere bretoni. Il più noto è la tavola rotonda, che contiene dettagli realistici e popolareschi insieme a celebrazioni di costumi cortesi. L’eroe per eccellenza è Tristano, un cavaliere coraggioso e saggio che possiede anche virtù come l’astuzia e l’intraprendenza. Hanno molto successo anche i testi merliniani che uniscono elementi magici e religiosi.Il romanzo cavalleresco carolingio viene espresso in volgare toscano con un tono borghese nei romanzi di Andrea da Barberino. Alcune sue opere come i reali di Francia e il Guerrin meschino si diffondono presso un pubblico medio composto da artigiani e mercanti. Il narratore dialoga costantemente con il lettore richiama le avventure precedenti, da spiegazioni e descrizioni di popoli abitudini. Gli elementi carolingi e bretoni si fondono continuamente assumono nuove forme. Gli ideali epici vengono ridimensionati e scompare lo spirito di crociata il pericolo ora proviene dalle lotte tra le casate. La Toscana può considerarsi il principale centro della letteratura cavalleresca in Italia. A Firenze molti elementi testimoniano un vivo interesse per il genere cavalleresco ad esempio la tradizione delle giostre, che sono spettacoli che inscenano imprese cavalleresche, la diffusione di romanzi e cantare. Celebrare in versi le gesta di Carlo Magno assume una valenza politica, con la quale la corte medicea intrattiene legami diplomatici. Verso gli anni 60 del 400 a Firenze diversi autori ripropongono personaggi e temi del mondo carolingio.Tra questi quello che raggiunse esiti più sorprendenti è Luigi Pulci. 8. LUIGI PULCI Luigi Pulci nacque nel 1432 a Firenze, in una famiglia della piccola nobiltà dal tempo impoverita, per qualche tempo era stato uno scrivano e segretario di un cittadino, ma vent’anni ancora non svolgeva nessun lavoro. viene accolto a casa medici nel 1461 quando ha quasi trent’anni e una vita piena di debiti soprattutto con il Comune di Firenze. ottenne la protezione da Lucrezia Tornabuoni, la moglie di Cosimo dei medici, ed entra nella cerchia medicea: per 15 anni ricopre vari ruoli per esempio come precettore, intrattenitore e uomo di fiducia. nel 1461 riceve Da Lucrezia l’incarico di comporre un poema in volgare dedicato alle vicende di Carlo Magno e lui lavora per circa vent’anni. tra pulci e Lorenzo si crea una profonda sintonia sia umana che culturale, le lettere scritte nei vari anni successivi testimoniano la condivisione di un gusto letterario e di un gergo pieno di metafore scherzose e modi di dire. La loro amicizia si spense verso la metà degli anni 70 quando la corte arrivano Angelo Poliziano e Marsilio Ficino. Con questi Pulci entra in polemica e gli attacca scrivendo dei violenti sonetti. oltre all’epistolario pulci compone un puoi metto intitolato “giostra di Lorenzo”, per celebrare la vittoria di del magnifico in una giostra dei miei 469, scrisse “beca da Dicomano”, una parodia di un testo di Lorenzo, e redige il “vocabolario della lingua furbesca”. L’opera principale di pulci è il Morgante, un poema in ottave composto da 28 canti, chiamate dall’autore “cantari”. Nel 1478 i canti erano 23 ma poi ne furono aggiunti altri cinque nell’edizione definitiva del 1483 chiamata Morgante maggiore.il poema costituisce nell’insieme una riscrittura dei luoghi comuni del genere cavalleresco. La trama intricata inizia dal rifiuto di Orlando di restare la conte di Carlo a causa del perfido Gano di Maganza, il paladino incontra Morgante è un gigante definito primitivo e divertente. Si converte al cristianesimo e Morgante segue Orlando per qualche tempo, poi le loro strade si dividono. Morgante si imbatte in margutta, un mezzo gigante definito ribaldo e imbroglione: insieme beffano un oste, salvano una dama, vivono avventure fantastiche, finché Margutta e non muore scoppiando dalle risate per aver visto una scimmia tentare di infilarsi i suoi stivali. Morgante ritrova Orlando a Babilonia, lo aiuta nella conquista della città e durante il viaggio di ritorno deve sostituirsi all’albero maestro per impedire che la nave affondi, ma una volta arrivato sulla riva muore per via di un pizzico di un granchio. Orlando i suoi compagni vengono liberati dal mago malaGigi e si separano. Carlo Magno però ho bisogno di loro e quindi manda un diavolo di nome astarotte che entrerà i cavalli e li condurrà in Francia. Torna anche Orlando che suscita l’invidia di grano, il quale tramano inganno. Al passo di Roncisvalle tutti i paladini sono assaliti dai saraceni, orlando prima di morire chiamó in aiuto Carlo, che comprese il tradimento di Gano, il quale viene arrestato e sottoposto al supplizio, mentre solamente Rinaldo sopravvive e riparte per una nuova avventura. Pulci utilizza i canovacci noti e talora una nuova dignità letteraria grazie alla sua sapienza linguistica.Il materiale narrativo passa in secondo piano rispetto all’innovazione linguistica e stilistica: Pulci inventa nuovi vocaboli inserisce in modi di dire fiorentini, tratti dalla vita quotidiana ed espressioni proverbiali.I personaggi non hanno una dignità cavalleresca ne seguono le regole della cortesia: ad esempio mangiano senza pagare saccheggiano città e viaggiano senza meta.I veri eroi del Morgante sono quei personaggi che rappresentano una trasgressione rispetto all’ordine. Morgante la deformazione del Cavaliere tradizionale: segue Orlando a piedi, prova a compiere una vestizione delle armi ma alla fine impugna un battaglio di campana, non conosce la sobrietà o di giugno e possiede una voracità sovrumana. È l’emblema della vita nei suoi bisogni più elementari e porta nel romanzo la dimensione della comicità.Il personaggio di Margutte incarna invece la trasgressione degli ideali cavallereschi: è un truffatore e ladro. Il suo credo spregiudicato basato sui piaceri della gola e del gioco scatenerà l’indignazione di Girolamo Savonarola. per difendersi dalle accuse di eresia il poeta negli ultimi canti inserisce la figura di asta rotte che è un dialogo filosofo che discute sul libero arbitrio e sulla giustizia di Dio, esprimendo un ideale di tolleranza religiosa. 9. LA SITUAZIONE DI FERRARA Nella prima metà del 400 Ferrara divenne un importante centro di studi umanistici, grazie a Leonello d’Este e Guarino veronese, che fa nascere una vera e propria scuola per lo studio dei classici greci e latini. I dotti della città fanno mantenere i contatti con tutto il Nord Italia grazie alla posizione strategica di Ferrara.Nella corte di Ferrara è presente anche una passione per la letteratura cavalleresca, si dà atto di ciò dalla presenza nella biblioteca Estense di un numero enorme di testi in francese.I signori di Ferrara sono collezionisti e appassionati lettori delle opere cavalleresche: Borso d’Este afferma che ricevere romanzi francesi gli procurerebbe più gioia che conquistare una città. La promozione della letteratura cavalleresca anche una ragione politica: i romanzi possono essere utili per suggerire alla nuova classe dirigente di aristocratici il modello del Cavaliere devoto leale.tra la corte Estense e piccoli signori locali si stabilisce un legame che ricorda quello feudale, basato sulla fiducia e il rispetto. 10. MATTEO MARIA BOIARDO Tra i cortigiani che stanno al servizio del ducato Estense troviamo il conte di un piccolo feudo emiliano, Matteo Maria Boiardo, un abile funzionario e scrittore nei testi in latino ma Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia l’8 settembre del 1474, il 1/10 figli, cinque maschi e cinque femmine, figlio della nobildonna Daria Malaguzzi Valeri e del conte ferrarese Nicolò Ariosto che è comandante della guarnigione militare della città. A causa del suo lavoro il padre di Ariosto si sposta spesso tra Rovigo e Ferrara e Modena finché tutta la famiglia non si stabilisce definitivamente a Ferrara, città da cui Ariosto si staccherà soltanto per brevi periodi odi e a malincuore. Riceve la sua istruzione da maestri privati ma nel 1489 Ariosto viene mandato dal padre a studiare legge. Questa imposizione paterna viene ricordato ironicamente nelle satire. Per un quinquennio Ariosto frequenta l’università con scarso interesse e pochi risultati fino a quando non riesce a ottenere il permesso di seguire la sua inclinazione per letteratura. Dai 20 ai 25 anni vive il periodo più sereno di tutta la sua vita, sotto la guida del maestro Gregorio da Spoleto, un monaco agostiniano, che gli fa raggiungere una conoscenza approfondita del latino. La città di Ferrara è nel suo momento massimo di splendore e quindi Ariosto può dedicarsi alle letture, può assistere a conversazioni filosofiche, incontrare artisti e letterati e comporre delle rime in volgare, spinto anche dalla sua amicizia con Pietro Bembo. In tutta la casata Estense c’è una passione per il teatro antico e quindi il giovane Ariosto recita con entusiasmo in alcune commedie allestite per gli spettacoli di corte. Il 1500 segna per Ariosto un cambiamento improvviso e drammatico: muore infatti suo padre e quindi lui in quanto primogenito deve abbandonare gli studi per prendersi cura della sua famiglia. Dovrà provvedere ai matrimoni delle sorelle e spingere I fratelli minori a compiere lavori adeguati; egli si occupa anche del fratello Gabriele che è paralitico.Si impiegherà anche presso la corte Estense dove ricoprirà incarichi di vario genere; diventa anche chierico per godere delle rendite ecclesiastiche e nell’autunno del 1503 entra servizio del cardinale Ippolito d’Este. Ariosto nei suoi testi però se lamenterà sempre di questa che considera una condizione di servitù dato che spesso deve compiere compiti rischiosi come per esempio partire all’improvviso cavalcare in zone Pericolose per consegnare qualche messaggio. Tuttavia ciò che lo infastidisce di più è come il suo signore di a poca importanza le doti intellettuali e letterarie e offre invece premi e doni a chi e sicura dell’apparenza esteriore della corte. Nei 15 anni di servizio che lui compie presso il cardinale, dovette fare a suo malgrado viaggi a Bologna Modena Mantova Firenze soprattutto Roma e dove parla con il Papa Giulio II ma tuttavia i suoi tentativi risultano vani ed egli deve subire le sfuriate del pontefice che arriva persino a minacciarlo di gettare nel Tevere. Ariosto non abbandona la passione per la letteratura: proprio in quegli stessi anni compone due commedie in prosa volgare, allestite poi a corte in occasione del carnevale, lavora per oltre 10 anni alla stesura del suo capolavoro l’Orlando furioso, un poema composto da 40 canti e pubblicato per la prima volta nel 1516, Con una dedica a Ippolito. Il sogno di Ariosto è quello di avere a disposizione il tempo e tranquillità per poter scrivere e studiare e nel 1513 con l’elezione del cardinale Giovanni, Ariosto spera di ottenere un incarico più semplice presso la curia, ma resta deluso. Nella satira terza Ariosto inserisce e per via di ciò, la favola della gazza graziosa che per ultima otterrà dal padrone il permesso di avvicinarsi al posto per bere: il poeta commenta dicendo che un uomo potente offre benefici unicamente a coloro che a vario titolo li sono i necessari si dimentica presto di chi si dedica alla poesia. Nello stesso anno il 1513 Ariosto conosce a Firenze Alessandra BeNucci, donna che amerà per tutta la vita nonostante sia sposata. Una volta rimasta vedova, Alessandra si trasferisce a Ferrara ma Ariosto la sposa nel 1527 in segreto per non perdere i benefici ecclesiastici. I due si incontreranno di nascosto non vivranno mai insieme: Ariosto trascorre infatti tutta la sua vita con il fratello Gabriele con il suo figlio Virginio avuto nel 1509 da una donna popolare. La rottura tra Ariosto e il cardinale avviene nel 1517 quando Ippolito deve andare in Ungheria e il poeta si rifiuta di seguirlo, perché è indisposto a lasciare Ferrara, le sue abitudini, la donna che ama. Rivendica però il merito di essere stato schietto nel dichiarare il suo rifiuto. Nel 1518 passa al servizio di nuovo duca di Ferrara Alfonso I, di cui Ariosto apprezza il fatto che con egli non è costretto ad allontanarsi spesso dalla sua città e questo agevola i suoi studi. Ariosto scrive le satire e lavora alla rielaborazione dell’Orlando furioso, del quale esce una seconda edizione nel 1521. Le preoccupazioni economiche non vengono a meno dato che il Ducato è costretto a ridurre le spese e quindi Ariosto si vede sospeso lo stipendio. Nel 1522 accetta quindi l’incarico di governatore della Garfagnana, dimostrando virtù amministrative e coraggio nell’applicare le leggi e senso di giustizia nel difendere i contadini e artigiani. Un documento significativo sono le lettere scritte ad Alfonso nelle quali Ariosto esprime con schiettezza il suo pensiero. Tornato a Ferrara nel 1525 egli trascorre con tranquillità gli ultimi anni della sua vita: svolge mansioni amministrative per il duca ma viene nominato sovrintendente degli spettacoli di corte e ciò gli consente di dedicarsi all’attività più semplici. Rielabora le commedie e le trascrive in versi, scrive una nuova commedia “la lena” che viene rappresentata nel 1528; inizia un ulteriore commedia “gli studenti” che però resta incompiuta.Grazie al denaro guadagnato acquista una piccola casa con un giardino e si dedica agli affetti e al lavoro letterario: Attende la revisione linguistica dell’Orlando furioso, in cui inserisce nuovi episodi, per la terza e ultima edizione del 1532 che comprende 46 canti. Alcune parti non vengono incluse saranno pubblicate dal figlio con il titolo cinque canti. Nel 1533 e di ritorno da un viaggio ufficiale con il duca si ammala e muore a 59 anni a causa di complicazioni polmonari. Viene sepolto a Ferrara nella chiesa di San Benedetto e i suoi resti saranno poi trasferite all’interno della biblioteca aristotelica. 13. LE OPERE MINORI In una sala del palazzo ducale di Ferrara sono spesso allestiti spettacoli teatrali per l’intrattenimento della corte e Ariosto offre il suo contributo sia traducendo delle commedie dal latino sia curando la regia e recitando come attore, ma soprattutto scrive testi originali in volgare. Da prima consegna commedie in prosa per poi dare una maggiore dignità letteraria a Esse e quindi le trascrive in endecasillabi sciolti e ne compone direttamente nuovi inversi. L’ambientazione avviene in una città che viene riconosciuta come Ferrara e protagonisti sono personaggi borghesi. Ci sono giunte cinque commedie: La cassaria detta anche commedia della cassa il titolo è costituito da un’imitazione dei titoli latini. Riguarda le avventure di due fidanzati che, grazie al denaro contenuto nella cassa, riescono a recuperare le due amate che erano schiavi di un parassita; I suppositi una commedia che tratta di equivoci basati sullo scambio di persona, rappresentata prima nella corte Estense e successivamente a Roma; Il negromante scritto nel 1520 ma messo in scena solamente nel 1528, tratta le avventure di due coppie di amanti e introduce il personaggio di un falso mago, il negromante Iachelino, che con i suoi imbrogli sfrutta la crudeltà altrui; La lena la protagonista è una ruffiana anziana, il cui comportamento permette involontariamente che l’amore di due giovani abbia lieto fine, è considerata dagli studiosi l’opera più interessante tra le commedie di Ariosto; Gli studenti iniziata nel 1518 è lasciata incompiuta da Ariosto nella scena quarta del quarto atto, sia il fratello Gabriele sia il figlio Virginio tenteranno di completarla dando due differenti versioni. Ariosto scrisse anche delle liriche sia in latino sia in volgare, quest’ultime sono 87 e soprattutto sonetti e madrigali, i modelli di riferimento sono Petrarca e Bembo. Scritto nei primi decenni del 500 sono pubblicate postume con il titolo di rime ma senza che l’autore ne avesse predisposto l’organizzazione in un canzoniere. Le lettere sono circa 200 riguardano le situazioni reali rispondono all’ esigenza di comunicazione concreta e hanno un interesse documentario perché permettono di comprendere il tempo però se vissuti offrono un’immagine diretta della sua personalità del suo lavoro. 14. LE SATIRE Nel 1517 Ariosto lascia bruscamente il servizio presso il cardinale Ippolito e passa a quello del duca Alfonso I per il quale svolge vari ambascerie e assume l’incarico di governatore della Garfagnana per circa tre anni. Questi eventi biografici costituiscono le occasioni dalle quali Ariosto prende spunto per elaborare le sette satire, che hanno una struttura di epistole in versi scritte in terzine endecasillabi a rima incatenata e indirizzate ad amici e parenti. Si tratta di una sorta di “diario in pubblico” costituito da fatti personali ma non solo. Le situazioni precise collocate in luoghi e tempi definiti servono al poeta per esprimere la propria visione del mondo. La scelta del genere della satira si riallaccia al modello della conversazione amichevole ironica, su argomenti vari. Con Ariosto vengono riscoperte le satire e le epistole viste come modelli di stile ma anche di vita. Ariosto condivide la predilezione per una vita sobria ma autonoma per la scelta di amicizie schiette disinteressate, la rappresentazione dei vizi umani e l’autoironia verso i propri difetti fisici come per esempio la sua calvizie e le debolezze di carattere. Inoltre nelle sue opere inserisce spesso aneddoti come riflessione morale. Ricerca un tono medio che riesce ad essere elegante e scherzoso, dà spazio anche a forme prosastiche e ad espressioni della lingua parlata. Un modello fondamentale da cui Ariosto prende spunto è la commedia di Dante sia per la struttura metrica della terzina a rima incatenata, sia per alcune scelte espressive e stilistiche, con termini che rimandano ai suoni di molti passi dell’inferno. I temi delle satire sono vari, è possibile identificare come elemento centrale la celebrazione della vita sobria, In cui il limitarsi dai desideri permette all’uomo di restare padrone di se stesso. Ariosto non intende diventare un maestro di vita ma vuole creare una struttura quasi teatrale introducendo sempre un destinatario concreto nel suo opere, un “tu” a cui rivolgersi, per portare a una riflessione generale sul comportamento umano. Satira 1: È indirizzata al fratello Alessandro e all’amico Ludovico, Ariosto ha rifiutato di seguire il cardinale Ippolito d’Este in Ungheria e denuncia l’adulazione e l’ipocrisia che esistono nella vita di corte, alla quale lui oppone un ideale di vita povera ma libera. Satira 2: È rivolta al fratello Galasso, il poeta deve partire per Roma per difendere i propri interessi, e chiede al fratello di procurargli un alloggio modesto, traccia anche un ritratto polemico dell’insaziabilità dei desideri umani e vuole rappresentare la dissolutezza della corte romana. Satira 3: il destinatario è il cugino Annibale Malaguzzi, il poeta è passato a servizio del duca Alfonso I e parla del suo nuovo impegno ribadisce che lui vuole autonomia ma apprezza il fatto che non si deve spostare spesso in altre città, elogia la vita casalinga e il suo ideale di vita sobria e attenta ai valori. Satira 4: È indirizzata al cugino Sigismondo Malaguzzi, è trascorso un anno da quando Ariosto a preso servizio in Garfagnana, e fa un bilancio della sua esperienza: il luogo lo ha sconvolto e per molti mesi non è stato in grado di dedicarsi alla poesia, soffre a causa della distanza dalla donna amata ma non la ritiene la colpa più grave, esprime nostalgia per la sua terra natale e un disagio per questa sua nuova sistemazione. Satira 5: È una satira indirizzata a suo cugino Annibale Malaguzzi che sta per sposarsi.Ariosto lo esorta a sposarsi senza aspettare fino alla tarda età perché un marito vecchio è più esposto ai tradimenti da parte di una moglie giovane. Invita però il cugino a considerare i caratteri della madre della sua famiglia perché secondo lui la donna è simile alla madre e se una donna è abituata al lusso non vivrà mai una vita modesta. Invita labirinto, la selva fitta di sentieri. Queste immagini ci danno l’idea di un percorso intricato ma comunque composto e ordinato. Il poeta fa avanzare per un certo tempo una vicenda, poi l’abbandona, segue altri personaggi altre storie, e poi la riprende.Tutto ciò non produce una sensazione di caos o mancanza di controllo, ma un percorso che giunge comunque al suo termine.È possibile ad esempio cogliere percorsi simmetrici, talvolta con esiti opposti, si ripetono situazione analoghe come il salvataggio di una fanciulla in difficoltà, si contrappongono relazione opposte di fronte a una sofferenza amorosa. Il passaggio da un argomento a un altro è sottolineato da un cambiamento di tono. Sono inoltre inserite le novelle, “racconti nel racconto”, narrate da un personaggio interno alla vicenda, e profezie, queste ultime facendo riferimento a eventi futuri consentono al poeta di celebrare la casata Estense e di alludere a fatti politici e militari contemporanei. Le vicende si svolgono in uno spazio amplissimo che comprende luoghi geografici reali e territori fantastici. I personaggi si muovono nei territori del Nord, nelle selve, solcano i mari e gli oceani, e giungono nei castelli, percorrono distanze a cavallo, in navi o spesso a piedi. Non vi è dunque un centro reale del poema e Parigi assediata o l’isola di Lampedusa, sono solamente una posizione preminente per un breve momento. Nell’Orlando furioso lo spazio è labirintico, e al suo interno i tanti personaggi si muovono in una direzione non lineare, ci sono continui cambi di percorso, inversione di rotta improvvise e interruzioni. La meta dei personaggi Ariosteschi è variabile e imprevista, spesso dettata puramente dal caso.I personaggi procedono da soli, scelgono la loro strada in piena libertà ma sono anche del tutto esposti ai rischi della vita nella sua complessità.Lo spazio della selva intricata riveste un ruolo importante: è luogo di scontri ma anche di sorprese, di morte di amore, di minaccia e di delizie, e dunque la rappresentazione della vita. Nell’Orlando furioso la collocazione temporale risulta inafferrabile: è il tempo di Carlo Magno, ma si presenta anche come un generico passato ideale, privo di determinazioni precise. Sono indefinite anche le indicazioni interne che riguardano la durata. Gli episodi non hanno confini temporali ma si accavallano gli uni agli altri come avviene nei sogni, la cronologia non è lineare, le vicende dei personaggi sono interrotte e riprese in momenti diversi, il narratore si sposta incessantemente avanti indietro non soltanto nello spazio ma anche nel tempo. La voce narrante domina il disegno complessivo alternando toni e contenuti, ricercando un’armoniosa convivenza tra gli elementi opposti. I passaggi sono spesso sottolineati: il narratore come un regista, mostra la propria presenza, comunica l’apertura di un nuovo tema sottolinea il passaggio da una storia all’altra, dunque è una presenza determinante a differenza di quanto avveniva nei cantari. Il suo compito è quello anche di descrivere la realtà attraverso la figura retorica dell’ironia. Il repertorio cavalleresco viene usato per parlare in generale della condizione umana, che viene osservata in modo ironico, cioè con distacco con un sorriso, evitando toni patetici e tragici. Spesso nelle frasi di apertura il narratore sceglie di intervenire con delle riflessioni più serie su vari temi, non assume Mai un tono accusatorio piuttosto va alla ricerca di una saggia consapevolezza che riconosce limiti dell’azione umana. La voce narrante dà spazio a diverse visioni del mondo senza concordare con nessuno, rappresenta i pregi e limiti dei vari atteggiamenti umani di fronte alla realtà. La presenza di appelli al pubblico testimonia il legame dell’Orlando furioso con la tradizione cavalleresca e canterina. Il poema di Ariosto appartiene a un’altra epoca, nella quale la pratica della stampa permette a una più ampia circolazione dei testi e favorisce la lettura individuale.Ariosto pertanto scrive per intrattenere un pubblico di signori e cortigiani appartenenti a una corte ideale, ossia tutte le persone colte della penisola. I temi in quest’opera si alternano senza che nessuno risulti predominante.Alcuni di questi sono: La quete ossia la ricerca vana e incessante. Nel mondo medievale era collegata alla religione, nel furioso è collegata all’inseguimento affannoso di un oggetto profano e lascia posto a un atteggiamento più pragmatico, disposto ad esempio a sostituire l’oggetto del desiderio con qualcosa di più raggiungibile. Saranno pochi personaggi che non accetteranno alternativa all’oggetto ambito: il prezzo della loro intransigenza sarà però la follia oppure la morte; L’amore viene rappresentato come causa di turbamento ma anche celebrato come strumento interiore. Viene utilizzato nei suoi aspetti più vari e contraddittori. È associato a una lima che consuma l’ingegno del narratore stesso, non è controllabile attraverso la ragione, è una forza insopprimibile. La follia è l’approdo estremo all’amore, nella quale l’incapacità di vivere senza la persona amata porta la distruzione della propria identità: Orlando avendo perso Angelica impazzisce e divenne un essere rozzo e inconsapevole.Tutti gli uomini mostrano un’identica follia nell’inseguire i desideri di ricchezza e di potere La fortuna viene intesa come il caso. Nel poema di Boiardo la fata Morgana è un vero proprio personaggio con il quale Orlando ingaggia un duello da cui esce vincitore, nel furioso invece è una forza totalmente irrazionale e imprevedibile che sempre sconvolge le aspettative dei personaggi. La magia nell’Orlando furioso ha una connotazione fiabesca, senza caratteristiche soprannaturali divine.Gli anelli, i libri, mostri, giganti, i palazzi sono indispensabili alla costruzione di trame avventurose imprevedibili che generano piacere nei lettori. Ariosto finge di voler rassicurare il lettore in merito alla plausibilità degli elementi fantastici, ma di fatto ironizza con spirito critico rinascimentale sono ingenua credulità dei lettori del passato. 16. LA VISIONE DEL MONDO La varietà e la molteplicità dei temi e dei personaggi hanno come obiettivo quello di suscitare il diletto cioè il piacere grandissimo, perché l’alternanza di toni, di storia, le svolte improvvise e le interruzioni, vincono il lettore cioè risuscitano curiosità e generano divertimento. L’Orlando furioso cattura infatti il pubblico in primo luogo per la bellezza della favola, offrendo la possibilità di poter conoscere il continuo delle avventure ideate da Boiardo.La varietà che contraddistingue l’opera anche uno scopo conoscitivo: il vero argomento di cui si parla è la realtà umana, nelle sue molteplici contraddittorie manifestazioni e, il poeta guarda tutte le passioni umane con un atteggiamento che è un insieme di coinvolgimento e distacco. Nel brano è molto presente anche la figura retorica dell’ironia attraverso la quale Ariosto prende le distanze dalla materia ed evita che il pathos eccessivo offuschi la razionalità del giudizio.essa si manifesta attraverso interventi diretti della voce narrante. Di ironia nasce anche dalla sproporzione tra le situazioni e le parole che le the designano: ad esempio Orlando che folle di gelosia sradica alberi e piante come una furia incontenibile che viene paragonato ad un contadino che sveglie dalla terra fino a che altro ortaggi come a sottolineare che il comportamento di chi ha perso la ragione ben poco eroico. L’ironia genera dunque una sorta di straniamento che permette di guardare in modo nuovo la realtà rivelandone aspetti imprevisti.L’Orlando furioso è l’opera che meglio incarna la pienezza dello spirito rinascimentale. Il poema esprime un rapporto armonioso tra l’individuo e il mondo e l’idea che i contrasti possono essere ricomposti senza produrre danni e che l’uomo possa manifestare in modo libero i suoi effetti i suoi desideri. La generazione successiva a quella di Ariosto vivrà una condizione profondamente diversa, di crisi storica e culturale, e il poeta nella sua opera ci dà alcuni indizi che suggeriscono un inizio di un declino imminente. La sensazione del tramonto della civiltà rinascimentale e particolarmente intensa nei cinque canti, esclusi dall’edizione definitiva del furioso. Ariosto se ne occupa subito dopo la prima edizione e intensifica il suo impegno soprattutto tra gli anni 1519 1521, ma sceglie di non inserire queste opere nel testo principale, né di pubblicarle a parte. Si tratta di 500 ottave dedicate alle malefatte di grano di Maganza, personaggio della tradizione cavalleresca definito come sleale il malvagio. Nei cinque canti il tono divenne cupo e pessimistico, distante dal sorridente di equilibrato distacco della voce narrante, il narratore interviene frequentemente con invettive e commenti sarcastici, nella convinzione che il mondo sia dominato dall’invidia, dalla corruzione e dall’egoismo. Anche nelle scelte stilistiche e linguistiche cinque canti si distinguono rispetto al poema: si coglie l’influenza della lingua fantasiosa e varie di pulci, il tentativo di recuperare alcuni effetti tipici dei cantari. 17. LO STILE E I MODELLI Antecedentemente la struttura Metrica dell’ottava era stata usata per due differenti scopi: come strumento per la narrare, da Boccaccio dei canterini da pulci e Boiardo e come sistema metrico per l’effusione lirica. Ariosto vuole fondere i due aspetti: il modello di pulci gli appare inadeguato perché ricalcando la tecnica dei cantastorie aveva creato una struttura disarmonica; l’ottava ariostesca riesce dunque a unire l’esigenza di narrare l’elaborazione lirica: i primi sei versi, fluidi e scorrevoli, sono seguiti dal dal distico conclusivo che crea una pausa ma dà anche slancio l’ottava successiva.La lingua adottata da Ariosto mira a raggiungere un ideale di armonia ed equilibrio, il suo modello di riferimento è Petrarca, che viene limitato per quanto riguarda l’uniformità linguistica e la parodia dei nei contenuti. Nell’Orlando furioso non mancano i termini alti né quelli colloquiali: è sempre assente lo scontro tra registri diversi, l’associazione di parole troppo distanti da loro.Prevale il senso della misura che spesso manca nei personaggi e viene recuperata nella regolarità della lingua, della metrica e della sintassi. Gli studiosi spesso si sono domandati quale era il rapporto tra l’epica e romanzo nell’Orlando furioso, chiedendosi se si possa parlare di un’opera chiusa oppure aperta. La struttura chiusa e tipica del genere letterario epico, in cui l’azione è lineare, e l’eroe è seguito fino al compimento del suo percorso, e viene privilegiata una certa unità di luogo; la struttura aperta invece caratteristica del romanzo, nel quale le avventure si moltiplicano senza un fine e i vari personaggi e le vicende permettono sviluppi sempre nuovi. Nel furioso sono presenti molti aspetti che rimandano alla dimensione epica: la tradizione letteraria carolingia e la Pica classica hanno infatti lasciato importanti tracce nel poema. Inoltre l’impianto i commi Astico che celebra la casata d’Este riprende l’esaltazione della stirpe di Augusto condotta da Virgilio. E tra maiuscola tuttavia il poema epico a 1:00 impostazione ideologica: nelle vicende dei Roy un popolo riconosce proprio valori collettivi rivendica le proprie rigide la propria superiorità.le tra maiuscola care chiarezza manca nel poema di Ariosto in cui alla certezza se sostituisce sempre il dubbio, e tra cristiani e pagani non emergono differenze perché tutti sono presi dalle ricerche e dagli errori. Il critico Sergio Zatti osserva che nella parte finale del poema la tecnica del enjambement lascia il posto a una serie di episodi ampi, come a voler ricondurre alla pluralità delle vicende a una conclusione: Angelica scompare, gli strumenti magici vengono meno, il mago atlante rinuncia ai suoi inganni, alcuni eroi muoiono. Il narratore dunque recuperare i fili che aveva disperso e li porta a termine, generando nel lettore una sensazione di piacevolezza e di serenità che nel mondo reale non ettaro. Per Zatti e quindi si può parlare di una prevalenza dell’epica nella conclusione dell’opera. La critica recente considera che la dialettica tra epica e romanzo appartiene alla conoscenza moderna piuttosto che all’epoca di Ariosto. Lo stesso Ariosto nel chiedere al doge di Venezia il privilegio della stampa, annuncia che il tema bellico e il tema cortese convivono intimamente. Sembra dunque preferibile considerare l’Orlando furioso un’opera non riconducibile a un unico genere letterario ma una che ore
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