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Raccontare il Made in Italy, Sintesi del corso di Marketing

Riassunto del primo capitolo del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 22/06/2019

francescabasso
francescabasso 🇮🇹

5

(3)

9 documenti

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Scarica Raccontare il Made in Italy e più Sintesi del corso in PDF di Marketing solo su Docsity! – RACCONTARE IL MADE IN ITALY – UN NUOVO LEGAME TRA CULTURA E MANIFATTURA CAPITOLO 1: “PERCHÈ IL MADE IN ITALY È INTERESSANTE” Un caffè in Piazza San Marco Per capire perché il Made in Italy è ancora interessante prendiamo in considerazione un caffè in piazza San Marco a Venezia. Lo sfondo nel quale lo si sorseggia non ha eguali, ci si trova nel cuore della venezianità. Sicuramente questi elementi giocano un ruolo importante ma da soli non possono giustificare la differenza di prezzo. Cosa può giustificare un prezzo così alto? Secondo Pine e Gilmore “le esperienze sono una nuova tipologia di offerta economica, distinta dai servizi così come i servizi sono distinti dai beni. Quando una persona acquista un servizio, compra un set di attività intangibili che vengono svolte per suo conto. Quando invece acquista un’esperienza paga per passare del tempo nel godere di una serie di eventi memorabili.” L’invito è quello di pensare l’offerta come una rappresentazione teatrale che trasforma l’individuo in un attore che si muove all’interno di un “palcoscenico”. L’esperienza nasce del momento in cui l’individuo interagisce con il contesto che lo circonda. Secondo i due autori la differenza di prezzo è dovuta proprio alla qualità dell’esperienza che vive il consumatore. Se si adotta questa prospettiva, non è difficile rintracciare gli elementi che rendono unica l’esperienza del caffè. Il primo riguarda la bellezza estetica del luogo (piazza e il caffè stesso) che compone senza dubbio il palcoscenico principale nel quale l’avventore vive l’esperienza. Questo fondale è ulteriormente arricchito dalla raffinatezza del servizio offerto e dalla presenza dell’orchestra che suona dal vivo per i clienti. Il secondo ha a che fare con il genius loci, lo spirito del luogo. Venezia è lo snodo attraverso il quale la cultura del caffè si diffonde in tutta Europa. Nel Seicento in piazza San Marco viene aperta la prima bottega dove si vende “l’acqua negra bollente” ma è solo nel Settecento che il caffè diventa anche luogo di incontro, discussione e divertimento mutuando la socialità dei caffè culturali viennesi. Questi nuovi spazi ebbero tanto successo da diventare il punto di riferimento di artisti, intellettuali, uomini politici e da intrecciarsi con la successiva storia di Venezia. Quando l’avventore beve il caffè non può non pensare che grandi personalità del passato hanno ripetuto quel gesto. Il terzo elemento riguarda la qualità del caffè. Si tratta di una combinazione tra cura nella selezione della miscela, impeccabilità nella preparazione e creatività. Molti locali hanno saputo nel tempo creare modalità originali di degustazione del caffè attraverso l’associazione con altri ingredienti come panna, cioccolato, liquori, latte… Il caso del caffè deve far riflettere. I contenuti culturali rappresentano un aspetto sempre più qualificante dell’offerta soprattutto quando sono contestualizzabili all’interno di esperienze complesse. Il consumatore dimostra di essere interessato alla qualità del prodotto se è in grado di associarlo a un preciso contesto d’uso e a dei significati originali. La buona notizia è che in Italia abbiamo un ampio serbatoio di esperienze alle quali attingere per produrre valore economico. In ogni città il caffè viene interpretato in modo differente, intrecciandosi con la specificità della storia locale. Una cultura che non è fatta solo di riferimenti storici ma anche di innovazioni tecnologiche (macchina per l’espresso e moka). Queste innovazioni tecnologiche sono state accompagnate da un’evoluzione dei processi di selezione e di miscelatura delle diverse varietà di caffè, di tostatura e di macinatura, fino alle tecniche migliori di conservazione attraverso il sottovuoto e la pressurizzazione inventare da Illy. A questo si aggiunge l’attenzione italiana verso tutte le fasi che sono necessarie per passare dalla pianta del caffè alla tazzina consumata al bar o a casa. La qualità del caffè bevuto dal consumatore al bar dipende dalla cura con la quale è stata eseguita ogni fase del processo. La cultura italiana del caffè non è solo oggetto di interesse degli storici, ma è materia viva da cui è nata un’importante, e ancora oggi vitale, industria specializzata sia nella produzione di macchine per l’espresso sia nella torrefazione e nella distribuzione del caffè. Stratificazioni culturali, innovazioni tecnologiche, gusto estetico e sviluppo industriale sono i fili che si intrecciano nella storia del caffè italiano. Un’avventura umana, tecnologica e culturale. Ma il caffè è solo un esempio della formidabile diversità culturale italiana su cui puntare. Vignaioli e vini L’export del vino italiano è quasi duplicato nell’ultimo decennio. È una performance sorprendente se pensiamo che la struttura produttiva è molto frammentata, composta da 450 mila aziende con una superficie media coltivata a vite di meno di due ettari. Il segreto della competitività italiana in questo settore si basa sulla combinazione tra qualità produttiva e grande varietà delle tipologie di vino commercializzate. Il raggiungimento di una maggiore qualità produttiva è un’acquisizione piuttosto recente per il settore enologico italiano. In passato la nostra produzione era nota più per la quantità che per la qualità. L’inizio della rinascita qualitativa coincide con un evento tragico: lo scandalo del metanolo del 1986 nel quale morirono venti persone e molte altre furono menomate. Il metanolo, o alcol metilico, è un componente naturale del vino ma in concentrazioni elevate diventa tossico per l’uomo fino a causarne la morte. La presenza di elevate quantità di metanolo non avviene per errore: è il risultato di un eccessivo sfruttamento delle uve nella fase di spremitura oppure di una sua aggiunta nella vinificazione per aumentare il grado alcolico nel prodotto finito. Il metanolo era quindi la sconsiderata scorciatoia. La reputazione del settore raggiunse il minimo storico. Il vino italiano non lo voleva più nessuno. Questo evento drammatico segna un radicale cambiamento nel settore che da quel momento in poi inizia ad investire con decisione sulla qualità del prodotto. E qui entra in gioco la straordinaria biodiversità delle tipologie di vite, risultato di un fortunato incontro tra clima, caratteristiche geologiche dei terreni e tradizioni culturali. L’Italia è il paradiso dei vitigni autoctoni, varietà coltivate su base locale e dalle caratteristiche uniche. Pochi altri paesi al mondo possono vantare una tale differenziazione. Non mancano naturalmente anche in Italia produttori che hanno puntato con successo su questi vitigni con risultati importanti. I nostri produttori hanno puntato sulle tipologie di uve tradizionalmente diffuse a livello locale, nobilitandole. Una delle figure di riferimento del rinascimento enologico italiano è Angelo Gaja, uno dei primi produttori che ha deliberatamente rinnovato le tradizionali tecniche di produzione del Barbaresco, riducendo in modo significativo la quantità di uva per ettaro, producendo da un singolo vigneto e introducendo l’uso delle barrique per l’affinamento del vino. Il vino di Gaja è uno dei primi assieme proprio al Sassicaia a ottenere importanti riconoscimenti a livello internazionale. L’esperienza di Gaja è emblematica della tensione nella produzione del vino italiano tra l’innovazione, attraverso l’introduzione di nuove tecniche produttive sia in vigna che in cantina, e la tradizione legata a quella particolare combinazione tra le caratteristiche del clima e del terreno locale e la stratificazione culturale legata agli usi nella produzione di varietà specifiche. Luigi Veronelli, noto critico gastronomico, giocò un ruolo fondamentale nel dipanare la matassa del vino italiano. Veronelli fu il primo che intuì che per spiegare la grande complessità italiana c’era bisogno di nuovi strumenti concettuali basati su una precisa gerarchia piramidale. Alla base vi è il concetto di luogo di produzione, mutuando il termine francese di terroir. Questa esaltazione del luogo prende le forme delle De. Co. (denominazione comunale). Il secondo livello è rappresentato dal vitigno, la tipologia di vite piantata nel luogo, e il terzo livello dal Cru che rappresenta l’esasperazione della sovrapposizione tra vitigno e luogo, ovvero la particolare posizione di un vigneto, che dona delle caratteristiche particolari al vino. Infine l’uomo, il produttore. In questa piramide che porta passo dopo passo a denotare l’identità di un vino, un ruolo fondamentale lo gioca il vignaiolo, definito non a caso da Veronelli come Autore. La sua artigianalità e le sue scelte operose in merito alla coltivazione agricola fino a quelle più strettamente enologiche sono la firma del vino. “Il vino sente l’amore del vignaiolo e lo ricompensa facendosi migliore.” Veronelli fu un grandissimo storyteller sia quando si rivolgeva agli addetti ai lavori sia quando parlava al grande pubblico. Si era inventato un metodo originale sintetizzato nella locuzione “camminar la terra”. L’idea era all’epoca provocatoria, un’inversione di rotta sulla via della modernizzazione. In realtà era un richiamo alla necessità di approfondire la conoscenza dei luoghi di produzione e degli uomini che con passione e lavoro riescono a ricavarne i frutti migliori. La degustazione di un vino è per Veronelli uno strumento per comprendere la qualità dell’intervento dell’uomo all’interno di un preciso luogo (lettura umanistica del vino). La degustazione è solo l’atto finale di un percorso conoscitivo più ampio che parte dalla vigna per passare per il processo di vinificazione e di affinamento in cantina. L’estetica della cantina diventa un modo attraverso il quale il produttore comunicazione si dimostrano per le caratteristiche funzionali e per i costi di gestione molto più vicini alle necessità delle piccole e medie imprese italiane. Infine un ultimo aspetto da tenere in considerazione riguarda il canale di vendita. Molto spesso il prodotto italiano viene distribuito a livello internazionale attraverso importatori o distributori in loco. Il punto vendita da semplice regolatore di una transazione commerciale sta diventando un luogo per comunicare la qualità del prodotto e per incontrare il consumatore. Sono tutti aspetti sui quali le imprese italiane potrebbero esprimere al meglio la loro qualità. Lasciare la gestione del punto vendita solo a terze parti significa anche delegare loro la comunicazione del prodotto nel mercato locale. Quello che sta accadendo è la nascita di una nuova complementarietà tra online e offline. La possibilità comunque di poter verificare il prodotto in prima persona, poter accedere a un servizio di qualità, oppure ritirare un prodotto dell’azienda comprato online sono aspetti che ancora contano. L’e-commerce ha fatto aumentare l’importanza della funzione comunicativa del punto vendita: quello che conta per il consumatore nel punto vendita sono l’esperienza della qualità del prodotto e il servizio. CAPITOLO 2: “MANIFATTURA CULTURALE” Molti imprenditori hanno compreso l’importanza del legame tra cultura e produzione manifatturiera. In molte esperienze la cultura manifatturiera italiana gioca un ruolo tutt’altro che marginale. Le conoscenze artigianali sono importanti per la qualità del prodotto finito. Quello che però contraddistingue queste imprese è la capacità di aver reinterpretato in chiave rinnovata il saper fare della nostra tradizione produttiva. Da questo punto di vista, la produzione manifatturiera non realizza solo prodotti di grande qualità, ma produce cultura. Una manifattura che si alimenta ed elabora contenuti culturali. I numeri della manifattura culturale La manifattura culturale ha un peso tutt’altro che marginale nell’economia del nostro Paese. Il rapporto ricomprende all’interno della definizione di sistema produttivo culturale tutte le imprese che appartengono a quattro categorie principali: conservazione e messa a valore del patrimonio artistico e culturale, arti performative e visive, produzione di beni culturali riproducibili e attività produttive che sebbene non definibili come culturali sono fortemente basate sulla creatività. Due terzi delle imprese che fanno parte del sistema produttivo culturale svolgono attività produttive basate sulla creatività e sono quindi riconducibili ad attività legate alle specializzazioni tipiche del Made in Italy quali la moda e il design. Il surplus commerciale è pari a 26 miliardi di euro, secondo solo ai 57 miliardi della filiera meccanica che rappresenta la più importante voce dell’export italiano. Il Nord Est occupa un ruolo importante all’interno del sistema produttivo culturale italiano. È il design una delle voci che contribuisce in modo significativo a questa crescita nel valore aggiunto. Se si prende la graduatoria delle province italiane per valore aggiunto prodotto dal design, si può notare che Treviso, Padova, Vicenza e Verona occupano stabilmente le prime posizioni. Si tratta di un potenziale che ha ancora importanti margini di crescita proprio in ragione della difficoltà delle nostre imprese di comunicare in modo adeguato questa qualità culturale. Quattro fattori da considerare: artigianalità, design, personalizzazione e autenticità È possibile identificare quattro fattori principali: artigianalità, design, personalizzazione e autenticità. 1 – ARTIGIANALITÀ La figura dell’artigiano è al centro di un vivace processo di rivisitazione culturale. Oggi diversi autori ne sottolineano l’attualità da un punto di vista sia sociale che economico. Sennett, nel libro “L’uomo artigiano”, riconosce nella passione per il lavoro ben fatto, che contraddistingue l’artigiano, le qualità sulle quali costruire una nuova società, più riflessiva e meno basata su automatismi burocratici. La cultura materiale offre delle indicazioni importanti per ripensare il concetto di lavoro, anche al tempo di internet e dei social network. Il fare non è un’attività di scarsa rilevanza rispetto alla presunta superiorità delle professioni intellettuali, ma diventa un presupposto fondamentale della capacità di riflessione. “tutte le abilità, anche le più astratte, nascono come pratiche corporee.” Attraverso il confronto con la materia è possibile comprendere i limiti della materia stessa e delle possibilità di intervento dell’uomo. È qui che entra in gioco la dimensione riflessiva: “l’intelligenza tecnica si sviluppa con la facoltà di immaginazione a elaborare la capacità di riparare e improvvisare.” Il fare aiuta a pensare e il pensare aiuta a fare. L’artigiano è una persona che riflette sul proprio agire e mette la propria passione al servizio della qualità. Secondo Sennett, questo approccio è riscontrabile anche nelle nuove professioni nate con la rivoluzione informatica. Micelli, nel libro “Futuro artigiano”, propone una lettura economica dell’artigianalità. Secondo Micelli sono i saperi taciti legati al fare artigianale che hanno garantito la competitività del Made in Italy a livello internazionale. La passione per il lavoro ben fatto, la profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche produttive, sono gli elementi che hanno contribuito in modo rilevante a dare qualità al prodotto italiano. Il contributo dell’artigiano non si limita solo alla realizzazione di un prodotto ben fatto. Secondo Micelli gli artigiani giocano un ruolo importante nei processi di innovazione. Un ruolo che non è sempre facilmente riconoscibile perché passa sotto nomi diversi ma che il libro contribuisce a rendere manifesto. Nella meccanica gli artigiani si chiamano “tecnici” e lavorano a fianco degli ingegneri. Nella moda e nel design si chiamano “modellisti” e sono un punto di raccordo fondamentale tra il designer/stilista e la produzione. Gli artigiani inoltre forniscono una “riserva di varietà”, permettono alle imprese leader italiane di poter contare su un numero molto elevato di specializzazione produttive differenti a cui ricorrere per realizzare prodotti su misura oppure linee molto ricercate su piccola scala. Le abilità artigianali sono una componente fondamentale della manifattura culturale. Ma non l’unica. Un altro elemento importante è il design. 2 – DESIGN “L’arte è ciò che rende straordinario l’ordinario, per divertire il cervello. La scienza è ciò che rende semplice il complesso, per capire l’esistenza.” Non si fa fatica a comprendere le ragioni che hanno spinto molte imprese italiane a investire nel design: trasformare oggetti di uso quotidiano altrimenti banali in prodotti in grado di colpire l’immaginazione e suscitare emozione nel consumatore. Oggetti utili acquistano, attraverso il design, un valore estetico in grado di dare un nuovo significato all’oggetto stesso. Se nel ‘900 le imprese del mondo occidentale puntano su innovazione tecnologica e produzione di prodotti di massa, le imprese italiane seguono una strada opposta. Giocano la loro competitività su prodotti esteticamente qualificati e realizzati in piccole serie. Il desiderio dei designer era realizzare prodotti che si opponessero alla omologazione della produzione di massa e offrissero al consumatore la possibilità di differenziarsi attraverso la bellezza dell’oggetto stesso. La missione condivisa da designer e imprenditori era migliorare la qualità della vita delle persone attraverso l’estetica dei prodotti. La bellezza degli oggetti non era quindi un fine in sé ma un modo per portare una qualità che il prodotto standardizzato non poteva offrire. “Vogliamo progettare per il benessere dell’uomo, questa è l’unica cosa che abbiamo molto chiara, cioè è molto facile fare degli apparecchi di illuminazione, delle macchine di luce, molto più difficile rendere l’uomo soddisfatto, che stia bene. Durante la vita di tutti i giorni, in ufficio, al lavoro, nelle condizioni più difficili. E pensiamo sia qui che il bene sia più necessario.” Quest’attenzione all’estetica del prodotto ha rapidamente contaminato anche i settori che caratterizzano il Made in Italy come la meccanica leggera, la moda e anche l’agroalimentare. Le macchine diventano belle esteticamente per comunicare la qualità e la cura che il produttore ha messo nella loro costruzione. La moda italiana negli anni 70-80 conosce una rapida evoluzione, merito di stilisti, come Versace e Armani che si dedicano al prêt-à-porter e hanno un concetto di moda meno elitaria rispetto a quella francese dell’haute couture. Nell’agroalimentare il design progetta il contenitore per portare alla superficie e rendere visivamente percepibile la qualità del contenuto che si andrà a degustare. Il design non è più una caratteristica che contraddistingue solo le imprese italiane nei settori tradizionali. Le aziende più tecnologicamente avanzate hanno compreso l’importanza dell’estetica per qualificare i loro prodotti. L’obiettivo di Apple è quello di coniugare la tecnica con l’arte per realizzare prodotti che siano in grado non solo di essere funzionali ma anche di emozionare. Oggetti esteticamente ricercati e prezzi accessibili. È una nuova sfida per il Made in Italy che si era abituato ad avere un’indiscussa leadership estetica. Sfida che può essere affrontata se si tiene in considerazione un altro elemento che contraddistingue la manifattura culturale: la personalizzazione. 3 – PERSONALIZZAZIONE
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