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Quattrocento e Cinquecento, Appunti di Storia della lingua italiana

spiegazione generale Quattrocento e Cinquecento

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 31/01/2021

Ludovica12--
Ludovica12-- 🇮🇹

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Scarica Quattrocento e Cinquecento e più Appunti in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! IL QUATTROCENTO Con Petrarca si ebbe una crisi del volgare, poiché la maggior parte dei dotti lo screditavano. Umanisti dei primi anni del ‘400, come Salutati, non usarono il volgare e diffusero il latino. Il latino era visto lingua più nobile, il volgare, secondo i dotti, poteva essere usato solo nelle scritture pratiche e d’affari. LEON BATTISTA ALBERTI Viene da una famiglia di mercanti, è un umanista ed elabora l’Umanesimo volgare: era convinto che bisognasse imitare i latini e che anche il volgare aveva il merito di essere la lingua di tutti. L’influenza del latino sulla sua sintassi lo discostano dal modello di Boccaccio, perché la prosa del ‘300 non esercita influenza su di lui. Scrive la ‘Grammatichetta Vaticana’ per i suoi figli tra il 1434 e il 1438, che fu poi stampata nel 1908 (grammatichetta allude alle piccole dimensioni dell’opera, di sedici carte, ed è la prima grammatica della lingua italiana), che non ebbe influenza  descrive il volgare fiorentino dell’uso vivo (si differenzia dalle grammatiche che presentano un linguaggio letterario) e attesta l’uso dell’articolo ‘el’; le desinenze della prima persona plurale dell’indicativo presente in -amo, -emo, -imo; la desinenza -orno del passato remoto; la forma suo per loro; la desinenza -o per la prima persona singolare dell’imperfetto; le forme ‘masculino’ e ‘feminino’ rivela una continuità terminologica con la tradizione latina. L’autore vuole mostrare come il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata, come il latino. Alberti presta attenzione all’uso toscano del suo tempo. Nel 1441 fu organizzato il Certame coronario, una gara poetica in cui i concorrenti dovevano presentare componimenti poetici in volgare, ma i giudici non consideravano affatto questa nuova lingua. Così arrivò una protesta, forse da Alberti, nel quale si criticava la posizione della cultura tradizionale contro il volgare. LORENZO IL MAGNIFICO Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze dal 1469, fu un politico lungimirante, promosse una lega di Stati volta a diffondere il toscano come lingua ufficiale. Ebbe come collaboratori Landino e Poliziano Appoggia il progetto con un’ideologia culturale, dispone degli stilnovisti, Dante, Petrarca, Boccaccio. Landino negò l’inferiorità del volgare rispetto al latino, volgarizzò il “Naturalis historia” di Plinio, un testo scientifico, dimostrando che la lingua toscana poteva trattare qualsiasi argomento. Nel 1477 regala a Federico D’Aragona la ‘raccolta Aragonese’ in cui l’Epistola, attribuita a Poliziano, giustifica il prestigio della lingua e della letteratura toscana: inizia così la questione della lingua in cui intervennero Leonardo Bruni, Biondo Flavio, Leon Battista Alberti e Lorenzo Valla. Alla corte dei Medici si sperimentava anche il toscano comico, realistico e popolare (Poliziano ricorse all’elemento comico), e si trattava anche il cantare cavalleresco, forma poetica in ottave che veniva portata da canterini e cantastorie. A questo genere appartiene il “Morgante” di Pulci, in cui usa giochi di parole e un ricco lessico realistico. BIONDO E BRUNI (contrapposizione nel 1435) Entrambi furono tra i più eruditi del proprio tempo, con straordinarie conoscenze filologiche e storiche. FLAVIO BIONDO Biondo si dedicava alla storia e agli studi antiquari e sosteneva che al tempo di Roma il latino veniva parlato sia dagli uomini colti che dagli ignoranti (anche se i colti lo parlavano in modo più elegante), e questa lingua si era corrotta con l’invasione dei popoli barbari (i longobardi, più rozzi): da qui è nato l’italiano. Quindi vi era solo una differenza graduale, non erano lingue separate come in Bruni, dal momento che i dotti e gli illetterati usavano le stesse parole. Per dimostrare che il volgare moderno non esisteva presso gli antichi romani, Biondo inaugurò la ‘teoria della catastrofe’: ha dissolto la dicotomia medievale tra ARS e NATURA riguardo le lingue. Biondo inaugura la topografia antica, rintracciando la storia di località, toponimi. Per lui ci sarebbero state una lingua bassa, destinata all’uso quotidiano e una lingua alta, riservata a lettere, scienze, arti. Come retorico si ispira al modello di Cicerone, formulando un approccio diasistematico e alle tre forme della lingua, per dichiarare la variabilità della lingua latina; come storico si interessa al volgare contemporaneo. Secondo una prima ipotesi Biondo credeva che il volgare contemporaneo si fosse sviluppato dal latino letterario e volgare e l’invasione dei Barbari avesse corrotto il latino; per la seconda ipotesi, Tavoni parte dalla tripartizione della latinità: stile umile, medio e alto. Dunque, il volgare è più esposto alla corruzione. BRUNI Bruni, che si occupava della storia italiana, era un importante traduttore e filologo e in quanto grammatico difende il primato del latino, la grammatica. Era convinto, così come Dante, dell’esistenza di due lingue in Italia: il latino e il volgare. Per Bruni esistevano la lingua degli eruditi e della letteratura e la lingua parlata volgare. Per lui il latino e la letteratura latina formano una sorta di unità. Bruni spiega che il popolo (vulgus) non era in grado di capire la grammatica elaborata, perché era necessario uno studio per apprenderla correttamente. Questa tesi è stata interpretata in maniera errata, essendo così originale: si pensa all’ipotesi di due lingue diverse e coesistenti, il latino classico e letterario e l’italiano. Bruni rivede le sue posizioni e considera i longobardi come responsabili della corruzione del latino (anche Dante aveva una vaga idea dell’invasione barbarica e della sua influenza sulla lingua) ed egli si basa su fattori strutturali: - Differenze semantiche e sintattiche - Problema della flessione (declinazione dei nomi e coniugazione dei verbi) Il popolo capirebbe le commedie di Plauto o Terenzio solo in parte, basandosi sul linguaggio comico. Gli oratori usavano la grammatica, il latino colto: - Nella conversazione con altri eruditi - Melle rielaborazioni scritte dei propri discorsi Bruni proietta nel passato la diglossia (latino/italiano) del suo tempo: l’ARS è la lingua elaborata e raffinata, la NATURA è la lingua spontanea e incolta. Mentre il volgare si diffonde tra i ceti inferiori e gli illetterati, diafasicamente il latino si distingue dal volgare per una struttura grammaticale più complessa e un lessico particolare. L’intercomprensione si basa su due lingue diverse tra loro e in parte reciprocamente comprensibili.  Bruni e Biondo dimostrano una chiara unità di vedute a livello diastratico (parlanti).  Biondo si distingue da Bruni perché riconosce che il latino antico consiste di forme diverse che formano un’unità linguistica.  Sostiene che l’italiano si è sviluppato dal latino antico, non precisando la quale forma di latino. Alla Corte Papale nacque il ‘problema della lingua materna degli antichi romani: com’era il latino? L’opinione più diffusa era che gli antichi parlassero quasi come scrivevano, nella Grammatica: si affermò l’idea che parlassero una sorta di volgare. presenta come uno dei maggiori letterati illustri. Dopo l’esperienza del latino alla corte papale con Leone X, decise di adottare il volgare e dedicò le Prose al nuovo papa Clemente VII. Nel 1539 ricevette la nomica cardinale ma furono anche gli anni della Controriforma, che riuscì comunque a gestire. Nel suo progetto, c’era l’intenzione di costruire un’immagine da lasciare a modello per le generazioni future. Morì nel 1547 e venne seppellito nella Chiesa della Minerva, lasciando le disposizioni su come pubblicare le proprie opere. ELABORAZIONE DELLA TEORIA BEMBIANA 1. Collabora con Manuzio, un umanista colto, che pubblica i classici: Bembo cura le edizioni del Canzoniere e della Commedia e scrisse “Gli Asolani”, un dialogo in cui si discuteva della natura dell’amore, sulla base delle teorie di Platone. 2. Nel 1525 pubblica le Prose divise in tre libri: i primi due trattano temi riguardanti la storia linguistica, la formazione del linguaggio letterario, la teoria della letteratura, estetica e retorica; è una grammatica dell’italiano ma in forma dialogica. Il dialogo è collocato nel 1502 e parlano 4 personaggi: Giuliano de’ Medici rappresenta la continuità dell’Umanesimo volgare; Federico Fregoso aggiunge osservazioni di carattere storico; Ercole Strozzi ripropone la tesi secondo cui il volgare non è adatto alle opere letterarie e Carlo Bembo, fratello di Pietro, è portavoce delle sue idee. Viene svolta un’analisi storico-linguistica secondo la quale il volgare sarebbe nato dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari. I libri rimandano a giornate in cui i personaggi discutono il tema da vari punti di vista. La seconda giornata è dedicata a una guida all’uso letterario del volgare. La terza giornata è una descrizione del volgare, un incrocio tra una grammatica, un vocabolario e uno studio della lingua dei classici volgari. Per Bembo, la lingua volgare è il toscano letterario trecentesco di Petrarca e Boccaccio e in parte di Dante: trasportò la sua concezione di Virgilio e Cicerone sul modello di lingua di Petrarca e Boccaccio. Condanna Dante perché bisognava rifiutare la popolarità e non accetta di lui la discesa verso lo stile basso e realistico: a volte usava parole latine, straniere, brutte e sgradevoli; altre volte deformava parole pure e delicate. Il Canzoniere non presentava difetti e del Decameron si doveva fare riferimento allo stile dello scrittore, non alle novelle: sintassi latineggiante, inversioni, frasi gerundive  modello assunto nelle Prose e imitato da Bembo. La lingua non si acquisisce dal popolo ma dai modelli scritti. LA TESI DI BEMBO 1. Il volgare può essere adoperato per le opere letterarie, in Europa ha dato prova delle sue possibilità con la poesia provenzale 2. Il cortigiano non è una lingua perché non ha scrittori, a Bembo necessita una lingua per scrivere (Calmeta faceva riferimento a una fiorentinità della lingua, da apprendere sui testi di Dante e Petrarca e affinata attraverso l’uso della corte di Roma). I cortigiani facevano riferimento alla corte, ambiente sociale determinato. 3. Il fiorentino migliore è la lingua raffinata di Petrarca e Boccaccio, a volte Dante si era espresso in modo inelegante. Gli scrittoti italiani avrebbero dovuto rifarsi a Petrarca nella poesia (la poesia di Petrarca sta alla base del linguaggio poetico italiano) e a Boccaccio nella prosa. EFFETTI DEL BEMBISMO - Revisioni editoriali, le opere di Petrarca e Boccaccio vennero corrette e nacque la professione dei ‘correttori’, che intervenivano sui testi per correggerli secondo le norme. - Riscritture d’autore, l’Orlando Innamorato di Boiardo conteneva forme dell’Italia settentrionale e fu riscritto da Domenichi; l’”Orlando Furioso di Ariosto fu corretto dalla grammatica di Bembo, la prima edizione (1516) contiene pochi ritocchi nelle oscillazioni nell’uso delle doppie, di -c- e -z- davanti vocale, mentre la terza edizione (1532) tiene conto delle Prose con l’articolo ‘il’, la desinenza -iamo e la prima persona dell’imperfetto in -a. Tra la seconda e la terza edizione furono pubblicate le Prose, di cui Ariosto riconobbe l’autorità. FORTUNA NORMATIVA Bembo formulò una proposta conservatrice e applicabile; offriva agli scrittori un punto di riferimento. La proposta di Bembo rientrava nella tendenza di fissare norme e regole. Ad esempio, i componenti della burocrazia, di livello alto-medio, cercavano una lingua comprensibile a tutti, affidandosi a un modello sicuro. I fiorentini difendevano il modello del ‘300 e quello contemporaneo: formalizzare una delle lingue avrebbe escluso l’altra e non si volevano mescolare le due lingue. QUESTIONE DELLA LINGUA La questione della lingua era un argomento frequente di discussione presso i convegni intellettuali che si tenevano nelle case dei patrizi e nelle corti e al centro di questo dibattito si pongono le Prose. L’Italia era debole e divisa sul piano politico e militare in piccoli Stati, a causa delle grandi potenze. Gli intellettuali volevano salvare il campo della cultura: bisognava stabilire il tipo di volgare da adoperare nella divulgazione delle scienze, delle lettere e delle arti. Si distinsero: - Linea cortigiana e italianista . Maggiore rappresentante della teoria cortigiana è Calmeta, il quale pensava che i dotti non dovessero imitare il modello delle tre corone, ma accogliere parole e forme eleganti dai vari volgari d’Italia, ma anche da francese o spagnolo. La lingua cortigiana nacque dall’italiano colto parlato dalla corte pontificia, aperta all’incontro di lingue diverse. Trissino fece conoscere agli studiosi il “De vulgari eloquentia” ed espose le sue idee nel dialogo “Castellano”: la teoria italianista deriva dal fatto che le Tre corone avessero dato vita a una lingua illustre italiana, che poteva essere migliorato da tutti gli scrittori lombardi, veneti, napoletani. Aveva proposto una riforma dell’alfabeto, l’introduzione di epsilon e omega per distinguere l’apertura delle vocali. - Linea del fiorentino vivo : maggiore esponente di questa linea fu Machiavelli. Scrisse il “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua”, in cui discutono Dante e Machiavelli e dimostra che la lingua adoperata da Dante era il fiorentino vivo. - Linea del fiorentino letterario del ‘300 : Le Tre corone dimostrarono come il fiorentino fosse la più ricca e armoniosa lingua parlata in Italia. INDUSTRIA EDITORIA I libri circolavano ma non vi era il diritto d’autore: molti dei testi stampati tra ‘400 e ‘500 avevano una funzione di servizio (testi di studio, raccolte di leggi), e non di svago. Le opere di Bembo erano destinate a un pubblico ristretto di letterati e umanisti. Nei primi anni dell’industria editoriale la cultura più elevata si esprimeva in latino: gli umanisti avevano riportato il latino classico, difficile da comprendere alla maggior parte delle persone. In seguito alle esigenze del commercio molti sapevano leggere e scrivere, ma non comprendere il latino. Accanto ai classici apparvero testi volgari: il Canzoniere di Petrarca e la Commedia di Dante. BENEDETTO VARCHI Molti letterati fiorentini del ‘500 fecero circolare l’idea che il “De vulgari eloquentia fosse falso. Varchi, in particolare, disse che il trattato conteneva delle sciocchezze. Varchi nasce a Firenze e dopo essersi laureato in legge, si dedica agli studi umanistici. Era repubblicano e dopo il ritorno dei Medici lasciò Firenze e si stabilì a Padova dove, nel 1541, partecipò alle attività dell’Accademia degli Infiammati, tenendo lezioni su poeti volgari e sulla logica e l’etica di Aristotele, in cui incontrò Bembo ed ebbe il merito di far entrare il bembismo in Toscana. Fu storiografo ufficiale alla corte di Cosimo I e come membro dell’Accademia fiorentina tenne lezioni su Dante. Fu autore di sonetti e canzoni in volgare e di poesie in latino. Nel 1570 la situazione cambiò con l’uscita postuma dell’”Hercolano”, trattato sulla lingua. Morì nel 1565, dopo essere stato ordinato sacerdote. Si occupò di: lingua, letteratura, teatro, estetica, filosofia, botanica. Per lui la pluralità dei linguaggi non va spiegata con la maledizione babelica ma con la naturale tendenza alla varietà della natura umana. ERCOLANO Il trattato è diviso in 3 parti e sono posti 10 quesiti: 1. Cos’è la lingua? 2. A che scopo si studiano le lingue? 3. Come sono strutturate le lingue? 4. Sono le lingue a fare gli scrittori o gli scrittori a fare le lingue? QUESITO DI FONDO. Occorre distinguere tra la lingua parlata spontanea e quella nobile elaborata nello stile. Sono gli scrittori a fare le lingue nobili, resa tale dai poeti il cui modo di scrivere in versi è il più artificioso e dilettevole. 5. Quando, dove, come, da chi e perché ebbe origine la lingua volgare? 6. La lingua volgare è una lingua da sé o è la lingua latina corrotta? ALTRO QUESITO. La lingua latina e la lingua volgare sono due idiomi distinti, non una sola lingua: Aristotele afferma che la corruzione è un passaggio dall’essere al non essere, se il latino si è corrotto non esiste più. Sempre citando Aristotele, Varchi afferma che il volgare è una generazione dal latino, non una corruzione. 7. Da quanti e quali linguaggi è composta la lingua volgare? 8. Da chi si impara la lingua: dal popolo, dai mastri o dagli scrittori? 9. Quale lingua è la più ricca e bella: la greca, la latina o la volgare? 10. Se è la lingua volgare adoperata dalle Tre corone si deve chiamare: italiana, toscana o fiorentina? Il titolo riguarda un dialogo sulla lingua avvenuto tra Varchi e il conte Ercolano. Assunse alcune idee di Bembo e altre dei toscanisti: da Bembo l’idea che il volgare fosse frutto di studio e ed esercizio; dai toscanisti l’idea che in una lingua è più importante l’uso parlato dello scritto. Varchi cercava di avvicinare fiorentino letterario del ‘300 al fiorentino parlato del ‘500: così i fiorentini avrebbero potuto esercitare il controllo che gli era stato sottratto da Bembo. Struttura e tesi: - Dialogo tra Varchi e il conte sul volgare toscano - La tesi di Varchi si basa su quella di Bembo: alla lingua dei classici del ‘300 oppone la sua teoria secondo cui nella lingua letteraria vanno accolte altre forme in uso tra i fiorentini.
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